Inchiostro n°147 – Maggio 2016

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Maggio 2016 - N.147

ELEZIONI UNIPV Sai che tra poco si vota? 18 - 19 Maggio

GLI SCAPIGLIATI Il 17 aprile 2016 si vota per le trivellazioni in mare

I DETECTIVE SELVAGGI Due natiche enormi e ondeggianti

Leggere “Inchiostro” può creare dipendenza. Se ne consiglia pertanto la lettura a tutti, studenti universitari compresi. Seguici anche su Facebook, Twitter e Instagram.


INCHIOSTRO -SINCE 1995-

IN QUESTO

NUMERO 5 Inchiostro, anno XXI, # 147, maggio 2016 è un’iniziativa realizzata con il contributo concesso dalla Commissione Permanente Studenti dell’Università di Pavia nell’ambito del programma per la promozione delle attività culturali e ricreative degli studenti.

Fondi ACERSAT 2016: 6916€ Registrazione n. 481 del Registro della Stampa Periodica Autorizzazione del Tribunale di Pavia del 13 febbraio 1998 Sede legale: via Mentana, 4 - 27100 Pavia

Direttore responsabile: Simone Lo Giudice Direttore editoriale: Matteo Camenzind Direttore web: Giorgio Di Misa Caporedattori: Lorenzo Giardina, Barbara Palla Redazione: Claudia Agrestino, Antonio Elio Caroli, Tony Emmanuello, Riccardo Foti, Valentina Fraire, Sofia Frigerio, Federico Mario Galli, Sandra Innamorato, Lisa Martini, Federica Mastroforti, Ludovica Petracca, Eleonora Puma, Roberta Rocca, Andrea Zefferini, Edoardo Depaoli, Ettore Pasquinucci, Gabriele Citro

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#IJF16 Fare la notizia

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di Sandra Innamorato

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#IJF16 Giornalismo in Italia

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di Lorenzo Giardina

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Elezioni UNIPV

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di Ludovica Petracca

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Gli scapigliati a Pavia

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LSD - I detective selvaggi

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Sondaggio

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Relax

Mandato in stampa il 9 Maggio 2016 presso l’Industria Grafica Pavese s.a.s. - 27100 Pavia

Info? Chiama il 392 78 01 603 oppure scrivi a inchiostropavia@gmail.com

#IJF16 Giornalismo libero di Claudia Agrestino

Gestione social network: Lionella Danque, Marina Girgis Correttori di bozze: Silvia Bernuzzi, Lorenzo Giardina, Barbara Palla, Ludovica Petracca, Andrea Zefferini

di Barbara Palla e Lisa Martini

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Grafica e impaginazione: Valerio Marco Ciampi, Marina Girgis, Danny Raimondi Collaboratori di redazione: Ignazio Borgonovo, Elisa Enrile, Niki Figus, Giorgia Ghersi, Oriana Grasso, Elisabetta Gri, Sara Valdati

Panama Papers

di Eleonora Puma

di Sofia Frigerio

di Federico Mario Galli

di Niki Figus


Italia e Unioni Civili di Niki Figus

Qualche tempo fa, rimasi stupito guardando Chocolat. Non tanto per la storia, una commedia romantica veramente godibile, quanto per il fatto che vi venga citata Pavia. Sì, Pavia, la nostra bella cittadina universitaria (controllate, se non mi credete). Mi sono chiesto, allora, perché sia così famosa, perché se dico «studio a Pavia» fa un certo effetto. Forse perché si tratta di una delle Università più vecchie d’Europa, con una tradizione scolastica più che millenaria. L’Università di Pavia, l’unica in Lombardia fino al 1923, ha significato tanto (chiunque si sia perso la storia di Napoleone e dell’elefante del re di Francia, faccia in modo di scoprirla). Ma chi è l’anima dell’università? L’Università è un’istituzione, ossia un gruppo di persone che si riunisce. Universitas studiorum, dunque raggruppamento degli studi, degli studenti. Siamo noi, l’anima dell’università, in quanto suo unico genere strutturante (una scuola senza docenti è triste, senza allievi è inutile). Siamo noi a definire quanto vale la nostra Università, siamo noi a renderla quello che è e che sarà. Ad ognuno la sua parte. Buon maggio e buoni esami! M. C.

P.S.: cerca “Birdmen”, l’allegato semestrale di cinema, tv e teatro #birdmenunipv

Le acque poco cristalline dei paradisi fiscali di Barbara Palla e Lisa Martini Bahamas, Samoa, Isole Vergini Britanniche, l’inizio della pubblicità di una crociera estiva: uno già si vede su una delle tante spiagge bianche, in costume e cappello di paglia, con in mano un ananas pieno di tequila all’ombra di una palma. La sdraio, i cuscini, niente bambini che giocano a calcetto e ululano da sopra lo scivolo del pedalò, niente “cocco bello”, un paradiso insomma. Sì, ma un paradiso fiscale. Quello che il caso dei Panama papers rivela è che in questi luoghi caraibici e non, si nascondevano i patrimoni della politica e dell’alta finanza. All’inizio del mese di aprile, 109 società editoriali e 376 giornalisti hanno pubblicato sulle più importanti testate internazionali gli stratagemmi che leader politici, starlette delle televisioni, attori e sportivi famosi, nonché grandi imprenditori e istituti bancari, avevano messo in piedi per nascondere i propri patrimoni. Una fuga di notizie, la più grande della storia, che ha messo a disposizione dei giornalisti circa 11,5 milioni di documenti provenienti dai registri e dall’archivio dello studio Mossack Fonseca. Una dura prova per coloro che hanno dovuto verificarne, prima, l’autenticità e, poi, analizzarne il contenuto.

Investigare negli affari altrui, soprattutto se si tratta di soldi, non è una novità. Nel 1997, infatti, è stato creato l’ICIJ, “International Consortium of Investigative Journalists”, un gruppo di giornalisti, tecnici, informatici, specialisti “appassionati” di corruzione e crimini transnazionali. A questo team partecipano attivamente diverse testate internazionali, per l’Italia ne fanno parte i giornalisti de «L’Espresso». Per un anno, le redazioni e il Consorzio hanno discretamente collaborato per dare vita a ciò che possiamo considerare uno dei più grossi scandali finanziari del XXI secolo. Ma alla base di tutto giace una domanda: qual è l’epicentro di questo terremoto finanziario? I dati esplosi dal nulla, infatti, non avevano origine certa; si sapeva che erano trapelati dallo studio Mossack Fonseca e che erano poi stati consegnati nelle mani giuste. Il blocco di informazioni, infatti, era stato passato anonimamente al quotidiano tedesco “Süddeutsche Zeitung”, tramite un informatore che aveva comunicato attraverso una piattaforma di chat criptata direttamente con i giornalisti della redazione. La fonte non ha voluto nulla in cambio tranne l’impegno massimo dei giornalisti nel fermare gli affari loschi che, da anni, si

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I FATTI DEL 2016

Panama Papers di B. Palla e L. Martini

muovevano nel sottosuolo del mercato finanziario. Il quotidiano tedesco ha subito coinvolto l’ICIJ, per poterne sfruttare l’esperienza investigativa e accertare la veridicità dei documenti. Proprio come succede nei momenti in cui il mondo è investito da un evento stravolgente, circa 400 sconosciuti, con in comune il proprio lavoro, hanno iniziato a disegnare una mappa per poter svelare, documento dopo documento, chi fossero realmente i pirati del paradiso fiscale. Si sono riuniti in varie città, tra cui Washington e Monaco, ognuno munito delle proprie tecnologie e conoscenze, ed hanno iniziato a percorrere insieme quel viaggio che li avrebbe portati alla scoperta di ciò che realmente giace all’ombra delle palme dei paradisi fiscali. Da uomini politici a personaggi famosi, da imbroglioni, o, peggio ancora, trafficanti di droga, ad atleti: il caso non ha lasciato fuori nessuno. Gli incontri servivano per organizzare il lavoro, per trovare il primo bandolo della matassa, l’inizio di uno scandalo di dimensioni quasi paragonabili a quelle del buon vecchio Titanic. Ma come sono saltati fuori questi nomi? Tra i 2,6 terabyte di file, email, documenti in pdf, copie di passaporti, certificati e immagini come è stato possibile scoprire tutti questi evasori?

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Ogni redazione, con estremo impegno e dedizione, ha quotidianamente analizzato quei documenti e li ha riuniti in una banca dati realizzata con il riconoscimento ottico dei caratteri (OCR). In questo modo gli investigatori hanno potuto cercare tra i file tutti coloro ritenuti responsabili o “complici”.

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Ma come si fa a trovare la specificità nella generalità, il singolo nella moltitudine? Per prima cosa si crea una lista in cui appaiono politici e persone note a tutti, si prende una di esse e la si ricerca tra i vari documenti. Ma se non si trova nulla di eclatante? Si continua, insistendo e allargando il giro, ovvero, si coinvolgono le persone più vicine ad essa, amici vicini, colleghi di lavoro. Questi nomi vengono corroborati da collaboratori che lavorano in ONG o da investigatori. La difficoltà, nel risalire la china di questa massa di documenti, sta proprio nel fatto che non saranno i nomi dei personaggi a comparire direttamente nei registri, ma degli intermediari, dei prestanome, che agiranno per conto dei potenti nella gestione dei soldi, delle transazioni e delle società che lo studio Mossack Fonseca aveva contribuito a creare. Tutti i registri e le catalogazioni contengono anche degli alter ego sconosciuti che servono a nascondere, confondere chi legge, nomi che sono stati usati da vari personaggi per l’apertura delle società offshore più disparate. Con un po’ di fortuna, per la somma gioia dei giornalisti investigativi, ogni tanto quegli intermediari sono proprio i membri della famiglia dei potenti, con i loro veri nomi, il che porta a stringere il cerchio molto più rapidamente: a un tratto la storia che si vuole raccontare non sembra più un ago in un pagliaio. Si capisce dunque come la collaborazione tra redazioni si sia resa necessaria, poiché nessuna di esse poteva analizzare tutto l’archivio da sola. I vari giornalisti coinvolti si riunivano per potersi aggiornare ma, quando si trovavano nelle proprie redazioni, comunicavano solo

Panama Papers di B. Palla e L. Martini

I FATTI DEL 2016

attraverso delle linee criptate, per evitare che dalla fuga di notizie del secolo ne scaturisse una altrettanto grave. Non tutti si sono concentrati sugli stessi aspetti. Le redazioni inglesi si sono occupate in modo particolare della cerchia del Presidente russo Vladimir Putin, la BBC si è concentrata nel dimostrare e confermare i loschi affari degli ex-Presidenti di Libia ed Egitto, Gheddafi e Mubarak, nonché del Presidente siriano alAssad. Il “Süddeutsche Zeitung” si è lanciato in affari più prettamente calcistici, investigando sui vertici della FIFA; mentre in Francia, “Le Monde” e il canale televisivo France 2 hanno messo in evidenza le zone d’ombra dei finanziamenti della cerchia dei Le Pen, la famiglia alla guida del partito di destra radicale del Fronte Nazionale. Nel frattempo, «L’Espresso», in Italia, ha rivelato una lista di personaggi famosi, anche troppo famosi, coinvolti nei documenti analizzati. Per tutte queste informazioni, con tutte le ripercussioni avutesi a livello internazionale, la fonte ha voluto soltanto una cosa: la giustizia. Giustizia nei confronti di chi regolarmente espone tutto ciò che lo Stato richiede, giustizia per chi mette il proprio nome negli affari e molte volte questo atto gli si ritorce contro, giustizia per tutti coloro che non possono fare nulla per combattere le mafie.

provvedono alla creazione di una società ombra, che sarà la proprietaria dei fondi da nascondere e che creerà uno specchio tra i soldi e il magnate, le società offshore, appunto. Queste società non necessitano di grandi palazzi, uffici o personale, possono ridursi anche solo ad una casella postale che ne rappresenta la sede legale. L’aspetto più importante è che, a capo di queste società, vi siano delle persone che non diano la possibilità di stabilire alcun possibile legame con il magnate stesso, dei prestanome che ne facciano le veci. Una volta creata la società, il magnate può godersi i propri soldi. Per poterli spendere però, il magnate e i suoi prestanome devono ricorrere ad altri artifici finanziari, per evitare i meccanismi internazionali di tracciamento. I trasferimenti vengono fatti rimbalzare da una società all’altra, magari società offshore di amici, o amici di amici (del resto quando si è nel giro si hanno anche queste conoscenze), rendendo difficile seguirne gli spostamenti. Meglio ancora se questi sono fatti in breve tempo, che so, nell’arco di una giornata, magari.

. Società offshore, istruzioni per l’uso

Nel mondo dell’alta finanza poi ci vanno a nozze, è un altro meccanismo per fare un profitto assurdo, oltre all’inondare il mercato di azioni che eliminano la concorrenza, sulle quali non viene pagata alcuna tassa. Non tutte le società offshore sono aperte a scopo illegale, alcuni se ne avvalgono per proteggersi e non per nascondersi. Chiaramente però il beneficio offerto invoglia chi è malintenzionato. Inoltre, essere titolare di una società offshore non è di per sé illegale, anzi è permesso. Il reato si ha nel momento in cui quei soldi sono usati a fini di corruzione, per favorire attività illegali o per evadere il fisco del proprio Paese di produzione o di appartenenza. Ed è proprio quello che la collaborazione giornalistica ha provato a dimostrare.

Prendiamo un ricco magnate di un qualsivoglia settore che abbia una discreta fortuna che non vuole dichiarare al fisco del Paese in cui risiede o nel quale produce. Egli si può rivolgere al proprio commercialista o avvocato fiscalista, il quale deve però avere un giro un po’, come dire, alternativo, dato che deve reindirizzare il suo cliente verso uno studio di altri avvocati, esperti in paradisi fiscali internazionali. Un paradiso fiscale è quello Stato che ha delle leggi sull’attività finanziaria morbide e flessibili, un’elevata segretezza sulle attività finanziarie che vi si svolgono e, per non farsi mancare nulla, una tassazione bassissima, quasi inesistente. Così facendo lo Stato sceglie di attirare flussi imponenti di capitale straniero; solo straniero però, perché i residenti non hanno questo tipo di privilegio. Gli avvocati esperti dunque reindirizzano il magnate verso il paradiso più confacente alle sue esigenze: magari uno che abbia accordi di riservatezza più elevata su conti e depositi (quella stessa che esiste in Svizzera e a Montecarlo), o magari uno che garantisce una maggior sicurezza (come il Delaware, uno staterello americano che ha un livello di protezione delle identità dei proprietari e dei prestanome che decidono di nascondervi i propri patrimoni molto elevato). Una volta scelto il luogo, gli avvocati esperti

I politici internazionali non hanno delle posizioni troppo chiare in merito; alcuni le difendono, perché ritengono siano un metodo efficace di movimento dell’economia internazionale, altri se ne avvalgono.

La prima regola del giornalismo rimane la stessa: follow the money.

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I FATTI DEL 2016

Italia e Unioni Civili di Niki Figus

SPECIALE

nemmeno più avere paura di parlare a voce alta nei luoghi pubblici, di scrivere la propria opinione su un social network, di prendere posizione politica in un articolo. È con questa speranza che Kadri Gursel e Canan Costun, due giornalisti turchi, continuano a scrivere denunciando i soprusi subiti dai media nel loro paese. Quei media diventati in gran parte “altoparlanti del governo” poiché da esso sono sfruttati per fare propaganda e “imbavagliare” chiunque si opponga alle decisioni liberticide del Premier Erdogan. Kadri continua a fare giornalismo anche se la testata per cui lavorava lo ha licenziato e Canan sta aspettando una sentenza per la quale potrebbe essere dichiarata colpevole di calunnia, e quindi condannata a 23 anni di carcere, o assolta. Nel frattempo però continua a scrivere e denunciare.

Una speranza per il GIORNALISMO LIBERO

inchiostropavia@gmail.com

di Claudia Agrestino

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Il 20 aprile, Reporter senza frontiere ha pubblicato l’annuale Classifica della libertà di stampa nel mondo, agghiacciante ritratto della lenta e inesorabile polverizzazione del diritto di informazione e di libertà quali quella di espressione e pensiero. Essa colpisce non solo i paesi in cui la guerra e i regimi totalitari impediscono un qualsiasi tentativo di “far chiarezza” e portare alla luce la verità, ma anche i baluardi delle libertà e dei diritti umani per antonomasia, l’ Europa e gli Stati Uniti. Così l’Italia scende al 77esimo posto e i “democraticissimi e apertissimi” States vengono sorpassati perfino dagli Stati africani. Proprio a questo tema di fondamentale importanza, il Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia ha dedicato ampio spazio poiché chiunque si affacci al meraviglioso mondo del giornalismo, lo fa in primis per il desiderio di poter dare un contributo vero alla società, denunciando ciò che non funziona, facendosi portatore di verità e giustizia nel proprio paese per migliorarlo. Come

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si fa però quando ogni giorno, uscendo per recarsi in redazione, si rischia di essere minacciati, picchiati, arrestati, rapiti o ancor peggio uccisi? Come si può continuare a svolgere questo lavoro in un clima in cui tutti, governo, criminali, ricchi industriali, polizia si coalizzano contro gli organi di informazione e provano a metterli a tacere? Come si fa ad andare avanti dopo che il tuo amico di sempre, il collega di fiducia, tua madre, tuo fratello sono stati uccisi, sapendo che prima o poi, presto o tardi, toccherà anche a te? La risposta è una sola: Coraggio. Coraggio ma, in realtà, anche amore infinito per la propria professione, per quel mestiere che in fin dei conti diventa tutta la tua vita. Amore per la verità e per la giustizia, ma anche per i diritti umani, e tanta speranza che il futuro riservi un cambiamento radicale positivo, grazie al quale le nuove generazioni, oltre a non dover vivere più la guerra e la violenza, non dovranno

È con speranza che Ignacio e Danae, giornalisti indipendenti, continuano a informare il popolo di Cuba e Nicaragua, senza arrendersi davanti alle enormi barriere costruite dalle autorità che provano ad impedire loro di reperire informazioni, accedere a dati, intervistare testimoni, trovare lavoro presso le testate “ufficiali”. Spesso per loro è meglio fingere di non essere giornalisti, solo così possono eludere la stretta sorveglianza dei regimi e agire attraverso il web, uno strumento non tanto sviluppato ma sempre più potente. Speranza è anche la parola che conclude il discorso di Marcell Shehwaro, attivista e blogger siriana che deve convivere tutti i giorni con le violenze perpetrate dal regime di Assad e, in parallelo, dai militanti dell’ISIS. Ha perso sua madre e i suoi amici, è stata lei stessa arrestata, minacciata e cacciata via. Eppure, anche lei non si arrende, e con i suoi “Dispatches from Syria” continua ad informare per eliminare lo stereotipo dilagante della Siria “inferno irrecuperabile”, ispirare, continuare a sperare. Ancora una volta, attraverso il web che, se usato con criterio, può diventare un’arma potentissima in una battaglia combattuta sempre di più a “colpi di social e tastiera”. Se i siti web non vengono posti sotto il controllo del governo, infatti, diventano una piattaforma attraverso la quale chi condivide le stesse idee può esprimerle liberamente. Esattamente come i giovani egiziani che su Facebook pubblicano video parodia dei discorsi del presidente Al-Sisi in stile “Muppet” o i Sauditi che invece sfruttano Twitter come una sorta di Parlamento virtuale.

Tanti sono gli esempi che si potrebbero citare perché, purtroppo, la situazione è grave e quegli organi di informazione che si dicono “liberi” non le dedicano sufficiente importanza. L’IJF, però, ha permesso a molti giornalisti, più o meno esperti, di “imbattersi” in questo tema e di incontrare alcuni veri testimoni della guerra silenziosa alla ri-conquista della libertà. Libertà di stampa e libertà di esprimersi ma anche di pensare e il pensiero, si sa, è l’arma più potente che ci sia contro la barbarie di chi agisce solo per mezzo di violenza e repressione. Nessuna pistola, nessun coltello, nessuna prigione, nessuna tortura potrà mai battere la penna del giornalista che lotta per la libertà e per la verità. Mai.

L’Europa, i nazionalismi, e le destre al potere di Barbara Palla Le storie del Festival di Perugia raccontano di una società che sta cambiando per effetto combinato di nuove sfide transnazionali che percolano nei vari Stati, ridisegnando i limiti delle politiche comuni dell’Europa unita. L’intervento di Eva Giovannini, in occasione della presentazione del suo libro, permette proprio di astrarsi, per dare un colpo d’occhio al contesto generale. Lei seleziona, infatti, una serie di eventi sintomatici di una crescita, diventata ormai sensibile, dei movimenti di destra e di estrema destra. Una recrudescenza che ha subito un’impennata recente, ma non è che l’effetto dell’onda lunga della crisi economicofinanziaria del 2007-2008. Abbiamo assistito, quest’anno, in Francia, alla schiacciante vittoria del Fronte Nazionale alle elezioni amministrative, per le quali è diventato il primo partito a livello nazionale. La Grecia sull’orlo del default ha visto la rinascita fulminea del movimento di estrema destra, Alba Dorata, tanto da lasciare più di un analista nel dubbio che potesse conquistare il governo. L’Ungheria guidata dalla destra radicale di Viktor Orban ridisegna oggi la propria identità, eliminando ogni influenza esterna, sia passata che presente, in una forma di nuova autarchia. La stessa Italia ha assistito alla trasformazione del discorso

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I FATTI SPECIALE DEL 2016

#IJF di Agrestino, Palla, Innamorato, Giardina

leghista dall’indipendenza della Padania verso una politica onnicomprensiva delle realtà sociali, oppresse da un susseguirsi di governi incapaci di risolvere la crisi del settore produttivo. Una trasformazione progressiva che ha fatto leva principalmente sull’insicurezza economica. La retorica di destra ha, infatti, sedotto le fasce deboli del mondo del lavoro: i giovani che devono ancora entrarvi, i disoccupati o cassaintegrati che hanno difficoltà a rientrarvi e i pensionati che ne sono usciti, ma che devono continuare a ricevere i contributi versati. Questa situazione precaria crea una fluidità politica nuova, all’interno della quale diventa più facile cavalcare l’onda della rabbia, dando risposte immediate, invece di pensare a soluzioni di lungo termine. In un contesto del genere, l’immigrazione diventa uno strumento politico a servizio dei capi dei movimenti. Viene declinato, da un lato, in termini economici per mantenere il sostegno delle piazze, ma, dall’altro, è usato per attaccare in modo diretto le strutture governative, non solo indebolite, ma percepite come non più rispondenti alle reali esigenze dei paesi. Così, dunque, sembra spiegarsi il rafforzamento di quei partiti che esistono da tempo, ma che escono solo ora dall’ombra. Sfruttano la frustrazione raccolta durante il periodo di lontananza dalla scena politica principale per promuoverla come elemento primario del programma elettorale. Una rabbia giustificata, oggi, in virtù di un nemico comune: il migrante, percepito come invasore a causa dei privilegi soprattutto economici di cui potrebbe essere destinatario. Il fatto che i migranti siano musulmani e/o sub-sahariani, quindi non solo stranieri ma anche diversi, è semplicemente un altro asso nella manica dei leader xenofobi. Tutti questi elementi si coagulano in un nazionalismo che riesuma una retorica che non si sentiva ormai dagli anni ‘30. In questo contesto si inseriscono le esplosioni violente della rabbia, covata sotto le ceneri della crisi economica, espresse da Pegida, il movimento dei patrioti europei contro l’islamizzazione dell’Occidente e dell’AFD, l’Alternative für Deutschland,

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partito di destra radicale che ha dimostrato tutta la sua forza alle elezioni regionali tedesche dello scorso mese. Un discorso che, in Germania, assume più senso quando si constata che partito e movimento registrano un sostegno superiore proprio laddove la percentuale dimigranti o di immigrati, musulmani e non, rispetto ai tedeschi sono le più basse. A fronte di una crescita della pressione dei movimenti di destra, i governi sono stati costretti ad agire. L’Ungheria non si è posta tanti problemi, in sede multilaterale ha sempre dichiarato la sua contrarietà alla ripartizione delle quote di migranti, da subito ripristinando il controllo alla frontiera. L’Austria si è mossa nelle zone d’ombra dei vincoli imposti da Schenghen, contrattando con i governi balcanici la chiusura della rotta che dalla Grecia risaliva verso il cuore dell’Europa. La stessa Austria, oggi, è impegnata nella chiusura del confine con l’Italia (e con le elezioni presidenziali che vedono un netto vantaggio dell’estrema destra). Chilometri di filo spinato sono stati quindi installati per arginare il flusso di persone di passaggio in Slovenia, Croazia, Serbia e Macedonia. Anche i paesi scandinavi, posti sotto eccessiva pressione demografica, hanno reso più severi i controlli sulle immigrazioni, mentre la Gran Bretagna rimane ferma nel suo rifiuto categorico di aprirsi all’ingresso di coloro che sono, ormai da anni, stanziati a Calais. Il flusso di migranti in entrata dalle rive meridionali dell’Europa si inserisce dunque in una situazione fragile, complicata e sospesa in un equilibrio instabile che già logorava i legami dell’Unione. Si capisce dunque come la presenza di richiedenti asilo si sia trasformata in un gioco di potere, in una negoziazione, nella quale nessuno ha più la forza di imporsi realmente sugli altri. La reale proporzione del problema si perde nella retorica di chi vorrebbe condividere lo sforzo e di chi lo rifiuta. Nel frattempo, però, il movimento in entrata non si ferma, anzi peggiora.

#IJF di Agrestino, Palla, Innamorato, Giardina

SPECIALE

L’arte di FARE LA NOTIZIA di Sandra Innamorato Perugia, nei suoi 10 anni di Festival, ha ospitato nella sua casa volti e pensieri di tante generazioni di “artisti della notizia”. Li chiamo “artisti” perché al termine della mia permanenza ho capito con piacere che lo sono, che tra i fatti trasparenti e colui che ce li racconta esiste un rapporto molto più fine e personale di quello che una prima e fredda lettura di questo mestiere può rivelare.

dire allora presentare al lettore un piccolo capolavoro, un concentrato di fatti, intuizioni e bella prosa, dove il giornalista è anche scrittore, il suo contributo arricchisce e non rovina la trasparenza della verità di cui scrive. Il giornalismo è poesia, è teatro, è fotografia, tutte arti che colgono con il proprio grado di sensibilità un fatto per quello che è.

“Fare” una notizia vuol dire, per alcuni, confezionare una raccolta di fatti ben scritta dove però lo stile ha minor conto rispetto ai contenuti (a quello che è accaduto) nell’economia della notizia. Quel che rende un fatto una notizia è che il fatto ha del potenziale, ha, o può avere, importanza per qualcuno, vuole essere letto e ascoltato. “Un fatto è un fatto, e la verità va raccontata per quella che è, senza veli e con chiarezza” questo è più o meno il ragionamento che contribuisce alla massiccia quantità di format di scrittura sempre uguali per specifiche notizie; ed è più o meno il movente di chi fa proprio questo lavoro perché crede, giustamente, che la verità è fatta così e che nessuno desidera che gli si raccontino verità ricamate. Ho visto giornalisti dire a gran voce che il giornalismo è solo “riportare fatti”, ma fornire un servizio, divulgare le notizie al pubblico non è solo questo perché, se solo lo fosse, una redazione diventerebbe un’efficiente banca dati di tutto rispetto.

Abbiamo visto fotografie pluripremiate raccontare fatti di un’intensità irriducibile, e notizie di cronaca rilegate tra le pagine di un copione teatrale, o ancora la lingua italiana spiegata all’ora di cena da un buffo cartone animato. La storia ha premiato giornalisti, scrittori di opere dal valore senza tempo, riconoscendo nel ricamo, nel modo in cui ci si è presi cura della notizia, una virtù necessaria. Rivisitare ogni forma possibile di espressione, dalla più dimenticata alla più vicina, può aiutarci a dar vita a capolavori sempre nuovi e a rendere un servizio pubblico non mediocre ma di qualità.

La verità “pulita” va cercata in maniera “pulita”, senza transigere e senza spazio per dubbi ed opinioni. Se il fatto risulta essere vero potrà diventare una vera notizia per tutti, ma se il fatto è anche raccontato bene allora sarà una notizia anche bella e da ricordare. “Fatti” sono molte cose, un fatto è un tragico incidente, una ricorrenza, uno sguardo; raccontare un fatto vuol dire tener conto di tante cose che insieme accadono, non solo della più evidente. “Fare” una notizia vuol

Il nuovo giornalismo dovrebbe essere un continuo e paziente lavoro di imbastitura di un abito senza toppe o scuciture, senza errori grossolani, dovrebbe realizzare una trama resistente, imperfetta ma mai malconcia. Il lettore interessato avrebbe più occasioni di andare a teatro ed ascoltare un piacevole ed irriverente Travaglio che legge e ride dei titoli fantasiosi del giornalismo malconcio, di un modo di trattare non la verità ma l’opinione come protagonista del proprio mestiere. Così, tra riflessioni e risate, si fruisce della notizia, e Travaglio allo stesso tempo fa il proprio lavoro come tutti i giorni. Ma siamo a teatro e ce ne sorprendiamo, il giornalismo, che siamo abituati ancora a vedere quasi solo su carta stampata, è un bello spettacolo.

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SPECIALE

#IJF di Agrestino, Palla, Innamorato, Giardina

#IJF di Agrestino, Palla, Innamorato, Giardina

La crisi del GIORNALISMO in ITALIA di Lorenzo Giardina Enrico Mentana, direttore del TG La7, Marco Damilano, vicedirettore del gruppo «L’Espresso», Arianna Ciccone, cofondatrice dell’IJF; tre volti noti del giornalismo italiano affrontano, come conclusione del Festival, il tema della crisi del giornalismo in Italia. Nel 1787, in Inghilterra, durante una seduta della Camera dei Comuni del Parlamento inglese, il deputato Edmund Burke esclamò, rivolgendosi ai cronisti parlamentari seduti nella tribuna riservata alla stampa: «Voi siete il quarto potere!». Dati i poteri fondamentali dello Stato (legislativo, giudiziario ed esecutivo), Burke si riferiva al potere dei media d’influenzare l’opinione e il comportamento delle persone attraverso il controllo dell’informazione.

della presenza dei giornalisti “al lavoro” e l’utilizzo di collaboratori esterni sottopagati. Il 72% dei giornalisti non-dipendenti afferma di guadagnare meno di 10.000 euro all’anno, di cui un sostanzioso 49% sembra vivere sotto la soglia di povertà, con introiti inferiori ai 5.000 euro. Sono dati che non stupiscono, considerato che il 35% di questa categoria riceve meno di 10 euro per articolo e il 38% non va oltre i 50 euro. La situazione dei collaboratori esterni sembra restare volutamente invariata: una sorta di “esercito di riserva” da usare a basso costo come garanzia per la sopravvivenza delle testate. Una delle conseguenze più gravi di questa crisi, in Italia, è la perdita di qualità dell’informazione, strattonata dalla mancanza di ricavi (e quindi di investimenti), da una parte, e dal passatismo di una classe dirigente che, forse, non riesce ad adattarsi adeguatamente alle nuove forme di diffusione dell’informazione e al mondo nuovo in cui la notizia viene coniugata. Forse, quelle che Damilano e Mentana hanno individuato come le cause della crisi del giornalismo in Italia, vanno accettate come caratteristiche fondanti un contesto storico e sociale in cui, ora, per l’informazione, la sfida si cela nella capacità di cambiare e reinventarsi.

«L’informazione di oggi è spezzettata, atomizzata – ha spiegato Damilano – il lettore legge i vari pezzetti di informazione e pensa di sapere tutto. In realtà, ci sarà sempre bisogno di qualcuno, il giornalista, che unisca i puntini, che ricucia i pezzetti. Il giornalismo, oggi, vive una fase di delegittimazione totale da parte del pubblico e, al tempo stesso, viene attaccato dal mondo della politica. Il suo spazio, quindi, si sta riducendo sia dall’alto che dal basso». Secondo i due speaker, i meccanismi e le regole imposte dal web costringono l’informazione ad essere “annacquata” e insufficiente, portano i lettori a sviluppare logiche guardone e

inchiostropavia@gmail.com

In Italia, oggi, il “quarto potere” sta vivendo una crisi senza precedenti. «Quello del giornalismo è un tramonto iniziato da tempo, – ha osservato Mentana – se ne parlava già prima della crisi dei quotidiani cartacei. Non sto parlando della crisi dal

punto di vista economico: il vero cambiamento riguarda il digitale e il post-ideologico. Per la prima volta c’è una generazione che ripudia in blocco il sistema politico e giornalistico, ma l’informazione è ancora fatta dalle stesse persone di prima. Il Corriere della Sera 140 anni fa era la novità; purtroppo i giornali cartacei vengono ancora fatti nello stesso modo di allora, e questo è un problema enorme». Il direttore del TG La7 individua nel mondo della globalizzazione digitale, di internet e dei social network una delle ragioni principali all’origine della crisi dell’informazione in Italia, e non solo. È vero, la cosiddetta “carta” vende di meno, sempre di meno, soppiantata da modalità di fruizione dell’informazione praticamente gratuite e più “in linea” con il mondo digitale in cui viviamo: internet, smartphone, computer. Ma ciò non basta a tratteggiare sufficientemente il problema: Mentana ricorda come, un tempo, l’acquisto di un giornale, dal quale ci si aspettava il rispetto di determinati canoni e criteri, fosse strettamente connesso all’appartenenza ad una determinata ideologia politica. La tendenza ora è un’altra: l’ideologia di massa agonizza su stessa e i grandi partiti convergono sempre più verso il centro.

pressappochiste. Ciò, data la crisi anche di liquidità di molte fonti dell’informazione, genera una circolo vizioso in cui l’informazione è sempre più frivola e parziale (e delegittimata), e il lettore perde sempre più di vista il fuoco. Il sistema giornalistico, per restare a galla, è costantemente affamato di informazione: qualsiasi cosa viene immediatamente “divorata” (e pubblicata). Un po’ di dati sul giornalismo italiano ce li fornisce una ricerca promossa dall’IRPI, il centro italiano di giornalismo d’inchiesta, che traccia un quadro, a tratti, preoccupante del settore dell’informazione: ad esempio, il 21% dei giornalisti non gode di un regolare contratto di lavoro e il 57% di coloro che non lavorano in una redazione (i giornalisti freelance, ad esempio) non vengono ricontattati dalle testate per una verifica delle informazioni che riportano negli articoli. La presenza del web sembra aver cambiato le abitudini di chi scrive: il 40% dei giornalisti afferma di impiegare meno tempo a scrivere un pezzo per il web rispetto a quello necessario per un articolo destinato alla carta stampata. Come ci si procura le notizie? Per un quinto dei giornalisti, il web risulta essere il principale luogo da dove reperire informazioni. È interessante notare che per il 32% dei rispondenti la qualità dell’informazione delle agenzie di stampa è peggiorata. Le cause di questo cambiamento si ritrovano anche nel calo delle forniture delle agenzie alle istituzioni, con un conseguente calo del fatturato. Questo ha portato gli editori ad una compressione pesante dei costi e a politiche di ristrutturazione: una diminuzione

SPECIALE

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I FATTI ELEZIONI DEL 2016

Tra poco si vota di Ludovica Petracca

dell’Ateneo e sul sito web dell’Università circa dieci giorni prima delle votazioni) sono il Coordinamento per il Diritto allo Studio - UDU, Azione Universitaria e Ateneo Studenti. Abbiamo parlato con le due liste maggiori, il Coordinamento e AU, per iniziare a sondare come stanno preparando la campagna elettorale e per capire quali sono i problemi che sono venuti fuori lo scorso biennio. La prima questione, basilare, della quale ci è venuto spontaneo discutere è stata la bassa affluenza al voto che è stata registrata nell’Unipv. Parliamo di una percentuale che arrancava per superare il 15%. Certo, è un fenomeno per niente raro nelle università e, del resto, ormai è sempre meno raro anche fuori; ma rimane il fatto, molto semplice, che le elezioni ci riguardano. Ad esempio, nel Senato Accademico si prendono le decisioni che riguardano i Corsi di Laurea, quindi si decide della loro attivazione, modifica o soppressione; o ancora si decide della creazione di enti di ricerca. Il CdA, invece, imposta l’indirizzo finanziario dell’Ateneo. Ma, più concretamente, la rappresentanza in questi organi permette di fare presenti e risolvere problemi come la sovrapposizione di corsi e di appelli, o problemi riguardo alle strumentazioni. Eppure, la maggior parte delle email con le credenziali informatiche per il voto viene cestinata.

Sai che tra poco si vota? di Ludovica Petracca

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AS Ateneo Studenti

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AU Azione Universitaria

Unione degli Universitari UDU

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Fate un bel cerchio rosso sui giorni 18 e 19 maggio del vostro calendario. Non è la pagina di giugno, dove ad essere evidenziate di rosso saranno probabilmente cose allegre come le date degli appelli, quindi ci sarà ancora tempo per fare altro oltre allo studio: andare a votare ad esempio. Si vota per il Senato Accademico, dove possono essere eletti quattro rappresentanti degli studenti, per il Consiglio di Amministrazione dell’Università, per il Nucleo di Valutazione, per il Consiglio di Amministrazione dell’Ente per il Diritto allo Studio Universitario (EDISU) e per il Comitato per lo Sport Universitario, nei quali i rappresentanti sono due per ognuno; si vota, poi, per tutti i Consigli di Dipartimento e i Consigli didattici, e per il Comitato regionale per il Diritto allo Studio. Gli studenti eletti rimarranno in carica fino al 2018. Le liste che si sono presentate per questo turno (saranno rese pubbliche nell’albo Ufficiale

La domanda è questa: siamo disinformati o disinteressati? «Non tanti ragazzi sanno che ci sono le elezioni - dice Tommaso Pasetti per AU - ma neanche tanti ragazzi si pongono il problema di interessarsi, di dibattere su argomenti d’interesse sociale o universitario. Per questo, noi abbiamo organizzato conferenze su diverse tematiche: sulle Foibe ad esempio, sull’impatto nel sistema sanitario dei farmaci “brandizzati” e generici, sull’imprenditorialità e le start up; abbiamo anche organizzato un aperitivo di beneficenza in modo da raccogliere fondi per sostenere alcuni programmi di ricerca del Dipartimento di Scienze del Farmaco». «Invece, per sensibilizzare sulla donazione del sangue – aggiunge Danilo Ciceri - abbiamo fatto dei banchetti con i ragazzi di AIDO e con l’AVIS di Brescia. Un’altra iniziativa che stiamo portando avanti è “Le primarie delle idee”, attraverso cui raccogliamo le proposte e le lamentele degli studenti; di queste terremo conto, poi, nel momento in cui redigeremo il nostro programma». Nonostante questo però, il Coordinamento è più noto tra gli studenti, ed è decisamente l’associazione con il maggior numero di eletti negli organi di Ateneo. Del resto, manifestazioni quali la rassegna cinematografica INDIE e UMF (University Music Festival), organizzate

ELEZIONI

ormai da oltre una decina d’anni, la radicano di più nella realtà pavese. «È una scelta politica - spiega Tommaso Pasetti. Loro partecipano al programma ACERSAT, quindi usano fondi dell’Università. Noi preferiamo autofinanziarci. Sentiamo che il nostro compito è essere presenti tra gli studenti, piuttosto che organizzare un concerto; infatti, siamo in Centrale ogni giorno, con il banchetto o altro». Una questione, però, ha ultimamente aumentato l’attenzione degli universitari verso la propria rappresentanza: il nuovo bando Erasmus. Dallo scorso anno, è diventato obbligatorio superare un test linguistico somministrato dal CLA (Centro Linguistico di Ateneo) per essere selezionati. È stato un provvedimento che ha pesato molto sugli studenti particolarmente lo scorso anno, perché è stato comunicato a metà febbraio (all’uscita del bando stesso), dando quindi un solo mese di tempo per prepararsi. I rappresentanti del Coordinamento e del Gruppo Kos promossero subito una raccolta firme e una petizione su change.org. Ci fu poi una rettifica del bando: si concedeva l’esonero dal test se in possesso di una certificazione linguistica internazionale e si permetteva, se l’Università ospitante avesse previsto più di una lingua d’insegnamento, di scegliere quella per cui essere esaminati. Per chi avesse voluto raggiungere un punteggio maggiore in graduatoria, era inoltre possibile chiedere di sostenere il test per un livello linguistico superiore a quello richiesto dall’Università scelta. Alcune difficoltà sono state comunque inevitabili. E la questione si è ripresentata quest’anno. AU dice come la pensa al riguardo: «Non siamo per l’eliminazione del test, una forma di selezione meritocratica deve esserci. Ma questo test è stato strutturato in una maniera non corretta. Questo ha un impatto enorme anche sull’Ateneo, perché il fattore di internazionalizzazione viene penalizzato. Per il prossimo anno il bando va assolutamente modificato». Per quest’anno comunque, come comunica il Coordinamento, si è ottenuta l’emissione di un secondo bando per assegnare le sedi che sono lasciate scoperte dal primo. Questa è appena un’introduzione alle elezioni, tra poco la campagna inizierà a farsi sentire. «Inchiostro» la seguirà da vicino, pubblicando online aggiornamenti e informazioni tecniche; al centro rimarranno le interviste e videointerviste ai rappresentanti sì, ma anche agli studenti. Occhio al sondaggio che vi riguarda nelle pagine seguenti. Pronti?

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LETTORI SI DIVENTA

CULTURA

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Gli Scapigliati approdano a Pavia: Tranquillo Cremona si racconta. di Eleonora Puma

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La mostra “Tranquillo Cremona e la Scapigliatura”, che dal 26 febbraio al 5 giugno 2016 si terrà nelle suggestive Scuderie del Castello Visconteo, offre un vero e proprio viaggio nel bizzarro mondo degli Scapigliati. Un movimento pittorico caratterizzato da ribellione, intelletto e atteggiamenti anticonformistici, che si forma in Lombardia tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. L’esposizione si apre con una serie di ritratti e la voce, proveniente dalle audio guide che impersona Tranquillo Cremona, principale esponente del movimento, ci accompagna alla scoperta di questo mondo così tormentato. Il nostro viaggio si articola in otto temi principali: scene dal quotidiano, la desinenza in A, maternità e infanzia, nei salotti dell’alta società, amorose passioni, portico degli amici, a casa Pisani Dossi e macabre visioni. Attraversando le sale delle Scuderie, la calda voce del presunto pittore ci racconta, dipinto dopo dipinto, la storia che vi si cela dietro. Dai ritratti di personaggi illustri come Cletto Arrighi – scrittore del romanzo La Scapigliatura e il 6 febbraio del 1862 da cui deriva il nome del movimento – ai dipinti riguardanti le donne degli Scapigliati, l’atmosfera che avvolge la mostra permette al visitatore di immedesimarsi a pieno con i pittori, gli scrittori e gli scultori dell’epoca. Superando la sala della maternità, si giunge in uno spazio suggestivo che richiama i salotti dell’alta società a cui gli Scapigliati erano soliti partecipare. L’ampia stanza accoglie alcuni ritratti delle amanti e degli amici borghesi degli artisti, ma la cosa più affascinante è il pianoforte posto al centro, protagonista indiscusso delle feste che i signori dell’alta società amavano organizzare. Non passa inosservata l’opera Il maresciallo Ney di Giuseppe Grandi, dedicata al comandante accusato della sconfitta a Waterloo e condannato a morte, che lo ritrae la notte prima della fucilazione. Nella quinta sala padroneggia l’amore, a cui segue, nella sezione dedicata al portico degli amici, un quadro generale dei maggiori esponenti e l’immagine del colonnato in cui sono presenti le epigrafi degli amici e la relativa coppa. Il viaggio si conclude con il tema “macabre visioni” che raccoglie alcuni dei dipinti di Luigi Conconi, ultimo degli Scapigliati ed erede del movimento che, con il tempo, andrà a sfociare nella conosciutissima Art Nouveau. Visitando la mostra assistiamo quindi ad un racconto pittorico, ma anche letterario e musicale, secondo la teoria, fermamente sostenuta dagli Scapigliati, delle “arti sorelle”, ovvero della necessaria contaminazione e del reciproco scambio di suggestioni tra le diverse discipline. Tra i personaggi che hanno frequentato gli ambienti scapigliati si annoverano infatti celebri scrittori, musicisti o librettisti come Cletto Arrighi, Iginio Ugo Tarchetti, Carlo Dossi, Giuseppe Rovani, Emilio Praga, Arrigo Boito, Antonio Ghislanzoni, Giacomo Puccini, Alfredo Catalani e molti altri ancora. Una mostra interessante che offre una visione personale del movimento, diventato un vero e proprio fenomeno culturale nell’Italia post-unitaria. Un evento da non perdere per scoprire, grazie ad una travolgente narrazione, i pensieri, i modi di vivere degli Scapigliati e tutte le curiosità legate al loro fantastico mondo. Le Scuderie del Castello Visconteo vi aspettano in settimana dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 18.30, mentre nel fine settimana e nei festivi dalle 10.00 alle 19.00. Quindi cosa aspettate ?

di Sofia Frigerio I detective selvaggi di Roberto Bolaño fu pubblicato per la prima volta in Spagna nel 1998. Il romanzo, abbondante in ogni senso, è diviso in tre sezioni. Siamo nel 1975: nella giungla culturale di Città del Messico si fa strada un gruppo poetico d’avanguardia, il realvisceralismo, le cui due anime, Ulises Lima e Arturo Belano, intraprendono un viaggio alla ricerca di Cesarea Tinajero, leggendaria fondatrice del movimento scomparsa negli anni Venti. Tra la prima e la terza sequenza del romanzo – in continuità temporale l’una con l’altra – si apre uno squarcio di seicento pagine. E’ un romanzo nel romanzo, in cui leggiamo le memorie di più di cinquanta personaggi: vite singole, episodi, digressioni più simili a deliri. Tutte precisamente collocate nel tempo e nello spazio, nel modo delle testimonianze scritte che si raccolgono durante un’indagine. Le figure di Belano e Lima si delineano in questi resoconti così che è possibile tracciarne il percorso attraverso quattro continenti; ma sono fisionomie che prendono forma per subito sfaldarsi. La presenza corporea dei due poeti, che pure impregna e modifica le vicende narrate, si avverte perlopiù in trasparenza: come se già allora, all’atto del loro intervento, fossero due fantasmi. In questo senso dico che è una presenza spettrale. La lettura di queste memorie, aggrovigliate e spesso in contraddizione l’una con l’altra, ha nel complesso i caratteri di un sogno, o di un’allucinazione: per l’andamento fortemente decentrato e l’impossibilità di prenderne le distanze ed elaborare uno sguardo di lontano, uno sguardo d’insieme. E per il senso di attesa che a tratti sfocia apertamente in tensione. C’è qualcosa che è come sul punto di materializzarsi: una rivelazione, l’ultimo tassello, il dato conclusivo che rimetta tutto al proprio posto e faccia tornare i conti. Ma questa epifania non avviene. O, se lo fa, ne esce monca, deforme, irrisoria rispetto alla mole di indizi e di versioni che avevamo raccolto: in questo è emblematico il ritrovamento di Cesarea Tinajero descritto a pagina 832 (dopo, cioè, 831 pagine di indagine). «Arrivare fino a Cesarea non fu difficile. Chiedemmo di lei e ci indicarono i lavatoi, nella parte est del paese. Quando arrivammo c’erano solo tre lavandaie. Cesarea era

nel mezzo e la riconoscemmo subito. Vista di spalle, china sulla vasca, Cesarea non aveva niente di poetico. Sembrava una roccia o un elefante. Le sue natiche erano enormi e si muovevano al ritmo impresso dalle sue braccia, due tronchi di rovere, allo strofinio e al risciacquo dei panni». La tensione accumulata si sgonfia in un lampo lasciandoci esausti e spaesati: l’epifania chiarificatrice che attendavamo ci arriva nella forma di due natiche gigantesche e ondeggianti. E’ come avere un mucchio traballante di oggetti, impilarci un ultimo pezzo e aspettarsi che questo stabilizzi il tutto. Quale sorpresa quando vediamo che la pila inizia a vacillare ancor più pericolosamente. L’esito di tutto ciò- questo sì, questo ci viene come un’epifania- non può che essere un crollo, uno sgretolamento. A noi non resta che prendere atto che da principio non c’era nessun disegno, nessun piano sotterraneo, nessun incastro. Solo la ruvida, mastodontica complessità delle cose; e questa complessità non ha nulla di poetico. «Credo che il mio romanzo possegga tante letture quante sono le voci che contiene. Lo si può leggere come un’agonia. Lo si può leggere anche come un gioco». [Roberto Bolaño, Tra parentesi] Il gioco di cui parla Bolaño è l’equivalente di un gioco di ruolo tra bambini. Non un vezzo o un esercizio di stile (lo diremmo, altrimenti, gioco combinatorio); non un fenomeno spensierato e leggero. Come tutti i giochi dei bambini è un fatto molto serio e spesso assume anche tonalità tragiche: non mancano la violenza, il sopruso, la morte. La sintesi visiva di questo gioco è un movimento creativo in fermento continuo, che si espande in ogni direzione dello spazio; che si auto-alimenta della propria sorgente vitale e per questo è potenzialmente illimitato (i limiti, se esistono, sono imposti dall’esterno). Cosa crea, il gioco di Bolaño? Crea persone, strade, situazioni, crea il tempo delle storie, crea grovigli e contrattempi, crea vita. Vita di una potenza immaginifica prorompente: una vita originale e terminale al tempo stesso, innocente perché nuova in ogni istante; e sempre sincera.

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I FATTI SONDAGGIO DEL 2016

RELAX

? i n o i z e l e e l l Pr onti a

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di Federico Mario Galli

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Come ogni due anni gli studenti dell’Università di Pavia saranno chiamati, a maggio, ad eleggere i loro rappresentanti di facoltà. Il team sondaggi di «Inchiostro» ha quindi deciso di scoprire, mediante un questionario, come e quanto gli studenti siano effettivamente preparati a queste elezioni. La prima domanda che è stata formulata agli studenti è se sapessero che, a breve, a maggio saranno, appunto, chiamati a votare. Sapete come hanno risposto? Il 52% degli intervistati ha risposto 'SI' alla domanda "Sai che a maggio ci saranno le votazioni?", ciò significa che ben il 48% degli altri non ne era a conoscenza. Quindi, cari lettori che lo ignoravate, sappiate che presto si voterà. Molti sanno che si vota, ma il quando è ancora sconosciuto, infatti, alla domanda "Sai in quale giorno si voterà?", solo il 26% degli intervistati ha risposto in maniera affermativa. Cari 74%, sappiate che le "urne" saranno aperte ai votanti il 18 e il 19 maggio! Quanti studenti prenderanno parte alle votazioni? Alla domanda se voteranno o meno, il 57% ha dichiarato che prenderà parte alla votazione, ma le idee sono chiare? Secondo voi gli intervistati sanno come e dove si potrà votare? Pensate che a questa domanda, solo il 24% ha risposto 'SI'! Cari lettori, votare è molto semplice, nella vostra area riservata riceverete presto un username ed una password per l’occasione, che dovrete utilizzare presso i "seggi", ovvero l’aula che sarà adibita alla votazione. Le aule vi verranno comunicate presto, anche perché tutto dipende dal vostro dipartimento. Sapete quanti e quali sono gli organi di rappresentanza degli studenti? Tranquilli, se non lo sapete fate parte dell'83% dei vostri colleghi che hanno risposto 'NO' a questa domanda, infatti è davvero difficile conoscere tutti gli organi, come ad esempio Il Senato Accademico, Il CDA, Il CDAEDISU, il Nucleo di Valutazione, il CUS, ecc… Ma sui rappresentanti (uscenti) che ne fanno parte, qual è l’opinione degli intervistati? Molti studenti non sanno di fatto chi siano i loro rappresentanti, per scoprirlo, se vi interessa, andate sul sito dell’UNIPV e cliccate su ATENEO-ORGANI DI GOVERNO, in modo da avere un’idea più chiara di chi lavora per voi. Alla domanda "I tuoi rappresentanti hanno lavorato bene?" come avranno risposto gli intervistati? A questa domanda, noi di «Inchiostro», abbiamo assegnato un parametro di risposta a valutazione da 1 a 4. Secondo il 34% degli intervistati, 1 è il voto che si meritano i rappresentanti, secondo il 22 % invece è 2, secondo il 26% è tre, fino ad arrivare al restante 18% che assegna il massimo ai rappresentanti. Intorno a queste elezioni dilaga ancora un po’ di ignoranza, infatti il 55% degli intervistati dichiara di essere stato informato male su queste votazioni, contro il 6% che, invece, afferma di essere molto informato, per tutti coloro che vogliono saperne di più, v'invito a leggere l’articolo della mia collega Ludovica Petracca, in uscita l'11 maggio sul sito di «Inchiostro» e sulla pagina Facebook.

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MODERNITÀ, "IL POSTULATO DI OMAR MONTI" E ALTRI COMPLOTTI Ovvero: "Lo Yin, lo Yang e Fabri Fibra"

si vota il 18 e il 19 maggio

tramite username e password forniti in area riservata

nei seggi appositi

di Niki Figus Premettiamo tre assiomi riguardo la vita: - non importa se la superficie terrestre sia piatta o sferica, l'importante è che gli architetti possano edificarvici opere di cui ignoriamo senso, gusto e utilità; - non sono un complottista, ma mi pare evidente come Dio ci veda, in cabina elettorale e in vita (tant’è che nessuno non va più né a votare né in chiesa), ma ci possa sentire solo se Obama gli fornisce i nastri; - esiste una linea sottile tra le personalità di ognuno, la stessa che divide un professore di chimica da uno spacciatore di metanfetamina, Miriana Trevisan da una Michela Coppa qualsiasi o Gianni Morandi da Gianni Morandi "cattivo”. Detto ciò, la vita si è mostrata sempre più difficile: in passato, si lavorava a dodici anni, ci si sposava, casti, a sedici e si moriva a quarant'anni; oggi, a dodici si perde la verginità, a sedici si vuole morire, a quaranta si trova un lavoro e, se tutto va bene, a ottanta, schiattiamo a un giorno dalla pensione. Prima il ciclo della vita si configurava nel semplice "nasce-cresce-si riproduce-muore", oggi si assiste a nuove fasi, come "apre il proprio account Facebook", "batte il proprio record a Fruit Ninja", "ascolta per la prima volta Lil Angel$" o "inizia a vedere Pomeriggio 5". Alla luce di tali cambiamenti, dunque, la modernità, per tre ragioni in particolare, si configura come "complotto" (termine che deriva dal greco "gomblotto", dal significato di "oroscopo", "Wanna Marchi", "salto d'appello", "batteria dell'iPhone 6" e "Oscar Giannino"): - gli errori dei padri ricadono sui figli. È così da quando Gesù, ispirandosi al ministro Boschi, disse «devo occuparmi degli affari del padre mio», fino a Roby Facchinetti, che chiedendo «chi fermerà la musica?!» segnò indelebilmente il futuro del figlio (e il nostro); - le favole sono diverse dalla realtà. In primis, l'amore non è per sempre, lo insegnano Totti e la Roma, Albano e Romina, i polli e Richard Benson; le streghe, poi, non volano sulle scope (che giocano, a Quidditch?), ma

ballano al ritmo di Gabry Ponte; infine, i prìncipi non combattono giorno e notte, ma ballano sotto le stelle. - in futuro la vecchiaia non sarà più rispettata. L’eliminazione di Simona Ventura dall'Isola dei Famosi, il furto della salma di Mike Buongiorno e il licenziamento di Emilio Fede dal Tg4 vanno in tal direzione; ma è solo l'inizio: orde di cinquantenni in risvoltini e directioner rugose non ci faranno sedere sull'autobus, tutti presi dal nuovo album di Justin Bieber, principale esponente della neo categoria "vecchio-minkia", o da nuove challenge quali «cosa c'è nel mio catetere?». Tuttavia, non c’è da preoccuparsi; c'è una soluzione a tutto, tranne che alla morte e a Francesco Sole. Nel nostro caso, utile si mostra "Il postulato di Omar Monti" - dimostrabile matematicamente con il teorema di Pitagora, l'intercalare "se due più due fa quattro" e "arcobaleno più per meno meno": in un mondo di "pupe" e "secchioni", non è necessario avere 180 e passa di QI per mettersi in ridicolo agli occhi di milioni di persone in cambio di soldi e di un limone con Federica Panicucci, l'importante è essere altresì pronti a farsi umilmente da parte per il piatto forte, gli Sgarbi e la Mussolini della situazione. Darwin avrebbe detto «adattarsi per sopravvivere», il Virgilio dantesco «non ti curar di lor, ma guarda e passa" e Fabri Fibra «nel mio disco dico il cazzo che mi pare: piscio sull'Arcuri e cago sulla Barale»: è “Il postulato di Omar Monti". Così, se mai, un giorno, «entro in un bar preso male, incontro la Barale, andiamo in bagno e lei si piega, come ogni altra sua collega», almeno «il ritornello si collega a ciò che sto per fare... E cosa vuoi che faccia? Slaccio e cago in faccia alla Ba-ba-che banale». Banale, forse, ma è bene ricordarsi due cose: innanzitutto, «io non è che cago e piscio sulla prima che passa»; infine, meglio essere banale, e seguire "Il postulato di Omar Monti", che essere Omar Monti.

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