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inchiostro.unipv.it Il giornale degli studenti dell’Università di Pavia

Il giornale degli studenti dell’Università di Pavia

Marzo 2014 Distribuzione gratuita

Novembre 2014

Distribuzione gratuita

Anno XIX - Numero 136

Anno XIX - Numero 131

Questo matrimonio...

...non s’ha da fare?


Sommario EDITORIALE Camilla Rossini

Il giornale degli studenti dell’Università di Pavia

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MAFIE - LEGALITÀ E ISTITUZIONI Francesca Carral, Elisa Enrile e Giorgia Ghersi

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PEDALANDO VERSO EST Veronica Di Pietrantonio e Stefano Sfondrini

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DUE DI DUE: RUBRICA LETTERARIA Cristina Ferrulli e Alessio Labanca SPECIALE Camilla Rossini e Elisa Zamboni I DOLORI DEL GIOVANE GIACOMO Eleonora Salaroli

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pagg.9-12

IN QUESTO NUMERO HANNO COLLABORATO: Matteo Camenzind, Francesca Carral, Matteo Croce, Veronica Di Pietrantonio, Irene Doda, Elisa Enrile, Cristina Ferrulli, Niki Figus, Giorgia Ghersi, Alessio Labanca, Giulia Marini, Cristina Motta, Camilla Rossini, Eleonora Salaroli, Stefano Sfondrini, Valeria Sforzini, Elisa Zamboni AnnoXIX – Numero 136 – Novembre 2014 Sede legale: via Mentana, 4 – Pavia Contatti: Simone 346/7053520 Eleonora 338/4208867 Elisa 346/3951170

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email:

ERASMUS BOX Irene Doda e Cristina Motta

pagg.14-15

NOTA BENE Giulia Marini, Matteo Croce e Niki Figus

pagg. 16-17

SI CHIUDE UNA PORTA, SI APRE UN PORTALE Valeria Sforzini

DIRETTORE RESPONSABILE: Simone Lo Giudice COMITATO EDITORIALE: Camilla Rossini, Irene Doda, Eleonora Salaroli, Elisa Zamboni DIRETTORE SITO: Veronica Di Pietrantonio TESORIERE: Francesca Carral IMPAGINATORI: Elisa Zamboni, Matteo Camenzind, Chiara Pertusati ILLUSTRATORE e IMMAGINE DI COPERTINA: Matteo Camenzind CORRETTORI DI BOZZE: Elisa Enrile, Cristina Ferrulli, Giorgia Ghersi, Elisabetta Gri, Matteo Croce, Alessio Labanca

inchiostropavia@gmail.com Iniziativa realizzata con il contributo concesso dalla Commissione Permanente Studenti dell’Università di Pavia nell’ambito del programma per la promozione delle attività culturali e ricreative degli studenti. Fondi 2014: 6162,76 €

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Stampa: Industria Grafica Pavese s.a.s. Registrazione n. 481 del Registro della Stampa Periodica Autorizzazione del Tribunale di Pavia del 23 Febbraio 1998

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Questo giornale è distribuito con licenza Creative Commons Attribution Share Alike 2.5 Italy

Tiratura: 900 copie

VARIAZONI IN LA BEMOLLE MINORE Alessio Labanca

Questo giornale è andato in stampa in data il 13.11.2014

inchiostro.unipv.it CHIUDE PER LAVORI E RIAPRE IL 25 NOVEMBRE con una grafica completamente rinnovata, nuove possibilità di interagire con la Redazione, un archivio online con tutti i nostri numeri cartacei e uno spazio completo con eventi universitari e pavesi! A INCHIOSTRO NOVEMBRE 2014


Editoriale

di Camilla Rossini

© lesbicanoneuninsulto.com Sto per dirvi un pensiero politico: un giorno, vorrò farmi una famiglia. Come può un’intenzione così romantica esulare dalla sfera del privato? Perchè blatero di fatti personali in un editoriale? Purtroppo, mai come in questi mesi, stiamo scoprendo che in certi casi il matrimonio e i figli con la politica c’entrano eccome; un po’ meno con l’amore (ma questo, forse, si è sempre saputo). Perchè, se mai un giorno mi farò una famiglia, sarà con una donna. Buffo, no? A volte penso a mia madre alla mia età, che vestiva zoccoli e gonnellone, “Le streghe son tornate”. Chissà cosa pensa, a vedere me che scendo in piazza a chiedere di potermi sposare (parentesi: non voglio necessariamente sposarmi, voglio poter scegliere se farlo o no). Ma veniamo al dunque: perché Inchiostro

sceglie di trattare, nello Speciale, i diritti gay? Che ha che fare con il mondo universitario?

L’Italia non ha altri problemi ben più importanti? Innanzitutto, nonostante il parere di molti, la lotta per i diritti non è una questione secondaria. Indipendentemente dalle opinioni, parlano i fatti: in molti altri paesi, i gay hanno possibiltà giuridiche che in Italia non hanno. Punto. È così, che sia considerato positivo o negativo. Perché?

Forse è il caso di domandarselo. Inoltre, il braccio di ferro tra sindaci e prefetti pone interrogativi importanti su competenze e legittimità, interrogativi che vanno ben oltre la sfera di interessi da cui partono. Secondariamente, io e Elisa, autrici dello Speciale, abbiamo lanciato a noi stesse una sfida: la nostra posizione è chiara ed evidente, e non possiamo né vogliamo nasconderla. La domanda che ci siamo poste è: possiamo, da persone con un’opinione forte in materia, ascoltare (e ascoltare davvero) il parere altrui? È possibile riuscire a dipanare superficialità e semplificazioni, da una parte come dall’altra? La nostra idea è che non solo sia fattibile, ma doveroso: ciò non vuol dire accettare acriticamente la visione altrui, né tantomeno praticare del proselitismo. A volte, mettere alla prova le proprie convinzioni aiuta a rafforzarle, raffinarle e rivederle ove necessario. Terzo, è il motivo per cui questo speciale c’entra con l’Università di Pavia. È di ottobre l’ultima manifestazione delle Sentinelle in Piedi nella nostra città. Contemporaneo e parallelo, un corteo di Arcigay Pavia Coming Aut e Universigay. Di certo tra chi leggerà questo numero ci sono persone che hanno partecipato all’uno o all’altro, o che per una delle due posizioni simpatizzano. Noi abbiamo cercato di farvi dialogare a distanza, cercando risposte alle medesime domande.

Prima o poi vi si chiederà di scegliere, in questa questione. Chi pensa di non avervi nulla a che fare, un giorno scoprirà che il fratello o la sorella, l’amico o l’amica, il figlio o la figlia, il padre o la madre, il collega o la dipendente vuole sposarsi con una persona dello stesso sesso, e dovrà decidere se dirgli «Ti supporto perché» o «Non posso sostenerti perché». Succederà, ve lo posso garantire. E allora tanto meglio essere pronti. E informati.

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di Francesca Carral

Corsi e ricorsi della criminalità organizzata raccontati da chi la studia e la combatte

Che cosa abbiamo imparato da secoli di convivenza con la mafia? E da dieci anni di Mafie: legalità e istituzioni? Il ciclo di conferenze e dibattiti, nato nel 2005 e organizzato ogni anno dal Coordinamento per il Diritto allo Studio, in collaborazione con l’Osservatorio Antimafie Pavia, si propone di informare e sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso. Le varie edizioni hanno visto avvicendarsi i grandi nomi della lotta alla mafia: Raffaele Cantone, Armando Spataro, Ilda Boccassini, Gian Carlo Caselli, Alberto Nobili, Nando Dalla Chiesa, Roberto Saviano, Francesco La Licata… solo per citarne alcuni. Magistrati, giornalisti e attivisti che si sono spesi per raccontare un fenomeno oscuro, ma fortemente radicato nella nostra società. I punti cruciali affrontati durante le conferenze sono in fondo sempre gli stessi: adattabilità dell’organizzazione mafiosa, collaborazione tra quest’ultima e il mondo politico, rimozione culturale dell’esistenza della mafia al Nord e tentativo di diffamare chi indaga sul fenomeno. Almeno, questa è l’impressione che si ricava andando a rileggere gli articoli che Inchiostro ha dedicato all’iniziativa nel corso degli anni, di cui vi presentiamo alcuni estratti. CICLO MAFIE 2013 Storicamente la collaborazione tra Stato e mafia è un paradosso più volte realizzato […] Questo accadde e accade tuttora perché la ricerca del potere assicura il consenso, e il consenso assicura il successo. L’organizzazione mafiosa sa assumere un atteggiamento bifronte verso classi subalterne e classe dirigente, e sa instaurare rapporti economici, imprenditoriali e politici. […] Il pubblico ministero Alberto Nobili, procuratore aggiunto presso il tribunale di Milano, sostiene che bisogna parlare di mafia anche al Nord, perché la Lombardia – terza regione per infiltrazioni mafiose – sta pagando la disinformazione e i depistaggi culturali. Perché nella Milano da bere non si poteva dire che c’era la mafia. (Irene Brusa e Francesca Lacqua, Inchiostro n.128, p.8, novembre 2013) CICLO MAFIE 2012 Intervista a Raffaele Cantone - Quando parlo di “supplenza” intendo dire che, a mio parere, il legislatore italiano è particolarmente pigro. Troppo spesso non è assolutamente in grado di seguire l’evoluzione dei fenomeni. […] E questa carenza del legislatore, che invece in altri ambiti è molto attivo (vedi l’immigrazione…), consente o impone alla giurisprudenza di farsi carico della questione. Le istituzioni devono essere in grado di seguire l’evoluzione della mafia. È un po’ come il gioco di guardie e ladri; non appena lo Stato interviene in un certo ambito, la mafia va a occupare i posti

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lasciati vacanti dallo Stato. L’obiettivo è quello di non lasciare posti non occupati, di essere tempestivi ed efficaci. (Irene Doda, http://inchiostro. unipv.it/?p=9426) CICLO MAFIE 2011 Incontro con Ilda Boccassini - Se negli ultimi vent’anni è avvenuto un maggiore radicamento delle organizzazioni criminali nel territorio è a causa di una disattenzione della magistratura. La ‘ndrangheta al Nord, questione che ultimamente ha squassato l’opinione pubblica e politica, non è affatto una novità. […] Così come non è riuscita a cogliere la spinta innovativa sancita dal cambio generazionale, che ha visto l’entrata nel panorama mafioso di giovani qualificati. Per la causa sbagliata. (Maria Grazia Bozzo e Federica Mordini, Inchiostro n.113, p.4, novembre 2011) CICLO MAFIE 2010 Incontro con Roberto Saviano - Un’altra figura delineata da Saviano è quella del “professionista dell’antimafia”: definizione già usata come spregiativo, è stata recuperata dall’autore come motivo di orgoglio. “Chi racconta non diffama il Paese” ha aggiunto. Piuttosto, far emergere il problema serve a preparare gli anticorpi per combatterlo. Inevitabile il cenno alle infiltrazioni della ‘ndrangheta a Pavia. (Erica Gazzoldi, http://inchiostro. unipv.it/?p=1790)


http://inchiostro.unipv.it/?p=15157

Mafie 2014

Donne e antimafia di Elisa Zamboni

Incontro con Alessandra Cerreti, sostituto procuratore presso la direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria - “Il magistrato deve mettere a disposizione delle persone la sua conoscenza – ha aperto così la pm – perché la gente dev’esser messa nelle condizioni di conoscere la realtà in cui vive”. La ‘ndrangheta è un fenomeno criminale complesso che vede nella famiglia il suo punto di forza: il vincolo di sangue, infatti, àncora i componenti alla tradizione mafiosa e viene trasmesso solo per linea maschile. […] Quella che è la forza della ‘ndrangheta, il legame familiare, è potenzialmente la sua rovina: la donna infatti può decidere di interrompere il vincolo mafioso. Perché dovrebbe farlo?

Denunciare la paura di Elisa Enrile e Giorgia Ghersi

http://inchiostro.unipv.it/?p=15198

Incontro con Gian Carlo Caselli, ex procuratore della Repubblica di Palermo - La mafia non è soltanto “profilo militare”, non sono solo delinquenti di strada, è crimine organizzato, relazioni esterne con i pezzi grossi della politica, dell’economia, della finanza, della cultura: questo il motivo della sua persistenza nei secoli. […] La tempesta si scatena quando invece di occuparsi solo di mafiosi di strada ci si incomincia a interessare dei potenti. La difficoltà di processare il potere, tema della serata, rappresenta una difficoltà reale e misurabile, perchè se guardiamo alla storia degli ultimi 20 anni del nostro paese si nota una delega costante di problemi che la politica non sa e non vuole affrontare.

http://inchiostro.unipv.it/?p=15225

Incontro con Giuseppe Baldessarro, giornalista del Quotidiano della Calabria e autore del libro Il caso Fallara - Storia del modello Reggio […] Ecco perché i politici si affannano quotidianamente per dichiarare, promettere e tentare di realizzare ciò che soddisfa i desideri dei cittadini. Peccato che il successo nel raccogliere consensi non sempre coincida con la capacità di amministrare bene la cosa pubblica. Anzi, spesso serve a distogliere l’attenzione da pratiche illegali. […] Giusto per dimostrare che certi modelli fanno presa anche al Nord, si potrebbe citare i noti risvolti pavesi dell’operazione “Infinito”, che ha accertato l’esistenza di forti infiltrazioni ‘ndranghetiste in Lombardia.

La voce di Impastato: il docu-film di Ivan Vadori di Giulia Marini

http://inchiostro.unipv.it/?cat=3814

Definire il lavoro di Vadori un semplice docu-film sulla vita di un attivista antimafia, ucciso a causa delle denunce da lui portate avanti durante tutta la sua carriera, è probabilmente riduttivo; […] Il docu-film vede dunque il concatenarsi di una serie di interviste mirate a ricostruire la vicenda, ancora oggi non del tutto chiara, attorno alla figura di Impastato utilizzando come espediente narrativo la volontà di un giovane giornalista di portare a galla la verità […]. Dopo la visione del film, quello che resta è l’ammirazione per la lotta compiuta da Ivan Vadori nel trovare i fondi utili alla realizzazione di un film che ha lo scopo di riportare alla luce una vicenda forse oscurata da altre più famose.

di Elisa Enrile e Giorgia Ghersi

Perchè la mafia fa tendenza anche al Nord di Francesca Carral

Sembrano piuttosto ripetitivi, vero? Sicuramente sono parole già sentite, anche piuttosto scontate. Allora perché ogni anno si avverte la necessità di ribadire gli stessi concetti? Forse perché certi problemi non sono stati affrontati con la dovuta determinazione né dalle istituzioni né dalla società civile. Purtroppo pare che certi miti, primo fra tutti quello dell’inesistenza della mafia al Nord, siano difficili da sfatare. La cosa è chiaramente ridicola, chi vive a Pavia dovrebbe esserne ben consapevole. Se però la dovuta presa di coscienza, a livello sociale e politico, non è ancora avvenuta del tutto, allora ecco lo scopo di iniziative come Mafie: non far mai calare l’attenzione per il fenomeno. Perché la morale è sempre la stessa: la mafia prospera nel silenzio e nell’ignoranza.

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UNIVERSITÀ

PEDALANDO VERSO EST Il cicloviaggio di Renato e Federico verso Istanbul di Stefano Sfondrini e Veronica Di Pietrantonio

Sì, viaggiare. Ma in bicicletta e per più di 1000 km? Sembra difficile, costoso e molto faticoso. E lo è, non dubitate. Eppure non è impossibile, e l’impresa di Renato Boschetti e Federico Lanza, alla prima esperienza di viaggio sui pedali, lo testimonia. Abbiamo chiesto loro di raccontarci impressioni e ricordi, e di dare anche qualche consiglio a chi volesse provare questo modo meraviglioso di conoscere il mondo. I due cicloviaggiatori sono stati sponsorizzati da Flandres Love, un’azienda di Brescia che produce materiale tecnico per chi va in bicicletta (http://www.flandreslove.com/ e https://www.facebook.com/flandreslove) Trovate l’intervista completa, insieme a foto e altri articoli relativi al viaggio di Renato e Federico, sul nostro sito http://inchiostro.unipv.it/!

Inchiostro – Presentati in 140 caratteri! Renato Boschetti – Ciao, sono Renato, ho 26 anni, laureato in Relazioni Internazionali e giornalista pubblicista: sogno di diventare un giornalista di viaggio! Federico Lanza – Sono Federico, ho quasi 20 anni ma ne dimostro di più. Ho sposato da due anni la filosofia del viaggiare lento. Sono disperatamente affascinato dal giornalismo di guerra. Come vi siete conosciuti? B - Ci siamo conosciuti nell’estate 2012, quando entrambi scrivevamo per Vavel Italia. Abbiamo lavorato insieme per gli Europei di calcio e per tutto l’anno successivo abbiamo continuato a conoscerci tramite Facebook. Subito dopo gli Europei lui è partito per il viaggio post maturità che l’avrebbe riportato a casa dal Portogallo, passando per Spagna e Francia: seguire le sue avventure mi ha fatto venire voglia di partire per un lungo viaggio, uno di quelli che ricordi per tutta la vita. L - Ci siamo conosciuti un paio di anni fa “virtualmente”, scrivevamo di sport sullo stesso web magazine. Poi dopo la maturità ho fatto un viaggio in autostop e lui è morto di invidia. Come continuazione del viaggio precedente avevo pensato di fare un viaggio in bicicletta: inizialmente da solo, poi gliel’ho proposto e si è unito anche lui, senza sapere a che sofferenze stava andando incontro.

saltata fuori l’idea di un nuovo viaggio, forse anche più pazzo ed entusiasmante. L - Il mese? Circa dicembre. Chi ha scelto la destinazione e perché proprio quella? B - Ero d’accordo con la sua volontà di esplorare il mondo pedalando verso Oriente. La scelta di Istanbul come destinazione è stata frutto di una lunga elaborazione: inizialmente, sulle ali dell’entusiasmo, pensavamo di arrivare addirittura a Tbilisi o Teheran, ma con più lucidità abbiamo deciso di non forzare troppo, optando per una metropoli dalla grande storia non eccessivamente lontana per due cicloturisti alle prime armi. L - Io ho scelto la destinazione: il motivo è che mi interesso di Turchia e Medio Oriente dalle proteste di Gezi Park del 2013 ed è stata una conseguenza diretta. Sono voluto passare dalla Bosnia e da Sarajevo perché quest’anno ricorreva il centenario dell’assassinio

Quando avete deciso di fare questo viaggio? B - Seguendo le sue avventure lungo il suo cammino verso casa, cresceva in me l’ammirazione per questo giovane ragazzo che a soli 18 anni non aveva paura di conoscere il mondo in solitaria. Così, quando lui è tornato in Italia, parlando è

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del duca Francesco Ferdinando, quindi è stato un percorso ragionato e motivato da basi storiche. Come vi siete organizzati? (soldi, bagagli ecc.) B - Purtroppo non sono stato di grande aiuto a Federico nell’organizzazione pratica, perché da gennaio fino a tre giorni prima della partenza sono stato occupato con la preparazione al concorso del Ministero Affari Esteri. Alla fine siamo partiti con quattro borse laterali ciascuno montate sui portapacchi, nelle quali abbiamo portato lo stretto necessario: un iPad, un pc, due reflex, una videocamera, libri per la sera prima di andare a dormire. Il vestiario era lo stretto necessario alla “sopravvivenza”, d’altronde avevamo deciso di partire all’avventura! L - L’organizzazione è stata la cosa più difficile, nel senso che abbiamo fatto praticamente tutto all’ultimo minuto. Ci siamo fatti fare le biciclette su misura da un negozio di Valenza, la mia città, ma abbiamo preparato la bicicletta per


il viaggio solamente l’ultima settimana. Su Internet ci sono molti siti dedicati al cicloturismo e per gli attrezzi o l’abbigliamento ci siamo basati su quello. È stato abbastanza facile, ma mi sono comunque portato dietro più cose del necessario. Per i soldi ognuno aveva i propri risparmi, poi mi hanno aiutato un po’ i miei genitori. Per trasportare sull’aereo la bicicletta, che costava 40 €, mi ha aiutato il mio amico Simone Solomita, che ringrazio. Quanti km avete fatto insieme? B - Siamo stati inseparabili per oltre 1000 km. il mio ingresso in Turchia è stato tragicomico, avendo bucato due camere d’aria e un copertone lo stesso giorno – ma sono cose che possono capitare quando fuori ci sono 40 gradi all’ombra! Le nostre strade quindi si sono dovute separare il giorno prima di arrivare a Istanbul: troppo rischioso per me percorrere quasi 200 km con un copertone forato e rattoppato. L - Insieme abbiamo fatto 1000 km, in totale per me sono stati 1235 – 35 solo per arrivare dalla periferia di Istanbul al centro città! Quanto avete speso? (sia in termini di soldi sia di fatica, fisica e mentale) B - Per quanto riguarda i soldi, sono partito con lo stretto necessario, cercando di godermi al massimo il viaggio. Alla fine del viaggio posso dire che, in 44 giorni, con 1000 € mi sono goduto veramente tutto e tolto anche numerosi sfizi. Dal punto di vista fisico abbiamo speso molte calorie: tornato a casa in molti facevano fatica a riconoscermi! L - Non mi piace parlare di soldi spesi, ma sicuramente è costato più il pre che il durante. La fatica c’è stata, ma non più di tanta: ho un limite di sopportazione altissimo, e quando arrivavo alla fine della giornata con 120 km nelle gambe stavo addirittura bene ed ero soddisfatto. Come quando riesci a studiare tutto il giorno: alla sera sei soddisfatto, no? Le energie mentali le ho consumate tutte sulle strade dell’Albania e della Turchia, dove il rispetto del ciclista e delle regole stradali non sanno nemmeno cosa sia (in Albania per esempio cercano di superare quello che sta superando). Gli ultimi km per arrivare alla Moschea Blu di Istanbul sono stati devastanti, ma forse ero più emozionato che stanco. Quella sera avevo così tanta adrenalina che mi sono addormentato alle 2 di notte.

to della vita, è la più facile: una salita che sembrava impossibile da superare, un dislivello pazzesco. Piano piano però ce l’abbiamo fatta e abbiamo imparato una bella lezione. Da quel momento in poi, però, devo ammettere che la strada è sempre stata gradevole agli occhi, allo spirito e alle gambe. L - Sicuramente quando Renato bucava (io non ho mai bucato) ma non ho mai pensato di mollare. Il momento più bello? B - A pari merito tra il superamento della frontiera in Turchia e l’arrivederci dell’ultima serata trascorsa con la famiglia di Rozario. Da una parte l’incredulità di aver fatto qualcosa di straordinario, la realizzazione di un sogno ad occhi aperti, la consapevolezza di avercela fatta da soli senza una vera esperienza ciclistica alla spalle: avevo le lacrime agli occhi, le stesse dell’ultima sera a Spalato. Federico mi disse, prima di partire, che in viaggio si incontrano tante persone che ti rimangono nel cuore, ma mai mi sarei immaginato di ritrovarmi a piangere per aver salutato una famiglia che nel giro di pochi giorni era diventata veramente una seconda famiglia per noi. L - Quando mi sono seduto su una panchina di fronte ad Aya Sofia. Lì ho detto: «Cazzo, sono arrivato». È stato un momento davvero intenso, e la stanchezza e l’emozione mi hanno fatto piangere come un bambino. Rifaresti un viaggio in bici? E un viaggio in bici con lui? B - Assolutamente si, tanto che per il prossimo anno sto organizzando un tour in bicicletta di Irlanda e Irlanda del Nord sulle rotte del Calcio Gaelico, la mia passione. E rifarei un viaggio in bici con lui

PAVIA

perché questo lungo viaggio ci ha fatto capire quanto io e lui fossimo complementari: lui così impulsivo e istintivo, io riflessivo e calmo. E poi non potrei trovare compagno di viaggio migliore: gli piacciono i luoghi storici e non banali, ricerca sempre la specialità del posto e mai qualcosa di italiano, è un grande motivatore. Fosse per me ripartirei con lui anche subito! L - Rifarei un viaggio in bici? Sì. Rifarei un viaggio in bici con lui? No. Sono molto pragmatico ed egoista: sto bene da solo. A chi consigli un viaggio in bici? A chi lo sconsigli? B - Consiglio un viaggio in bici a chi ha bisogno di trovare o ritrovare se stesso, magari dopo un periodo brutto o stressante. Viaggiare a 20km/h ti rimette in pace con te stesso, ti fa essere tutt’uno con il paesaggio che ti circonda: il viaggio è godimento di ogni attimo, di ogni panorama, di ogni angolo nascosto, cosa che non siamo più abituati a cogliere a causa di questa società sempre più asensoriale. Lo sconsiglio invece a chi cerca sempre e solo la comodità, il divertimento preconfezionato o il tutto e subito: un viaggio in bici è un’esperienza di slow-life, un’esperienza paziente, da assaporare boccone dopo boccone, senza l’ansia di sapere cosa viene dopo, è il piacere di farsi travolgere dagli eventi. L - Consiglio un viaggio in bici a chi sa di farcela: non si scherza con la bicicletta. Ci vuole una grande determinazione e la testa libera per percorrere così tanti km, che poi alla fine non sono nemmeno tanti se paragonati ad altri viaggi epici sui pedali. Consiglio anche di imparare qualcosa della meccanica di base, ci sono molti libri a riguardo.

Viaggiare a 20km/h ti rimette in pace con te stesso, ti fa essere tutt’uno con il paesaggio che ti circonda

Il momento più difficile? B - Il momento più difficile è stato senza dubbio l’uscita dall’Italia: usciti da Trieste abbiamo optato subito per la via più corta per arrivare a Fiume. Abbiamo capito così che non sempre la strada più corta, in qualsiasi ambi-

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DUE D I DUE

Francia: nella capitale e nelle regioni più remote imperversa la Rivoluzione, la protagonista insieme alle ribollenti masse dei foborghi e ai pochi superstiti sostenitori dell’ancient régime che presto avranno un incontro galante con Madama Ghigliottina. Il vero pericolo si nasconde però in un manicomio: è lì che un piccolo nucleo antirivoluzionario sta dando forma a un piano per ripristinare il vecchio ordine, attingendo a piene mani dalle dottrine di Mesmer sull’ipnosi e il controllo mentale. A fronteggiare questa minaccia sarà un gruppo di cittadini, ferventi sostenitori della Repubblica, le cui vite si incroceranno ad un passo dall’epilogo, per poi scomparire per sempre tra le pieghe della Storia. Eroi per un giorno, insomma. Il romanzo è strutturato in diversi atti e rispettive scene, come un’opera teatrale ed è Léo Modonnet, ex attore conoscente di Goldoni, a rendersi conto di quale rivoluzionario spettacolo sia protagonista. E insieme a lui: un medico parigino che dovrà svolgere alcune indagini nell’Alvernia; una donna che, combattendo per il pane, si ritrova abbandonata dalle compagne del foborgo e costantemente in pericolo; masse di proletari che chiedono giustizia sommaria per gli accaparratori; inquieti personaggi segregati nel manicomio di Bicêtre soprannominati come Marat, Robespierre e Saint-Just… Il romanzo, seppur lento a decollare e con un epilogo un po’ prevedibile, fa il suo lavoro e scorre senza grandi intoppi tra Parigi e l’Alvernia; pazzi e sonnambuli ipnotizzati, poveri e meno poveri, tra l’eterna lotta tra il bene e il male (per quanto politicizzata possa essere).

Q è un romanzo di contrasto e di scontri. Prima di tutto quelli della trama: l’ambientazione è quella della Germania della prima metà del ‘500; l’epicentro dei fatti la rivolta contadina scoppiata nel 1525 animata dagli ideali più radicali della riforma protestante. Il protagonista, che cambia spesso nome per sfuggire alle persecuzioni, è tra i principali attivisti della rivolta. Q, Qoelet, l’occhio di Gian Pietro Carafa, è la sua antitesi, mandato di volta in volta dal cardinale a spiare e a mandare a monte i piani di rivolta. Tra intrighi e battaglie si compie la storia dei vinti, delineata dai Wu Ming (al tempo dell’uscita del romanzo si firmavano come Luther Blisset, ndr) in ogni sua sfumatura (cosa che si riflette bene nello spessore fisico del romanzo) con preciso rigore storico, ma allo stesso tempo raccontata con uno stile di scrittura estremamente attuale, che spicca e si scontra con l’ambientazione temporale, rendendo infine il racconto piacevole e coinvolgente. Più scorrevole la lettura della seconda parte del libro rispetto alla prima che invece è continuamente rallentata da inserimenti di flashback e dalle lettere di Q. Le contrapposizioni però continuano al di fuori del libro: uscito nel 1999 Q è il primo romanzo del collettivo bolognese pubblicato con una casa editrice major senza copyright (il primo in Italia). Fatto che porta gli autori ad uscire dalla nicchia della scena underground per confrontarsi con l’editoria e il relativo pubblico di massa, tanto da arrivare perfino tra i cinque finalisti del premio Strega. Q è il primo capitolo di una trilogia “storica”, seguito da Altai (2009) e L’armata dei Sonnambuli (2014).

di Cristina Ferrulli

Q di Luther Blisseth, Einaudi, 678 pp., 18,00€

di Alessio Labanca

L’armata dei Sonnambuli di Wu Ming Einaudi, 796 pp., 21,00€

OMNIA SUNT COMMUNIA è la politica di copyright di Wu Ming: “si consente la riproduzione parziale o totale dell’opera e la sua diffusione per via telematica, purché non a scopi commerciali e a condizione che questa dicitura sia riprodotta” I libri sono scaricabili gratuitamente sul loro sito wumingfoundation.com

A INCHIOSTRO NOVEMBRE 2014


SPECIALE

VUOI SPOSARMI? Sì MA NON POSSO! “Cosa cʼentra la libertà con il matrimonio? Beʼ, ci sono categorie di persone alle quali è concessa la libertà di farlo e altre alle quali è negata. Punto, fine.”

di Elisa Zamboni

2001 – i Paesi Bassi riconoscono il matrimonio tra persone dello stesso sesso e regolamentano le convivenze di fatto per ogni coppia. 2003 – il Belgio decreta il matrimonio tra omosessuali paritario a quello eterosessuale e nel 2006 aggiunge la possibilità di adozione di minori a coppie gay. 2001, “Eingetragene Lebenspartnerschaft” – la Germania riconosce i diritti delle coppie omosessuali regolarmente registrate. L’unione sarà a tutti gli effetti riconosciuta paritaria alle coppie sposate solo nel 2009 per intervento della Corte Costituzionale. 2004, “Civil partnership” – la Gran Bretagna equipara sostanzialmente le coppie gay registrate alle coppie etero sposate, lasciando la distinzione nel termine di matrimonio. Nel 2013 anche la barriera linguistica è stata abbattuta con il “Marriage (Same Sex Couples) Act”. 2005, “Legge 13/2005”: la Spagna cambia il diritto alla famiglia estendendo agli omosessuali la possibilità di sposarsi. Inoltre il registro delle coppie di fatto ha lo stesso valore per eterosessuali e omosessuali. 2008 – Norvergia e Svezia; 2010 – Portogallo e Islanda; 2012 – Danimarca 2013, “Mariage Pour Tous” – la Francia sancisce il “Matrimonio per tutti”, garantendo alle coppie omosessuali gli stessi diritti degli etero, compreso costruire una famiglia con dei figli adottati.

In Italia il dibattito sul matrimonio egualitario è tornato in auge il mese scorso in occasione della manifestazione delle Sentinelle in Piedi del 5 Ottobre. Questo movimento, a sostegno della famiglia tradizionale, ha deciso di reagire al ddl Scalfarotto presentandosi silenziosamente in diverse piazze italiane leggendo un libro. Tale decreto amplia ad omosessuali e trans la Legge Mancino-Reale, legge sulle discriminazioni etniche, religiose e razziali. Sebbene la comunità gay ritenga che la norma sanzioni semplicemente odio e atti violenti fondati su pretese idee di superiorità, dall’altro i movimenti quali, appunto, le Sentinelle In Piedi vedono lesa la propria libertà d’opinione. Questa dimostrazione di piazza però, seppur silenziosa e incentrata su temi diversi dal matrimonio, non ha fatto altro che alimentare e riportare alla luce il dibattito su matrimonio, unioni, adozioni e famiglie LGBTQ (Lesbians, Gays, Bisexuals, Transgenders, Queers). Tra le prime reazioni quelle dei Sindaci, primo tra tutti il sindaco della capitale Marino, con le trascrizioni dei matrimoni gay siglati all’estero. Queste trascrizioni, come confermato anche da Vladimiro Zagrebelsky, non hanno alcun valore legale anche se, sottolinea il giurista, “è necessaria una nuova legge, non il ribellismo dei sindaci”. “Penso che il matrimonio sia una questione d’amore ma molto una questione di morte. […] La solitudine data dalla morte di una persona amata è spaventosa, ma la legge, la legge può renderla meno orrenda”*. Le trascrizioni sono però un atto simbolico: “Insomma, l’Italia difficilmente diventerà di sua sponte un paese civile, ma un giorno tutti questi matrimoni saranno un gigantesco problema burocratico e diplomatico

che bisognerà risolvere. In Italia i matrimoni egualitari arriveranno per conformismo”. Dal canto suo il premier Matteo Renzi, cavalcando l’onda dell’entusiasmo a Domenica Live, si è detto disponibile a un progetto di legge da presentare in Senato a gennaio con la formula di “unioni alla tedesca” del 2001 ma chiude brevemente la questione: “capisco le opinioni diverse ma su questo tema evitiamo di aprire l’ennesima polemica ideologica. La proposta alla tedesca è un giusto punto di sintesi”. E la Chiesa? “Se i matrimoni religiosi fossero liberati dai loro effetti civili la confusione sarebbe minore e si capirebbe che l’opinione di una religione sul matrimonio civile non ha importanza e viceversa”. Benché il Cardinal Ruini abbia parlato di diritti omosessuali come “diritti immaginari”, il Sinodo si è mostrato conciliante nei confronti delle unioni: “La questione omosessuale ci interpella in una seria riflessione su come elaborare cammini realistici di crescita affettiva e di maturità umana ed evangelica integrando la dimensione sessuale: si presenta quindi come un’importante sfida educativa. La Chiesa peraltro afferma che le unioni fra persone dello stesso sesso non possono essere equiparate al matrimonio fra uomo e donna”. “Vorrei che, quando i matrimoni saranno senza aggettivi, non egualitari e non concordatari, solo matrimoni, si potesse anche ricominciare a ricordarsi che l’amore, il sesso, il desiderio possono stare anche lì, ma sono soprattutto giù per le strade, fuori casa, dappertutto”. Insomma, alea iacta est. * Le citazioni colorate sono tratte da Love Song (vd. p. 12)

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SPECIALE

FAMIGLIE GAY: QUANTE BUGIE! Le ragioni del No ai matrimoni e alle adozioni gay

di Camilla Rossini

Francia, 2012. In opposizione alle proposte di legge sui matrimoni fra persone dello stesso sesso, nasce il collettivo di associazioni “La Manif pour tous”, che si fa promotrice di eventi e manifestazioni contro una legge che, di fatto, verrà approvata il 23 aprile 2013. Nello stesso anno, l’associazione nasce anche su suolo italiano. Noi abbiamo posto alcune domande via mail al

portavoce de La Manif pour tous Italia, Filippo Savarese.

Il manifesto dell’associazione si apre con un appello “a tutti gli uomini di buona volontà”: ma alla nostra domanda, Savarese la definisce assolutamente aconfessionale, fiera del proprio impianto laico, basata sulla Costituzione e non sulla Bibbia. Inoltre, precisa, non si oppone all’omosessualità in sé («Noi non siamo “antigay”. È un’espressione che non concepisco. È come se dicessero che siamo “anti-nuvole” o “anti-alberi”»), ma a proposte di legge che hanno (cito dal Manifesto) “avviato il processo di demolizione della famiglia”, quali le proposte su “contrasto all’omofobia e alla transfobia, accesso al matrimonio da parte di coppie formate da persone dello stesso sesso (matrimonio egualitario, adozione da parte di coppie dello stesso sesso), modificazione dell’attribuzione di sesso e adozione della Strategia Nazionale per la prevenzione ed il contrasto delle discriminazioni basati sull’orientamento sessuale e l’identità di genere”. Inchiostro - In tutto il mondo occidentale, le unioni gay, i matrimoni gay e l’adozione gay sono sempre più frequentemente riconosciuti dai governi. Perchè l’Italia ha fatto finora un percorso diverso? Filippo Savarese - In realtà l’immagine di un “progresso” che avanza inesorabile in merito a queste riforme non è realistica. In Francia e Spagna i matrimoni tra persone dello stesso sesso sono stati approvati a colpi di maggioranza dai governi socialisti, suscitando vere bufere politiche e sociali che hanno spaccato gli elettorati e che continuano oggi. In Germania c’è ancora resistenza ad estendere il matrimonio e l’adozione a coppie di persone dello stesso sesso, anche se lì c’è una forma di unioni civili. Negli Usa, poi, una serie di sentenze ha abbattuto leggi statali approvate con referendum popolari sui limiti al matrimonio e all’adozione. Insomma, il tema divide e fa discutere ancora ampiamente anche il mondo occidentale. Non escludo cambiamenti di marcia nei prossimi anni, soprattutto in Europa. Dal 2000 ben 10 Stati europei hanno inserito la tutela della famiglia tradizionale in Costituzione, ma questo non lo si dice. Credo che l’Italia non abbia seguito quest’onda, fin’ora, per il minor grado di ideologizzazione su questi temi della popolazione, che, di fatto, non ha mai permesso a chi combatte per questi cambiamenti di avere saldamente in mano il Governo del Paese.

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Lei scrive che “è la potenziale capacità procreativa dell’unione tra un uomo e una donna a differenziare il matrimonio dalle convivenze tra persone omosessuali”. Molti obietterebbero: dobbiamo negare il diritto a sposarsi anche a persone sterili dalla nascita? Quelle parole non sono parole mie. Sono scritte nere su bianco nella sentenza (la 138 del 2010) con cui la Corte Costituzionale ha stabilito alcuni principi fondamentali: primo, quando la Costituzione parla di matrimonio e di famiglia, si riferisce a quella fondata sull’unione tra un uomo e una donna; secondo, limitare il matrimonio alla coppia di uomo e donna non viola alcun principio di uguaglianza perché, come appunto ho citato, “la potenziale finalità procreativa vale a distinguere il matrimonio dall’unione omosessuale”. Peraltro è la stessa Corte in questa sentenza a dire che la finalità procreativa del matrimonio è solo “potenziale”, nel senso che non può essere pretesa dallo Stato, e dunque non si può in alcun modo fare test medici sulla coppia per verificarne la fertilità, ché violerebbe essenziali diritti della persona. Ma questo fatto non permette comunque di stravolgere il principio costituzionale anche nella sua sola potenzialità ammettendo al matrimonio due persone dello stesso sesso, tra di loro semplicemente impossibilitate a procreare.


SPECIALE Le coppie gay (con e senza figli) già esistono in Italia, si parla di 100.000 “bambini arcobaleno” (Secondo una ricerca del 2005 condotta da Arcigay con il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità, ndr): siete d’accordo con qualche tipo di riconoscimento e tutela per queste realtà di fatto? La cifra dei centomila figli di coppie omosessuali si sente spesso in giro, ma è una vera e propria bufala. La cifra è uscita da una ricerca condotta dieci anni fa nel mondo omosessuale da enti non proprio super partes quali l’Arcigay e l’Arcilesbica, e afferma che “il 17,7% dei gay e il 20,5% delle lesbiche, con più di quaranta anni, hanno almeno un figlio”. Ammesso e non concesso che l’indagine sia veritiera, essa ci dice solo che alcuni bambini avrebbero il padre o la madre omosessuale, non che vivono in una coppia formata da due persone omosessuali. Ritorniamo allora a dati più seri e fondati. Secondo il censimento generale dell’Istat del 2011, i minori che vivono in nuclei composti da persone dello stesso sesso sono 529. Chiaro? 529. Questa è una strategia chiarissima: diffondere nella società la sensazione che un enorme mutamento sociale sia in corso, che raggiunge proporzioni clamorose che necessitano una risposta legislativa. Come dimostrato questo è totalmente falso. Ciò detto, noi siamo favorevoli ad una legge che chiarisca quali diritti e doveri spettano a una persona per il sol fatto che essa viva in una stabile e duratura relazione affettiva. Qualsiasi relazione essa sia. I sostenitori della legge sul matrimono gay sostengono che la loro posizione tuteli i diritti dei bambini, ad esempio in caso di separazione di coppie omogenitoriali, ma non solo. Voi, d’altro canto, sostenete che la vostra posizione tuteli i diritti dei bambini, primo fra tutti quello ad avere un padre e una madre. Chi ha ragione, e perchè? Le associazioni del movimento gay chiedono il riconoscimento legale della cosiddetta “omogenitorialità”, cioè il fatto che una persona possa avere “due padri” o “due madri”. Ma come avviene questa situazione, visto che in natura due uomini e due donne non possono realmente generare un figlio? Al di là di casi sporadici, la maggior parte dei bambini

che vive con coppie omosessuali sono stati prodotti (e sottolineo prodotti) con tecniche di procreazione artificiale, dall’eterologa alla maternità surrogata. Si tratta di manipolazioni dell’esistenza altrui con cui si sceglie arbitrariamente di escludere dall’orizzonte esistenziale di una persona la figura paterna o quella materna, che pure sono essenzialmente legate alla sua esistenza. Riconoscere giuridicamente l’“omogenitorialità” significa dunque avallare questo fenomeno veramente lesivo dei diritti umani dei più indifesi. È vero, in caso di separazione il genitore “sociale” non vanta diritti né doveri verso il figlio, ma questa è la naturale conseguenza della premessa: il fatto che quel figlio sia stato generato con procreazione artificiale e non sia biologicamente legato al convivente di suo padre o sua madre. Voi sostenete che “dal proprio sesso si è inconfondibilmente caratterizzati sin dal concepimento”. Siete dunque contro la “teoria del gender”? A noi non interessa assolutamente nulla intrometterci nella vita privata delle persone, anche di quelle che, nate maschi o femmine, sentono di appartenere al sesso opposto. Critichiamo l’ideologia costruita sul concetto filosofico del “genere” per il fatto che oggi si tenta di imporla come unica “politicamente corretta”. Il danno è più grave dove questo avviene nelle scuole: negli asili girano già fiabe che “educano” alla fecondazione eterologa o all’utero in affitto come metodi di procreazione naturale, mentre nelle medie e nei licei il movimento gay organizza progetti per imporre l’ideologia del “genere” e decostruire quelli che chiama “stereotipi”, cioè che solo un uomo e una donna possono procreare. Contro questo danno alla libertà educativa delle famiglie ci siamo battuti duramente con molti successi. E continueremo a farlo.

L’intervista completa a Manif Pour Tous Italia sarà disponibile su: inchiostro.unipv.it a partire dal 25 Novembre, data di apertura del nuovo sito!

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SPECIALE

LOVE SONG: storia di un matrimonio di Camilla Rossini e Elisa Zamboni

“Ci so credon no molte pe rso o c person he il giorno ne che e dello in cui tranno due stesso sposar s si tutto esso poun mo ndo fini un uni millenario, u rà. Finirà verso. n Hanno a cultura, ragion e.”

Vi ricordate di Federico Novaro? Sì, quello che si è sposato con il fidanzato a New York, quello del video virale “Legalize Love”, quello dei cartelli a Sanremo! Ora è tornato autore di un libro: Love Song, storia di un matrimonio (ISBN Edizioni, 12,50€). In 135 pagine, Federico Novaro si interroga su matrimoni egualitari e genitorialità, con uno stile fresco e sempre ironico, ma con evidente sforzo di ragionamento. Ve ne proponiamo qui alcuni estratti (in corsivo nel testo), legati in modo da mantenere il filo del discorso. Ma il consiglio, qualunque sia la vostra posizione, è di leggerlo.

SPOSARSI

Secondo Novaro, bisogna innanzitutto capire per cosa combatte chi si oppone all’estensione del matrimonio alle coppie gay: Un’ipotesi è che non difenda-

no davvero il matrimonio, ma un mondo, un modo di vedere il mondo, infine: se stessi. È innegabile, in effetti, che il matrimonio è nato e si è strutturato certo non per unire due persone dello stesso sesso [...]. Ma, modestamente, ci si chiede solo come mai, se tutto cambia, quello no. D’altra parte, una legge come si fa si disfa, e il matrimonio è già cambiato nei fatti: se il matrimonio è 1: per sempre; 2: per procreare, bon, fine, è già finito. Chiunque si sposi sa che può

scegliere se e quando divorziare, se (se!) e quando avere figli. Per non parlare dei cambiamenti nei ruoli di genere e nel rapporto con i figli. Anche chi sostiene, perciò, che da che mondo è mondo il matrimonio è solo in un certo modo, contribuisce per parte propria, paradossalmente, a cambiarlo.

ESSERE GENITORI Tutti gli individui - salvo patologie insormontabili - […] possono, se vogliono, essere genitori biologici. Questo è un dato incontrovertibile. […] Oltre a questo c’è il fatto che biologia, affetto, genitorialità non sono proprio una tripletta semplice semplice. L’essere

un buon genitore non discende a prescindere dalla prima: ci sono infinite combinazioni. In gioco, secondo Novaro, è il concetto stesso dell’essere genitori: chi afferma che le persone omo-

sessuali non possono avere figli, a differenza delle persone eterosessuali, spesso ribadisce che è perchè solo loro possono farlo attraverso un atto sessuale e così […] riduce l’essere genitori a una questione di sesso, di

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copula. Pare un po’ triste.

E la questione dell’egoismo di volersi “procurare” dei figli, il “diritto dei bambini ad avere un padre e una madre”? Per la prima questione, Novaro obietta che il problema è lo stesso per tutti: fare figli è un gesto folle.

[…] Pensarsi all’altezza di un tale compito, essere in grado di proteggere, di amare, di crescere, un figlio o una figlia […], essere per loro il mondo e saper lasciar loro capire che il mondo è dappertutto, e saperlo fare con levità, equilibrio e amore è un azzardo così grande che si può compiere soltanto in uno stato di felice, tremante, entusiasta incoscienza. I figli si fanno per sconfiggere la morte, e non c’è gesto più egoista e che insieme sia più generoso di questo. L’idea, poi, della famiglia padre-madre-bambino lascia immaginare una società fatta di micronuclei (genitori, figli) isolati. […] Uno dei tristi risultati dell’idea di famiglia nucleare che si è affermata nella seconda metà del secolo scorso. Prima le famiglie erano degli organismi più complessi, fatti di parenti stretti o meno, di figure parentali anche non biologicamente legate agli infanti, di caratteri e figure. […] ora sembra che i figli siano del padre e della madre e di nessun altro. Insomma, dice Novaro, in Italia questi cambiamenti avverranno per conformismo: chi strenuamente vi si oppone, portando a prova la tradizione, la consuetudine o la legge, si rifugia in una immutabilità che nelle cose umane non esiste, e manca di prospettiva storica. E lo fa per paura. Paura del cambiamento, della rottura di una rassicurante semplicità che i matrimoni e le adozioni gay sembrano rappresentare. Ma che in fondo è il cambiamento di tutti.


I DOLORI DEL GIOVANE GIACOMO di Eleonora Salaroli

La vita del poeta Leopardi raccontata nel film “Il giovane favoloso” Sofferente, ostinato, ribelle, innamorato: così il regista Mario Martone dipinge il Leopardi del suo film “Il giovane favoloso”, presentato in concorso a Venezia per la 71° Mostra internazionale d’arte cinematografica. La pellicola, che appena uscita ha fatto un boom di incassi e di critiche positive, racconta la vita del poeta ottocentesco focalizzandosi sugli anni più significativi del suo percorso: l’infanzia dei giochi con i fratelli, l’adolescenza opprimente, l’età adulta tra Firenze e Napoli. Le scene iniziali traghettano lo spettatore nella chiusa e provinciale Recanati ottocentesca, “il natio borgo selvaggio”, teatro della giovinezza del poeta, che si consuma entro le mura di Villa Leopardi, tra le “sudate carte” e i rimproveri dei genitori: mentre il padre, il conte Monaldo, immagina per lui un futuro da filologo e gli impartisce una severa formazione in questa direzione, il giovane Giacomo tenta di dare voce al suo desiderio di evasione e liberazione da un paese che gli appare odioso; ma a nulla valgono i discorsi o i tentativi di fuga. Dalle scene di un Leopardi imprigionato nella gabbia d’oro costituita dalla fornitissima biblioteca privata, con un balzo temporale che sorvola sull’anno trascorso a Roma presso gli zii o i soggiorni a Milano e Bologna, si passa all’ambiente fiorentino; qui, il distacco dalla famiglia è pressoché totale e a dominare i rapporti affettivi sono l’amicizia con Antonio Ranieri e l’infatuazione per Fanny Targioni Tozzetti (la “musa” che lo ispirerà per il Ciclo di Aspasia). Ma le delusioni d’amore e le sue pessime condizioni fisiche lo seguono continuamente, anche quando decide di trasferirsi a Napoli con l’amico. L’ambiente napoletano, chiuso e retrogrado quanto la sua Recanati, lo vede sempre più costretto in un corpo deforme, in cui

l’animo alterna sprazzi di vitalità e ribellione a momenti di totale sconforto. La diffusione del colera in città costringe Leopardi, Ranieri e la sorella di quest’ultimo, Paolina, a fuggire e rifugiarsi presso Torre del Greco. Lì, alle falde del Vesuvio, Leopardi trascorre i suoi ultimi giorni; la pellicola si conclude con la recitazione di una delle sue ultime com-

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vero fulcro del film non è l’immagine di Leopardi “poeta del pessimismo cosmico”: il vero protagonista è l’uomo.

posizioni, La ginestra. Spunti filosofici e accenni letterari vari si possono cogliere nello svolgersi del film: le sue convinzioni materialistiche (la Natura, personificata da una statua di pietra, è una figura malvagia che si disinteressa completamente della sorte dell’uomo) e pessimistiche (l’uomo non può raggiungere la felicità); le sue poesie, che la resa cinematografica mostra più come frutto di improvvisa ispirazione che di lungo lavorio sulle parole che richiamano il senso di “infinito”; la frequentazione di ambienti letterari come il gabinetto Vieusseux a Firenze. Ma il vero fulcro del film non è l’immagine di Leopardi “poeta del pessimismo cosmico”: il vero protagonista è l’uomo. Il Giacomo ateo e rivoluzionario, che afferma che l’unica certezza è il dubbio, che si oppone all’ambiente conservatore cattolico di Napoli; il Giacomo innamorato e bisognoso di un amore che non ha conosciuto da giovane e nemmeno incontrato da adulto; il Giacomo malato e deforme che fino all’ultimo non rinuncia a dar voce alle sue idee: è l’uomo che, con tutte le sue sfaccettature, si staglia nitido nella fedele ricostruzione degli ambienti e afferma valori e sentimenti moderni e attuali.

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VIAGGI

ERASMUS BOX! FIVE MONTHS IN IRE-LAND

di Irene Doda

I live here in Limerick since the beginning of October: I can say it has been one of the most strange months of my life. Everything has changed: my routine, the people I am surrounded by, my habits. And consequently, myself. I am here for a placement (work experience), not for study: working 9-5 is something completely different from the University life I was used to. It’s much harder. During the week, I have time only for going to the office, commuting, eat and have a shower at home. I only hang out during weekends – and I have to say, God bless Irish pubs and good beer. Being a worker – an intern, actually – has its positive sides, though: when you are on holiday, you’re on holiday for real, no exams to think about and being stressed for (except the ones waiting for me upon my return...). Irish people are lovely and have made everything to make me feel at home from the very first time. I ended up liking my new life here. I feel much more mature, independent, and self aware.

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LIFE IN CARDIFF

di Cristina Motta

In June I discovered my Erasmus destination: Cardiff, Wales. Immediately, a thousand fantasies and fears invaded my mind: how will I manage in a completely new world so different from Italy? On my arrival I found a very British city, with a beautiful old town centre and a huge castle, waiting for me. But nothing can be as British as the cold and rainy weather, that for us Italians is a little bit demotivating. And do not even mention the food: terrible. At the beginning I wanted to say “I hate Cardiff”: things were not easy at all. At first, the biggest hurdle for me was the language. The initial shame and embarrassment when I started to relate with people were immense. Secondly, it was difficult to get used to the habits of a new country in which I have to live for six months. But everything started changing when I met people that now I could never do without, and when I realized that I was growing up thanks to these new friends, new stories and new difficulties. Now they have become a part of myself. And when you read in your roommates’ Whatsapp group what you did the night before when you were drunk; when you spend hours chatting with them and joking about your grammar mistakes without embarrassment; when you visit the most beautiful landscapes of Wales, you understand that Erasmus has become a real life experience. And unexpectedly you say: “I love Cardiff”.

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CULTURA

♪ IL “C“ FACTOR di Giulia Marini

NOTA BENE Notizie, eventi, recensioni

♪♪

“Noi siamo Cecco e Cipo”: così si presenta alle audizioni di X Factor 8 un gruppo composto da due giovani ragazzi toscani, Simone Ceccante e Fabio Cipollini (Mika adesso hai capito la scelta del nome?!). Oltre alla comicità del duo, a farli diventare un fenomeno tra i fan del talent-show è la scelta del singolo presentato alle audizioni: Vacca Boia, le cui visualizzazioni su Youtube ad oggi arrivano quasi al milione. Il successo tra il pubblico però non basta per far proseguire il loro cammino nella competizione e così Morgan, giudice a cui vengono affidati i gruppi, non li fa andare oltre la fase dei Bootcamp. Ormai il caso è scoppiato sul web, tanto da far toccare al loro album di esordio, Roba da maiali (2011), la decima posizione su iTunes. Alle loro spalle un EP autoprodotto (Dall’orgine, 2010) e tanta gavetta, mentre il giugno di quest’anno ha visto la pubblicazione del loro secondo album in studio, Lo Gnomo e lo Gnù, che sull’onda del successo ottenuto dal duo verrà presentato in giro per tutto lo stivale: non ci resta quindi che sperare in una tappa vicino casa perché “dottore, dottore, ci siamo innamorati di Cecco e Cipo, lo sappiamo che la scelta non è giusta, ma noi crediamo nel talento che c’è in loro!”

Un back to the future per Battiato, con la Musica e non con la DeLorean. Si ritrova fra i suoi primi progetti dei primissimi anni ‘70 e, non dovendo nemmeno spolverarle quelle canzoni, trova il modo di far confluire l’energia della scarica elettronica nel famoso Flusso, fa ritorno qui da noi, nel futuro, e ci ipnotizza. Ci trascina (metaforicamente) e ci mette di fronte alla sua ultima esperienza, vuole condividerla con noi: principalmente elettronico-sperimentale, c’è chi sente un sussurro leggero di dubstep, ma sarà elettronica un po’ più marcata, parole (poche), citazioni e parecchie auto-citazioni; ad esempio: Proprietà proibita è un rimaneggiamento del brano Propiedad prohibida contenuto in “Clic” (uno di quegli albums lontani dalla svolta più pop, ma sempre sofisticata); la track n°5 inoltre, Come un branco di lupi, rimanda chiaramente all’incipit di “Inneres Auge” e, guarda caso, i versi che Battiato declama nel nuovo motivo sono proprio quelli che il suo storico paroliere (ci ha lasciato nel marzo di questo anno) aveva scritto e poi recitato ironicamente, a mo’ di playback, nel musicarello della canzone (2009); come non concedere, a Manlio Sgalambro, un ricordo, un omaggio? L’album, uscito lo scorso 16 settembre, vede una collaborazione fra il Battiato, che tutti conosciamo, e Pino Pischetola, il Pinaxa (live electronics) che viene riportato sulla copertina del CD (per il quale hanno scelto una nuance violentemente fucsia). Li raggiunge, sul disco e sui palchi del Tour, Carlo Guaitoli (piano e tastiera).

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MORTI CHE CAMMINANO, NEL NOSTRO PALINSESTO di Niki Figus Cosa succederebbe se un giorno ti svegliassi e tutte le regole finora da te conosciute non valessero più? Rick Grimes, poliziotto della contea di King, si risveglia dal coma e scopre che c’è una nuova realtà. Un nuovo sceriffo è arrivato in città, una nuova legge vige nel mondo: “O muori e poi uccidi, o uccidi e poi muori”. Zombi che tornano in vita per uccidere. Umani costretti a uccidere per restare in vita. Amore e odio, colpi di scena e di fucile, balestre caricate e morti che camminano. Azione: “The Walking Dead”, uscito come fumetto, popolare serie tv la cui quinta stagione è uscita ad ottobre, è questo e molto altro. Riuscirà l’umanità a sopravvivere alla “morte dei valori”? E alla loro rinascita? Una cosa è certa: impossibile morire di noia.

VENTʼANNI DI QUENTIN AS HIMSELF di Niki Figus

Una rapina in una tavola calda, una valigetta dal contenuto segreto, un orologio, molta droga e la moglie del più potente boss di Los Angeles da portare fuori a cena. ‘Pulp fiction’, il film che ha reso Quentin Tarantino chi è oggi, esce nelle sale americane nell’ottobre del 1994. Tim Roth rapinatore, John Travolta e Samuel L. Jackson gangster, Uma Thurman cocainomane e Bruce Willis pugile alla frutta: un cast d’eccezione per un’opera mai banale. “La violenza dell’originalità, l’originalità della violenza”, così recita uno dei trademark. La pellicola è come le rock-star di quegl’anni: l’underground che spunta dal sottosuolo e sboccia sulla scena che conta come rosa dalle spine acuminate, insegnando a tutti gli altri che se “hai un caratteraccio, non vuol dire che tu abbia carattere”. ‘Pulp Fiction’ di quest’ultimo ne ha da vendere, nonostante sia l’unica cosa che un regista o un produttore non possa comprare. Ieri, come oggi, mentre gli altri film passano, lui resta: ventenne e più giovane che mai. Smells like the 90’.

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=D

SI CHIUDE UNA PORTA, SI APRE UN PORTALE blog, blogger e la corsa al successo di Valeria Sforzini «Al liceo ero bravo a scrivere i temi, italiano era una delle materie in cui andavo meglio; Lettere però non porta da nessuna parte, con questa disoccupazione dilagante sarei folle a iscrirvemici, e di certo non voglio insegnare, economia mi sembra una scelta molto più saggia. La passione per la lettura mi rimane, non bisogna mica fare l’università per essere in grado di mettere in fila due parole, men che meno atteggiarsi a filosofo per aver sviluppato qualche pensiero che stia in piedi. Sono un ragazzo intelligente io, ho idee brillanti e proposte sconvolgenti per trasformare il mondo in un posto migliore... aprirò un blog! Uno spazio in cui raccogliere tutto quello che mi passa per la testa, in cui dare sfogo alla mia vena geniale, una vetrina per quel gioiellino del mio cervello. Altro che editori, quelli pubblicano solo le menate di Fabio Volo, ma chi mi dice che grazie al il mio blog non venga notato da qualcuno di influente e mi costruisca una carriera fulminante? Prima di diventare giornalista dovrei passare le pene dell’inferno e morire di fame, ma chi mi impedisce di fare del mio portale una personalissima testata aperta a collaborazioni con i più importanti quotidiani a livello internazionale? Con Libero però non ci voglio avere niente a che fare...» Questo è, più o meno, quello che passa nella testa della maggior parte di coloro che aprono un blog... Ma quanto di questo è realistico? Quanto fattibile? Quanto effettivamente realizzabile? Come ogni volta l’entusiasmo per la novità tende a prendere il sopravvento su ogni altra prospettiva, e quella che inizialmente poteva sembrare un’ottima idea finisce per essere il semplice duplicato di un’altrettanto ottima idea avuta da qualcun altro prima di noi, e magari anche più bravo. Sembra che le informazioni non siano mai abbastanza, che ogni singolo pensiero che ci frulla in testa sia degno di essere reso noto, ed internet è di sicuro il bacino più adatto per contenerli tutti. Ad oggi, il fatto di avere un portale attivo e con un alto numero di followers fa apparire automaticamente più competenti, anche se essere in grado di usare wordpress non rende nessuno un esperto di moda, di computer o di attualità. I blogger affermati si stizziscono quando vedono il loro campo d’azione affollarsi sempre di più, ritenendo superflua la creazione di nuove pagine tenute da perfetti signor nessuno; a voler guardare, proprio quello che loro stessi erano solo un paio di post fa. Scandalizza pensare che avere un blog possa aprire molte più strade e portoni di quanto non possano fare lauree e master. Di fatto, se si considera la cosa più a fondo, questa esperienza non è altro che una gavetta indipendente, senza stage di sei mesi non retribuiti, senza cappuccini da servire al boss o fax da inviare per conto di terzi. Sul tuo portale

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conti solo tu, sono solo le tue opinioni che hanno un peso, e se la gente le condivide e ritiene che tu possa avere talento, ti seguirà. In un certo senso i followers nel mondo del lavoro oggi valgono quanto una lettera di referenza, se non di più. Aprire un blog, in ogni caso, non è immediatamente fonte di guadagno: tanto per cambiare, è difficile tirare a campare scrivendo, quindi solo la forza di la volontà, la costanza e l’intelligenza di capire come e quali punti toccare potrà trasformare quello che è partito come un hobby, una valvola di sfogo, in una professione. Si può quindi veramente considerare una strada privilegiata verso il successo? Forse sarebbe più giusto vedere questo percorso come un gioco al rilancio e considerare i blog come una fiches di considerevole valore da mettere sul tavolo, starà poi a chi di competenza scoprire se dietro non c’è altro che un bluff.


VARIAZIONE IN LA BEMOLLE MINORE

=D di Alessio Labanca

Avete presente quei brevi intervalli di 90 secondi tra un programma e l’altro in cui il vostro cervello decide deliberatamente di prendersi un caffè? Ecco quella è la pubblicità, il miglior programma comico che possiate mai vedere in vita vostra e che dunque vale la pena seguire attentamente. Volete una prova di quanto affermato? Nella pubblicità di uno smacchiatore si sente una voce fuori campo che recita: “Gli italiani hanno molte passioni e ogni passione ha una sua macchia”. Se fate attenzione, le persone sembrano quasi felici di macchiare la tovaglia con del vino o i vestiti con l’erba appena tagliata o ancora baciare il fidanzato sul collo della camicia anziché sulla guancia. È chiaro come la luce del sole che 1) queste persone non hanno mai caricato una lavatrice e/o provato a togliere le macchie di vino da una tovaglia; 2) almeno due dei ragazzi che brindano nello spot hanno gravi problemi nel regolare l’intensità dei movimenti (qualcuno dica loro che potrebbero avere una grave patologia genetica degenerativa); 3) le ragazze che amano lasciare segni più o meno indelebili sui vestiti dei fidanzati non sanno che stanno per incappare nell’ira delle ‘suocere’, che augurano loro l’acquisto di diverse confezioni di farmaci contro la diarrea. Nella pubblicità dell’arcinota crema gianduia, viene rapidamente mostrata una serie di eventi in cui due persone si scambiano messaggi standard del tipo “Ti amo!” e “Non mollare!”. Nessuno ha però tenuto conto di contestualizzare i messaggi, sottintendendo tutti i processi fisici, psicologici e tutta la marea di questioni sociali che stanno dietro ai messaggi standard stessi. E insomma, a me questo spot non ha fatto pensare “Esci, recati al supermercato più vicino e ingrassa come se fossi un orso bruno e ti stessi preparando per l’inverno”, quanto piuttosto “Vale la pena arrivare a 21 anni e non aver mai vissuto l’esperienza di qualcuno che ti grida ‘Ti amo!’ mentre state girando ad almeno 40 km/h su un calcinculo?”. Poi sono uscito e ho trovato la risposta in fondo al barattolo di crema al gianduia.

A me il mondo della filosofia ha sempre affascinato e ogni tanto mi chiedo quali possano essere le nuove questioni del millennio. Alcune, come “Siamo soli nell’universo?” e “È meglio essere o avere?”, sono oramai trite e ritrite. Giunge in mio aiuto un gruppo bancario che ascende seduta stante all’Olimpo della filosofia contemporanea con la profondissima domanda “Perché pagare quando prelevo col Bancomat?”. Io, nel dubbio, i soldi li tengo sotto al mattone. Vogliamo parlare del bambino che per essere accettato dagli amici nella casa sull’albero deve dimostrare di essere in grado di procacciare del cibo per la gang? Entra in suo aiuto Antonio Banderas (e qui ci sarebbe da discutere per anni sul tipo di relazioni che intercorrono tra lui, la gallina Rosita, la mugnaia, il Biscottone così grande e inzupposo, e i tizi che vendono i magici ingredienti per sfornare il miglior pane chimico dell’industria alimentare - ma non voglio dilungarmi) che gli dà un bel cestino stracolmo di grassi e zuccheri sotto forma di merendine. Bambini: le vittime della società globalizzata. Ai miei tempi, dopo la scuola, ognuno stava a casa sua a farsi almeno tre salutari ore con la PlayStation e Dino Crisis, altro che interazioni sociali, gang e favori personali. Lo spot dell’azienda svedese produttrice di mobili più famosa al mondo recita: “Ogni giorno è un buongiorno se inizia così”. Con tua figlia che riempie un bicchiere fino all’orlo e poi lo versa a terra guardando te piuttosto che dove mette i piedi e ti sorride dolcemente mentre cerchi di evitare di macchiare lo scendiletto Crøberðang pagato 7.99€ e pensi già a quante settimane di punizione dare a chi ha avuto la brillante idea di farti questa piacevolissima sorpresa? Insomma: io non riuscirei mai a resistere a cotanta tenera intraprendenza della mia prole. Dopo averli puniti fisicamente, perlomeno.

Insomma ragazzi: questo è il pazzo mondo del marketing. Se credete di poter fare meglio siete i benvenuti. Se invece per un attimo pensate di non voler vendere sogni ma solide realtà… Fatemi conoscere il vostro spacciatore!

INCHIOSTRO NOVEMBRE 2014 B 19


Premiazione del Concorso a vo lont à IX edizione

Il 25 NOVEMBRE alle ore 18.00 alla

Libreria Feltrinelli via XX Settembre 21

La giuria, presieduta dai giurati Gianfranca Lavezzi e Giuseppe Polimeni, e la Redazione di Inchiostro leggeranno e commenteranno i racconti dei primi classificati. Il primo classificato riceverà in premio un iPad Mini, il secondo una Smartbox e il terzo un Buono Feltrinelli del valore di 50 €. Iniziativa realizzata con il contributo concesso dalla Commissione Permanente Studenti dellʼUniversità di Pavia nellʼambito del A INCHIOSTRO NOVEMBRE programma per la 2014 promozione delle attività culturali e ricreative degli studenti


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