Il Gusto... della Vita - Settembre 2011

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...Editoriale del Gusto

di Adolfo Leoni

Torna il della Vita Ho passato alcuni giorni d’Agosto nell’Abbazia di Farfa, nel reatino, a 50 km da Roma, nel verde e nel silenzio di un antico borgo. Ho condiviso la vita dei sei monaci benedettini. Tra i motivi della scelta, c’era un “affare” d’aggettivi e sostantivi (il Diario di quelle giornate, nell’attesa del consueto libricino natalizio, potrete trovarlo su www.informazione.tv digitando Farfa). Di questi tempi si stanno organizzando cene, feste, convegni, gemellaggi “farfensi”. Aggettivi, appunto, senza però cogliere il sostantivo: la presenza farfense nel territorio a sud delle Marche nei quattro secoli circa che vanno dall’890 al 1300. Una presenza che ha dato l’avvio alla nostra agricoltura, a molta parte della nostra gastronomia (vedi i Campofiloni, ad esempio), al nostro, un tempo, spiccato senso d’ospitalità. Con un giovane laureando alla Bocconi settimane fa si discuteva in riva al mare di turismo nelle “Marche sporche”. A suo dire, i nostri operatori e le nostre istituzioni non ci sanno fare, i nostri centri hanno poco da offrire ai giovani. Mentre si discuteva, m’è tornata in mente un’amica salentina, che più d’una volta mi ha magnificato la sua terra, la sua “Pizzica”, la “Ragnatela della Taranta”, il ballo d’estate nelle piazza, a piedi nudi, le “Vinoteche” di quelle parti. Coincidenza non casuale, m’è passato tra mani il recente libro Salento, amore mio (Kowalski editore). Lo ha scritto Pierfrancesco Pagoda, leccese. Ci interessa per capire su cosa abbia puntato il Salento. Sulle “putee”, ad esempio. Le putee sono le antiche osterie leccesi, e non solo. Si trovano anche a Corigliano d’Otranto o a Soleto. Vi si possono gustare i turcinieddhri, che sono involtini di cavallo. “Ma al di là dei sapori – dichiara l’autore in un’intervista a Sette del Corriere della Sera – sono stati i suoni e la capacità d’aggregazione di questi semplici ritrovi a rinnovare il Salento. Nelle putee c’è stato per la prima volta lo scambio tra la dancehall dei Sud Sound System e i vecchi prosecutori della tradizione musicale salentina…”. Senza dire poi della Notte della Taranta e del suo profondo significato religioso, o del

sistema di trasporto delle Ferrovie Sud Est, quel “muoversi lento in vetturina in un paesaggio che ricorda l’Andalusia”. La risposta turistica delle Marche sporche non sta allora nel copiare culture altre (o “periferiche”, come avrebbe detto Pasolini). Sta invece nel riportare in superficie le radici popolari di questa nostra Terra di Marca. Portarle in superficie eppoi connetterle. Bene fa l’arch. Gabor Bonifazi a difendere le osterie del maceratese, bene fanno gli amici dell’Abbazia a proporre le cene dei monaci, bene fanno quei coraggiosi ristoratori che tentano un menù tradizionale, bene fanno quegli agricoltori che risperimentano le colture locali, bene fanno il Gruppo Ortensia di Ortezzano – ad esempio – a riproporre il Saltarello, e il gruppo di Magliano di Tenna a suonare la Pasquella. Il punto debole è non riuscire – per incapacità o soprattutto per mancanza di sguardo culturale – a far incontrare tutto questo, a intersecarlo, a coglierne l’origine. Ecco: l’origine. Se ognuno di questi aspetti resta chiuso in sé, come una monade solitaria, o, in special modo, diventa solo fenomeno d’attrazione folcloristica, spaccato d’un mondo che fu, avrà vita breve e servirà a ben poco. Dimostrando la poco lungimiranza di chi in questi ambiti opera. Perché i segnali che arrivano ci parlano di una crisi irreversibile della società dei consumi, di un’avversione sempre più forte nei confronti del mercatismo e di una globalizzazione impossibile da dirigere. Ci parlano di una voglia sempre più forte di ancoraggi e di comunità locali, di una riscoperta delle tradizioni, del senso della festa, di cibi genuini, di una prossima ripresa dei borghi, di una ricerca di bellezza, silenzio, di voglia di natura. Insomma, di un rinnovato Gusto…della Vita.

Adolfo Leoni 1

della vita


...Sommario

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...Editoriale del Gusto. ...Se serve far rumore... ...Buona educazione, Buona alimentazione, Buona memoria.

...A Lapedona il vino cotto diventa De.Co.! ...Lauro

...Timo serpillo ...Le Osterie: un mondo perduto, un mondo da ritrovare.

Direttore Responsabile Adolfo Leoni Progetto grafico Sara Ricci Redazione grafica Studium Design info@studiumdesign.it Fotografo Angelo Cecchetti Hanno collaborato Ugo Bellesi Liana Cognigni Mauro Donati Stefano Isidori Don Mario Lusek Silvia Mariotti Alessandro Pazzaglia Pierpaolo Piermarini Sergio Salvi Francesco Seghetti Leonardo Seghetti Daniele Vallesi Edito da

Ass. "Il Gusto... della vita"

sede legale Montegiorgio (FM) via Cestoni, 39 sede operativa Morrovalle (MC) via Carducci, 12 tel. 0733 866909 P.Iva e C.F. 01979520440

Internet www.ilgustodellavita.org Info@ilgustodellavita.org Stampa Artelito - Camerino La rivista è stampata su carta naturale ed ecologica

n.

15 settembre 2011

inserito nel Registro dei Giornali e dei Periodici del Tribunale di Fermo il 21/10/2008

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il Gusto...

...Il pane: briciole di ricordi e grani di Strampelli.

...Cinque pesci per cinque ricette. ...I Borghi di montagna, la natura, il Creato. Lindo Ferretti riscopre la vita

...Le ricette di Mauro Donati

...Porta un amico a cena, questo è stato il titolo della nostra prima cena di GustoTabacco e il nome era proprio azzeccato ...La Terra Fermana al Merano Wine Festival ...Come si produce il formaggio

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...La passione del nonno, la curiosità del giovane.

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...Verdicchio L'oro delle Marche ...Turismo & avvicinamento delle culture ...La vita di Hermann e dei suoi confratelli ...Ancora un successo per il maestro Daga.

...Un altro modello possibile: BIOLOGICO ED ECONOMIA SOLIDALE NELLE MARCHE

...Il pasto dei Monaci. Le Abbazie. Quel “gusto” di ritrovare la propria storia

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...Diario di bordo


...Professione cuoco

di Alessandro Pazzaglia

SE SERVE FAR RUMORE... Probabilmente nell'epoca del frastuono, chi strilla più forte, cioè chi riesce ad imporre il proprio tasso di decibel ha ed avrà ancora ragione, a prescindere dai contenuti. Tutto ciò è frutto di una lucida quanto amara constatazione su varie tematiche, ma che in questo momento circoscrivo al complesso ma comunque meraviglioso mondo dell'ospitalità e in particolar modo alla FORMAZIONE ALBERGHIERA. Negli anni varie sono state le riforme effettuate da parte degli organi competenti e probabilmente tutte ispirate a migliorare la qualità del prodotto finito. Però, in chi come me è l'ultima ruota del carro, rimane il dubbio se quanti preposti ad intervenire sulle suddette ipotesi migliorative, abbiamo avuto premura di farlo solo dopo aver ascoltato suggerimenti e con tanto di verifiche presso tutti gli attori del complesso sistema. Il dubbio che da tempo mi assilla è reale; perché da anni sentivo e sento un rimpallarsi di responsabilità tra il mondo della formazione e quello del lavoro (cioè gli imprenditori del settore) con frasi poco opportune che potrei riportare ma che non costruiscono nulla. E allora, (potrei scrivere ancora molto su questo tema particolarmente caro per la mia alta concezione della professionalità, però lo spazio non me lo permette) da anni in costante confronto con vari miei colleghi vedo emergere che: 1. vi è l'esigenza di una formazione professionale che “prepari” (selezionare per il bene anche dell'alunno) figure qualificate dal punto di vista tecnico pratico che siano immediatamente spendibili nel mercato del lavoro;

2. il settore dell'ospitalità, anche alla luce della grave crisi economica, è sempre più disposto a inserire figure scarsamente qualificate e disponibili a ricoprire ruoli specifici. Dato preoccupante quest'ultimo perché rappresenta una deriva pericolosa per tutto il comparto turistico italiano. 3. L'esperienza di un continuo aggiornamento dei formatori scolastici; poiché sono loro che devono comunicare ai propri discenti la prassi di un settore in costante evoluzione sotto molteplici aspetti. Mi preme ribadire quello che da oltre un trentennio sosteniamo e che da qualche tempo ha trovato sempre più proseliti. Abbiamo il grande patrimonio di un meraviglioso territorio sotto molti punti di vista ma se non supportato da quanto sopra espresso, rischiamo che nazioni a noi vicine, che non hanno i nostri grandi doni ma che hanno capito da tempo la fondamentale importanza di tale problema (basterebbe informarsi), ci portino via fette sempre più consistenti di mercato. Un indice della situazione può essere tratto da un’analisi attenta delle ultime classifiche nelle competizioni mondiali di settore. Sempre con stima e affetto

Alessandro Pazzaglia 3

della vita


...Provincia di Fermo

BUONA EDUCAZIONE, BUONA ALIMENTAZIONE, BUONA MEMORIA. La nuova rete provinciale

In questi giorni tre Ambiti sociali: il XIX, il XX e il XXI partono con gli Eco-laboratori. Sono corsi per giovani, tenuti da giovani, con l’intento di scoprire, valorizzare, amare e vivere meglio la nostra Terra di Marca. è anche il modo per approfondire una cultura basata sul risparmio, il riuso, il rispetto per l’ambiente, la naturalità e bontà dei prodotti agricoli e dunque del cibo. È quest’ultimo l’aspetto che ci preme sottolineare. Ad aprile, due cuochi dell’Associazione provinciale: Sandro Pazzaglia e Adriano Berdini hanno tenuto un corso ai futuri educatori. Un corso vertente sulla cucina, la tradizione gastronomica locale, la dieta mediterranea, la salute determinata da una saggia alimentazione. A metà dicembre, i giovani degli Eco-laboratori presenteranno le loro realizzazioni nel corso di alcuni momenti pubblici. La nostra rivista insieme all’Associazione Cuochi della provincia di Fermo allestirà dei punti di degustazione. Non solo, i giovani dell’Eco-laboratorio che fa capo a Porto Sant’Elpidio proporranno un ricettario della “cucina povera” ovvero della nostra tradizione, curato da Il Gusto…della vita. È un fatto importante. Anche per diversi aspetti. Il lavoro rientra nel progetto Giovani di Marca, prima importante progettazione (uscita vincente) della Provincia di Fermo, assessorato ai servizi sociali e politiche giovanili. L’impostazione ha visto insieme realtà diverse pubbliche (Provincia), imprenditoriali (Cobit Srl, Eurobuilding Spa, Steca Spa), sociali (Coop. Romolo Murri, Associazione Il Gusto…della Vita, Banco Alimentare, Centro di solidarietà della CdO Marche Sud). L’attenzione all’ambiente e alla sana alimentazione è prevalente. La Provincia di Fermo appare molto attenta a questo aspetto. Lo testimonia anche un altro progetto, quello riguardante la “Comunicazione ed Educazione Alimentare anno 2011-2012”. L’art. 27 della L.R. n.2/2006 conferisce alle Province la gestione dei fondi relativi all’attività di comunicazione e di educazione alimentare, secondo le linee di indirizzo definite dalla Giunta regionale. L’Assessorato provinciale all’Agricoltura ha pensato ad un progetto dedicato ai più giovani, al fine di far conoscere e promuovere questo importante settore e nella convinzione che un’educazione alla sana e corretta alimentazione, con prodotti genuini coltivati nelle nostre terre, sia una prerogativa fondamentale per la crescita dei ragazzi. Il Progetto di Comunicazione ed Educazione Alimentare na-

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sce dalla necessità di porre a disposizione dei bambini, dei giovani, ma anche degli adulti opportuni mezzi educativi per consentire loro di comportarsi in modo informato, consapevole e responsabile. L’età evolutiva rappresenta, infatti, un momento delicato in cui un corretto comportamento alimentare contribuisce alla crescita e allo sviluppo della persona ed aiuta a prevenire l’insorgere di numerose malattie nell’adulto di domani. Agire ed educare a favore di una corretta alimentazione sin dai primi anni rappresenta un dovere improrogabile per gli enti sociali e scolastici. A questo proposito, il programma educativo, finanziato attraverso fondi regionali, si rivolge agli Istituti scolastici del Fermano, che potranno inserire tale iniziativa nel loro Piano dell’Offerta Formativa. L’obiettivo principale è quello di far conoscere alla popolazione scolastica la realtà agricola locale e i prodotti tipici del territorio, promuovendo la scelta di prodotti e comportamenti efficaci a creare e mantenere nel tempo l’equilibrio di salute in ciascun individuo. Il programma di intervento prevede diverse azioni, fra cui visite guidate degli alunni delle scuole interessate alle Fattorie Didattiche, per far comprendere loro le relazioni esistenti tra tecniche produttive, qualità delle produzioni, tutela della salute e dell’ambiente, oltre alla realizzazione di orti didattici biologici per avvicinare i bambini alle varietà di prodotti e alle loro caratteristiche nutrizionali, trasmettendo loro l’importanza del consumo di frutta e verdura nella propria dieta giornaliera. “È un progetto importantissimo ed essenziale - dichiara l’Assessore provinciale Guglielmo Massucci - affinché i giovani si abituino a conoscere ed apprezzare i prodotti del nostro territorio, primi in fatto di qualità e gusto. Esiste uno stretto legame tra una corretta alimentazione e una vita in buona salute, ed è doveroso per noi adulti farlo capire ai più giovani. Le loro scelte si orientano spesso verso prodotti che dal punto di vista nutrizionale possono essere ricchi di calorie, grassi e sale; prodotti che, consumati frequentemente, portano ad una alimentazione squilibrata”.

M.P.


...Denominazione Comunale

A Lapedona il vino cotto diventa De.Co.! Convegno con Paolo Massobrio per festeggiare l'evento Si chiama De.Co., che sta per denominazione comunale, e rappresenta la “carta d'identità” di un paese, eno-gastronomicamente parlando. Nella Provincia di Fermo, dopo “lu serpe” di Falerone e “li caciù” di Montegiorgio, il riconoscimento è arrivato anche per l'inimitabile “viccotto” di Lapedona. Il 9 settembre scorso infatti si è riunita una commissione composta da esperti di produzioni tipiche, storici del territorio e produttori del posto, che hanno provveduto a riconoscere il vino cotto prodotto De.Co. di Lapedona. È stata poi l’assessore Stefania Mattetti che, seguendo le direttive della delibera di Consiglio, si è fatta carico di promuovere l’istituzione della De.Co., presentandone ufficiale richiesta al Comune con allegata

una relazione storica, a dimostrazione del legame tra il prodotto e il territorio di Lapedona. Oggi per il borgo valdasino “lu viccotto” è ancora la più alta espressione del suo territorio, frutto delle caratteristiche della terra, del clima e delle sofisticate e allo stesso tempo tradizionali tecniche di produzione. Grazie ai diversi produttori che promuovono da sempre il vino cotto questo è ormai un'eccellenza nota anche oltre i confini nazionali.

Visto il raggiungimento di questo importante riconoscimento l'assessore Mattetti ha organizzato per domenica 9 Ottobre un convegno di presentazione della De.Co., nel quale interverrà il noto giornalista enogastronomico Paolo Massobrio, promotore delle De.Co. in Italia e presidente del Club Papillon, dal titolo “LAPEDONA, ANTICO CASTELLO DI FERMO, PRESENTA IL VINO COTTO DE.CO. DENTRO LA STORIA, VERSO IL FUTURO”.

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...Erbe Aromatiche

LAURO

di Ugo Bellesi

Il Lauro è una pianta molto diffusa nelle Marche come in altre regioni e viene usata spesso in cucina. Si tratta di un arbusto sempreverde che può arrivare anche a dieci/ quindici metri di altezza con foglie lanceolate; fiorisce tra marzo e aprile ed i fiori giallognoli sono riuniti ad ombrello.

Il frutto che matura tra ottobre e novembre ha colore verde che poi diventa nero come una piccola oliva. è il simbolo della scienza e della poesia. Preferisce suolo fresco e posizione riparata comunque lo troviamo in qualsiasi tipo di terreno; è una pianta spontanea delle regioni temperate del mediterraneo. I vincitori delle olimpiadi venivano incoronati con serti di alloro mentre a Roma erano gli imperatori ad usufruire di questo privilegio finchè nel medioevo ma soprattutto nel rinascimento si preferì incoronare con l’alloro i grandi poeti. Deriva da questa usanza il termine di “laurea” usato per chi ha ultimato il ciclo di studi universitari. Con le foglie si confezionano infusi che facilitano la digestione. Dal frutto si può ricavare un olio utilissimo contro i dolori reumatici (si possono fare frizioni per lenire distorsioni e slogature). Olio che viene impiegato non solo per alcuni liquori ma anche per aromatizzare il sapone. Per un bagno rilassante è opportuno unire all’acqua un certo numero di foglie. In cucina le foglie di alloro si aggiungono nelle carni allo spiedo ma anche nei piatti di pesce. Le foglie però si utilizzano soltanto per dare un particolare aroma alle pietanze ma non per mangiarle in quanto non sono commestibili. Esse fanno parte integrante del “bouquet garni”, e vengono aggiunte anche ai patè, alle minestre, negli stufati e in alcune salse. Va sottolineato che le foglie di alloro danno un aroma inconfondibile alle conserve, alle marinate e in particolare ai piatti di manzo ma anche alle castagne lessate. Cotte nel latte le foglie servono ad aromatizzare i pudding di riso e le salse al posto della vaniglia. Anche i fichi secchi vengono aromatizzati con foglie di alloro. In caso di necessità, al posto della noce moscata, si possono grattugiare i frutti dell’alloro. La tradizione contadina ha lasciato molte usanze per l’utilizzo delle foglie di alloro: a Camerino per combattere i calli ai piedi; nel Fabrianese per preparare un infuso contro il raffreddore; a Sassoferrato per un decotto contro la caduta dei capelli. Nell’antichità bruciando foglie di lauro si poteva in qualche modo prevedere il futuro. Un tipo particolare di Lauro è il Lauro Californiano, una pianta sempreverde che ha la chioma rotonda e può raggiungere i 30 metri di altezza. I fiori sono giallo-verdi ad ombrelle. Le foglie, molto piccanti, sono utilizzate nei “chili con carne” (ragout di carne tipico del sud degli strati uniti) e nelle carni arrostite. La foglia, sminuzzata nell’acqua del bagno, è utile contro i reumatismi.

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il Gusto...

Esiste anche il Laurus nobilis “Aurea” con foglie dorate e affusolato che si utilizzano come le foglie del lauro comune. Molto particolare è il Laurus nobilis “Angustifolia” caratterizzato da foglie color verde oliva, molto strette e simili alle foglie del salice. Ecco alcuni impieghi particolari delle foglie di alloro: il pane grattugiato si conserva meglio con qualche foglia di alloro; in casa, dove si ripone la biancheria, è opportuno lasciare qualche foglia di alloro; per alleviare il dolore di una puntura di insetto è utile pestare qualche foglia di alloro e applicarla sulla lesione.

Le ricette Spiedini Ingredienti: • Quattro salsicce tagliate a pezzettini • Sedici porcini (o finferli) piccoli • Olio di oliva q.B. • Una decina di foglie di alloro • Quattro rametti di rosmarino • Sale q.B. Esecuzione: Togliere tutte le foglioline dai rametti di rosmarino e quindi infilzare sugli stessi i vari ingredienti iniziando e terminando con un pezzetto di salsiccia e alternando una foglia di alloro con un fungo; ungere il tutto con pochissimo olio e quindi salare; infine cuocere gli spiedini alla brace su di una graticola.

Spaghetti Ingredienti: • Mezzo chilo di spaghetti • Mezzo bicchiere di olio extravergine • Quattrocento grammi di pomodori • Una decina di foglie di alloro • Due cipolline • Cannella, peperoncino, sale q.B. Esecuzione: Far imbiondire le cipolline tritate nell’olio e aggiungere i pomodori maturi; salare e unire peperoncino e un pizzico di cannella. Far cuocere a fuoco vivace e quindi aggiungere le foglie di alloro. Mentre si porta a cottura il pomodoro far bollire gli spaghetti e, quando sono al dente, versarli nel tegame del sugo per amalgamare il tutto.


...Erbe Aromatiche

Timo Serpillo Il Timo Serpillo è una pianta molto diffusa e assai utilizzata nella cucina delle Marche. Si tratta di una pianta perenne con fusti distesi paralleli al terreno ma che diventano eretti nella parte finale. Può raggiungere i 35/40 centimetri di lunghezza. Ha foglie molto piccole e coriacee con infiorescenze a spiga in cima ai rami dal colore rosato o rosso che fiorisce tra marzo e luglio.

Questa pianta simboleggia l’operosità e l’amore mentre nel Medioevo veniva identificato con la forza d’animo e con il coraggio. In piena estate emana un profumo di incenso. Preferisce terreni asciutti e calcarei e zone assolate. è molto usato in cucina per aromatizzare minestroni, zuppe o intingoli vari. Il Timo dovrebbe essere inserito in quasi tutti i “mazzetti guarniti”. Ha una particolare “affinità” con l’arrosto e gli umidi sia di agnello che di maiale. E’ ottimo con gli stufati di fave e di fagioli. Un impiego particolare del Serpillo lo si ha nell’Italia del nord per aromatizzare i “prosciutti” di capra (chiamati “violini”) e la bresaola a base di cavallo, cervo e manzo. I greci e i latini usavano il serpillo per conservare la carne avento scoperto le sue proprietà antisettiche e disinfettanti. Il timo, oltre a fornire un ottimo aroma, aiuta la digestione delle carni grasse come il montone e il maiale. In particolare nella tradizione contadina il Timo Serpillo veniva usato (e in alcune zone questa usanza viene ancora conservata) per aromatizzare il formaggio (a Sassoferrato) e nel caglio insieme alla menta (a Cingoli), mentre ai piedi dei Sibillini si preparava un caglio particolare che prevedeva l’impiego, oltre che del timo, anche di maggiorana, basilico, germogli di rovo, fichi verdi e la buglossa. Un tempo il timo secco e macinato veniva unito all’argilla e usato per pulire i denti e disinfettare le gengive. Oggi invece viene ancora impiegato, insieme al sapone, come tonico per le pelli grasse, come antiforfora e per evitare la caduta dei capelli. Un tempo la tisana di timo serviva per curare le vertigini e gli incubi notturni. Si utilizzava anche per malattie bronchiali e disturbi gastrici. Ancora oggi l’estratto di timo lo troviamo nelle compresse per il mal di gola, nella pasta dentifricia e negli oli da bagno come anche nei colluttori per la bocca. A metà dell’800 dal timo fu estratto un olio essenziale, chiamato “timolo” che venne impiegato come antibiotico fino alla scoperta dei moderni antibiotici. Oltre al Timo serpillo ci sono altre varietà come il Timo comune (più cespuglioso e aromatico del serpillo), il Timo limonino (usato in profumeria per il suo fragrante odore di limone) e il Timo variegato. Altre varietà sono quelle rampicanti, erette, con foglie larghe e fiori bianchi o purpurei. Nelle regioni settentrionali è particolarmente diffusa la varietà “Hiemalis” con profumo più forte (ma meno gradevole) e foglioline più larghe. Molto noto è il serpillo del monte Rosa. In alcuni testi di botanica il Serpillo viene distinto dal Timo pur riconoscendo che la varietà più conosciuta ed usata è il Thimo serpyllum. Rispetto al Serpillo il Timo si sposa meglio con peperoni e patate, con il pollo, i ripieni, i brodi e i piatti di cacciagione. Il Timo viene impiegato per aromatizzare il famoso liquore Benedectine.

BIBLIOGRAFIA Bremness Lesley, Erbe – Milano 1994 Castellani Franco, Le ghiotte erbe – Cingoli 2006 Ceccantini G., Filippi F. e Prati A., Cent’erbe – Fiesole 1996 Grey-Wilson Christine, Erbe per la salute e per la tavola – Garzanti 1988 Guarnaschelli Gotti Marco, Grande enciclopedia della gastronomia – Milano 2008

LE RICETTE PESTO Ingredienti: un etto di pepe macinato tre spicchi d’aglio tre foglie di basilico sale grosso pestato fine q.b. una cucchiaiata di Timo serpillo rosmarino q.b.

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Esecuzione: Il pesto va preparato mescolando e macinando insieme tutti gli ingredienti. Va conservato in vasetti di vetro e poi utilizzato quando si vuol condire un piatto di spaghetti aggiungendo olio extravergine e pecorino grattugiato al momento.

MACCHERONI Ingredienti: tre etti di maccheroni due etti di ricotta mezzo etto di parmigiano grattugiato due cucchiai di timo un cucchiaio di maggiorana sale e pepe q.b.

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Esecuzione: Macinare insieme timo e maggiorana e amalgamarli con la ricotta. Far riposare per alcune ore e quindi lessare i maccheroni che vanno conditi con il composto già preparato aggiungendo soltanto parmigiano, sale e pepe.

SALSA PICCANTE Ingredienti: un bicchiere di vino bianco un cucchiaio di aceto di vino una cipollina tritata un cucchiaio di salsa di pomodoro due rametti di timo 25 grammi di burro 70/80 grammi di farina una foglia di alloro un cucchiaio di mostarda francese sale e peperoncino q.b.

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Esecuzione: Fare la besciamella con farina e burro aggiungendo la salsa di pomodoro sciolta in pochissima acqua calda. Nel frattempo in un tegame far riscaldare per un quarto d’ora aceto, vino, alloro, cipolla, peperoncino e timo aggiungendo poi la besciamella e ultimare la cottura. Aggiustare di sale e infine unire la mostarda.

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...Osterie, un mondo perduto

Le Osterie: un mondo perduto, un mondo da ritrovare. Un tavolino di pietra, con quattro sgabelli su cui sedevano - sarebbe meglio scrivere: si slanciavano - altrettanti appassionati di carte. D’estate, era posizionato all’esterno, nella brezza che correva tra l’Adriatico e i monti Sibillini; d’inverno veniva trasportato all’interno del minuscolo locale. Di tavoli ce n’erano anche altri. In verità pochi. Quindici persone sarebbe stato un gran pienone. D’estate, i ragazzini potevano assistere, un po’ discosti al tressette o al ruiscì. D’inverno, era loro vietatissimo entrare nell’osteria, forse per qualche imprecazione di troppo, forse perché il gioco delle carte risultava inadatto ai minori. L’osteria – ne raccontiamo una, ne comprendiamo cento - aveva il banco in granito, le fojette dalle misure diverse in bella vista sulle tavole al muro dietro all’oste, e da presso le damigiane del rosso e del bianco. Il vino arrivava dalle campagne. I bicchieri erano rigorosamente di vetro. L’osteria era gremita specie nel secondo pomeriggio dei giorni feriali, la domenica era ben altra cosa. Si poteva assaggiare anche qualche salume. In alcune, anche desinare. Ma non pensate alla trattoria o al ristorante. L’osteria era ben altro: più di un “centro d’aggregazione”, più di una moderna “sala giochi”, più di una locanda, molto più di un bar. Aveva il sapore del sudore degli uomini, l’odore del vino e del ciabuscolo, era la sfida segreta per i ragazzi che volevano bruciare l’iter iniziatico per raggiungere la maturità, il baricentro di un’esistenza senza tanti problemi o, con tanti problemi, che potevano sciogliersi dinanzi ad un bicchiere di vino. D’osterie e di spacci di campagna ha scritto Gabor Bonifazi. Bonifazi è architetto maceratese, giornalista, scrittore. È una mia vecchia conoscenza. È un uomo appassionato della bellezza, come lo ha definito la professoressa Lucia Tancredi in una delle tante presentazioni de libro “L’Osteria dei Pettorossi” (tip. San Giuseppe – Pollenza) che Bonifazi ha scritto nel 2010.

L’osteria, ha spiegato l’autore, è forse un luogo dello spirito e ancor di più luogo dello spirito è il vecchio e ormai sparito spaccio di campagna: luogo d’incontro, di chiacchiera, d’aiuto vicendevole, di civiltà tramandata. Vi sostavano i pellegrini, vi passavano i turisti, vi acquistavano quei pochi generi alimentari gli sparsi residenti della campagna d’attorno. Gabor Bonifazi è forse uno degli ultimi minnesanger. Un cantore. Il cantore di un mondo che ha voluto annullare le differenze, le storie o le cultura periferiche (come diceva Pier Paolo Pasolini), per annegare nell’insignificanza dell’indistinto oppure dell’artificioso creato ad ogni costo. Le osterie e gli spacci erano luoghi d’umanità diversa seppur complessa, luoghi dalle mille sfaccettature. Portavano con sé il senso della terra, del produrre, della fatica ma anche della festa e dello stare insieme, che è poi la stessa cosa. Gabor ha girato il maceratese, la campagna e i borghi, e le periferie cittadine; ha raccontato – anzi: ha cantato - delle ultime osterie e degli ultimi spacci. Ha incontrato gli anziani osti che resistono alla pressione delle tasse e della burocrazia. Ha letto nei loro volti la malinconia ma ha colto anche il guizzo del bel tempo che fu. E che potrebbe tornare. Opera importante, quella di Gabor. Che la Regione Marche ha colto nella sua più profonda provocazione. Qualcosa s’è mosso. A protezione, a difesa, a rilancio di questi luoghi storici. A difesa di un modello di vita che tornerà utile a tutti. Scrivere serve anche per questo. “Bravo”, Gabor.

Il libro di Gabor Bonifazi ha fatto il miracolo. La Regione Marche ha approvato, il quattro aprile scorso, una legge – la n° 5 del 2011 – a sostegno e promozione di “osterie, locande, taverne, botteghe e spacci di campagna storici'. Previsto un aiuto per quanti continuano a tenere aperti locali di indubbio valore storico e sociale. Ora, dopo la normativa, i regolamenti. Lo scorso 19 settembre la Prima Commissione consigliare, presieduta da Rosalba Ortenzi, ha esaminato il regolamento per l’accesso ai finanziamenti regionali previsti per la promozione dei locali storici. L’approvazione definitiva dovrebbe avere tempi ormai brevissimi. La Commissione consiliare ha espresso il parere di propria competenza, indicando le modalità da seguire per procedere al censimento dei locali storici. Tra le raccomandazioni della Commissione la cadenza biennale dell'avviso pubblico, che sarà a cura dei Comuni: una volta pubblicato il Regolamento, già trasmesso alla Giunta per l'approvazione definitiva, sarà affidato ai Comuni il compito di raccogliere le iscrizioni tramite avviso pubblico. Gli aventi diritto potranno quindi chiedere di essere censiti, per ottenere l'iscrizione nel censimento dei locali storici marchigiani e l'accesso ai finanziamenti regionali previsti per la loro promozione.

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IL PANE: BRICIOLE DI RICORDI E GRANI DI STRAMPELLI

di Liana COGNIGNI e Sergio SALVI

“Buono come il pane”, usato per esprimere l’amabilità e la bontà di una persona, è un modo di dire che ormai assume un sapore arcaico e legato alla memoria storica. Anche se, in Italia, il pane è sempre stato un elemento alimentare insostituibile e rimane un cibo fondamentale, oggigiorno, i consumi sono notevolmente caduti. è curioso come si sia ridotto il consumo di pane e siano, invece, aumentati i tipi di pane. L’Istituto Nazionale di Sociologia Rurale ha dedicato al pane un volume del suo “Atlante dei prodotti tipici”, contando 250 tipi di pane circa, ma si può arrivare fino a 1.500 tipi di pane diversi, magari solo perché vengono chiamati con un nome o un altro a seconda della località. Il profumo del pane appena sfornato è talmente fragrante Foto dei primi del Novecento che permane nel tempo, spedi Nazareno Strampelli cialmente per chi ha avuto la fortuna di seguire, da bambini, tutta la procedura della sua cottura nel forno a legna di casa, in campagna, o di passare davanti alle piccole finestre del forno vicino alla sede della scuola. Nel nostro territorio del Fermano è l’ultima generazione di bambini che sono cresciuti a pancotto! Pane raffermo con crosta, da non sprecare con religiosa parsimonia, veniva bollito e servito, con sopra, una vir-

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gola di olio d’oliva, e, negli anni più recenti, con un uovo strapazzato o una spolverata di formaggio pecorino. Tuttavia, rimane vivo il ricordo dell’amarezza e dello sconcerto dei nostri nonni, quando raccontavano di aver mangiato pane di ghianda, pane nero e pane di granturco. Nonni nati nella seconda metà dell’Ottocento e testimoni di drastiche differenze alimentari e sociali, quando scarseggiavano le farine e il “pane bianco” di fior di farina era riservato alle mense dei più ricchi e dei potenti. Il pane di ghianda fu preso a documento di povertà, all’inizio del Novecento, da Angelo Celli in un suo discorso al Parlamento, dove il marchigiano, nato a Cagli nel 1857, medico e per vent’anni alla Camera dei Deputati a Roma, ribadì che i contadini della sua Regione erano costretti a mangiare pane di ghianda, come i maiali. Il pane di granturco non veniva apprezzato nella nostra zona, invece nelle Regioni del Veneto e del Friuli Venezia Giulia, dove il mais impera, è sempre stato diffuso. Era un pane giallo e stopposo, che induriva presto. Il pane nero assumeva il colorito scuro per l’abbondante presenza nell’impasto di tritéllo, ottenuto dalla macinazione del grano e con una tessitura poco più fine della crusca. Anche in questo caso, il passo agli animali, polli e maiali, è breve. Ad esempio, per Montegiorgio, la diversità del pane di cui si nutriva la popolazione è documentata fin dal Settecento. “Nel Consiglio Comunale del 13 dicembre 1766 il Consiglio discute infatti della Tassa del pane di oncie sei al bajocco del nero, e di oncie quattro del bianco, ordinato dalla Sagra Congregazione del


...Il Pane Buon Governo”1. Il nostro pane bianco deriva da farine di frumento tenero. Nelle nostre campagne, fino agli anni ’60 del Novecento, le varietà di grano prevalenti erano il San Pastore, l’Argelato e la Jervicella. La Jervicella è un’antica cultivar che, come le altre due citate, è mantenuta presso la Banca del Germoplasma dell’Istituto di Genetica e Sperimentazione Agraria “Nazareno Strampelli” Antico forno a legna a casa Cognigni, di Lonigo (Vicenza). Castagneto-Montegiorgio, 2001 Il San Pastore è una varietà ibrida ottenuta dall’agronomo maceratese Nazareno Strampelli (Crispiero di Castelraimondo, 1866 Roma, 1942). Strampelli può essere considerato il primo ad aver applicato all’agricoltura italiana - e alla granicoltura italiana in particolare - i principi dell’ereditarietà genetica formulati nella seconda metà dell’800 dall’abate moravo Gregor Mendel (1822-1884). A Strampelli si deve la creazione di una cinquantina di varietà ibride di frumento tenero (oltre al San Pastore, il Mentana, l’Ardito, Villa Glori, ecc..) e di almeno una decina di frumento duro (tra le quali è da ricordare il celebre “Senatore Cappelli”). Varietà che furono le protagoniste, nell’Italia degli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, del raddoppio della produzione nazionale del cereale. Alcune di queste varietà (caratterizzate da maturazione precoce, resistenza ai parassiti fungini e all’allettamento), esportate in tutto il mondo soprattutto nell’immediato secondo dopoguerra, furono alla base dei programmi di miglioramento genetico del frumento attuati dai principali Paesi produttori del cereale, al punto che, ancora oggi secondo recenti stime, il 70-80 per cento delle moderne varietà di frumento coltivate sul pianeta hanno almeno una varietà di Strampelli nel proprio pedigree. Lo stesso Strampelli, negli anni ’30, promosse la creazione di un “Museo Internazionale del Pane”, avente sede in Roma. Intorno agli anni ’50 il Museo fu smembrato, ma una sua sezione, recuperata in un secondo tempo, è oggi parte integrante del “Museo del pane” della Fondazione Morando Bolognini, avente sede a Sant’Angelo Lodigiano. Questa sezione raccoglie oltre 500 forme di pani (pani veri!) delle regioni italiane e di molti paesi stranieri europei ed extraeuropei, e costituisce un ulteriore segno della “internazionalità” dell’opera del grande agronomo marchigiano.

1 F. Fidanza, M. Liberati, “Le scelte alimentari a Montegiorgio dal 1770 allo Studio dei Sette Paesi (1959-1991)”, Fermo, Andrea Livi editore, 2009, pag. 68.


...Cinque pesci

CINQUE PESCI PER CINQUE RICETTE

Nell’ambito della rassegna “Amare il Mare” voluta dalla Regione Marche su progetto del Comune di Porto Sant’Elpidio e dell’Alberghiero Tarantelli di Sant’Elpidio a Mare, il 3 settembre, presso la Lega Navale del Comune rivierasco, si è svolta la terza edizione del concorso gastronomico “Appunti dal passato: la pesca alla sciabica”, quest’anno intitolato “Cinque pesci per Cinque Ricette”! In cucina due Chef d’eccezione, il prof. Pierpaolo Piermarini, stimato docente di cucina dell’Istituto Elpidiense e il prof. Stefano Isidori, meglio noto come Sommelier, ma che si diletta con giocosa destrezza anche tra i fornelli. L’obiettivo della gara, non era quello di verificare chi tra i due era il più bravo, sicuramente il Piermarini; ma di comunicare al pubblico la diversificazione dell’utilizzo di quello che per antonomasia è denominato “pesce povero” , cioè il pesce azzurro. Alici, sgombri, sarde, tonnetto e per chiudere il cefalo (in sostituzione del suro che per problemi di mercato non è stato possibile reperire) che anche se non è azzurro, è un pesce che affascina poco ma dalle carni bianche, saporite e succulente, que-

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sti i protagonisti in cucina, elaborati con innovazione e creatività, senza disattendere i canoni della tradizione, con variabili per renderli più freschi, appetitosi e stuzzicanti. La preparata giuria, riunita intorno alle 18, presieduta dall’assessore al Turismo Milena Sebastiani, aiutata dall’Assessore alla Cultura prof.ssa Annalinda Pasquali, dalla Sommelier AIS Stefania Morbidelli, dal referente della rivista Prima Pagina di Ban-

ca Marche Ignazio Mietti, da Sara Ricci e Angelo Cecchetti, della redazione di “Il Gusto... della Vita” rivista della Federazione Cuochi e da altri esperti, hanno dovuto svolgere un lavoro difficile ma veramente piacevole. I piatti, presentati dagli Chef “occasionali”, dopo essere stati assaggiati hanno subito una valutazione che ha definito una graduatoria basata sulla piacevolezza della preparazione. Ha suscitato più apprezzamenti la “Chitarra con le sarde, sapori meridionali e basilico”, anche se il sushi e gli hamburger hanno meravigliato molto per la creatività, l’amalgama delle combinazioni degli ingredienti e la gradevolezza! In chiusura, dopo le foto e i saluti di rito, i convenuti si sono dati appuntamento al prossimo anno con nuove ricette!


...Cinque ricette

LE RICETTE: ALICI LIME E MENTA, MANGO, GRANITA AL MELONE E FORMAGGIO DI FOSSA

Ingredienti: • alici • menta • lime • sale • pepe • olio extravergine d’oliva • melone • mango • formaggio di fossa.

Procedimento: preparare il classico pane aromatico, sfilettare gli sgombri e panarli con cura. In un sauté far rosolare i filetti di sgombro e appena cotti toglierli. Tagliare a fettine il ciauscolo e con l'aiuto di un matterello stenderne una sfoglia per formare l'involtino. Mondare e lavare la bietola, cuocere solamente le foglie in abbondante acqua salata e scolarle facendo attenzione a non romperle. Preparare l'involtino adagiando sul tavolo la pellicola che faciliterà l'operazione, stendere le foglie di bietola, il ciauscolo e al centro lo sgombro con le falde di pomodoro, arrotolare il tutto e lasciare qualche ora in frigorifero. Preparare la crema di patate lasciandole bollire con il latte e appena cotti i tuberi frullare il tutto con il burro. Sistemate in un piatto la crema di patate a specchio, adagiare le fette di sushi e finire con un filo di vino cotto e un goccio di olio extravergine d'oliva.

CHITARRA CON LE SARDE, SAPORI MERIDIONALI E BASILICO

Ingredienti: • cefali • zucchine • uova • pangrattato • parmigiano • sale e pepe • prezzemolo e aglio • Cognac • olio extravergine d’oliva • pomodori rossi • panini per hamburger • lattuga e cipolla bianca Procedimento: mondare le zucchine, tagliarle a cubetti (tranne una a julienne e marinare con sale olio e succo limone) e saltarle in padella con olio e aglio. Mondare i cefali, spinarli, spellarli e ridurli in macinato con il coltello. Mettere in una terrina, la carne dei cefali, le zucchine, uova, pangrattato, parmigiano, sale e pepe, prezzemolo tritato. Fare gli hamburger. Rosolare in padella con olio extravergine d’oliva e uno spicchio d’aglio vestito e gli hamburger. Bagnare con distillato e aggiungere il pomodoro a pezzi. Cuocere per alcuni minuti. Comporre il piatto: su un mezzo panino mettere la salsa, lattuga, cipolla e hamburger, chiudere con il mezzo panino, decorare con la julienne di zucchine.

Procedimento: mondare il melone, tagliarlo a pezzi, frullarlo e correggere la sapidità con zucchero e sale. Congelare. Frullare di nuovo e congelare. Spinare le alici e mettere a marinare con sale, poco pepe, succo di lime, foglie di menta fresca e extravergine. Comporre il piatto: mettere una pallina di “granita” di melone al centro del piatto. Sistemare le alici e i cubetti di mango. Lamellare il fossa sopra la granita, irrorare con extravergine e decorare con un ciuffo di menta.

FILETTO DI TONNETTO ALLE ERBE CON POMODORI ARROSTO

SUSHI DI SGOMBRO, CIAUSCOLO E BIETOLA SU CREMA DI PATATE

Ingredienti: • sgombro • ciauscolo fresco spalmabile • bietola • patate bianche • latte intero • pane grattugiato • vino Verdicchio • olio extravergine d'oliva, • pomodori verdi • burro • aglio • limone • erbe aromatiche • vino cotto

HAMBURGER DI CEFALI E ZUCCHINE, CIPOLLA BIANCA E LATTUGA IN SALSA ROSSA

Ingredienti: • sarde • basilico • chitarra all’uovo • sale • peperoncino • olio extravergine d’oliva • uva passa • pinoli • prezzemolo • aglio • pomodori secchi • olive nere denocciolate • • alici sottosale • capperi Procedimento: spinare le sarde, tagliare a pezzetti i pomodori secchi, preparare un battuto con i capperi e le alici sotto sale. Soffriggere in padella, olio extravergine d’oliva, uno spicchio d’aglio, il peperoncino e il battuto. Aggiungere i pomodori secchi e lasciar rosolare. Unire le olive, l’uva passa, i pinoli e per ultimo le sarde tagliate a pezzetti. Cuocere la chitarra in abbondante acqua salata. Scolarla al dente e saltarla nella padella con la salsa e il basilico. Impiattare.

Ingredienti: • tonnetto • erbe aromatiche (timo, rosmarino, salvia, maggiorana) • sale e pepe • olio extravergine d’oliva • pomodori rossi San Marzano • aglio Procedimento: mondare il tonnetto, spinarlo e filettarlo. Cospargere con il trito di erbe aromatiche. Passere sul grill per 5 minuti per lato (in base spessore filetto). Tagliare i filetti grigliati a “bocconcini”. Arrostire i pomodori profumati con aglio e rosmarino. Comporre il piatto sistemando i pomodori arrosto e i cubetti di tonnetto, irrorare con extravergine, decorare con mazzetto di erbe aromatiche.

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della vita


...Giovanni Lindo Ferretti

I Borghi di montagna, la natura, il Creato.

Lindo Ferretti riscopre la vita Dall'URSS ai borghi dell'Appennino, dall'ateismo alla fede cattolica. Sempre più alla radice del vivere. Un cantante, un poeta, un uomo. Sto leggendo un gran libro ed ho scoperto un grande autore. Il libro è “Reduce” (Mondadori, 2006). Lo ha scritto Giovanni Lindo Ferretti. Era il cantante dei CCCP-Fedeli alla linea, lo è stato poi dei CSI, quindi dei Per Grazia Ricevuta. Oggi Ferretti è una sorta di cantore del creato, della natura, dei borghi antichi e silenziosi, della bellezza e del suo Creatore. La lettura andrebbe iniziata dall'ultima di copertina. Perché è il richiamo ad una rivoluzione lanciato da un vero rivoluzionario. è un terremotare lo status quo, la mentalità odierna, è un giudizio inappellabile. Dice: “Fatevi avanti, monache e monaci, famiglie in carne e sangue d'amore. Santi, poeti, eroi, navigatori astrali. La nuova età di mezzo è già in atto. Tocca a voi l'onere e l'onore di traghettarla al poi”.Si ha l'impressione di un autore che prenda per il bavero, che scuota, che voglia toccare il fondo dell'anima per raggiungere le corde più sensibili, e quelle più vere. è come se dicesse: ma non vedete a che punto siamo arrivati, ma non vedete che siamo

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già nel baratro, ma non vedete che la steppa, il deserto, il nulla, stanno divorando un mondo intero? Una scossa per ognuno: per me, per voi, per la Chiesa, le famiglie, la politica, l'economia. Reduce, è Ferretti, reduce dai grandi fronti dell'ideologia, che quando si frantuma e rivela tutta la sua inconsistenza e violenza, occorre all'uomo ritrovar radici, ritrovar casa, ritrovar famiglia. Ritrovar senso del vivere. “Non credo – ha scritto in uno stupendo pezzo su Avvenire il giorno del Papa ad Ancona – che telefonando, fotografando, in rete collegati ed informati, cresca di un'oncia la meraviglia del vivere”. Altrove, la si trova, la meraviglia. Magari in quel borgo appenninico che “è ancora un luogo benedetto da Dio”. Luogo di rapporti ancora veri tra la gente, di orizzonti abbagliati dal sole che si tuffa nel mare, dal duro lavoro dei campi e dell'artigiano, luogo dove il sangue conserva mille storie, una catena ininterrotta di generazioni. Ma anche, purtroppo, un luogo “abbandonato dagli

uomini. Il tempo di una generazione e sarà la fine di un lungo racconto già dimenticato ma di cui cominciamo a percepire la mancanza”. Lindo racconta di un mondo scomparso che “ricompare in frammenti illuminati, lampi visionari sul pulsare del sangue”. Sono parole infuocate, incandescenti, le sue, parole che fuoriescono come lava, che bruciano le coscienze cieche, che sciolgono le menti rattrappite. è un'esplosione. Ma anche un richiamo alla vita. Alla presenza e alla riscoperta di altro, di Altro, per battere “un substrato barbarico, un sentire profondo che secoli di fede e devozione hanno contenuto, limato, educato, ma inutile mentire, affiora qua e là prepotente: occhio per occhio, dente per dente”. Occhio per occhio, dente per dente... si materializza sui giornali, si consolida sui banchi della politica, nelle aule dei tribunali ed anche in quelle della scuola. La nuova barbarie, i nuovi barbari non sono in agguato. Sono già qui... però quel borgo, quella gente, quel papa, quella fede... A. Le.


...Ai fornelli

Le ricette di

Mauro Donati

Mauro Donati nato a Fermo nel 1963 e diplomato all'Alberghiero di San Benedetto del Tronto, nel corso degli anni ha lavorato nei più rinomati ristoranti del territorio. Dal 2006 ha rilevato, insieme a suo fratello Marco, la storica trattoria “Da Orsolina” a Fermo.

Maccheroncini di Campofilone allo Scorzone dei Sibillini (tartufo) con fonduta di Casatella Trevigiana DOP INGREDIENTI PER 4 PERSONE: • 320 g Maccheroncini di Campofilone • 200 g Casatella Trevigiana DOP • 20 g burro • 20 cl Latte • 1 tartufo Scorzone dei Sibillini (20 g c.a)

Chef Mauro Donati

Medaglioni di crepes con Casatella Trevigiana DOP al ciauscolo, su letto di pesche della Valdaso stufate al vino cotto.

ESECUZIONE: In una padella sciogliere il burro e scaldare il tartufo precedentemente grattugiato grossolanamente per 2 minuti circa. Togliere dal fuoco e unire la Casatella, il latte e continuare la cottura a bagno-maria fino ad ottenere una vellutata. Cuocere i maccheroncini in abbondante acqua salata, scolarli al dente saltarli in padella con la vellutata di Casatella allo scorzone. Servire immediatamente evitando di aggiungere il formaggio grattugiato.

Ingredienti per 4 persone: • 120 g Casatella Trevigiana DOP • 120 g Ciauscolo • 4 crepes • 100 g Pesca nettarina • 50 cl vino cotto • erba cipollina • sale q.b. Esecuzione: Preparare le crepes: in una ciotola sbattete 2 uova, unite 100 g di farina, il sale e mescolate gli ingredienti versando a filo 250 ml di latte. Fondere a bagnomaria 20 g di burro e incorporarlo al composto avendo cura di continuare a mescolare, a questo punto coprire il recipiente con la pellicola e lasciarlo riposare per circa 30 minuti. Scaldare una padella, imburrarla e quando sarà sufficientemente calda versare un quarto di mestolo del composto preparato avendo cura di ruotare in modo che si distribuisca uniformemente sul fondo. Non appena si sarà addensato voltatelo e concludete la cottura, ripetere l’operazione fino a completo utilizzo del composto. Per il ripieno: sminuzzare il ciauscolo (salame tipico marchigiano) ed amalgamarlo con la casatella e l’erba cipollina tritata finemente. Stendete il composto su di una crepes poi sovrapporre un’altra crepes e stendervi nuovamente un altro strato di composto. Arrotolare la crepes a mo’ di cannolo, tagliare poi dei medaglioni di 1 cm di spessore. Nel frattempo sbucciare la pesca tagliarla a julienne e stufarla a fuoco lento per 15 minuti nel vino cotto e farla raffreddare. Comporre il piatto adagiando 3 medaglioni sul letto di pesche stufate, dopodichè irrorare i medaglioni con un filo di riduzione di vino cotto e servire immediatamente.

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della vita


...GustoTabacco

Porta un amico a cena, questo è stato il titolo della nostra prima cena di GustoTabacco e il nome era proprio azzeccato! Amici, una cena tra amici anche se non tutti si conoscevano. Il sigaro avvicina le persone… giuro! Provare per credere. Serata di mezzo giugno preparata senza troppe pretese ma tutto con molta cura: attenzione ai dettagli e ricercati non perchè esperti del settore ma perchè appassionati del vivere insieme agli amici, al gusto della vita. Anche la location - il Villaggio San Michele Arcangelo della PARS, nella campagna di Corridonia - è stata selezionata non per la tradizione culinaria ma perché luogo di rieducazione per ragazzi che hanno avuto delle difficoltà nella vita e ora si stanno rimettendo in gioco lavorando sodo e imparando nuovi mestieri, iniziando dal lavoro della terra. Ai fornelli, Catia Berrettoni, donna che quando è in cucina ti fa venir voglia di sposarti! Ti fa amare anche piatti che dici di non mangiare! La serata è stata decisa rapidamente, grazie alla partecipazione di un rappresentante di una famosa azienda che produce sigari italiani. Abbiamo scelto questi sigari perché l'azienda esiste da prima dell'unità d'Italia, e come disse Benigni, il nostro paese è l'unico dove prima è nata la cultura e poi la nazione, quindi abbiamo voluto unire la nostra tradizione culinaria alla tradizione storica dei sigari. Eravamo poco meno di 40 ma c'erano veramente tutti, dalle ragazze (la mia era la più bella) ad amici un po' più maturi. C'erano neofiti del mondo del tabacco e c'erano esperti più navigati. C'erano studenti universitari e professionisti. Catia ci ha preparato un bell'antipasto dove abbiamo assaggiato del salame classico, salame piccante, prosciutto, formaggi con marmellate (tipico abbinamento marchigiano), e crostini con fegatelli e pomodori. Vino Passerina della cantina TerrePicene. A fine antipasto abbiamo deciso di iniziarci ad un sigaro aromatizzato alla grappa.

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il Gusto...

Già sapevo che qualcuno non preferisce l'aromatizzato ma fuma solo al naturale. I pre-giudizi sono una brutta malattia, ma tutto si può curare. È bastato spiegare cos'è il sigaro, come nasce, come lavorano le nostre sigaraie da 200 anni... la nostra tradizione appunto. Tutti, e dico tutti, hanno gradito e ri-chiesto il mezzato aromatizzato. È stata una mezz'ora bellissima di silenzio dove eravamo solo in due a parlare per raccontare del sigaro. Si ascoltava e si fumava lentamente per assaporare e degustare. Non serve essere dei viziati per fumare, quando si passa una serata così già basta una sola volta al mese. Passiamo ora al primo, una zuppa di legumi dove è bastato un cenno per far capire al ragazzo che serviva, il mio pensiero “ A 'frà, rebbocca lo piatto!” [trad. dal Marchigiano: “per favore, ancora che è buonissima!”] Zuppa fantastica che ha dato il via alla convivialità. Il tutto condito da vino Pecorino della stessa cantina. Secondi di carne: coniglio arrosto in porchetta! Grande Catia! Anche in questo caso, chi mi ha detto prima della cena che il coniglio non gli piaceva, è stato il primo a fare il bis! Tutto contornato da insalata e verdure grigliate arrosto dei campi della Pars. Vino Rosso Piceno Superiore. Pesche e albicocche sempre degli stessi campi. Biscotti al cioccolato e all'anice della pasticceria Cintioli di Fermo. Caffè, Varnelli all'anice e Varnelli al cioccolato serviti in piacevoli e gustosi bicchierini di cioccolato e cialda, hanno anticipato di poco gli ultimi due sigari della serata, questa volta naturali e un po' più impegnativi, quindi non aromatizzati, ma solo Kentucky nazionale. Il pubblico ha partecipato in modo molto bello e composto, facendo domande, chiedendo come e perchè accendere il sigaro in un certo modo e non come una sigaretta. Perchè il fiammifero, perchè il tabacco utilizzato per il ripieno è fermentato, perchè quell'abbinamento, perchè... perchè... Bello, bello, bello! Patrizio, un nostro amico, a fine serata ha anche allietato l'ambiente con un po' di musica suonando la chitarra. Purtroppo ormai era tardi e giustamente non potevamo fare molto rumore perchè, chi vive in quella struttura, è lì per un percorso terapeutico e il lavoro nei campi è parte di ciò, quindi in quel momento preferiva dormire... Grazie a tutti amici, spero di riuscire a breve ad riorganizzarvi un'altra serata come questa! Daniele Vallesi


...Camera di Commercio

La TERRA FERMANA al Conto alla rovescia per il Merano WineFestival. L’ edizione 2011 si terrà il 4 - 5 - 6 - 7 Novembre. Presenti anche quest’anno, la Camera di Commercio di Fermo e l’Azienda Speciale Fermo Produce. Accompagneranno e sosterranno 14 aziende della culinaria e gastronomia fermana, molte delle quali alla loro prima esperienza meranese. Parteciperanno anche cinque aziende dell'artigianato artistico locale e quattro cantine della nostra Terra di Marca. Queste ultime, oltre a fornire il proprio prodotto per la serata di Gala (una cena per circa 500 persone che l’ente camerale organizzerà anche per questa edizione) avranno l'opportunità di esporre i propri vini in una sezione speciale, denominata "Le novità del Merano WineFestival 2011". A loro è stata assegnata la giornata di lunedì 7 novembre. Saranno trenta cantine selezionate in tutta Italia. I vini delle quattro cantine fermano, il cui nome è anora top secret, hanno superato una severa selezione, come nella miglior tradizione del Merano WineFestival, kermesse da tutti riconosciuta come la più prestigiosa al mondo. L’edizione 2010 fece scoccare una sorta di idillio tra il festival meranese e la terra fermana. Alcuni imprenditori presenti alla kermesse altoatesina così si espressero all’indomani del rientro a casa.

“Una esperienza unica e produttiva. Sto ricevendo contatti da tutta Europa”, ha commentato Luigi Recchi, dell'omonima fattoria. Parole di apprezzamento anche dalla signora Arianna, artigiana nel settore della Pelletteria: “Nei giorni scorsi sono venuti a trovarmi clienti contattati al Festival, hanno fatto acquisti e sto inviando i miei capi ordinati via mail grazie ai contatti avuti a Merano”. Questo, secondo il presidente della CCIAA di Fermo, Graziano Di Battista, era ed è l'obiettivo da raggiungere. Dal canto suo, il presidente dell'Azienda Speciale, Nazzareno Di Chiara, a fine edizione 2010, aveva promesso un nuovo impegno per il 2011 perché “non è semplice trovare un'altra vetrina di rilievo internazionale dove promuovere nell'interezza la nostra terra”. Lo scorso anno il Gran Gala di apertura del Merano WineFestival vide i cuochi fermani in prima fila. Il nostro Sandro Pazzaglia e Roberto Sebastianelli ne firmarono il menu. Appuntamento allora a novembre prossimo, negli incantevoli e fiabeschi paesaggi dell’Alto Adige. CAMERA DI COMMERCIO FERMO Via Respighi, 8 - 63023 Fermo cciaa@fm.legalmail.camcom.it tel. 0734 228142

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della vita


...I formaggi

COME SI PRODUCE IL FORMAGGIO di Francesco Seghetti e Leonardo Seghetti.

Il formaggio, da un punto di vista fisico, altro non è che una concentrazione di volume con la concentrazione di materia secca. Più precisamente è il prodotto della trasformazione e conservazione delle proteine e grasso del latte.

A partire dagli anni ’20, la legislazione Italiana (RDL n.2033 del 1925) definisce il formaggio o cacio come “il prodotto che si ricava dal latte intero o parzialmente scremato, o dalla crema in seguito a coagulazione acida e/o presamica, anche facendo uso di fermenti e di sale da cucina”. Praticamente il formaggio è il prodotto della maturazione della cagliata, la quale si forma dalla coagulazione del latte grazie all’azione del caglio. A prescindere dalle origini del latte (vaccino, bufalino, ovino o caprino), è costituito da quattro componenti fondamentali: proteine, grassi, sali minerali ed acqua. Nonostante questo esiste una grande variabilità di prodotti, dovuta alla razza dell’animale, alla composizione del latte, al tipo di caglio, alla flora microbica, alla lavorazione, alla stagionatura-maturazione, ecc. Basti pensare alle tante classificazioni esistenti, come ad esempio in base alla consistenza: duri, semiduri, molli e freschi. Altra classificazione si basa sul contenuto in grasso: formaggi grassi, con più del 42% in grasso riferito alla sostanza secca; semigrassi, dal 20 al 42%; magri con meno del 20%. I formaggi possono essere distinti anche in altri modi; in relazione alla

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il Gusto...

temperatura della cottura della cagliata (formaggi crudi, semicotti e cotti) oppure in base alla maturazione, rapida (meno di 20 gg), media (fino a sei mesi), lenta (oltre sei mesi). A tale riguardo è facile trovare dei formaggi con lunghi periodi di stagionatura, ad esempio il parmigiano reggiano con oltre 30 mesi di maturazione.

La trasformazione del latte in formaggio avviene attraverso fasi caratteristiche, ma altrettanto importanti sono le qualità del prodotto di partenza; ad esempio, nella produzione del parmigiano reggiano, non si usa latte prodotto da bovine alimentate con insilati: questo perché

tale latte può contenere spore di clostridi, le quali possono dar luogo a fermentazioni anomale che vanno ad incidere negativamente sulla qualità del prodotto. In generale, possiamo dire che un latte a buona attitudine casearia deve possedere una discreta quantità di caseina (proteina del latte) e buone attitudini alla caseificazione. Tornando alle fasi, possiamo indicare brevemente quelle più “comuni” nella produzione dei vari formaggi: Eventuale correzione del tenore in grasso: avviene per centrifugazione, affioramento o con aggiunta di crema come ad esempio nella produzione di alcuni tipi di gorgonzola. PASTORIZZAZIONE: ha lo scopo di ridurre la carica microbica che potrebbe contrastare gli innesti di flora microbica, utili per la successiva maturazione e per arricchire in sieroproteine la coagulazione. In assenza di pastorizzazione vi è la produzione di formaggi a latte crudo dove al primo posto vi è il benessere degli animali (si cerca di mantenere una bassa carica microbica in quanto la pastorizzazione, oltre ai vantaggi sopracitati, ha effetto microbicida).


...I formaggi

SOSTA E MATURAZIONE DEL LATTE per far sviluppare una certa flora microbica naturale e permettere una leggera acidificazione, la quale consente di ottenere una cagliata con caratteristiche acide lattiche. In questa fase è possibile un’inseminazione di flora microbica esterna adatta al tipo di formaggio che si intende produrre. Ciò si verifica quando certi microrganismi non sono presenti in quantità sufficienti. Le aggiunte possono essere effettuate con: lattoinnesti, utilizzati per la produzione di formaggi a pasta cruda e più o meno molle come crescenza, italico, taleggio, gorgonzola; sieroinnesti, tipici della lavorazione del grana ed altri formaggi a pasta dura e cotta; innesti fungini per la produzione di formaggi erborinati come il gorgonzola. AGGIUNTA DEL CAGLIO, sostanza ricca di enzimi (chimasi e pepsina) che provoca la coagulazione del latte; in tale processo si verifica la destabilizzazione della caseina che da una sospensione colloidale o soluzione passa allo stato di gelificazione. La COAGULAZIONE PRESAMICA si realizza per distacco enzimatico di un glicopeptide dalla K-caseina e per contemporanea perdita delle proprietà stabilizzanti di detta caseina: in pratica il fosfocaseinato di calcio subisce una proteolisi specifica dando fosfo-paracaseinato di calcio ed una frazione azotata solubile; ciò avviene ad una determinata temperatura ed in base ad una certa acidità.

La COAGULAZIONE ACIDA invece porta ad una sostituzione degli ioni calcio con idrogenioni, con abbassamento del pH che raggiunge il punto isoelettrico (è il punto in cui la molecola proteica ha carica neutra) a pH 4,6 – 4,7. Dalla combinazione dei parametri suddetti si ottiene un coagulo consistente ed elastico con caratteristiche presamiche (o dolci) o un coagulo a consistenza minima con caratteristiche lattiche. La temperatura della cagliatura è di poco superiore ai 30 °C. Il caglio viene estratto dalla mucosa superficiale dell’abomaso dei ruminanti quali vitellini, agnelli e capretti. In alcune produzioni di formaggi fortemente legati al territorio al posto del caglio suddetto si utilizzano cagli vegetali ottenuti dal latte di cardo o fichi, cosi come nella produzione di un formaggio pecorino come quello di Farindola si utilizza caglio preparato dal maiale. Segue la LAVORAZIONE DELLA CAGLIATA, dopo che è stata ridotta di dimensioni con un attrezzo chiamato spino, a seconda del tipo di spurgo e del tipo di formaggio che si intende produrre: la rottura è più grossolana (noce) per i formaggi a pasta molle e più incisiva (chicco di riso) per quelli a pasta dura. Per i formaggi a pasta cruda e molle la cagliata vien fatta riposare con il siero per facilitare lo spurgo ed una certa acidificazione, mentre per i formaggi a pasta dura e cotta si procede alla cottura della cagliata, agitando continuamente la massa frammentata fino a raggiun-

gere una temperatura superiore ai 50 °C. La cottura ha lo scopo di disidratare il coagulo. Seguono le fasi della messa in forma della cagliata, la stufatura e salatura per favorire un ulteriore spurgo e la fase di stagionatura o maturazione dei formaggi. Quest’ultima fase varia da cinque a sette giorni per la produzione della crescenza fino ad oltre due anni per i formaggi tipo grana. Generalmente avviene a temperature variabili da 5 a 20 °C con una umidità dall’80 al 90%. è un processo molto complesso che implica numerose modificazioni nella pasta caseosa soprattutto a carico di acido lattico, caseina, materia grassa, prodotti della degradazione. In questa fase si osservano alcuni fenomeni quali perdita di acqua e formazione della crosta. Da tutti i fenomeni citati si formano una serie di composti che incideranno fortemente sulle caratteristiche del formaggio e che costituiranno il flavour, ovvero l’insieme dei sapori ed aromi. A conclusione si può affermare che la produzione dei formaggi, alla prima lettura, può sembrare semplice e quasi standard; in realtà con alcune piccole variazioni è possibile la produzione di una miriade di formaggi diversi e complessi che spesso rappresentano il territorio in tutti i suoi aspetti, compresa quella tecnologica dove l’uomo incide profondamente. C’è da ricordare, infatti, che il formaggio è frutto dell’ingegno dell’uomo, e quindi merita di collocarsi al centro di tale produzione.

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della vita


La passione del nonno, la curiosità del giovane. E la campagna, con il suo fascino e i suoi prodotti

Marco Cavalieri è agronomo, laureato all’Università di Agraria di Perugia nel 1989, specializzato in viticoltura ed enologia. Svolge la sua attività di consulente per aziende vitivinicole sia in Italia che all’estero (USA, Argentina, Messico). è un uomo che ha la passione dei campi, dell’agricoltura, dell’ambiente. è anche un imprenditore, di quelli con la schiena dritta. Lo incontriamo poco dopo una giornata di vendemmia, a Moresco. La tua passione per la natura, la campagna, i vigneti, i vini, a quando risale? Direi fin da ragazzo; mi è sempre piaciuto accompagnare mio nonno in campagna e indagare, sperimentare, provare. Poi, crescendo, questa stessa passione mi ha portato a calpestare terreni e suoli estremi in vari angoli del mondo per studiare l'intima relazione territorio-vite-uva. Come ti sembra la vendemmia quest'anno? è una vendemmia caratterizzata da un calo produttivo del 20% rispetto alle precedenti annate; la qualità delle uve però è molto buona perché

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alle abbondanti piogge di giugno e prima parte di luglio è seguito un periodo caldo che ha permesso una maturazione ottimale del prodotto. Che vino arriverà sulle nostre tavole? In generale vino di qualità con eccellenze per alcune varietà quali Sangiovese per i rossi e Pecorino e Passerina per i bianchi. Come giudichi i vini marchigiani? Sono vini la cui qualità è notevolmente cresciuta negli ultimi anni, frutto di un intelligente lavoro in vigna e cantina. A ciò si accompagna un ottimo rapporto qualità/prezzo; punto debole: faticano a farsi conoscere. Quali i loro mercati di riferimento? In Italia soprattutto il mercato locale. All’estero: nordeuropa e USA Tu hai a Moresco, in provincia di Fermo, un'azienda viti-vinicola: Le Corti dei Farfensi. Come ti muovi a livello internazionale? Cerco canali in grado di proporre,

prima ancora dei vini, il nostro territorio; il vino è frutto di un territorio: terreno, sole, storie di uomini. Ritengo fondamentale che i potenziali clienti “assaggino” prima il territorio, quando poi si arriva a degustare i vini…il più è fatto! Quali difficoltà incontri? Può sembrarci strano ma la nostra regione è pochissimo conosciuta. Spesso per spiegare dove siamo in Italia dico che siamo sullo stesso parallelo di Firenze ma sul mare Adriatico! E il mercato locale? I consumi sono in diminuzione ma i consumatori sono molto più attenti e “curiosi”che in passato, attenti alle novità privilegiano prodotti di territorio che sappiano coniugare prezzo e qualità e questo è senza dubbio un elemento positivo. I ristoranti marchigiani iniziano solo ora una timida proposta di carta dei vini locali. Come mai? E, soprattutto, come incrementarla?


...Cavalieri

Abbazia di Farfa

Moresco, la piazza

Vigne, Le Corti dei Farfensi

L’unica strada è fornire loro una corretta informazione; un ruolo fondamentale lo svolge il “rappresentante” che deve trasformarsi da venditore a consulente del ristoratore; fornire dettagli parlargli della storia delle aziende. Le stesse aziende devono naturalmente “formare” la loro rete vendita e capire che il prezzo è solo un elemento in base al quale il consumatore opera la sua scelta e, soprattutto per vini di territorio, non sempre è quello determinante.

monaci farfensi nel territorio. La via Farfense è una delle varianti della Salaria, che insieme alla Romea e alla Lauretana costituiscono le tre direttrici principali che conducono a Roma e prende il nome dalla presenza dei monaci benedettini e di alcune famiglie dell’Abbazia di Farfa che nell’890 si insediarono nel sud delle Marche, dopo l’occupazione del loro monastero d’origine, situato in Sabina nel Lazio, da parte dei Saraceni. La presenza farfense ebbe il suo nucleo centrale nel territorio compreso tra le vallate del fiume Aso e del fiume Tenna, ma l’influenza di questo ordine si estese in un vasto territorio tra la provincia ascolana, fermana e quella maceratese, dove per un paio di secoli i farfensi istituirono una vera e propria dominazione amministrativa ed economica, fino a quando nel 1356 il presidiato venne abolito dalle Costituzioni del Cardinale Albornoz. La presenza dei monaci portò in tutta l’area, e nello specifico a Moresco, un periodo di prosperità legato allo sviluppo dell’agricoltura. I terreni dei monaci, organizzati in curtis, erano molto produttivi. I fatto è confermato dai ritrovamenti di magazzini. I monaci infatti , essendo ancora in possesso delle antiche tecniche di agronomia di natura classica/romana producevano in abbondanza e potevano permettersi di vendere i loro surplus. La loro presenza dette uno sviluppo decisivo allo svilup-

po della coltura della vite in tutta l’area, tant’è che nel 1500 nel catasto di Moresco, come documentato da “cinquecentine” gelosamente custodite presso il municipio, per descrivere i confini i tra le diverse proprietà terriere frequentemente era data come riferimento toponomastico la presenza di vigne “…la proprietà si estende dalla vigna di… alla vigna di….”

Che rapporto c'è tra le imprese del settore? Solo concorrenza? Diciamo che è nel DNA del marchigiano l’individualismo e la fatica a collaborare e condividere progetti comuni; però ormai è sempre più sentita l’esigenza di proporsi uniti all’estero; ripeto: se non si afferma un territorio è difficile proporre poi i vini, qualunque sia l’azienda. Quanto può fare un ente come la Camera di Commercio fermana per sostenere la vendita dei nostri vini? Molto, promuovendo in tutte le occasioni una visione “integrata” del nostro territorio come distretto di qualità ed eccellenza anche enologica. Dicci di più sul nome della tua azienda: Le Corti dei farfensi… Il nome dell’azienda, Le Corti dei Farfensi, così come il logo aziendale, trae la sua origine dalla profonda ed intima impronta lasciata dai

Il logo aziendale raffigura un monaco che si china a raccogliere un grappolo d’uva quasi accarezzandolo. è la stessa passione con cui ancora oggi alleviamo i nostri vigneti e cresciamo le nostre uve… Lasciamo Marco Cavalieri ai suoi vini, ai suoi campi e alla sua famiglia. Ci piace il suo modo di essere imprenditore. Non ha nulla di specialistico. Ha invece una visione d’insieme. Bene così!

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...Verdicchio

Prof. Stefano Isidori

(sommelier AIS Sez. Fermo)

E non può essere altrimenti, è il nostro vitigno più invidiato, da tutti: italiani di altri luoghi e stranieri vicini e lontani! Raccontava un buon frate medioevale su questo meraviglioso vino: "De solar claritade et virtù eccellentissime". Ma sono le parole utilizzate da Mario Soldati, uno dei più grandi maestri della letteratura moderna italiana, che rendono perfetta l’immagine che si forma nella nostra mente, quando assaggiamo un calice del succo d’uva fermentato con le verdognole uve: “Verdicchio!… Verdicchio!... Suona fresco! Suona vivo! Suona leggero, gradevole, giovanile, umile, naturale, grazioso, gentilmente pungente … vegetalmente acerbetto e piacevole … come un rametto verde pallido, croccante, cricchiante … il nome, specialmente d’estate, e specialmente quando si mangia pesce, ha un fascino irresistibile”. L’assonanza Verdicchio-Marche è immediata nel comparto vitivinicolo Nazionale, che sia esso dei Castelli di Jesi piuttosto che di Matelica. I filari di Verdicchio ricoprono i versanti collinari che fiancheggiano il fiume Esino. Il baricentro della zona, chiamata Castelli di Jesi, è la cittadina di Jesi, l’antica Aesis, colonia romana di probabile origine umbra e città natale di Federico II di Svevia. La storia di Jesi s’intreccia con quella dei suoi Castelli o, meglio, paesi fortificati, posti sulla cima dei colli, utili ai contadini per trovare rifugio durante le scorribande dei briganti, tutti perfettamente conservati: Castelbellino, Castelplanio, Maiolati Spontini, Monte Roberto, Cupramontana ecc. Gli storici latini, Catone, Varrone, Plinio il Vecchio, hanno riportato nelle loro cronache il gradimento degli antichi romani nei confronti dei vini bianchi marchigiani, tra cui probabilmente anche quello prodotto con il vitigno Verdicchio. La fama dei vini della terra marchigiana ar-

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rivò fino ai barbari. Si narra che Alarico, Re dei Visigoti, “seco portasse quaranta some in barili nulla a sé stimando recar sanitade et bellico vigor melio”: quando nel 410 d.C. attraversò il territorio marchigiano per raggiungere Roma. Caricò 40 muli con barili di vino “Verdicchio”, non si sa se jesino o di Matelica, ma lo ritenne buono come nessun’altra cosa al mondo per mantenere la salute e stimolare la forza dei suoi soldati. È probabile che la coltivazione organizzata della vite fu introdotta dai greci siracusani che fondarono Ancona e che proprio da li spedivano via mare anfore piene di vino. Anfore che verosimilmente ispirarono, negli anni ’50, l’architetto Antonio Maiocchi che disegnò la famosa bottiglia a “anfora” per la Fazi & Battaglia, che rese immortale l’immagine del Verdicchio nel mondo e valorizzò la sinuosa bellezza della Regione Marche. Il grande successo portò purtroppo alla rovina: i produttori aumentarono a dismisura la quantità produttiva dei ceppi, che determinò un calo qualitativo inaccettabile con danni all’immagine del vino che durarono anni. La ripresa arriva a metà degli anni ’80, alcuni produttori scrupolosi iniziarono a selezionare i cloni migliori, a cambiare i sesti d’impianto e abbassare le rese per ettaro e soprattutto la mentalità per

farlo diventare un vino di grande indole. Probabilmente il vitigno è stato portato nelle Marche dai coloni veneti che alla fine del 1400 si trasferirono da noi per ripopolare le campagne dopo un’epidemia di peste. Ha caratteri genetici simili al Trebbiano di Soave e a quello di Lugana, fu citato da Andrea Bacci, medico di Sant’Elpidio a Mare nel 1596 nel suo “Storia naturale dei vini” che racconta dei vini “palmensi” del Piceno prodotti con l’uva Marana. Nello stesso periodo fu registrata per la prima volta all’anagrafe, un’uva bianca chiamata Verdicchio, per merito dell’ufficiale Costantino Felici. Notizie certe sull’ampelografia sono date nel ‘600 dal Micheli. Nel secolo successivo la coltura del vino entra nella tradizione policolturale dei contadini che allevavano la vite “maritata” ad alberi, soprattutto l’acero! Questa evoluzione della coltura della vite portò alla sperimentazione di nuovi sistemi di vinificazione. Nel 1857 Ubaldo Rosi impiantò un podere e riuscì ad ottenere la licenza per produrre uno “spumante” con il metodo champagne, sottoscrivendo la prima società per la produzione dello champagne italiano nel 1870. Alla fine dell’ottocento arrivano le malattie quali oidio, filossera e peronospora, sarà il prof. Callegari, che insegnerà ai contadini come sconfiggere il fenomeno con l'innesto su vite americana. Nell’ultimo secolo nascono le “case vinicole” e le prime cooperative. L'11 agosto 1968, il Verdicchio ottenne la meritata DOC (modificata nel 1995). Il resto è storia recente, conosciuta da tutti, il Verdicchio si è affermato come il vino bianco più importante al mondo!!!! Tanto che la versione Riserva, sia di Jesi sia di Matelica, ha ottenuto il massimo riconoscimento con la DOCG.


...Verdicchio La varietà del territorio, delle altitudini e dei vari microclimi, permette di produrre diverse tipologie di Verdicchio, tutte previste dal disciplinare. La versione Classica, nella zona più storica ed esclude i territori posti alla sinistra del fiume Misa e i territori appartenenti ai comuni di Ostra e Senigallia. Il Superiore, con un maggior grado alcolico. Il Riserva, lasciato maturare per almeno ventiquattro mesi. Il Passito, dolce nettare ottenuto con l’appassimento delle uve. Lo Spumante, elaborato sia col metodo Martinotti sia con il Classico, grazie alla spiccata acidità che lo rende adatto a questa lavorazione. Il monaco benedettino Francesco Scacchi di Fabriano teorizzò le basi dello spumante con la lavorazione del Verdicchio nel 1622, prima di Dom Pèrignon. E il Verdicchio di Matelica? Non dissimile è la storia, l’evoluzione e l’attualità dell’altro grande Verdicchio marchigiano, quello di Matelica. Si produce a ridosso dell’Appennino umbro-marchigiano, nel “Sinclinale Camerte”, altopiano formatosi dal prosciugamento di un mare tropicale interno, che si estende da sud, nel territorio del comune di Castelraimondo (Macerata), a nord, nel territorio del comune di Fabriano (Ancona). L’esposizione est-ovest impedisce l’arrivo degli influssi mitiganti marini e genera un clima mediterraneo continentale, caratterizzato da maggiori escursioni termiche sia giornaliere sia stagionali. Il connubio tra territorio (sciolto, ricco di elementi minerali) e clima, da origine a un’uva ricca di estratti, aromi primari e polifenoli, che si traduce poi in un vino dotato di corpo e con particolari attitudine all’invecchiamento. Riconosciuto a DOC nel 1967, il periodo d’oro del vino matelicese si sviluppa dal XVI secolo quando studiosi illustri hanno mostrato attenzione per questo vino: i già citati Bacci e il fabrianese Francesco Scacchi e il Notaio matelicese Niccolò Attucci che trascrive il nome Verdicchio in atti ufficiali.

LE ATTITUDINI ORGANOLETTICHE

Il nome “Verdicchio” fa riferimento al colore dell’acino che, anche se maturo, non perde la tonalità verde.

Estremamente versatile, il Verdicchio è un vino dai grandi profumi e sensazioni. Maturato in acciaio o legno, il vino è strutturato, corposo, elegante, si presenta di un giallo paglierino con visibili riflessi verdolini che ne evidenziano fragranza, vivacità e una notevole freschezza oppure se più maturo o passito, le vive tonalità del colore volgeranno al dorato o all’ambrato. L’olfatto inizia con decisi profumi di fiori di biancospino, ginestra e acacia, sambuco e fiori di campo; per passare poi ad un fruttato fresco di pesca, mela, susine e nespole, frutta esotica o lievi ricordi di agrumi. Ancora spezie e miele, frutta appassita e fieno, zafferano e vaniglia a seconda della sua lavorazione, la chiusura, di solito, appare minerale con ricordi di pietra focaia. Alla gustativa è fresco, sapido, di giusta morbidezza con un buon tenore alcolico, il finale, spesso gradevolmente caratterizzato dalle amaricanti note di mandorle, ha una buona rispondenza gusto-olfattiva. La variabilità degli odori e dei sapori del Verdicchio lo rende versatile anche dal punto di vista dell’abbinamento. Idoneo a quasi tutti i piatti della cucina marchigiana, siano essi

antipasti, carni bianche più o meno elaborate, carni bollite, funghi, tartufi, ma ancor di più con il pesce dove il matrimonio è d’elezione. Scegliamo un Verdicchio profumato, sapido, di corpo, di sapore intenso e persistente per accompagnarlo a un piatto di suntuosi salumi locali: Ciauscolo e salame di Fabriano, la lonza e il lonzino, i prosciutti stagionati e quelli di Carpegna. Avviciniamolo ai tipici formaggi: pecorino dei Sibillini, Casciotta d’Urbino e Formaggio di Fossa magari scegliendone uno più strutturato. Per accompagnare i vari primi piatti regionali, dai Campofiloni al sugo di carne, alla polenta condita con le salsicce, ai passatelli all’urbinate, alle tagliatelle o gnocchi con il sugo di “papera”, i “Vincisgrassi”, ai risotti con funghi o tartufi, scegliere la Versione Superiore del Verdicchio e comunque più complesso, caldo di alcol e fresco di acidità, e di buona persistenza gustativa. Le carni, anche se non sempre consumate, adornavano le tavole nei giorni di festa: maiale o agnello, le carni degli animali da cortile, coniglio, pollo, oca, anatra e gallina, cucinate al forno o arrosto, in umido o fritte. Su tutte spicca il coniglio in porchetta con le sue note fragranti importanti messi in evidenza dall’utilizzo delle erbe aromatiche, e ancora Verdicchio, magari versione Riserva, accompagna egregiamente questi succulenti piatti. Ma le Marche sono anche mare e con esso tutto quello che di buono e nutriente ci sa donare, che poi finiva sulle tavole dei pescatori con numerose ricette che variano dal nord al sud ma tutte piacevoli. La tradizione valorizza le specie ittiche locali (come per esempio il pesce azzurro) in miriadi di preparazioni come le zuppe o brodetti, le grigliate o le fritture. L'abbinamento con il Verdicchio è ormai un classico e non ha bisogno di ulteriori conferme, forse il vino più adatto ai piatti di pesce.

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...Turismo

TURISMO & AVVICINAMENTO DELLE CULTURE

“Il turista solidale e consapevole, nel riconoscimento del patrimonio universale di tutte le culture, si impegna a rispettare usi, costumi, credenze e tradizioni locali dei luoghi del suo viaggio, riconoscendoli quali mezzi di arricchimento personale e di avvicinamento tra popoli e culture diverse.” don Mario Lusek, direttore nazionale CEI Ufficio Turismo, Sport, Tempo Libero Così si legge nella Carta del Turista Consapevole. E la Chiesa, che si definisce “esperta in umanità”, riconosce l’importanza del viaggiare nella formazione della persona: “La mobilità è una rilevante chiave interpretativa dell’esistenza umana. Essa manifesta, al di là del puro movimento fisico, la presenza di un’istanza profonda, primordiale e ultima, che induce a considerare la vita come un cammino, tale da coinvolgere l’uomo nelle componenti fondamentali del suo essere. Del resto, nella storia dei popoli e delle religioni, in ogni epoca e in tutte le culture, la mobilità appare come un fatto permanente, sebbene differenziato secondo i tempi e i luoghi nelle motivazioni e nelle modalità concrete di attuazione. Di tale complesso fenomeno è importante evidenziare l’incidenza soprattutto sotto il profilo antropologico, psicologico e culturale, in quanto conoscendo le ragioni profonde della mobilità si rivelano i bisogni, le domande, il senso dell’uomo stesso. L’uomo infatti, nelle varie fasi della vita, è sempre proteso alla ricerca di nuove esperienze; si interroga costantemente sui perenni problemi dell’esistenza, come il male, la sofferenza, la morte; si muove per conoscere il perché degli eventi normali e straordinari della storia; è afferrato dalla curiosità di scoprire i misteri della natura, di aprire nuovi orizzonti di esperienza. La condizione

di homo viator gli appartiene costitutivamente, è “un viandante assetato di nuovi orizzonti, affamato di pace e di giustizia, indagatore di verità, desideroso di amore, aperto all’assoluto e all’infinito” (cfr.Cei,Venite saliamo al

monte del Signore, Nota Pastorale 1998) Non solo. La mobilità umana per fini turistici è un fattore d’incontro, “riduce la distanza tra le classi sociali e le razze umane, vince l’isolamento dei popoli favorendo il superamento di nefasti pregiudizi mediante l’incontro di civiltà e culture; promuove

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il processo di unificazione e avvicinamento al quale il popolo di Dio è ordinato” (cfr. Congregazione del Clero, Direttorio per la pastorale del turismo,1969). Ma come il turismo può soddisfare la curiosità dell’uomo di incontrare altre espressioni culturali, promuovere una cultura della tolleranza e dell’avvicinamento, aprire lo sguardo verso la storia e l’attualità di culture diverse? Il turismo avvicina le culture attraverso il conoscere: il mondo ormai è una società multiculturale globalizzata, caratterizzata da una forte mobilità e dalla rapidità dei trasporti, da una grande intensità di scambi, dall’interdipendenza delle economie e dall’immediatezza dei mezzi di comunicazione sociale. Conoscere questi meccanismi avvicina e favorisce l’incontro. Il turismo tiene conto di ciò e siccome è anche curiosità, domanda, ricerca, s’incarna nei territori per una conoscenza degli stessi non solo dal punto di vista geografico, paesaggistico-ambientale, organizzativo ma anche culturale, sociale, economico,religioso. Dice Benedetto XVI: “Bisogna, allora, pensare ad un turismo diverso, capace di promuovere una vera conoscenza reciproca, senza togliere spazio al riposo e al sano divertimento: un turismo di questo genere va incrementato, grazie anche ad un più stretto collegamento con le esperienze di cooperazione internazionale e di imprenditoria per lo sviluppo”(cfr. Caritas in veritate n° 61).

Il ri-conoscere: le differenze, le particolarità, le originalità, l’identità dei paesi che si visitano. Cresce così la cultura del rispetto e della tolleranza, del dialogo e dell’incontro, della fiducia e dello scambio. Il terri-


...Turismo torio diventa dimora: a quella dimora ci si avvicina con l’atteggiamento dell’ospite che non invade ma bussa, viene accolto, incontra. Il comprendere: il turismo corre il pericolo del colonialismo culturale e di omologare il mondo ad una specie di pensiero comune. Sono varie e diverse le culture e non hanno un’origine comune. Comprendere la cultura dei popoli e le sue tradizioni avvicina ospite e ospitante senza che nessuno rinunci alla propria identità o che si senta minacciato da un pensiero diverso. Il convivere: nella prospettiva della condivisione e di una relazione qualitativamente arricchente, quella particolare forma di viaggio che si chiama “pellegrinaggio“, è una grande occasione che favorisce il reciproco avvicinamento creando condizioni di prossimità, di attenzione cura dell’altro, di dipendenza, di rafforzamento di valori condivisi, solidifica i legami e la dipendenza. Riesce a far convivere diversità aiutando a superare limiti e condizionamenti. Spinge a guardare in Alto immaginando la “Gerusalemme celeste” come meta finale di tutti i popoli. Il cooperare: con il viaggio gli individui riescono a stabilire relazioni di reciproco sostegno, cresce l’affabilità, si ha una maggiore semplicità di comportamenti, si è capaci attenzioni e cortesie inusuali. Da estranei cominciano a cooperare e diventano comunità che condivide un destino, una meta, un oltre. Raggiunta la meta lo stesso atteggiamento viene riservato ai nuovi incontri, ai nuovi scenari, alle nuove relazioni: da una semplice esperienza di vista posssono nascere grandi progetti di cooperazione e di solidarietà. L’accogliere: è forse la forma più vera di avvicinamento e di prossimità. La Pastorale del turismo e del pellegrinaggio fa dei luoghi di culto, dei beni culturali ecclesiali, degli eremi e dei monasteri, delle foresterie, della case per ferie o di spiritualità, dei Santuari, degli spazi ludici luoghi ospitali aperti a tutti e capaci di educare all’ascolto, alla comprensione, al dialogo, alla solidarietà.

Papa Benedetto XVI nel messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali del 2009 parlando della promozione della cultura del rispetto, del dialogo e dell’amicizia e ovviamente riferendosi alle nuove tecnologie, usava termini come “avvicinamento alle persone” e alle culture per definire le relazioni nuove frutto dell’uso dei nuovi media. Possiamo riferire quelle parole al turismo e alla comunicazione tra le persone attraverso di esso. “Le nuove tecnologie- scrive Benedetto XVIhanno anche aperto la strada al dialogo tra persone di differenti paesi, culture e religioni. La nuova arena digitale, il cosiddetto cyberspace, permette di incontrarsi e di conoscere i valori e le tradizioni degli altri. Simili incontri, tuttavia, per essere fecondi, richiedono forme oneste e corrette di espressione insieme ad un ascolto attento e rispettoso. Il dialogo deve essere radicato in una ricerca sincera e reciproca della verità, per realizzare la promozione dello sviluppo nella comprensione e nella tolleranza. La vita non è un semplice succedersi di fatti e di esperienze: è piuttosto ricerca del vero, del bene e del bello. Proprio per tale fine compiamo le nostre scelte, esercitiamo la nostra libertà e in questo, cioè nella verità, nel bene e nel bello, troviamo felicità e gioia. Occorre non lasciarsi ingannare da quanti cercano semplicemente dei consumatori in un mercato di possibilità indifferenziate, dove la scelta in se stessa diviene il bene, la novità si contrabbanda come bellezza, l’esperienza soggettiva soppianta la verità. “ Riferendo allora al turismo queste parole potremmo dire che esso • apre la strada al dialogo e all’avvicinamento di culture e religioni; • permette di conoscere le tradizioni degli altri; • è espressione di ascolto attento e rispettoso; • favorisce la comprensione e la tolleranza; • è ricerca del vero, del bene e del bello; • è ricerca di felicità e gioia; • è reciproca accoglienza. Per favorire l’avvicinamento culturale la Chiesa ha sviluppato nel tempo una cultura dell’accoglienza fondata evangelicamente e attraverso la sua cattolicità e la diaspora nel mondo ha fatto sentire i cristiani cittadini del mondo aperti, sensibili e disponibili al confronto e al dialogo con tutti. Tale cultura si fonda appunto sull’andare incontro, sull’avvicinarsi, e sul ricevere. Questa cultura coopera a promuovere un “turismo” di qualità che fa del viaggiatore il “protagonista” vero del suo itinerare. Non si muove a vuoto ma si fa “vicino” donando anche lui quello che ha: i suoi valori, la sua fede, il suo bisogno di immersione nella realtà che incontra, le sue domande,la sua curiosità, il suo bisogno di comprendere e di essere compreso e forse anche di condividere. Il Viaggiatore è un uomo assetato d’infinito e incontra Dio anche attraverso il volto dell’altro, di ogni altro che avvicina e con cui condivide un tratto di strada.

Come già detto il turismo è chiamato a spendersi per vincere le tentazioni che allontano più che avvicinare le culture:

• l’omologazione • il pensiero unico • la perdita dell’identità

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...Un racconto

La vita di Hermann e dei suoi confratelli Qualcuno racconta che le stelle certe notti sembrano gridare. E quella notte le stelle gridarono. Gridarono al vento e a chi è sopra e prima del vento. Gridarono al cielo cupo, e a chi è sopra e prima del cielo cupo. Hermann venne alla luce nel 1013. Era votato a morte sicura. Era un rattratto, un rattrappito, un corpicino informe. La sua famiglia: i conti di Altshausen, era imparentata con l’Imperatore. Come poteva quel mostriciattolo vivere a corte? Ma il grido delle stelle raggiunse l’Infinito. E lo scosse. Fu suo padre a salvare Hermann. Convertito al cristianesimo, preferì mandarlo nel monastero benedettino di Reichenau, sul lago di Costanza. Hermann il rattratto divenne teologo, filosofo, scienziato, musicista. Divenne la “Meraviglia del suo tempo”. Oggi cantiamo ancora il suo Salve Regina. Bernardo era un giovane di nobili origini. A 23 anni entrò nel monastero di Citeaux. A 25 fondò la sua Clairvaux. Era piccolo di statura, divenne un gigante di dolcezza e di forza intellettiva, di studi e di opere. Scrisse per la Cavalleria e per l’Ordine Templare il De laude novae militiae. Non nobis, Domine, non nobis, sed nomini Tuo dà gloriam. Oddone era un ragazzo di umilissime origini, Stefano no, e neppure Egberto. Beda era stato contadino e Lupo un figlio di artigiani. Padre Benedetto li attrasse tutti allo stesso modo. Romani e Goti, africani e delle terre dell’est. Tutti fratelli perché tutti figli Dio. E tutti allevati dalla grande Regola: Ora et Labora. Preghiera e lavoro. La grande rivoluzione cristiana che salvò l’Europa e le sue culture: quella greca e quella romana. Anche Hermann, anche Bernardo, e Stefano e Lupo e Beda si sedettero a tavola e impararono dai consuetudinari le buone maniere. Un modo per imparare a stare insieme, un modo per gioire insieme. Mangiare, per loro, non era solo nutrirsi. Mangiare era comunicare. E nel disordine, non si comunica. Ogni cosa era stabilita, era quasi una liturgia. I monaci entrando nel refettorio si lavavano le mani nell’ablutorium. Quindi, si avvicinavano alla tavola e attendevano nel più perfetto silenzio l’arrivo dell’Abate. Era lui, il padre, l’anima del monastero, la guida, era lui che doveva pronunciare la preghiera. Subito dopo il lettore avrebbe iniziato a leggere un passo della Regola. Immaginate un refettorio: le volte di pietra, il tavolo rettangolare imbandito senza vanità. Immaginate i monaci, in piedi, con la testa china, le mani sotto la cocolla, immobili.

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Immobili eppure protesi. Protesi a percepire la profondità del De Verbo Dei. Era quella la preghiera che dava il segnale del pasto. Immaginateli ora muoversi ordinati, e prendere posto sulle panche. Il monaco mangiava decenter (non in modo scomposto), honeste (non s’ingozzava) et religiose, in silenzio. E senza osservare ciò che mangiavano i vicini, eppure attenti a prevenire il bisogno del vicino. Coltelli e forchette erano usati in modo da fare il minor rumore possibile. Tanto che le noci dovevano essere aperte con il coltello, e non schiacciate. Era conveniente non bere con la bocca piena e non mangiare il pane prima d’essere serviti. Ai monaci si raccomandava di non sporcare la tovaglia e di non tagliuzzarla con il coltello. Finito il pasto, Hermann, Bernardo, Stefano, Oddone raccoglievano le posate con estrema cura e le deponevano nel proprio piatto. Restituivano il bicchiere usato e coprivano il pane restato con la tovaglia. Un gesto che qualche nonna di campagna compie ancora oggi.

Questi uomini di fuoco, di ferro e di fede ricevevano due piatti per il prandium, il nostro pranzo. Il primo consisteva in farina d’avena e di orzo bollito; il secondo era fatto di “erbe”, di ciò che cresceva dal suolo: legumi, insalata, cavoli, porri, cipolle, e di radici: bulbi carote rape. Quindi c’era la frutta, e c’erano il formaggio, i latticini, il vino o la birra. Hermann studiava, scriveva, guardava gli astri; Stefano costruiva cattedrali; Oddone allevava bovini e potava le viti. Laddove sorgeva un monastero la vita riprendeva. Riprendevano le arti, l’artigianato; riprendeva l’agricoltura, i campi rifiorivano dopo le devastazioni barbariche. Nasceva la tecnica, il mulino ad acqua, gli occhiali, la conceria.

Fu la necessità di aver luce e quindi cera, che spinse i monaci a farsi apicultori; fu la neecssità di aver vino per la messa, che li fece vignaioli; fu la necessità di coprirsi, che li rese pastori; fu la necessità di aver legname per le costruzioni, che li fece boscaioli e falegnami; fu la rigida quanto accogliente regola di padre Benedetto, che li rese un tutt’uno con la natura circostante e con il ritmo del cosmo. Fu la fede, fondamento di ogni azione, che li fece il braccio destro del Creatore, capaci di continuare la sua creazione, la bellezza del suo Creato. Qualcuno racconta che le stelle certe notti sembrano gridare. Come un voler porre domande all’Infinito. L’Infinito che tutto comprende e ricomprende. Quell’Infinito e insondabile mistero che anche stasera, come tutte le sere del tempo e di ogni tempo, anche stasera risponde. Qui, ora, in mezzo a noi. Tra di noi. Per noi. Per ognuno di noi. 22 giugno 2011 (Cena benedettina, 23 giugno 2011)


...La musica in collina

Ancora un successo per il maestro Daga. Ancora una proposta affascinante da Lapedona

Le Fermanelle

La magia s’è rinnovata. Dal 7 al 14 agosto, Lapedona ha riproposto il suo Festival. “Musica in Collina” ha nuovamente appassionato. Nomi importanti nel panorama musicale nazionale ed oltre, proposte d’eccellenza hanno caratterizzato questa ottava edizione proposta dal Comune di Lapedona, Pro Loco e associazione San Giacomo. La direzione artistica, ancora una volta, è stata quella del maestro Walter Daga, violinista di grande levatura già componente dei Solisti Veneti. Questo suo ritorno, questo suo lavorare con enorme passione, così è stato spiegato in conferenza stampa: “Sono affascinato da questo splendido borgo medioevale, così è nato in me il desiderio di portare le grandi pagine della musica classica più vicino al pubblico, farle risuonare in un contesto differente dalle usuali sale da concerto. E solo in questa splendida regione poteva esistere, nella sua eterna bellezza, un paese antico e incastonato tra mare e dolci colline come Lapedona”. Le esibizioni, che si sono tenute in piazza san Lorenzo sotto un cielo di stelle, hanno avuto un “terzo tempo” con la degustazione di prodotti tradizionali locali tra cui le Fermanelle, proposte dall’Associazione Cuochi della provincia di Fermo. In scena sono andate le arie d’opera interpretate da Sonia Peruzzo (soprano), Andrea Cortese (baritono), Roberto Barrali (pianoforte); il duo femminile composto da Marianna Vasilyeva (violino 1° premio al concorso di Praga 2010) e Angelina Komarkova (pianoforte); la fisarmonica di Fabio Rossato che ha spaziato dai brani classici al jazz sino alla musica ebraica Kletzmer; il violista Hwa Yoon Lee vincitore del concorso internazionale “Brahms” con al pianoforte So You Hong; il Trio Leonardo con Elisabetta Ghebbioni (flauto), Andrea Dainese (viola) e Giancarlo Di Vacri (arpa); recital per pianoforte con Ilaria Locatelli che ha proposto opere di Beethoven, Brahms, Mendelssohn e Liszt; l’opera comica in un atto “La cambiale di matrimonio” di Gioachino Rossini con Annalisa Massarotto (soprano), Filippo Castigioni (tenore), Giancarlo Tosi (basso buffo), Giuseppe Piazza (baritono), Paola Parato (mezzosoprano), Alberto Zanetti (basso) per la regia di Marco Bellussi e l’orchestra de i Solisti del Festival di Lapedona diretta da Dino Doni.


...Biologico

Un altro modello possibile: BIOLOGICO ED ECONOMIA SOLIDALE NELLE MARCHE Per la REES Marche, la coordinatrice di progetto - Silvia Mariotti

Si è svolta l’11 settembre scorso in Piazza del Popolo a Fermo, l’ultima delle quattro manifestazioni fieristiche del progetto “Oggi si Acquista Bio!” realizzato dalla Rete di Economia Etica e Solidale delle Marche (REES) all’interno del programma regionale “Conoscere il Biologico nelle Marche” e con il patrocinio del Comune di Fermo. Quattro eventi che hanno portato - grazie anche alla collaborazione con l’associazione AIAB Marche - nelle piazze di altrettante località della Regione, da Ancona a San Benedetto, passando per Acqualagna fino a Fermo, i produttori agricoli biologici e gli operatori dell’economia solidale della nostra regione, dando loro l’occasione non solo di promuovere i loro prodotti e servizi, ma di essere una testimonianza di un economia alternativa, che si fonda sui valori della eticità, della sostenibilità e della solidarietà. Come per le altre iniziative, anche a Fermo, la partecipazione all’evento da parte della cittadinanza e la collaborazione con le istituzioni e il tessuto sociale del territorio hanno confer-

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il Gusto...

mato un forte interesse verso i prodotti alimentari biologici ed ecosostenibili (calzature, detersivi, cosmesi etc), vedendo i trenta stand di espositori presenti in Piazza del Popolo affollati di curiosi, che non si sono limitati ad osservare ma anche a degustare ed acquistare. D’altronde l’attenzione verso prodotti più sani e rispettosi dell’ambiente, del lavoro e quindi dell’uomo è dimostrata non solo dalle statistiche nazionali, ma anche dalla continua crescita sul nostro territorio dei Gruppi di Acquisto Solidale. I cosiddetti GAS, ovvero gruppi di persone e famiglie che decidono di associarsi per acquistare prodotti alimentari bio, del commercio equo


...Biologico

o prodotti ecologici direttamente dal produttore, sono ormai più di 60 con una popolazione di più di 1700 famiglie, solo nella nostra regione. I GAS mettono al centro della loro identità e nella scelta dei prodotti da acquistare la Solidarietà, nei confronti dell’ambiente e dei piccoli produttori, sia qui nelle Marche che nei paesi del sud del Mondo. I GAS sono stati anche essi i protagonisti di queste quattro iniziative fieristiche, in quanto lo scopo del progetto “Oggi si Acquista Bio” è proprio quello di rafforzare le reti e stimolare la nascita di questi nuovi soggetti sul territorio, avvicinando sempre più nuove famiglie a una scelta critica e consapevole dei propri consumi. All’interno della fiera di Fermo, grazie alla collaborazione con i tre GAS del fermano, è stato realizzato uno dei molteplici incontri previsti dal progetto aperto alla cittadinanza per presentare e spiegare l’esperienza dell’essere gasista. Come ricordavano alcuni referenti dei GAS, l’esperienza all’interno del gruppo non si limita solo all’acquisto, ma alla condivisione delle pratiche e dei saperi antichi, alla riscoperta delle tradizioni, al piacere dell’incontro e della socializzazione. In un periodo di crisi economica come quello che stiamo vivendo, in cui i sistemi dell’economia capitalistica sono al collasso, si sta pian piano rafforzando la proposta di una economia alternativa e di rete che REES Marche e tantissimi soggetti sul territorio marchigiano stanno promuovendo e facilitando da anni e che ha come linfa vitale le relazioni umane e una maggiore sensibilità nella salvaguardia del territorio. Sebbene ci sia ancora molta strada da fare, la positiva partecipazione dei cittadini, del tessuto sociale e dei governi locali a questi eventi stanno a dimostrare che nel territorio c’è una positiva voglia di cambiamento.


SABATO 1 OTTOBRE 2011

FOTOGRAFIA

ore 16,00 - Apertura mostra fotografica “I SEGNI DELLA CRISTIANITÀ NELLE TERRE DI SAN RUFFINO”

Ottobre all’Abbazia do v e lo sp i r i to inco ntra la cul tura Abbazia dei Santi Ruffino e Vitale Amandola - FM Promosso e organizzato da:

ore 17,30 - Incontro e discussione con i fotografi, il Prof. Onorato Diamanti, storico e il Dott. Walter Scotucci, critico d'arte moderatore: Dott. Roberto Ferretti ore 20,00 - Convivio: LE TERRE DI SAN RUFFINO E IL SUO TESORO: IL TARTUFO. In collaborazione con Ass. Tartufai - Tartuficoltori dei Sibillini

SABATO 8 OTTOBRE 2011

NATURA

ore 14,30 - IMMERGERSI NELLA NATURA PER CONOSCERLA, CAPIRLA E AMARLA. Passeggiata guidata lungo il lago di San Ruffino con una guida di Dimensione Natura. ore 17,30 - Convegno: BUFO BUFO TRA FAVOLA E SCIENZA. Vincenzo Antonelli, naturalista CAI IL TENNA E LA SUA VALLE, NATURA E PAESAGGIO. Rachel Grant, Ricercatrice Open University - Milton Keynes - UK I ROSPI DEL LAGO DI SAN RUFFINO: HANNO PREDETTO IL TERREMOTO DELL' AQUILA? Michele Zanetti, naturalista e direttore CEA Lago di San Ruffino IL ROSPO: BIOLOGIA ED ECOLOGIA DI UN PROTAGONISTA.

www.abbaziasanruffino.it

Con il contributo di:

moderatore: Achille Ascari ore 20,00 - Convivio: A TAVOLA CON LE ERBE SPONTANEE. In collaborazione con Ass. Chi Mangia la Foglia.

www.fontegranne.it

Con il patrocinio non oneroso di:

Provincia di Fermo

SABATO 15 OTTOBRE 2011

LETTERATURA

ore 17,30 - IL SACRO E IL PROFANO - a colloquio con gli autori Padre Benedetto presenta il libro “IMMAGINE RICREATA” Enrico Gentili presenta il libro “RAVENNA MUCCA DA COMPAGNIA” moderatore: Prof. Luigi Maria Musati ore 20,00 - Convivio: CASTAGNA D’AUTORE In collaborazione con Condotta Slow Food del Piceno

Comune di Amandola Comune di Monte San Martino Comune di Smerillo

In collaborazione con:

Acra Carifermo AIS Delegazione di Fermo Ass. Chi Mangia la Foglia Ass. Cuochi della provincia di Fermo Ass. Il Gusto... della vita Ass. Tartufai - Tartuficoltori dei Sibillini Club Papillon Marche Sud Condotta Slow Food del Piceno Dimensione Natura Coop. Sociale GAL Piceno La Mela Rosa Bed and Breakfast La Querceta di Marnacchia LIPU sez. di Fermo Pro Loco di Amandola Studio TA - arredi e oggetti Valtenna.net

progetto grafico www.studiumdesign.it

L’artista Piero Principi realizzerà una calcografia dedicata all’evento “Ottobre all'Abbazia”

Info e Prenotazioni: Eros +39 335 458296 P. Benedetto +39 349 7880292 info@terredisanruffino.it www.terredisanruffino.it

SABATO 22 OTTOBRE 2011

STORIA

ore 17,30 - Convegno: I MISTERI DELL'IPOGEO Prof.ssa Emanuela Properzi Arch. Evelina Ramadori Prof. Massimo Temperini moderatore: Francesco Massi ore 20,00 - Convivio: A TAVOLA CON I MONACI In collaborazione con Ass. Cuochi della provincia di Fermo, Ass. Il Gusto... della vita e Club Papillon Marche Sud

SABATO 29 OTTOBRE 2011

MUSICA

ore 18,00 - Degustazione: BOLLICINE E TIPICITÀ DELLE MARCHE In collaborazione con AIS Fermo ore 20,30 - Concerto: OMAGGIO A FERENC (FRANZ) LISZT (1811-1886) PER IL BICENTENARIO DELLA NASCITA (1811-2011) Coro “Don Fernando Morresi” di Mogliano Soprano: Cinzia Caponi Pianista e Direttore: M ° Licio Cernetti ore 22,00 - Degustazione e saluti: VINI PASSITI E DOLCI NOTE In collaborazione con AIS Fermo


...Monaci e Abbazie

Il pasto dei Monaci. Le Abbazie. Quel "gusto" di ritrovare la propria storia 23 giugno 2011, Montegiorgio.

Si fa festa dinanzi all’Arco trecentesco. 150 persone si sono ritrovate da tutte le Marche ed ora mangiano un primo piatto in silenzio. Come nei monasteri. è la “Cena benedettina” proposta dall’Associazione Amici del Chiostro. Un successo.

17 agosto 2011, Santa Vittoria in Matenano.

Un manifesto avverte: “Castellum Farfense. Arte, Cultura, Storia, Tradizioni. Anno Domini 1236. terza edizione”. Ed ancora: “Nel borgo di Santa Vittoria è giorno di festa…mentre nelle botteghe gli artigiani si affrettano a terminare i loro lavori prima che le campane del Monastero annuncino i Vespri, la guarnigione del palazzo del Podestà spalanca le massicce porte sulla via Perticaria cosicché i forestieri giunti fin quassù da tutta la Marca possano entrare nel Castello per partecipare ai festeggiamenti voluti dall’Abate Podestà Oderisio. Ai piedi della Torre di palazzo appena ultimata, tra musiche e spettacoli di giocolieri e saltimbanchi si anima il mercato delle Antiche Arti e Mestieri, e si aprono le Osterie… mentre fervono i preparativi per il grande banchetto serale…”. Che sarà un altro successo.

Porto San Giorgio, martedì 30 agosto 2011.

Sullo schermo dell’arena cinema delle Magnolie scorrono le immagini dello stupendo film “Uomini di Dio”. E’ la storia della comunità monastica cistercense di Thibirine, sul Monte Atlante in Algeria. Preghiera e lavoro, sino a quell’ultima cena prima del drammatico epilogo. Terminata la proiezione, proposta dal Super8 e dal centro culturale Il Portico di Fermo insieme al Centro di Solidarietà e dal Club di Papillon Marche Sud, il numeroso pubblico gusta i dolci offerti dal Monastero delle Benedettine di Monte San Martino (MC) e la birra artigianale di quel gran birraio che è Alvaro Moretti da Monte Giberto (FM).

1 - 8 - 15 - 22 - 29 ottobre sono i giorni dell’ “Ottobre all’Abbazia, dove lo spirito incontra la cultura”. Dove protagonista

è l’Abbazia dei Santi Ruffino e Vitale di Amandola, e gli ideatori sono padre Benedetto e l’azienda agricola Fontegranne di Eros Scarafoni. Padre Benedetto viene dall’Ordine cistercense ed è stato anche missionario in Africa. Eros è un allevatore di bestiame, produttore di formaggi eccezionali, amante della campagna e della vita genuina. Ha un allevamento poco vicino all’Abbazia con 250 mucche da latte. Uno spettacolo. Il programma (che riportiamo nella pagina a fianco) è allettante. Fotografia, natura, letteratura, storia, musica… e cucina, incontrando il tartufo (con l’Associazione Tartufai – Tartuficoltori dei Sibillini), le erbe spontanee (con l’Associazione Chi mangia la foglia), la castagna d’autore (con la condotta Slow Food del Piceno), i piatti dei monaci (con il Club di Papillon Marche Sud, l'Associazione Cuochi della Provincia di Fermo e l'Associazione il Gusto... della vita), bollicine e tipicità del territorio (con l’AIS Fermo). Tornano le abbazie; tornano i monaci; torna il loro stile di vita: preghiera, lavoro, silenzio; tornano le loro produzioni e la loro tavola. Ha scritto il nostro amico scrittore Luca Doninelli: “Alla fine dell’Impero Romano la civiltà fu salvata (e rinnovata alla radice) dal Monachesimo. è in questo che dobbiamo credere: anche se le forme ci sono ancora ignote”. Adolfo Leoni


...Diario di bordo

Y love Moresco. Sì, lo amo, per la

bellezza del luogo e degli edifici. Ma anche per il cibo. Nei giovedì della scorsa estate la piazza è stata sempre vissuta anche grazie a proposte gastronomiche che hanno riguardato la trippa, il pesce fritto, lo stoccafisso e i fagioli con le cotiche. Si è mangiato, si è respirata aria buona e fresca, ci si è smarrito nell'incanto della Torre eptagonale. Qualche chilometro più in là, invece, a Moregnano (frazione di Petritoli) s'è svolta la due giorni “Moregnano di vino”, con concerti, incontri e degustazioni di vini del territorio Marche sud. Con la presentazione del progetto di Coldiretti delle Botteghe di Campagna Amica si è aperta venerdì 2 settembre, la Rassegna agricola picena, nell’ambito della Fiera del SS Crocifisso di Castel di Lama. L’obiettivo è stato quello di presentare la prima rete di vendita diretta organizzata degli agricoltori che anche nel Piceno vedrà l’apertura di alcuni punti vendita.

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il Gusto...

“In fatto di qualità, la zootecnia del Piceno non ha rivali”. Lo ha sostenuto il presidente dell’Associazione provinciale allevatori (APA) di Ascoli e Fermo, Antonio Ricciotti, presentando la 17esima edizione della

Fiera agricola e zootecnica di Castel di Lama. Una rassegna

cui hanno prso parte ben 156 allevatori, con i loro centinaia di animali tra bovini di razza marchigiana – regina della kermesse picena – ovini, suini, uccelli, colombi ornamentali, asini e cavalli di tutte le caratteristiche. “La nostra missione – ha spiegato Ricciotti –è quella di migliorare e far conoscere la qualità dei nostri prodotti zootecnici ottenuti con metodi di allevamento e di trasformazione nel rispetto delle tradizioni, della storia e della cultura contadina locale. Basti pensare al sapore e alle proprietà delle razze autoctone, dalla razza bovina marchigiana agli ovini di razza sopravissana, appenninica e fabrianese, o alle diverse aziende di bovini da latte, dal prodotto pregiatissimo anche dal punto di vista organolettico e infine ai numerosi allevamenti di suini. Il tutto con pro-

dotti come latte, carne, formaggi e derivati originali e in grado di soddisfare le esigenze del consumatore. L'abbraccio dell'Adriatico ha scaldato invece le fragranze di “Pane Nostrum” 2011. L’XI Festa internazionale del Pane a Senigallia si è tenuta dal 15 al 18 settembre. Forni a cielo aperto, corsi gratuiti per imparare a fare il pane (di Farro) e divertirsi con le mani in pasta (pensati per adulti, bambini e celiaci), laboratori del gusto con Slow Food, prodotti della buona terra, degustazioni di pane liquido (la birra!) e tante iniziative collaterali. Per mangiare, quest'anno accanto al menù col Pane in cucina nelle trattorie del centro, c'è stata anche la novità esclusiva del cibo da strada firmato dagli chef Moreno Cedroni e Mauro Uliassi.




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