Il Gusto... della Vita - Marzo 2011

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Tradizione & Cultura della Buona Tavola

Il Gusto... della vita • Anno IV • numero 13 • Marzo 2011

in copertina: Vincenzo Pagani, Santa Lucia in gloria d’angeli su fondo di paese (particolare) - Sarnano MC, Pinacoteca comunale.

Rivista ufficiale dell’Associazione Cuochi della Provincia di Fermo

La Cinta Fermana quando l’arte insegna la strada La digeribilità della pizza Qualità alimentare ed esperienza: un binomio inscindibile Pecorino dei Monti Sibillini


Mercato libero? Noi lo affrontiamo con i nostri punti di forza: • Un rapporto sincero con il cliente • La qualità del servizio con personale a disposizione tutti i giorni lavorativi dell’anno nella propria sede • Le fatture con consumi desunti da letture certe e non presunte • Un sito internet con varie funzioni operative

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• Incasso delle fatture anche con i principali sistemi di pagamento elettronico presso i propri sportelli di Piazza Mascagni, 4 FERMO

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...Editoriale del

di Adolfo Leoni

A partire da chi?

A partire da chi? A partire dagli uomini del lavoro, dai produttori, dalla gente che fatica. A partire dal popolo, come si diceva un tempo. Loro sono i protagonisti, sono la concretezza; loro sono anni luce lontani dalle falsità televisive, dai montaggi artefatti. Voglio parlare dei quaranta e più “Angeli matti” che a dicembre scorso (nelle domeniche del cinque e del dodici, con un’apertura musicale il quattro sera che ha visto ospite il gruppo Coplas Ensemble) hanno partecipato, a Fermo, a Golosari a piazzetta. Nelle due straordinarie sedi del complesso di san Zenone e di Palazzo Romani Adami hanno mostrato il meglio dei loro “tesori”: formaggi, vini, oli, dolci, caffè, carni, salumi. Sono piccoli produttori, ma sono la qualità italiana, quella vera, senza gli infingimenti di certe pressioni mediatiche. Ma chi glielo fa fare al Club di Papillon Marche sud e all’Associazione 1 + 1=3 di prendersi la briga ad organizzare con soldi contati e pochissimo sostegno “pubblico” una manifestazione del genere (e siamo alla seconda edizione)? Ci credereste se Pio Mattioli (il responsabile del Club) e Cecilia Romani Adami (la responsabile dell’Associazione) vi rispondesse che la fatica se l’assumono perché vogliono bene ad un territorio, perché hanno nel cuore quegli

Angeli matti, perché ci tengono a ricostruire un tessuto comunitario, perché difendono una comunità locale, perché la salute inizia con il buon mangiare? Ci credereste? Dovrete crederci, perché così è. Perché facendo quello sforzo immane – e vi giuro che immane lo è sul serio – si sono creati rapporti, gli Angeli matti non si sono sentiti più soli, la rete è venuta pian piano a crearsi dal basso. E le idee non sono mancate e non mancheranno. Come quella di proporre una specie di anno sabbatico alle scuole superiori e medie del Fermano. Il Club ha proposto: le scuole fermino per un anno i viaggi all’estero, vadano invece in gita nel territorio, ne conoscano fino in fondo la storia, frequentino le trattorie della Terra di Marca, dormano negli alberghi di quest’area. Avremo, non dico risolto, ma ridato fiato a ristoratori e albergatori, avremmo ridato vigore alle produzioni locali. Siamo provinciali? Può darsi! Ma mentre guardiamo questo nostro Fermano, e sosteniamo chi ha scelto di restare a produrre in campagna, ci vengono in mente progetti per aprirci al mondo. E qualcuno è già partito. Abbiamo lanciato – sì, perché ci siamo di mezzo anche noi il Sistema del gusto e la Casa del gusto. Stanno pian piano muovendo i primi passi. Golosari a Piazzetta anche quest’anno ha voluto rendere omaggio alla terra, alla cucina all’ospitalità e all’accoglienza.

Lo ha fatto premiando quattro persone. Uomini che sono lontani dai riflettori, gente di cui i giornali non si occupa quasi mai. Eppure sono la stoffa qualitativa della Marca. Sono i nostri VIP. Il primo ad essere ringraziato con il premio Alle Radici della Terra è stato Giulio Sbaffoni, 86 anni, da mezzadro a coltivatore diretto e piccolo produttore di cereali, olio e vino. Poi, per Dalla Terra al Piatto, è stata la volta di un cuoco, di Mario Donati, 81 anni, una vita in cucina tra i fornelli, un maestro per tanti chef. Quindi il premio Ospitalità è andato a Giuseppe Di Domenico (Ivan), giovane bagnino dello chalet Canto do Mar di Porto San Giorgio, affabile, servizievole, sempre pronto verso i clienti. Infine, per l’Accoglienza è stato premiato Bruno Bordoni, capo degli operai del Comune di Fermo, l’uomo che risolve i problemi con il sorriso in volto. Grazie a tutti costoro: personaggi poco conosciuti secondo il cliché odierno, ma capaci di far vivere meglio questa nostra comunità. Grazie, infine, alla famiglia Santini, che ha messo a disposizione i premi in ricordo di Lallo (Lanfranco) Santini, imprenditore cerealicolo, che credeva nell’agricoltura, nella bontà dei prodotti nostrani. Nella loro difesa.

Adolfo Leoni 1

della vita


...Sommario

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...Editoriale del Gusto.

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...Tra il dire e il fare c'è di mezzo il futuro

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...“Il cuoco, promotore del territorio nella cultura dell' ospitalità e forme di turismo sempre più ampie”

...Qualità alimentare ed esperienza: un binomio inscindibile.

7 9 11 12 14 16 18 20 21 ...Achillea

...I Salumi

...Non è Cenerentola, ma s’interessa di una scarpetta ...La digeribilità della pizza

...Osservando le opere d’arte scopriamo le Nostre Tipicità ...Andrea Bacci, il medico che nel ‘500 scrisse la prima guida turistico-enologica

...Il menu di Giampiero Giammarini

...Nuova sede per la Camera di Commercio di Fermo

Direttore Responsabile Adolfo Leoni Progetto grafico Sara Ricci

...Un territorio delle qualità

Redazione grafica Studium Design info@studiumdesign.it

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Hanno collaborato Renato Andrenelli Ugo Bellesi Alessio Cavicchi Amedeo Grilli Giampiero Giammarini Stefano Isidori Giovanni Martinelli Alessandro Pazzaglia Diego Pieroni Meri Ruggeri Luciano Scafà Fabio Scatasta Francesco Seghetti Leonardo Seghetti Francesco Tama Edito da

sede legale Montegiorgio (FM) via Cestoni, 39 sede operativa Morrovalle (MC) via Carducci, 12 tel. 0733 866909 P.Iva e C.F. 01979520440

Internet www.ilgustodellavita.org Info@ilgustodellavita.org

...L'oro di Petritoli

...Nicola Averardi

Fotografo Angelo Cecchetti

Ass. "Il Gusto... della vita"

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...Pecorino dei Monti Sibillini

...La Ricotta

...La Castagna nel Piatto

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Due opere, un gruppo d’amici, uno stesso gusto.

...Mistero, sensualità e intimità del Tartufo

...Pizza Valdostana

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...Le Marche a Norimberga per il Salone mondiale dei prodotti biologici

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...Diario di bordo

Stampa Artelito - Camerino La rivista è stampata su carta naturale ed ecologica

n.

13 marzo 2011

inserito nel Registro dei Giornali e dei Periodici del Tribunale di Fermo il 21/10/2008

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il Gusto...


...Professione cuoco

Tra il dire e il fare c'è di mezzo... il futuro! di Alessandro Pazzaglia

Ricollegandomi un po' alla filosofia di quanto scritto precedentemente, mi preme affrontare un tema su cui in molti dovremmo riflettere per poi spingere ad agire chi di competenza. Definirei la mia una semplicissima presa di posizione dettata dal buon senso e dovuta in parte alla mia esistenza vissuta accanto agli “attori principali”. Di cosa parlo? Parlo di una certa “filiera” che parte dal nostro splendido territorio, alle sue eccellenze che in questo caso solo sono i prodotti agroalimentari, parlo del loro corretto e professionale utilizzo, per giungere poi a toccare il turismo e l'ospitalità. Chi scrive ha sempre fatto riferimento con pulito orgoglio alle sue origini contadine e ha vissuto in diretta l'epoca (primi anni 60 del secolo scorso) in cui si dissodavano (cioè si bonificavano) spazi di terra, a volte anche angusti, per impiantarvi le colture del periodo, anche manualmente, con grandi sacrifici. Si mirava a raggiungere una migliore immagine del territorio e anche un pizzico di maggiore autonomia della famiglia contadina. Le eccellenze del nostro settore agro-alimentare, oltre ad alcuni doni innati che la natura ci ha donato, hanno visto all'origine il certosino e “sapiente lavoro” del contadino produttore. E' stato lui il garante e il custode del suolo, della sua salvaguardia. Molti ci ammirano per questo ed anche certuni politici sbandierano questo vessillo. Purtroppo, gli stessi politici poi, paradossalmente, hanno fatto e fanno scelte esattamente opposte ai bisogni e alle necessità degli addetti di cui sopra. Allora, ci troviamo di fronte ad una strana traiettoria. Il paesaggio e le bontà della nostra terra sono state il risultato della professione (perché tale è) del contadino di un tempo. Successivamente c'è stata la fase delle colture intensive. è stata una fase intermedia. Da alcuni anni cogliamo grossi problemi, vediamo segnali (per chi li legge) non certo incoraggianti, come l'abbandono della campagna, lo spopolamento dell'alta collina, la desertificazione di appezzamenti agricoli in zone comode e addirittura pianeggianti. Penso che dobbiamo affrontare il problema prima che sia troppo tardi, – ed ognuno per il ruolo che gli compete. Affrontare e trovare

adeguate soluzioni. Domandiamoci innanzitutto: qual è la percentuale oggi degli addetti all'agroalimentare rispetto ad un tempo? Che età media hanno? Perché si verifica la desertificazione di un territorio? E in che percentuale accade? Gli agricoltori hanno una prospettiva di reddito sufficiente ad una vita normale? Gli investimenti chiamati a fare saranno onestamente remunerati? Potrei continuare con altre domande, ma ciò che mi preme sollevare è che i più grandi cuochi del mondo, Bocuse su tutti, ci hanno insegnato di conoscere e apprezzare la filiera corta. Quei maestri si alzavano presto al mattino e andavano loro stessi al mercato per scegliere il meglio dei prodotti; creavano così il presupposto fondamentale per il successo dei loro piatti e a sua volta della loro immagine professionale, e, elemento non certo trascurabile, valorizzavano così le produzioni del territorio. Noi, leggendo gli attuali segnali, dovremmo chiederci: siamo sicuri che in un futuro più o meno prossimo avremo ancora questa indispensabile opportunità? E, soprattutto, cosa lasceremo di patrimonio a chi verrà dopo di noi? A meno che non siamo strenui sostenitori di un'alimentazione da astronauti e di un turismo...spaziale, sarà il caso che ci facciamo sentire e invitiamo caldamente le istituzioni preposte a mettere mano ai problemi seri che riguardano il settore agroalimentare. Se la scelta politica sarà ancora quella di dare incentivi per lasciare parti di terreno incolte, ho la sensazione che non avremo un gran futuro. Chi fa impresa non ha bisogno di regali ma di affrontare le ferree leggi del mercato con strumenti agili, snelli ed efficaci. Con Affetto!

Alessadro Pazzaglia 3

della vita


...Associazione Cuochi Fermo

F.I.C. Ass.ne Cuochi della Provincia di Fermo via Legnano, 2 - 63018 Porto Sant’Elpidio tel. (+39) 330 650208

“IL CUOCO, PROMOTORE DEL TERRITORIO NELLA CULTURA DELL' OSPITALITÀ E FORME DI TURISMO SEMPRE PIÙ AMPIE” Alessandro Pazzaglia - Presidente Associazione Cuochi Fermo Guglielmo Massucci - Assessore al Turismo provincia di Fermo

Prof. Alessio Cavicchi - docente all'Università di Macerata Sue Beeton - Esperta internazionale di cineturismo

Gutta cavat lapidem, ovverosia la goccia incava la pietra, ovverosia dagli e dagli si raggiunge qualche obiettivo. Potrebbe essere la scritta che campeggia nelle cucine dei nostri chef. Quei cuochi di casa nostra che da anni ormai insistono su due tempi cruciali: accoglienza e ospitalità. L’ultimo incontro lo hanno organizzato a Monte Urano, al ristorante Helios, a metà dicembre scorso invitando alcuni pezzi da novanta. Dietro al tavolo dei relatori c’erano il Prof. Alessio Cavicchi, docente di economia e marketing agroalimentare all'Università di Macerata ed eccezionalmente l'australiana Sue Beeton, docente universitaria della

Trobe University di Melbourne, personalità di spicco tra i maggiori esperti internazionali di cineturismo. Ad introdurre i lavori ha pensato il presidente dell’Associazione Cuochi della provincia di Fermo Alessandro Pazzaglia, affiancato dall’Assessore Provinciale al Turismo Guglielmo Massucci. Dopo le due relazioni centrali, la serata ha visto gli ospiti prendere posto a tavola, e godere dei piatti proposti dallo chef Gabriele Donati.

Qualità alimentare ed esperienza: un binomio inscindibile Prof. Alessio Cavicchi docente di Economia e Marketing Agroalimentare all’Università di Macerata

Esiste un legame molto stretto tra la qualità dell’offerta agroalimentare tipica di un dato territorio e la capacità da parte di tutti gli abitanti (e non solo degli operatori) di offrire un’accoglienza all’altezza dei desideri di chi visita quel luogo. Vediamo qual è la relazione affrontando prima il concetto di qualità e poi quello di esperienza. Il tema della qualità riveste, senza ombra di dubbio, un ruolo centrale non solo nel dibattito politico e imprenditoriale sulla competitività del settore agroalimentare ma anche nel

vissuto quotidiano degli italiani. Basti pensare alla crescita dei format televisivi che mettono a disposizione delle famiglie numerosi approfondimenti sulle caratteristiche sensoriali, sulla tipicità e sulla tradizione del patrimonio enogastronomico italiano. Nonostante questo flusso imponente di informazioni, la valutazione della qualità di un prodotto agroalimentare da parte del consumatore non è compito semplice. La difficoltà nasce dal concetto multidimensionale di qualità, derivante dalla moltitudine di caratteristiche e attributi che

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il Gusto...


...Qualità Alimentare ed Esperienza un bene possiede: ne consegue che diversi gruppi di consumatori, in situazioni di consumo differenti, possano avere opinioni discordanti sulla qualità dello stesso prodotto. Tuttavia esistono alcune categorie a cui tutti noi come consumatori facciamo riferimento pensando alla qualità; uno studio condotto tra diversi paesi europei ha identificato quattro dimensioni: 1. gusto e apparenza: per molti il consumo di alimenti è fortemente correlato a una soddisfazione emotiva e nella definizione di questa categoria si punta l’attenzione sulla capacità di risposta del cibo ad esigenze sensoriali come il gusto, l’odore, il profumo o l’apparenza (la modalità con cui viene presentato un prodotto) e, in un senso più generale, sulla valorizzazione delle componenti edoniche del cibo; 2. salubrità: in seguito alle crisi alimentari degli ultimi venti anni (mucca pazza, influenza aviaria, vino al metanolo, polli alla diossina ecc.) la salubrità dell’alimento è stata messa al centro del processo decisionale al pari del gusto. La ricerca di certezze riguardanti gli effetti benefici attesi nel lungo periodo e l’aspettativa di una vita più lunga guidano sempre più le decisioni di consumo; 3. processo: l’attenzione per la modalità di produzione secondo disciplinari o protocolli riguardanti precisi criteri di valutazione della provenienza, della eticità o della naturalità certificabili da terzi è strettamente collegata alla dimensione salubrità; 4. convenience: con questo termine inglese si indica non solo la facilità di approvvigionamento e di consumo, ma anche la praticità d’uso della confezione e della gestione dei rifiuti e di conseguenza il risparmio di tempo e di fatica, sia

fisica che mentale, nella preparazione di un pasto. Una volta descritto il concetto di qualità passiamo alla discussione di cosa sia l’esperienza partendo da una parola, terroir, molto inflazionata negli ultimi anni. I prodotti di terroir possono essere concepiti come una sintesi di processi produttivi basati su risorse locali che fissano un legame diretto, sebbene diverso da caso a caso, tra prodotto e territorio. In questo senso il prodotto rappresenta un paniere armonioso di caratteristiche climatiche, territoriali, storiche e culturali che appartengono a una certa regione o area. Sociologi ed economisti concordano sul fatto che il patrimonio culinario possa essere usato come mezzo per spingere lo sviluppo del territorio e il benessere delle comunità che lo abitano. In Italia negli ultimi anni si è assistito a un incremento nella coscienza dei cittadini del valore che questi detengono proprio a partire da quelle pratiche alimentari che fanno parte del bagaglio di ricordi e del vissuto di ogni famiglia, specialmente nelle aree rurali. Nell’ultimo decennio è stato coniato il termine di “turismo del gusto” partendo da tre evidenze: la prima è che il cibo è un’attrazione in sé e le persone si muovono per visitare specifici eventi, come fiere o aziende di produzione di alimenti o prodotti vitivinicoli; la seconda riguarda l’incremento della reputazione di alcuni luoghi a partire dal valore dei propri prodotti (un esempio nelle Marche, ma ne esistono molti, potrebbe essere Campofilone per i famosi Maccheroncini); infine, contribuendo a formare l’esperienza di un turista, il cibo diventa sempre più un elemento importante del marketing territoriale ed elemento irrinunciabile nel determinare la soddisfazione dei visitatori. Qualità alimentare ed esperienza sono quindi uniti perché non conta solo il prodotto ma

l’esperienza che il consumatore (o il turista nel nostro caso) fa mentre lo acquista e lo consuma in un dato territorio. In particolare sono quattro le categorie di esperienza che ci interessano come turisti, quando visitiamo un luogo: esperienza come “divertimento”, è il caso, per esempio, della partecipazione a uno spettacolo folkloristico che fruiamo in maniera passiva (non siamo figuranti) ma comunque coinvolti dalla rievocazione che si sta svolgendo davanti ai nostri occhi; esperienza come “educazione” laddove in maniera più attenta possiamo imparare qualcosa dagli abitanti di un luogo, per esempio una scuola di cucina; esperienza “estetica” come quando ci troviamo davanti a un paesaggio mozzafiato; infine esperienza di “fuga dalla realtà”, che potremmo avere se per un giorno o per un periodo ci trovassimo a “recitare” il ruolo del cuoco in un ristorante o contribuissimo alla raccoltà delle olive o alla vendemmia.

Se si ritiene che un prodotto alimentare possa portare un contributo allo sviluppo di un territorio, è dunque un compito di tutti, imprenditori agroalimentari, operatori del settore turistico e istituzioni pubbliche, comprendere l’importanza della coerenza tra offerta alimentare ed esperienza legata alla visita di un luogo, coinvolgendo il più possibile i residenti nei programmi di promozione turistica attraverso un processo educativo teso alla riscoperta delle tradizioni e del valore che queste possono avere per tutti.

Riferimenti bibliografici: CAVICCHI, A (2008). Qualità alimentare e percezione del consumatore. Agriregionieuropa, n. 15, Dicembre: 10-13. SANTINI, C., CAVICCHI, A. and CANAVARI, M. (2011) The Risk™ strategic game of rural tourism: how sensory analysis can help in achieving a sustainable competitive advantage, in Sidali, K.L., Spiller, A. and Schulze, B. (eds) Food, Agriculture & Tourism, Springer.

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della vita



...Erbe Aromatiche

Achillea

di Ugo Bellesi

L’achillea (achillea millefolium) è una piantina perenne molto diffusa tanto che la troviamo lungo le strade di campagna, nei prati e persino nei pascoli di montagna trovando il suo habitat fino a duemila metri. Tra la primavera e l’estate produce dei fiorellini ad ombrello bianchi o leggermente rosati, molto fitti che hanno un vago odore di muschio. è una pianta strisciante ma con degli steli eretti che possono raggiungere i 50 centimetri. (1) Il suo nome deriva dal fatto che, avendo proprietà cicatrizzanti, una leggenda narra che fu usata da Achille per lenire le ferite dell’amico Patroclo. Oltre a questa molte altre sono le proprietà della pianta di achillea. Infatti è dotata di molti principi attivi come acidi organici, olio essenziale (impiegato contro il raffreddore, i dolori articolari e l’influenza), inulina, tannino, l’achilleina ecc. L’estratto prodotto con i fiori è utile contro la febbre da fieno. Con le foglie fresche (utilizzate anche per bloccare le emorragie) si fanno dei cataplasmi per curare le ferite. Cura i disturbi femminili, è antinfiammatoria, digestiva (2), ed ha proprietà sedative e toniche. Viene impiegata in erboristeria, cosmesi e liquoristica. Un tempo, le foglie essiccate dell’achillea sostituivano il tabacco, ma potevano essere utilizzate anche al posto delle foglioline di the. Le foglie sottili e allungate, simili a delle piume, sono commestibili ed il loro impiego è consigliato in particolare per dare un profumo amarognolo e un sapore piccante alle insalate. Possono essere anche cotte come qualsiasi altra verdura di campo. L’achillea (foglie e fiori) immersa in una bottiglia di vino (oppure anche nella grappa) conferisce un particolare aroma. Una varietà è costituiti dall’achillea ageratum i cui fiori sono impiegati per curare i disturbi della digestione. Le foglie, la cui caratteristica è il forte odore di noce moscata, serve per profumare piatti a base di formaggio e minestre o minestroni. Altra varietà è l’achillea ptarmica le cui foglie essiccate un tempo si usavano come tabacco da fiuto mentre i fiori bianchi possono essere impiegati per produrre infusi da utilizzare per un bagno rilassante. (3)

INSALATA Ingredienti: • due etti di olive nere, • 50 gr. di filetti di acciuga, • succo di mezzo limone, • quattro arance, • un etto di mezzo di foglie fresche di achillea, • tre cucchiai di olio extravergine di oliva, • cognac e sale q.b. Esecuzione: mescolare insieme olio, sale e succo di limone; sbucciare e tagliare a pezzi le arance eliminando i semi e aggiungendo le olive snocciolate e tagliate; schiacciare con una forchetta i filetti di acciuga e aromatizzarli con il cognac. Unire tutti gli ingredienti e infine aggiungere le foglie di achillea pulite e lavate mescolando prima di servire.

MINESTRONE Ingredienti: • quattro fette di pane raffermo cotto a legna, • un bicchiere grande di polpa di pomodoro, • due cipolle medie, • un bicchiere grande di foglioline di achillea, • la parte centrale di un sedano, • olio extravergine di oliva, • sale e pecorino q.b. Esecuzione: far appassire le cipolle tritate in un po’ d’olio e aggiungere il sedano tritato; dopo dieci minuti aggiungere le foglie di achillea facendole insaporire per qualche minuto per poi unire la polpa di pomodoro. Portare a cottura tutti questi ingredienti aggiungendo un litro di acqua tiepida facendola bollire dopo aver messo il sale. Abbrustolire le fette di pane e disporle sul fondo dei piatti sui quali si verserà il minestrone con l’aggiunta di una grattugiata di pecorino e qualche cucchiaio di olio extravergine.

1) Castellani F., Le ghiotte erbe, Cingoli 2006 2) Rapaggi M.L., Erborare, Edagricole 1995 3) Bremness L., Erbe, Bolgona 1994

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della vita



...Salumi

I SALUMI Prof. Stefano Isidori

A chi non fa venire l’acquolina in bocca un bel piatto di salumi, con le fette in bella mostra che sembrano dire “mangiami”? Chi riesce a trattenersi dall’azzannare un bel panino imbottito di qualsivoglia salume? E cosa dire davanti ad un bel vassoio di salumi, s’inizia a piluccare fin che ce n’è!

(sommelier AIS Sez. Fermo)

L’Italia ha un primato incontrastato in Europa, più del 50% dei salumi Dop e Igp certificati dall’Unione Europea, sono nostrani! Il Vecchio Continente ci riconosce la “tipicità” dei nostri prodotti, acquisita per motivi storici, sociologici e geografici determinati da esperienza e tradizione di tanti specifici territori che formano la nostra Nazione. Territori particolari, importanti oltre che per l’allevamento dell’animale, anche per i metodi di lavorazione, diversificati dalle esigenze di sopravvivenza. Tanti sono gli animali che offrono i loro muscoli e il loro grasso per la preparazione di raffinati oppure rustici salumi, sempre gustosissimi, ai quali il palato difficilmente resiste: bovino e cinghiale, equino e cervo, oca e camoscio, senza dimenticare il “divino” suino, animale di cui non si butta assolutamente niente, che non ha rivali nel confezionamento di salumi! Non è, però, esatto utilizzare il sostantivo “salumi” esclusivamente per indicare i prodotti che derivano dalla carne, infatti la parola “salumen” è un termine tardo latino che significa “prodotto conservato sotto sale” ed utilizzato anche per i prodotti ittici della civiltà nordica: baccalà, stoccafisso, arringhe, ecc. Oggi si generalizza l’accezione di salume, riservandolo ai prodotti ottenuti con carni di maiale! Maiale che ha avuto un’importanza notevole in campo alimentare fin dal tempo dei Romani, era un animale sacro, gli si doveva molto e se ne aveva la consapevolezza. Continuò ad avere rilevanza alimentare per tutto il medioevo, anche se allevato allo stato brado, con uno sviluppo totalmente diverso da un animale allevato nelle stalle: meno grasso e poco adatto alla preparazione dei salumi, ma bisogna ricordare che in quei periodi si usava solamente “salare” la carne per conservarla più a lungo. Tra il mille e il milleduecento s’inizia a stabulare il maiale per proteggerlo dalle

razzie: chiuso nelle stalle, il suino ingrassa meglio, le carni sono più tenere rendendolo idoneo per la salatura. In questo periodo sorgono le prime “consorterie” specializzate nell’arte di lavorare il maiale: a Bologna, a Firenze e soprattutto a Norcia, dove gli abitanti stessi diventano sinonimo di esperti “salatori”. A Roma la Via Panisperna è dedicata proprio al prosciutto (da panis-pane e pernacoscia), antica via di mercanti che iniziò a chiamarsi così quando vi si aggregarono molte botteghe di salumai. Ancora da Roma, Plinio, scrittore enciclopedico del I° secolo DC, affermò che "… da nessun altro animale si trae maggior materia per la ghiottoneria che dal maiale, la carne del maiale dà quasi 50 sapori diversi mentre per gli altri animali il sapore è unico". E la capacità contadina ha sviluppato diverse situazioni per conservare le carni, anche in conformità a quello che la natura metteva loro a disposizione in abbondanza! Nell’Italia settentrionale, la tradizione Mitteleuropea, ha maggiormente fatto uso del legname per “affumicare” e conservare, considerando la scarsa quantità di sale che si aveva a disposizione, per produrre speck e salame ungherese! Scendendo verso sud, nell’Italia Padana, le contaminazioni Celtiche, hanno portato alla creazione di salumi, sia cotti sia crudi, a “bassa salinità” tipo il Prosciutto di Parma, il Salame Felino o lo Zampone. Nel centro Italia gli Etruschi ed i Latini hanno messo a punto quelle tecniche che inducevano alla realizzazione di salumi, prevalentemente crudi, tutti d’un pezzo: prosciutto, lonze e lonzini, pancette e guanciali. I Greci e gli Arabi, padroni per lungo tempo del sud dell’Italia hanno trasferito alle popolazioni indigene l’uso delle spezie, utilizzate ancora oggi anche se diverse da quelle di allora. Ed infine i salami di piccola pezzatura, tipici della nostra Sardegna, retaggio delle dominazioni puniche e fenicie. Non bisogna generalizzare, perché tanti sono i manufatti che troviamo sotto il termine “prodotti di salumeria”, alimenti che hanno espressive differenze tra di loro. Pensiamo alle carni utilizzate con il primato di quelle suine, ma anche bovine, oche, equine, selvaggina, ecc.; alle parti anatomiche; ai sistemi di produzione; alla stagionatura più o meno lunga: quanti tipi di “salumi e salati” troviamo!

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della vita


...Salumi Per sintetizzare possiamo suddividerli innanzitutto in crudi e cotti. I primi costituiti da: parti muscolari salate e stagionate (prosciutti, lonze, bresaole, coppe), impasti di carne macinata stagionata (salami) o fresca (salsicce), chiudendo con le parti muscolari dove prevale il grasso di deposito (pancette, guanciale, lardo). Menzioniamo tra i “cotti” le spalle e i prosciutti, cotechini e zamponi, fino alla mortadella! Ricordiamoci inoltre il largo uso che si faceva una volta dello “strutto”, ottenuto dal grasso viscerale, o del “lardo”, il grasso di copertura dell’animale, condimenti per eccellenza usati da tutti i nostri antenati: come base per sughi, battuti con erbe aromatiche e aglio per insaporire gli animali del cortile che finivano nel forno, per condire la polenta; senza il “timore” delle moderne norme dietetiche. A proposito della Mortadella, punta di diamante della norcineria cotta, sembra che già in epoca Romana se ne producesse una versione chiamata “Farcimen Mirtatum”, carne cotta di maiale, pestata in un mortaio e condita con bacche di ginepro. Quella che conosciamo noi ha i natali nel 1600, certificati dall’editto del Cardinale Farnese che ne decreto le linee fondamentali della produzione.

Ma quali abbinamenti con questi succulenti alimenti?

Grassezza, sapidità, aromaticità, speziatura, tendenza dolce, persistenza gusto-olfattiva, succulenza indotta e struttura: sono le sensoriali più spiccate dei salumi, a volte delicate, ma più spesso forti e convincenti. I salumi si prestano a numerose e interessanti combinazioni con vini di diverse tipologie: bianchi, rosati e rossi, freschi di acidità e spesso anche vivacizzati da allegra effervescenza; più o meno morbidi secondo la sapidità; di buon tenore alcolico se il salume è tagliato a mano che ne aumenta la succulenza; infine tenere presente anche l’aromaticità e la speziatura che chiederanno vini altrettanto profumati. La Bresaola della Valtellina, ottenuta dalla coscia di manzo salata, speziata e stagionata per un paio di mesi, è un prodotto magro, tendenzialmente dolce e di buona succulenza ha bisogno di un rosso di buon corpo del territorio, l’ideale è un Valtellina Superiore Sassella, non troppo maturo. Con il prosciutto il discorso è vario, anche in base al tipo di prosciutto: per il Parma, il San Daniele o il nostro Carpegna, dolci e grassi al punto giusto, richiedono vini freschi e giovani, dalla Malvasia dei Colli di Parma, anche effervescente, ad Alto Adige Chardonnay ricco di piacevole acidità, fino ad una bollicina classica della Franciacorta o dell’Oltrepò Pavese. Con Prosciutti più sapidi, di montagna e ben stagionati, con toni aromatici incisivi si cercherà un rosso di buona struttura e persistenza, con tannini levigati: il Chianti Classico, il Sangiovese di Romagna Superiore fanno al nostro caso. Dall’Alto Adige arriva lo Speck, la coscia di suino disossata in “baffe”, salata, pepata e affumicata per alcuni giorni, che ne determina la nota dominante del prodotto, restiamo nella regione e abbiniamo un Alto Adige Gewürztraminer, secco e molto aromatico. Altra prelibatezza è il Culatello di Zibello, con speziatura decisa e delicatamente grasso e dolce, richiama uno spumante metodo classico, anche a base di Verdicchio, evoluto, fresco ed elegante!

ta dell’animale, speziate all’esterno e con un grasso più presente, hanno una maggiore tendenza dolce ma anche una maggiore succulenza legata ad una più veloce stagionatura, scegliamo un Cirò rosato o una Bonarda dei Colli Piacentini, con un leggero tannino che faciliterà la bevuta. Pancetta, Guanciale e Lardo di Colonnata o il Nostrano, salato, speziato e lasciato stagionare, presentano sensazioni di grassezza e tendenza dolce accentuate, oltre che sapidità e spaziatura. Il vino, di buona morbidezza, anche frizzante, con vivace freschezza, può essere sia bianco sia rosso: Lambrusco Reggiano, Vermentino di Gallura o un’Offida Passerina Spumante. Gli abbinamenti sui salumi macinati e… insaccati, sono da trovare nei vini locali magari morbidi per bilanciare la sapidità, che abbiano freschezza ed eventualmente effervescenza da contrapporre a grassezza e tendenza dolce, non particolarmente alcolici e tannici. Con il Salame Milano consiglio il vino San Colombano al Lambro rosso, la DOC di Milano che nasce da uve barbera; a Parma troviamo invece il Salame Felino, macinato a grana media e lardellato, avviciniamoci un Gutturnio anch’esso ottenuto da barbera e croatina, rosso brioso e leggero di corpo. Andando in Toscana si possono gustare la Finocchiona, salame profumato con semi di finocchio o lo squisito Salame Toscano, sapido e grasso, da gustare con un calice di Morellino di Scansano, ultima DOCG Toscana realizzata con il Sangiovese di media maturazione e di giusta morbidezza per bilanciare la sapidità delle proposte.

Nelle Marche, tra le varie proposte annoveriamo il Salame di Fabriano, delicatamente affumicato, da provare con un Rosso Conero giovane, immediato, realizzato con brevi macerazioni delle bucce e affinato in acciaio per esaltare le note fruttate. Altro gioiello marchigiano è il Ciauscolo, di recente riconoscimento IGT, il più famoso salame “spalmabile” dell’intero territorio nazionale, fresco, grasso e profumato d’aglio da abbinare a una Passerina, anche spumante, grazie alla sua viva freschezza pulirà il palato dalla sensazione grassa. Zampone, Cotechino e Cappello del Prete, tutti prodotti da impasti di carne, grasso e cotenna insaccata, consumati cotti donano grande grassezza, “collosità” e succulenza l'abbinamento è con i rossi frizzanti di zona su tutti il Lambrusco, con le stuzzicanti bollicine rigenera la sensibilità della cavità orale. E la Mortadella di Bologna, cotta in stufe ad aria secca e aromatizzata con finocchio, pepe, pistacchi e altro, l'abbinamento tradizionale quasi inevitabile è con il Colli Bolognesi Pignoletto frizzante, ma accostatela ad un Trento brut, nobili bollicine italiane, il palato sarà sublimato dal piacere!

Questi miei sono consigli, magari provati e riprovati, vi propongo molti vini rossi, ma non soffermatevi solo a quelli, considerate sempre la stagionatura del salume, e se volete, affrontate anche vini bianchi, più corposi, morbidi ed evoluti come un Offida Pecorino o un Verdicchio di Jesi superiore, un Alto Adige kerner oppure un Collio Sauvignon!

E ora … buon appetito a tutti! Dal vostro sommelier Stefano

Capocollo, lonza, lonzino o coppa, chiamateli come volete, sono le parti muscolari che si trovano tra la nuca e la lomba-

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...La scarpetta nel piatto

Non è Cenerentola, ma s’interessa di una scarpetta!

Nenella Impiglia alla presentazione del libro a Palazzo dei Priori

Un l ib ro che pa r la di moda e di cibo. è L A SCARPE T TA NE L PIAT TO, po r ta la p refaz ione del p residente del la reg ione Ma rche Gian Ma r io Spacca. E’ co r redato da nume rose i l l ustraz ioni real i z zate da Tania Bi ni, e contiene 25 r icet te di piat ti tipici ma rchig iani. L’autr ice è Nenella Impig l ia. I l l ib ro è stato p resentato vene rd ì 21 gen naio al Palaz zo dei Pr io r i di Fe r mo al l’i nte r no del l’i ni z iativa Lib r i i n C- omune, ci clo d’i ncontr i su temi d’attual ità, sto r ia, costume e società. Cu r ioso l’abbi namen to moda - cibo tanto che viene da chiede r si: “Ma cosa c’entra la moda con i l cibo?”. Poi, sco r rendo le r ighe, capisci che l’ope ra del la signo ra Nenel la non è un racconto comune, ba nale, è, i nvece, una g rande sto r ia d’amo re: pe r le tradi z ioni, le o r ig i ni, pe r la sua te r ra, pe r la famig l ia, pe r i l lavo ro che l’ha po r tata a crea re con i l ma r ito Renato Cu r z i e poi con le sue f ig l ie Si lvia e Valenti na, che chiama tene ramente “angel i”, una del le az iende di r ife r i mento nel mondo del la cal zatu ra e del made i n Italy, con i ma rchi Vic Mat ié e OXS. L’autr ice pa r la così, l ibe ramente, ap ren do i l suo cuo re. Vol itiva, tenace, i mpul siva, ma anche estremamente positiva, dif fonde i l suo so r r iso a tut to ciò che la ci rconda (“un so r r iso non costa nul la ed è così piacevole da vede re”, è sol ita af fe r ma re). È questa la sto r ia di una ragaz za diventa ta donna che non si è mai sot trat ta al le respon sabi l ità, an z i le ha p rese di pet to, af f rontandole con co ragg io. Ognuno di noi può r iconosce r si i n lei. È questo i l seg reto del suo l ib ro: svela re l’i nti mo, i senti menti, le sensaz ioni, sen za remo re, pe rché i n f i n dei conti la vita cos’è se non una sf ida conti nua con se stessi nel la r ice rca d i ragg iunge re e concreti z za re un sogno? E la mag ia di Nenel la è questa: convi nce re tut ti noi che possiamo fa rcela.


...La Pizza

LA DIGERIBILITÀ DELLA PIZZA Prima di entrare nel merito dell’argomento che oggi trattiamo, mi piace fare un piccolo excursus per meglio far comprendere al lettore l’importanza del tema descritto. di Renato Andrenelli Il 2010 è stato un anno epocale per la pizza. La "dieta Mediterranea" è entrata nel patrimonio culturale immateriale dell'Unesco. L'ok è arrivato a metà novembre, all'unanimità da parte del comitato intergovernativo dell'Unesco riunito a Nairobi, in Kenya. La dieta mediterranea è la prima pratica alimentare tradizionale al mondo ad essere iscritta nella prestigiosa Lista. Quest'ultima, istituita dalla Convenzione Unesco del 20 03. Nel maggio 20 09, la candidatura (presentata, in prima istanza, nel 20 03 da Spagna, Grecia, Marocco e Italia) è stata ripresentata, con successo, dalle stesse nazioni e dall'Italia che ha assunto il coordinamento dei partner di lavoro internazionale. Oggi il gruppo di lavoro del ministero che ha ottenuto l'iscrizione della dieta mediterranea sta lavorando, alla candidatura un’altra eccellenza italiana «L'arte della pizza napoletana». Importantissimo, quest’anno, perché segna una svolta negli usi e costumi di tutto il mondo a favore di un prodotto tipicamente italiano come la pizza, che entra a pieno titolo della dieta mediterranea. Questo cambiamento c’è stato anche nel mercato interno italiano. Da gennaio 20 09, alcune tipologie di pizza, sono state inserite nel paniere come indice di definizione dell’inflazione. Segno evidente della cresciuta di popolarità di questo stupendo prodotto acclamato nel mondo intero. Ora è giunto il momento di fare, di questo alimento, un vero e proprio piatto della tradizione Italiana. Molti diranno che lo è sempre stato. Questo è vero, ma è anche certo che la pizza ha rappresentato, nel tempo, l’alimento dei poveri perché doveva saziare per l’intera giornata. Oggi la sua popolarità deve far riflettere, ed incutere rispetto verso questa sua notorietà acquisita nel tempo a discapito di ogni altra forma sublime di ristorazione. Nell’odierna società profondamente trasformata negli usi e costumi, dove l’alimentazione dal punto di vista culinario deve

considerarsi: leggera, appagante dei sensi, poco nutriente per non appesantire eccessivamente il fisico. Anche la pizza deve essere un prodotto leggero e facilmente digeribile. Un concetto, questo, facile da dirsi ma molto più difficile da mettere in pratica, perché i pizzaioli si portano appresso un retaggio di memorie culturali molto spesso fondato su nozioni tramandate da una generazione all’altra, ma non rispondenti alle moderne esigenze. Il consumatore finale sempre più lamenta il fatto che la pizza, durante la digestione, fa insorgere il bisogno di bere molto. Oppure nei banchi delle pizzerie da asporto, la pizza in esposizione, che si alza negli angoli dei tranci. Due esempi di sintomi che denotano una scarsissima lievitazione della pasta. Vorrei, a questo punto, definire il concetto di lievitazione. I carboidrati, zuccheri complessi come l’amido contenuto in grande quantità nella farina, sono l’energia che noi possiamo spendere a lungo periodo. Per questo motivo il nostro corpo, all’arrivo di questo alimento deve necessariamente assimilarlo e se in quantità superiore al fabbisogno, metterlo da parte per i periodi in cui ci potesse essere carenza. Gli zuccheri polisaccaridi (così si definiscono gli amidi della farina) non vanno direttamente in circolo nel sangue come i disaccaridi e i monosaccaridi. Debbono essere trasformati chimicamente prima di poter essere assorbiti dal nostro corpo. Questa operazione molto importante, che poi in sostanza è il vero segreto della lievitazione della pasta, il pizzaiolo deve eseguirla prima di cuocere la pizza. Oggi va di moda la maturazione dell’impasto, attraverso una lunga permanenza della stessa in frigo. Processo, questo, che può essere benefico ed efficace se l’impasto è realizzato con lievito madre, dove più importante sarà la fermentazione lattica della pasta. Nel caso invece di utilizzo del lievito industriale (comunemente chiamato lievito di birra) il processo di lievitazione dipende dal corretto

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...La Pizza rispetto delle ore di lievitazione necessarie alla farina.

In questa circostanza lievitare significa: permettere agli enzimi, presenti nella farina, di trasformare i carboidrati in zuccheri semplici. Questi ultimi verranno mangiati dai lieviti aggiunti alla pasta, che a loro volta produrranno un gas, l’anidrite carbonica. Una pasta correttamente lievitata dovrà apparire come un comune palloncino pieno di aria. Per ottenere questo risultato occorre rispettare la capacità panificabile della farina ed il conseguente periodo di lievitazione necessario al corretto rigonfiamento del panetto di pasta. Questo processo deve necessariamente avvenire a temperatura ambiente e mai potrà accadere al freddo. La fisica ci insegna che tutti i gas che esistono in natura portati a 0°C cambiano il proprio stato fisico, per cui una pasta posta in frigorifero non potrà mai lievitare correttamente. Questo processo produttivo molto spesso è disatteso dal pizzaiolo, perché confuso con una lunga permanenza in frigo dell’impasto. Anche le aziende del settore cerealicolo, poiché spingono sempre più al consumo di grani di forza, indirettamente sono corresponsabili di mancanza di corretta informazione. Una farina molto forte come quella, così detta “americana”, può creare molti problemi di digeribilità del prodotto se usata con tempi di lievitazione inferiori alle 24 -36 ore a temperatura ambiente. Ininfluente è il periodo di riposo nel frigo per il processo di digeribilità del prodotto, specialmente se viene usato lievito industriale. Il rigido rispetto dei tempi e temperature di produzione e lievitazione della pasta, permetterà

di raggiungere massimi gradi di croccantezza, leggerezza e digeribilità del prodotto cotto, senza nessun’altra aggiunta ad acqua, lievito, farina e sale della ricetta per la pizza. Possiamo in definitiva affermare che la massima espressione della professionalità del pizzaiolo si ha quando: l’operatore è in grado di ottenere il massimo gusto percepibile, senza aggiunte di particolari sostanze che ne esalterebbero le percezioni gustative descritte o desiderate dal consumatore finale. Questa metodica nella produzione della pizza sarà in grado di porre il pizzaiolo nella condizione di dare, con lo stesso impasto, ogni altezza ed ogni forma possibile alla pizza da lui prodotta. La pasta così prodotta potrà essere un eccellente coadiuvante in cucina per realizzare stuzzichini negli antipasti, come complemento nel ser vizio di primi e carni in crosta, o come base, nella preparazione di dolci dove l’esaltazione del dolce salato possa completare i gusti di qualunque ricetta.

Pizza Margherita


...La Cinta "Fermana"

Osservando le opere d’arte scopriamo le Nostre Tipicità La cucina dei territori è fatta di specialità tipiche che caratterizzano la tradizione di sapori locali,qualche volta perduti, che spesso vengono valorizzati e rivisitati. Solo un prodotto tipico può oggi richiamare e fare realmente la differenza. Il giusto prodotto, riscoperto e proposto con professionalità costituisce un valore aggiunto. di Amedeo Grilli

Vincenzo Pagani, Sant'Antonio abate in trono e i santi Antonio da Padova e Giobbe (particolare) Olio su tavola, 225x170 cm - Cossignano - AP, Chiesa dell'Annunziata.

Oggi cerchiamo di riappropriarci di una documentata prelibatezza del passato che appartiene alla nostra storia. Il rito della “salata” o della “pista“ è un momento legato alla tradizione familiare contadina, fortemente stagionale, che ha ricette ed usi propri legati alla storia di questa porzione della nostra regione. Non mi soffermo sui tanti aspetti e tradizioni da raccontare sul “rito” della salata, esiste un' ampia ed interessante letteratura e pubblicistica in merito. Vorrei richiamare l’attenzione sul tipo di maiale che veniva allevato e poi trasformato in prelibati salumi. Quando siamo di fronte ad un salume, di solito, ci chiediamo da dove proviene il maiale, dove è stato allevato, cosa ha mangiato? In tanti sono disposti a pagare profumatamente il prosciutto spagnolo Pata Negra, che è il prosciutto più caro del mondo, di cui si conosce la razza del maiale di provenienza, la modalità di allevamento ed i sistemi di preparazione e conservazione. è giusto pagare di più il prodotto di maggiore qualità? Credo di si, anche se per ottenere la qualità non sempre è obbligatorio fare migliaia di chilometri ed andare per forza all’estero. E i nostri maiali debbono essere per forza quelli dei grandi allevamenti intensivi che producono razze selezionate su gusti internazionali? Quali erano le razze presenti nel nostro territorio prima della contaminazione globalizzante che ci ha portato sapori e piatti identici ovunque?

Se guardiamo alcuni quadri del pittore rinascimentale Vincenzo Pagani (1490-1567), di Monterubbiano, e precisamente la pala di Sarnano e quella di Cosssignano scopriamo, tra i dettagli dello sfondo, che i particolareggiati e nitidi paesaggi in cui sono ambientate le immagini sacre, riportano alcuni maiali al pascolo o semplicemente rappresentano un maiale. Sono maiali neri con una fascia bianca che assomigliano molto a quella famosa razza che oggi si chiama cinta senese che oggi rappresenta una razza autoctona di punta della produzione italiana. La cinta senese è una razza di maiale nero con una caratteristica fascia bianca che allaccia, "cinge" il garrese, il torace, le spalle e le zampe anteriori e da cui deriva il nome. Se poi andiamo nell’atrio della chiesa di S. Agostino a Fermo nella bella lapide mediovale, in pietra d’Istria, che ricorda il condottiero fermano Francesco Guerrieri è rappresentato anche un maiale con una caratteristica cinta che lo avvolge nel torace.

Queste opere d’arte ci raccontano che in questa zona la razza di maiali più diffusa, tanto da essere assunta come tipica rappresentazione del maiale, era quella particolare con il mantello nero ed una striatura bianca al dorso che avvolgeva la pancia. Vogliamo provare a riscoprirla? Se andiamo a vedere come i nostri confinanti cugini senesi ci parlano della loro cinta scopriamo che:

Le origini di questa razza sono molto antiche ed esistono testimonianze pittoriche che dimostrano l'allevamento di suini simili all'attuale Cinta Senese fin dal Medioevo. Il tratto più caratteristico di questo suino è la presenza di una cinghiatura bianca, che dà il nome alla razza, su un mantello che è di colore grigio-nero. La più famosa raffigurazione di un suino che assomiglia all'attuale Cinta Senese è di Ambrogio Lorenzetti, "Effetti del buon Governo" (1319-1347), nel Palazzo Comunale di Siena. Altre rappresentazioni di suini con cinghiatura bianca appaiono in dipinti e affreschi della scuola senese del XII secolo in diverse chiese della campagna di Siena. Dopo un lungo oblio dovuto alla introduzione di razze selezionate perché non pensiamo di scoprire, reintrodurre e valorizzare questa nostra razza marchigiana presente nella marca fermana rappresentata e documentata in opere d’arte della nostra area? La carne ottenuta da questa riscoperta razza di suini della marca fermana potreb-

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il Gusto...


...La Cinta "Fermana"

Vincenzo Pagani, Santa Lucia in gloria d'angeli su fondo di paese. (particolare) Olio su tavola, 184x130 cm - Sarnano, Pinacoteca comunale.

be essere utilizzata prevalentemente per la trasformazione in salumi di pregio tipici della zona di allevamento, quali prosciutto crudo, spalletta, coppa, pancetta, ciavuscolo, lonza, salsicce ecc. e perché no per il pronto consumo. Si potrebbe incentivare la conduzione degli allevamenti di tipo familiare - medio intensivo nella fascia montana favorendo anche allevamenti di tipo semibrado magari pensando ad avviare un percorso per arrivare a costituire un consorzio di tutela dl suino “fasciato marchigiano” D.O.P., unica via che permette una sicura tracciabilità del prodotto finito della nostra storica razza di suini da cui trarre prodotti di qualità. Sarebbe un altro passo avanti verso la valorizzazione di un territorio che con questa riscoperta specificità acquisirebbe ulteriore capacità attrattiva.

Lapide di Francesco Guerrieri (particolare) - Atrio chiesa S. Agostino, Fermo

Nota: In Italia esistono solo 5 razze autoctone ufficialmente riconosciute. Il registro anagrafico dei tipi genetici autoctoni conserva le informazioni genealogiche dei soggetti iscritti al fine della conservazione delle razze con particolare attenzione al mantenimento della loro variabilità genetica e promuovendone, al contempo, la valorizzazione economica. Esso è composto da divisioni distinte per le razze Cinta Senese, Mora Romagnola, Nero Siciliano, Casertana, Calabrese. Cinta di Cagli. (cfr.dr. Zanon edagricole sole 24 ore).

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della vita


...Un po' di storia

Andrea Bacci, il medico che nel ‘500 scrisse la prima guida turistico-enologica Medico, studioso delle acque e delle terme, nel 1596 pubblicò il “De naturali virnorum historia” il più importante testo sul vino e sulla tavola, descrivendo per primo lo spumante La prima edizione del “De naturali vinorum historia” Roma, Nicola Muzio, 1596

di Giovanni Martinelli Siamo tutti convinti che la DOC e i percorsi delle tipicità siano un’invenzione del nostro tempo. Poi, magari, ti accorgi che in questa terra, eternamente periferia del mondo, secoli fa qualcuno li aveva già scoperti e pubblicizzati. Allora ti chiedi perché nessuno lo dice, e perché per parlarne devi sempre scomodare gente di altre terre, dimenticandoti di gente come Andrea Bacci, che fu personaggio “a prescindere”. Medico, idroclimatologo fra i più grandi, archiatra pontificio, a lui va il merito di aver scritto il più importante trattato di enologia dai tempi dei classici latini fino a noi, la monumentale De naturali vinorum historia (Roma, presso Nicola Muzio, 1596), che in quattro anni vide altrettante ristampe. Fu un’opera finale, scritta a settant’anni suonati, quasi un testamento della sua passione per la buona tavola. Perché il Bacci (Sant’Elpidio a Mare 1524 – Roma 1600) fu un idroclimatologo e si occupò per tutta la vita di acqua, di cure termali, di idroterapia. Il suo De Thermis per due secoli fu l’opera monumentale considerata il fondamento dell’utilizzo a scopo terapeutico delle sorgenti termali, che egli studiò e catalogò per natura e per utilizzo. Non senza sconsigliare le cure “fai da te”. La sua fama in ambiente scientifico fu enorme, tanto da farlo diventare uno dei cittadini più in vista di Roma, incaricato addirittura di

studiare rimedi alle esodanzioni del Tevere, docente alla Sapienza, Sisto V lo volle come suo archiatra. Ma la fama vera gli viene dal libro sul vino: un trattato, in latino, in sette libri (la traduzione è stata pubblicata a libri annuali alcuni anni fa dall’Ordine dei Cavalieri del Tartufo e dei Vini di Alba, in Piemonte). Nel primo scrive del vino secondo gli studi degli antichi, con una serie dottissima di citazioni e confronti, anche sul modo di coltivare, vendemmiare, vinificare. Nel secondo disquisisce dei vari vini: caldi, freddi, generosi, deboli, dolci, del loro colore e consistenza in rela-

zione all’esposizione dei vitigni, della fertilità del terreno, dell’influsso dei fenomeni atmosferici. Nel terzo libro il Bacci “medico” si occupa del rapporto fra vino e salute, dando consigli sull’uso e sulle quantità in relazione all’età e allo stato fisico, mentre il quarto – De conviviis antiquorum – traendo notizie dagli antichi scritti, ci parla di come il vino veniva servito (l’arte del sommelier è antica!), delle regole dello stare a tavola, della successione delle portate, di come si svolgevano i conviti del passato. Negli ultimi libri il Bacci firma la sua fama di enologo elencando e descrivendo oltre 900 vini delle regioni e località italiane (in altro libro quelli del mondo allora conosciuto) ognuna delle quali viene introdotta con notizie generali e sui metodi di vinificazione, conservazione, tipologie e nomi dei vini: una vera guida turistico-enogastronomica concepita secondo i criteri moderni, anticipando, come ha scritto Ettore Franca, (in Andrea Bacci, la figura e l’opera, atti della Giornata di studi, Sant’Elpidio a Mare, 2000) il legame fra prodotto e territorio, quella denominazione di origine che in Italia ha solo quarant’anni! Tanto che il suo testo, ridotto in un italiano corrente, è un invito a un viaggio per le nostre terre, che egli descrive nella loro bellezze naturale, nella rigogliosità dei campi, nel piacere della coltivazione delle uve, citando località, curiosità, infine descrivendo le coltivazioni autoctone.

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il Gusto...


...Un po' di storia Nel libro quinto, parlando dei vini del Piceno anticipa la storia dello spumante citandolo 120 anni prima che Dom Perignon ne diventasse il riconosciuto inventore, un vino di media sostanza, dorato tendente al fulvo, con profumo di muschio con bollicine che con grande piacevolezza saltellano dal bicchiere (stille jucundissimus) da bere a tavola una sola volta prima di pranzo. Parla del mosto, della sapa, dell’acquaticcio, del vino cotto, del vino novello, leggero e facilmente digeribile, ma di scarsa conservazione. Occupandosi delle abitudini a tavola, il Bacci scrive che per gli antichi mangiare una sola volta significava fare la sola cena serale, considerata il pasto principale che non doveva mai essere saltato. Alla domanda se sia salutare fare uno o due pasti al giorno, facendosi spalla di Ippocrate propende per la seconda: il fare un solo pasto inevitabilmente ne provoca un altro perchè dopo un intervallo di digiuno di ventiquattro ore, essendo lo stomaco ormai vuoto e sfinito, di solito in quell’unica cena lo si riempie in misura assai maggiore e in maniera più dannosa di quanto accadrebbe se si mangiasse in due momenti diversi e conclude che è più salutare mangiare due volte al giorno, pranzare il mattino e cenare la sera (quindi il contrario delle abitudini che cerchiamo di importare, con scarsi risultati, dal mondo anglosassone).

Questo 500 anni fa grazie a un medico-enologo delle nostre terre. Poi noi citiamo i più improbabili enologi che appena appena si degnano parlare delle nostre tipicità. Andrea Bacci sarebbe il miglior testimonial di questa terra, ma noi, si sa, diffidiamo sempre di quel che abbiamo in casa.

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della vita


...Ai fornelli

Chef Giampiero Giammarini

Giampiero Giammarini lavora come chef oramai da diversi anni, ha avuto esperienze a Roma e all’estero, in particolare negli Stati Uniti. Nel 2002 ha aperto il ristorante I Piceni dove si è dedicato alla valorizzazione e all’elaborazione di piatti locali. Unendo l’esperienza e la passione per la cucina, con la ricerca dei prodotti e degli ingredienti migliori sul territorio, Giampiero Giammarini ha reso il Ristorante i Piceni di Ortezzano una delle massime espressioni locali in ambito culinario.

Antipasto freddo

Coniglio in Porchetta con Salsa Aromatica Ingredienti: • 1 coniglio con il suo fegato e rognoncini • 3 fette di prosciutto • 5 olive verdi in salamoia • finocchietto • aglio • rosmarino • sale • pepe • spago per chiudere il coniglio

PROCEDIMENTO: Disossare il coniglio, aprirlo quindi a libretto, salare pepare e cospargere con il trito di aglio, rosmarino e finocchietto, Adagiare poi il prosciutto su tutta la superficie dello stesso. Tritare e cuocere leggermente il fegato con i rognoncini, sistemare il tutto al centro del coniglio inserendo anche le olive verdi a filetti. Chiudere come se fosse un salame e legare bene con lo spago. Cuocere avvolto in un foglio di alluminio, in forno a 170° C per circa 30 minuti. Far raffreddare, tagliare a fette e disporre nel piatto con al centro delle verdure cotte o un insalitina. Condire con dell'olio extra vergine, emulsionato a freddo con timo, origano, alloro, rosmarino, un cucchiaio di aceto e uno di miele.

Antipasto Caldo

Olive all'Ascolana

Ingredienti: • olive gentili di Ascoli • 100 g di carne di manzo magra • 100 g di carne di vitello • 100 g di carne di maiale • 100 g di petto di pollo o tacchino • 100 g di parmigiano • 1 uovo intero • 1 limone grattugiato • 1 pizzico di noce moscata • sale e pepe • olio per friggere per la panatura • uovo • pangrattato • farina

PROCEDIMENTO: Cuocere a pezzi grandi le carni con un bicchiere di acqua, sale e poco pepe. Quando l'acqua si sarà ritirata, aggiungerne un mestolino per volta fino a che la carne non risulterà cotta, evitando di farla rosolare o colorare. Una volta raffreddate, passare le carni nel tritacarne e malgamarle con l'uovo, il limone grattugiato, la noce moscata e aggiustare di sale e pepe. Denocciolare le olive, inserire al centro una pallina di carne, passarle nella farina, poi nell'uovo battuto (con un filo di acqua) e infine nel pan grattato. Friggere in abbondante olio a 170° / 180° C.

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il Gusto...


...Ai fornelli PRIMO

Gnocchi al ragù di Agnello e Menta

SECONDO

Brasato al Rosso Piceno con purè di patate Ingredienti: • 1Kg di muscolo di manzo (guanciale, stinco disossato) • 1,5 L di rosso Piceno • 1 costa di sedano • 1 carota • 1 cipolla • 3 chiodi di garofano • 1 pennetta di cannella • 1 grattata di noce moscata • 1 pomodoro rosso • 2 foglie di alloro • 1 rametto di timo • 1 rametto di rosmarino • 5 grani di pepe • 1 spicchio di aglio

Ingredienti: Per gli gnocchi • 6 patate con la buccia • 1 uovo • Farina • Sale • 1 pizzico di noce moscata

Per il ragù • 1 pezzo di coscio o spalla d'agnello • 1 sedano • 1 carota • 1 cipolla • Menta, salvia, alloro • sale, pepe, olio • Pecorino di fossa

PROCEDIMENTO: La sera precedente mettete in un recipiente il muscolo di manzo con il vino, le verdure e le spezie a far marinare per l'intera notte. La mattina successiva tirare fuori la carne e farla soffriggere delicatamente in un tegame a bordi alti con un filo di olio, successivamente aggiungere le verdure ben asciutte, poi coprire il tutto con la marinatura di vino rosso. Cuocere lentamente per almeno 3/4ore, aggiungendo quando necessario qualche mestolo di brodo vegetale. Servire a fette con la salsa al vino rosso, che nel frattempo si sarà leggermente addensata, con al centro del piatto un bel cucchiaio di purè di patate.

PROCEDIMENTO: Bollire le patate con la buccia ed un po' di sale, nel frattempo mettere la carne a tocchi grandi in un tegame, con un filo di olio, far rosolare, aggiungere sedano, carote e cipolle a cubetti, salare e pepare e aggiungere una manciata di odori tritati, con la menta in quantità maggiore. Bagnare con vino bianco, far evaporare, stufare con del brodo fino a cottura. Raffreddare il ragù da poter spolpare la carne, tagliarla a cubetti della stessa misura delle verdure, lasciare in caldo. Quando le patate saranno cotte, eliminare la pelle, schiacciare e aggiungere l'uovo, la farina e lavorare fino a tagliarli della misura voluta. Cuocere in abbondante acqua salta, mantecare con il ragù. Impiattare, grattugiare direttamente nel piatto il pecorino e guarnire con foglioline di menta fresca. DOLCE

Fagottini di Mela Rosa dei Sibillini con Gelato all' Anisetta Ingredienti: • Mele rosa • Pasta per strüdel • Cannella • Pinoli • Uvetta • Zucchero a velo • Mandorle a fette • Zucchero semolato • Vino cotto • Burro

Gelanisetta • 1Kg crema inglese • 30 g panna fresca • 170 g Anisetta Gelatiera

PROCEDIMENTO: Togliere il torsolo e sbucciare le mele, cuocerle in forno con una spolverata di zucchero e un bicchiere di vino cotto. Farle raffreddare, tirare la sfoglia e fare dei quadrati grandi abbastanza da poter ricoprire le mele stesse, farcire il centro della mela con pinoli, uvette, mandorle e cannella, richiuderle,come un fagottino, con i bordi della pasta sfoglia facendola attaccare con del burro fuso. Cuocere in forno a 160° C per 20 minuti, servire caldi con il gelato all'anisetta.

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della vita


...Camera di Commercio Fermo

Nuova sede

per la Camera di Commercio di Fermo

Il presidente Graziano Di Battista nel suo nuovo ufficio

Con l'inaugurazione della nuova sede, nel pieno centro storico della città, in Corso Cefalonia 69, la Camera di Commercio di Fermo ha compiuto l'ultimo, importante, passaggio verso la piena funzionalità per garantire il sostegno ai camparti economici e di supporto alle aziende della provincia. Al taglio del nastro presenti numerosissimi ospiti (dal Prefetto di Fermo Emilia Zarrilli al sindaco di Fermo Saturnino Di Ruscio, dal presidente della Provincia Fabrizio Cesetti alle autorità religiose, civili e militari della Provincia, oltre ai Consiglieri ed i componenti la Giunta camerale e dell'Azienda Speciale Fermo Promuove), che hanno potuto apprezzare la nuova location camerale: la visita guidata è stata curata da Stefano Papetti, docente di Museologia presso l'Università agli Studi di Camerino, che ha illustrato in sintesi la storia di Palazzo Azzolino. Ospiti che hanno poi preso parte alla tavola rotonda sul tema “L'economia marchigiana alla sfida del terzo millennio”, presso l'auditorium camerale, coordinata da Maurizio Bertucci, capo redattore TgR

L'auditorium della Camera di Commercio.

Marche e da Nicoletta Picchio giornalista del Sole 24 Ore, presenti il presidente Graziano Di Battista, Feruccio Dardanello presidente Uniocamere e Gian Mario Spacca, presidente Regione Marche. “Poter utilizzare appieno la nuova sede è un passo importante – ha tenuto a precisare il presidente Graziano Di Battista – che favorisce la piena funzionalità dei servizi, molti dei quali sono già garantiti per via telematica, a tutto vantaggio delle imprese e dei cittadini. Ma la nuova sede, ubicata nel cuore del centro storico, in uno dei palazzi più belli e storicamente più interessanti della città capoluogo è per noi ulteriore motivo di orgoglio: potremo ricevere in una sede prestigiosa le tante delegazioni europee e mondiali con le quali abbiamo già collaudati rapporti di collaborazione, tesi a favorire aperture di nuovi mercati per le nostre aziende, oltre ad essere convinti di offrire nuova linfa alle attività commerciali presenti nel centro storico”, ha finito il presidente Di Battista, particolarmente soddisfatto per il traguardo raggiunto.


...Provincia di Fermo

Un Territorio delle QUALITÀ

Il Presidente della Provincia di Fermo On. Avv. Fabrizio Cesetti

Al centro della nostra azione amministrativa abbiamo posto, sin dall’inizio, un elemento che riteniamo imprescindibile: il territorio. Da qui siamo partiti - Giunta, Consiglio e personale della Provincia di Fermo - lavorando sin dal nostro insediamento per l’individuazione delle direttrici strategiche per sviluppare il turismo di questa straordinaria terra. Un settore cruciale, che mette in stretta connessione ogni singolo aspetto del nostro tessuto economico. Perché accanto al miglioramento dell’offerta e dell’accoglienza, c’è quel circuito di outlet che testimonia la grande laboriosità e creatività degli artigiani e delle imprese fermane; c’è uno scrigno di bellezze artistiche, storiche e paesaggistiche costituito dai 40 Comuni; c’è un fermento culturale di rilevanza internazionale, con rassegne capaci di proiettare il Fermano in ogni angolo del pianeta. E c’è soprattutto quel patrimonio enogastronomico che, attraverso la creazione di circuiti ad hoc (penso alle cucine tipiche ed alle erbe spontanee), ci siamo impegnati a consolidare e valorizzare nelle principali piazze nazionali ed europee, in piena sintonia con tutti gli attori protagonisti.

Lo testimoniano: la creazione di un Tavolo Azzurro, che vede coinvolte le realtà turistiche operanti nella Provincia, nella cui ultima riunione è stato presentato il Programma Operativo Turistico della Provincia di Fermo 20112014; la partecipazione alla BIT di Milano, con l’organizzazione di un bus con oltre 80 partecipanti, la metà dei quali studenti; il sostegno alla manifestazione Tipicità, una vetrina delle eccellenze culinarie e delle tradizioni marchigiane, anche attraverso la creazione di un momento di riflessione sui temi della ruralità e dell’agricoltura di qualità, con il coinvolgimento della Regione Marche e delle altre 4 Province. Ci siamo fatti carico - e continueremo a farlo per tutto il nostro mandato - di una grande responsabilità che, va rimarcato, potrà dispiegarsi pienamente soltanto attraverso una tutela di quelle bellezze che i più importanti magazine e quotidiani, non solo italiani, hanno individuato come l’autentico valore aggiunto del Fermano. Un turismo, quindi, rigorosamente compatibile con quello che, insieme a tutti i miei collaboratori, amo definire “un territorio delle qualità”. Il Presidente della Provincia di Fermo On. Avv. Fabrizio Cesetti

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della vita


...Frantoio Agostini Alfredo

L'oro di Petritoli “Se per volumi di produzione e per frazionamento delle aree olivetate la regione Marche si colloca agli ultimi posti della graduatoria nazionale, così non è per la qualità dei suoi prodotti: gli oli extravergine si caratterizzano infatti per bassa acidità e per aromi e sapori, intensamente sapidi e mandorlati”.

Così cita la Guida Touring “Le città dell’Olio”. Non fanno eccezione gli extravergini prodotti dalla ditta AGOSTINI ALFREDO snc di Ortezzano, in provincia di Fermo, zona vocata alla coltivazione olivicola e rinomata per la qualità dei suoi oli fin dall’epoca romana. L’Oleificio Agostini è un’impresa artigianale gestita dai fratelli Maurizio e Gaetano Agostini e dalla moglie di quest’ultimo, Maria Francesca De Laurentis. è la seconda generazione della famiglia ormai a guidare l’azienda, continuando l’attività del fondatore Alfredo che, nel 1945, a soli 20 anni, acquistava un vecchio frantoio che moliva per conto terzi a Petritoli, dove lavorava come dipendente. Alfredo decise coraggiosamente di produrre in proprio, iniziò ad acquistare le olive direttamente e quindi a vendere l’olio di sua produzione, spesso ricevendone il pagamento a distanza di mesi, dopo che era stato consumato. Si era nell’immediato dopoguerra, in tempi difficili ma caratterizzati da grandi entusiasmi, da una febbre di fare e ricominciare che ispirò Alfredo, portandolo ad aprire un altro frantoio ad Ortezzano, dove nel frattempo aveva messo su famiglia. Col passare degli anni la clientela aumentò, di pari passo con la reputazione del frantoio, e nel 1976 si inaugurò a Petritoli un nuovo stabilimento, più moderno e al passo coi tempi. Già da qualche anno era entrato in azienda anche il figlio maggiore di Agostini, Gaetano, portandovi il

suo naturale spirito innovativo e le sue doti organizzative che trovarono sbocco in una razionalizzazione della produzione e della commercializzazione, ormai irrinunciabile per conquistarsi un posto sul mercato. Ed è così che nel 1986 l’oleificio Agostini diventa il primo ed unico frantoio nella Provincia di Ascoli Piceno ad essere riconosciuto dalla Comunità Europea come impresa di confezionamento. Questo riconoscimento è stato uno degli stimoli che, insieme alla ricerca costante e puntigliosa della qualità, ha portato la famiglia Agostini a decidere

di fare un ulteriore, importante passo in avanti sulla strada dell’avanguardia e della competitività: costruire una nuova sede dove poter gestire al meglio tutte le attività di un’azienda in continua espansione. Il nuovo stabilimento che sostituisce i due esistenti di Petritoli e Ortezzano, si inaugura nel 1993. Tutto è centralizzato, anche geograficamente, nel nuovo e moderno stabile di circa 1.000 mq coperti che sorge su un’area di 4.000 mq: dalla produzione

all’amministrazione, dal confezionamento alla spedizione. Nel frantoio è installato il nuovo impianto continuo, completo di defogliatore e lavatrice per le olive, di un estrattore Elephant S470/2 di ultima generazione e di due separatori centrifughi, in grado di lavorare 10.000 – 12.000 quintali di olive/anno per una produzione media annua di 2.000 - 2.500 quintali di olio. Il complesso comprende poi un locale climatizzato per la conservazione dell’olio nelle migliori condizioni, nuove cisterne inox, un impianto di confezionamento costantemente adeguato alle esigenze commerciali: il tutto rispettando le più restrittive norme CE. Due sono i marchi di extravergine che il Frantoio Agostini produce da olive di varietà Carboncella, Frantoio, Leccino, raccolte per brucatura a mano: “Hurticinum” ottenuto da materia prima esclusivamente marchigiana e “Agostini” 100% italiano. Oli armonici e molto equilibrati che si sono meritati l’apprezzamento non soltanto di intenditori privati, ma anche di ristoranti, enoteche, negozi di specialità alimentari in Italia ed anche sui mercati esteri, verso i quali il Frantoio Agostini è oggi fortemente proiettato. Le sue strategie di promozione comprendono la partecipazione alle manifestazioni fieristiche più importanti, ma soprattutto l’offerta ai mercati di un prodotto di qualità impeccabile al miglior prezzo. L’azienda fa parte del consorzio “Marchextravergine” che tutela l’olio marchigiano di qualità.

La qualità per tradizione Frantoio Agostini Alfredo - c.da Paganelli, 48 Petritoli - FM Telefono: +39 0734 658350 - www.frantoioagostini.it

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il Gusto...


...L'archivio in cucina

di Luciano Scafà

Nicola Averardi

Nicola Averardi nasce a S. Egidio, diocesi di Montalto il 10 maggio 1843 e muore l'11 marzo 1924. Sempre a Montalto conseguì parte dei suoi studi ecclesiastici completandoli a Roma e conseguendo il dottorato in teologia, viene ordinato sacerdote nel 1866, Uditore di Nunziatura in Portogallo, Spagna e Francia, consigliere a Parigi 1887, Prelato Domestico 1888, Uditore SR Rota 1889, reggente S. Penitenzieria, arcivescovo di Tarso dal 10/ 12 / 1895 al 1899. Tarso o Tarsus in Turchia, città natale di San Paolo, durante questo periodo, il 26 febbraio 1899 f u visitatore Apostolico in Messico e nella penisola dello Yucatàn, vi si recò per incontrare Padre José Maria de Yermo y Parres fondatore della congregazione los "Siervas De Sagrado Corasòn Dos Jesus Y De Los Pro bes". L'ope ra diplomat ica di Mons . Ave rardi aveva lo scopo di risolvere le controversie con i governanti ed il clero messicano ostile al Papato. Fu inviato in Messico su ordine del Segretario Di Stato Vaticano Card. Rampolla su iniziativa di Papa Leone X III. Il Presidente del Messico Porf irio Diaz voleva che il suo paese avesse un ruolo internazionale più forte e voleva dare una parvenza di stabilità, mentre Roma vo leva avere più controllo sulla chiesa messicana. L'opera diplomatica di Mons. Averardi ricordata come "La Con t rove rsia di Guadalupe" ebbe ampio successo tanto che riuscì a riportare l'armonia e la pace tra il governo, la Santa Sede e il Clero messicano. Andò in Francia come Uditore alla Nunziatura Apostolica di Parigi ed è di questo pe r iodo che conse r viamo nume rosi me nù (dei quali riportiamo le immagini in questa pagina) mentre non conosciamo

l'attività diplomatica e pastorale che svolse. Malgrado l'impegno profuso per conoscere più a fondo Monsignor Averardi purtroppo le notizie sono pochissime e frammentarie, ce ne scusiamo con i lettori.

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della vita



...Presidio Slow Food

Pecorino dei Monti Sibillini

Sui Monti Sibillini la tradizione non si è persa. Oltre alla coltivazione della Mela Rosa lo Slow Food è riuscito a valorizzare il tradizionale Pecorino, costituendone un Presidio. di Meri Ruggeri Fiduciaria Slow Food Fermano I Sibillini, sono un’Area montana in cui la pastorizia transumante, che ha rappresentato per secoli l’attività produttiva principale, si svolgeva nel periodo tra settembre e maggio dall’area del Parco sino alle pianure adriatiche e verso la Maremma. Una razza ovina dominava a quel tempo l’area montana non solo marchigiana, ma di tutta la dorsale appenninica: la Vissana. Esigenze commerciali però nel corso degli anni hanno portato a selezioni ed incroci mirati ad ottenere migliore adattabilità e produttività in termini di carne, latte e lana. è per quest’ultima attitudine che si sono incrociate, già nella seconda metà del XVIII secolo, le razze Vissana e Merinos, per ottenere già nell’ ‘800 la razza Sopravissana. Da questa deriva però anche un ottimo latte con il quale, tradizionalmente nell’area dei Monti Sibillini, si produceva il formaggio. Attualmente la razza Sopravissana, è pressoché scomparsa. Dalla seconda metà del ‘900 infatti è stata sostituita da razze più produttive che forniscono però latte di minore qualità in termini di grasso e caseine. Risulta infatti che i capi attualmente presenti sul territorio e regolarmente iscritti al Libro Genealogico siano circa 500 e pressoché destinati alla produzione di carne, visto che la scarsa quantità di latte prodotto è necessaria ad allattare gli agnelli. è così che le nostre tradizioni cambiano e la biodiversità scompare: lente evoluzioni, apparentemente inavvertibili, tali da non far capire la gravità di ciò che succede attorno a noi, ci costringono però a rincorrere prodotti che stanno scomparendo e con essi la nostra cultura. Sarà capitato a molti di Voi di assaggiare un pecorino denominato “dei Monti Sibillini”, talvolta fresco, dalla pasta tendenzialmente gommosa e reperibile tutto l’anno, magari prodotto dai caseifici industriali. Un prodotto che per quanto rispettabile, non è frutto della tradizione, non è il prodotto che esprime le tecniche di lavorazione di questo territorio. Il disciplinare di produzione del

Presidio Slow Food, a cui per ora hanno aderito tre produttori, prevede che la produzione si svolga innanzitutto solo all’interno del territorio dei Monti Sibillini, tra i Comuni di Amandola, Comunanza, Arquata del Tronto, Montefortino, Montegallo, Montemonaco (in provincia di Ascoli Piceno), Acquacanina, Caldarola, Castelsantangelo sul Nera, Cessapalombo, Fiastra, Gualdo di Macerata, Monte San Martino, Pievebovigliana, Pieve Torina, San Ginesio, Sarnano, Ussita, Visso (in provincia di Macerata), Norcia e Preci (in provincia di Perugia). L’allevamento, per quanto più possibile, deve avvenire allo stato brado o semi brado, con la stabulazione solo nella stagione invernale. Il periodo di produzione inoltre va dalla primavera, dopo lo svezzamento degli agnelli, fino al mese di ottobre. Gli animali devono essere alimentati rigorosamente al pascolo o al massimo con foraggi e cereali liberi da ogm, prodotti in azienda, evitando mangimi ed insilati. Il formaggio deve essere ottenuto esclusivamente con latte intero e crudo, privo pertanto di scrematura e senza alcun intervento termico di pastorizzazione che ne ridurrebbe la flora naturale acquisita tramite l’alimentazione degli animali, obbligando di conseguenza all’utilizzo di fermenti lattici selezionati. Raggiunta la temperatura in caldaia di circa 37-38° C si procede alla cagliatura con caglio animale (ottenuto dallo stomaco di agnelli o capretti), alla rottura della cagliata ed alla semicottura della stessa, alla temperatura di 45/48° circa per favorirne il consolidamento e lo spurgo del siero. Si procede di seguito alla messa in forma e ad una leggera pressatura per favorire l’eliminazione dell’acqua in eccesso. Salatura con sale grosso e riposo sulle assi di legno, con rivoltamenti continui, pulitura e cura delle forme mediante unzione esterna con dell’olio, permetteranno al formaggio di maturare lentamente ed esprimere gli aromi e le caratteristiche che gli animali, il foraggio ed il territorio hanno donato al

latte. Ogni forma sarà diversa dalle altre, in ogni stagione avremo formaggi con caratteristiche aromatiche e struttura difformi, ma ciò rappresenta il vero valore del Pecorino dei Monti Sibillini a latte crudo, un valore di nome biodiversità. Un grande traguardo raggiunto grazie alle deroghe alle norme europee che sovente favoriscono tecniche di lavorazione che causano l’omologazione dei prodotti finali. Grazie a queste deroghe, il disciplinare creato per il Presidio Slow Food vuole invece che le tecniche di produzione tradizionali continuino ad essere utilizzate al fine di ottenere prodotti di elevata qualità, espressione di un territorio. Il Disciplinare infatti recita testualmente: “la tradizione richiede l’utilizzo di caldaie di rame a banda stagnata (conformi alle normative vigenti), perché assicurano una diffusione del calore in maniera più omogenea e graduale, ed attrezzi in legno (strumenti di lavorazione e ripiani per la maturazione e la stagionatura) per favorire lo sviluppo di flore microbiche responsabili delle peculiarità del prodotto.” La dimensione di almeno due chili ed una stagionatura minima di circa 3045 giorni circa sono le condizioni minime per garantire un prodotto sano e di grande complessità, che presenta una pasta morbida ma consistente, aromi lattici, lievemente erbacei ed una struttura al palato delicatamente acidula, di buona dolcezza ed un finale piacevolmente saporito. Esperienze degustative ci hanno tuttavia permesso di accertare la grande complessità aromatica e l’equilibrio raggiunto da forme di maggiori dimensioni, oltre 3 kg, al raggiungimento di circa quattro-sei mesi di stagionatura. A quanti fosse già venuta l’acquolina in bocca, al solo pensiero di averne una fetta tra i denti non rimane che cercare il Pecorino dei Monti Sibillini a latte crudo, contraddistinto però dal marchio del Presidio Slow Food, che ne garantisce la provenienza e la lavorazione secondo le tecniche indicate dal disciplinare di produzione.

Monte Sibilla m 2173

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della vita



...I formaggi

LA RICOTTA

La ricotta è uno dei più antichi prodotti della nostra tradizione lattiero-casearia; “non è un formaggio” ma un latticino ottenuto per riscaldamento del residuo (siero) della lavorazione del formaggio.

di Francesco Seghetti e Leonardo Seghetti. Il nome ricotta deriva dal fatto che le proteine del latte subiscono un riscaldamento doppio: - Il primo in caldaia per la produzione del formaggio; - Il secondo più drastico a temperatura elevata (85-90°C) quando si riscalda il siero. Dal punto di vista storico la ricotta era conosciuta dagli antichi greci e romani; il suo nome, dal latino recotus, sta a significare “cotto due volte”. Numerosi sono gli scritti sulla ricotta a partire da Columella, Virgilio, Boccaccio, Berni. La ricotta può essere di vacca, bufala, pecora e ciò a seconda del tipo di latte da cui deriva; in ogni caso la tecnologia di produzione fondamentalmente rimane la stessa. Quella più diffusa è derivata dal latte di pecora che, in ogni territorio italiano, assume denominazioni diverse in funzione di altre peculiarità quali la forma o trattamento subito; ad esempio la ricotta romana, quella sarda, quella gentile, ecc ecc. Generalmente le troviamo sottoforma di prodotto fresco, ma esistono anche dei trattamenti atti all’allungamento del la vita di scaffale, quali la salatura, la ricottura ed il sottovuoto. La ricotta di pecora è quella più diffusa e quella più saporita perché più ricca di globuli di grasso. La ricotta si produce sfruttando le proprietà delle lattoalbumine che coagulano a caldo ed in ambiente acido. Queste proteine normalmente non partecipano al processo di coagulazione della caseina (proteina più importante che origina il formaggio), pertanto rimangono in soluzione nel siero: per tale motivo sono denominate siero proteine. Da un punto di vista chimico esse sono monomeri o polimeri proteici di medio peso molecolare con un punto isoelettrico vicino a pH 6 che per riscaldamento, acidificazione o aggiunta di sali o loro combinazioni precipitano formando dei candidi fiocchi bianchi che affiorano. Nel latte di pecora il contenuto in siero proteine è maggiore (circa 7 g/L) rispetto agli altri tipi di latte:

Siero vacca % Beta lattoglobulina Alfa lattoabomina Altre globuline Altre albomine Proteosi e peptoni

50 25 10 5 10

Siero pecora % 65 10 15 5 5

Tali siero proteine sono ricche di amminoacidi solforati di alto valore nutritivo. Per la precipitazione totale delle siero proteine in ambiente acido è necessario raggiungere temperature dell’ordine di 85-90°C; queste temperature, unitamente all’acidificazione del siero, destabilizzano e fanno precipitare le siero proteine, le quali inglobano nel coagulo i globuli di grasso ancora contenuto nel siero stesso(a volte si aggiunge al siero del latte o della crema per rendere la ricotta più cremosa). Il siero per la produzione della ricotta si ottiene dalla separazione della cagliata durante la produzione del formaggio e contiene come detto le siero proteine, il lattosio, altri componenti proteici derivati dalla caseina non coagulata, globuli di grasso, sali minerali.

La composizione chimica del siero e quella della ricotta sono funzione della ricchezza dei latti di partenza e del tipo di formaggio da cui deriva il siero.

Tecnologia Il siero viene riscaldato lentamente in caldaie a doppio

fondo o direttamente a fuoco diretto; quest’ultima tecnica è usata dai pastori direttamente negli stazzi delle pecore dopo la produzione del formaggio. Al siero può essere aggiunto, per migliorare la resa in ricotta, del latte intero in quantità compresa tra il 5-25% del volume; tale aggiunta va effettuata quando la temperatura è di circa 60-70°C. Quando la temperatura del siero è prossima a quella finale si aggiunge o siero acido, o acido citrico, o aceto di vino per portare il pH intorno a 6 (i pastori eseguono tale operazione “ad occhio” grazie alla loro esperienza). Le siero proteine, a cottura finale, precipitano formando una massa gelatinosa che affiora. A questo punto si inizia a lavorare raccogliendo la ricotta che affiora in superficie con la spannarola (un mestolo forato) e mettendola in canestrini di vimini o fuscelle in plastica forate dove la parte liquida scola. La ricotta asciuga per alcune ore in locali freschi e successivamente venduta. La qualità ed il sapore, come già detto, dipendono dal latte di provenienza oltre che dalle tecniche di preparazione; la resa in ricotta è generalmente bassa: - 3-4% nel caso di latte di vacca; - 7-8% nel caso di latte di pecora. La ricotta di pecora presenta un struttura molto fine, colore più bianco e sapore delicato: questo è dovuto alla quantità maggiore di grasso presente, poichè i globuli di grasso nel latte di partenza sono in quantità superiore e di dimensioni inferiori; per questo motivo una buona parte non riesce ad essere inglobata nella cagliata di produzione del formaggio. Composizione media di ricotta in commercio g/100 g freschi

Siero di latte Vacca Pecora

Grasso 5,20 18,5

Lattosio 4,00 3,00

Lattosio 4,00 3,00

Ceneri 3,6 1,3

Calorie 140 210

La ricotta può essere utilizzata in cucina in moltissimi usi e consumi, dagli antipasti ai dolci ecc ecc. Composizione indicativa del latte di alcune specie animali (dati espressi in % peso) Acqua zuccheri Sost. Grassa Proteine Sali

Bufala 82.2 4.7 7.5 4.8 0.8

Vacca 87.3 4.7 3.8 3.3 0.9

Pecora 81.4 4.5 7.4 5.8 0.9

Capra 87.2 4.5 3.8 3.6 0.9

A conclusione la ricotta, sottoprodotto dell’industria lattiero casearia, è particolarmente indicata per le diete povere di grassi e la sua ecletticità le consente di avere un posto di rilievo nella cucina italiana.

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della vita


...La Castagna

...Cena in ComPagnia

LA CASTAGNA NEL PIATTO

Un antico monastero, un' imponente montagna che protegge le sue preghiere, una luce e un' atmosfera magiche che evocano ritmi e tempi passati; è questa la cornice che ospita la VI edizione del Premio gastronomico “La Castagna nel Piatto”. Lo chef Daniele Ciceroni dell’Osteria Ophis di Offida si è aggiudicato il VI concorso enogastronomico e, insieme a tutti gli chef finalisti Jalil Belkhaqua, Sabrina Tuzi e Valeria Di Nicolò, ha contribuito a rendere unico il galà finale tenutosii il 7 Dicembre al Ristorante Monastero Valledacqua di Acquasanta Terme. La castagna, frutto dalla storia millenaria e dalle proprietà nutrienti conosciute fin dall’antichità e tramandate fino ai giorni nostri, diventa attrattiva di confine tra i Monti della Laga e i Monti Sibillini con la partecipazione di un pubblico sempre più vasto, fatto di professionisti del settore, amanti della natura e della buona cucina marchigiana e di tutti coloro che vogliono rendere merito e far sentire l’eco di una Terra da ammirare e gustare. Ad organizzare il concorso infatti sono le Comunità Montane dei Sibillini e del Tronto, il GAL Piceno e l’A.I.S. (Associazione Italiana Sommelier) con la collaborazione dell’ Associazione Cuochi della provincia di Fermo, della regione Marche e la scuola alberghiera di San Benedetto del Tronto; accomunati dal desiderio di promuovere e valorizzare un territorio che spesso si sente al traino di altre regioni d’Italia mediaticamente più visibili e presenti.

Due opere, un gruppo d’amici, uno stesso gusto. Dovete sapere che a Corridonia, in un luogo stupendo in mezzo alla campagna, opera la Cooperativa sociale P.A.R.S. “Pio Carosi”. è impegnata da anni nel recupero di ragazzi con disturbi psichici. Ha dato vita all’azienda agricola San Michele Arcangelo. è lì, oltre che in falegnameria o in cucina, che i ragazzi lavorano, si sporcano le mani, vangano, seminano, raccolgono e vedono fiorire i prodotti della terra ed anche rifiorire la loro vita. Quel luogo sembra un monastero, dove si sperimenta un’altra vita e si conduce un’altra esistenza. A molti chilometri di distanza c’è un monastero vero. è quello delle monache benedettine di Valserena, in provincia di Pisa. Ora et labora, è il motto del loro Fondatore Benedetto. Anch’esse si sporcano le mani, coltivano la terra e… si aprono al mondo. Da qualche tempo hanno avviato un monastero in Siria, sulla collina d’Azeir, vicino al confine con il Libano. Lavorano e pregano e… si aprono al mondo, sono luogo di pace e d’amicizia per cristiani e mussulmani.

Proprio questo clima si respirava durante la cena finale con un’aria di consapevolezza delle proprie radici caratterizzanti un’ intera area: dalla storia, alla cultura all’enogastronomia; probabilmente questo avevano in mente le personalità istituzionali che sono intervenute durante la cena insieme all’ospite d’onore, il nutrizionista con esperienze televisive in Rai dott. Mauro Mario Mariani (Professore di Nutrizione Biologica presso l'università della Calabria) che ha racchiuso nel suo intervento lo spirito della serata. A valutare i piatti finalisti una giuria qualificata composta da Alessandro Daddazio esperto culinario, Gabriella Bugari Presidentessa Associazione Cuochi Marche, Claudio Giacomini Presidente A.I.S. , Alessandro Pazzaglia Presidente Associazione Cuochi della Provincia di Fermo.

Due opere: la P.A.R.S. e Valserena, “clamorose e silenziose – ha scritto Paolo Massobrio, capo del Club di Papillon nazionale – che attraverso il rapporto con la terra seguono la propria vocazione educativa che ha a che fare con la pace”. Due opere sostenute dalla Cena in ComPagnia, proposta ogni anno dal Papillon. Un gesto semplicissimo e concretissimo che ha visto anche il Fermano mobilitarsi come sempre. In alcune abitazioni, il 12 e 13 febbraio scorsi si sono radunati gruppi d’amici. Hanno preparato insieme i piatti suggeriti dal libro per la casa Adesso, hanno portato il vino migliore (dalla signora Alida Santoni, a Fermo, è stato offerto un incredibile Bricco dell’Uccellone), l’olio più buono. Hanno apparecchiato con la tovaglia più bella. Hanno mangiato insieme, spezzando il pane (cum-panis). Hanno infine lasciato, dai padroni di casa agli ospitati, 20 euro a testa. Per la P.A.R.S. e per il monastero siriano. Che la pace e il gusto sia con loro!

Francesco Tama

Adolfo Leoni

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il Gusto...


...Il Tartufo Vero dei Sibillini

Mistero, sensualità e intimità del Tartufo di Adolfo Leoni

“All you need is love”. I Beatles, probabilmente il gruppo musicale più celebre di tutti i tempi, sostenevano che tutto ciò di cui abbiamo bisogno è l’Amore. Lo scopo di questo elaborato è di indagare se sia possibile instaurare un rapporto d’amore, non solo con un altro individuo, o verso se stessi, bensì con un oggetto, con qualcosa che sia possibile comprare.” è l’incipit della tesi sperimentale del dr Carlo Leoni. Mira a documentare come nella pubblicità si stia passando dalla comunicazione del Brand al Lovemark, il marchio d’amore. Dove il Lovemark ha in sé tre fattori: il mistero, la sensualità, l’intimità. Penso a queste trasformazioni in atto nel mondo della comunicazione mentre scrivo del tartufo. Il 4-5-6 febbraio scorsi, Montefortino è diventata la capitale del tartufo mettendolo in mostra nella 13a edizione del Festival del Tartufo Vero dei Sibillini. Ci sono stati incontri, montati stands, c’è stata la magnifica regia culinaria degli chef dell’Associazione Cuochi della Provincia di Fermo. Sono state calcolate circa ottomila persone che hanno risposto alla chiamata, specie sabato 5 e domenica 6. Un Festival di tale portata riesce se c’è una rete di supporto. E la rete esiste. Coinvolti nell’iniziativa sono stati il Comune di Montefortino guidato dal sindaco Domenico Ciaffaroni, la Regione Marche, il Parco nazionale dei Monti Sibillini, la Comunità Montana dei Sibillini, il Gal Fermano, la Provincia di Fermo e la CCIAA fermana. A Montefortino, che è un gioiello per arte storia ambiente, sono saliti anche i vertici delle istituzioni fermane e non: dal prefetto Emilia Zarrilli al vice presidente della Regione Paolo Petrini. Gli chef Alessandro Pazzaglia, Benito Ricci e Mauro Donati a Montefortino

Che c’entra il Lovemark? C’entra perché, se andiamo ad ascoltare chi con i tartufi lavora, sentiremo una critica che parte dal riconoscere la mancanza di una comunicazione non ancora efficace, di aree “nordiste”, forse meno vocate, ma più capaci di promuovere il tartufo, di una ricchezza nostrana non debitamente sostenuta nella sua espansione commerciale. Eppure, proprio nel caso del tartufo dei Sibillini, la possibilità di appoggiarsi al Lovermark ci sarebbe tutta intera. Perché i tre fattori distintivi sono già esistenti, non occorre neppure pensarli, basterebbe assemblarli, declinarli all’unisono, e veicolarli.

Primo ingrediente: Mistero. Come si fa a non collegare il tartufo alla magia della Sibilla, alla sconosciuta donna che abitava il mitico antro, alla sua grotta, alle leggende antiche, all’inquietante Infernaccio? Mistero, appunto.

Secondo ingrediente: Sensualità. Che dire delle fate che scendevano dalla montagna e circuivano i pastorelli a “Balleria” o a Pretare? Di quelle donne immaginate e descritte bellissime, che annullavano la volontà dei Cavalieri del Graal? Sensualità, appunto.

Terzo elemento: Intimità. Ma cos’è questa comunità ristretta della montagna sibillinica, con le sue usanze, i suoi costumi? Cos’è questo nucleo umano su cui molto ha indagato Joyce Lussu, se non una comunità intima, con valori e idealità propri? Intimità, appunto. Non solo un brand, allora, ma un marchio d’amore, che affascini, penetri nell’emozione, avvicini e coinvolga. Che parli tutti i linguaggi capaci di descrivere la Terra di Marca. Il tartufo, caro sindaco Ciaffaroni, è l’occasione giusta per misurarci in una svolta di comunicazione efficace. Montefortino, i Sibillini, il Fermano, le Marche, hanno l’ “oro” in mano. Un particolare ore. Non luccica, ma è di un pregio ineguagliabile, e di una bontà infinita.

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della vita


an a

t s o d l a V a Pizz

Diego Pieroni della Pizzeria - Gelateria Didacus di Lapedona presenta la PIZZA VALDOSTANA

Pizzeria Gelateria Didacus - Lapedona

Pizza cosiddetta "valdostana", nome di fantasia che non deriva dalla tipica cucina della Val D'Aosta o da piatti tradizionali di montagna ma è nato così... per gioco. Praticamente è una pizza calzone, condita con questi ingredienti: nella base, la parte dove non è calzone, ci sono pomodoro e mozzarella, mentre nel calzone mettiamo mozzarella, funghi porcini, salsiccia e un po' di pecorino a crudo. La base, una volta cotta, viene farcita con pomodorini pachino, rucola, scaglie

di grana, un filo di olio extra vergine di oliva, una spolverata di origano e per concludere un leggero tocco di crema di aceto balsamico, per ottenere un gusto unico, armonioso e molto piacevole. Per assaggiarla? Andate alla pizzeria, gelateria DIDACUS. Lapedona - Piazza della Concordia telefono 0734 936623 Orario di apertura 19,30 / 24,00 giorno di riposo: lunedì

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il Gusto...


...Biologico

Le Marche a Norimberga per il Salone mondiale dei prodotti biologici Al Centro esposizioni di Norimberga dal 16 al 19 febbraio si svolge Biofach 2011, la principale manifestazione fieristica europea del settore biologico, a cui si affianca quest’anno Vivaness, il Salone della cosmesi naturale e del wellness. Sono previsti oltre 2.500 espositori e il flusso di visitatori professionali nel 2010 ha superato le 43mila unità. Biofach presenterà quest'anno alcune aree dedicate ai temi caldi e alle tendenze del settore biologico, dall’equo-solidale alla moda verde, dai vini agli oli di oliva biologici. “La Regione Marche - sottolinea il vice presidente e assessore all’Agricoltura - sin dalla prima edizione ha partecipato a questo evento e anche quest’anno mantiene la sua presenza, anzi, a conferma dello stato di minore sofferenza di questo particolare settore dell’agroalimentare, si registra una più ampia partecipazione di aziende rispetto agli anni precedenti”. Ben 16 sono infatti le imprese ospitate in un’area di 190 metri quadrati posta al padiglione 4 (stand 214) dove trovano spazio le principali Regioni italiane oltre che Buonitalia. Le produzioni rappresentate sono quelle della pasta nelle varie tipologie e prodotti base (semole di frumento duro, farro, kamut), delle conserve, caffè d’orzo, cereali, legumi, vino ed olio. Per questi due ultimi prodotti si riscontra un incremento di aziende rispetto agli anni precedenti: ben 8 per il vino e 7 per l’olio extravergine di oliva biologico. Un progetto di ricerca scientifica recentemente finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole ha individuato nelle Marche uno dei tre casi di studio analizzati e finalizzati all'individuazione dei parametri per la definizione dei distretti biologici. In particolare la nostra regione è stata individuata quale rappresentante per il Centro Italia grazie all'importanza rivestita dall'agricoltura biologica nel territorio regionale e per la notevole quantità di dati forniti inerenti il settore. Settore al quale si sta valutando l’applicazione degli accordi agro ambientali d’area, che, come nel caso della Valdaso, hanno dato risultati rilevanti.(f.b.)


...Diario di bordo

...Diario di bordo Venerdì 18 febbraio. Al Palazzo dei Priori di Fermo la Sinergo Srl ha proposto il convegno “Mercato del vino e impresa di famiglia”. Di rilievo i relatori: Jolanda Tinarelli e Sergio Cimino della RCE Consulting. Le aziende vitivinicole resistono, il passaggio generazionali è in atto, il mercato chiede “appartenenza al territorio”, “Saper fare” e “far sapere”. Paola Cocci Grifoni (imprenditrice), Graziano Di Battista (Presidente Camera di Commercio di Fermo), Paolo Mazzoni (Presidente Coldiretti Ascoli-Fermo) e Andrea Maroni (Presidente sezione agroalimentare Confindustria Fermo) portano le loro diverse esperienze. Il pomeriggio è ricco di spunti. Sabato 19 febbraio. Studenti, giornalisti e politici partono dal fermano per raggiungere la BIT di Milano dove c’è lo stand della quinta provincia marchigiana. Alla BIT è presente anche Tipicità. Occasione per lanciare la 19a edizione di Tipicità, Made in Marche festival! Si terrà a Molini Girola di Fermo dal 19 al 21 marzo. L’ingresso della primavera sarà festeggiato nel segno della tradizione, dei prodotti tipici e delle produzioni di qualità. Domenica 27 febbraio. Ormai è una consuetudine. La sezione agroalimentare di Confindustria Fermo offre il pranzo a coloro che frequentano la mensa fermana de Il Ponte. A tavola sono circa ottanta: ai quaranta abituali si sono aggiunti i ragazzi della casa d’accoglienza “Gennaro Franceschetti” e gli ospiti di Casa Betesda. Nel pomeriggio, spettacolo per bambini. La gratuità in azione. Con l’allargarsi dello scandalo diossina alla carne di maiale il modo per fare acquisti sicuri è rivolgersi agli allevatori che vendono direttamente braciole e salumi. è il consiglio della Coldiretti Macerata dopo la scoperta che l’allarme per l’inquinamento da sostanze nocive scoppiato in Germania interessa anche i suini. Proprio il paese tedesco ha importato in Italia 220 milioni di chili di carne di maiale, in prevalenza cosci di prosciutto, nei primi nove mesi del 2010, con un aumento del 12 per cento rispetto allo scorso anno. Distretti autogestiti dai pescatori per superare la crisi dei redditi (-14 per cento) e dei consumi (-6 per cento) che rischia di lasciare a terra le marinerie adriatiche. Il modello è quello dei consorzi per la gestione dei molluschi bivalvi che in questi anni, spiega ImpresaPesca, hanno ottenuto risultati importanti sul fronte della tutela della produzione ittica. Un distretto del centro Adriatico autogestito dai pescatori darebbe

di Adolfo Leoni

la possibilità non solo di difendere le risorse del nostro mare ma permetterebbe anche una migliore amministrazione del periodo di fermo biologico. Le Marche sono la terza regione italiana per produzione di pesce (25mila tonnellate, quasi l’11 per cento del totale nazionale) e per ricavi, con 115 milioni di euro (il 10 per cento del fatturato tricolore complessivo). Le imbarcazioni impegnate oggi sul territorio sono 885, mentre la top-ten delle produzioni è guidata dalle vongole (7.256 tonnellate), seguite da acciughe, naselli, pannocchie, triglie, seppie, sardine, lumachini, totani, murici. Discreta anche la produzione di cozze. Quelle che hanno fatturati significativi sono ancora le vongole (20.250.000 euro), davanti a pannocchie, scampi (il prodotto comunque più caro), sogliola, nasello, seppie, acciughe, triglie, lumachini, rana pescatrice. Ancona è stata scelta come luogo per il prossimo Congresso Eucaristico Nazionale, che si terrà dal 3 all'11 di Settembre p.v. L'arcivescovo di Ancona Mons. Edoardo Menichelli negli eventi preparativi al congresso ha voluto inserire una settimana di preghiera con la presenza dell'urna di San Francesco Caracciolo. San Francesco Caracciolo, oltre ad essere il Santo dell'Eucarestia è anche Patrono dei Cuochi d'Italia dal 1996. Vi invitiamo ad accogliere l'urna del vostro Patrono il 20 di marzo, proveniente da Villa San Maria (suo paese natale) e accompagnata da rappresentanti dell'Ass. Cuochi di Val di Sangro. Programma delle due giornate è il seguente: Domenica 20 marzo 2011 ore 16.00 Piazza del Senato - Accoglienza dell'urna di San Francesco Caracciolo - Processione in Cattedrale ore 17.00 Duomo di Ancona - Celebrazione della Santa Messa Domenica 27 marzo ore 10.30 - Santa Messa celebrata dall'arcivescovo di Ancona, Rientro dell'urna a Villa San Maria.

L'Associazione Cuochi della provincia di Fermo organizza corsi formativi mono e pluritematici su richiesta per privati, aziende ed enti, come pure ha la possibilità di fornire cuochi a domicilio.

PER INFORMAZIONI: Tel. (+39) 330 650208.

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