Inchiostro Pavia 128 - novembre 2013

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inchiostro.unipv.it

Il giornale degli studenti dell’Università di Pavia Novembre 2013 Distribuzione gratuita Anno XVIII - Numero 128

SPECIALE INTERNAZIONALIZZAZIONE INTERVISTA AL RETTORE FABIO RUGGE SPAZIO GECO: COWORKING A PAVIA PRIMO MESE DA MATRICOLE


Sommario Sommario

Il giornale degli studenti dell’Università di Pavia

EDITORIALE Simone Lo Giudice

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INTERVISTA A FABIO RUGGE Giuseppe Enrico Battaglia e Claudio Cesarano

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VALUTAZIONE DELLA RICERCA Erica Gazzoldi

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IUSS: TRAGUARDI E NUOVI OSTACOLI Irene Doda

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CICLO MAFIE Irene Brusa e Francesca Lacqua SPECIALE INTERNAZIONALIZZAZIONE

pag.8-9 pag.10-15

GIOCANDA Veronica Di Pietrantonio e Chiara Valli

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MONET AU COEUR DE LA VIE Cristina Motta

pag.17

DIRETTORE RESPONSABILE: Simone Lo Giudice COMITATO EDITORIALE: Giuseppe Enrico Battaglia, Claudio Cesarano. DIRETTORE BLOG: Stefano Sfondrini. TESORIERE: Camilla Rossini. IMPAGINATORI: Airina Paccalini, Chiara Pertusati, Stefano Sfondrini. CORRETTORI DI BOZZE: Matteo Merogno, Cristina Motta, Veronica Di Pietrantonio, Camilla Rossini, Stefano Sfondrini. IMMAGINE DI COPERTINA: Francesco Capacchione. Iniziativa realizzata con il contributo concesso dalla Commissione Permanente Studenti dell’Università di Pavia nell’ambito del programma per la promozione delle attività culturali e ricreative degli studenti Fondi 2013: 6368 Euro. Stampa: Industria Grafica Pavese s.a.s. Registrazione n. 481 del Registro della Stampa Periodica Autorizzazione del Tribunale di Pavia del 23 Febbraio 1998. Tiratura: 1000 copie Questo giornale è distribuito con licenza Creative Commons Attribution Share Alike 2.5 Italy Questo giornale è andato in stampa in data 01-10-2013 IN QUESTO NUMERO HANNO COLLABORATO:

Giuseppe Enrico Battaglia, Claudio Cesarano, Irene Doda, Erica Gazzoldi, Francesca Lacqua, Camilla Rossini, Chiara Valli, Simone Lo Giudice, Irene Brusa, Veronica Di Pietrantonio, Cristina Motta, Eleonora Gomez de Teran, Elisa Zamboni, Cristina Carini. Si ringrazia Andrea Taccani per la collaborazione

INCHIOSTRO JOURNALISM FESTIVAL pag.18-19 Giuseppe Enrico Battaglia COWORKING A SPAZIO GECO Eleonora Gomez De Teran

Anno XVIII - Numero 128 Sede legale: Via Mentana, 4 - Pavia Tel. 338/2334933 (Claudio) 338/1311837 (Giuseppe) E-mail: redazione@inchiostro.unipv.it Internet: http://inchiostro.unipv.it

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pag.20-21 twitter/InchiostroPavia

INTERVISTA A FRANCESCO TRICARICO Francesca Lacqua

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MARMOCCHIZZAZIONE Elisa Zamboni e Cristina Carini

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Editoriale

CAMBIO DI MENTALITÀ di Simone Lo Giudice

A nessuno piace mettersi in discussione. E se un giorno capita di doverlo fare, spesso è perché qualcosa ci ha messo alle strette. In casi simili, la saggezza popolare è solita sfoggiare fiducia nel classico avvicendamento di porte e portoni, alla luce di un ottimismo sempreverde. Ecco la parola chiave: cambiamento, comunemente inteso come quel punto di partenza forzato che viene appena dopo una brusca frenata. Alludo a quell’ansia di ripartire subito, che spesso porta con se una tentazione ancora più grande: la voglia di demolire tutto, perfino quanto di buono fatto fino al momento di rottura. È un’osservazione che vale per tutte e quattro le stagioni ed è riferibile a qualsiasi ambito del viver quotidiano. Eppure, limitandoci a considerare solo i cambiamenti ben evidenti su scala più grande, rischiamo di perdere di vista la soluzione. Perché nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma, spesso quotidianamente. In altre parole: oggi siamo diversi da ieri e domani lo saremo da oggi. Restringendo di parecchio il nostro campo di azione, riflettiamo su due situazioni (in realtà riconducibili a una medesima) che comportino il cambiamento, caratterizzando frequentemente il mondo accademico. Mi riferisco all’avvicendamento continuo tra laureati e matricole oppure a quello tra un rettore e l’altro (con l’elezione di quello nuovo ogni sei anni). In entrambi i casi all’incertezza di chi subentra corrisponde spesso il dispiacere di chi lascia, costretto a misurarsi con prove diverse e a volte ben più dure. Ma il nostro appello va soprattutto alle matricole, studenti da poco maturi, magari collegiali oppure semplici fuori-sede, da subito proiettati in una realtà che appare più grande di loro. Uscite dal vostro guscio e

godetevi questi anni accademici. All’Università siete registi della vostra commedia e per mettere in piedi una rappresentazione valida sotto tutti i punti di vista (didattico e soprattutto umano) occorre la massima apertura mentale o meglio la vostra disponibilità al cambiamento, mai da intendere come forzatura. Quanto all’elezione di un nuovo rettore (e in questo numero parliamo abbondantemente del passaggio di consegne avvenuto nel nostro ateneo) il discorso non cambia. Chi subentra non creda che azzerare tutto sia il punto di partenza più affidabile per dare vita a qualcosa di diverso, magari di migliore. I mandati precedenti servano da canovaccio per l’esibizione di una nuova compagnia, che sia comunque ispirata dai valori che contraddistinguono l’ateneo da sempre. E che il punto focale di tutte le operazioni resti sempre il benessere dello studente, da intendere come membro attivo all’interno della comunità accademica. Per fare il verso a un celebre pezzo (1994) dei Negrita, ci occorre un cambio di mentalità: in altre parole, una consapevolezza diversa dei cambiamenti, che se avvenissero all’improvviso violerebbero la propria natura, essendo sempre la somma di sensibili mutamenti quotidiani. Cambiare, dunque, la propria mentalità considerando ciò che muta al pari di un’abitudine, una sorta di “cambiare alla giornata” guidato dalla luce delle buone esperienze fatte. Don’t look back in anger (1996) per dirla con gli Oasis, che della rabbia nei confronti del passato non se ne facevano proprio niente.

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INTERVISTA

ANNI RUGGENTI? Dalla ricerca interdisciplinare ai progetti internazionali: ecco come sarà il sessennio del rettore Rugge di Giuseppe Enrico Battaglia e Claudio Cesarano

Il 2013 ha aperto un sessennio alla guida del neoeletto rettore Fabio Rugge, professore della Facoltà di Scienze Politiche. Inchiostro ha incontrato il Magnifico Rettore per discutere di alcuni dei problemi più urgenti dell'ateneo pavese - dalle difficoltà della ricerca alle falle dell'internazionalizzazione - e dei suoi progetti per i prossimi anni. Inchiostro - Partiamo da un inquadramento generale: quali sono gli obiettivi, le priorità e le sfide dei prossimi sei anni? Rugge - La cosa più importante è prendere atto della dimensione sempre più internazionale dei nostri orizzonti: dobbiamo essere presenti in modo incisivo, cogliendo le opportunità e le sfide di questo contesto. Gli obiettivi sono ambiziosi: ci viene richiesta una migliore qualità dell’insegnamento, il soddisfacimento dei bisogni della società attraverso la formazione e la creazione di nuove piste di ricerca. Per questo non si va più avanti da soli. Bisogna cooperare con progetti internazionali ma anche col sistema lombardo e con gli altri atenei della regione, senza alcun padanismo, ma piuttosto considerando il territorio come una risorsa essenziale. Ancora, è necessario un dialogo più forte con gli enti esterni: l'Università produce ricerca e sapere, e questi vanno trasferiti in tante forme alle aziende e agli enti governativi. Altro punto essenziale è affrontare le nuove sfide dell’insegnamento: dobbiamo conservare il meglio della tradizione, ma anche innovare attraverso l'utilizzo dei più avanzati mezzi tecnologici come le piattaforme MOODLE. È importante anche il benessere studentesco: l’esperienza universitaria viene condotta sui libri e con lo studio, ma anche in altri ambiti con, ad esempio, iniziative sportive, culturali e ricreative. Infine l’apparato amministrativo va rafforzato e, in certi ambiti, migliorato. L’internazionalizzazione ha un peso importante nel suo programma, ma c'è ancora molto da fare. Tra i problemi emersi realizzando lo Speciale di questo numero abbiamo riscontrato un'impreparazione linguistica in molti uffici, la difficile reperibilità di informazioni nella versione inglese del sito e uno scarso coordinamento a livello amministrativo. Come intende affrontare queste problematiche? Internazionalizzazione vuol dire tante cose, non solo corsi in lingua e scambi internazionali. L’insegnamento in lingua inglese deve essere, infatti, sostenuto e legittimato da una serie di servizi offerti

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da uffici in grado di comunicare efficacemente con studenti provenienti da ogni angolo del mondo. Mi è molto presente il problema del sito di cui solo alcune parti sono tradotte in inglese ma reindirizzano a pagine scritte in italiano. So anche che il problema di comunicazione è più profondo: se oltre allo sportello non c’è un “back office” che sia specializzato sulle tematiche amministrative e sia in grado di aiutare anche gli studenti stranieri siamo punto e a capo. Non è poi solo una questione di lessico, ma anche di mentalità: bisogna fare un grosso sforzo e modificare il nostro messaggio per andare incontro alle diverse culture. Gli studenti che vengono da fuori necessitano inoltre di facilitazioni quali i visti e l'alloggio: penso anzitutto a quella risorsa straordinaria che sono i collegi con cui abbiamo aperto un dialogo su tali questioni. Siamo ancora all'alba. Come immagina a livello pratico l’evoluzione verso un “front office” e un “back office” più preparati a comunicare con gli studenti stranieri? Più formazione linguistica per tutti gli uffici o un unico ufficio che gestisca tutte le questioni burocratiche degli studenti stranieri? Dobbiamo far sì che nei punti in cui è più intensa l'interlocuzione con gli studenti stranieri ci sia il presidio di almeno una persona capace di comunicare con loro. È una questione su cui stiamo lavorando ma servono competenze linguistiche pregiate e personale dedicato che non è facile da reclutare. Speriamo di trovare le risorse e lo faremo sicuramente. Come si può ampliare invece la collaborazione con gli atenei esteri? Tra le forme di collaborazione, come regolare i double degree data la mancanza di norme europee a riguardo? La produzione di normative più specifiche a livello europeo ci faciliterebbe le cose, ma già partendo dalle basi che ho individuato possiamo comunque riuscire a ottenere ottimi risultati. In questo, senza fare un torto agli altri dipartimenti, Economia ha dimostrato di essere molto avanti: possiamo menzionare i double degree ma anche i joint degree e altre forme di rico-


INTERVISTA noscimento reciproco. Possiamo sviluppare iniziative e programmi stimolanti autonomamente anche se molte di queste forme sono ancora nuove. Sto cercando di dare l'impulso per svilupparle, ma è ancora un cantiere in apertura e per capire quali siano i progressi che abbiamo fatto dovremo risentirci di qui a un anno. Universalità dell’accesso e corsi a numero chiuso: cosa ne pensa del dibattito da sempre in corso? L'attuazione dell'emendamento Galan rischia di sovraffollare i corsi a numero chiuso dell'ateneo pavese? Universalità dell’accesso significa per me la possibilità di immatricolarsi nel nostro ateneo senza discriminazioni di alcuna natura. Uguali opportunità non vuol dire, però, negare le ragioni per cui si regola il numero di iscritti in alcuni corsi: spesso queste sono strettamente funzionali e rapportate alla capienza delle aule e dei laboratori o, nel caso di Medicina, alle capacità di assorbimento delle corsie degli ospedali. Certo, in senso astratto ci converrebbe accogliere più studenti possibile: l'università si regge in parte sui contributi versati dagli studenti e accoglierne un maggior numero sarebbe d'aiuto alle nostre finanze aumentando, quindi, le risorse a nostra disposizione in molti campi. Ma dobbiamo cercare di garantire un insegnamento ad alto livello a tutte quelle menti che siano in grado di fornire un apporto a questa Università e al mondo del lavoro. Nei casi in cui abbiamo deciso di introdurre il numero chiuso, ciò è stato necessario per cercare un bilanciamento tra qualità, convenienza economica e missione sociale. Per quanto riguarda l'emendamento Galan non sembra ci saranno problemi: gli studenti in sovrannumero saranno regolarmente immatricolati. Nel suo programma menziona l’istituzione di un fondo di ricerca per l’Ateneo. Come intende affrontare l’ambito della ricerca in generale, e soprattutto in uno commercialmente poco appetibile come quello umanistico? Intende valorizzare le risorse dell’Ateneo o indurre partner esterni ad avviare dei rapporti privilegiati con l’Università? Il nostro sistema interno di finanziamento della ricerca è sempre stato bilanciato: lo sbilanciamento tra campo scientifico e umanistico si verifica per le

opportunità esterne che tendono a premiare alcuni tipi di ricerca rispetto ad altri. Bisogna fare due cose importanti: la prima è cercare di avere ulteriori fondi di finanziamento che non siano legati al singolo progetto di ricerca; per questo ho creato la figura del “fundraiser istituzionale”. Bisogna cioè coinvolgere gli studenti e le famiglie dei docenti affinché finanzino un'istituzione in cui credono. Se riuscissimo ad avere qualche risultato positivo potremmo trovare delle risorse che riequilibrino questo sbilanciamento. Il secondo punto è l'interdisciplinarietà. Nello scorso secolo si sono costruite le discipline come le conosciamo e si è spinto l'acceleratore sullo specialismo, un approccio ormai sterile che è ormai alla fine. Credo che la ricerca del XXI secolo dovrà essere interdisciplinare e mescolare i vari approcci: solo così saremo in grado di ottenere nuovi finanziamenti. Pensiamo alla questione dell’invecchiamento. Linee di ricerca su questo fenomeno spaziano in ogni ambito: non ci sono solo i medici e biologi ma anche gli storici che spiegano che cos’è l’idea di età anziana, i sociologi che ci devono dire quali siano le condizioni e i bisogni dell’anziano oggi e gli economisti che analizzano gli effetti dello spostamento dell’età pensionabile. Scegliere linee interdisciplinari ci permetterà di essere più competitivi e raccogliere maggiori finanziamenti. Il licenziamento di 32 dipendenti della Mensa della Nave rischia di compromettere un sevizio fondamentale per gli studenti. Come interverrà l'Università nel contenzioso tra la società dell'imprenditore Pacchiarotti che la gestisce e la Regione Lombardia? L’Università è assolutamente vigile sul problema e io personalmente mi sono mobilitato immediatamente: il servizio mensa è essenziale e non vogliamo che si creino disagi in tal senso. Ma deviare su di essa la responsabilità della situazione vuol dire allontanarsi dalla sua soluzione. L’Università si schiera dalla parte degli studenti che denunciano e subiscono la cosa, ma è chi detiene l’appalto con la Regione che deve risolvere il problema. L'Aula del ‘400 non ospiterà più eventi sociali e feste: quali i motivi di questa decisione e quali spazi alternativi verranno predisposti? Tutte le attività culturali, le conferenze e gli incontri di associazione continueranno a svolgersi regolarmente in Aula ‘400, ma le attività di socializzazione – che io vedo con estremo favore - comportano una grossa affluenza che causa molti problemi. Il Comune, infatti, per motivi di sicurezza proibisce eventi di grossa portata in questi luoghi: prima dell'estate la polizia urbana ha anche denunciato alcuni studenti per questo motivo. Io sono assolutamente disposto a dialogare con questi ultimi per trovare dei luoghi di aggregazione, perché ne avete diritto e questo può arricchire l’esperienza universitaria. Per questo ho già avviato una discussione con alcuni rappresentanti per trovare altri spazi - come potrebbero essere i cortili dell'Università – e sono convinto troveremo delle soluzioni, ma ci vuole tempo, lealtà e buona volontà.

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UNIVERSITÀ

MANEGGIARE CON CURA Perplessità sulla valutazione della ricerca di Erica Gazzoldi Negli ultimi anni, “classifica” è stata una parola familiare nell’ambito dell’università e delle riviste specializzate. Il 9 ottobre 2013, l’Aula Magna dell’Università di Pavia ha ospitato la conferenza di un docente del medesimo ateneo, il prof. Giuseppe De Nicolao (Facoltà di Ingegneria, Dip. di Ingegneria Industriale e dell’Informazione). Il titolo era: VQR: maneggiare con cura. La conferenza riassumeva il lavoro condotto dal blog ROARS – Return On Academic ReSearch (www.roars.it), fondato il 30 settembre 2011. La sua redazione raccoglie rappresentanti a diverso titolo del mondo accademico. Il suo scopo è ridare all’università quella voce non interpellata dalla “riforma Gelmini”, costruendo un network che superi le barriere disciplinari. “VQR” è l’acronimo di “Valutazione della Qualità della Ricerca” ed è stata formalizzata dal Decreto Ministeriale (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ovvero MIUR) del 15 luglio 2011 e bandito ufficialmente il 7 novembre 2011. La VQR ha riguardato i risultati della ricerca scientifica ottenuti nel periodo 2004-2010. Il progetto si è articolato in 14 aree disciplinari, elencate al paragrafo 2.1 del Bando di partecipazione. Per ciascuna, è stato costituito un Gruppo di Esperti della Valutazione (GEV) a opera dell’ANVUR (www.anvur.org), l’Agenzia Nazionale di Valutazione dell’Università e della Ricerca, regolamentata da un decreto del Presidente della Repubblica (1 febbraio 2010, n. 76). La valutazione dei soggetti che svolgono attività di ricerca si sarebbe basata sulla valutazione di prodotti come articoli, libri e capitoli di libri, edizioni critiche, traduzioni, commenti scientifici, brevetti e altro. Questa via era già stata tentata in Inghilterra, con il suo Research Assessment Exercise (RAE), svolto l’ultima volta nel 2008 e che nel 2014 prenderà il nome di Research Excellence Framework (REF). Lo stesso dicasi dell’Excellence of Research in Australia (ERA, 2010). Gli Inglesi avevano escluso fin dall’inizio l’idea di una valutazione automatica dei lavori scientifici, mentre gli Australiani si erano basati su classifiche di riviste, poi abbandonate perché ritenute malfatte e potenzialmente dannose. La VQR italiana, invece, ha valutato i lavori delle “scienze dure” (matematica, fisica, chimica, geologia, biologia, medicina, veterinaria, ingegneria e psicologia) mediante un’inedita “matrice di corrispondenza” così strutturata:

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L’indicatore bibliometrico è riferito alla rivista in cui un dato articolo compare. Una pubblicazione può rientrare nelle seguenti classi: A (Eccellente); B (Buona); C (Accettabile); D (Di valore limitato). “IR” significa “Informed Review”; etichetta quegli articoli che non hanno totalizzato un punteggio decisivo e che saranno soppesati da esperti del settore. A causa di errori e problemi tecnici, le matrici di corrispondenza non sono uguali per tutte le aree scientifiche, cosicché, nelle classifiche di qualità, sono state avvantaggiate le pubblicazioni di Area 09. Ciò significa anche punteggi più alti per i Politecnici rispetto agli Atenei generalisti e per i Dipartimenti di ingegneria industriale e dell’informazione (tranne quelli composti prevalentemente da ingegneri informatici). La questione si somma a quella della “formula ammazza-atenei”, così battezzata dalla ROARS. Si tratta, appunto, della formula in base a cui sarà assegnata la cosiddetta quota premiale del finanziamento pubblico:

Il paragrafo 2.4 del Bando di partecipazione prevede anche punteggi negativi. Ciò significa che il denominatore della frazione potrebbe essere uguale a 0, il che renderebbe impossibile il calcolo. Oppure, se numeratore e denominatore fossero entrambi negativi, il risultato sarebbe positivo e premierebbe atenei negligenti nel segnalare i propri prodotti della ricerca. Oltretutto, rischia d’innescarsi un meccanismo di punizione collettiva d’una struttura (efficienti ricercatori penalizzati da colleghi inattivi, ecc.). ROARS, contro tutto ciò, richiama i confronti internazionali sulla produzione scientifica, raramente commentati dai giornali che preferiscono dare eco a classifiche di atenei di dubbia scientificità, i quali testimonierebbero un positivo impatto degli atenei statali italiani sulla comunità scientifica internazionale, a onta dei finanziamenti non opulenti. Secondo ROARS, l’ANVUR avrebbe abbandonato il rigore tecnico a favore di logiche da “crociata”, volte a punire l’università pubblica come fonte di “sprechi”. D’altronde, come disse un bellospirito: «Con la cultura non si mangia!».


UNIVERSITÀ

IUSS: TRAGUARDI E NUOVI OSTACOLI Intervista a Giulia Scagliotti, rappresentante degli allievi in Senato Accademico di Irene Doda

Lo IUSS (Istituto Universitario di Studi Superiori) è una Scuola Superiore a ordinamento speciale, che si propone di valorizzare il merito e l’eccellenza nel contesto dell’Università di Pavia. Offre corsi di approfondimento, seminari, formazione pre e post laurea e mette a disposizione borse di studio per tutti gli studenti, in modo da agevolare chi privo di mezzi. Dal 2012, con una riforma dello Statuto sono stati modificati gli organi di governo dell’Istituto. A ottobre dello stesso anno si sono svolte le prime elezioni dei rappresentanti degli allievi dei corsi ordinari in Consiglio di Amministrazione e Senato Accademico, secondo il nuovo ordinamento. I due rappresentanti, Giulia Scagliotti per il Senato e Giacomo Pelizzari per il CdA, hanno puntato fin da subito su un maggiore coinvolgimento degli allievi nella vita dell’Istituto. Con Giulia Scagliotti abbiamo parlato dei successi dei rappresentanti degli allievi nell’ultimo anno, ma anche dei problemi, non di poco conto, che oggi lo IUSS deve affrontare. Inchiostro - Come vi siete mossi dal momento della vostra elezione? Quali sono i recenti traguardi raggiunti dai rappresentanti degli allievi IUSS? Giulia Scagliotti - Fin dal momento della nostra elezione ci siamo proposti di essere un anello di congiunzione tra allievi e dirigenza IUSS. Il primo problema che abbiamo riscontrato è stato quello della comunicazione tra allievi stessi. Abbiamo quindi creato il Consiglio degli Allievi, un organo informale e consultivo composto da una dozzina di persone (i rappresentanti in CdA e Senato, i rappresentanti dei collegi e delle quattro classi accademiche), che si riunisce più o meno mensilmente. Abbiamo aumentato il numero delle assemblee plenarie, riscontrando un’ampia partecipazione. L’obiettivo del maggiore coinvolgimento degli allievi è stato perseguito fin dalla campagna elettorale per la nostra elezione: grazie al confronto attivo tra i candidati, la partecipazione è circa raddoppiata rispetto agli anni precedenti. A livello invece di interazione con la dirigenza, uno dei principali obiettivi raggiunti è stata l’introduzione del diploma triennale, che sarà operativa dall’anno accademico 2014/15. In questo modo, gli studenti che vogliono intraprendere la Laurea Magistrale o il Master in altre sedi possono vedersi riconosciuti gli anni di studio allo IUSS. E avremo anche la possibilità di accogliere iscritti al primo anno di Laurea Magistrale.

Altro punto su cui abbiamo lavorato è stato l’orientamento in ingresso. Tra febbraio e maggio siamo riusciti a presentare lo IUSS e i collegi di merito in più di 40 licei italiani. Il 29 e il 30 aprile abbiamo organizzato un Open Day a cui hanno partecipato circa 50 studenti provenienti da 9 regioni diverse. Il feedback di queste iniziative è stato ottimo: le candidature sono aumentate del 15% circa rispetto alla media degli anni precedenti. Attualmente però la situazione non è proprio rosea. Puoi spiegarci quali sono i problemi che state affrontando voi come allievi e più in generale l’Istituto? Il problema principale è quello della decurtazione delle borse di studio. Secondo le linee di indirizzo deliberate il 26 settembre scorso, le borse degli allievi dovranno essere ridotte di 600-700 euro, che su un totale di 2500 costituirebbero un taglio più che significativo. Il disavanzo libero dell’Istituto negli anni è andato assottigliandosi, ma non ci aspettavamo una decisione così repentina e drastica. A tutto questo aggiungiamo i problemi dovuti al nuovo Decreto sull’Accreditamento delle Scuole Superiori, datato 5 giugno. Il decreto impone alcune modifiche strutturali per tutte le scuole che vogliano mantenere l’autonomia (in Italia sono lo IUSS a Pavia, la Normale e la Sant’Anna a Pisa): ad esempio si dovrà raggiungere il rapporto professori/ studenti di 1/10. Attualmente lo IUSS ha un professore ogni trenta studenti. Bisognerà inoltre rafforzare alcuni servizi, ad esempio quello di placement presso le aziende. Inutile dire che per adeguarsi ai criteri stabiliti dal ministero (entro l’a.a. 2015-16) ci vorranno ulteriori spese e quest’anno è anche stato ridotto l’FFO (Fondo di Finanziamento Ordinario). Dalla dirigenza IUSS ci aspettavamo un po’ più di lungimiranza: ci sono state delle spese (ad esempio l’annuario per il quindicennale) che potevano essere evitate. Il taglio delle borse di studio va contro lo spirito dell’Istituto, perché rischiamo di rivolgerci a una platea meno ampia, introducendo una discriminante, quella della situazione economica. Si andrebbe anche palesemente in contrasto con il nostro Statuto, il quale all’articolo 44 propone come obiettivo il raggiungimento della piena gratuità degli studi per tutti gli allievi. Ora, confrontandoci con la dirigenza, stiamo cercando di arrivare a una soluzione. Il Rettore si è mostrato disponibile a rispondere alle domande degli allievi, accettando di partecipare a un’assemblea plenaria.

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CULTURA

DIALOGHI DI LEGALITÀ AL CICLO MAFIE Reportage degli incontri sullʼItalia che cerca di sconfiggere il “mostro”

di Irene Brusa e Francesca Lacqua «Bisogna che i politici, i giudici, i ministri, ma anche i cittadini facciano una scelta: chi sta da una parte e chi dall’altra. Solo così si potrà dire che la mafia c’era una volta». Queste parole hanno il suono antico di una favola, ma racchiudono un imperativo tagliente. Un auspicio che Falcone sostenne più volte, spingendoci a una staffetta della legalità verso il prossimo. Se agire in una direzione è importante, lo è a maggior ragione il valore di ogni gesto. Questo è il concetto fortemente ribadito dai relatori del Ciclo Mafie, organizzato e svoltosi al Collegio Santa Caterina in relazione al corso “Storia delle mafie italiane”, tenuto dal professor Enzo Ciconte e riconosciuto dai Dipartimenti di Studi Umanistici, Scienze Politiche, Studi Economici e Giuridici dell’Università di Pavia. I giovedì sera autunnali di Pavia si sono riempiti di testimonianze, del racconto sulle vicende mafiose del nostro Paese. In che modo si racconta ai cittadini che non va tutto bene? Giuseppe Pignatone, Procuratore della Repubblica di Roma, nel corso della serata dedicata all’analisi della situazione nella capitale, ha dichiarato: «Non cedere al mostro deve essere il primo impegno di tutti quelli che vivono sul suolo italiano». Per non cedere è necessario conoscere la rete che dà vita al fenomeno mafia: come è nata, in che modo e secondo quali processi si è sviluppata nel nostro Paese, tanto da divenire così ingerente. Mafia non è sinonimo di criminalità organizzata, ma una forma della stessa, così come lo sono la ‘ndrangheta, la camorra e la Sacra Corona Unita. Bisogna sapere che nel nostro codice penale non ne esiste una definizione precisa. Le mafie sono strutture di potere criminale caratterizzate da territorialità, politicità e mimeticità. Si sanno confondere con la società civile e costituirsi il consenso, il prestigio e, attraverso l’estorsione del pizzo, il controllo del territorio. Sono organizzazioni che arrivano a nutrirsi del potere statale. Si formano sulla base di codici rituali, di una pre-

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cisa struttura gerarchica. Come ricorda Don Pino de Masi, parroco di Polistena e referente di Libera per la piana di Gioia Tauro, «La ‘ndrangheta ha un preciso programma educativo verso i “figli di mafia” fatto di simboli e suggestioni». L’organizzazione mafiosa, inoltre, attua un processo di rielaborazione dei concetti tradizionali, in primo luogo in termini linguistici: «Se lei mi dice mafioso», spiega in un’intervista il boss Luciano Liggio, «io non mi offendo, perché mafia significa bellezza». Invece - come spiega il magistrato della Suprema Corte di Cassazione Raffaele Cantone - il significato letterale del termine camorra è “attività estorsiva”. Storicamente la collaborazione tra Stato e mafia è un paradosso più volte realizzato, fin da prima dell’Unità d’Italia - la nascita delle mafie coincide con la fine del potere feudale dei baroni. Già all’arrivo di Garibaldi a Napoli, nel settembre del 1860, proprio i camorristi avevano ottenuto l’incarico “governativo” di tenere la città in ordine. Questo accadde e accade tuttora perché la ricerca del potere assicura il consenso, e il consenso assicura il successo. L’organizzazione mafiosa sa assumere un atteggiamento bifronte verso classi subalterne e classe dirigente, e sa instaurare rapporti economici, imprenditoriali e politici. Ad esempio i rapporti tra la mafia e la speculazione edilizia nel mezzogiorno tra gli anni ‘60 e ‘70: ricostruire? Sì, ma dove e cosa? E chi lo decide? Il clan? O la politica, che poi è il clan? Riguardo alla possibilità dell’ingresso di mafiosi nella DC così disse Giovanni Gioia, segretario democristiano della provincia di Palermo, futuro vicesegretario nazionale, nel 1957: «Il partito ha bisogno di gente con cui coalizzarsi, ha bisogno di uomini nuovi, non si possono ostacolare certi tentativi di compromesso». «La storia delle mafie è piena di nomi, di buoni e cattivi, e noi abbiamo la responsabilità di scegliere che tipo di cittadini vorremo essere». Questo sostiene Cantone e aggiunge che «spetta un ruolo fon-


CULTURA damentale alle istituzioni culturali: la conoscenza è il primo antidoto alla violenza. Ciò che va fatto è porre un freno al continuo turn-over di soggetti criminali, educando alla legalità. Mai come oggi la prevenzione va considerata e ciò vuol dire credere nel futuro, nella scuola. Questo è il bene più grande che abbiamo a disposizione. Un Paese orgoglioso e ferito come il nostro non può permettersi l’errore di non valorizzare questa risorsa. La sola riforma che possiamo accettare va fatta dalle fondamenta della società, per evitare l’asservimento dei cittadini. Essenziale è l’utilizzo dei beni confiscati, dedicandoli a fini sociali: ciò che apparteneva allo Stato va restituito. È giusto quindi che esistano organizzazioni come LIBERA, se capaci di rispettare tali obiettivi». Affrontare questi argomenti non è facile, in quanto siamo messi di fronte al disagio di interrogarci e riconoscerci fragili. Anche se il grosso ostacolo

che introduce per la prima volta nel codice penale la previsione del reato di “associazione di tipo mafioso” (art. 416 bis) e la conseguente introduzione di misure patrimoniali applicabili all’accumulazione illecita di capitali. Fino alle stragi del 1992 di Capaci e di Via D’Amelio che segnarono l’introduzione di norme più stringenti. Il trasferimento dei processi a sede diversa da dove il reato è stato commesso è una sconfitta per la magistratura e per le istituzioni in generale che non riescono a fronteggiare le mafie in loco. La repressione militare non è uno strumento sufficiente a contrastare il fenomeno, in quanto non si pone come azione militare, ma come una questione costituita da molteplici fattori. Un cammino tuttavia è iniziato. Un modo per governare questi mutamenti c’è, ma va perfezionato. Va cambiata l’assurda distorsione di prospettiva per la quale l’organizzazione mafiosa è considerata come una possibilità di riscatto. Per cambiare bisogna edu-

è l’esistenza stessa della care e vanno fatte scelte promafia, parlarne signifiprio in questo senso. La crisi ca decidere di vivere che stiamo vivendo dovrebbe davvero in questo Paessere una grande occasione: ese, senza trucchi, e di si deve sostenere anche la prendersi una parte di fetta più debole della società, responsabilità. Anche se partendo da quel 15% di gioè difficile, e non vorremvani che nel Sud Italia non va mo. Ma l’Italia è questo. a scuola. Un successo iniziale Chi fa finta di non vedere sarebbe dar la possibilità ai non capisce che ci è denragazzi di scegliere, credentro come tutti, come chi do nelle loro capacità. È un vive la mafia ogni giorno processo difficile, ma non ire dice “tanto noi meridiorealizzabile. nali non ci offendiamo se Pertanto crediamo che un ci dicono mafiosi”. corso in Storia delle Mafie sia Il pubblico ministero, Alqualcosa di assolutamente berto Nobili, procuratore necessario nella nostra Italia: aggiunto presso il Tribuè necessario prima di tutto nale di Milano, sostiene capire il processo storico che che bisogna parlare di le ha portate a essere il canMafia anche al Nord, percro italiano, poi indagare di Milano, Palazzo di Giustizia ché la Lombardia - TERZA che cosa è davvero fatto il regione per infiltrazioni mafiose - sta pagando la terreno su cui poggiamo i piedi, da dove veniamo e disinformazione e i depistaggi culturali. Perché nella cercare di conoscere le persone con cui ci relazioMilano da bere non si poteva dire che c’era la maniamo. fia. «Ed era corretto!», interviene Enzo Ciconte, «A Le mafie sono l’unica forma di violenza popolare che Milano la mafia non c’era. C’era e c’è la ‘ndrangheta. dura da due secoli il cui potere è solo cresciuto. Non C’erano i sequestri e c’è la cocaina, che permettono si tratta soltanto di “una storia criminale” ma della all’organizzazione di partecipare al banco internastoria del nostro Paese che, neonato, affidò i prozionale». L’organizzazione calabrese riesce a instaublemi di ordine pubblico alle organizzazioni mafiose. rarsi più facilmente al nord perché organizzata sulla base della famiglia di sangue che mantiene rapporti a distanza in maniera lineare. Per molto tempo c’è stata un’incapacità da parte del potere di trattare il fenomeno, se non come un’emergenza attraverso provvedimenti tampone, nel momento in cui le stragi hanno fatto luce sulla la crepa. Per esempio, all’indomani della strage di Ciaculli, nel 1982, viene istituita la prima commissione parlamentare antimafia. Dopo le uccisioni del segretario del PCI La Torre e del generale Dalla Chiesa viene introdotta la legge Rognoni-La Torre,

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INTRIGO INTERNAZIONALE Studenti stranieri impigliati nella matassa burocratica. Corsi che cambiano lingua da un giorno allʼaltro. Siti web inutilizzabili. Pavia è davvero pronta ad aprirsi al mondo? di Claudio Cesarano e Camilla Rossini

UN’INIEZIONE DI AUTOSTIMA «Prima posizione anche quest’anno per l’Università di Pavia»: così recitava un trafiletto sull'homepage dell'ateneo, qualche tempo fa. Ci sono alcuni parametri, in particolare, che proiettano Pavia al top della classifica nella sezione “grandi atenei”: su 110 punti, la voce “web” ne ottiene 106 e la voce “internazionalizzazione” 93. «Questi dati – concludeva trionfale l'articolo – confermano il valore di una laurea conseguita presso un ateneo storico e pluridisciplinare come Pavia, che sa attrarre talenti da tutt’Italia e molti studenti stranieri». Sì, perché effettivamente Pavia sta sapientemente lavorando per attrarre più stranieri possibile, dall'Europa e non solo. E poi? Una volta giunti qui, questi studenti vengono seguiti, accompagnati, ascoltati? Abbiamo personale (docente e amministrativo) pronto ad accoglierli e in grado di comunicare in inglese? Le risposte possono venire da un canale in particolare: quello dei corsi di laurea in inglese. Ingegneria, Economia, Medicina, Biologia e Scienze Politiche: sono cinque le facoltà che li ospitano a Pavia nella forma di double degree – accordi tra università che prevedono scambi reciproci e il conseguimento di una seconda laurea rilasciata dall'università ospitante – o di corsi interamente strutturati in inglese. In queste pagine ci occuperemo di tre casi, ovvero dei double degree di Ingegneria (Ingegneria Civile e Edile – Italian-Chinese curriculum) ed Economia (MIBE e MEFI) e del corso di Medicina in inglese (Medicine & Surgery). IN ENGLISH, PLEASE La didattica è ovviamente il punto di partenza: la creazione o la conversione di corsi di laurea in inglese dovrebbe rappresentare un arricchimento, ma spesso in questo processo è proprio la qualità a risentirne. Partiamo da un esempio emblematicamente negativo. Il corso di laurea magistrale in Ingegneria Civile ed Edile ha a lungo previsto due curriculum separati per il quarto e quinto anno: quello Europeo e l'ItalianChinese Curriculum. Quest'ultimo era strutturato nella forma di double degree: un anno in Italia e uno in Cina per gli studenti di entrambe le nazionalità. Nel Luglio 2011 però ci si accorge di non avere più fondi per mantenere entrambi i curriculum e viene quindi decisa un'unione forzosa tra i due. Andando a confluire in un unico nuovo corso, il “contratto d'in-

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gaggio” degli studenti del curriculum europeo viene cambiato arbitrariamente, complice un regolamento mai scritto e quindi variabile. A dirigere l'internazionalizzazione in quel periodo è Bugatti, professore di Composizione e Architettura, attualmente estromesso da ogni incarico in quanto accusato di corruzione nello scandalo Punta Est. L'unione dei due corsi, che avrebbe potuto rappresentare un passo avanti nel processo di internazionalizzazione, ha invece dato origine a una didattica scadente, come ci spiegano dei membri del Coordinamento per il Diritto allo Studio: «Molti professori ammettevano candidamente di non sapere l'inglese, e addirittura alcuni tenevano dieci minuti di lezione in italiano e poi per dieci minuti un assistente ripeteva tutto in inglese». Nel secondo semestre vengono ingaggiati dei nuovi professori, ma la qualità non migliora affatto: paradossalmente la conoscenza della lingua non viene considerata un requisito importante. Oltre al danno, la beffa: gli studenti del curriculum europeo, pur subendo la (scadente) didattica in inglese, non usufruiranno del double degree. «Ci hanno solo detto: “Alla fine potrete dire che avete sul libretto i corsi in lingua inglese”». Dopo un primo semestre di malumori, mitigati soltanto dalla convinzione che sia una soluzione provvisoria, la prospettiva di continuare in questo modo scatena la rivolta degli studenti del quarto e quinto anno, che chiedono a gran voce il ripristino dei due corsi separati. Dopo una raccolta firme e un'assemblea tra studenti e corpo docenti, Bugatti decide di firmare un decreto d'urgenza durante le vacanze di Pasqua, mentre il “caso Punta Est” inizia a occupare le prime pagine dei giornali. Il corso torna in italiano a metà del secondo semestre: gli effetti disastrosi di una didattica da rifondare a fine anno sono facilmente immaginabili. Da allora le cose sono cambiate e probabilmente continueranno a cambiare, anche perché «il quarto anno in inglese ha professori preparati, che hanno avuto il tempo di organizzarsi e hanno scelto la didattica in inglese».


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A Economia il rodaggio è stato più lungo. Il MIBE è in inglese dal 2007 mentre il MEFI, sebbene sia stato interamente convertito nella lingua straniera solo quest'anno, ha a lungo ospitato al suo interno un percorso in inglese. La conversione sembra funzionare, data la decisione dell'amministrazione centrale di rifondare interamente il corso guardando alla domanda di insegnamento che c'è in Europa e avvalendosi di visiting professors. Abbiamo chiesto anche il parere di quattro studenti stranieri di Medicina in inglese: per il secondo anno Amy e James, una nordirlandese e un californiano, e per il terzo Vladimir e Shadi, l'uno israeliano e l'altro giordano. Non è la competenza nell'utilizzo della lingua straniera che li preoccupa: secondo loro, i professori (che pure potrebbero essere «più qualificati») si fanno capire e fanno del loro meglio, considerato che non è la loro lingua madre e che sono abituati a insegnare in italiano. Quello che abbassa il livello, spesso, è l'adattamento della didattica non solo da una lingua all'altra, ma da un sistema culturale a un altro: per supplire alle difficoltà linguistiche, i professori leggono passivamente lunghe presentazioni in Power Point di solo testo in inglese. Corsi di rafforzamento delle competenze linguistiche per gli studenti sono ovunque quasi assenti: l'apprendimento del linguaggio tecnico, fondamentale per la comprensione del contenuto dei corsi, è totalmente lasciato in mano agli studenti. A Ingegneria era stata richiesta l'attivazione di corsi di lingua inglese ma «ci è stato detto che erano inutili e non c'era tempo per farli», il tutto mentre 3 cfu di laboratorio linguistico venivano «sprecati per riprendere conoscenze grammaticali già acquisite al liceo». La soluzione più semplice sembra quella adottata a Economia, che accetta solo studenti che possano certificare un livello B2: anche in questo caso però il linguaggio tecnico viene messo da parte. Va un po' meglio a Medicina, dove in ognuno dei sei anni si segue un corso di inglese da 1 cfu: si studiano i temi più disparati, da “come usare una banca dati medica

inglese” a “come leggere una cartella”. Il problema della conoscenza dei linguaggi settoriali è individuato, ma gli studenti considerano questi corsi «poco o per niente utili», dato il peso che viene loro attribuito e le modalità d'esame. UFFICIO COMPLICAZIONE AFFARI SEMPLICI “Nessuno ti spiega nulla”: questo sembrano aver imparato gli stranieri a Medicina in inglese. Rievocano scontri con la segreteria che non è in grado di risolvere la gran parte dei problemi («Hanno dovuto fare il reboot del sistema per rimettere al loro posto il mio nome e cognome, che erano stati invertiti!», esclama Shadi), si confrontano spaesati su fantomatici incaricati all'assistenza agli stranieri, narrano di quando sono arrivati e hanno firmato pagine e pagine di moduli in “burocratichese” di cui non capivano una parola. Dipinta da occhi italiani, la situazione appare altrettanto fosca: gli impiegati delle segreterie «provano a farsi capire» con gli stranieri , dichiara una studentessa di Ingegneria, e addirittura «la commissione di dottorato – bandito in lingua italiana e inglese – pur composta da professori d'eccellenza ha avuto difficoltà a comunicare con una studentessa della Gran Bretagna. Lei parlava in inglese e le rispondevano in italiano». Nemmeno il Centro Assistenza Studenti ha lasciato ricordi positivi: Shadi racconta che nessuno parlava inglese, tranne l'agente responsabile del campus in cui attualmente alloggia. «L'unica che sapeva l'inglese ci ha rimediato un contratto», chiosa. Un esempio come tanti delle possibilità – anche economiche – che sfumano per colpa dell'arretratezza nella conoscenza della lingua. La situazione sembra andare meglio dove c'è un unico responsabile dei rapporti con gli studenti stranieri: è il caso di Economia, dove il solo incaricato a seguire i partecipanti in entrata ai double degree è Federico Franceschini. Orgoglioso, ci racconta il “suo” sistema, sottolineando di aver ricevuto complimenti da studenti tedeschi per la poca burocrazia. Per immatricolarsi dall'estero la procedura è stata resa totalmente online, il che è di per sé un gran vantaggio: si invia qualche documento a Federico, qualcosa alla segreteria stu-

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SPECIALE denti, e basta. Pochi clic. Peccato che il Progetto Doppia Laurea, non essendo riconosciuto a livello europeo, debba appoggiarsi all'Erasmus: molti studenti vengono iscritti a entrambi, con due numeri di matricola. Una sorta di schizofrenia burocratica che li disorienta. C'è da dire però che da quest'anno la segreteria studenti ha chiesto all'ufficio Erasmus di potersi occupare di tutto, evitando le doppie iscrizioni. QUASI SUL PODIO Nella classifica Censis il sito web del nostro ateneo ha superato quelli della gran parte delle università italiane, piazzandosi quarto – il che indicherebbe che è un sito funzionale e di facile comprensione. E tutti sappiamo quanto il nostro ateneo ci tenga a mostrarsi competitivo sul piano internazionale: avrà certamente un'attenzione particolare alla lingua straniera. No? La dicitura “English” in alto nella homepage rimanda a una versione ridotta del portale: la grafica è la stessa ma sono presenti solo le voci che interessano agli studenti in entrata dall'estero. In realtà non è poco, considerato che il sito è stato tradotto non prima dell'anno scorso (2012!) da una studentessa inglese in Erasmus Placement all'Ufficio Comunicazione. I Courses Taught in English si reperiscono con relativa semplicità dalla pagina International Students: la pagina riporta una serie di link, ovviamente con diciture inglesi. Sembra soddisfacente. Clicchiamo, a titolo di esempio, su quello che recita Masters' Degree in Medicine and Surgery: ci rimanda a un sito totalmente in italiano, fatta eccezione per i nomi degli insegnamenti: questi a loro volta rimandano ai prospetti riassuntivi... Che sono in italiano! E per quanto ci si sforzi non si trova un modo per passare a una eventuale versione inglese del sito. Nemmeno il portale di Economia ha una versione in lingua straniera, ma la voce International activities apre delle pagine scritte in inglese all'interno di un contesto (i menù, le barre, tutto) che rimane in italiano. In compenso, in alto a destra, sono ben visibili i link ai siti del MIBE e del MEFI, i due corsi totalmente insegnati in inglese. Queste pagine sono finalmente soddisfacenti dal punto di vista della coerenza linguistica. Il bilancio è dunque amaro: poca attenzione, assenza di risultati omogenei, totale spaesamento (si intuisce) da parte di uno straniero che, intenzionato a frequentare il nostro ateneo,

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cerchi chiarezza sul web. Quando chiediamo le loro opinioni sul sito web della nostra università, i ragazzi di Medicine & Surgery confermano le nostre impressioni: «Quale sito? Perché ce ne sono molti e non so mai quale usare», commenta Vladimir. Quando si sono iscritti, un paio di anni fa – raccontano – il sito non aveva una parola in lingua straniera. Ora va un po' meglio ma l'area riservata, i questionari di soddisfazione e la modulistica non sono tradotti. Sembra logico: se studi in Italia, devi sapere la lingua. Ma parliamo di persone che si sono iscritte a corsi in inglese e a cui non è stata richiesta alcuna conoscenza preliminare dell’italiano. Un atteggiamento forse non volutamente scorretto, ma incoerente. CHI NON GIUDICA VERRÀ GIUDICATO C'è una parola che aleggia dietro tutta la storia dei corsi in inglese: prestigio. Quello dell'ateneo è enormemente aumentato dai corsi in inglese, dall'affluenza di stranieri e dall'adesione a progetti internazionali. Prestigio significa riconoscimento, credibilità e, tra le altre cose, denaro. «La Fondazione Cariplo dà un sacco di soldi per i corsi in inglese», ci dice un ex-rappresentante di Ingegneria. Il problema è che spesso il prestigio è basato sulla patina esteriore, sui numeri, sui dati crudi. Spesso tiene poco conto della qualità reale, per disinteresse o per volontario occultamento delle criticità. Un esempio su tutti. Se l'ateneo vuole essere, come dichiara, preparato ad accogliere stranieri da tutto il mondo, si suppone che abbia qualche certezza sul fatto che gli stranieri a Pavia si trovino bene. Che raccolga ed elabori dati, che compili statistiche per monitorare i punti forti e quelli deboli. Per quanto riguarda gli studenti Erasmus, dei dati vengono di fatto raccolti. E lasciati in un cassetto. «Esiste il file ma non è stato elaborato, dunque non è consultabile», risponde l'Ufficio Erasmus quando chiediamo di vederlo.


SPECIALE Altri risultati specifici a tutt'oggi non esistono, nemmeno negli archivi del Nucleo di Valutazione. Tanto è vero che Franceschini ha deciso, di propria iniziativa, di chiedere una relazione finale agli studenti stranieri che si apprestano a tornare a casa. I dati non sono ancora molti, ma dovrebbero vedere una prima pubblicazione sul sito del dipartimento di Economia all'inizio del prossimo anno. Ma la lacuna forse più visibile è che le facoltà in inglese vengono censite esattamente come le altre. Le uniche valutazioni richieste agli studenti sono i questionari nell'area riservata, quelli che tutti compiliamo prima di ogni esame. Non una domanda specifica sulla capacità dei professori di spiegare in una lingua che non è la loro né, per gli studenti stranieri, sull'accoglienza dell'Università e degli uffici ad essa connessi. «Non c'è una supervisione», conferma Franceschini. «Il problema della necessità di una valutazione delle strutture didattiche e dei docenti sta prendendo piede anche da noi. Quasi tutte le università partner europee hanno delle certificazioni nazionali rilasciate da agenzie di valutazione: accreditarsi presso queste, però, costa. Si parla di 35.000 euro l'anno». Qualche passo avanti, forse, sembra essere stato fatto. Sulle università italiane vigila l'ANVUR (vedi pagina 6) che istituisce parametri cui l'università è tenuta ad attenersi. Per fortuna, almeno per il caso della doppia laurea, la valutazione è in un certo senso intrinseca: migliore è la qualità dell’università, più accordi si riusciranno a mantenere. Un metodo certo empirico e impreciso, ma spesso efficace come stimolo al miglioramento. SPERANDO SIA UN INIZIO «L'internazionalizzazione è il futuro e l'Università di Pavia deve continuare su questa strada»: persino studenti passati attraverso l'infelice esperimento di fusione dei curriculum a Ingegneria insistono su questo punto. Decisioni calate dall'alto senza pianificazione e consapevolezza dei propri limiti danno origine a progetti per cui non si è davvero pronti e per i quali non si ha personale sufficientemente preparato. Dove si deve migliorare? La richiesta che emerge dalle nostre interviste è quella di un maggior coordinamento tra gli uffici, la predisposizione di un sito più curato nella sostanza e la garanzia di un concreto sostegno agli studenti stranieri che spesso si sentono abbandonati a loro stessi. Indispensabile inoltre è garantire una conoscenza diffusa e soddisfacente della lingua inglese, il che vuol dire formare il personale degli uffici, garantire come dato imprescindibile che i docenti dei corsi in inglese abbiano un eccellente competenza linguistica e predisporre i documenti essenziali in più lingue. La struttura è stata creata: il risultato della classifica Censis rende conto dei grandi investimenti e dei processi che l'Università di Pavia ha indiscutibilmente avviato. Ma spesso è una struttura priva di solidità e non conclusa. Non possiamo permetterci, a nessun livello, di mantenere un edificio fantasma. È venuto il tempo di costruire.

LA GUERRA DEI COURSES Al Politecnico di Milano è guerra sui corsi in inglese Mentre Pavia prosegue il suo percorso verso l'internazionalizzazione, nel capoluogo lombardo si consuma una guerra sull'insegnamento in lingua inglese. Il Politecnico di Milano, infatti, aveva annunciato nel 2012 che a partire dall'anno accademico 2014-2015 tutte le lezioni dei corsi di secondo livello e dei dottorati sarebbero stati impartiti in lingua inglese: l'intento era quello di rafforzare l'immagine di “ateneo internazionale” che potesse “formare professionisti pronti per un mercato globale”. “Il dibattito, fuori e dentro l'università, è stato fin da subito acceso” riporta Federica Cavadini, della sezione milanese del Corriere della Sera. In particolare, un gruppo formato da un centinaio di professori provenienti da vari Dipartimenti si è nettamente opposto a questa rivoluzione ed ha quindi deciso di ricorrere al Tar contro la delibera del Senato accademico. Il tribunale amministrativo, con una sentenza del 23 Maggio 2013, ha accolto le obiezioni dei ricorrenti valutando negativamente l'impatto dell'insegnamento esclusivamente in lingua inglese su libertà di insegnamento e diritto allo studio e inoltre ha sottolineato il primato della lingua italiana sancito dalla Costituzione, tra cui l'articolo 6. Il rettore Giovanni Azzone ha deciso di ricorrere al Consiglio di Stato (secondo grado della giustizia amministrativa) facendo leva sui margini di autonomia che vengono garantiti alle università. La pianificazione non è quindi l'unico problema del processo d'internazionalizzazione. Nell'impossibilità finanziaria di mantenere doppie versioni di ogni corso, le università devono fare una scelta di fondo: o si persegue l'idea di ateneo internazionale in toto trasformando la didattica in inglese o ci si limita a internazionalizzare alcuni settori mirati.

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SPECIALE

QUANDO MI ANNOIO VADO A MILANO Resoconto dei primi mesi in Erasmus di due studenti molto diversi di Giuseppe Enrico Battaglia e Veronica Di Pietrantonio Il banchetto ESN si può trovare nel cortile del bar dell’Università, dal quale passa sempre un gran numero studenti tra cui, ovviamente, i molti Erasmus che ogni anno si riversano a Pavia per donarle simpatia e colore. Visto che siete arrivati al lato leggero dello speciale, abbiamo pensato di chiederci : «Ma come sarebbe fare un Erasmus a Pavia?». Per trovare le risposte non potevamo che chiacchierare allegramente con due studenti Erasmus, davanti a un caffè e un brick di tè verde. Miha, estimatore del tè verde e Alejandro, che ci va giù pesante col caffè doppio, sono due studenti Erasmus di Scienze Politiche che vengono da posti completamente diversi. Staranno a Pavia per sei mesi. Il primo, nativo di Koper (o Capodistria), è cresciuto parlando sempre l’italiano, perché «preferivo la tv italiana a quella slovena». Il secondo ha fatto un giro molto lungo: dopo l’esperienza del liceo tedesco a Città del Messico si è trasferito in Germania. Qui ha iniziato a frequentare l’università, e un corso di lingua italiana lo ha spinto a mettersi in gioco con un’esperienza Erasmus a Pavia. Miha è sollevato dal fatto che conosciamo anche il secondo nome di Koper: «Siete i primi a saperlo! Manco venissi dall’altra parte del mondo!» Perché Pavia? Alejandro ci confessa che le dimensioni di Città del Messico gli rendevano la vita molto dura: ogni giorno impiegava più di un’ora per arrivare a scuola, e sentiva la necessità di misurarsi con una realtà più piccola e tranquilla. «Volete mettere, abitare al Fraccaro e metterci tre minuti dalla stanza all’aula?» Miha non ha fatto il giro del mondo come il collega messicano e, spiega, «per motivi personali preferivo andare in un posto poco lontano da casa. Così sono capitato a Pavia». Essendo studenti Erasmus, abbiamo dato per scontato che abbiano qualche corso da frequentare in lingua inglese. I due ragazzi non ci hanno delusi. Loro, al contrario, si aspettavano qualcosa in più sul versante dell’organizzazione.

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Miha ci confessa che «il problema non è linguistico: la nostra professoressa nel complesso parla bene inglese. Ma il corso lo tengono in due, e una volta sono sorti problemi di natura organizzativa». Tipo? «Visto che le due professoresse si alternano, è capitato che abbiano fatto confusione. La docente che delle due doveva stare a riposo si è confusa ed è venuta in aula. Ci ha strappato una risata quando, realizzando di non dover tenere lei la lezione, ci ha candidamente confessato che sarebbe andata dal parrucchiere.» Per ciò che riguarda l’assistenza agli studenti, invece, come avete trovato la preparazione linguistica degli uffici? «Dal punto di vista linguistico - ammettono all’unisono - ci siamo trovati bene. Le persone con cui ci siamo interfacciati erano competenti e non abbiamo avuto difficoltà. Certo –aggiunge Alejandro- per la tessera Edisu è stata tutta un’altra storia.» Raccontacela. «Erano i primi di settembre e dovevo fare la tessera. Vuoi per gli orari, vuoi perché il tempo era poco, ho aspettato per ore il mio turno, visto che c’era un sacco di gente.» Miha la butta sul ridere: «Ecco, diciamo che avete una burocrazia veramente tosta. E poi, si può sapere perché gli uffici fanno orari tanto strani?» Questo per ciò che riguarda l’Università. La città in sé, piuttosto, vi soddisfa? Ve la immaginavate così, o vi aspettavate qualcosa di diverso? Miha: « Sono soddisfatto dell’esperienza Erasmus e con ESN, c’è da dire però che, in quanto a “servizi”, Pavia ha diverse lacune soprattutto per quanto riguarda i trasporti. Premetto di essere ritardatario di natura ma, quando l’autobus lo è più di me, è lì che sorge il problema. E la sfida più grande è, quando arriva, riuscire a salire – sono sempre troppo pieni.» A livello organizzativo, quindi, gli studenti freschi di Erasmus sono più preoccupati sugli orari degli


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uffici e sulla disorganizzazione sì, ma dei bus. I temi “seri” e legati all’Università dovevano però prima o poi venir meno. Così sono subentrate le cose che davvero interessano tutti noi. Ma a sbronzarvi dove andate? - Ridono entrambi - «Pavia – inizia Miha - è una città molto tranquilla, come ha detto Alejandro prima. Forse troppo. Abbiamo fatto qualche serata Erasmus ma non si fa mai troppo tardi. Anche il mercoledì sera, che dovrebbe essere la serata universitaria per antonomasia, se non si va al Nirvana, dopo le 2 non si trova in giro nessuno.» Frequentazioni sbagliate? «No, il problema non è tanto su quel versante. Gli spagnoli sono sempre una garanzia, se giri con loro sai già che ti diverti. Pensate che una volta – continua Miha - ci siamo bevuti due bottiglie di Jagermeister in tre. No, non è decisamente un problema di compagnia. È proprio il fatto che, tolte le discoteche, non ci sono molte alternative per chi voglia tirare tardi la maggior parte delle volte.» Alejandro ammette che «quando mi annoio capita che vada a Milano. È una grande città, è molto vicina a Pavia e ha qualcosa in più da offrire dal punto di vista della vita notturna. Ci sono già stato tre o quattro volte.» Tra sigarette e caffè, si continua a chiacchierare del più e del meno. Alejandro è un tifoso (molto acceso, a giudicare dalla foto copertina del suo profilo Facebook) del Pachuca, dunque lui e uno degli intervistatori (che tifa Guadalajara) si sono trovati in disaccordo sulle questioni sportive. La voce grossa, però, l’ha potuta fare proprio Alejandro, visto che recentemente l'Apertura messicano si è chiuso col

Pachuca piazzatosi meglio del Guadalajara. Miha, invece, è un giocatore di basket (vista la stazza, la sua vocazione è pienamente giustificata). Com’è la vostra vita in collegio? Niente scherzi, “matricolatio” o roba del genere? Alejandro, che sta di casa al Fraccaro, ci confessa che si trova in una situazione molto tranquilla. «Noi Erasmus stiamo molto per fatti nostri, dal punto di vista della vita collegiale.» Miha conosce due ragazzi che sono stati sottoposti alla matricola. Lui stesso vive al Golgi e specifica, ridendo: «Li ho ricattati.» Ricattati? «Sì. Come ti ho detto gioco a basket da sempre. Gli ho detto che non volevo fare la matricola, altrimenti non avrei partecipato all’intercollegiale giocando per loro.» Ruolo? «Vista la mia stazza mi hanno sempre messo in ruoli diversi, ma preferisco giocare come playmaker. So che la mia altezza sarebbe più richiesta in altri ruoli, ma quello mi piace fare e quello faccio.» Dopo la dissertazione sul ruolo, caffè vari e bevande esoteriche erano ormai agli sgoccioli. Era il momento di fuggire per tutti, anche se Miha ha sottolineato che «noi Erasmus abbiamo molto tempo libero». Tra un consiglio sui pub imprescindibili di Roma e la promessa di beccarsi in giro per una birra e una serata ad alto livello, ci siamo salutati. Probabilmente tra qualche mese li reintervisteremo per tirare con loro le somme di questa breve avventura pavese. Nella speranza che chi verrà dopo di loro non debba interrogarsi su code e orari degli uffici o sul sovraffollamento della linea 3 del bus.

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PAVIA

“giOCAndi o non giOCAndi?” giOCAndo, ma con riserva di Veronica Di Pietrantonio e Chiara Valli Il 12 ottobre era un sabato, soleggiatissimo, temperato, forse troppo caldo per la Pavia già vestita d’autunno. Io, travestita da bambina di cinque anni figlia di una commessa di Petit Bateau, mi calo perfettamente nella parte e dall'alto dei miei 5+17 anni, ho un solo obiettivo: mimetizzarmi tra la folla di esseri viventi al di sotto dei dieci che riempie il centro della città. Grazie a giOCAnda-il Festival dei giochi in strada, in Piazza Cavagneria non trovo i fighetti del Loft o gli sbronzi del Cupido, ma dei dadi formato gigante fatti ruzzolare da pargoletti in punta di piedi e ricostruzioni in scala di strade urbane, per i primi approcci con segnaletica e quattro ruote. Immagini suggestive uscite dall'Alice di Carroll, ma che avrebbero potuto essere benissimo anche il sogno di un film di un Federico a caso. Educativo e divertente, giOCAnda è l’occasione perfetta per mamma e papà di mollare a qualcuno (chiunque) l’iperattiva prole e sperare che la intrattenga fino allo sfinimento. Di tutte le altezze - i più alti del metro e quaranta non fanno più parte della categoria da tempo, ma è stato impossibile negar loro un giro di Gioco dell’Oca - erano ovunque e pronti a giocare come se non ci fosse un domani; padroni della città per un giorno. Ma dimentichiamo per un momento il grasso in eccesso su guance, gambine e manine, che scioglierebbe anche il cuore della più gelida Queen’s Guard. I muniti di quattro ruote – quelle vere, quelle dei grandi per intenderci - non avevano troppa voglia di giOCare: non puoi parcheggiare in centro, oggi comandano loro, le carrozzine. Restano solo le vie dove non si è costretti allo slalom tra giocolieri e tunnel dell’orrore; in quel caso la sfida è con i negozianti di zona, poco tolleranti, che minacciano di chiamare i carabinieri per ogni spazietto che avevi scelto come “il parcheggio perfetto”. Che poi il parcheggio lo trovi. Lontano, troppo. Ma che fai? Non vuoi giOCAre? Anche se quegli animaletti con le tutine spugnose, tutti rossi con le caratteristiche macchiette da irritazione, dal “perché?” sempre pronto e con una strana passione per il sapore dei pennarelli colorati non è che proprio ti piacciano. Tenerini da guardare giusto i primi venti secondi, a distanza di sicurezza e possibilmente con un vetro di protezione, ma tenerini, sìssì.

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Che poi cominciano a parlare ed è pure peggio, e la regressione al linguaggio primitivo degli adulti che circondano un infante è ancora più detestabile. Quelle che emette il proprietario del poppante non sono parole. Non sono onomatopee. Che accidenti vai dicendo. Deve imparare a parlare e l'aiuto che tu gli dai è questo? Come se ad un principiante levassimo le ruote della macchina. Non ha senso. Sei un cretino. Punto. Quindi, in pratica, non è che io odi i bambini, è che sono gelosa dei loro otto anni (al massimo i genitori, quelli sì. Che se è un mestiere difficile, non hai da farlo per forza, datti allo yoga.). Ma lo ammetto: quelli erano pure bravi, ci mettevano dell'impegno, ecco, facevano la voce grossa, e in tutta coscienza non me la sono sentita di accanirmi contro di loro. E mi sono pure divertita. Probabilmente si sarà trattato di un istinto materno latente (ma non ancora prepotente), la cui punizione divina sarà di sicuro un parto trigemellare. Fino a quel momento la regola è: adorare i bambini (degli altri). È vero, sarò pure gelosa delle bolle di sapone, delle stelle filanti, dei dadi e dei labirinti, delle nuvole a forme di pecora e degli aquiloni; ma, per il momento, alla loro compagnia continuo a preferire quella degli animali.


CULTURA di Autore

MONET AU COEUR DE LA VIE La mostra al Castello Visconteo di Pavia di Cristina Motta

Claude Monet La gare d’Argenteuil (La stazione di Argenteuil), 1872 olio su tela, 47,5 x 71 cm Le Scuderie del Castello visconteo di Pavia ospitano quest’anno, dal 14 settembre al 15 dicembre, una mostra dedicata a Monet. “Monet au coeur de la vie” è stata organizzata da Alef-cultural project management, curata da Philippe Cros e allestita con una selezione di opere provenienti da prestigiosi musei di tutto il mondo. Se l’anno scorso è stato Renoir, suo stretto amico, il protagonista artistico di Pavia di quest’anno è il maestro dell’Impressionismo. Lui che, a differenza del collega, era più attento alle sensazioni che l’occhio provava nell’incontro con la natura e i suoi colori, interessato ad affermare il primato dell’impressione sulla razionalità. La mostra è stata organizzata con lo scopo di dare una visione ‘a tutto tondo’ del pittore. Accostare la vita artistica di Monet a quella privata e farne un quadro completo. Se da una parte, infatti, si mettono in risalto le sensazioni e le emozioni che i quadri del pittore suscitano nel visitatore, attraverso l’integrazione di profumi e video nelle sale con lo scopo di moltiplicare le percezioni e il godimento del pubblico, dall’altra i dipinti devono introdurre gli interessati dentro l’anima dell’artista e dare le sollecitazioni necessarie per ricostruire la vita e la sensibilità di Monet. Per riuscire in questo intento gli organizzatori hanno deciso di utilizzare il racconto di sei personaggi chiave del suo percorso umano e artistico. Ad ogni periodo della vita del pittore corrisponde, dunque, una figura importante per lui e per i dipinti che hanno caratterizzato quegli anni. Se nella prima sala troviamo esplorato il rapporto contrastato di Monet con il padre Adolphe e i suoi primi disegni a carboncino, nella seconda è Eugene Boudin, il suo caro amico e precursore lui stesso del movimento impressionista, a guidare il visitatore negli anni giovanili dell’artista. Fu proprio lui a spingere Monet alla pittura en plein air e per questo fu molto significativo e importante per la sua carriera artistica, tanto da portare Monet stesso ad affermare: “Se sono diventato pittore lo devo a Eugene Boudin”. A questa fase risalgono dipinti che lo avvicinano molto al maestro, come l’opera Bateaux à Etreat in cui utilizza la sua stessa tecnica pittorica. Dopo la giovinezza, Monet attraversò un periodo molto fecondo per la sua produzione. Questi anni, dal 1860 al 1879, furono accompagnati dalla presenza della prima moglie, sua unica modella, Camille Doncieux. La gare d’Argenteuil, Printemps, Bateaux de pêche à Honfleur, sono i quadri che il visitatore può ammirare a questo punto della mostra, nella seconda sala, dove si vede il pittore consolidare ulteriormente la sua tecnica en plein air e lo studio della luce. All’amico e politico Georges Clemenceau e alla seconda moglie Alice Hoschedé si devono invece influenze sugli anni più maturi, caratterizzati da lunghi viaggi di spe-

rimentazione artistica, da continua ricerca di stimoli, ispirazioni e soggetti da rappresentare. Fu in questo periodo che dipinse le Ninfee per l’Orangerie, Marine, Pourville e Le Cap Martin, che mostrano il contrasto dell’innovazione di Monet con la pittura accademica di quegli anni, da cui lui sempre si differenziò. A questi anni risalgono anche le sue famose “serie” di quadri, ovvero la ripresa dello stesso paesaggio a Claude Monet diverse ore del giorno per Cathédrale de Rouen metterne in risalto il cam(La Cattedrale di Rouen) biamento di luce e colori. Il olio su tela, 100 x 66 cm visitatore può dunque amTh e National Museum in Belgrade mirare la famosa Cathédrale de Rouen e Waterloo Bridge. La mostra si conclude con l’ultimo periodo della vita di Monet. In esso, il pittore si ritira a Giverny con la figliastra e sua unica allieva Blanche Hoschedé per dedicarsi esclusivamente a dipingere come soggetto il suo giardino e la campagna. A questo ultimo periodo risale anche la passione del pittore per le stampe giapponesi, di cui fu grande collezionista. “Monet è solo occhio, ma Dio che occhio”. Così lo definiva l’amico Cezanne e così pare essere stata la sua vita e la sua pittura. Occhio, impressione, irrazionalità. Ma la mostra non finisce qui: per chi fosse interessato continua all’esterno delle Scuderie, suggerendo al visitatore un itinerario alla scoperta dei luoghi simbolo di Pavia, come l’orto botanico del 1700, la bellissima Cattedrale di San Michele, la biblioteca Bonetta, i giardini Malaspina e in ultimo il Ponte Coperto sul Ticino, dove si potrà riprendere la lettura del racconto dei sei personaggi presentati alla mostra.

La mostra rimarrà aperta fino al 15 dicembre. Per informazioni potrete consultare il sito www.scuderiepavia.com o scrivere all'indirizzo info@scuderiepavia.com.

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PAVIA

INCHIOSTRO JOURNALISM FESTIVAL Forse è meglio lasciare le cose come stanno di Giuseppe Enrico Battaglia L’IJF si fa, L’IJF non si fa. Questa è stata la cantilena che, per una settimana, ha attanagliato tutti i cultori del mestiere del giornalista qui a Pavia e, senz’altro, anche oltre i confini del Ticino. E ora che abbiamo la sicurezza che si faccia, possiamo anche ironizzarci su. Un nostro ex redattore, tra il serio e il faceto, ci ha suggerito di portare a Pavia l’IJF. Farlo sarebbe impossibile, mi dispiace darvi questa notizia, ma farsi anche solo un’idea di ciò che sarebbe potrebbe servirci a capire quante possibilità abbiamo di ospitare a Pavia un evento simile.

Alessandro Cattaneo ci insegnerà a dare elegantemente pacco agli eventi di gala

La cosa che salta immediatamente all’occhio è il fatto che, con un anno di finanziamenti, riusciremmo forse a coprire un quarto d’ora di una singola conferenza del Festival. O quantomeno a permetterci un’ora di cioccolatini a buffet per Giuliano Ferrara. Meglio la seconda, che dura di più. Facciamoci dunque ancor più male: vediamo quale fetta di torta potremmo autofinanziarci, con un anno di finanziamenti, per una singola giornata di Festival. NOTIZIA SHOCK: Secondo l’aritmetica, con i finanziamenti di un anno intero potremmo addirittura permetterci un panel da VENTI MINUTI. Sorridiamo, accidenti!

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Giovedì

Venerdì

Sabato

PAVIA

Ore 11:30 Aula del ‘400 RASSEGNA STAMPA NB: si fa così tardi causa postumi da mercoledì sera Con Beppe Severgnini che passava da Pavia a caso

Ore 10:30 Aula del ‘400 RASSEGNA STAMPA Con un vecchio che imprecava contro il giornale al bar

Ore 11:00 Aula del ‘400 RASSEGNA STAMPA Con il ciclista perennemente ubriaco che indossa gli occhiali di Spiderman in Piazza Vittoria

Ore 14:00 Cortile delle Magnolie IN DIRETTA da Radio Ucampus UniPV Sporting Club (Speciale Champions League) Con Simone Lo Giudice, Beppe Battaglia e Claudia Schiattone

Ore 13:00 Cortile delle Magnolie IN DIRETTA da Radio UCampus The book is on the radio Con Giulia Marziali e Monica Zapponi

Ore 13:30 Cortile delle Magnolie IN DIRETTA da Radio UCampus Cinerama Con Silvia Piccone e Andrea

Ore 15:00 Aula del ‘400 WORKSHOP Il CV rende meglio in settenari o endecasillabi? Con Gianfranca Lavezzi

Ore 14:00 Aula del ‘400 PANEL Juventus: sono 31 maledizione! Con Guglielmino Cajani

Ore 17:30 Aula del ‘400 PANEL Le beghe amministrative di un cortile Con la statua di Alessandro Volta

Ore 17:00 Aula del ‘400 WORKSHOP I segreti della corruzione e della lottizzazione abusiva, con prove pratiche. Con i responsabili del casino di Punta Est

Ore 19:30 Cortile delle Magnolie IN DIRETTA da Radio Ucampus Gran Riserva Live (Speciale IJF) Con Sara Ferrari e Silvia Latella

Ore 19:30 Cortile delle Magnolie Ore 19:30 Cortile delle Magnolie IN DIRETTA da Radio Ucampus IN DIRETTA da Radio Ucampus Gran Riserva Live (Speciale IJF) Gran Riserva Live (Speciale IJF) Con Sara Ferrari e Silvia Latella Con Sara Ferrari e Silvia Latella

Ore 21:30 Teatro Fraschini PANEL Il guerrilla marketing nella città universitaria Con Paco di S. Tommaso e Mirtillo della Linea Copia

Ore 20:30 Teatro Fraschini PANEL La fidelizzazione della clientessa e il riciclaggio di complimenti Con Mario, icona del bar della Centrale

Ore 14:00 Ponte Coperto PANEL Panni sporchi. L'emergenza dei vestiti da lavare in sessione d'esame Con la Lavandaia di Bronzo Ore 17:00 Aula Scarpa PANEL Lauree e festeggiamenti in ateneo: solennità o lupara? Con il Rettore Magnifico Fabio Rugge e Santino Belcore, guardiano di Palazzo Botta

Ore 20:30 Teatro Fraschini PANEL La fenomenologia del pacco: da Cattaneo a Insinna, passando per Bonolis e Rocco Siffredi Con Alessandro Cattaneo o, in caso di pacco, qualcuno rinvenuto in birreria

E insomma, siamo arrivati al terzo giorno di festival con le meningi al capolinea e il cervello che ha alzato bandiera bianca. Rassegniamoci: un festival come quello di Perugia, qui a Pavia, non potremo mai farlo. Tutto sommato bisogna però ammettere che anche una roba così non sarebbe male, non trovate? Sponsor! Donne! Uomini! E’ arrivato il momento di finanziare l’Inchiostro Journalism Festival! Ai primi 100 che ci donano 1000€ regaliamo un appuntamento galante con il finto vigile del parcheggio del Ponte Coperto. Per tutti gli altri la morale è tanto semplice quanto fondamentale: una grande persona (o un grande gruppo in questo caso) sa quando tirarsi indietro. E questa volta è decisamente il caso, ve lo diciamo con un sentimento sospeso tra amarezza e sollievo per non doverci fare degli sbatti effettivamente abnormi.

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PAVIA

TITOLO

COWORKING A SPAZIO GECO

Sottotitolo di Autore

Collaborare, condividere, costruire di Eleonora Gomez de Teran

Venerdì 18 ottobre ha aperto in Via Magenta (Borgo Ticino) Spazio GECO, uno spazio innovativo di lavoro condiviso, nato dalla filosofia del coworking, dotato di servizi improntati alla sostenibilità ecologica ed economica al tempo stesso. Il coworking nasce in Europa come misura anticrisi: un insieme di giovani professionisti si unisce nella divisione dei costi che normalmente comporterebbe la gestione di un ufficio. Una sorta di “affitto di scrivania” e di tutti i servizi necessari allo svolgimento di una professione, come, a titolo esemplificativo, la connessione a internet o più genericamente la disponibilità di uno spazio di lavoro organizzato e libero. Nasce quindi come idea finalizzata al risparmio, ma diventa immediatamente qualcosa di più. I professionisti che lavorano gomito a gomito hanno infatti la possibilità di condividere tra di loro idee, progetti, abilità creando una rete di lavoratori con un fine comune. “Crea e collabora” sembra essere il motto di questo spazio. Spazio GECO nasce dall’idea di quattro giovani pavesi che provengono dai mondi della progettazione, dell’editoria e della cultura, che hanno colto il bisogno di creare uno spazio dove il sapere di ognuno possa intrecciarsi con quello degli altri, in un’ottica di condivisione e di creazione di nuove idee e opportunità. Come il geco che si ferma dove si sente a suo agio, anche i coworkers hanno ora la possibilità di trovare uno spazio di lavoro accogliente e stimolante, dove confrontarsi con esperienze e percorsi diversi.

conferendo nuovamente luce al quartiere Borgo Ticino, ormai oggetto dell’indifferenza degli autoctoni, proprio attraverso l’intraprendenza di giovani cittadini. Aggiunge inoltre che è un primo passo per avvicinare Pavia a capitali come Berlino o Londra, che conoscono l’esperienza del coworking già da qualche anno, e all’Europa in generale, creando un canale di comunicazione tra la popolazione e una città che in passato si è chiusa in se stessa, ma che ha ora la possibilità di aprirsi valorizzando le proprie radici. La condivisione degli spazi lavorativi è solo uno degli aspetti del progetto, che si propone di rispondere alle diverse esigenze professionali di lavoratori indipendenti, start-up e associazioni. I futuri “gechi” potranno usufruire di una serie di “servizi satellite” come incontri mensili con professionisti in ambito legale e fiscale, o la predisposizione di uno sportello “Scalatore di Idee”, servizio di orientamento per fornire ai futuri utenti gli strumenti necessari per avviare un’impresa. Inoltre Spazio Geco mette a disposizione dei coworkers e degli utenti esterni un Fab Lab (fabrication laboratory) dotato di macchinari per la creazione di prototipi, una sala per eventi e workshop, una sala riunioni, un angolo ristoro con area relax.

Davide Romano, esponente dei giovani di Confindustria di Pavia, definisce tale iniziativa come il modo migliore di fare impresa e mettersi in rete per valorizzare il territorio, Un tempo occupati da un laboratorio artigiano, i locali adibiti allo sviluppo di questo progetto di coworking accoglieranno ora un’ “officina” creativa in cui far convergere esperienze e competenze differenti, non solo lavorative, ma anche culturali e artistiche, come la predisposizione di un Corso di Messa in Scena Teatrale proposto da giovani professionisti delle arti dello spettacolo dal vivo, formati presso le Scuole Paolo Grassi, Teatro Piccolo, Accademia di Brera di Milano, uniti ad hoc per un ciclo laboratoriale aperto a tutte le età. Non si tratta del solito corso di teatro impostato come una lezione frontale, ma, sempre secondo la filosofia dei nostri giovani “gechi”, di un gruppo di lavoro interattivo messo in atto da più rappresentanti del mondo dello spettacolo, che si occupano di regia, scenografia e recitazione in senso stretto.

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PAVIA Impossibile non collegare idealmente questo progetto di coworking all’esperienza di condivisione universitaria, che ci tocca forse più da vicino: quante volte, annegando disperatamente tra libriappuntidispenseslidefogliastri, nelle nostre grigie biblioteche, ci siamo trovati a condividere dubbi, esperienze, consigli e idee con i nostri compagni di tavolo, creando una rete di conoscenze e di collaborazione che ci ha poi arricchito più come singoli individui che come semplici studenti?

UCampus è la web-radiotelevisione e community digitale dell’Università di Pavia. Offre programmazione in streaming che spazia da sport a letteratura a musica. Inoltre ospita ogni anno lo speciale di Inchiostro sul Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia.

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INTERVISTA

LA MUSICA NON CAMBIA MAI Intervista a Francesco Tricarico di Francesca Lacqua

Buongiorno, buongiorno io sono Francesco e questa mattina mi son svegliato presto... Ricordate? È il motivetto con cui Francesco Tricarico si fece conoscere nel 2000 al grande pubblico. Da allora sono passati più di dieci anni, in cui ha pubblicato sei album, una raccolta, ha partecipato tre volte a Sanremo - nel 2008, nel 2009 e nel 2011 - ha collaborato con Celentano, Morandi e, più recentemente, con Boosta dei Subsonica e Malika Ayane. Ha scritto inoltre musica per il cinema (sua è la colonna sonora di Ti amo in tutte le lingue del mondo di Pieraccioni) e per la televisione (Io esisto, sigla della Maratona Telethon 2012, e il jingle della pubblicità di una nota marca di caramelle). Ad aprile di quest'anno è uscito nei negozi di dischi - virtuali e non - l'ultimo lavoro del cantautore milanese: Invulnerabile, prodotto da Edel, a cui fa eco un tour che lo vede presente in tutto il nostro Paese. Lo scorso 11 ottobre è venuto - per la prima volta nella sua carriera - a Pavia, a Spazio Musica, dove noi di Inchiostro gli abbiamo fatto qualche domanda e abbiamo scambiato con lui qualche considerazione. Inchiostro - Tricarico si presenti ai lettori di Inchiostro in tre o quattro parole: Tricarico - In realtà non saprei, non ci ho mai pensato. Tu cosa diresti? Forse direi che mi chiamo Francesco, ho circa 40 anni e faccio anche il musicista. Dal 2000, quando è uscito “Io sono Francesco”, quanto è cambiato il suo modo di approcciarsi alla musica, passione che è diventata una professione? C'è ovviamente più esperienza, la vita presenta molte occasioni e la vita stessa cambia pur rimanendo sempre uguale. Come fa del resto la musica, ed è in questo il suo aspetto migliore, lei di per sé rimane sempre uguale: è un mondo affascinante, un leitmotiv, un' idea fissa, una costante che non si smette mai di conoscere. E quanto è cambiato fare musica in generale oggi rispetto a ieri? È cambiato molto quanto si trova intorno alla musica: la società stessa, la cultura. La musica ha subito la sua virtualità: la birra non puoi berla virtualmente, la musica sì. Credo che ci siano dei nuovi meccanismi nella discografia da cambiare, in quanto la musica sta sempre più perdendo considerazione, se si escludono forse due grandi serbatoi come Amici o X Factor, moderni Canzonissima. La musica sta perdendo importanza più che in termini mediatici - per esempio il rap ha adesso molto seguito - all'interno di un più generale schiacciamento della cultura in Italia: cinema, musica, società civile, tutto ciò che era legato all'identità di una città, per esempio Milano, di una nazione, l'Italia. Oggigiorno non c'è molta differenza tra incidere con una major o con un'etichetta indipendente a livello di fruizione della musica. Ci son altre cose, c'è un cambiamento dei media, la radio stessa ha perso importanza: attraverso la tecnologia si ci può fare un disco in casa, metterlo su Youtube e farlo girare attraverso il passaparola. Prima si doveva aspettare la recensione su un giornale. Non so se sia più facile adesso o prima, forse adesso ci sono più possibilità. Rispetto al mondo indipendente, senza snobismi, sono abbastanza distaccato. Riprendiamo il discorso che faceva rispetto alla decadenza della cultura: vivendo in una città così caotica come Milano, come si fa a mantenere uno sguardo intimista come quello che ha nella maggior parte delle sue canzoni? Quanto vivere in una città come Milano ha influenzato i suoi testi? Io vivo a Milano perciò per forza questo influenza i miei testi. Il caos che c'è intorno può essere non considerato,

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per quanto mi piaccia il caos e mi piaccia Milano, nei suoi difetti e nei suoi pregi. È una città che considero ricca di risorse, ritroverà il modo di risvegliarsi e di risorgere con energia dalla disorganizzazione in cui vive in questi anni. Un autore che Tricarico ha sempre ascoltato? Io ho sempre sentito cose molto diverse, noi abbiamo una tradizione musicale bellissima, ampia: da Gaber a Jannacci, ognuno, tra i miei colleghi, cerca di fare il suo lavoro al meglio e, ogni tanto, ognuno ha fatto il suo piccolo capolavoro. Quello che mi sorprende è che vi sia poca considerazione per la musica italiana nei programmi radiofonici, mi dispiace che ci sia così tanta musica straniera. Parlando di punti di riferimento, forse per quando ero più piccolo penso a Paolo Conte. Poi i punti di riferimento tendono a perdersi. Tre parole per presentare il nuovo album “Invulnerabile”? Solare, positivo, di speranza, perché siamo in un momento difficile. Un album che si ponga in contrasto all'epoca buia che stiamo vivendo? Sì, anche se è tale non per colpa nostra. Viviamo e subiamo fatti che non abbiamo creato noi, sui quali non abbiamo potere. È una situazione deprimente, nel momento in cui non si sa cosa fare. Perciò in questo lavoro cerco di dire: metto prima me stesso e poi la voglia di reagire e di fare qualcosa per cambiare. Progetti futuri? Suonare, stasera. Poi sto assemblando: una mostra di quadri, cose che sto scrivendo. I quadri, il libro che ha pubblicato (“Semplicemente ho dimenticato un elefante nel taschino” Bompiani, 2009): un artista poliedrico. È il sentimento, mi piace fermare le cose, vedere le cose al di fuori di me; l'evoluzione, le idee, lo stile. Probabilmente se avessi un pezzo di legno e un coltellino cercherei di dargli una forma e guardare la trasformazione della materia, del colore. Sono affascinato dal conoscere i mezzi che di volta in volta mi si presentano in diverse occasioni.


PAVIA

MARMOCCHIZZAZIONE Come le nuove leve si adattano alla vita universitaria di Cristina Carini e Elisa Zamboni

INIZIO TRAUMATICO Ricordo perfettamente il primo istante in cui smisi di essere bergamasca e misi piede in terra pavese: subito fui colpita da un sole accecante e dalla moltitudine di colori che mi circondavano. Poco dopo, svegliata dalla finezza di cui solo Trenitalia è capace, mi riscossi dal torpore e mi resi conto di essere ancora a Pioltello. In seguito a infiniti minuti di noia e agonia, finalmente mi ritrovai in quella che speravo essere Pavia. La mia oasi di pace insomma. Sì, oasi con me unica turista. Altro che colori, ai miei occhi l'unica cosa a materializzarsi fu una fitta nebbia che oscurava il cielo in maniera terribilmente british - notare che l'ipad mi tenta ripetutamente di correggere “british” in “brivido”. Imparai ben presto a destreggiarmi tra strade e svincoli tutti uguali, inseguita da rombanti animali metallici di diverso colore che, con incredibile eccitazione, compresi esser ciò che nelle valli montanare chiamano con timore "automobili". Fatta una mappa mentale dei key places pavesi, capii immediatamente l'importanza di possedere una dimora, ma soprattutto la fidelity card dei supermercati. Mamma sto bene, non preoccuparti. UNI DISORGANIZATION Cosa dire dell'UniPv? Scenografica sì, con quelle imponenti colonne, le scalinate alla Hogwarts e le statue nei cortili, ma assolutamente disorganizzata da un punto di vista pratico. Al contrario di quanto si possa credere, nonostante l'alta concentrazione di menti e sapere, neppure qui la cultura e le informazioni vengono assimilate per osmosi. Perché dunque non aiutarci a capire come porre le basi per il nostro futuro? Ne è un piccolo esempio la compilazione del piano di studi. Basilare, direte voi, di primaria importanza, certo, ma come si capiscono i corsi da seguire, per Zeus? Per non parlare della fighissima e gialla Ateneo Card. Scelta stilistica

di classe eh, compattezza ineguagliabile e fotografie oscene di rito come per tutte le foto tessere. Niente di nuovo sotto il sol...ehm volevo dire sotto la nebbia. Ma dove diamine la reperiamo codesta carta? È forse da ricercarsi come le sfere del drago in Sede Centrale? Dateci un segno, Giuda ballerino! E infine non parliamo di avvisi e comunicazioni. La leggenda narra che all'origine del sito vi fosse un pool di cervelli riuniti attorno a una tavola rotonda, per nascondere al meglio qualsiasi informazione utile. Le più inutili ti vengono a cercare come il fisco a casa Berlusconi. Le altre si celano come il Santo Graal: non sai neanche se esistono, ma tu le devi cercare ugualmente "perché ormai sei all'università e devi cavartela da solo". Grazie al membro! PARTIES Dopo tutte queste cose che vi invoglieranno a tornare ai vostri primissimi giorni di matricole, ora il fiore all'occhiello, ciò per cui ci vantiamo di esserci iscritti a Pavia: i parties! Non stiamo parlando di feste di collegio o eventi al bar, ma della tipica baldoria prodotta dall'assenza dei genitori. Esatto signori, stiamo parlando delle feste a casa di amici! Senza lo stretto guinzaglio genitoriale, senza fallo e senza intoppo, le matricole si avviano a far casotto ovunque vi siano due o tre riuniti in nome della birra. Nascono così tornei di Xbox, Birra pong e dama alcolica. Ma anche eventi di un'elevatezza culturale impagabile: riunioni di fronte a Cielo o RealTime per commentare XFactor o Abito da sposa cercasi. E infine, come non menzionare i mercoledì? Giornate di svacco e perdita di dignità, notti da Superman all'insegna dell'alcol e mattine di risvegli traumatici in luoghi sconosciuti. Queste sono Pavia e l'UniPv: luoghi dove le matricole non sono altro che boccali vuoti da riempire di birra. Salute!

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IL  SITO  DI  INCHIOSTRO?  Se  pensi  con  questa  pagina  di  aver  finito   di  leggere  Inchiostro,  ti  sbagli!    Ăˆ  sul  nostro  sito  che  puoi  trovare  e  commentare  la  maggior  parte  degli  articoli  che  pubblichiamo  ogni  settimana:  resoconti  di  eventi  e  conferenze,  interviste,  storie  di  vita  universitaria,  recensioni  di  film,  libri  e  concerti,  cronache  sportive  locali,  commenti  su  politica  e    E  se  sei  troppo  pigro  perfino  per  googlarci,  segui  i  nostri  aggiornamenti  su  Facebook  e  Twitter!    ALCUNE  RUBRICHE    Il  punto  letterario   In  mezzo  ai  frenetici  ritmi  del  mondo  moderno,  un  porto  sicuro  dove  fermarsi  e  riflettere.  Matteo  Merogno,  ogni  mercoledĂŹ,  ci  insegna  ad  applicare  la  filosofia  alla  vita  di  tutti  i  giorni. Â

Il  26  novembre  alle  ore  18.00  presso  la  Libreria  Feltrinelli  di  via  XX  Settembre  si  svolgerĂ Â la  premiazione  del  concorso  letterario  Inchiostro  a  volontĂ Â dal  tema Â

Grazie  di  non  farmi  partecipe.   Saranno  presenti   i  primi  tre  classificati,  i  giurati  Gianfranca  Lavezzi  e  Manlio  Collino  e  la  redazione  di  Inchiostro.  I  racconti  vincitori  verranno  letti  e Â

musicale  della  band  The  Last  Project.  Vi  aspettiamo  numerosi!  Â

            Consigli  per  gli  acquisti Â

Avete  dei  milioni  che  vi  avanzano?  Invece  che  in  azioni  in  campo  finanziario,  volete  investirli  in  azioni  in  campo  da  gioco?   Â

Seguite,  ogni  martedĂŹ,  i  consigli  per  gli  acquisti  sportivi  di  Beppe  Battaglia! Â

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CONSIGLIATO  (Dis)social  Network Â

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 " ! ! averlo  detto  davvero.#  Un  articolo  che  ha  reso  la  nostra  Elisa  Zamboni  una  macchina  da  social  network  e  che  -­â€? Â

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  inchiostro.unipv.it 24 INCHIOSTRO NOVEMBRE 2013


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