Inchiostro Pavia 132 - aprile 2014

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inchiostro.unipv.it Il giornale degli studenti dell’Università di Pavia Aprile 2014

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Anno XIX - Numero 132

Self-made generation? Studenti, neolaureati e sfide del mercato del lavoro: la ricerca di una professione è un’impresa da supereroi


Sommario EDITORIALE Camilla Rossini

pag.3

+ERASMUS PER TUTTI Fabio Palanza

pag. 4

RICORDIAMO SEGRE Alberto Conte, Clelia Martignoni

pag.5

TRA POMODORI E BICICLETTE Francesca Carral

pagg.6-7

VITE (UNIVERSITARIE) PARALLELE Irene Doda e Cristina Ferrulli

pagg.8-9

SPECIALE Irene Doda, Francesca Lacqua, Claudio Cesarano, Matteo Merogno

pagg.10- 14

DUE DI DUE: RUBRICA LETTERARIA Elisa Zamboni, Eleonora Salaroli

pag. 15

iLOVERS Irene Brusa

pag. 16

NOTA BENE Cristina Ferrulli, Elisa Zamboni, Francesca Lacqua

pag.17

QUEL FASTIDIO, QUEL PRURITO... Giorgio Intropido

pag.18

Il giornale degli studenti dell’Università di Pavia Anno XIX - Numero 132 - aprile 2014 Sede legale: Via Mentana, 4 - Pavia Tel. 346/7053520 (Simone), 320/1638343 (Camilla), 334/9394320 (Irene) E-mail: redazione@inchiostro.unipv.it Internet: http://inchiostro.unipv.it DIRETTORE RESPONSABILE: Simone Lo Giudice COMITATO EDITORIALE: Irene Doda, Camilla Rossini, Stefano Sfondrini DIRETTORI BLOG: Stefano Sfondrini TESORIERE: Francesca Carral IMPAGINATORI: Chiara Pertusati VIGNETTISTA: Veronica Fonte CORRETTORI DI BOZZE: Veronica Di Pietrantonio, Cristina Ferrulli, Cristina Motta, Airina Paccalini, Stefano Sette, Stefano Sfondrini, Valeria Sforzini Iniziativa realizzata con il contributo concesso dalla Commissione Permanente Studenti dell’Università di Pavia nell’ambito del programma per la promozione delle attività culturali e ricreative degli studenti Fondi 2014: 6281,60 Euro. Stampa: Industria Grafica Pavese s.a.s. Registrazione n. 481 del Registro della Stampa Periodica Autorizzazione del Tribunale di Pavia del 23 Febbraio 1998. Tiratura: 900 copie Questo giornale è distribuito con licenza Creative Commons Attribution Share Alike 2.5 Italy Questo giornale è andato in stampa in data 09 - 04 - 2014 IN QUESTO NUMERO HANNO COLLABORATO: Irene Brusa, Francesca Carral, Claudio Cesarano, Irene Doda, Cristina Ferrulli, Giorgio Intropido, Francesca Lacqua, Matteo Merogno, Cristina Motta, Fabio Palanza, Camilla Rossini, Eleonora Salaroli, Elisa Zamboni. Si ringraziano Alberto Conte e Clelia Martignoni

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IMPRESSIONI MOLTEPLICI Camilla Rossini e Elisa Zamboni

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CONCORSO: Fotografie, Poesie, Disegni

pag.20 IMMAGINE COPERTINA Veronica Fonte


Editoriale QUESTO È QUEL MONDO? di Camilla Rossini I giovani, gli universitari, sono come sdoppiati in due mon- influenzi la partecipazione studentesca alla vita politica di. C’è quel mondo, altro da noi, che è la maniera in cui in senso lato? ci rappresentano le generazioni precedenti: sostengono L’abbiamo chiesto alla redazione del Tascapane, il che siamo disamorati, disimpegnati, danneggiati dalla crisi giornale studentesco dell’Università di Ferrara: una tee privi di volontà d’azione. Poi c’è questa realtà, questa stata giovane, ma che ha avuto molto da insegnarci, in cui noi viviamo quotidianamente, le cui sfaccettature sotto vari punti di vista (pagg. 8-9). conosciamo a menadito. Non è che non abbia punti da «Vero - si potrebbe dire - una vita collaterale a quella spartire con l’idea che ci si è fatti di noi: siamo costan- accademica è necessaria e formativa. Ma la domantemente angosciati da un futuro in cui già ci sentiamo di da resta: come camperemo?». Uno sguardo puntato troppo, spesso non siamo abbastanza combattivi. Ci sono al futuro è necessario. Con quell’insopprimibile panico molti momenti in cui non capiamo a che giovi impegnarsi, diffuso di cui scrivevo nelle prime righe: purtroppo sì, è un marchio inevitabile che la nostra generazione né a chi. Però, molti di noi sono convinti (diteli irragionevoli, se porta addosso. Questo mondo universitario guarda a volete) che l’impegno non sia inutile. Sentono di dover quel mondo professionale e si chiede: ci sarà spazio per me, per il mio salto da una relavorare bene anche solo per lavorare altà all’altra, che dalla prima sembra bene, che questo è già uno scopo di per sé. Che nulla di ciò che è ben Questo mondo universitario scissa del tutto? Ci sono però strumenti per premunirfatto va perduto, in fin dei conti. guarda a quel mondo si e informarsi. Nella nostra città, ulGrazie a Inchiostro ho avuto e ho coprofessionale e si chiede: timamente, hanno avuto luogo molte stantemente modo di conoscere tante di queste persone. Che si danno com- ci sarà spazio per me, per il conferenze su questo tema. Noi ne abbiamo seguite alcune, partendo da pletamente alle loro passioni e ai loro mio salto da una realtà esse per cercare di descrivere l’unicompiti, siano di volta in volta la professione, il volontariato, lo studio o, all’altra, che dalla prima verso professionale in modo completo e informativo (Speciale, pagg. perché no, questo giornale che non le sembra scissa del tutto? 10-14). Cercando una conciliazione favorisce né in fama (se ve lo steste fra quel mondo che ci giudica e quechiedendo no, Sono di Inchiostro non è una gran tecnica per rimorchiare in Uni) né in denaro. sto nostro mondo che lo ascolta: chiedendoci che In questo numero primaverile troverete molte testimonian- cosa esso possa in realtà insegnarci. Dalla scrittura di ze di una gioventù diversa e alternativa agli stereotipi. un curriculum alle possibilità del giornalismo italiano, Una gioventù che, con sempre maggior frequenza, viaggia noi abbiamo ascoltato loro. Con quello sguardo critico e si sposta. Per fortuna, l’Unione Europea sembra con- e attento che forse, se ben praticato, potrà essere la sapevole che favorire gli scambi tra università costituisce chiave del riscatto di una generazione. un potenziale di ricchezza per l’avvenire: l’Erasmus non solo sopravvive anche nel 2014, ma vi arriva potenziato e rinnovato, grazie al programma Erasmus+ (pag. 4). Ma l’Europa, si sa, non è attraversata soltanto dagli spostamenti di studenti e docenti: ben altri viaggi sono quelli che portano i migranti sulle nostre coste. C’è, tra i nostri compagni di Ateneo, chi si occupa da vicino della questione: abbiamo chiesto a Paolo Malerba di illustrarci vari progetti legati alle associazioni Io ci sto e Studenti per la Pace (pagg. 6-7). Non solo di realtà internazionali ci siamo interessati. Vi siete mai domandati come sarebbe studiare e vivere in un’altra città? Quanto il contesto culturale e cittadino

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UNIVERSITÀ

+ ERASMUS PER TUTTI! LʼEuropa risponde alla crisi di Fabio Palanza

Tra le novità portate in questi mesi dal 2014, spicca per importanza il nuovo programma Erasmus+, promosso dalla Commissione Europea allo scopo di favorire l’istruzione e la formazione dei talenti europei. Sulla base di un budget complessivo di 14.774 miliardi di euro distribuito sui suoi sette anni di vita (2014-2020), in Italia il progetto avrà a disposizione una somma di 1 miliardo e 800 milioni di euro per l’intero 2014. Erasmus+ unisce il Programma di apprendimento permanente (Lifelong Learning Programme 2007-2013), nel quale erano inclusi Erasmus, Comenius, Leonardo Da Vinci e Grundvig, a Gioventù in Azione e a programmi di cooperazione internazionale come Erasmus Mundus, Tempus, Alfa e Edulink, facendosi portatore di una novità assoluta tra i campi di studio, cioè lo sport. In quest’ambito esso sarà volto a sostenere gli sport amatoriali e ad approfondire i sempre attuali temi di doping, razzismo e violenza. Il progetto è aperto non solo a individui, come studenti, tirocinanti, volontari e professori operanti nell’ambito dell’Istruzione, ma anche a organizzazioni

Il progetto è una forte risposta alle grandi sfide che il continente sta affrontando da ormai un lustro e a quelle che si troverà davanti nei prossimi sette anni

che contribuiranno alla progettazione delle attività. Questa collaborazione favorirà una riduzione del numero di adulti con basse qualifiche, un rafforzamento del profilo professionale degli insegnanti, la formazione di competenze trasversali e una migliore preparazione linguistica dei partecipanti. Inoltre garantirà l’apprendimento sul luogo di lavoro, grazie alla partnership tra pubblico e privato. Oltre agli scambi studenteschi e ai servizi di volontariato europeo, il progetto avrà la capacità di coinvolgere il personale docente attraverso le Jean Monnet activities, con lo scopo di stimolare l’istruzione, la ricerca e la riflessione nei campi di studio dell’Unione Europea. Un’importante novità sarà il libero accesso a documenti, materiali e media prodotti da Erasmus+, in modo da garantire una più larga diffusione delle innovazioni e di conseguenza una maggiore produttività del progetto stesso.

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Per quanto riguarda le pratiche di partecipazione, a partire dalla fine di gennaio di quest’anno le organizzazioni possono presentare online le candidature per il finanziamento. Le persone fisiche non possono invece presentare direttamente domanda di sovvenzione, poiché questo sarà compito esclusivo di università, scuole e organizzazioni. Le condizioni di partecipazione dipendono dal tipo di attività e dal Paese di riferimento. A tal proposito è disponibile su www.erasmusplus. it una guida in inglese con tutte le informazioni necessarie. È opportuno sottolineare come Erasmus+ venga avviato in un periodo storico in cui quasi 6 milioni di giovani in Europa sono disoccupati e un terzo dei datori di lavoro segnala difficoltà ad assumere personale qualificato. Il progetto è quindi una forte risposta alle grandi sfide che il continente sta affrontando da ormai un lustro e a quelle che si troverà davanti nei prossimi sette anni.


UNIVERSITÀ

GRAZIE, CESARE I colleghi di Lettere ricordano Segre

Un professore di vita Rispondo con commozione e malinconia all’invito di Inchiostro di scrivere poche parole dopo la dolorosa perdita di Cesare Segre, e sono lieta che l’iniziativa sia partita dalla sensibilità culturale degli studenti. Il nostro grande e caro maestro se n’è andato il 16 marzo a Milano con la discrezione e l’eleganza con cui era sempre vissuto, cui non faceva peso l’autorevolezza massima dello studioso. Professore emerito della nostra Università, dove è stato docente di Filologia romanza dal 1960 in avanti – con orgoglio di Pavia e dell’allora Facoltà di Lettere e Filosofia – figura eccellente della nostra cultura letteraria, di indubbio rilievo internazionale, intellettuale di spicco per il rigore civile e l’impegno etico, socio delle più illustri accademie nazionali e straniere di studi filologici e letterari, dottore honoris causa di grandi università internazionali, Cesare Segre lascia un vuoto davvero incolmabile. La rara sapienza, l’acutezza geniale della sua mente passavano dall’arduo impegno filologico agli studi di teoria letteraria alla critica tout court, non tralasciando il terreno militante, o il delicato campo della scuola (con ottimi manuali su cui ancora i nostri universitari studiano). Ma con quali parole ricordarlo ora per gli studenti che leggono e che forse, almeno i nostri di Lettere, l’hanno potuto incontrare nel suo studio o vedere nei nostri cortili, dove ritornava con amabile puntualità (la sua puntualità...) con frequenza settimanale, fino a un anno fa, prima che le condizioni di salute glielo impedissero? Mi auguro che il tempo effimero di oggi conservi la memoria del suo straordinario ingegno e della passione letteraria, vivissima e inestinguibile, nonostante la sensibile riservatezza che lo distingueva, insieme con quella del suo magistero di cui abbiamo goduto con gioia e da cui abbiamo appreso sino alla fine, e che ne resti anche la grande lezione civile legata inscindibilmente agli orrori più insanabili del Novecento, quelli nazisti e fascisti, che visse in prima persona e di cui ha sempre perpetuato il ricordo nelle opere e nell’impegno etico. Non disperdiamo questi inestimabili valori, cari amici, sentiamocene noi stessi pur modestamente parte. Clelia Martignoni

Con gli occhi dellʼallievo Vorrei ricordare come Cesare Segre appariva a lezione, a chi non avesse ancora attinto alla sua bibliografia e dovesse essere guidato gradualmente da lui verso l’oggetto della Filologia romanza, la disciplina che insegnava e a cui teneva. Opere medievali, manoscritti, dati problematici, precisione analitica, lingue e letterature neolatine diverse: curiosità e disorientamento erano acuiti dalla notorietà del maestro. Il corso del mio primo anno era sul Novellino, antica raccolta italiana di novelle, gli accidenti della cui tradizione manoscritta ne hanno sfuocato alcuni dati essenziali (autore, titolo, consistenza, struttura, patria, datazione), ma deliziosa e di agile lettura: ideale per rompere il ghiaccio. Dell’opera, tappa della codificazione letteraria della novella, Segre evidenziava la profonda interazione con la narrativa precedente e coeva, mediolatina e transalpina, francese e provenzale. Ne focalizzava anzitutto la trasmissione testuale e i relativi inconvenienti, da ciò cavando tasselli interpretativi e indizi che poi allineava per valutarne l’originalità. Più tessere finivano per combaciare e rinsaldarsi nell’apertura comparatistica e nella sinergia tra analisi serrata dei dati, rigore deduttivo, ermeneutica storica. Il concorso di argomentazioni severe e competenze pluridisciplinari era per lui necessario al fine di un’esegesi corretta, mirata cioè a comprendere il fenomeno artistico nel quadro culturale in cui fu prodotto. In una progressione didatticamente calibrata, la sua lettura del testo diventava anche occasione di verifica del metodo e delle potenzialità della romanistica. Sentiva il dovere di colmare la distanza di un’opera medievale dalla modernità: per comprenderla nel suo contesto insegnava a razionalizzare le modalità d’accesso attraverso gli strumenti, affinati nel tempo, di una disciplina altamente specialistica. Facevano gioco di squadra lui e Gian Battista Speroni, centrando insieme, per i fortunati allievi pavesi, la Filologia romanza. Alberto Conte

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PAVIA

TRA POMODORI E BICICLETTE Viaggio alla scoperta di un mondo parallelo chiamato immigrazione

di Francesca Carral

La parola “immigrato” è nota a tutti, spesso associata a concetti quali criminalità, mancanza di lavoro e malattie esotiche. Insomma, nell’immaginario collettivo ispira insicurezza. Si tratta di un’etichetta, di una semplificazione. Peccato che la condizione umana che pretende di descrivere non sia per niente semplice da spiegare. Di per sé, il termine indica una persona che si è spostata dal luogo di origine. Non dice nulla sulle motivazioni che l’hanno spinta a prendere questa decisione, come la ricerca di un’occupazione, la miseria o le persecuzioni. Ogni storia è diversa. Probabilmente alcune di queste vicende non sono poi troppo lontane da quelle vissute da tanti italiani non molto tempo fa, quando il nostro Paese era terra d’emigrazione. Dovremmo quindi ricordare che se non siamo noi a essere additati con diffidenza come “diversi”, è solo questione di fortuna e di contesto storico. Detto ciò, forse è il caso di cercare di capire meglio il fenomeno dell’immigrazione, superando gli stereotipi. Questo è quello che ha cercato di fare l’associazione Studenti per la Pace dell’Università di Pavia, che ha organizzato un ciclo di conferenze dal titolo Io, immigrato. I temi trattati, declinati anche in chiave locale, sono stati: associazionismo, sanità e legalità, con particolare attenzione ai diritti dei migranti. Abbiamo chiesto a Paolo Malerba, studente del corso di laurea in Medicina e Chirurgia in lingua inglese dell’Università di Pavia e membro dell’associazione Studenti per la Pace, di spiegarci quest’iniziativa. Amnesty International, con Io ci Sto, gruppo di volontari che si Inchiostro – Presentaci brevemente l’associazione Studenti occupa di diritti degli immigraBisogna considerare che un per la Pace. ti in provincia di Foggia, con Paolo Malerba - L’associazione l’associazione Naga di Milano, lavoratore stagionale in una Studenti per la Pace è formata con l’organizzazione umanitaria esclusivamente da studenti dell’U- giornata di lavoro di 7-8 ore riesce MEDU (Medici per i Diritti Umaniversità di Pavia, è nata circa ni) di Roma e altre ancora. a guadagnare 25-30 euro. due anni fa e ha molti membri in comune con il gruppo pavese di Io ci Sto cerca di mettere un freno Com’è nata l’idea di organizEmergency, con il quale ha colzare un ciclo di conferenze a questa situazione laborato per quasi tutti gli eventi sul tema dell’immigrazione? Quando abbiamo deciso di coorganizzati, pur volendo mantenere forte una propria identità. Gli appuntamenti non sono stati tantissimi, perché siamo un’associazione abbastanza giovane. Gli obiettivi principali sono improntati a una cultura di pace. Questo fine si può raggiungere in modi molto diversi. Noi siamo partiti dal piccolo con questa serie di conferenze che tratta la realtà degli immigrati. La comprensione del “diverso” può essere vista come uno dei passi necessari al raggiungimento della pace. Esiste un rapporto di collaborazione con altre realtà associative locali? Un altro obiettivo che ci poniamo è quello di cominciare a collaborare con altre realtà di Pavia e non solo, perché riteniamo sia giusto far rete tra le diverse associazioni di volontariato. Ad esempio, per organizzare questo ciclo di conferenze abbiamo collaborato con il gruppo locale di

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minciare a lavorare a Io, immigrato erano appena avvenuti i fatti di Lampedusa dell’ottobre scorso. All’epoca il tema dell’immigrazione era quindi molto attuale. D’altro canto, ultimamente non se ne sente parlare molto, forse perché non è periodo di sbarchi o perché la cosiddetta emergenza da “primavere arabe” si è pian piano stabilizzata. Questo ciclo di conferenze dovrebbe portare a riflettere su un discorso secondo me molto importante: parliamo spesso d’immigrazione e di immigrati al loro arrivo in Italia, conosciamo le immagini dei gommoni, degli sbarchi a Lampedusa e dei Cie (Centri di identificazione e espulsione). Meno spesso, però, si racconta ciò che succede dopo. Ecco perché abbiamo deciso di parlare degli aspetti giuridici e sanitari, anche locali, che riguardano la situazione dei migranti quando i media smettono di occuparsi di loro.


Tu hai partecipato al campo di volontariato promosso dall’associazione Io ci Sto: ci spieghi di cosa si tratta e ci racconti qual è stata la tua esperienza? Io ci Sto è un’associazione nata cinque anni fa che si pone come obiettivo la difesa dei diritti degli immigrati nella Capitanata, zona agricola dove si raccolgono soprattutto pomodori, in provincia di Foggia. D’estate è sede di un grande flusso d’immigrazione dei cosiddetti lavoratori stagionali, in gran parte africani, che girano il triangolo agricolo del Sud Italia tra Salerno, la Capitanata e la zona di Rosarno in Calabria. Questi lavoratori immigrati vivono in un grande appezzamento di terra, dove hanno costruito delle baracche con materiali di recupero. Questo agglomerato è noto come “Il Ghetto” e presenta condizioni sanitarie ai limiti del vivibile. L’associazione Io ci Sto vuole affermare un concetto molto importante, ovvero non fornire assistenzialismo di base, ma favorire l’integrazione degli immigrati nella realtà lavorativa della Capitanata. All’inizio del progetto i fondatori dell’associazione, Arcangelo Maira e Concetta Notarangelo, sono andati direttamente nei campi a chiedere agli immigrati quali fossero i loro bisogni. La risposta è stata: imparare l’italiano e trovare un modo di arrivare nei vari campi. Queste due cose sono molto importanti perché nella Capitanata esiste un sistema, radicato da generazioni, definito “caporalato”, che funziona in questa maniera: chi ha una macchina e si mette d’accordo con il proprietario terriero diventa l’intermediario tra chi ha la terra e chi ci lavora. Questa persona, solitamente un altro immigrato proveniente dall’Est Europa, organizza il trasporto dei lavoratori dal “Ghetto” ai luoghi di lavoro. Questo passaggio costa 5 euro al giorno, più altre spese che il caporale ritiene di dover chiedere in quanto “offre” il lavoro all’immigrato. Bisogna considerare che un lavoratore stagionale è pagato circa 3,504 euro a cassone di pomodori, quindi in una giornata di lavoro di 7-8 ore riesce a guadagnare 25-30 euro. Io ci Sto cerca di mettere un freno a questa situazione attraverso il corso di italiano e il laboratorio di ciclo-officina. La conoscenza della lingua dà la possibilità al lavoratore stagionale di mettersi direttamente in contatto con il datore di lavoro, scavalcando il caporale, e gli permette di informarsi riguardo ai suoi diritti dal punto di vista lavorativo e medico-sanitario. Anche le biciclette sono importanti nell’emanciparsi dal caporale, poiché offrono all’immigrato la possibilità di spostarsi autonomamente.

PAVIA

A proposito della mia esperienza personale, ricordo bene il giorno in cui sono arrivato al “Ghetto”: non sembrava più di essere in Italia. È difficile rendersi conto che anche nel nostro Paese ci sono tali situazioni e una così bassa qualità della vita. Durante le mie due settimane di volontariato mi sono occupato della ciclo-officina. È stato molto interessante, perché all’inizio non ti è ben chiaro quale ruolo stai giocando all’interno del loro lavoro. Attraverso la bicicletta si entra in contatto con un’altra persona, un’altra cultura, con storie di sfruttamento che difficilmente immaginavo prima. Al termine della seconda settimana mi è stato detto di tornare a casa a riflettere su ciò che avevo visto, perché certe esperienze sono così forti che, se non sono vissute con la giusta tempistica e con la giusta intensità, si fa fatica poi a riprendersi. È stato un tassello importante del mio percorso di crescita, un’esperienza difficile, ma che consiglierei a tutti. Quali sono le prossime attività che la vostra associazione intende organizzare? Sono in cantiere un po’ di iniziative. C’è un’idea, ancora allo stato embrionale, riguardo a un progetto che coinvolga le scuole elementari. Inoltre c’è la possibilità di proporre alcuni spettacoli teatrali in collaborazione con Emergency. La cosa che mi ha reso più felice è che, dopo la prima conferenza, abbiamo ricevuto, come associazione, molte offerte di collaborazione da tante realtà di volontariato, quindi l’idea di fare rete funziona.

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UNIVERSITÀ

VITE (UNIVERSITARIE) PARALLELE Pavia e Ferrara: città e atenei a confronto di Irene Doda e Cristina Ferrulli

La nostra Università, nata nel 1361, prestigioso ateneo storico, è il centro di gravità che rende Pavia una città culturalmente movimentata e adatta ad accogliere studenti provenienti da tutta Italia, nonostante la vicinanza della grande realtà di Milano. La maggior parte dei servizi e degli eventi cittadini sono rivolti alla popolazione studentesca. Ci siamo chiesti quali siano le somiglianze e le differenze tra Pavia e altre città universitarie ad essa confrontabili per dimensioni, popolazione e collocazione geografica. Per questo abbiamo deciso di rivolgerci ai colleghi di un altro giornale universitario, il Tascapane di Ferrara. L’Ateneo di Ferrara, come quello di Pavia, è di piccole-medie dimensioni e non si trova lontano dall’importante polo culturale di Bologna. La vita cittadina ruota intorno all’universo studentesco, rendendo anche Ferrara un luogo ideale per trascorrere gli anni dell’università. Fiorella e Tommaso, rispettivamente la caporedattrice e uno dei redattori del Tascapane, hanno risposto ad alcune nostre domande.

STUDENTI E UNIVERSITÀ

Inchiostro - Ferrara è una città con una popolazione poco più numerosa di quella di Pavia. Che impatto ha la presenza dei fuorisede sul totale degli iscritti all’Università? Ci sono molti studenti provenienti da diverse parti d’Italia? Tascapane - Anche se non abbiamo dati precisi, la presenza dei fuorisede è significativa; si incontrano specialmente studenti provenienti dal Veneto e dalla Puglia. Pur avendo vicino atenei prestigiosi a livello nazionale come Padova e Bologna, molti scelgono Ferrara, soprattutto per le facoltà di Architettura e Giurisprudenza. Quali servizi aggiuntivi offre l’Università agli studenti (tirocini, strutture per attività sportive, aule studio all’interno delle facoltà, laboratori linguistici etc…)? Per quanto riguarda i tirocini, dipende dalla facoltà: in alcune è obbligatorio svolgerli e anche quelli extra-curricolari vengono riconosciu-

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Ci siamo chiesti quali siano le somiglianze e le differenze tra Pavia e altre città universitarie ad essa confrontabili per dimensioni, popolazione e collocazione geografica ti. L’Università ha convenzioni con diverse aziende. Abbiamo un centro sportivo universitario, e un laboratorio linguistico che organizza il Progetto Tandem (incontri di conversazione con studenti Erasmus o madrelingua, ndr); in più esistono corsi di lingua non organizzati dall’Università, ma che offrono agevolazioni agli studenti. L’Ateneo ha diversi poli, dove sono dislocate le varie facoltà, tutti facilmente raggiungibili. Sono forniti di aule studio o biblioteche, che però chiudono intorno alle 19, abbastanza presto rispetto alle necessità di uno studente in sessione di esame.

Pavia ha un sistema storico di collegi e alloggi per studenti. Qual è la situazione abitativa degli universitari a Ferrara? Ci sono due studentati, ma sono riservati a fasce di reddito molto basse, e a seguito del terremoto del 2012 sono stati inagibili per vario tempo. La maggior parte di noi vive in appartamento. Vi è un’efficiente comunicazione interna tra studenti e Ateneo? Sì, possiamo ritenerci soddisfatti: hanno da poco rinnovato il sito, gli uffici rispondono velocemente alle mail, dando informazioni esaurienti. Peccato per le lunghe file in segreteria, che rischiano spesso di far perdere intere mattinate… Come viene gestita l’internazionalizzazione? L’iter da seguire per chi vuole andare all’estero non è molto chiaro. In breve, il manager didattico deve approvare il piano


di studio. Se viene accordato, i docenti hanno poca voce in capitolo. Altrimenti un professore può decidere arbitrariamente se attribuire o no crediti formativi per un esame. Anche gli studenti in entrata incontrano qualche difficoltà: a parte i ragazzi della mobilità internazionale che conoscono molto bene le lingue, il resto del personale parla l’inglese a fatica. In più, l’Ateneo organizza poche attività pensate per occupare il tempo libero. Esistono rappresentanze studentesche che operino in modo efficace? Sì, ma gli studenti conoscono e usano poco la figura del rappresentante. L’afflusso alle elezioni è molto basso - circa il 13% -, e di sicuro la competizione politica non è molto sentita. C’è un abisso rispetto a Bologna! (Fiorella è anche rappresentante degli studenti presso la facoltà di Giurisprudenza, ndr).

LA CITTÀ

Quanto costa abitare, vivere, mangiare e divertirsi a Ferrara? I prezzi sono “a misura di studente”? Sì, in generale sono abbastanza contenuti. La mensa costa intorno ai 5 euro; se invece si decide di mangiare fuori, per un panino si spendono 3 o 4 euro, mentre in pizzeria ce la si cava con poco più di 10 euro. Una pinta di birra al pub costa in media 4 euro. Anche gli affitti non sono esagerati: una stanza singola va dai 160 ai 250 euro circa. Com’è organizzata la mobilità a Ferrara? Si usa molto la bici, oppure si preferiscono i mezzi pubblici e la macchina? Saremmo morti senza bici. Tanti fuorisede non hanno la macchina, e comunque non è un mezzo molto utilizzato dagli studenti, a causa del traffico e delle strade strette. Si gira principalmente in bici e a piedi. Anche i mezzi pubblici non sono molto popolari, non li prendiamo se non per raggiungere luoghi un po’ più decentrati, come ad esempio l’ospedale.

IL GIORNALE UNIVERSITARIO

UNIVERSITÀ

E cosa ci dite del vostro giornale? Potreste farci una breve presentazione del Tascapane? Esistiamo dal 2008, e addirittura nel 2009 i fondatori avevano già collaborato con Inchiostro! Usciamo ogni due mesi, ma senza una data fissa, con un numero di 40 pagine. Ci occupiamo di viaggi, cinema, letteratura, musica, e ogni numero contiene un’inchiesta di fondo su temi relativi all’Università (nell’ultimo ci siamo occupati di mobilità internazionale in uscita). Ci sono poi delle rubriche che cambiano periodicamente. A metà febbraio abbiamo organizzato una mostra fotografica, che ha riscosso successo anche tra i non universitari.

INTERNAZIONALE A FERRARA Internazionale a Ferrara è il festival della rivista settimanale Internazionale. Si svolge tutti gli anni il primo weekend di ottobre. L’ingresso a tutti gli eventi (conferenze, workshop, mostre, concerti…) è gratuito, con l’eccezione delle proiezioni di documentari. Agli incontri partecipano giornalisti, artisti e scrittori illustri provenienti da ogni parte del mondo. Il festival è nato nel 2007, ed è organizzato in collaborazione con l’Università di Ferrara, il Comune, la Provincia e la Regione Emilia Romagna.

È positivo o negativo (a livello economico, culturale e di servizi) avere una città come Bologna a poca distanza? È comodo avere Bologna a mezz’ora da qui, è una città culturalmente vivace, dove si può anche trascorrere una serata diversa. Tuttavia andarci spesso non è conveniente, dovendo ogni volta pagare il biglietto del treno.

MATISSE A PALAZZO DEI DIAMANTI Dal 22 febbraio al 15 giugno 2014 Ferrara propone la mostra dal titolo Matisse, la figura. La forza della linea, l’emozione del colore, la quale si concentra sul tema della rappresentazione della figura femminile, fondamentale all’interno dell’opera del più importante esponente del fauvismo. Costo del biglietto: intero 11 euro; ridotto 9 euro.

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SPECIALE

TUTTO QUELLO CHE CI RESTA Alcuni consigli per studenti in crisi (economica) di

Irene Doda

«Ho deciso, l’anno prossimo mi iscrivo a Scienze Politiche». Quando circa due anni fa, con l’esame di maturità Il cavallo di battaglia del neo-Presidente del incombente e le idee un po’ confuse, ho pronunciato Consiglio è il celebre Jobs Act, il pacchetto di questa frase, tre sono state le reazioni principali che riforme del mercato del lavoro, pubblicato sulla ho suscitato nei miei interlocutori. Gazzetta Ufficiale il 20 marzo. Alcuni dei punti 1) Entusiasmo sfrenato: «Allora aspettiamo di chiave riguardano proprio la disoccupazione vederti candidata Presidente della Repubblica! Opgiovanile: si cercherà prima di tutto di sfruttapure intraprenderai la carriera diplomatica? Sai, gli re al meglio il piano europeo per gli under 25 ambasciatori fanno una vita bellissima… guadagnerai (1,5 miliardi per aiutare a trovare un impiego un sacco di soldi!». entro quattro mesi dalla disoccupazione o dal 2) Scetticismo galoppante: «Vuoi iscriverti all’albo termine degli studi). Vengono inoltre “liberalizdei disoccupati? Forse faresti meglio a pensare a zati” i contratti a termine, ora stipulabili per Economia…». qualsiasi lavoro o mansione senza obbligo di 3) Ironia scadente: «Vorrei un BigMac e una Coca, causale, purché non superino i trentasei mesi grazie». in totale: questo tipo di contratto dovrebbe In un mercato del lavoro così chiuso e complesso rende più semplice e flessibile l’assunzione come quello che ci troveremo di fronte noi, neolau(per contraltare c’è però anche una maggiore reati nel vivo della crisi economica più profonda che libertà di licenziamento). Anche i contratti di l’Occidente abbia conosciuto dopo gli Anni Trenta, apprendistato sono stati riformati e semplificala ricerca di un impiego una volta conclusi gli studi ti. Ecco il link al testo del decreto: http://www. pare un’impresa titanica. Fondamentalmente lo è, altalex.com/index.php?idnot=66736. non solo per chi studia in facoltà umanistiche: farsi strada e affermarsi professionalmente non è una passeggiata per nessuno; richiede coraggio, intraPurtroppo né l’Università né il settore pubblico (lo Staprendenza, fantasia e un po’ di fattore C. (Il signor to in tutte le sue forme) ci offrono davvero un aiuto B. suggerisce, come ricorderete, di sposare un miconcreto: gli Atenei hanno spesso scarsa attenzione liardario: ma qui ci stiamo occupando della ricerca per la formazione professionale e i collegamenti con di un impiego, non di un Principe Azzurro). il mercato del lavoro sono carenti. L’impressione è I tre atteggiamenti che ho elencato sopra sono asquella di essere lasciati un po’ a se stessi, dopo la solutamente da evitare. Essere fiduciosi va bene, ma conclusione degli studi. esagerando si rischia di scivolare in un ottimismo In queste pagine proveremo a darvi qualche dritingenuo che fa apparire stupidi e poco consapevoli ta, presentandovi alcune opportunità: il mondo delle della realtà. Inoltre, l’ambizione richiede sacrificio: è start-up giovanili, quello del non profit, le interessanti un po’ ridicolo millantare di voler fare il Segretario (anche se non sempre positive) evoluzioni che riguardelle Nazioni Unite passando i pomeriggi a giocare dano la professione giornalistica. Non tutto rose e a carte nel cortile delle Magnolie. fiori, certo. Non siamo decisamente nati in un periodo D’altra parte, anche la disillusione estrema ha i suoi fortunato: dobbiamo fare di necessità virtù e imparanotevoli svantaggi: porta ad re a muoverci autonomamente adagiarsi pigramente sul “tanNon siamo decisamente nati in in un mondo professionale ben to non troverò mai un lavoro”, ospitale per la nostra geun periodo fortunato: dobbiamo poco cosa che alla lunga logora lo nerazione. Far leva sulle nostre spirito e uccide la voglia di fare di necessità virtù e imparare forze e far tesoro delle nostre fare. Il gusto del rischio e dela muoverci autonomamente in un capacità è tutto quello che ci la sfida, da giovani, deve esresta per non lasciarci inghiottimondo professionale ben poco re dalla crisi. Non solo da quelsere il carburante che muove ogni scelta. ospitale per la nostra generazione la economica.

JOBS ACT: UN RIASSUNTO

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SPECIALE

GIOVANI: IL LAVORO È UNʼIMPRESA... IMPOSSIBILE? Startup e nuove imprese di Francesca Lacqua

Martedì 11 Marzo in Aula Magna si è tenuta la conferenza organizzata dal Coordinamento per il Diritto allo Studio sul tema delle startup. I primi ospiti della serata, Alberto Onetti, chairman della Mind The Bridge Foundation, neo-eletto coordinatore della Startup European Partnership (SEP) e Riccardo Ferrari, General Manager del polo tecnologico di Pavia, discutono di quello che è considerato uno dei temi più interessanti degli ultimi anni per la crescita del “sistema Italia”. Con “startup” indichiamo le imprese appena avviate dove i processi organizzativi non sono ancora definitivi ma sono la culla dei processi di base che cercheranno di trasformare una piccola impresa in una grande: una sorta di scheletro sul quale si dovrà appoggiare tutta la sua struttura futura. Uno tra gli esempi più noti di startup con cui ogni giorno abbiamo a che fare è WhatsApp, la piattaforma sociale, di recente comprata da Facebook per 19 miliardi di dollari, a cui milioni e milioni di utenti affidano le loro conversazioni.

È

al rischio totalmente diverso da quanto avviene nel nostro continente: «Fail Often, Fail Fast, Fail Cheap».

Per quest’ultimo aspetto, sul quale ci si è soffermati a lungo durante la conferenza, il modello startup è sinonimo di Silicon Valley, quella striscia di terra d’oro, lunga quanto la distanza da Pavia a Varese, in cui hanno visto la luce le ultime sei/sette rivoluzioni industriali. Una terra che attrae le menti migliori di una generazione importante, quando figlia e amante della tecnica, moderni cercatori di un oro che oggi sono i parliamo di startup, colossi dell’high tech.

non farsi prendere troppo dall’entusiasmo e troppo poco dal realismo, mantenendo sempre un piede nel futuro e uno ben ancorato a terra

Per la costruzione di una startup il primo passo è il business plan, un preciso prospetto valutativo rispetto ad attuabilità dell’impresa - qualsiasi sia il campo di investimento - costi e tempi, a cui segue l’iscrizione nel registro delle imprese e il fondamentale passaggio della ricezione dei fondi, provenienti da bandi stanziati, per esempio, dall’Unione Europea - nella nostra parte di mondo - o da privati. Tutti questi sono tasselli fondamentali ma, come sottolinea Onetti, non sufficienti alla costruzione dell’impresa: a cambiare le carte in tavola è l’atteggiamento mentale e il contesto culturale in cui si inserisce un - giovane - imprenditore. Innovazione, creatività, web, network, team, full-time sono alcune delle parole chiave di questo modo di fare impresa. Promuovere una startup significa trovare il coraggio di credere in idee nuove e brillanti, tenendo presente che è necessario un impegno senza sconti di tempo in uno sforzo collettivo, braccio a braccio con altre persone che seguono lo stesso obiettivo. Bisogna, inoltre, non avere paura del fallimento. In un’ottica estremamente statunitense, la rovina va percepita come valore positivo e del tutto normale: un approccio

Oggi questo modello imprenditoriale si sta diffondendo anche in Italia e nella nostra Università, interviene Riccardo Ferrari; il Polo Tecnologico di Pavia ha visto decollare imprese importanti come Funambol: “Cervelli italiani e capitali Usa” (vedi Inchiostro n° 131). Questa attività, fondata tra gli altri da Onetti, vende alle compagnie telefoniche un software per il personal cloud, una “nuvola” su cui salvare da cellulare o tablet foto, video e canzoni per poi ritrovarle su tutti gli altri dispositivi connessi, dimostrazione del fatto che fare impresa innovativa in grande si può e si può fare qui. Il successo di questo modello ha scatenato un forte interesse mediatico che, tuttavia, spesso rischia di distorcere le aspettative di chi si butta in questo campo, oggettivamente complesso, senza le necessarie capacità e competenze. Pertanto è importante, quando parliamo di startup, non farsi prendere troppo dall’entusiasmo e troppo poco dal realismo, mantenendo sempre un piede nel futuro e uno ben ancorato a terra.

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SPECIALE

COME SI INVENTA UN LAVORO Il mondo del giornalismo e del non profit a caccia di imprenditori di Claudio Cesarano

- Che cosa studia signorina? - Lettere moderne: sono al primo anno della Magistrale. - Ah, ma allora è ancora in tempo per cambiare! Durante un Career Day di qualche anno fa ho avuto modo di assistere a questo sconfortante scambio tra un selezionatore del personale e una studentessa. E non è stata l’unica volta: chi fa parte del settore umanistico-sociale, di solito liquidato come “portatore di competenze non spendibili”, non è nuovo a questi ragionamenti. Per questo il collegio Santa Caterina ha organizzato un ciclo di tre incontri (12 Marzo - 26 Marzo - 9 Aprile) intitolato “Immagino e progetto la mia professione”, che vuole aiutare i giovani studenti di facoltà umanistiche a orientarsi nell’oscuro mondo del lavoro con una prospettiva nuova: quella dell’imprenditoria e dell’iniziativa personale.

Per sopravvivere gli aspiranti giornalisti dovranno acquisire nuove competenze soprattutto in campo tecnologico Il primo incontro è con la vicedirettrice di Donna Moderna, Monica Triglia, che racconta e analizza il mondo del giornalismo. O quello che ne rimane. Lettori e prodotti in drastica diminuzione, infatti, mettono in serio pericolo non solo la profittabilità ma la stessa sopravvivenza del giornalismo. La responsabilità di questo disastro non è tanto da attribuirsi alla crisi economica, quanto piuttosto alla rivoluzione dei media: con il web come principale mezzo di diffusione delle informazioni, riuscire a far pagare gli utenti per la fruizione di notizie di qualità è diventato un’impresa. Dovere delle redazioni è, però, non ingaggiare una “donchisciottesca” guerra contro il web ma impegnarsi a innovare: all’estero esempi positivi non mancano, come l’Huffington Post e Buzzfeed, testate online che sono emerse in tempi di chiusura di redazioni storiche. Triglia definisce quella che stiamo vivendo “la migliore e la peggiore stagione per il giornalismo” poiché il terreno è fertile per generare innovazione, ma i rischi sono tanti: redazioni ridotte all’osso e qualità dell’informazione trascurata a favore del boxino morboso acchiappavisite (sì, Repubblica, pensavo proprio a te). E a pagarne le conseguenze sono i giovani: mentre la macchina editoriale prova a mettersi al passo, le migliaia di (aspiranti) professionisti rimangono affannosamente indietro. «Il giornalismo del futuro» continua Monica Triglia «sarà prettamente digitale e non permetterà di avere contratti: ci saranno solo piccole redazioni e pochissimi freelance».

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Per sopravvivere, gli aspiranti giornalisti dovranno acquisire nuove competenze, soprattutto in campo tecnologico. Uno dei filoni più interessanti in questo senso è il data journalism: un nuovo modo di approcciare le fonti che utilizza i big data, ovvero ampi flussi di dati di difficile gestione. Il giornalista diventa quindi (anche) analista di dati, o persino hacker, in grado di estrapolare notizie da fonti prima inaccessibili o inutilizzabili: i dati della spesa pubblica in campo sanitario diventano una storia da raccontare, la distribuzione dei fondi europei è alla base di un’inchiesta. All’estremo opposto troviamo un altro tipo di innovazione digitale: il giornalismo partecipativo o citizen journalism. Le redazioni, in questo caso, sono pressoché inutili perché il materiale è prodotto da non professionisti che si sono trovati “al posto


SPECIALE giusto nel momento giusto”: alla redazione non resta che selezionare le fonti più affidabili, identificare ed escludere le bufale (compito non facile a dire il vero) e infine lanciare la notizia. Altre scrivanie possono essere svuotate. Anche il relatore della seconda serata è un giornalista, ma in questo caso il mondo dell’informazione rimane a margine. Riccardo Bonaccina, direttore di Vita, unico giornale in Italia a occuparsi di non profit, racconta il mondo dell’imprenditoria sociale. Partiamo da un’incomprensione fondamentale: non profit non vuol dire “lavorare gratis”. Le imprese non profit si basano sempre su un’organizzazione imprenditoriale: essere in attivo, rimanere competitivi, avere a disposizioni dei professionisti sono obiettivi essenziali e per questo i dipendenti devono essere adeguatamente remunerati per il loro lavoro. La fondamentale differenza con le imprese tradizionali è l’orientamento sociale delle attività e la redistribuzione dei profitti che non avviene tra azionisti, ma all’interno della stessa organizzazione: il profitto, infatti, diventa salario per il lavoro svolto e investimento in nuovi progetti. Il non profit può essere definito il terzo settore, un tramite tra lo Stato e il mercato, che garantisce assistenza e benessere dove i primi due non riescono a intervenire o non sono particolarmente interessati a farlo.

Non profit non vuol dire “lavorare gratis”. Essere in attivo, rimanere competitivi, avere a disposizioni dei professionisti sono obiettivi essenziali Se lo Stato continua a gestire da solo tutti i servizi, rischia il fallimento: a oggi, ad esempio, non c’è più la copertura finanziaria per garantire le future pensioni e il welfare state, più in generale, va contraendosi. Il mercato, da parte sua, crea distorsioni e accresce le iniquità: il terzo settore vuole riequilibrare questa situazione. «Perché» aggiunge Bonaccina «lasciare la cura degli anziani alle singole badanti? Perché non creare una cooperativa sociale che si occupi di offrire questi servizi in modo efficiente e con un costo competitivo?». Anche in anni di crisi il non profit è un settore in crescita che dà lavoro a 681.000 dipendenti, circa il doppio del settore assicurativo e di quello bancario. Secondo Bonaccina è essenziale puntare su progetti coerenti con il proprio profilo professionale e «chi è interessato a lavorare in quest’ambito deve partire dal proprio campo di specializzazione, dalle proprie competenze, associando persone ancor prima che capitale». Ecco. Il capitale. Non dimentichiamo che per essere imprenditori di se stessi serve sempre il capitale di qualcun altro. Qui la discussione si fa più frammentaria: tra il pubblico c’è chi critica l’inaccessibilità di tanti fondi europei, chi racconta di non essere preso sul serio dalle banche quando parla di imprenditoria sociale. Bonaccina rimane ottimista: le idee sono la nuova moneta in tempi di crisi, e in molti se ne stanno rendendo conto. Pur in ritardo rispetto all’estero, strumenti di finanza sociale e investimenti sulle startup stanno crescendo in Italia. Inventare, diventare imprenditori di se stessi: questa è, dunque, la strada per i giovani neolaureati. Ma un dubbio rimane: puntare tutto sull’iniziativa personale dei giovani è davvero l’unica via o è un modo per liquidare la questione dell’inserimento nel mondo del lavoro? Ben vengano le iniziative imprenditoriali, ma se gli strumenti per l’imprenditoria giovanile (finanziamenti, know how, contatti) sono meno accessibili di quanto l’ottimismo di Bonaccina riveli, puntare tutto sull’iniziativa personale è utopistico. La logica dell’iniziativa personale non può esimere lo Stato dal riformare gli squilibri nell’accesso al settore lavorativo pubblico o regolare forme contrattuali al limite dello sfruttamento e tanto meno deve legittimare un mercato miope che non investe nella formazione professionale giovanile.

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SPECIALE

COME NON FINIRE A PAGINA DIECI Gli audaci consigli su come trovare lavoro di Monster.it di Matteo Merogno

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«Oggi, trovare lavoro è un lavoro!». Potrebbe sembrare un gioco di parole degno dei bizzarri personaggi che Alice incontra nel Paese delle Meraviglie, e invece è l’avvertimento che Alessandra Lupinacci, Marketing & Communication Specialist di Monster.it, ha dato durante l’incontro organizzato dal C.OR, per fornire consigli a studenti e laureati su come trovare lavoro. Il concetto è chiaro: non basta mettere il proprio curriculum in rete su siti come Monster.it (leader nel favorire incontri tra le persone e le possibilità di lavoro), rispondere a qualche annuncio e poi sperare nella Provvidenza. Le accortezze da usare per avere anche solo una minima possibilità di essere notati dalle aziende sono moltissime. Se caricate il vostro curriculum in rete è essenziale aggiornarlo quotidianamente, facendo risaltare con astuzia le vostre migliori caratteristiche con l’uso di grassetti, con parole chiave nel titolo, con una grafica accattivante e che permetta di leggere tutto in circa 30 secondi- perché è esattamente questa la quantità di tempo media che un selezionatore dedica alla lettura del CV. Se in quei 30 secondi nulla lo colpisce, niente da fare, la partita, ancora prima di cominciare con il fischio di inizio, è finita con l’amaro in bocca del perdente. Anche qui Alice si troverebbe a suo agio, credendo di essere ritornata nel suo mondo capovolto. Ma non finisce qui, perché un solo curriculum non basta più. A seconda

dell’annuncio a cui state rispondendo, proponendo la vostra candidatura, è necessario far risaltare alcuni dati a discapito di altri e, sempre nell’ottica del “farsi notare”, che nessuno si sogni di usare i modelli di CV preconfezionati che si trovano in rete, a meno che non voglia finire a pagina dieci, o addirittura oltre. Perché, proprio come quando ognuno di noi fa una ricerca su Google non legge mai i risultati oltre la terza/quarta pagina, così fanno anche i selezionatori con le candidature. Aggiornare, personalizzare, clic-

Oggi si vuole dall’uomo esattamente ciò che per secoli si è lottato per impedire: che sia trattato come merce care, cliccare, cliccare: sono questi i verbi mantra del “cercatore di lavoro”. Senza poter ovviamente tralasciare il verbo-principe, quello su cui la relatrice ha insistito con violenza: vendersi. Vendersi con le foto del CV (che devono essere allo stesso tempo trendy e serie, cool e formali), vendersi nel titolo, nell’incipit, al centro e alla fine del CV, trasformare i propri profili sui social network in CV. Vendersi nella lettera di motivazione, che non deve mai mancare e, indovinate?, deve essere originale, accattivante, aggiornata, appetibile; vendersi in qualsiasi pagina di Internet in cui siate citati, perché i selezionatori lo fanno: googlano il vostro nome e cognome e vedono cosa viene fuori. È agghiacciante, a tutto questo hanno perfino attribuito un nome inglese, si chiama Personal Branding, cioè la vendita di se stessi, la capacità di proporsi sul mercato come offerta

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succulenta. Sta addirittura diventando una gara di originalità, come dimostra il tentativo di un ragazzo di vendere se stesso su Amazon. E poi, se ci si è venduti abbastanza bene, arriva il fatidico momento del colloquio dove bisogna arrivare informati sull’azienda e sull’attualità, portare con sé qualche copia cartacea del CV, aver fatto qualche prova davanti allo specchio per accertarsi di non aver seguito il burlesque style, ma neanche quello “monaca di Monza”. E poi: arrivare con qualche minuto d’anticipo, non apparire né intimoriti né preoccupati, rispondere alle domande in maniera pacata e professionale, fare attenzione al linguaggio non verbale, non perdere l’occasione di fare qualche domanda. E ovviamente non fumare prima, non fumare durante e date le circostanze, se siete dei fumatori, fumarsi un pacchetto intero dopo, per scaricare tutta l’ansia non tanto per il colloquio in sé, ma per tutta la serie di regole che, in modo ossessivo, avete dovuto rispettare, prima per ottenere il colloquio, poi perché questo seguisse il canone. In fondo, si tratta di informazioni che nascono dal buon senso, ma messe così tutte insieme fanno quasi orrore, mostrandoci come oggi si voglia dall’uomo esattamente ciò che per secoli si è lottato per impedire: che sia trattato come merce. Chissà cosa direbbe Alice di un mondo come questo ma, soprattutto, chissà quale sarebbe la sua reazione nel sapere che non si tratta di un universo fantastico, ma della “realisticamente reale realtà”. Di sicuro non seguirebbe più il Bianconiglio, troppo occupata ad escogitare stravaganti metodi per impedire che il peggiore degli incubi si realizzi: quello di finire a pagina dieci!


LIBRI

DUE DI DUE ALMANACCO DEL GIORNO PRIMA di Chiara Valerio (ed. ita. 2013) (Einaudi, 350 pp., 20€) Andrea Medrano, cresciuto in una famiglia di matematici, diviene riassicuratore per persone che intendono sbarazzarsi delle loro polizze vita. Il protagonista ha dunque il compito di rivendere questo prodotto a investitori terzi, affinché paghino le rate delle assicurazioni sino alla morte dei loro intestatari per incassarne il premio. Nel bel mezzo di questo mestiere estremamente razionale e matematico, irrompe però l’irrazionalità smuovendo i calcoli: la ragione annega nell’emozione, le probabilità soccombono alla felicità e alla sua variabile più indicativa, l’amore. Per raggiungere questa consapevolezza Medrano non avrà bisogno di anni di calcoli né di viaggi oltreoceano ma del semplice, folle e, appunto, illogico amore per una donna impossibile e idealizzata: Elena Invitti. Il lato più entusiasmante della storia, a mio avviso, è il modo accattivante attraverso il quale Chiara Valerio ha saputo costruirla. Senza svelare mai nulla, il libro, diviso in tre porzioni (Infanzia, Presente, Imperfetto), diviene un grande puzzle di flashbacks e train of thoughts legati ai numeri della memoria matematica dell’Infanzia e dell’Imperfetto del protagonista. Il Presente, ancora più rarefatto di eventi narrati, lega i due momenti attraverso brevi frammenti di vita, domande al vento, esternazioni, che, lentamente, si riassemblano e vanno a rappresentare la storia portante del libro.

OLTRE IL GIARDINO di Jerzy Kosinsky (ed. ita. 2014) (Minimum Fax, 139 pp, 11€) Un giardiniere analfabeta e senza passato diventa l’uomo del futuro in meno di una settimana. Inesperto della vita, chiuso nel suo piccolo mondo formato dalla sua camera e dal giardino a cui dedica tutte le sue cure, è improvvisamente costretto a lasciare la villa in cui lavora da una vita e confrontarsi con la realtà esterna; ma, assistito dalla fortuna, egli non soccombe affatto: in meno di una settimana, l’ex-giardiniere si trasforma in Chauncy Gardiner, finanziere affermato e portavoce degli Stati Uniti. Ciò che colpisce di più è che il suo successo non è né cercato né voluto: gli eventi sembrano anzi cascargli addosso mentre lui non solo non si rende conto della loro portata, ma non ne è per nulla attratto o compiaciuto. Quello descritto da Kosinski è un personaggio vuoto in sé, che assume caratteristiche e qualità solo perché sono gli altri ad attribuirgliele: Chauncy Gardiner non sa nulla né di russo né di Finanza, le conoscenze del mondo naturale, interpretate come metafore dell’economia e della politica da parte di giornalisti e diplomatici internazionali, costituiscono in realtà tutto il suo bagaglio culturale e anche la sua unica passione (insieme al guardare la televisione). Nonostante i picchi iperbolici, il libro è la dimostrazione che un uomo totalmente ignorante può raggiungere vette intoccabili grazie alle giuste conoscenze e un pizzico di fortuna. Terribilmente bello e terribilmente vero. Voto: 4/5 di Eleonora Salaroli

Voto: 4/5 di Elisa Zamboni

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CINEMA

iLovers Her di Jonze, lʼamore viaggia a million miles away di Irene Brusa

Una lettera apre Her, il film di Spike Jonze vincitore del premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale. Theodore Twombly scrive lettere su commissione. Scrive con dolcezza per una nonna, con ardore per una giovane amante, scrive emozioni che altri non sanno spiegare ma semplicemente vivono. Theodore sente la delicatezza dell’amore eppure non può averlo, schiacciato dall’insicurezza. Di notte cerca compagnia su chat erotiche, di giorno è silenzioso e pacato. Con lo sguardo sperduto di uomo incompleto, prova a vivere. La città è una Los Angeles immobile nel tempo, con grattacieli affusolati e pochi alberi a striare d’ombra i path urbani. È un mondo sfocato, con accese punte di rosso, una caramella che di notte si sbrana con migliaia di led. Jonze compone questo ambiente minimalista e pochi altri personaggi: l’ex moglie Catherine, qualche collega e un’amica, Amy. La routine di Theodore si romperà grazie a un sistema operativo super intelligente, ultimo prodotto della tecnologia. Questo computer si dà nome: Samantha. Lei comunica esattamente come farebbe un essere umano, e di questa voce cosciente Theodore riempie i suoi giorni, colmando l’umana solitudine con la quale non sa convivere. Non adatto a sciogliere i nodi di un matrimonio naufragato, s’innamora dell’impossibile, di quell’amore purissimo che gli era stato negato; infatti gli è nuovamente concesso il sentimento insaziabile, notti in bianco e

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felicità incontenibile. Insieme a Samantha, Theodore rinasce: incapace di tornare alle difficoltà di una storia normale, sceglie una vita a metà. Sotto al benevolo occhio di Samantha, il suo amante inizia a scordare responsabilità e dolore. L’unico tentativo di portare la relazione sul piano fisico non può funzionare, esce dai limiti che Theodore riesce ad accettare. Nel film originale, Scarlett Johansson presta la voce a Samantha, ed è imperdibile nella canzone A million miles away. La felicità inizia a sfiorire in modo inaspettato, come accade in ogni rapporto umano. Esattamente per questo, Theodore ne è distrutto, e da

Il passato è solo una bellissima storia, che ognuno racconta a se stesso, e val sempre la pena di lasciare ciò che è certo per il nuovo quel momento l’inquadratura passa sul piano orizzontale, la dimensione delle emozioni, della fragilità: Theodore piange l’amore perduto, piange la banalità che è anche nelle cose più incredibili. È la fine di un cerchio mai aperto. Her è un film totale. Intelligenti i dialoghi, elegante la fotografia, la musica di una delicatezza struggente. Theodore è così sinceramente smarrito nel suo amore, da non poter essere ignorato neppure dai più

cinici. I due innamorati sono fatalmente destinati a lasciarsi, eppure sono capaci di concedersi un lusso, un attimo di felicità. È la bellezza delle relazioni umane, quei fili che ci connettono senza apparenti motivi, emozioni e ragione che si mescolano finché l’equilibrio le sostiene, e poi è caduta e di nuovo vita. Come Theodore, collezioniamo ricordi. Ma il passato è solo una bellissima storia, che ognuno racconta a se stesso, e val sempre la pena di lasciare ciò che è certo per il nuovo. Her è pace e furore, il male più sconcertante e la speranza. Sentimenti che all’uomo è dato vivere un’infinità di volte, fardello e conquista. Verso la fine, Amy dice: «Posso trovare mille ragioni per dubitare di me stessa, ma ho realizzato che noi siamo qui solo brevemente, pertanto voglio concedermi... gioia!». L’unico dono che possiamo concederci e regalare, infinite volte.


NOTA BENE Notizie, eventi, recensioni

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MUSICA

E chi se ne frega della… Museica!

di Cristina Ferrulli

Caparezza torna finalmente ad animare la scena musicale italiana a tre anni di distanza da Il sogno eretico. Anticipato dai due singoli Cover e Non me lo posso permettere, il suo sesto album di inediti è il risultato di un esperimento, la fusione di due arti completamente diverse: la pittura e la musica; Museica sarà la vostra audioguida nella mente aggrovigliata (dai ricci e non solo) del rapper pugliese. Infatti, come Michele scrive nella sua pagina Facebook: “Ogni brano prende spunto da un’opera pittorica che diventa pretesto per sviluppare un concetto”. Connubio che parte dalla copertina-dipinto realizzata appositamente dall’artista Domenico Dell’Osso. Disponibile dal 22 aprile in versione CD, LP e in formato digitale. Perdervelo? Non ve lo potete permettere!

Croz – David Crosby di Elisa Zamboni Sì miei cari, avete letto bene: David Crosby è di nuovo in pista dopo ben ventun anni dall’ultimo album solista A Thousand Roads. Né aggrappato nostalgicamente al passato, né proiettato esclusivamente verso un sound totalmente giovanile, Croz è un album in grado di sintetizzare i folks giovanili di James Raymond, figlio di sangue di Crosby ricongiuntosi col padre, e di Marcus Eaton, suo pupillo delle sei corde, con le presenze musicali “vecchia scuola” di Jeff Pevar, Mark Knopfler e la sua indomita chitarra e del trombettista Wynton Marsalis. Eh no, non mi dimentico di lui: Crosby rimane protagonista indiscusso del suo sound con la sua voce immortale, inscalfibile dal tempo, calda ed espressiva come sempre.

«Forse si trattava di accettare

la vita come una festa» di Francesca Lacqua

Ci sono dischi più o meno immediati da recensire: Costellazioni de Le Luci Della Centrale Elettrica, uscito per La Tempesta dischi lo scorso 4 marzo, appartiene a questa seconda categoria: vuoi per il rapporto mio personale con il disco e l’autore, vuoi per l’attesa che ne ha circondato l’uscita, vuoi - soprattutto - per la densità semantica, linguistica e musicale di queste quindici tracce. Si torna da viaggi di quattro anni (Le ragazze stanno bene) tanti quanti gli anni dall’ultimo lavoro dell’autore ferrarese -, più maturi; l’adolescenza, quella dove andavamo a vedere le Luci (Piromani), quella con i dischi di post punk inglese (Una cosa spirituale), pare finita. Anche Debussy è caduto nella Senna (Ti vendi bene). Si tratta di un album con un qui: dove anche le rondini si fermano il meno possibile, dove tutto mi

sembra indimenticabile e un altrove che sta 40, a 20, a 70 km a 30 km (40 km) o tra le stragi in Medioriente o in questa Europa in declino (Punk sentimentale), separati soltanto da una bellissima Odissea.

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=D

QUEL FASTIDIO, QUEL PRURITO... Disclaimer: qualcuno potrebbe offendersi, si spera di Giorgio Intropido

Navighi su internet, beato come ogni giorno, illuso che del 1789, questi tronfi appartenenti al non-partito le informazioni che immagazzini possano prima o poi di Grillo riassumono in sé tutti i difetti dell’utenservirti a qualcosa nella vita, come una laurea trien- te medio di Internet, di quella rete che il comico nale. E ovviamente stai attento a filtrare quelle infor- genovese continua a confondere con il suo blog. mazioni in modo tale da poterle rielaborare una volta Signoraggio, scie chimiche, impianti sottocutanei, Ilacquisite: non vorrai fare brutte figure spacciando per luminati, Ka$ta, massoneria, banche e poteri forti, vero qualcosa che non lo è, tipo che i film di Taran- complotti massonico-giudaici, peni subliminali disetino sono belli o che i dj sono davvero dei musicisti. gnati nei cartoni Disney, Biowashball e altre stronUna minima dimestichezza con lo strumento Google zate. Tutto buttato nel calderone del web dove se permette a chiunque di verificare le fonti, ottenere qualcosa di buono è riuscito a uscire dalla bocca informazioni valide ed evitare quegli autori che utiliz- del Movimento 5 Stelle, è stato ricoperto dai miasmi zano i termini femminicidio, cloud e social nello stesso del pressapochismo e della superficialità - due pilastri fondamentali senza i quali pezzo; un abominio. Quindi ti tappi Questi tronfi appartenenti al Internet sarebbe davvero un bel il naso e tieni da parte il buono posto - dei più. e scarti il marcio, e mentre esegui non-partito di Grillo Hai esaurito ciò che rimane tale operazione prima di apprestarti riassumono in sé tutti i difetti della tua fede nell’umanità e a scrivere il tuo articolo, ti cade l’occhio sulla tv accesa in sala. È dell’utente medio di Internet, decidi di lasciar perdere i buoni di scrivere un articolo sintonizzata su La7, va in onda una di quella rete che il comico propositi più o meno degno di questo trasmissione che nei suoni ricorda i genovese continua a nome, scegliendo la più facile Cannibal Corpse e nelle immagini un e divertente opzione di sparare film dei fratelli Marx. Qualcosa che confondere con il suo blog sulla Croce Rossa. È così che è assomiglia molto a un incidente in galleria, o a uno spettacolo di Dario Fo: praticamente nato questo pezzo. E mentre lo scrivi l’unico penversi e rumori e basta. È condotto da un ex leghista/ siero positivo va alla caparbietà e alla perseveranza chitarrista che ora fa la corte ai grillini, e gli ospiti in con la quale i pentastellati portano avanti le loro studio sono in piedi, sì, perché “gliela dobbiamo fare battaglie - anzi, pardon - quelle del capo. pagare alla Ka$ta!!!”. Non vorresti sentire quello che blaterano i politicanti presenti, oppure quello che urla la tifoseria, pardon, laggènte in studio, ma è inevitabile. La vena sulla fronte comincia a pulsare e la tachicardia si fa presto sentire, così butti un occhio allo smartphone, apri Flipboard e non credi ai tuoi occhi. Tra le fonti citate compare… il blog di Beppe Grillo. Cos… eh? Davvero? È un complotto. Ti accorgi che per il nervoso stai picchiettando il mouse con le dita, la gamba si muove da sola a ritmo incontrollato. Nel frattempo alla tv un esponente del M5S - con gli occhi troppo vicini tra loro perché si possa anche solo considerare in qualche modo la sua opinione - si riferisce ad un suo collega chiamandolo cittadino. CITTADINO. Neanche fossimo nella Francia

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ARTE

IMPRESSIONI MOLTEPLICI La mostra su Pissarro fa discutere. Noi abbiamo tentato di chiarirci le idee con lʼaiuto di Pietro Allegretti di Camilla Rossini e Elisa Zamboni

Se si dovesse scegliere una parola, una sola, per descrivere la mostra su Pisarro alle Scuderie del Castello, questa sarebbe multisensorialità: ogni senso, infatti, viene stimolato per raggiungere una condivisione artistica di 360 gradi. Per primo il gusto: con il biglietto c’è in omaggio un caffè, offerto da uno degli sponsor della mostra. No, non è un modo per tenervi svegli, bensì per mettervi a vostro agio e magari, perché no, convincervi a comprare una delle tante macchinette esposte. Il primo impatto con il percorso espositivo, varcato l’ingresso, è uditivo: una voce recita brani tratti dal libro Vortici di Gloria, il romanzo degli impressionisti, di Irving Stone. Ciò che invece colpisce subito la vista sono dei bei video proiettati a tutta parete, uno per sala, mirati ad affrontare una fase differente della vita del pittore. A ogni ambiente - a voi l’olfatto signori miei! - è dedicato un profumo, la cui composizione è di volta in volta spiegata con scritte fantasiosamente sinestetiche. L’ambiente è generalmente scuro e confortevole, grazie anche ai morbidi divani (ed ecco, se vogliamo, il tatto) che facilitano la visione.

qualità. D’altro canto, si sentono molti che, all’uscita, lamentano la “scarsa rilevanza” delle opere esposte. «Non facciamo le mostre a peso, a chilo - ribatte Allegretti. - Non si può raccontare la storia di un artista facendo vedere solo i suoi capolavori. Sarebbe una finzione. Occorre far capire al visitatore che, parlando di Pissarro, i Boulevard parigini sono l’esito di un lungo processo creativo». E il biglietto? Il costo di 15 euro, parecchio superiore al prezzo d’ingresso ordinario per una mostra (si pensi anche solo a Palazzo Reale), e l’assenza di vere riduzioni per categorie particolari, quali gli universitari (in una città universitaria!) hanno scatenato non poche perplessità. Abbiamo posto anche questa domanda ad Allegretti. Questa la sua risposta: «Se è accettabile spendere 15 euro per una pizza e una birra in pizzeria deve esserlo per vedere una mostra. Come non ci sono agevolazioni per i concerti, così non ha senso che ci siano per le mostre. Dietro al nostro tipo di mostra c’è un lavoro lunghissimo di molti professionisti, oltre alle opere. Con un paio di spritz si riesce a entrare a vedere lo spetta-

E, a questo punto, la domanda sorge colo che abbiamo creato. Un spontanea: ma le opere, in tutto queQuel che è certo è che, con sacrificio forse, ma crediamo sto? Le opere, per dirla così, si nola mostra di Pisarro, siamo ne valga la pena». Il dubbio, in tano in un secondo momento, dopo verità, a noi resta: il concetto essere stati preparati a sufficienza di fronte a qualcosa di che si vuole trasmettere con dal corredo audiovisivolfattivo, in parqueste analogie è che l’arte sia nuovo, in bene o in male ticolare dai video che proiettano sulla un prodotto da assaporare con parete i quadri esposti, zoomati, for- che sia. E ciò che è nuovo fa gusto, o piuttosto da consumanendo spiegazioni e chiarimenti. Ma discutere, re nel tempo di un’ora? Quel in tutta questa multimedialità, i dipinche è certo è che, con la moe discutere allena la mente ti, che ci aspetteremmo protagonisti, stra di Pisarro, siamo di fronte non rischiano di passare in secondo piano? «La multimedialità ora fa parte della nostra vita. a qualcosa di nuovo, in bene o in male che sia. Quello che cerchiamo di fare è potenziare al massimo E ciò che è nuovo fa discutere, e discutere allena la predisposizione del visitatore alla ricezione delle la mente. Preferiamo, dunque, che ve ne facciate opere: creiamo una sorta di silenzio multimediale un’idea sperimentandolo in prima persona. A meno in cui ascoltarle», risponde Pietro Allegretti, presidente che non preferiate una pizza. di Alef, la società curatrice della mostra. «Pensiamo che una mostra non sia un museo, ma qualcosa di Ps. Volete provare a visitare la mostra senza l’onedifferente, a metà strada tra il teatro e il museo re del biglietto, ma non vi pare il caso di forzare se proprio dobbiamo collocarla in uno spazio». Ed è serrature? Un modo in realtà ci sarebbe: guardate proprio simile al teatro la cura puntigliosa della perla prossima pagina… formance, delle luci, della scenografia, di grandissima

INCHIOSTRO APRILE 2014 19


la Redazione di Inchiostro, in collaborazione con Alef S.r.l., indice il

CONCORSO: AUTORITRATTO CON...

In un periodo dominato dai selfie, l’ambizione di tutti sembra quella di fissare la propria identità. Oggi come ieri, l’espressione artistica sembra il modo più efficace per mostrare agli altri l’immagine che si ha di se stessi: in una parola, l’autoritratto.

Fotografie, Poesie, Disegni Potete: - completare il “con” del titolo con ciò che preferite: una qualità, un oggetto, una persona... - ritrarre voi stessi indirettamente, attraverso una realtà esterna che vi rappresenti; - usare qualunque strumento o tecnica (nei limiti della legalità :P). IN PALIO:

DIECI INGRESSI GRATUITI* PER LA MOSTRA DI PISARRO

alle Scuderie del Castello fino al 2 giugno 2014 mandate le vostre creazioni entro e non oltre il

7 MAGGIO 2014 all’indirizzo

inchiostroarticoli@Gmail.com Regolamento e modulo di iscrizione su www.inchiostro.unipv.it

20 INCHIOSTRO APRILE 2014

*così ripartiti: 3 ingressi per 2 persone, 4 ingressi per una persona


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