Il granello di senape n.189 1/2020 - Febbraio 2020

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n. 1 (189) – febbraio 2020

il granello di senape

Per contro le formazioni delle milizie curde del Rojava, in primis i peshmerga cioè le milizie del partito dell’Unità di Protezione Popolare (YPG), a cui i militari americani avevano dato sostegno armato, hanno gridato al tradimento americano nei loro confronti. Proprio i peshmerga si erano impegnati come combattenti per anni contro l’Isis, lasciando sul terreno migliaia di morti, sia donne che uomini. Essi speravano nel sostegno dell’Occidente, soprattutto USA e UE, per sostenere l’autonomia delle popolazioni curde con l’implicita speranza di realizzare la loro atavica aspirazione all’indipendenza. I curdi di varia estrazione culturale presenti in Siria, Iraq, Iran e Turchia, esprimono una società dove vige la parità di genere in tutti i campi, dove le donne combattono a fianco degli uomini, come dimostra, una per tutte, la personalità di Hevrin Khalaf di 35 anni, assassinata il 12 ottobre 2019 dalle forze jihadiste filo turche perché indomita femminista e devota della causa curda nonché promotrice del Partito della Siria del Futuro, dove la diversità delle etnie e delle culture è un valore positivo e di progresso civile. Le milizie curde hanno dunque dovuto ritirarsi dalla zona cuscinetto del nord-est della Siria malgrado il tardivo sostegno della Siria di Bashar al-Assad e l’appoggio indiretto della Russia di Vladimir Putin (vedi l’accordo di Sochi tra Putin e Erdogan del 22-102019), lasciando campo libero all’esercito turco di Erdogan. Questi infatti punta ad eliminare ogni tentativo curdo di autonomia lungo la sua frontiera tramite il cambiamento della composizione etnica della popolazione con il ricollocamento di oltre un milione di rifugiati siriani di etnia araba, frammentando così la locale popolazione curda. Dinnanzi alle proteste dell’UE, egli ha minacciato di aprire le frontiere verso l’Europa ai milioni di rifugiati siriani in Turchia se l’UE non rispetterà i patti sottoscritti dalla Germania di Angela Merkel nel 2016. Ma fino a quando i partner dell’UE, purtroppo divisi tra loro per i propri particolari interessi, accetteranno questi ricatti, dimentichi dei valori della civiltà europea nella regione mediterranea? Ne va della sua credibilità. La guerra civile in Libia. Abbiamo già evidenziato nei nostri precedenti articoli, la critica situazione interna della Libia sempre più dominata dalle milizie delle diverse tribù in lotta fra di loro per prevalere nei traffici illeciti delle droghe, delle armi e della tratta dei migranti diretti verso l’Europa. Ma accennavamo solo di sfuggita alla sua crescente importanza in campo economico e geostrategico a livello regionale ed internazionale. Oggi la Libia del dopo Gheddafi, in piena guerra civile, è al centro delle recenti scoperte delle enormi riserve di petrolio e gas giacenti nelle profondità del mare Mediterraneo prospicienti i paesi litoranei: dalla Siria, via Libano, Israele, Egitto fino ai paesi del Maghreb. È un dato di fatto che ha condizionato e condiziona i rapporti tra questi paesi in cui si è inserita con prepotenza la

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Turchia di Erdogan sullo sfondo delle tensioni internazionali dominate dagli Usa e dalla Russia, mentre i partner dell’UE diplomaticamente s’incontrano e discutono senza però agire, in primis l’Italia dei governi Conte uno e Conte due, principale paese dirimpettaio con la sponda sud, storicamente coinvolto con questi paesi, in particolare la Libia. Basta ricordare la mancata revisione del Memorandum Italia-Libia del 2017 circa il trattamento dei rifugiati nei campi di concentramento in Libia il cui rinnovo scade il 2 febbraio con il rifiuto dell’Onu di operare a Tripoli e quindi l’abbandono dei migranti alla loro sorte. Nel suo saggio, dal titolo quanto mai esplicito - Libia. Da colonia italiana a colonia globale (Jaca Book, Milano 2017) - lo storico Paolo Sensini, riassume così lo stato attuale del paese: “Una terra, la Libia, dove non esiste più un vero Paese, ma uno scacchiere d’azione e di rapina petrolifera per le potenze… mentre i barconi di migranti in mano a mercanti di uomini ci riportano alla ‘tratta’ ”. Lo confermava e lo conferma tuttora, purtroppo, la drammatica realtà degli eventi in corso, dalle rive del Mediterraneo all’estremo sud del Sahara. Attenuata temporaneamente la fase critica dei flussi migratori, provenienti soprattutto dalla Libia verso il nostro paese, con i decreti proibitivi sugli sbarchi dei migranti nei porti italiani a difesa della sicurezza voluti da Matteo Salvini allora ministro dell’Interno, la situazione libica è dall’anno scorso esplosa in tutta la sua gravità. È scoppiata la guerra civile tra i due principali contendenti: ad Ovest, il governo di accordo nazionale di Fayez al Sarraj riconosciuto dall’ONU con sede a Tripoli, ad Est il governo del generale Khalifa Haftar con sede a Bengasi in Cirenaica, la regione dei grandi giacimenti di idrocarburi sulle cui coste sono situati i più importanti porti per la raffinazione e l’esportazione del petrolio e del gas. In seguito alle recenti scoperte delle grandi riserve d’idrocarburi nel sottofondo marino tra la Turchia e i paesi della costa sud del Mediterraneo, la Libia è quindi diventata un hub sensibile a livello geostrategico dove prevalgono i contrapposti interessi economico-finanziari e politici delle potenze regionali ed internazionali. Infatti nell’inquieto contesto della realtà libica, il 4 aprile 2019 Khalifa Haftar, che aspira a diventare il leader assoluto dell’intero paese, lancia le sue truppe alla conquista della Tripolitania governata da Al-Sarraj, scatenando la guerra civile tuttora in corso, dove si confrontano pure le locali milizie che sostengono le due parti, supportate dalle forze mercenarie inviate dalle potenze regionali ed internazionali. Dopo la caduta della quarantennale dittatura gheddafiana del 2011 ad opera della Francia, Inghilterra, Usa e forze della Nato, spacciata per “guerra umanitaria”, la Libia diventa un terreno di scontro d’interessi stranieri dove le popolazioni non vengono tenute in conto. La Turchia che sostiene il


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