Il Gusto... della Vita - Settembre 2012

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...Editoriale del

Una Terra da difendere.

di Adolfo Leoni

Il nostro futuro sta nella “Contea”

Ho fatto un sogno. Mi trovavo nella mia vecchia casa di Montegiorgio. Dalla finestra della camera vedevo due torri: quella annessa al teatro Alaleona, con alla sommità la bandiera tricolore; e quella del municipio (l’ex convento francescano), con il gonfalone del paese. Sul gonfalone scorgevo il San Giorgio che uccide il drago, e leggevo la scritta ricamata in oro: Terra Felix. Che non significa: Terra Felice, bensì: Terra Feconda. Un modo per indicare: laboriosità, solidarietà, ricchezza umana ed economica. Come i messaggi lanciati da Ambrogio Lorenzetti nei suoi dipinti sul Buon Governo di Siena. Dunque: il tricolore, che è la bandiera nazionale e c’immedesima tutti all’interno di una nazione; e il gonfalone civico, per affermare che apparteniamo ad una comunità locale. E quanto saremo più comunità locale, tanto più saremo capaci di affrontare il presente e il futuro, la crisi e il suo superamento, l’oggi e l’avvenire. Mi sono svegliato: le torri ci sono ancora, ma non hanno bandiere, né nazionali né locali. I sindaci, consigliati sull’argomento, non hanno accettato consigli. Ora che, per la vicenda delle province da chiudere ed accorpare, li accusano di non avere coscienza identitaria quasi quasi mi faccio due risate. Ma sarebbe ingeneroso e soprattutto infruttuoso. Dopo anni che battiamo e ribattiamo sullo stesso tema: identità uguale sviluppo e capacità di colloquio con il mondo, qualcuno viene in nostro soccorso. Pezzi da novanta che confermano le intuizioni avute a suo tempo.

Due mesi fa il Wall Street Journal, quotidiano statunitense, ha scritto che l’Italia può superare la crisi ritrovando la sua storia, specie quella rinascimentale, quella delle piccole patrie, delle cittàstato.

Nei giorni di ferie ho ripreso in mano l’eccellente libro di Cesare Catà “Filosofia del Fantastico”. Ho sottolineato il passaggio dove il giovane scrittore paragona la nostra Terra alla Contea de Il Signore degli Anelli.

Ad agosto scorso Moresco ha ospitato numerose associazioni che si battono a difesa della terra e il relatore professor Salvatore Settis. Nel suo argomentatissimo intervento, l’archeologo-scrittore-docente ha rilanciato la tutela del paesaggio e la difesa dei borghi, dei piccoli centri, dei nostri comuni. Qualche giorno dopo gli ha fatto eco da Penna San Giovanni Vittorio Sgarbi. Il critico d’arte ha ribadito che occorre difendere la Terra di Marca, perché ricca di bellezza, di cultura e di bontà.

Scrive: “La Contea è dunque in questo senso, il locus che custodisce il senso dell’umano. Per questo Tolkien vi fa vivere gli hobbit: creature legate ai ritmi della natura, amanti del bere, del mangiare, del fare l’amore; creature certo non sofisticate, ma affatto schiette, leali, legate alla terra e a tutto ciò che cresce in modo viscerale”.

Me lo ripeto mentre risalgo la vallata del Tenna. Dove 40 anni fa c’erano campi di frutta oggi ci sono nuovissime ville, capannoni ed ora anche sterminate “coltivazioni” di… pannelli fotovoltaici. Guardo la scheletrica Querciabella, all’incrocio tra Belmonte Piceno, Falerone e Montegiorgio, e la vedo abbandonata. Una rotonda stradale l’ha posta in disparte come una cosa inutile. Nessuno a ricordarsi che era il biglietto da visita di un territorio. Torno a sfogliare un bellissimo opuscolo riguardante la 7^ Giornata per la Salvaguardia del Creato. Leggo il titolo: “Educare alla custodia del Creato per sanare le ferite della Terra”. Gliene abbiamo inferte tante, troppe. L’abbiamo violentata in ogni modo. E prima di tutto l’abbiamo dimenticata e abbandonata. Dobbiamo allora rieducare la nostra gente.

Vorrei difendere questo mondo. Vorremmo che la nostra terra tornasse a produrre bene. Che i suoi prodotti fossero il nostro orgoglio. Che la nostra cucina invadesse il mondo. La dieta mediterranea nasce qui… C’è ancora spazio. C’è ancora qualche tempo. Dobbiamo crederci e farne un’economia reale e locale. Diversa. La chiedono in tanti. Ma prima d’essere economia dovrà essere un pensiero che diventa comportamento quotidiano. E condiviso. Non conquisteremo i turisti inventando sagre inesistenti, proposte solo per far soldi, specchietti per le allodole. La sagra più acclamata sarà la sagra più vera, quella che propone l’originalità di un prodotto e di una pietanza. Nessuna invenzione, dunque, ma molte riscoperte. Occorre allora una sveglia, una riscossa. Soprattutto, occorre un amore.

Adolfo Leoni

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della vita


...Sommario

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...Editoriale del Gusto ...Cucinare: è espressione di cultura

Direttore Responsabile Adolfo Leoni

...Il papavero

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...La pinpinella

Fotografo Angelo Cecchetti Hanno collaborato Ugo Bellesi Teresa Bentini Liana Cognigni Stefano Isidori Enrico Mazzaroni Alberto Mazzoni Mauro Nucci Alessandro Pazzaglia Pierpaolo Piermarini Anna Polimanti Eleonora Quintavalle Teresa Romani Adami Francesco Seghetti Leonardo Seghetti Edito da

Ass. "Il Gusto... della vita"

sede legale Montegiorgio (FM) via Cestoni, 39 sede operativa Morrovalle (MC) via Carducci, 12 tel. 0733 866909 P.Iva e C.F. 01979520440

Internet www.ilgustodellavita.org Info@ilgustodellavita.org Stampa Artelito - Camerino La rivista è stampata su carta naturale ed ecologica

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18 Settembre 2012

inserito nel Registro dei Giornali e dei Periodici del Tribunale di Fermo il 21/10/2008

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il Gusto...

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...In attesa di profumate primavere

Direttore Editoriale Nunzia Eleuteri Progetto grafico e coordinamento Studium Design info@studiumdesign.it

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...Mangiare da Re. Insieme alla Regina. A il Tiglio si può

...A tutto Riso - ...Gusto e cultura dei Vincisgrassi

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...Provincia di Fermo - Le Marche per l'Emilia

...Camera Commercio Fermo - Carni alternative

...La festa del vino cotto. Sulla stada delle De.Co. - ...Note e sapori in collina. A Lapedona. ...Amare il mare 2012, cinque pesci per cinque ricette ...Il menu di Enrico Mazzaroni ...La crisi del settore vitivinicolo e le possibilità di riscatto

...Vendemmia 2012, parola all'esperto ...Il vino dei filosofi, degli scienziati e dei papi - ...Di vino e di dove riporlo

...Cinema diVino

...C'è una città perfetta nelle Marche. è l'antica Castel Clementino, l'attuale Servigliano ...Sede della provincia del Piceno a Fermo?

...Dalla tradizione religiosa alla riscoperta dei dialetti locali ...Sobrietà e povertà della cucina monastica

...I fiori invisibili della montagna fatata ...Il paesaggio nella memoria

...La dieta della Sibilla ...Pane Nostrum: il pane sciapo

...Diario di bordo


...Professione Cuoco

CUCINARE: di Alessandro Pazzaglia

è espressione di cultura.

L'a r te cul i na r ia nel l 'a rco dei secol i si è evol uta i n modo eccez ionale, anche se più o meno costante e pa r z ialmente o total mente o pe r nul la condivisibi le. Prendendo i n esame (un po' pe r sommi capi) l 'ulti mo mez zo secolo r ico rdiamo la buona e sa l uta re cuci na del le ve rga re e del te r r ito r io che poi, con l 'av vento del la civi ltà i ndustr iale è stata quasi travolta af f idandosi i n g ran pa r te a p repa raz ioni veloci e fo rse meno complesse. è a r r ivata poi la moda del la “Novel le Cuisine” che, se non al tro ha avuto i l g ran p reg io di fa r capi re che si mang ia anche con g l i occhi. Q uesta a sua volta ha passato lo scet tro al la cuci na “ fusion” pe r poi app roda re, sep pu r l i mitatamente, al la cucina molecola re. I l dibat tito sul le citate “ tenden ze” è stato vivace ed i nte ressante ma a volte anche asp ro. Comun que p rof icuo e sti molante pe r una semp re mig l io re conoscen za di quel “g rande dono che è i l cibo”, fat te salve alcuna abe r ranti de vian ze i nculcate dal la sola bieca log ica del p rof it to. I l pe rchè di questo somma r io escu r sus sto r ico è che pe r mia cultu ra ho semp re gua rdato oltre i l domani, cioè ho ce rcato di capi re quale potesse esse re i l futu ro di questa nobi le e appassionante p rofessione al la quale di rò semp re g raz ie pe r tutto ciò che m i ha dato. E lemento vitale e vi ncente sa rà una fo rmaz ione p rofessiona le si n toni z zata al le esigen ze dei tempi e del l 'uten za (cosa che salvo al cune eccez ioni ogg i lascia mol to a deside ra re). Una semp re

magg io re e mig l io re conoscen za del le nostre me ravig l iose mate r ie p r i me, che a det ta di qual che auto revole espe r to futu ro logo nutr i z ionista (MORGAINE GAYE) nel p rossi mo ventennio si r idu r ranno d rasticamente. Cito l 'esempio del la ca r ne che diven te rà (visto i l p rez zo) un cibo pe r sol i p r ivi leg iati e contestualmen te che la sol uz ione sia nel l 'uti l i z zo deg l i i nset ti. Ce ne sono al mon do 14 0 0 specie commestibi l i (E s. una crema di cicale, oppu re una ta r ta r di caval let te, ecc.) che, se condo l 'unive r sità di Wageni ngen i n O landa, of f rono lo stesso valo re nutr i z ionale del la bistecca e sono un'ot ti ma fonte di p rotei ne. Lo stesso vale pe r le alghe che sa ranno una componente essen z iale del l 'al i mentaz ione. Ho discusso di queste idee con alcuni col leghi ed ho visto subi to crea r si due l i nee di pensie ro “i moder nisti e i ta lebani”. Ritengo e sono i l solo a sostene r lo, che questi possano convive re pe r i motivi che dicevo sop ra cioè di non chiude r si mai di f ronte al nuovo (sia esso una necessità che una pu ra tenden za) e qui n di accultu ra r si e cresce re p rofessionalmente (qualcuno r ico rde rà le resisten ze quando si i ni z ia rono ad adope ra re le rane, i lomb r i chi, ecc.) senza ma i abbandona re la nost ra sto r ia - t rad iz ione - cul tu ra salvo pe r cause di fo r za magg io re. F i n l i ci i mpegne remo con la nostra p rofessional ità pe r esalta re tut te quel le me ravig l iose p roduz ioni che la natu ra ci dà.

“Le qualità di un cuoco eccezionale sono paragonabili a quelle di un bravo equilibrista: una passione incrollabile per il lavoro, il coraggio di andare avanti in una posizione difficile ed un impeccabile senso dell'equilibrio.” Bryan Miller Times, 23,02,1983

Alessandro Pazzaglia

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...Erbe Aromatiche

IL PAPAVERO

di Ugo Bellesi

Si chiama scientificamente Papaver rhoeas quella piantina (alta anche fino a 60 cm) di papavero (chiamata anche rosolaccio e barosola) con fiori rossi (che hanno quattro petali arrotondati con una macchia scura alla base) e foglie pelose con lobi allungati e dentati che si notano tra le coltivazioni di grano ma anche ai bordi delle strade e persino nelle discariche.

è un’erba annuale che cresce spontanea. La fioritura avviene tra maggio e giugno ma può continuare anche in agosto e settembre. Una sola piantina può produrre oltre 400 fiori in una sola estate. Con i petali essiccati si confeziona un infuso che, unito ad un cucchiaio di miele, serve per calmare la tosse e persino le bronchiti. I semi (che si trovano nei frutti del papavero entro delle capsule che ne contengono moltissimi) spesso vengono inseriti come decorazione ma anche per aromatizzare nei pani speciali e sulle torte; mescolati con il miele si usano come ripieno per pasticcini; possono essere inseriti anche nei piatti di riso o di pasta asciutta. I petali rossi possono essere impiegati per colorare bevande e sciroppi. Nella maionese qualche buongustaio usa aggiungere olio di semi di papavero che conferisce un particolare sapore (anche se un po’ costoso). Il succo di papavero da sempre lo si è usato come sedativo (anche per combattere l’insonnia) e, in campagna, una volta, veniva inserito nelle pappe dei bambini pri-

ma di mandarli a letto (da qui il nome che deriva da “pappa” come anche dalla dialettale “papagna” per indicare la sonnolenza). La piantina, mescolata con altre erbe di campo, può essere lessata e condita come contorno. Anticamente boccioli e petali rossi erano usati dalle ragazze, di nascosto, per colorare le labbra. In alcune località i boccioli di papavero si aggiungono all’insalata mentre in diversi Comuni delle Marche i petali rossi sono mescolati con petali di altri fiori per la tradizionale “infiorata” delle strade in occasione del Corpus Domini. I germogli di papavero possono essere impiegati nelle minestre, nelle zuppe, nelle frittate, oppure lessati e conditi con il burro. Spesso si parla di “alti papaveri” per indicare grosse personalità nel mondo della politica in particolare. Ciò lo si deve al fatto che Tarquinio il Superbo, per insegnare al figlio come sconfiggere i nemici eliminando i loro capi, si recò in un campo di grano e con un bastone decapitò tutti i fiori di papavero più alti.

FEGATO AL PAPAVERO

Patate al papavero

Ingredienti - 4 fette di fegato di vitello - 2 cipolle medie - 50 gr di burro - ½ bicchiere di vino bianco secco - 350 gr di germogli di papavero - sale e pepe q.b.

Ingredienti - mezzo chilo di patate - quattro fiori di papavero - quattro cucchiai di olio EVO - sale e pepe q.b.

Esecuzione Tritare le due cipolle e farle appassire nel burro, quindi aggiungere le fettine di fegato facendole rosolare da entrambi i lati. Versarvi il vino e farlo evaporare. Nel frattempo avrete preparato i germogli di papavero che andranno lessati velocemente in acqua salata bollente e poi strizzati per eliminare l’acqua superflua. Unire i germogli al fegato e ultimare la cottura aggiustando di sale e pepe.

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il Gusto...

Esecuzione Sbucciare, tritare e lessare le patate in acqua salata. Nel frattempo prendere i petali dei quattro fiori di papavero, pulirli e sbollentarli in acqua molto calda, strizzarli e tritarli. Le patate, sistemate in un piatti di portata, vanno condite con olio, sale e pepe e, una volta mescolate, si cospargono con i petali rossi di papavero.

POLENTA CON PAPAVERI Ingredienti - 300 gr di rosette di papavero - mezzo chilo di farina di granturco - due etti di formaggio fresco - 50 gr di burro - sale e pepe q.b. Esecuzione Preparare la polenta come di consueto. Nel frattempo lavare le rosette di papavero, sbollentarle in acqua bollente salata e tritarle, unendole alla polenta pochi minuti prima di fine cottura. Aggiustare di sale e pepe. Condire la polenta con il burro e il formaggio tagliato a fettine sottili.


...Erbe Aromatiche

LA PIMPINELLA

di Ugo Bellesi

Appartiene alla famiglia delle rosacee quella piantina nota come pimpinella (ma anche come salvastrella, erba spezia, erba stella, scarita, abruciula e meloncello) che si incontra facilmente nei prati, nelle zone incolte, al margine di boschi e soprattutto nei campi in zone fresche e obrose.

Il nome scientifico di sanguisorba è dovuto al fatto che ha proprietà antiemorragiche e quindi “assorbe il sangue”. Infatti le foglie ridotte in poltiglia e introdotte nelle narici blocca l’epistassi. Da novembre a primavera è possibile cogliere le foglioline tenere da usare nei minestroni e nelle zuppe di verdure. Se impiegate nelle insalate per essere mangiare crude è preferibile mescolarle con altre erbe come la lattuga per evitare il loro sapore troppo forte di cetriolo salato. La pimpinella ha un profumo molto dolce e delicato tendente all’erbaceo. è una pianta perenne, con fusto rossastro, che può arrivare a 50 cm di

Zuppa di verdure Ingredienti - foglioline tenere di ortica, borragine e pimpinella - una cipolla media - uno spicchio d’aglio - due patate - una costa di sedano - due fettine di pancetta - pane raffermo abbrustolito - formaggio pecorino - olio extraverdine di oliva - sale e pepe q.b. Esecuzione Far imbiondire la cipolla tritata con olio extravergine di oliva, lo spicchio d’aglio, la pancetta tagliata a dadini e il sedano tritato. Aggiungere le patate a tocchetti piccoli e tutte le verdure lavate, strizzate e tritate. Coprire tutti gli ingredienti con acqua e portare avanti la cottura a fuoco basso. Intanto preparare il pane raffermo leggermente abbrustolito, strofinato con aglio, condito con un filo d’olio e con il pecorino grattugiato. Adagiare sulle fette di pane la zuppa di verdure aggiustata di sale e pepe.

altezza con foglie molto seghettate e fiori (raccolti in spighette all’apice dei rametti) sotto forma di capolini ovoidali. Ha proprietà astringenti per cui è consigliabile ai colitici; aiuta la digestione, stimola l’appetito e aiuta le gestanti ad avere il latte. E proprio per quest’ultima caratteristica un tempo i pastori seminavano queste piantine nei pascoli per aiutare le pecore partorienti ad avere latte. Le foglie tritate finemente e pestate si usano per impacchi su ferite e scottature. è sconsigliato l’uso della pimpinella da parte di coloro che sono soggetti a calcoli.

Insalata campagnola Ingredienti Procurarsi una “misticanza” di verdure composto da: rucola, favetta, radicchiella, primavere, caccialepri, crespigne e pimpinella, crescione, borragine, puntarelle di cicoria, insalata riccia e insalata ascolana; olio extravergine di oliva, aceto e sale. per la salsa: - tonno - alici - aglio - prezzemolo - mentuccia - peperoncini sott’aceto - quattro uova sode. Esecuzione Pulire tutte le verdure, lavarle accuratamente e una volta tritate condirle con olio extravergine abbondante, sale e poco aceto. Il tutto diventa un piatto unico aggiungendo una salsa preparata tritando insieme prezzemolo, aglio, alici, tonno mentuccia e quattro peperoncini sott’aceto. Il piatto si completa poi guarnendolo con fettine di uova sode.

BIBLIOGRAFIA Castellani Franco, Le ghiotte erbe, Cingoli, Ass.La Ginestra 2006 Codacci Leo, La cucina delle erbe buone, Milano, Idealibri 1996 Filippi F., Prati A. e Ceccantini G., Cent’erbe, Fiesole, Nardini 1997 Grey-Wilson Christine, Erbe per la salute e per la tavola, Milano, Vallardi 1992

Salsa per bolliti Ingredienti - 250 gr di pimpinella - tre filetti di acciughe sott’olio - un cucchiaino di prezzemolo - una patata - uno spicchio d’aglio - quattro cucchiai di olio EVO - due cipolle sott’aceto - quattro cucchiaini di aceto - sale e pepe q.b. Esecuzione In un frullatore inserire la patata bollita e tagliata a pezzi, le verdure lavate e tritate, i filetti di acciughe, lo spicchio d’aglio, le cipolle sott’aceto e l’olio extravergine di oliva. Frullare il tutto e quindi versare la salsa nella salsiera aggiustando di sale e pepe e amalgamando con l’aceto.

Istituto comprensivo Sarnano, Erbe da mangiare, Sarnano, Girolami 2002 Mazzara Morresi Nicla, La cucina marchigiana, Ancona, Aniballi 1978 Rapaggi Maria Luisa, Erborare & cuinare, Bologna, Edagricole 1995 Taffetani F., Rugni, speragne e crispigne, Recanati, Fondaz.Carima 2005

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...Una poesia

In attesa di profumate primavere di Nunzia Eleuteri

Chi avrebbe mai pensato che una poesia scritta cento anni or sono, e alla fine della Grande Guerra, fosse oggi più che mai attuale?

"Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie." Così Ungaretti raccontava lo stato d'animo del soldato. E torna la precarietà di allora. Così antica e così, fastidiosamente, moderna. I dati economici previsti in questo autunno sono a dir poco drammatici. Molte le aziende che chiuderanno. Molti i lavoratori disoccupati. Anche le rigogliose Marche, che hanno sempre mostrato determinazione e spirito di sacrificio, stanno soffrendo. Terribilmente. La crisi sembra non voler toccare il fondo. Le imprese assomigliano ormai a piante morenti che non riescono più a trasmettere linfa vitale. E, la poesia di Ungaretti torna, con tutta la sua tristezza, nella nostra mente. Per la stagione. Per le foglie che inevitabilmente vediamo volteggiare. Per quello che non riusciamo più ad evitare: una precarietà trasformata in stabilità. La saggezza popolare, più concreta che mai, è maestra di vita come sempre ma lo è a maggior ragione quando dice che non c'è nulla di più definitivo del provvisorio... Allora non ci resta che piangere? No. Non ci resta che prenderne atto e, conseguentemente, agire. Ne va della nostra sopravvivenza. Darwin sosteneva che "non è la specie

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più forte a sopravvivere e nemmeno quella più intelligente, ma la specie che risponde meglio al cambiamento". Quando tutto è perduto non è "tutto" ma quello che noi abbiamo sempre considerato tale. Il percorso da fare allora, sarà quello di spalancare gli occhi e guardarsi intorno rendendosi conto che ci sono altre risorse che prima non facevano parte del nostro mondo perché semplicemente non le avevamo notate o, banalmente, le consideravamo scontate o poco convenienti. Rivalorizzare la nostra terra, ad esempio. Questo è il primo, fondamentale, obiettivo. È nostra... se non continuiamo a svenderla o, peggio, a devastarla... Coltiviamola in ogni senso e riappropriamoci delle nostre radici per far crescere piante nuove e nuova linfa vitale. Un tempo, il miraggio economico per i giovani che abbandonavano i propri paesi e la propria terra erano i grandi centri abitati, il lavoro in fabbrica. Oggi la nostra terra e i nostri piccoli borghi, apprezzati da tutto il mondo, tornano prepotentemente alla ribalta. Purtroppo, o forse per fortuna, tornano alla ribalta non perché di moda ma di sostentamento. Tante le aziende agricole della Marca fer-

mana e territori limitrofi che si approcciano al mercato attraverso la filiera corta. Tanti, giovani e meno giovani, che stanno imparando appassionatamente a produrre formaggi e latticini, allevare bestiame in modo naturale, curare i vitigni per produrre un buon vino e dare il giusto valore ai tanti ulivi ottenendone olio di alta qualità. Sono queste le risorse che segneranno la nostra rinascita e un nuovo modo di approcciarsi alla realtà. Altri autunni vedranno foglie cadere ma senza presagire la morte. Torniamo alla natura, dunque. Ai suoi tesori inestimabili e ai suoi succosi frutti che, in modo magnanimo, regala ad ogni stagione... Lasciamo a chi si ritiene più intelligente e più forte l'ostinazione di pretendere che siano i titoli di Stato, lo spread, il debito pubblico, le azioni, le speculazioni a nutrirci... Noi scegliamo di essere meno intelligenti e forti ma adattandoci al cambiamento. Darwin docet. Sarà la nostra sopravvivenza: un nuovo gusto... della vita. In attesa di generose, profumate e coloratissime primavere...

Nunzia Eleuteri


...Montemonaco

Mangiare da re. Insieme alla regina. A il Tiglio si può.

Bellezza, incanto, suggestione. Affacciarsi al crepuscolo dalla balconata di Montemonaco è un po’ tuffarsi nell’ ordine del Creato, nella stupefacente natura, nella magia di storie e di racconti.

L'esterno e l'interno del ristorante

Il secolare Tiglio di Isola San Biagio

A sinistra, il Monte Vettore, che da un lato sembra tagliato da un colpo d’accetta, e la cui sommità appare lieve eppure è ben irta. Poco più sotto, invisibile, eppure richiamo enigmatico, è il lago di Pilato, i suoi due occhi, il vento che sibila dal Gran Gendarme, l’immagine di negromanti, di Cecco d’Ascoli e dei suoi seguaci. A destra il monte Sibilla con i suoi miti, i suoi riflessi rosa, i colori della regina e delle sue ancelle. Montemonaco, paese stupendo, di pietra e di solidità, di silenzio e di una sapienza consolidata. Le sue torri, le sue mura parlano di una nobiltà antica e di un’accoglienza contemporanea. A pochi chilometri dal centro c’è Isola San Biagio. Chissà perché “Isola”, in un mare di… montagne? Forse per l’antica leggenda di Noè e della sua Arca qui approdati? O perché luogo sicuro dove attraccare ancora oggi al di là di biblici diluvi?

Cerchiamo Isola San Biagio perché abbiamo conosciuto uno chef di fama. E lo vogliamo vedere all’opera nel suo locale, Il Tiglio, in questa zona lontana dalle rotte consuete. Ma forse anche per questo navigata e raggiunta. Raggiungiamo il minuscolo incasato che è quasi ora di pranzo. Quasi. E già ci sorprende il tiglio, quello vero, l’albero (Tilia Cordata) che è vecchio di 400 anni, dal fusto possente di 4 metri di circonferenza, e dall’altezza ragguardevole di 20 metri. Un punto fermo. Di stabilità. Giriamo l’angolo. La porta del ristorante è chiusa. Forse un po’ presto per il pranzo. Non abbiamo prenotato. Proviamo ugualmente. Ci accoglie il sorriso pieno di Souad, una bellissima giovane originaria di qualche paese africano. Facciamo scommesse tra Nigeria, Costa d’Avorio ed Etiopia. Sì che c’è posto. Prego, accomodatevi. E siamo dentro, in un locale di classe che già ci sorprende, pensavamo ad una trattoria. Ci accoglie qualcosa di inaspettato: bei tavoli, bel tovagliame, belle tende. Scrutiamo un’ottima e ricchissima enoteca alla nostra destra. Lo chef è Enrico, il maître Gian Luigi. Siamo i primi. I più coccolati? No, anche coloro che arriveranno più tardi avranno lo stesso trattamento: affabilità, signorilità, entusiasmo contagioso. Un calice di Prosecco ci dà il benvenuto. è “l’entratina”, così la chiama Enrico che ha preferito i fornelli alla laurea universitaria. Ci riconoscono. Siamo i giornalisti de Il Gusto…della Vita. Volevamo mangiar

sobrio. Siamo invitati invece ad assaggiare il gran menù. Tutto o quasi. Arrivano l’uovo fritto, i tortelli della tradizione con brodo ristretto, le pappardelle coniglio lime zenzero, il vitello, melone osmotizzato, caprino erbette, la tartara di vitello si è bruciata (scritto proprio così), la guancia di vitello fondente e ciliegie, il petto di piccione con sapa e fegato grasso. Il vino bianco di una selezionata cantina accompagna i cibi. Eppoi il pane. Che mangiamo da sempre, ma questo sfonda ogni traguardo. La sala ora è piena. Riconosciamo gente della costa, s’è mossa richiamata dalla fama dei piatti di Enrico, che compare, occhialuto e sorridente, di tanto in tanto dal suo regno di cucina. Mangiamo adagio, come ci ha insegnato il nutrizionista e amico Lando, assaporando boccone su boccone, guardando l’ambiente, cogliendo un clima di amicizia e cordialità. Pietanze succulente e rischiosi accostamenti vinti sul campo, anzi, vinti in bocca. Hanno scelto loro il nostro menù, scelgono loro il nostro dolce. E siamo all’apoteosi. Onesto il prezzo. Giornata incredibile. In un luogo incredibile. Con portate incredibili. A Isola San Biagio, quasi in capo al mondo. Sicuramente in braccio alla regina Sibilla e alle sue dee. Da ritornarci. Anna Polimanti

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...A tutto riso

...Penna San Giovanni

A tutto…Riso Gusto e cultura L’hanno chiamata “A tutto… Riso”. Una manifestazione che ha legato la Marca Fermana al Veneto. Venerdì 15 e sabato 16 giugno scorsi, la parte finale di piazza del Popolo di Fermo, dinanzi alla gloriosa biblioteca Spezioli, ha ospitato una proposta culinaria di altissimo prestigio. Alcuni tra i più importanti chef italiani, come il veneto Renato Leoni, i fermani Alessandro Pazzaglia e i suoi cuochi dell’Associazione provinciale, e Aurelio Damiani, hanno dato vita ad un’amichevole gara di cucina, “preparando gustose pietanze a base di Riso Vialone Nano”. Domenica 17, invece, ci si è spostati sul lungomare dove, per il primo incontro degli AperiLido, a Lido di Fermo, gli chalet hanno proposto aperitivi a base di riso. L’iniziativa fa seguito al protocollo sottoscritto dal Comune di Fermo con la Strada del Riso, Associazione che opera nel veronese e che, ogni anno in occasione della Fiera del Riso a Isola della Scala appronta 600 mila pasti. “A tutto…Riso” non ha fatto mancare il momento musicale con il quartetto Jazz del Conservatorio Pergolesi di Fermo e quello cabarettistico con l’attore Giorgio Montanini. Giovedì 14 giugno la delegazione veronese era stata accolta con tutti gli onori a palazzo Vinci, nei locali di Enrico Biondi, per una cena di gala cui hanno preso parte le autorità provinciali e comunali fermane.

dei Vincisgrassi

Non si smentisce l’enoteca “La Grotta” di Penna San Giovanni nella sua vocazione a coniugare il cibo e la cucina con la cultura e la tradizione. Il 7 luglio scorso nel corso di una bella serata che l’enoteca ha intitolato “Antiche ricette in un antico borgo” e che è stata patrocinata dal Comune, sono stati resi protagonisti i nostri Vincisgrassi. Sono stati cucinati e serviti, con superba cura filologica, in due versioni: quella settecentesca, senza pomodoro, ma profumatissima di tartufo, così come l’ha prescritta il cuoco maceratese Antonio Nebbia nel suo ricettario del 1781; poi quella che la tradizione a noi più vicina ci ha consegnato, conditi con sugo di pomodoro e rigaglie, e che, per l’occasione è stata tratta dal ricettario di Anna Gosetti del 1967. Per chiudere un finale di dolci: serpe di Falerone, spumini e pastarelle del mietere. Il tutto al lume di lampione sulla piazzetta antistante il Teatro Flora, dopo che nel teatro due ospiti d’onore avevano tessuto una colta introduzione parlando di ricettari marchigiani, a partire dal capostipite Antonio Nebbia, del loro ruolo nel contesto della cucina italiana, delle loro fortune editoriali: il professor Alberto Capatti, già rettore dell’Università del Gusto e autore di una documentatissima Storia della Cucina Italiana oltre che curatore di una recente edizione del Ricettario di Artusi (Bur), e il collezionista di ricette e ricettari, Luciano Scafà, a cui si deve una bella riedizione del “Cuoco maceratese” del Nebbia. Guglielmina Rogante Ricetta dei Princisgras da "il cuoco maceratese" di Antonio Nebbia"

Cristina Piazzola e Walter Testoni

Fabrizio Ferracuti e Alessandro Pazzaglia

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Guglielmina Rogante, Alberto Capatti, Luciano Scafà


...Provincia di Fermo

PROVINCIA DI FERMO

La Provincia di Fermo in trasferta per l’iniziativa benefica

“Le Marche per l’Emilia”

Si è svolta sabato 29 settembre 2012 l’iniziativa di solidarietà organizzata dall’Assessorato al Turismo e Agricoltura della Provincia di Fermo e dalle Amministrazioni Comunali di Servigliano (FM) e Pedaso (FM), in collaborazione con l’Associazione “GAMS - Alfieri e Musici Storici” e l’Associazione “ANBIMA Fermo”, a sostegno di Ravarino, uno dei Comuni della Provincia di Modena colpiti dagli eventi sismici verificatisi nel maggio scorso. L’iniziativa ha visto protagonista anche la delegazione dei ragazzi di Servigliano vincitori della trasmissione di Rai 2 dedicata ai giochi tra Comuni “Mezzogiorno in Famiglia”, che il 18 giugno è stata ricevuta dal Presidente Fabrizio Cesetti presso la Sala Consiliare ed omaggiata con una cerimonia di saluto e ringraziamento per l’impresa vittoriosa compiuta, che ha consentito di dare grande visibilità al territorio fermano promuovendolo a livello nazionale.

Per la trasferta giornaliera presso il Comune di Ravarino sono stati predisposti due pullman: uno è stato messo a disposizione dei partecipanti a titolo gratuito dalla Società di Trasporti “STEAT S.p.a.”, mentre, della copertura del

costo per l’altro mezzo si è fatta carico l’Amministrazione Provinciale di Fermo. Nel corso dell’evento si è tenuta la cerimonia per la consegna al Sindaco Marino Gatti della somma ricavata dalla raccolta fondi organizzata dagli Enti coinvolti, pari ad Euro 5.000,00; inoltre, con ulteriori fondi reperiti dall’Associazione “ANBIMA Fermo” verranno acquistati degli strumenti musicali da destinare alle Scuole che organizzano “Corsi di Orientamento Musicale” a Ravarino e nei Comuni terremotati limitrofi.

In programma per l’occasione anche l’esibizione del Gruppo Folk “La Pasquella” di Sant’Elpidio a Mare, il concerto del Corpo Bandistico di Monte San Pietrangeli (FM) e lo spettacolo del “GAMS” di Servigliano (FM). La serata si è conclusa con una cena - degustazione gratuita per circa 200 persone a base di prodotti tipici gentilmente offerti dalle aziende del territorio fermano (salumi, Maccheroncini di Campofilone, frutta della Valdaso etc.). L’Assessore al Turismo e Agricoltura della Provincia di Fermo

Prof. Guglielmo Massucci

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della vita


...Camera di Commercio Fermo

CARNI ALTERNATIVE Il presidente della Camera di Commercio Fermo, Graziano Di Battista

Quando si sta insieme, per gustare le eccellenze del territorio, attorno a una tavola imbandita, questa invita non solo a mangiare bene e sano, ma anche a socilizzare apprezzando i gusti, gli odori e i sapori delle nostre eccellenze.

è in questa ottica che si colloca il progetto “Le carni alternative: distintivo della ristorazione fermana”, voluto da Copagri Fermo e di recente approvato e sostenuto dalla Camera di Commercio di Fermo. Quando si parla di carni alternative si parla di cinghiale, struzzo, piccione, fagiano, germano, starna, daino, pernice, coturnice e del coniglio plein-air. In provincia di Fermo, ad Ortezzano, grazie alla Cooperativa Agricola Aras, da tempo è attivo un mattatoio e un centro di lavorazione di queste carni, che vanta nove bolli Ce. “Sosteniamo convinti questo progetto - ha dichiarato il presidente Camerale, Graziano Di Battista - perchè pone in evidenza le capacità dei nostri imprenditori agricoli. Parlare di carni alternative

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il Gusto...

significa portare in primo piano alcune eccellenze ancora poco conosciute, che si vuole entrino a far parte dei menu nei ristoranti della nostra Provincia. Si tratta di carni eccellenti - prosegue Di Battista già nella tradizione locale, basta pensare alla sagra della quaglia di Monte Vidon Combatte, ma apprezzate anche a livello nazionale ed internazionale perchè fatte gustare, ad esempio, in una serata di gala del Merano Winefestival. Auspico che i nostri ristoratori saranno sensibili e trovino lo spazio per offrire agli ospiti un menu di queste carni, accompagnate solo da prodotti della nostra terra: penso all'olio extra verdine di oliva, al vino, alle verdure e ai dolci”, ha finito Di Battista. Da aggiungere che negli ambienti commerciali nazionali delle carni, le Marche, oltre che per la “Bianca Marchigiana”, è sinonimo

di carni alternative, con il Fermano all'avanguardia dove, la filiera si è sviluppata. “Puntare a qualificare la nostra migliore ristorazione, con le carni alternative - ha aggiunto Primo Tacchetti di Coldiretti e componente la Giunta Camerale, che ha seguito il progetto, insieme al presidente provinciale Copagri Massimo Maranesi e a Sonia Borracini di Copagri Fermo, e dall'ex presidente regionale Copagri, Landi si rivelerà un importante elemento di immagine e specialità territoriale, credo molto apprezzato dalla clientela locale e, in particolare, di quella nazionale”. Aras, che associa oltre 70 allevatori marchigiani, assicura al mercato un paniere di carni fresche, attraverso una filiera produttiva che garantisce qualità e freschezza, oltre ad un ventaglio di stagionati che va dalle salsicce ai prosciutti di cinghiale.


...Lapedona

...Lapedona

La Festa del Vino Cotto. Sulla strada delle De.Co.

Note e Sapori. In Collina. A Lapedona

Sabato 15 settembre, a Mi Ritorni in Mente, la trasmissione settimanale di Radio Fermo Uno, l'assessore Stefania Mattetti e il sindaco Mauro Pieroni hanno parlato del loro paese: Lapedona, come del Comune ambasciatore del Vino cotto. Quattro aziende locali puntano decisamente sull'alimento che per i burocrati di Bruxelles non si deve chiamar vino (quando si dice di decisioni di astratti dirigenti!!!) ma può esser considerato un alimento. Il 22, 23 e 29 settembre, proprio a Lapedona si svolge l'annuale festa, arrivata alla 24esima edizione. Non manca una gara tra cuochi (il 29), con chef marchigiani, pugliesi e romagnoli. Lo scorso anno il vino cotto ha ricevuto la De.Co, la Denominazione Comunale. L'amministrazione di Lapedona ha decretato che l'alimento è prodotto nel suo territorio e che ha una storia molto antica. Val la pena ricordare che la Denominazione Comunale altro non è che una sorta di carta di identità del prodotto nato in un luogo e rappresentante di una comunità locale. La grande intuizione di Luigi Veronelli, portata avanti dal giornalista Paolo Massobrio del Club di Papillon, si sta rivelando intuizione felice e puntuale. Alla riscoperta delle mille patrie e delle migliaia di prodotti che danno un volto alle nostre Terre. Ed un sapore. E che sapore!

Un pizzico di storia ... La produzione di vino cotto è nota fin dai tempi remoti. Citato da Plauto fra le bevande da mescere in un lauto banchetto, Plinio il Vecchio lo clas-sifica tra le più ricercate bevande: "... i cotti hanno il sapor loro e non quello del vino". La civiltà Picena è nota sin dal 1° millennio a.C. ed in parti-colare fra IX e XI secolo a.c. si è insediata in un'ampia fascia di territorio della costa Adriatica.Nel Comune di L:apedona sono stati rinvenuti reperti archeologici e testi-monianze importanti che confermano come, per l’epoca fosse uno dei luoghi di maggiore produzione di “vino cotto”.

Lapedona ha ospitato, dal 5 al 12 agosto, la nona edizione di Musica in Collina, Festival Internazionale di Musica da Camera. L’evento è stato organizzato dal Comune di Lapedona e dalla Pro Loco, con il Patrocinio della Regione Marche, della Provincia di Fermo, della Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo, della Camera di Commercio di Fermo, dell'Associazione Valdaso e della Marca Fermana. Ancora una volta il cuore pulsante della suggestiva iniziativa è stato il maestro Walter Daga, violinista, già componente I Solisti Veneti. Accanto a lui, Sybille Karadar. Cinque le serate incastonate nella cornice di piazza San Lorenzo. L’inizio è stato affidato alla pièce musico-teatrale "Come un Tappo di Champagne", diretta da Marco Bellussi e interpretata da Elisabetta Martorana (Mezzosoprano), Filippo Pina Castiglioni (Tenore), Alberto Zanetti (Basso), con Federico Brunello al Pianoforte e Adriana Capponi e Marco Bellussi Voci Recitanti. Martedì 7 agosto Jiri Hlavac (Clarinetto, Sax) e Daniel Wiesner (Pianoforte) hanno proposto una serata all'insegna della fantasia e del virtuosismo. Giovedì 9 agosto di scena Violino e Pianoforte (Marta Kowalczyk, giovane musicista premiata al 18° concorso internazionale J. Brahms 2011 e Łukasz Chrzęszczyk), sulle note di J. Brahms (Scherzo in DO Minore e Sonata N. 3 Op. 108) e di C. Franck (Sonata in LA Maggiore). Venerdì 10 agosto è stata la volta di un giovanissimo talento, Leonora Armellini, unica donna italiana premiata nella storia del prestigioso concorso F. Chopin di Varsavia (ottobre 2012), esibitasi al pianoforte suonando Beethoven, Prokofiev e Schumann. Domenica 12 agosto in scena invece l’opera comica in due atti “Vespetta e Pimpinone” di T. Albinoni, su libretto di Pietro Pariati, con Veronica Filippi nel ruolo di Vespetta (Mezzosoprano) e Virgilio Bianconi nei panni di Pimpinone, Valerio Bufacchi (Mimica) e Paola Ceccarelli (Pianoforte), con la regia di Marco Bellussi. Hanno chiuso il Festival l'Ensemble d’Archi del Festival di Lapedona, che ha eseguito la Sinfonia in SOL Maggiore e il Concerto n° 11 in SOL Minore di Tomaso Albinoni. Le serate sono state arricchite dai "Sapori dopo le Note", un’offerta gastronomica che ha proposto al pubblico cibi tradizionali della Marca fermana, tra cui le invidibili fermanelle, olive tipicamente fermane. Ad esibirsi i Cuochi dell’Associazione Le Fermanelle provinciale guidati dal presidente Sandro Pazzaglia.

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...Cinque pesci per cinque ricette

Amare il mare 2012 Cinque pesci per cinque ricette Stefano Isidori e Pierpaolo Piermarini Voluta dall’Assessorato al turismo del Comune rivierasco, con il patrocinio della Regione Marche e dell’Università agli Studi di Camerino e la partecipazione attiva dell’Istituto Superiore Alberghiero della cittadina, la manifestazione ha l’obiettivo di valorizzare il “pesce azzurro” con la realizzazione di ricette innovative e rispettose della tradizione territoriale. In cucina, per realizzare le originali ricette, due dei maggiori personaggi dell’enogastronomia locale, lo chef professor Pierpaolo Piermarini e il sommelier chef professor Stefano Isidori, docenti del Tarantelli di Sant’Elpidio a Mare, che ancora una volta hanno sbalordito e meravigliato la giuria con la realizzazione di eccellenti preparazioni dove protagonisti sono i “principi pesci azzurri”. Dallo sgombro alle alici, dal suro alle sarde fino al tonno, elaborati, cucinati e serviti con abbinamenti insoliti ad altri ingredienti provenienti sia dal territorio (verdure e frutta) sia internazionali (spezie e rape rosse). La giuria, veramente sorpresa dalla bontà

Si è svolta il 1 settembre, presso il ristorante della Lega Navale di Porto Sant’Elpidio gestito dagli amici Floriana Berto e Roberto Traini, la terza edizione dell’ormai collaudata iniziativa “Le Stagioni del pesce, Amare il Mare”. dei piatti (non immaginavano che sdoganare l’alice dal canonico “scottadito” o la classica “marinatura” potessero essere così buone) hanno faticato non poco (anche se con piacere) nel decretare quella che più aveva impressionato. Alla fine hanno tributato come più “entusiasmante” il “Trancetto di suro con panatura speziata e popcorn con purè di sedano rapa”; anche se il “Risotto con melanzane, sgombro affumicato e rapa rosso”, l’”Azzurro fritto” e le altre hanno incantato per fascino, connubio di ingredienti e piacevolezza. Complimenti sinceri e calorosi ai due “autori” da parte di tutta la giuria, capitanata dall’Assessore Milena Sebastiani, e composta dalla Sommelier Stefania Morbidelli, dai giornalisti: Ignazio Mietti di “Prima Pagina”; Angelo Cecchetti e Sara Ricci de “Il Gusto... della vita”; il mitico “MaMo” (pseudonimo di Massimo) de “Il Magazine di Bar.it” e dal gastronomo Giuseppe Lambertucci. Per gli appassionati e, perché no!, per i ristoratori, riportiamo le ricette.

Azzurro fritto

Ingredienti: • alici • zucchine • pomodoro rosso • peperone giall • basilico • valeriana • caciotta fresca • pane grattugiato • uova • sale • olio di semi Procedimento: mondare le alici e spinarle. Pulire le verdure e tagliare a fettine lunghe le zucchine, a falde i pomodori e i peperoni, a listarelle la caciotta. Lavare il basilico e la valeriana. Fare un involtino con una fetta di zucchina, il filetto di alice, una foglia di basilico, una falda di peperone e pomodoro, una listarella di caciotta. Fermare l’involtino con uno spiedo, impanare per due volte con uova e pangrattato. Friggere. Servire gli involtini decorate il piatto un ciuffo di valeriana.

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Sarde ripiene di pesto rosso su letto di lenticchie

Ingredienti: • sarde • pomodori secchi • olio extravergine d'oliva • grana padano • pecorino semistagionato • pinoli • mandorle • basilico • aglio • sale e pepe • lenticchie decorticate • fumetto di pesce • cipolla Procedimento: togliere la testa e diliscare le sarde. Mettere i pomodori secchi a bagno con dell'acqua. Appena i pomodori saranno pronti strizzarli e preparare il pesto rosso frullandolo con l’olio, le mandorle, i pinoli, il grana e il pecorino, uno spicchio d’aglio e del basilico. Spalmare uno strato omogeneo di pesto su un filetto sarda e sovrapporre un'altra metà, adagiarle su una placca da forno. In una casseruola cuocere le lenticchie con lo stesso procedimento di un risotto facendo attenzione alla cottura. Cuocere le alici in forno a 80 °C per 10 minuti. Sistemare un letto di lenticchie sul piatto e adagiarvi le alici sopra.


...Cinque pesci per cinque ricette

Risotto con melanzane, sgombro affumicato e rapa rossa

Tre di Tonno (grigliato, marinaro, fritto) Ingredienti: • Tonno • rosmarino • salvia • timo • alloro • aglio • sale • capperi • olive verdi • olio extravergine d’oliva • semi di sesamo • frutti di bosco • pomodori • insalata

Ingredienti: • sgombro • riso vialone nano • melanzana nera lunga • rapa rossa • panna • parmigiano • cipolla • olio extravergine d'oliva • burro • fumetto di pesce • sale e pepe • zucchero di canna • erbe aromatiche. Procedimento: pulire lo sgombro, sfilettare, preparare la marinatura mescolando zucchero, sale e le erbe aromatiche. Mettere lo sgombro in un vassoio, cospargere lo stesso con la marinatura, stendere sopra un foglio di carta e bagnare con poco vino bianco, lasciar marinare per 20/30 minuti. Trascorso il tempo per la marinatura, lavare bene i filetti di sgombro sotto acqua corrente e asciugare bene, in una pentola bruciare dei trucioli e delle erbe aromatiche, quando inizia la combustione e a fumare, adagiare sopra una griglia con il pesce, coprire e affumicare per circa 5/10 minuti. Tagliare metà delle rape rosse a mirepoix e metà frullarle, unirle insieme e aggiustare di sale e pepe. Cuocere le melanzane in forno a 170°C per 40 minuti, dopodiché togliere la pelle, e frullare la polpa con il parmigiano, la panna, sale e pepe. In una casseruola far appassire la cipolla con dell’olio, tostare il riso e aggiungere il fumetto e lasciar cuocere fino a 3/4 cottura. Aggiungere il brodo ogni qual volta si asciuga il riso. Versare la salsa di melanzane, il burro e il parmigiano; mantecare bene il riso fino a renderlo cremoso. Servirlo su un piatto fondo, adagiare i cubetti di sgombro affumicato e la rapa rossa, finire con un filo di olio extravergine d'oliva.

Trancetto di suro con panatura speziata e popcorn con purè di sedano rapa Ingredienti: • suro • pangrattato • mandorle • olio extravergine d'oliva • spezie miste • aglio • cipolla • sedano rapa • fumetto di pesce • latte intero • sale e pepe • popcorn Procedimento: mondare e lavare il sedano rapa, tagliarlo a dadolata. In una casseruola con dell'olio far appassire la cipolla e il sedano rapa, poi unire il fumetto e il latte, lasciar cuocere fino a quando il sedano non sia ben cotto, frullare il tutto e aggiustare di sale. Tostare leggermente le spezie (chiodi di garofano, pepe nero in grani, cannella, cardamomo, bacche di ginepro, semi di finocchio, cumino, paprika), frullare finemente il tutto e unire alla panatura. Sfilettare i suri, tagliare i filetti a tranci e panarli accuratamente, sistemarli in una placca e cuocerli in forno a 190°C per 10 minuti. Preparare i popcorn. Sistemare sul piatto il trancetto di suro con sopra i popcorn e adagiare vicino il purè di sedano rapa.

classificato

Procedimento: mondare il tonno, spinarlo e tagliare i filetti a “bocconcini”. Per il “grigliato”: marinare per un paio d’ore il tonno con le erbe aromatiche, l’aglio e olio extravergine d’oliva. Cuocere sulla griglia calda. Per il “marinaro”: rosolare in padella con l’olio extravergine d’oliva, uno spicchio d’aglio, i capperi, e le olive denocciolate, il pomodoro fresco, cuocere per 5 minuti. Aggiungere i bocconcini di tonno, regolare di sale e finire la cottura. Per il “fritto”: panare i bocconcini con i semi di sesamo, friggere in olio. Montare il piatto: accompagnare il “marinaro” con la sua salsa; il “grigliato” con frutti di bosco; il “fritto” con germogli di lattuga.

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...Ai fornelli

Lo chef Enrico Mazzaroni e il suo staff

Uovo fritto Cialda croccante Disidratare il riso cotto a bassa temperatura e ridurlo in polvere. Reidratarlo con acqua fino a formare una pasta. Stendere l'impasto e lasciarlo essiccare per 12 ore. Friggere in grasso di maiale con l'aiuto di uno stampino. Frittata Strapazzare le uova e cuocerle avendo cura di mescolarle durante la cottura. Erbe ripassate Lessare e ridurre in poltiglia 100 grammi di patate, biete o altre verdure trovate. Ripassare in padella con olio extra vergine di oliva e sale. Riempire le cialde appena fritte con le erbe e la frittata.

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LA Tartara DI VITELLO SI è bruciata Ingredienti • 100 grammi di filetto di manzo qualità marchigiana • olio extra vergine di oliva • sale e pepe. • mezzo cucchiaino di yogurt fatto in casa • un cucchiaino di aceto Esecuzione Tritare la carne a coltello e unire gli altri elementi. Per il nero Essiccare un ristretto di brodo per 48 ore in essiccatoio e frullare. Aggiungere nero vegetale, una piccola quantità di peperoncino e amalgamare tutti gli ingredienti. Per la maionese Unire uova, olio extra vergine di oliva, sale, limone e essenza di rosa.


...Ai fornelli

Pappardelle CONIGLIO LIME ZENZERO La pasta Preparare la pasta di soli tuorli, tirarla e tagliarla a mano. Ragout di Coniglio Disossare e spezzare il coniglio. Cuocerlo in padella con un soffritto di carota, sedano e cipolla. Bagnare con vino bianco Offida DOC Passerina. Gel di Limone Sbianchire la buccia del limone, e unire poi ai limoni pelati a vivo. Aggiungere lo zucchero (200 gr ogni kg di limoni) e far cuocere. Frullare il tutto e passare al colino cinese. Brodo di Zenzero Immergere lo zenzero sbucciato nel brodo di coniglio e lasciarlo in infusione per 12 ore sottovuoto. Servire versando il brodo di zenzero nel piatto.

di Enrico Mazzaroni

Agnello DEI SIBILLINI Spezzare l'agnello, lavarlo e rosolarlo in padella con verdure ed odori. Preparare la base con un fondo di agnello e polpa di olive nere. Frullare il tutto molto a lungo. Stendere sul piatto il composto preparato. Adagiare sopra l'agnello avendo cura di separarlo dalle ossa.

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della vita


...Vendemmia e vino

La crisi del settore vitivinicolo. e le possibilità di riscatto

Da alcuni anni il comparto vitivinicolo soffre una crisi di identità, evidenziata da una considerevole diminuzione dei consumi (gli ultimi dati indicano un consumo pro capite anno in Italia di 37 litri) e da una caduta dei prezzi sia delle uve che dei vini, che attualmente si attestano sui valori espressi circa dieci anni addietro, tanto da non rendere più sostenibile l’intero comparto, ad eccezione di alcune realtà ben consolidate. di Francesco e Leonardo Seghetti

Tale crisi interessa tutto il territorio nazionale e quello storico europeo come la Francia; la famiglia tipica italiana non è disponibile a spendere più di 1,50 euro al giorno per il vino, come ha ben dimostrato una penetrante ed efficace pubblicità televisiva di qualche anno fa di un noto gruppo di produzione italiano. Quanto detto è stato evidenziato anche durante la presentazione di alcune “guide” in cui si è fatto presente che la famiglia italiana per il consumo quotidiano del vino non è disponibile a spendere più di 30 - 40 euro al mese. Questa breve e semplice constatazione della diminuzione dei consumi e la crisi dei prezzi delle uve e dei vini può essere imputata ad alcuni fenomeni; recessione economica che incide sui consumi famigliari, paura di incorrere in gravi sanzioni disciplinari (patente di guida) per coloro che risultano con il limite alcolometrico superato e per quanto riguarda i prezzi ad una super produzione viticola. Questa è dovuta in minima parte alla coltivazione selvaggia in Italia in territori non particolarmente vocati, e principalmente all’entrata nello scenario vitivinicolo di nuovi paesi come Cile, Australia, Sud Africa, California, Paesi dell’est Europeo, Marocco e per ultimo anche la Cina. In questi Paesi i costi della produzione viticola sono più bassi rispetto ai nostri, in considerazione del fatto che le aziende hanno estensioni molto elevate, i terreni sono pianeggianti o leggermente declivi, la meccanizzazione è spinta, ed in alcuni dei paesi citati il costo della manodopera è assai basso rispetto al nostro. Inoltre in cantina tali Paesi non presentano una legislazione sempre ben definita per cui sono consentite alcune operazioni che tendono a standardizzare la produzione. Queste considerazioni non lascerebbero scampo al nostro produttore, che invece in questo momento particolare non deve assolutamente cedere ma deve indirizzarsi sempre più verso produzioni tipiche e di alta qualità. Con razionalità il futuro può essere basato su alcuni principi fondamentali dove l’uomo rappresenta il centro di una filiera che parte dalla storia, dalla tradizione e cultura enoica, dal territorio, dal vitigno, dalla genuinità del vino, dalla comunicazione di quanto egli fa per ottenere certe produzioni, ovvero una ”storia da raccontare” alla portata dei consumatori. I Paesi emergenti non possono vantare nulla per quanto riguarda la storia, la tradizione e la cultura eroica; è loro appannaggio solo la nostra esperienza e la nostra tecnologia; per quanto riguarda il territorio, l’Italia può vantare territori diversi, dalle Alpi alla Sicilia, ma soprattutto in questi territori si coltivano vitigni diversi, con le tradizioni di quel popolo che abita e vive il territorio. Il catalogo nazionale viti conta alcune centinaia di vitigni diversi che danno origine ad altrettanti vini a DOP e DOCG, tipici e par-

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il Gusto...

ticolari di ogni territorio, dove vitigno e territorio influiscono fortemente sulle caratteristiche organolettiche del vino prodotto. Si può affermare che chi viaggia nel nostro territorio, italiano e marchigiano può gustare in ogni ambiente un prodotto diverso. Nei Paesi emergenti il territorio non sempre presenta la variabilità da noi riscontrata, ma soprattutto vengono allevate solo alcune varietà viticole, in particolare Chardonnay e Souvignon per i vitigni bianchi, mentre per i vitigni rossi Cabernet, Merlot e Shiraz. Detti vitigni, oltre ad essere precoci e plastici (anticipano la maturazione), presentano una particolarità importante: sono dotati di aromi genetici, tant’è che, ovunque vengono coltivati, danno sempre la stessa risposta organolettica; ad esempio, basti pensare allo chardonnay in Italia; in trentino matura verso la fine di settembre mentre in Sicilia i primi di agosto (raccolta notturna delle uve). Se opportunamente vinificate, le uve di qualsiasi provenienza danno origine a vini con caratteri organolettici ben definiti e simili in tutti i territori. Come paragone in Italia si coltivano diversi Trebbiani, cosi diversi e specifici per ogni ambiente, dove la territorialità è predominante tanto da renderli unici, oltre ad una innumerevole serie di vitigni autoctoni, meno plastici, poco esportabili per essere coltivati, ma con caratteri organolettici unici, tipici di quel territorio. Come già detto nei citati Paesi emergenti sono consentite delle pratiche enologiche che consentono l’ottenimento di vini con particolari caratteri organolettici tanto da renderli standard a dispetto di quello che la natura annualmente ci riserva; allora in questa fase entra fortemente in gioco la genuinità, rispettando il vecchio detto “il vino si fa in campo”: solo un viticoltore capace, che sa intervenire al momento giusto con le operazioni agronomiche e colturali è capace di produrre un uva sana e giustamente matura, che non necessita di aggiunte… per vinificare in modo corretto ed adeguato tali uve per ottenere dei vini veramente unici, dove si può con certezza affermare “questo è il frutto della vite e del lavoro dell’uomo”. La genuinità va comunicata, senza denigrare nessuno, ma portando a conoscenza quello che realmente si fa in campagna ed in cantina, dove il viticoltore rispetta la natura, l’evolversi delle stagioni, l’enologo prende per mano quell’uva e la vinifica nel migliore dei modi, per ottenere un vino con caratteri unici , decisi e propri, non imitabili ed omologabili in tutto il mondo. In questa fase una importante azione può provenire dal mondo della ricerca agricola, che mette in gioco la sua competenza e capacità al servizio di un territorio per sviluppare ancor dappiù le tematiche appena sfiorate e contribuire alla elevazione della produzione qualitativa. è evidente che la ricerca va finanziata e non ostacolata.


...Vendemmia e vino

VENDEMMIA 2012 Parola all'esperto Alberto Mazzoni, Direttore dell' Istituto Marchigiano Tutela vini presidente regionale di Assoenologi

1) è confermata la riscossa dei vini italiani nel mondo? Continua a crescere il valore delle esportazioni di vino che registrano un incremento del +3,2% a fronte di un cedimento del Made in Italy del -1,7%. Dopo un lungo periodo di crescita spesso a due cifre il valore dell’export mostra i primi segnali di una stanchezza “europea”, caratterizzata da un brusco rallentamento dei mercati dell’Unione -2,3%. Il rallentamento nella UE è compensato dalla sostenuta vivacità dei Paesi Terzi, con un significativo contributo dell’Estremo Oriente e dei mercati europei extra UE. I volumi mostrano una netta flessione -14,9%, passando da 2,0 a 1,7 milioni di ettolitri. Il valore medio unitario schizza verso l’alto toccando euro 2,11/l , con un incremento del +21,3% rispetto ad aprile del 2011. Il peso del vino all’interno del paniere del Made in Italy riesce a guadagnare terreno passando da 1,12% all’1,18% dell’intero valore delle esportazioni e nell’area dei Paesi Terzi la quota vola fino a 1,26%. 2) Quali le aree geografiche dove il vino italiano trova maggiore apprezzamento? I mercati dove si raccoglie più successo sono: Stati Uniti, Canada, Giappone, Cina, India, Estremo Oriente, Germania, Russia, Paesi Baltici; Svezia. 3) Temperature alte e siccità. Come saranno i vini prossimi? Per le Marche il vino targato 2012 sarà un po’ di più dell’anno scorso (la prima stima parla di un impercettibile ma confortante + 0,5%) mentre per la qualità i livelli sarebbero addirittura superiori rispetto alle raccolte precedenti. Ma questi giorni saranno decisivi: molti vitivinicoltori hanno giocato d’anticipo dando inizio alle... danze mentre altri ormai stanno per infilarsi tra le vigne per raccogliere i grappoli, in particolare quelli delle uve bianche. Le Marche insomma possono essere fiduciose. “Comunque non tutto il caldo viene per nuocere. Non è possibile fare un paragone con l’an - nata precedente perchè comunque sarà la seconda più scarsa degli ultimi 50 anni con un andamento climatico completamente diverso: il caldo nel 2011 è esploso nel mese di agosto creando un appassimento e non una maturazione delle uve. Quest’anno invece in molte zone le alte temperature hanno consentito un processo di maturazione naturale, abbattendo o limitando i trattamenti. Fatta eccezione abbiamo registrato sempre delle ottime escursioni termiche: le ondate di caldo sono arrivate con un giusto intervallo l’una dall’altra, I venti provenienti da Nord hanno appunto favorito le escursioni notturne”. Ma la forza delle Marche è u n’altra. “La novità di quest’an -nata dal punto di vista agronomico è che i vitigni autoctoni (Verdicchio, Bianchello, Lacrima, Pecorino, Passerina, Sangiovese, Vernaccia e Montepulciano) resistono di più rispetto ai vitigni alloctoni o internazionali (Chardonnay, Cabernet e merlot). I nostri vitigni si sino acclimatati molto bene anche perché nella soccorso difficilmente si potrà attuare così la pianta ci pensa da sola a cercare acqua ed è sicuramente più lungimirante dell’uomo che vuole tutto e subito”. “I dati analitici delle prime uve raccolte ci confortano: la scelta di puntare sui vitigni autoctoni oltre a premiare le nostre aziende dal punto di vista commerciale oggi possiamo avere un’ulteriore soddisfazione dal punto di vista della re-

sistenza alla siccità. Chiaramente di questo caldo si avvantaggeranno i vitigni a bacca nera come il Sangiovese e il Montepulciano: quest’ultimo sarà quello che ci potrà dare più soddisfazioni dal punto di vista qualitativo”. La qualita dovrebbe essere ottima. La quantità va raffrontata nella media degli ulltimi cinque anni con il riferimento alla raccolta 2011 tenuto conto dell’estirpazione che ha privato la nostra regione nell’ultimo triennio di almeno 1750 ettari, e senza dimenticare il calo produttivo legato alla “vendemmia verde”, possiamo stimare una produzione di 780.000 Hl, leggermente superiore allo scorso anno (0/+0,5%)”. 4) Se Lei dovesse dare un giudizio di valore dei vini per regioni italiane, cosa direbbe? Ogni Regione ha i suoi prodotti di riferimento, noi marchigiani abbiamo qualcosa in più rispetto a tante regioni, la determinazione dei nostri produttori che hanno puntato sui vitigni autoctoni oggi sta dando grandi soddisfazioni a chi ha saputo nel tempo costruirsi un mercato estero, questa scelta non ha avvantaggia soltanto le grandi aziende ma anche moltissimi piccoli e medi imprenditori che negli anni scorsi hanno deciso di affrontare con i propri vini mercati lontani. Oggi il mercato del vino è globale perciò dobbiamo confrontarci con un mondo dove l’educazione alimentare è ancora molto lontana dalla nostra ma consapevole di iniziare il consumo dei nostri prodotti enologici e non solo. Sono convinto che nel prossimo quinquennio le aziende vitivinicole che esportano più del 50% avranno un futuro certo e soddisfacente, chi invece ha investito solo sul mercato interno avrà delle grosse difficoltà in considerazione del calo di consumi (siamo sotto i 40 litri pro-capite) e la difficolta ad incassare che si fa sempre più difficile. Oggi più mai per vincere la globalizzazione occorre fare “squadra”, insieme possiamo farcela da soli la sconfitta sarà certa. 5) Sempre più spesso le Cantine abbinano degustazioni di vino a forme culturali diverse (musica, teatro, performance poetiche). è una strada da percorrere? Visti i cali dei consumi, considerato che la stampa specializzata è in forte crisi non c’è dubbio che la trasversalità premia chi la porta avanti con determinazione e con idee innovative come Internet e tutti i social oggi strumenti indispensabili per una crescita del territorio. Non solo vino ma dobbiamo promuovere tutti insieme il “BRAND MARCHE”. 6) Carta dei vini, resistenza dei ristoratori a spaziare nell'offerta e alti prezzi praticati. Ci si può organizzare meglio? Posso affermare con certezza che il mondo della ristorazione ha fatto passi da gigante, nel gregge possiamo trovare qualche “pecora nera” ma sono convinto che oggi più che mai anche il mondo della ristorazione si sta adeguando ai nuovi stili di vita, tutti insieme dobbiamo far conoscere le specificità che offre la nostra Regione e brindare con le nostre bollicine ottenute da vitigni autoctoni. 8) Ci faccia un brindisi...

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...Vendemmia e vino

Il vino dei filosofi, degli scienziati e dei papi

La vita come un vino prezioso, deve essere, con opportune interruzioni, assaporata sorso a sorso. Anche il miglior vino perde attrattiva e non si apprezza più, se viene tracannato come acqua. (Ludwing Feuerbach) Il vino è il canto della terra verso il cielo. (Luigi Veronelli) Vino pazzo che suole spingere anche l’uomo molto saggio a intonare una canzone, e a ridere di gusto, e lo manda su a danzare, e lascia sfuggire qualche parola che era meglio tacere. (Omero) Nel vino voglio soffocare i dolori, al vino chiedo che faccia scendere negli occhi stanchi, consolatore, il sonno. (Albio Tibullo) Il vino è un composto di umore e luce. (Galileo Galilei) La vita è troppo breve per bere vini mediocri. (Johann Wolfgang von Goethe) Una donna e un bicchiere di vino soddisfano ogni bisogno, chi non beve e non bacia è peggio che morto. (Johann Wolfgang von Goethe) Gettiamo via gli affanni! Scorri vino in un fiume di schiuma in onore di Bacco, delle muse, della bellezza. (Aleksandr Sergeevič Puškin) Il vino sa rivestire il più sordido tugurio d’un lusso miracoloso e innalza portici favolosinell’oro del suo rosso vapore, come un tramonto in un cielo annuvolato. (Charles Baudelaire) Anima mia, alla tua zolla detti da bere ogni saggezza, tutti i vini nuovi e anche tutti i forti vini della saggezza, vecchi di immemorabile vecchiezza. Anima mia, io ti innaffiai con ogni sole e notte e silenzio e anelito: - e così tu crescesti per me come una vite. Anima mia, ora sei traboccante di ricchezza e greve, una vite dalle gonfie mammelle e dai grappoli densi, bruni come l’oro: - densa e compressa di felicità, in attesa per la tua sovrabbondanza, e vergognosa perfino del tuo aspettare. (Friedrich Nietzsche) “Il primo vino è bellissimo: è l’innamoramento. Ma non dura fino alla fine: deve venire un secondo vino, cioè deve fermentare e crescere, maturare. Un amore definitivo che diventi realmente ‘secondo vino’ è più bello, migliore del primo vino. E questo dobbiamo cercare”. (Benedetto XVI)

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il Gusto...

Di vino e di dove riporlo

Prendiamo dallo stupendo libro per famiglie Adesso 2012 i cinque motivi che i nostri nonni adducevano per stappare una bottiglia: la compagnia di un ospite, la sete di oggi, la sete di domani, la bontà di un vino, infine, ogni altra scusa.

“Questo implica – si legge nel volume curato da Paolo Massobrio del Club di Papillon – avere una cantina di casa. Per non incorrere in brutte sorprese, però, quando si organizza un ricovero domestico per i propri vini, è bene farlo avendo cura di scegliere un locale meglio se esposto a nord, nel sottosuolo, con temperatura costante di 12-15 gradi, asciutto, umidità che oscilla tra il 60 e il 75%, privo di odori, al riparo da fonti di vibrazione e preferibilmente al buio. Qui, su scaffalature in legno, si potranno custodire, inizialmente, un’ottantina di bottiglie, avendo cura di scegliere una cinquantina di rossi (che, in particolare per le tipologie più strutturate, non temono l’invecchiamento), e una trentina di bianchi i quali, bollicine comprese, meglio si prestano ad essere consumati senza lunghi invecchiamenti”.

Di uve e dei suoi fattori di salute Dal punto di vista dietetico l’uva è uno dei frutti più energetici, specie per il cervello. Contenendo abbondanza di zuccheri è però sconsigliata a chi soffre di diabete e obesità. L’uva è un fluidificante del sangue evitando la formazione di coaguli; è antinfiammatoria, antibatterica e antifungina; antiteratogeno in quanto evita lo sviluppo anomalo del feto in gravidanza; anticolesterolica; antitumore. “I polifenoli contenuti nell’uva – si legge in Adesso 2012 – evitano la degradazione dell’elastina e del collagene, contribuendo a mantenere l’elasticità della pelle. La dieta dell’uva è un eccellente intervento disintossicante: consiste nel mangiare solo ed esclusivamente uva più volte al giorno per un periodo di 3- 5 giorni”.


...Vendemmia e vino

La storia di Erasmo e della Maria Pia Castelli

La storia dell’Azienda agricola Maria Pia Castelli ha la sua genesi con Erasmo Castelli. Era lui il patriarca. Lui che, dopo gli studi in seminario, erano tornato alla terra e alla produzione agricola. Lui che, vignaiolo provetto, avendo studiato il latino, era considerato il saggio agricoltore e i contadini lo chiamavano per dirimere le questioni, specie quelle di confine. Il sig. Erasmo è morto nel 2003. Maria Pia, la figlia, e suo marito Enrico Bartoletti hanno voluto continuare il suo lavoro. E si sono tuffati con gran lena nella produzione vinicola. Di Erasmo non rimane solo l’affetto, il ricordo, qualche foto. Tra i vini di punta della Maria Pia Castelli, c’è un vino in purezza, un Montepulciano, a lui dedicato, che prende proprio il nome Erasmo Castelli.

In totale, le bottiglie prodotte sono circa 25 mila l’anno. Prendono la strada soprattutto del centro nord d’Italia. «A Milano specialmente» precisa Bartoletti, «Coccoliamo particolarmente la clientela italiana». Poi ci sono i mercati olandesi, belgi e tedeschi. Il vino sfuso – circa seimila litri - viene invece venduto quasi esclusivamente su prenotazione. E in tre giornate tipiche: quelle della merla, gli ultimi giorni di gennaio, i più freddi. Nell’occasione, lo stabilimento di Sant’Isidoro a Monte Urano, viene aperto alla clientela e vengono invitate ad esporre aziende agroalimentari del posto che così possono far conoscere i propri prodotti. Se c’è anche del jazz, come lo scorso anno, è meglio. Un sogno nel cassetto? Più che un sogno, è un progetto ormai raggiunto.

Ma non è l’unico vino prodotto dall’azienda di Monte Urano ad aver riferimenti e retaggi parentali. L’altro è lo Stella Flora, un bianco, con uvaggio di quattro vitigni: pecorino, passerina, trebbiano e malvasia. Stella Flora è il nome della nonna di Maria Pia, la proprietaria.

«La Maria Pia Castelli tirerà fuori a breve – in queste settimane è in affinamento - un passito d’uve montepulciano, occhio di pernice come si dice in gergo. Sarà un numero limitato di piccole bottiglie, e sarà un prodotto prezioso. Già venti sono le prenotazioni».

C’è poi l’Orano, un sangiovese, che richiama l’antica Monte Urano.

Il nome è stato trovato? «Ci stiamo pensando – risponde il sig. Enrico - forse avrà un riferimento a qualche parente o forse a qualche località. Vedremo».

Infine c’è anche il Sant’Isidoro, dal nome della contrada dove opera l’azienda. Si tratta di un rosato che proviene dal «salasso di due rossi», come spiega il sig. Enrico.

Prima di salutarci, dichiara la sua soddisfazione e un poco d’orgoglio per il lavoro svolto ed anche per i sacrifici affrontati. Ma questa è l’umana avventura.

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della vita


...Cinema e vino

Cinema diVino di Eleonora Quintavalle

Il vino è una una bevanda complessa. Ne esistono di svariati tipi e classificazioni, ognuno va servito alla propria temperatura ottimale e ci sono buone e cattive annate. Non sembra dunque un mistero il fatto che venga inserito raramente nel mondo del cinema: un brindisi, un aperitivo o una chiacchierata tra i personaggi è accompagnata più facilmente da un whisky o da un gin. Quando il vino entra a far parte della pellicola il risultato è di maggior importanza, più corposo e d'impatto.

Basti pensare ad Hannibal Lecter, il cannibale de Il silenzio degli innocenti (The Silence of the Lambs, 1991) interpretato da Antony Hopkins, che si mangiò un fegato “con un bel piatto di fave ed un buon Chianti”. Il vino sottolinea l'animo elegante di Hannibal, sotto le sue perverse patologie, e intensifica la sua dichiarazione.

Ci sono poi film che fanno del vino u n v e ro e p ro p rio c o nte s to , lo s c e nario d ov e p e rs o naggi e intre c c i s i muo v o no e mutano .

Oppure il Dracula di Francis Ford Coppola, un inquietante Gary Oldman che somministra la bevanda in questione a Johnatan Harker (Keanu Reeves), scusandosi per aver già cenato senza di lui ma discolpandosi subito con un “e poi non bevo mai... vino!”. è questo il caso de Il profumo del mosto selvatico (A walk in the cloud, 1995), dove la storia d'amore tra i due protagonisti, Keanu Reeves e Aitana Sanchez-Gijòn, nasce e cresce a Napa Valley, tra tramonti californiani e vendemmie.

Il vino innalza dunque grandi personaggi, come pure nel caso della famiglia Corleone, ne Il Padrino (The Godfather, 1972), sulla cui tavola non può mai mancare una bottiglia, o anche grandi film, come fa con Casablanca (id., 1942) dove scorrono fiumi di champagne.

Senza pensare poi al più sofisticato bevitore di tutti i tempi: James Bond. Diventato famoso per il Martini, è invece sempre stato un appassionato di vini, in particolar modo di champagne. Nei racconti di Fleming è sicuramente un dato di fatto, ma anche in alcune pellicole come ad esempio Licenza di uccidere (Dr. No, 1962).

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il Gusto...

Ed ancora, in Sideways (id., 2004), due vecchi amici decidono di partire per un viaggio di degustazione vini nella Santa Ynez Valley, California. Il Pinot nero californiano si rivelerà uno dei loro preferiti. Mentre in French Kiss (id., 1995) ritorniamo in Provenza, in una vigna ovviamente, per un happy ending d'amore tra i protagonisti (Meg Ryan e Kevin Kline).

Ne fa invece un documentario il francese Jonathan Nossiter, che indaga sull'impatto che la globalizzazione sembra avere nei confronti delle regioni produttrici di vino. Una denuncia alle grandi industrie che colpiscono e affondano i piccoli produttori locali legati fortemente alla tradizione e al territorio. Il titolo è Mondovino ed è stato girato nel 2004 in molte parti del mondo (Toscana, Francia, California, Sardegna, Inghilterra, Argentina e Brasile).

Per non parlare poi di Un'ottima annata di Ridley Scott (A Good Year), film del 2006 con Russel Crow, un uomo d'affari inglese che riceve in eredità la tenuta con vigneto dov'era cresciuto. Parte per la Provenza pronto a vendere tutto, ma poi riscoprirà i piaceri autentici della vita e l'amore.

In Rupi del Vino (2009) è invece il grande regista italiano Ermanno Olmi ad accompagnarci in un documentario sulle vigne terrazzate della Valtellina, simbolo del lavoro di generazioni di uomini e donne. Il vino è quindi un fulcro sia nella vita reale che in quella virtuale del cinema. è un nucleo che funge da catalizzatore di momenti intensi e che raramente scorrono via senza lasciare traccia.


...Vendemmia e vino

AZIENDA AGRICOLA R A P A G N A N O-I T A L IA

è dell’azienda Agricola Lumavite che vogliamo parlare. E quindi di passione, di radici profonde, di attaccamento ad un luogo, di voglia di terra, di solidità e di concretezza. Di quella realtà che nasce nel 2002 con l’acquisizione di un podere di circa otto ettari.

Il terreno si trova nel comune di Rapagnano, nella zona di santa Colomba. E’ un appezzamento al sole, vocato, come si dice, dove storicamente veniva coltivata la vite e dove da oltre 70 anni era presente una piccola cantina di vinificazione per la vendita locale. Il progetto trae origine dalla passione per il vino del suo fondatore, il dr Giancarlo Testa, i cui nonni erano gia proprietari, in un altro comune, di vigneti e di rivendita di vino sfuso (la tradizionale cantina), come era tradizione negli anni del primo novecento. Passione, allora, che scaturice da un DNA contadino che non ha subito trovato la sua realizzazione in quanto le “nuove” generazioni si sono allontanate dalle tradizioni famigliari per fare esperienze lavorative diverse (dal settore bancario a quello calzaturiero) sia nazionale che internazionale. Esperienze lavorative che hanno permesso di poter guardare e maggiormente apprezzare quale sia il vero “senso della vita”. Il gusto della vita ritrovato nella campagna, nei suoi prodotti, nella sua cultura. Un gusto riscoperto proprio perché prima si è fatto altro. L’azienda agricola Lumavite nasce e cresce per l’apporto di alcuni uomini insostituibili, come il dr Claudio Totò, che ne è contitolare e la dirige, e come l’enologo Giovanni Basso, l’uomo che ha subito sposato la filosofia aziendale. E i primi risultati sono subito venuti. Quattro vini: il TUSIANO (100% Montepulciano), il FRASSETO (100% Sangiovese), il SESSANTADITINO (100% Sangiovese), il VIDACILIUS (Montepulciano, Sangiovese, Syrah) che sono la summa di tale filosofia, e cioè: qualità, rispetto della terra, convivialità. Qualità. In quanto non si accettano compromessi né in

vigna né in cantina. Il buon vino si fa in vigna e non in cantina. Quindi cura rigorosa della vigna, raccolta manuale, bassissima resa per ettaro, cernita dei piccoli lotti vinificati per ottenere

solo l’eccellenza. Rispetto della terra. Non si utilizzano né diserbanti né pesticidi, ma concimazione organica con letame e sovescio di leguminose (dove il sovescio arricchisce il terreno di sostanza organica, aumenta le riserve idriche, migliora la struttura del suolo, protegge dal dilavamento), utilizzo di lieviti “selvaggi” e non selezionati nella vinificazione, non filtrazione al momento dell’imbottigliamento. Convivialità. Chi acquista il prodotto dell’Azienda agricola Lumavite ne sposa la filosofia. «Non sono clienti – spiega Giancarlo Testa - ma compagni di un viaggio che tutti auspichiamo il piu “ricco” possibile». I successi non sono mancati. Il Vidacilius, ad esempio, è volato alto con Alitalia che lo ha scelto per la classe OTTIMA, la classe business della compagnia di bandiera tricolore. Il Frasseto ha ricevuto, la primavera scorsa al Palazzo dei Capitani di Ascoli Piceno, l’ambio premio AIS. La fine del 2012 sarà anche il periodo del nuovo vino. Il Cuore perduto è un gran passito che viene immesso sul mercato proprio in questo periodo dopo cinque anni di invecchiamento. Un altro successo. Un altro brindisi. Alla voglia di fare, alla voglia di esserci. In campagna. E non solo. Az. Agr. LUMAVITE - c.da Santa Colomba Rapagnano (FM) Tel. 338/7473752 - 335/1291221 www.lumavite.it

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della vita


Comune di...

C’è una città perfetta nelle Marche. è l’antica Castel Clementino, l’attuale Servigliano. Ma perché “perfetta”? Perché «costruita tutta in una volta», come spiegano gli architetti che di Servigliano sono innamorati e la studiano, la studiano ed ancora la studiano.

L’opera di Virgino Bracci resta un esempio del buon e ben costruire. «La forma della pianta – si legge in una accurata pubblicazione - è simile a quella del castro polibano di cui Servigliano riproduce alcuni elementi: il Cardo, che unisce le due porte laterali, Clementina e Pia, e il DecuCollegiata di San Marco

mano (o asse principale) rappresentato dal Corso Vecchiotti che conduce alla collegiata. Il progetto della nuova Servigliano rimanda per il suo impianto alle sperimentazioni che la cultura illuministica e razionalizzatrice del ‘700 effettuò in ambiti e contesti diversi: si pensi a molte città calabresi a matrice quadrata, a centri come Filadelfia».

Lo scrittore ed architetto Max Chelli, licenziando un volumetto sulla “Civitas Perfecta”, ha ricordato che Servigliano non è un monumento nato nel

1700, è invece «un giacimento culturale, non un capolavoro universale, ma un delizioso compendio del pensiero architettonico settecentesco».

«Per quell’etica del futuro che esorta i contemporanei a lasciare alle nuove generazioni un mondo vivibile, dobbiamo anche noi sentire il dovere di conservare le opere di bellezza costruite dai nostri padri. L’etica del futuro si ricollega allora a quella che mi vien di chiamare l’etica del passato…», si esprimeva così il compianto dr Sandro Totti, medico di fama, granPalazzo Filoni Ex Gualtieri


Comune di... de umanista, serviglianese doc, presentando il primo quaderno di Castel Clementino. Gli faceva eco Max Chelli: «Nella congerie d’attentati e di svilimenti operata dagli italiani ai danni del proprio patrimonio artistico, il centro antico di Servigliano può dirsi una fortunata eccezione. La sua collocazione sul territorio lo ha posto al riparo da interessi fondiari troppo forti; è vivo tra i suoi cittadini l’interesse verso le proprie radici storiche». Servigliano è stato graziato. Non ha subito scempi, la sua parte originaria e antica è rimasta grosso modo la stessa.

preparato le forme in cartone, chi usa il gesso sulla pietra, chi stende i petali, chi riassetta i margini. Un lavoro di squadra. Un lavoro di…comunità. Ha ragione il sindaco Maurizio Marinozzi. Se c’è un luogo vocato a diventare un centro commerciale all’aperto, quello è proprio il centro storico e antico dell’ex Castel Clementino. Ci sono tutti i negozi che possono rispondere alle necessità della gente, dei turisti, dei visitatori occasionali. E sono bei negozi, curati, ricchi, avvincenti, ospitali. Come curate sono le abitazioni con i loro numeri civici ben disegnati. Le indicazioni per il Centro Commerciale Naturale

Case a due piani, nella cinta muraria, qualche palazzo che svetta all’interno. E poi, la piazza grande: piazza Roma, luogo di manifestazioni (da qui parte ad esempio il pellegrinaggio a piedi al santuario dell’Ambro, qui si svolgono le Fiere tradizionali e gli spettacoli dell’importante Torneo cavalleresco). Se piazza Roma è il cuore pulsante, altre piccole piazze si aprono all’interno dell’incasato, piene di verde e di quiete. Un luogo per passeggiare tranquilli. C’è un clima forte di comunità a Servigliano. Per scoprirlo dovreste recarvici in occasione della Festa del Corpus Domini, quando viene allestita l’Infiorata. Alle cinque del mattino gli abitanti sono già svegli e tutti – dico tutti: giovani, adulti, bambini – partecipano all’iniziativa che concerne nel realizzare un tappeto di fiori per le vie disegnando le immagini più avvincenti. C’è chi li ha raccolto, chi ha Piazza Roma e Palazzo Pubblico

Servigliano, a metà strada tra il mare e il monte, attrae. E sempre di più l’amministrazione comunale cerca di perseguire questa sua politica, chiamiamola: centripeta, che ha fatto del comune la capitale della media valle del Tenna. Una storia antichissima contrassegna la città. è ravvisabile nei resti di ville romane come nei monumenti religiosi: la chiesa di santa Maria del Piano, il convento dei Frati Minori Osservanti, oppure la settecentesca Collegiata di san Marco (la chiesa più importante) probabilmente disegnata da Cosimo Morelli, i palazzi Vecchiotti e Navarra, le case a tre piani per la borghesia. I Piceni prima, i romani poi, e quindi l’influenza benedettina-farfense, le vicende dell’Insorgenza anti francese di fine settecento, è come se avessero iscritto il loro marchio nella terra. Terra ricca, terra feconda, terra felice.


...Province

Sede della Provincia del Piceno a Fermo? Lettera aperta agli Amministratori, alla Provincia, alla Regione, al Governo

La maxiprovincia del Piceno, nel progetto attuale di ristrutturazione delle Province italiane, deve unificare i territori delle Province di Macerata, Fermo e Ascoli Piceno. Il dibattito è già cominciato e i rappresentanti delle tre Province cercano di far valere le loro ragioni. Non discuto il progetto di legge che deve ridurre le spese e riorganizzare in maniera più attuale la Regione Marche. Se c’è questa necessità dobbiamo cercare di profittarne nel modo migliore possibile per lo sviluppo futuro del nostro territorio e per limitarne gli errori. L’attuazione da parte del Governo dei Tecnici si presuppone sia libera da intromissioni politiche e localistiche. Le tre province ipotizzate: Pesaro-Urbino; Ancona e il Sud Piceno corrispondono ad una visione storica e di ampio respiro europeo. Già Napoleone Bonaparte del resto aveva diviso le Marche in tre Dipartimenti o Prefetture: del Metauro con capitale Ancona; del Musone con capitale Macerata, del Tronto con capitale Fermo. I due territori di Macerata e Fermo (in gran parte unificati nel passato dallo Stato di Fermo inserito nello Stato Pontificio) hanno molte caratteristiche comuni e soprattutto hanno in comune lo sviluppo economico che si è fondato nel passato su una agricoltura fiorente con la mezzadria e più recentemente fino ad oggi sullo sviluppo di una industria prevalentemente calzaturiera e su un artigianato di lusso che hanno determinato il cosidetto modello marchigiano studiato e analizzato in tutto il mondo. Diversa la situazione di Ascoli Piceno, città dislocata nell’estremo sud della regione e a ridosso del territorio abruzzese: localizzazione decentrata e scomoda rispetto all’intera zona presa in considerazione (la futura Provincia del Sud Piceno). Diversità che è stata sottolineata sin dal 1950 con la istituzione della Cassa del Mezzogiorno che ha inserito Ascoli e venti Comuni limitrofi nel provvedimento di cospicui aiuti finanziari per sostenere un territorio sottosviluppato, mentre Fermo con altri 48 Comuni, appunto dell’area fermana, ne sono rimasti al di fuori. Ancor di più il territorio maceratese. Aiuti comunque che

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il Gusto...

non sono serviti, purtroppo, a far nascere e a far funzionare una economia autonoma: le industrie create con i finanziamenti della Cassa del Mezzogiorno non hanno mai decollato e sono in gran parte già chiuse. Il territorio di Ascoli Piceno dunque differisce profondamente da Fermo e Macerata per moltissime caratteristiche: si può eguagliare alla situazione del Mezzogiorno d’Italia, specialmente per la sua reiterata tendenza a incamerare aiuti assistenziali e governativi senza avere capacità propria di crescita. Non si capisce quindi per quali ragioni il Ministro Patroni Griffi e l’onorevole Mastella suo supporter dovrebbero proporre Ascoli Piceno quale nuovo capoluogo della Provincia allargata (cfr articolo del 24 luglio sul Corriere Adriatico e interventi successivi) date tutte le caratteristiche elencate. Del resto basterebbe da parte del Ministro di un Governo Tecnico uno sguardo alla carta geografica delle Marche per rendersi subito conto di un errore madornale senza giustificazione. Per fare oggi il punto della situazione concreta del territorio suggerisco ai rappresentanti istituzionali e politici di proporre per ragioni di equità storico amministrativa e di riequilibrio, che il governo della provincia allargata sia stabilito a Fermo e per alcune validissime ragioni:

1.

perché Fermo dando un semplice sguardo alla carta geografica delle Marche risulta il punto centrale del territorio da unificare.

2.

perché Fermo è situata sulla costa vicino al mare, dispone di un porto di 1000 posti barca all’interno della famosa macroarea adriatica. È servita dall’autostrada A14 con due caselli a nord con quello di Porto Sant’Elpidio e a sud quello di FermoPorto San Giorgio. È inoltre inserita sulla linea ferroviaria adriatica con una stazione Porto San Giorgio Fermo, che dovrebbe essere potenziata. Non ha comunque bisogno, come Macerata e Ascoli, situate

nell’interno, di linee secondarie ed accessorie per le comunicazioni ferroviarie.

3. perché Fermo, rispetto a Macerata, non

solo non ha avuto l’amministrazione provinciale del suo territorio sino alla giusta recente istituzione, ma non ha i due poli culturali trainanti e sovvenzionati dallo Stato che sono la fiorente ottimamente gestita Università e la famosa Arena Sferisterio con la sua stagione.

4.

Sul canone di valutazione generale adottato dal Governo riguardo alla popolazione del più numeroso capoluogo provinciale, c’è da tenere presente che la somma dei due centri Fermo e Porto San Giorgio (un continuum abitativo, edilizio e sociale), costituiscono una città di circa 60/65.000 abitanti. Per non parlare del continuum tra Lido di Fermo e Porto Sant’Elpidio, Porto Sant’Elpidio e Civitanova Marche, Porto Sant’Elpidio e Sant’Elpidio a Mare! Un bacino di utenze/abitanti per la nuova maxiprovincia “quasi unico” per concentrazione e numerosità.

5. Quinto ma non ultimo motivo è dun-

que il fatto storico, più volte rilevato, che Fermo ha subito da 150 anni un ridimensionamento amministrativo voluto dal potere centrale senza giustificazioni oggettive e concrete: castrata dalla Monarchia dei Savoia dopo l’unità d’Italia, per ostilità politica nei confronti della troppo potente e ricca Archidiocesi fermana, che ancora oggi ingloba il territorio più fiorente di Macerata. Il suo Arcivescovo Cardinale Filippo De Angelis fu trasferito addirittura a Torino in domicilio coatto per otto anni da Cavour. Ora in età ormai repubblicana e di convivenza civile con la Chiesa e i suoi rappresentanti è ora di riconoscere a Fermo, per una equità storico amministrativa e politica, la sua posizione centrale nel Piceno, le sue caratteristiche geografiche e strutturali, le sue capacità imprenditoriali e culturali.


...Province

...Il Libro

Dalla tradizione religiosa alla riscoperta dei dialetti locali: il contributo del Professor Fortunato Frontoni

È ora di riconoscere che Fermo e il Fermano nonostante le vicende storiche avverse (cfr il trasferimento del capoluogo provinciale del 1861 ad Ascoli, la Cassa del Mezzogiorno assegnata ad Ascoli dal 1950 al 1984 e negata a Fermo) non si sono mai ancorati al passato, ma hanno sempre cercato vie nuove sia nell’economia, sia nella relazioni commerciali, sia nella cultura e nella Scuola proiettandosi sempre nel futuro. Fermo ha sempre amministrato un territorio economicamente vitale in cui le classi popolari hanno esplicato attivamente una loro funzione autonoma che ha permesso un moderno sviluppo dell’agricoltura mezzadrile e delle manifatture a domicilio nelle campagne (come nel modello della rivoluzione industriale inglese). Da sottolineare è l’importanza del porto nei periodi economicamente più attivi e la giurisdizione sul litorale adriatico detenuta da Fermo per secoli dal Potenza al Tronto, poi dal Chienti al Tronto e infine dal Chienti al Tesino fino al 1927. Il grande patrimonio culturale ed artistico di cui il Fermano ha usufruito per secoli nelle città e nei Castelli oggi Comuni, non è stato di impedimento di chiusura aristocratica, ma motivo di evoluzione e orgoglio per tutte le classi sociali che hanno teso cercato ad adeguarsi ad un modello di vita civile e urbana. La cultura del passato non ha impedito la novità ma è stata il supporto delle idee. Ho fatto queste riflessioni e vorrei fossero approfondite da altre voci e con altri argomenti. Io le ho poste sul tavolo per vagliarne la validità e l’importanza agli occhi degli Amministratori, degli Enti, della Regione Marche e del Governo centrale. Per essere equi nei confronti della storia e forti nei confronti del futuro, alleati di un pensiero amministrativo governativo e non per interessi particolaristici e localistici, seppure con il senso dell’onore di chi si sente figlio di una terra NON “seconda” e quindi con il diritto e la responsabilità di provare a candidarsi leader. Farsi avanti.

Un libro di Manlio Baleani dal titolo "Fuga in Egitto. Il racconto di Matteo in quaranta idiomi parlati in Italia" raccoglie i contributi dialettali di vari autori tra cui il Prof. Fortunato Frontoni di Montappone. Nel vangelo di Matteo (cap. 2 vv. 13-15) si racconta la precipitosa fuga della sacra famiglia in Egitto per sfuggire alla strage ordinata da Erode sui bambini maschi. L’ennesimo esempio di come sia necessario emigrare in terra straniera per salvarsi dalle persecuzioni o dalla fame. Era già successo a un intero popolo, quello di Israele, secoli addietro. Anche oggi in un mondo globalizzato, dove è facile spostare ricchezze, ci sono masse di diseredati che cercano scampo in altri Paesi. La raccolta dei testi nelle lingue e dialetti, a partire dal patois valdostano al logodorese sardo, vuol ricordare a tutti gli italiani questo dramma. Ci sono traduzioni molti simili al testo, altre in un racconto più libero. Molte sono in prosa, ma spiccano composizioni poetiche che rendono la narrazione più popolare. Infine tra le versioni riprodotte, vi sono testi datati 1858-64, pubblicati a Londra e ritrovati solo qualche decennio fa. A Frontoni è toccato il dialetto montapponese dell'entroterra fermano, declinato in vernacolo, sempre sulla base dello stesso testo dell'Evangelista Matteo. Il libro, edito da Controvento, impreziosito dall'introduzione di Mons. Giovanni Tonucci, Vescovo di Loreto, evidenzia l'importanza delle diversità linguistiche, valorizza le culture locali e i tanti studiosi che, nell'anonimato, conservano e trasmettono le tradizioni.

Teresa Romani Adami

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della vita


...Ottobre all'Abbazia

Quattro sabati d’ottobre che si vestiranno dell’antica tradizione legata alle realtà monastiche, immersi in uno scenario naturale quale l’Abbazia dei Santi Ruffino e Vitale.

AMANDOLA 2012- Dopo il successo della prima edizione, anche quest’anno viene riproposto l’evento “Ottobre all’Abbazia”, sinergia tra cultura e spirito. L’Abbazia dei Santi Ruffino e Vitale sarà teatro di quattro appuntamenti che si concluderanno con Cene evento dal titolo “Sobrietà e povertà della cucina monastica”, aventi ognuna un proprio tema. Ci si potrà immergere in una suggestiva atmosfera nel quale divengono protagoniste pietanze che costituivano l’antica tradizione alimentare di monaci e monache. I piatti proposti derivano da un’ accurata ricerca storica ed enogastronomica, tra vari monasteri e conventi di differenti regioni italiane ed internazionali, dai toni rigorosi e semplici. Un salto di tradizione nel mondo della genuinità grazie ad attenti e scrupolosi studi a cura del Monastero Benedettine “Santa Caterina d’Alessandria” Monte San Martino in collaborazione con gli chef dell’Associazione cuochi della provincia di Fermo; ricerche di Novella Gioga, Dott. Matteo Breda e

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il Gusto...

CENE MONASTICHE

nedettine di Monte San Martino), frico carnico (una delle ricette del XV secolo ad opera del Maestro Matino), zanzarelli (ricetta lucchese del monastero di Altopascio), olive conce (ricetta tradizionale delle Clarisse del Monastero di San Lorenzo a Belfiore in Chienti), pasta con sugo verde (ricetta delle Terziarie Domenicane della Casa del S. Rosario di Avellino) e la focaccia di granoturco (ricetta tipica delle agostiniane di Montefalco). Un evento che non mancherà di stupire attraverso l’esperienza di ricette semplici ed essenziali e al tempo stesso gustose, sulla base della concezione tradizionale della vita monastica.

in cucina sarà presente il Prof. Pierpaolo Piermarini dell’Istituto Alberghiero di Sant’Elpidio a Mare ; Luciano Scafà e Simone Valentini, per la parte culinaria e in ultima serata ricerca di Ermetina Mira dalla“La Cucina dello Spirito” e Mirella Ghimis, in cucina. Fra i piatti proposti nei menù si potrà assaporare carne alla campagnola (ricetta delle suore del Monastero Be-

“La povertà e il mangiar poco aiutano la mente e lo spirito” (cit. Suore del monastero di Monte San Martino). Per informazioni e prenotazioni: Eros +39 335 458296 Padre Benedetto +39 349 7880292 info@terredisanruffino.it www.ottobreallabbazia.it



...La Sibilla

I Fiori invisibili

della montagna fatata Antoine de La Sale aveva promesso alla dama Agnese di Provenza che avrebbe compiuto una grande avventura alla ricerca del regno della Sibilla italica. Da cavaliere onesto e probo, fece l’impresa e ne scrisse nell’immortale Il Paradiso della regina Sibilla. Nel libro trattò anche dei fiori e delle erbe dei Monti Sibillini. Ed è quello di cui ora ci piace trattare. Cos’è il Pollibastro e dove si trova l’Erba del Centofoglie? Cesare Catà, nel libro già citato “Filosofia del fantastico”, scrive che “Tali fiori, che La Sale descrive quasi minuziosamente, benché a lungo cercati tra i prati dei Sibillini, non sono fino ad oggi mai stati identificati con certezza”. Il Pollibastro è probabilmente una varietà della menta, “le cui proprietà sono già annoverate nel trecentesco Livre des Propriétés del Choses di Jean Corbechon, che forse La Sale conosceva”. La gente dei Monti della Marca - ora è il cavaliere scrittore a parlare - “utilizza il Pollibastro per profumare i cibi e i bauli della biancheria, e lo fa seccare e poi ridurre in polvere, per metterlo nei piatti a mo’ di spezia”. Per quanto riguarda invece la pianta del Centofoglie, monsieur Antoine scrive: “Questo non è un soprannome, poiché la pianta ha esattamente cento foglie, né una di più, né una di meno. Dal centro della pianta si alza un fiore simile a una campanula, nella quadrata di un azzurro assai delicato, con all’interno un fiorellino. Tutt’intorno a questo fiore, si trovano le centofoglie…La gente del luogo afferma che questa pianta possegga numerose virtù”. Come aveva fatto per la montagna e l’ubicazione dell’ingresso al regno della Sibilla, anche in questo caso il de La Sale accluse allo scritto due disegni. Catà si chiede: “è possibile che egli descrivesse delle piante presenti sui Monti della Marca nel XV secolo, e più tardi scomparse?”

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il Gusto...

"Il Paradiso della Regina Sibilla" di Antoine de La Sale

“Potremmo crederlo”, si risponde, “Ma, più profondamente, è come se le parole di La Sale ci invitassero a compiere un passo in avanti, e di diverso tenore, nei confronti della realtà. Come se lo splendore della pianta di Centofoglie e il profumo del Pollibastro fossero qualcosa la cui esistenza non può, e non deve, essere testata e intesa nei termini di una presenza materica. Come i crini intrecciati dei cavalli, il profumo del Pollibastro sembra appartenere a quella geografia dell’immaginario che La Sale delinea nel suo straordinario resoconto, nel quale il reale e il fantastico costituiscono un unicum indivisibile”. Fiori invisibili agli occhi, ma percepibili con il cuore.

A. Le.


...Paesaggio

IL PAESAGGIO NELLA MEMORIA

di Liana Cognigni

Foglie, fiori e frutta delle campagne marchigiane

Falene diurne, Torrente Ambro, Montefortino (FM) Parco Nazionale dei Monti Sibillini, luglio 2012

Querce frondose, siepi, cortine di alberi, piante da frutto dalle grandi chiome e una ricca biodiversità di flora e fauna caratterizzavano le campagne marchigiane. Fino agli anni settanta, il paesaggio agrario collinare della media Valle del Tenna era cosparso di viti, olivi e alberi da frutto che costituivano il soprassuolo dei seminativi semplici, suddivisi in appezzamenti di piccola o media estensione e coltivati a rotazione. Si lasciava la compresenza di siepi e piante arboree con le colture di grano, granoturco, erba medica, barbabietole da zucchero ed orticole, in avvicendamento per qualificare i raccolti e sostenere la fertilità dei suoli. Ciliegi, peschi, susini, albicocchi, fichi, peri e meli erano molto diffusi ed ognuno con le diverse varietà. Attualmente, il paesaggio e le colture agrarie sono cambiati: nuove espansioni edilizie consumano suolo, così come gli ecologici impianti fotovoltaici, antiestetici e fuori luogo in mezzo alle belle campagne che, tendenzialmente, sono passate da seminativi arborati a seminativi semplici, da piccoli appezzamenti a monocolture estese; persistono gli olivi, sparsi o in sesti regolari, e i vigneti, a testimoniare le loro antiche e straordinarie proprietà vegetative. Le espanse chiome delle roverelle offrivano stagionalmente ombre, sotto le quali si cerca-

Falene diurne, Torrente Ambro, Montefortino (FM) Parco Nazionale dei Monti Sibillini, luglio 2012

va refrigerio nella calura estiva, e tappeti di ghiande, che ricoprivano i suoli, raccolte per i maiali. Lo stormire del vento tra le chiome e la pioggia battente sulle foglie diffondevano suoni suggestivi per le campagne. In primavera, era tutto un fiorire di alberi da frutto e di prati punteggiati di giallo del ranuncolo o botton d’oro e del tarassaco o dente di leone, e un continuo svolazzare di rondini, uccellini ed insetti, tra cui le falene blu quasi nere, numerose e lente nei movimenti, con un ampio anello giallo sull’addome e macchie bianche sulle ali (Syntomis phegea). Come per magia, le ho riviste dopo tanti anni questa estate, lungo gli argini del torrente Ambro (vedi foto sopra). Sui cigli dei fossi e delle strade brecciate o intorno alle case, sbocciava una profusione di fiori ed erbe spontanei: pratoline, viole mammole, giacinti, narcisi, finocchio selvatico, malva, menta (mentha viridis), camomilla,… Le infiorescenze della camomilla venivano raccolte e messe a seccare in casa, nelle stanze inondate dall’effluvio delicato e inconfondibile. Le foglie di menta venivano utilizzate in cucina, specialmente, nella cottura della trippa in umido. Anche per i bambini, incaricati di strapparne qualche fogliolina alla bisogna, era facilissimo individuare la menta, grazie alle sue foglie pelose e rugose al tatto, nonché al suo profumo forte e deciso. Altro compito, spesso demandato alle bambine, era quello di andare alla ricerca di erbe fresche per fare

l’insalata troata. Andar per campi con l’intento di riempire il canestrino di vimini, non era poi un’incombenza spiacevole! I campi e i prati riservavano generosamente piantine spontanee di rucola, cicoria, mastrici, grespegne: era difficile sbagliare, perché venivano attentamente selezionate, osservando i margini, la forma e il colore delle foglie. I bambini, allora, erano frugivori, trovando delle leccornie anche nell’orto. I baccelli di piselli e fave freschissimi venivano aperti e mangiati ad ogni ora della giornata; la mia amica Laura andava ghiotta dei cuori teneri dei carciofi. A seconda delle stagioni, si faceva scorpacciate di frutta, spesso, raccolta e mangiata sulla pianta, che piaceva molto, pure acerba, o matura, saporita e succosa. Ad esempio, i grappoli maturi dell’uva moscata (moscatello), gustati direttamente sulle viti, in genere maritate all’acero, offrivano dei chicchi dolcissimi di colore giallo oro che ti facevano sentire parte di un raggio di sole, assaggiando l’energia catturata dalla pianta tramite la fotosintesi clorofilliana. Pampini di viti che, grazie ai carotenoidi e antocianine contenuti, in autunno, si tingono di giallo, arancione e rosso continuando a colorare il bel paesaggio marchigiano.

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della vita


...La Dieta Mediterranea

La dieta della Sibilla. Omaggio allo scomparso prof. Flaminio Fidanza

Prof. Flaminio Fidanza

“La dieta Mediterranea è stata sancita dall’Unesco come ‘patrimonio culturale dell’umanità, definita dal Senato americano ‘il miglior modo di mangiare’ e adottata dal mondo scientifico quale standard di riferimento dell’alimentazione equilibrata, sostenibile e raccomandabile”.

è quanto leggiamo nella par te conclusiva di un volu me stupendo dal titolo: “Sibilla Italica. M iti e misteri dei Monti Sibillini” (Fas Editore). Lo ha scr itto un medico -sto r ico -scr ittore, Lando Siliquini, già sindaco di Montefor tino. Medico ed umanista. E an che nutr izionista.

"La Sibilla Appenninica" di Adolfo De Carolis

“Meno noto – si legge anco ra nel testo – è il r uolo pr inci pe avuto dalle vallate dei Si billini nell’attuale validazione scientifica e in passato nella nascita e trasmissione di que sto regime alimentare”. “La dieta mediter ranea – continua Siliquini – è stata scoper ta e valor iz zata dal fisiologo amer icano Ancel Keys, che aveva visitato l’Ita lia nel per iodo bellico, e dal famoso nutr izionista italiano Flaminio Fidanza [Fidanza, or iginar io di Magliano di Tenna è mor to alcuni mesi fa a Perugia ultranovantenne, ndr], i quali avevano condotto insieme delle r icerche negli anni cinquanta, esattamente mez zo secolo fa av viarono il Seven Count ries Study in sette na zioni di tre continenti (Finlandia, Olanda, Gre cia, Italia, Jugoslavia, Giappone, Stati Uniti), coinvolgendo Montegiorgio e la media vallata del Tenna (insieme a Crevalcore e Nicotera) fino a provare la super ior ità di tale stile alimentare e di vita ai fini della salute e della longevità”. Siliquini spiega che si tratta di una dieta ba sata su prodotti “locali stagionali freschi o con ser vati in maniera naturale, plur ifrazionata e calor icamente propor zionata alle esigenze del giorno, resa appetibile da un’ar te culinar ia plu r isecolare che ha fatto di necessità vi r tù, gu stata con mer itata lentez za; dove giocano un r uolo fondamentale l’attività fisica, la combi nazione dei cibi, un parsimonioso uso del sale, l’atteggiamento equilibrato verso il cibo, l’ab bondante esposizione solare, le acque di sorgente, l’assenza d’inquinamento, l’ossigenazio ne ottimale”.

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il Gusto...

Sotto il profilo alimentare la dieta mediter ranea vie ne descr itta come una pi ramide. La base è costituita dall’uso quotidiano di ce reali specie integrali, verdure, fr utta fresca, dolcifi canti g rez zi e g rassi vegetali dell’olio d’oliva e dei fr utti oleosi (noci, mandor le, nocciuole); la par te sovrastante è quella alternata nella setti mana dell’uso di legumi, latticini, uova, car ni bianche e pesce, con consumo appro pr iato di vino. Il ver tice della pi ramide simboleggia il r i dotto utiliz zo delle carni rosse, degli zuccher i semplici, dei cereali troppo raffinati, del sale e dei grassi animali.

Scr ive ancora Siliquini: “In effetti, per dieta mediter ra nea s’intende un modello compor tamentale che è salute, tradizione, cul tura, piacere, socializ zazione, equilibr io, ov ve ro un insieme d’abitudini alimentar i, unite ad uno stile di vita attivo, che caratter iz zavano so prattutto gli ambienti r urali dei paesi che si affacciano sul Mediter raneo. Un tesoro del quale i paesi dei Sibillini sono straordinar i depositar i, anche per la rara salubr ità ambientale che essi offrono”. E la Sibilla? La dieta mediter ranea è stata “scoper ta e identificata pienamente e pr ima r iamente con la cultura culinar ia, lo stile di vita e la salubr ità ambientale delle vallate che scendono dai Sibillini”. E lassù, in cima alla Montagna, ci rcondata dalla sua corona, visitata da cavalier i, av ven tur ier i e pellegr ini, aveva sede il regno della Si billa. Nella sua cucina, ci piace immaginare, la Regina diventata Vergara: la verga ra Sibilla. A. Le.


...Il Pane

Pane nostrum: il pane sciapo

di Amedeo Grilli

In tutta la fascia dell’Italia centrale, dalla Toscana alle Marche passando per l’Umbria, il pane si fa senza sale, molte sono le storie che si raccontano sul perché di questa antica tradizione.

è una abitudine antica, già nel 1200 è diffuso il pane senza sale, per cui Dante Alighieri, parlando dell’esilio nel XVII canto del Paradiso, scrive: “Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui, e come è duro calle / lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale...”. Molte sono le storie legate al pane senza sale: i Perugini fanno risalire al 1540, quando papa Paolo III impose loro l’acquisto del sale dalle saline pontificie e per non soggiacere alla disposizione gli umbri decisero di non usare il sale nel pane; il pane “sciocco” fiorentino, trae le sue origini da un noto evento: nel XII secolo il prezzo del sale in Toscana salì alle stelle a causa della decisione di Pisa - in conflitto con Firenze - di bloccare il commercio del sale che arrivava in quelle terre proprio dal porto pisano per cui si decise di risparmiarlo nel pane. Non conosco il vero motivo né la mappa precisa delle zone d’Italia del pane senza o con il sale, sicuramente la fascia centrale italica lo fa senza sale ed è bene tener presente che nelle aree lontane dalle coste, il sale era un bene di lusso, ma non credo che sia questo il solo motivo del pane sciapo. Nelle Marche l’insediamento abitativo era prevalentemente distribuito nelle case sparse, per cui il pane non si comprava nei forni, se non nelle città più grandi. Nelle campagne il pane si faceva una volta a settimana, esso doveva durare sette giorni e l’aggiunta di sale, che rende il pane più “gommoso “ e lo fa indurire più in fretta, oltre ad inibire l’attività del lievito che viene disidratato dall’azione del cloruro di sodio, non contribuiva alla buona conservazione del prodotto.

Dicono sia un bene anche per la salute non assumere sale con il pane ma anche a prescindere dalle esigenze di salute, il pane senza sale valorizza molto il sapore base e si presta perfettamente ad esaltare il sapore del companatico. Ma che buono! Non si disfa, non copre i sapori, dura di più, perché il sale è igroscopico e pertanto non assorbe umidità. Mangiar pane è una abitudine diffusa, non solo per ridurre la quantità di companatico e quindi risparmiare, ma è una modalità di alimentazione che amplia la gamma di sapori. Il pane aggiunge sapore ai cibi ed il suo uso associato ai vari alimenti contribuisce a creare nuovi sapori, addirittura diversi dai due componenti pane e companatico considerati separatamente. Si crea così una nuova gamma di sapori inediti, perché allora aggiungere il terzo sapore del sale a quello dato dal profumo della farina impastata con acqua e lievito? Saper gustare un cibo è anche stabilire un perfetto bilanciamento tra pane e pietanza. Nelle famiglie marchigiane si mangiava pane fatto a mano, a lievitazione naturale utilizzando il lievito madre che si tramandava di giorno in giorno. Una volta lavorato sulla apposita tavola di legno, veniva lasciato nella madia a riposare per la lievitazione coperto con i teli di cotone bianco e le coperte di lana. Per infornarlo si utilizzava l'apposita pala di legno per la cottura nel forno sempre a legna. Mentre si cuoceva il suo profumo riempiva le case vicine dando il buongiorno agli abitanti. Ricordo l’odore del pane appena sfornato, il suo calore quando lo si tirava fuori, gli occhi

dei ragazzini che aspettavano di mangiare la crescia fatta con la pasta di pane. Le forme erano solamente file e filoni. Non c’erano i panini, il pane si mangiava a fette. Il ricordo di gusti perduti: quello della fetta di pane tiepida e soffice con dentro una fetta di prosciutto o di mortadella, quello di una fetta di pane ancora caldo e profumatissimo con un filo di olio nuovo, oppure gli originali sapori del pane con uva, fichi, noci, la fetta di pane con olio sale e maggiorana, o con vino e zucchero. Il pane anche associato alla pasta asciutta crea un sapore inedito e per finire poi con il pane secco pancotto o panzanella. Tutti conoscono l'antica bruschetta o panunto, la nutella è moda molto recente!!! Il tutto con il pane senza sale, sciapo; i salumi erano saporiti ed anche il pesce si conservava con il sale (baccalà, aringhe ecc). Penso che anche questo modo di far pane sia un elemento identitario, proviamo a a raccontarlo e a farlo gustare ai tanti turisti che vengono ed apprezzano la nostra terra . Oggi ogni forno propone pane in tutti le modalità, ed in tutte le forme, non solo con il sale ma con oli, grassi, olive, semi ecc…, per fortuna che in un angolino c’è ancora una fila di pane “normale” quello senza sale, quello che racconta la nostra storia.

Alcuni proverbi: C'hai lo pà e le legne? Lassa che négne. Chi c'ha lu pà n'c'ha li denti. Magnece lo pà.

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della vita


...Diario di Bordo

La riscossa della montagna E della qualità Sabato 1 settembre. Smerillo. Un’oasi di fresco. Quasi di freddo. Nuvole veloci attraversano la vicina Sibilla. L’estate sembra alle spalle. Rintraccio 60 persone in silenzio nella sala dei fossili. La più parte è seduta, schiena dritta. Gli altri in piedi, immobili come fusi. Tutti con gli occhi chiusi. Il “maestro” Luigi Lombardi Vallauri (76 anni, fisico asciutto da alpinista nepalese, favella ipnotica) sta parlando di noi come di “figli delle stelle”, eppoi d’acqua e d’idrogeno, di ghiaccio pietre e sole. Il docente di filosofia del diritto, da tempo molto critico nei confronti della dottrina della chiesa cattolica, ha sviluppato una mistica laica che mixa scienza e meditazioni orientali. La meditazione fa parte di un evento che Domenico Baratto e l’Associazione Wega hanno proposto ad Amandola, Smerillo, Montefortino. è il Filofestival, la filosofia in strada. Per tre giorni, sul finire di agosto e l’iniziare di settembre, ha visto diversi filosofi incontrare gente a colazione pranzo, a passeggio intorno al lago di san Ruffino, nei luoghi preposti ai convegni e in quelli più distanti mentalmente dalla convegnistica tradizionale. Pillole di filosofia da distribuire ai cercatori anche inconsci d’infinito e ai bramosi di solidi ancoraggi. La gente sembra gradire. Non voglio entrare nello specifico dei temi. Qualcuno è più convincente, altri meno. M’interessa cogliere invece una linea di tendenza. A luglio, la mia amica Simonetta Paradisi ha riproposto Le Parole della Montagna (seconda edizione): tre fine settimana di luglio e inizio agosto per incontrare orientalisti, filosofi, religiosi, alpinisti, scrittori, poeti, gruppi musicali e teatrali. Buono il successo di pubblico. Eventi spalmati tra Smerillo, Amandola, le località di Capotenna, San Leonardo ed altri luoghi suggestivi della nostra catena montuosa. Tra qualche settimana, inizierà a san Ruffino di Amandola la seconda edizione di Ottobre all’Abbazia (all’interno pubblichiamo il programma definitivo). I sabati a san Ruffino saranno scanditi da incontri su pittura, paesaggio, musica, economia e religione. Lo scorso anno attirarono per ogni appuntamento centinaia di persone che si mossero dalla costa verso la montagna. Tanto da contraddire quanti sostengono che la traiettoria sia esattamente opposta e irreversibile. Ora è dimostrato il contrario. Ho invece l’impressione che proprio la montagna sia diventata – stia ridiventando - il luogo del pensiero, delle riflessioni, e delle proposte. Contro il caos della costa inurbata, i paesi ai piedi degli Appennini forniscono un esempio di come potrebbe essere uno “sviluppo altro”. Qualche evento sarà magari anche copiato da lidi nazionali, qualche altro risulta più originale e quindi più efficace. Comunque ogni iniziativa diventa anche dato economico. Alberghi, agriturismo, ristoranti e trattorie lavorano, caffè e pub idem, esercizi alimentari e pizzerie lo stesso.

Chi ha detto che la cultura non fa circolar danaro si sbaglia di grosso. Faccio un altro esempio. Venerdì tre agosto, lo scrittore-medico-ex sindaco di Montefortino Lando Siliquini ha presentato il suo interessantissimo libro Sibilla Italica. Nell’auditorium Virgili di Amandola, di sera, in clima di piene ferie, si sono ritrovate quasi 150 persone. Afflusso inaspettato per una proposta culturale di alto livello benché in un periodo avvertito come di distrazione. E’ tutto dire. Ogni manifestazione poi, in un modo o nell’altro, finisce nella gloria della nostra cucina e dei prodotti della Terra di Marca. Ottobre all’Abbazia è l’esempio più calzante. La proposta vede impegnatissimo Eros Scarafoni ovverosia l’azienda Fontegranne produttrice di ottimi formaggi. Ogni incontro ha per degno corollario una cena "monastica" dal menù invidiabile. Lo stesso vale per Parole della Montagna e per il FiloFestival. Idee e buona tavola, ragionamenti cosmici e prodotti a chilometro zero. Dunque, la montagna si riscatta, attrae sempre di più gente dalle valli, propone qualità. In questo gioco entrano anche trattorie e ristoranti. Il Tiglio, di cui diciamo altrove nella rivista, si trova a isola San Biagio di Montemonaco. Ogni fine settimana mobilita una gran mole di avventori. Arrivano dal mare e dalle colline per gustare la grandissima cucina dello chef Enrico, universitario un tempo, gran cuoco oggi. Il Rifugio Amandola si trova sotto l’omonimo monte. La cucina è ottima, le “fregnacce” una scoperta, la carne arrosto qualcosa di succulento. La Gorba e l’ua, che tradotto fa: la Volpe e l’uva, è un agriturismo di recente apertura sorto ad Amandola, sulla strada per Comunanza. La cucina è tradizionale e i prezzi onesti. I clienti non mancano. Per dire che quando le proposte, sia culturali sia gastronomiche, offrono qualità, la risposta non si fa attendere. Strade o non strade, curve o non curve. Lo diciamo perché un ristoratore della collina fermana osservò che il problema della categoria erano le vie di comunicazione disastrate. Gli abbiamo fatto osservare che laddove la qualità culinaria è di casa la clientela non manca, anzi. Con strade più comode sarebbe ancora meglio, ma c’è il rischio dello snaturamento. Non è la scomodità viaria dunque a scoraggiare, bensì la carenza d’ospitalità e la proposta di pietanze non all’altezza. Da meditare.




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