Università degli Studi di Bergamo - Centro Studi sul Territorio “Lelio Pagani”
QUADERNI 30
Eventi: la città nella dimensione del transitorio Effimero e permanenze nei paesaggi contemporanei
a cura di Fulvio Adobati, Maria Claudia Peretti, Marina Zambianchi
BERGAMO UNIVERSITY PRESS
sestante edizioni
Con il contributo
Comune di Bergamo
Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Bergamo
Ordine degli Ingegneri della Provincia di Bergamo
© 2018, Bergamo University Press Collana fondata da Lelio Pagani, diretta da Emanuela Casti
ICONEMI 2017. EVENTI: LA CITTÀ NELLA DIMENSIONE DEL TRANSITORIO. EFFIMERO E PERMANENZE NEI PAESAGGI CONTEMPORANEI a cura di Fulvio Adobati, Maria Claudia Peretti, Marina Zambianchi p. 80 - cm. 21x29,7 ISBN – 978-88-6642-300-3
Segreteria organizzativa: Renata Gritti www.iconemi.it
In copertina: Immagine di Francesca Perani.
INDICE
MARIA CLAUDIA PERETTI Eventi: la città nella dimensione del transitorio ............................................................................
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MANUELA BANDINI Architetture a termine ....................................................................................................................
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LUCA TAMINI La temporaneità dei luoghi del commercio come occasione di innovazione, sperimentazione tecnologica e rigenerazione urbana ....................................................................
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ANTONELLA BRUZZESE Dismissioni, usi temporanei, eventi e rigenerazione urbana. Note intorno al caso milanese .........................................................................................................
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ANDREA MACCHIAVELLI The Floating Piers: implicazioni economiche e turistiche .............................................................
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ROBERTO NACCARI Grandi eventi: effetti e ricadute, prima, durante e dopo ...............................................................
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MARIA MENCARONI ZOPPETTI Patrimonio culturale e flussi: tutela/valorizzazione/fruizione .......................................................
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OSCAR LUIGI AZZIMONTI - MATTEO COLLEONI - MATTIA DE AMICIS - IVAN FRIGERIO Vulnerabilità sociale e resilienza in Regione Lombardia. Una proposta metodologica per una nuova gestione del rischio sismico ......................................
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FILIPPO SIMONETTI Rigenerazione urbana come occasione per la riscrittura del paese ...............................................
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FULVIO ADOBATI L’Università che fa la città ..............................................................................................................
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L’archivio di Iconemi ......................................................................................................................
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EVENTI: LA CITTÀ NELLA DIMENSIONE DEL TRANSITORIO
EVENTO: ciò che succede, che viene fuori, che accade e si connota con l’aggettivo TRANSITORIO, ciò che passa, che è temporaneo, non durevole e non definitivo.
ghi che incarnano lo spazio pubblico perfetto per accogliere riti, incontri, mercati, feste… cioè per creare partecipazione, comunità, scambi, rappresentazioni, simboli. Polis.
EVENTO: QUI, ORA e per POCO.
Di certo comunque il fenomeno dell’eventismo ha assunto negli ultimi anni un protagonismo e caratteristiche che in passato non ha mai avuto e non solo perché esposizioni, festival, rassegne, fatti sportivi e spettacoli si sono moltiplicati numericamente e riguardano tantissimi settori, ma, soprattutto perché il ‘transitorio’ cioè il ‘qui, ora e per poco’, è diventato uno snodo fondamentale nel modo di pensare alla città e nel modo di governarla.
EVENTO, un punto nello SPAZIO/TEMPO che si espande nelle città, nei paesaggi, nei nostri sistemi di apprendimento e di riflessione, nello spazio pubblico fisico e simbolico, nel nostro immaginario. Nel linguaggio corrente il termine ‘evento’ viene usato per indicare lo svolgersi di iniziative che attirano e coinvolgono spettatori nei settori dello spettacolo, dello sport, dell’arte, della cultura con le sue molteplici declinazioni e in generale dell’ entertainment e del loisirs ed è un termine che misura il suo successo nell’affluenza di pubblico, nella risonanza mediatica, nell’amplificazione del racconto e delle cronache. ‘Grande’ è infatti l’aggettivo che qualifica un evento capace di muovere ingenti numeri, folle, moltitudini. Gli eventi accompagnano la storia delle città e del loro successo, per E. Glaeser addirittura del loro ‘trionfo’: ciò che continua a caratterizzare l’urbano come potente magnete attrattivo è proprio la densità di quello che avviene, la moltiplicazione delle possibilità e delle relazioni che rende i cittadini “più ricchi e più felici”di coloro che abitano altrove1.
Nelle politiche territoriali alle diverse scale di programmazione gli eventi vengono intesi come leva importante per il rilancio di un’economia in crisi dal punto di vista dei sistemi produttivi tradizionali, alla ricerca di nuove capacità attrattive legate alle attuali forme di consumo, tra materiale e immateriale. Mentre scarseggiano sempre più le risorse per la gestione della ‘normalità’, sono numerosi i programmi lanciati degli organismi nazionali e internazionali che erogano finanziamenti per iniziative transitorie e di breve durata, capaci però di trainare, a servizio degli eventi programmati, la realizzazione di infrastrutture territoriali e di politiche sociali in grado di lasciare segni duraturi sia sulla fisicità che sulla percezione dei territori.
In particolare gli eventi ci sono sempre stati nelle città italiane che sono città di piazze, cioè di luo-
Pensiamo al programma UE per la Capitale europea della Cultura2 e al programma derivato per la
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Glaeser, E. (2013) Il trionfo della città. Come la nostra più grande invenzione ci rende più ricchi e più felici, Bompiani. “Le Capitali europee della cultura costituiscono una delle iniziative culturali più note - e di maggiore successo. Il titolo di Capitale europea della cultura viene assegnato ogni anno a due città di due diversi paesi dell’UE. Le città sono selezionate da una giuria di esperti indipendenti sulla base di un programma culturale che deve avere una forte dimensione europea, coinvolgere la popolazione locale di tutte le età e contribuire allo sviluppo a lungo termine della città. Nel corso degli anni, le Capitali europee della cultura sono altresì diventate un’opportunità unica di rinnovamento delle città, promozione della loro creatività e miglioramento della loro immagine. Ad oggi il titolo di Capitale europea della cultura è stato assegnato a oltre 40 città. La procedura che porta alla scelta di una città ha inizio circa sei anni prima, sebbene l’ordine degli Stati membri idonei a ospitare l’evento venga fissato prima di tale scadenza, ed è organizzata in due fasi.” http://www.europarl.europa.eu/factsheets/it/sheet/137/cultura 2
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MARIA CLAUDIA PERETTI
Capitale italiana della cultura,3 oppure al network Città Creative4 dell’UNESCO: pensiamo a cosa è stato Expo, aldilà dell’evento stesso, per il territorio milanese e non solo. Il ‘transitorio’ viene quindi interpretato come strumento per generare permanenze, per migliorare i sistemi di trasporto, le dotazioni di servizi, la qualità estetica delle città e dei loro quartieri, la partecipazione dei cittadini e le nuove forme di cittadinanza attiva. È come se, per alcuni versi, si fosse ribaltato il rapporto tra struttura e sovrastruttura a cui l’epoca industriale, sostanzialmente concentrata sulla produzione di beni materiali, ci aveva abituato, attribuendo un primato ineludibile a ciò che si sviluppa e incrementa nel tempo con un processo duraturo: in questa fase dell’economia postindustriale, nella società liquida o dell’informazione, i beni immateriali hanno assunto una centralità senza precedenti ed è completamente cambiata la dimensione del tempo, dei suoi cicli, della sua organizzazione sociale. L’evento trascina anche ciò che dura molto, ne diventa la chiave d’accesso. Accanto all’esempio di Expo 2015 che ha attivato un’ampia serie di conseguenze e di trasformazioni su un territorio allargato, possiamo pensare al caso del ‘fuorisalone’ nella zona di Tortona5 che, nell’arco di pochi anni, pur essendo nato da iniziative private e per molti versi marginali, ha trascinato una trasformazione generale di un’area impoverita e dismessa, con la rigenerazione del tessuto urbano e una nuova attribuzione di valore. Ma anche l’evento
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del Floating Piers6 ha senz’altro lasciato su Montisola e sul comprensorio del Lago Sebino, segni ben oltre la sua breve durata. Così come Il Festival del Teatro di Sant’Arcangelo7 è finito con gli anni per diventare l’identità principale di questo paese della Romagna o il Festival della Letteratura di Mantova8 ha conquistato in breve tempo un interesse internazionale grazie anche alla capacità di assumere i luoghi della città storica come materia attrattiva della propria narrazione. Eventi, quelli citati sopra, molto diversi tra di loro per complessità, soggetti attuatori, meccanismi operativi e gestionali, finalità complessive, ma tutti accomunati dall’aver saputo generare indotti positivi e innescare processi duraturi. Sarebbe anche possibile fare una lunga lista degli eventi ‘falliti’, cioè di quelli che, per motivi vari, hanno lasciato sul territorio macerie e debiti: ma ciò che maggiormente interessa qui è ragionare su alcune questioni di fondo. Senz’altro a favore degli ‘eventi’ gioca il fatto che, escludendo quelli che presuppongono preparativi molto complessi come p.e. le Olimpiadi, nella gran parte dei casi essi si misurano su tempi brevi e quindi più confacenti all’orizzonte del lustro con il quale chi governa i territori tende a confrontarsi. Diceva Leo Longanesi in uno dei suoi famosi aforismi che “Alla manutenzione l’Italia preferisce l’inaugurazione”, sottolineando con una tagliente ironia la difficoltà del nostro sistema paese di con-
http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/visualizza_asset.html_1398816910.html “L’iniziativa di selezionare ogni anno la “Capitale italiana della cultura” è stata introdotta con la legge Art Bonus e mira a sostenere, incoraggiare e valorizzare la autonoma capacità progettuale e attuativa delle città italiane nel campo della cultura, affinché venga recepito in maniera sempre più diffusa il valore della leva culturale per la coesione sociale, l’integrazione senza conflitti, la conservazione delle identità, la creatività, l’innovazione, la crescita e infine lo sviluppo economico e il benessere individuale e collettivo.” 4 “La Rete delle Città Creative dell’Unesco è stata creata nel 2004 per promuovere la cooperazione tra le città che hanno identificato la creatività come elemento strategico per lo sviluppo urbano sostenibile ed è divisa in sette aree corrispondenti ad altrettanti settori culturali (Musica, Letteratura, Artigianato e Arte Popolare, Design, Media Arts, Gastronomia, Cinema). Le 180 città, in 72 paesi, che attualmente fanno parte della rete collaborano per un obiettivo comune: fare della creatività e dell’industria culturale il centro dei loro piani di sviluppo a livello locale e collaborare attivamente a livello internazionale. Tutte le Città Creative sono impegnate nello sviluppo e nello scambio di buone pratiche innovative per rafforzare la partecipazione alla vita culturale e per integrare la cultura nelle politiche di sviluppo urbano sostenibile. Inoltre, la Rete sostiene gli scambi artistici e il partenariato della ricerca sia con le città della rete che con il settore pubblico e il settore privato. Attualmente in Italia le città creative sono: Bologna (musica) Fabriano (artigianato e artepopolare); Roma(cinema); Parma(gastronomia); Torino(design); Milano (letteratura); Pesaro (musica); Carrara (artigianato e artepopolare); Alba (gastronomia).” http://en.unesco.org/creative-cities/home 5 Sul fenomeno del fuorisalone vedi: Bruzzese, A. Addensamenti creativi, trasformazioni urbane e fuorisalone. Casi milanesi tra riqualificazione fisica e riscostruzione di immagine, 2015, Maggioli Editore. 6 http://christojeanneclaude.net/projects/the-floating-piers 7 https://www.santarcangelofestival.com/ 8 https://www.festivaletteratura.it/it
EVENTI: LA CITTÀ NELLA DIMENSIONE DEL TRANSITORIO
frontarsi con visioni a lungo termine, difficili da mettere a punto, da sostenere e gestire nel tempo e quindi assai poco presenti nell’azione politica tutta mirata alla ricerca di un consenso immediato e facile: difficili pure da raccontare laddove il linguaggio di chi è preposto a governare i territori tende a una progressiva semplicizzazione, a un brusio di tweet, frutto di reazioni istantanee e poco approfondite, che di certo non è l’habitat linguistico più adatto per ospitare pensieri complessi e approfonditi. Ancora, entro l’obiettivo prioritario di evitare le onde d’urto del dissenso, a netto vantaggio della dimensione del ‘transitorio’ sta il fatto che essa autorizza una minore preoccupazione sugli esiti delle azioni che, non essendo definitivi ma smontabili e cancellabili, spaventano meno, specialmente quando riguardano trasformazioni dello spazio pubblico: si è infatti tutti portati a tollerare maggiormente situazioni che non ci piacciono se le colleghiamo all’idea che dureranno poco e che tutto tornerà come prima. Si assiste così e per contro al paradosso grazie al quale l’occupazione temporanea del suolo pubblico tende a diventare una presenza definitiva, con piazze e strade perennemente sepolte da ingombri di ogni tipo, spesso privi di ogni qualità e attenzione nei confronti di ciò che esiste: i Comuni concedono il suolo ai più diversi usi in cambio di un corrispettivo monetario e questo contribuisce, oltre che al bilancio comunale, a ravvivare parti di città che stanno subendo un processo di svuotamento in particolare dei piani terra commerciali travolti dalla concorrenza delle nuove forme di commercio extraurbane e online. Gli edifici si svuotano, mentre lo spazio aperto si riempie. E ancora, la logica degli ‘eventi’ si sposa perfettamente col predominio e i ritmi della comunicazione mediatica da cui questo periodo è letteralmente travolto. Tra evento e media si stringono legami inestricabili, talmente forti da rendere sempre più difficile distinguere ciò che accade da ciò che viene comunicato: gli eventi creano comunicazione e la comunicazione crea eventi. È essa stessa il vero evento, al punto da essere in molti casi l’unica vera motivazione di ciò che viene programmato. La straordinaria e inimmaginabile diffusione pervasiva delle tecnologie social alimenta e accelera la
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nostra percezione di ciò che accade, mixando i dati di realtà entro ritmi velocissimi dentro cui lo sguardo profondo necessario per elaborare visioni e progetti di lungo termine diventa sempre meno proponibile. Tutto ciò fa i conti anche con la difficoltà degli individui e dei sistemi sociali di accumulare ‘memoria’. Ci stupiamo spesso della nostra incapacità di ricordare fatti anche se avvenuti in tempi recenti e di come ogni cosa tenda a scorrere via velocemente, senza lasciare tracce durature nei nostri pensieri. Gli eventi ci attraversano, non sedimentano strati di esperienza che, uno sopra l’altro, compongono il percorso progressivo della conoscenza. E così l’esperienza insegna sempre meno e si perde nell’informazione,9 creando la pericolosa illusione che essere informati e conoscere siano equivalenti. Viviamo nell’illusione che imparare sia facile, immediato, intuitivo: ‘easy’, ‘smart’, ‘user friendly’, non a caso, sono le parole più usate per descrivere le tecnologie informatiche attraverso le quali passa ormai una parte fondamentale del nostro percorso conoscitivo. Anche la conoscenza diventa una successione di eventi che rimpiazza il percorso arduo e faticoso da seguire nel tempo, ‘per aspera ad astra’. Entro una lettura del ‘transitorio’ contemporaneo si colloca anche quella che potremmo chiamare la ‘stabilizzazione dell’emergenza’. La parola ‘emergenza’ indica una circostanza imprevista, che genera proprio per la sua imprevedibilità, situazioni di criticità che richiedono soluzioni d’urgenza: dovrebbe quindi rappresentare i casi limite legati al manifestarsi di eventi traumatici eccezionali e a una forma di transitorio che si verifica una tantum. Nella realtà che stiamo vivendo in questa fase storica, a livello globale, ma in particolare in questo paese, l’emergenza tende invece ad essere uno stato definitivo, non un’eccezione, non un punto nello spazio/tempo, ma un nastro continuo, una condizione permanente e non passeggera dei nostri paesaggi. Alcuni fenomeni che per evidenza scientifica siamo ormai certi di poter definire epocali, nelle prassi, continuano ad essere affrontati come se fossero episodici e destinati a transitare per poco tempo e a finire, senza ripetersi.
Brevini, F. (2017) Così vicini, così lontani. Il sentimento dell’altro, fra viaggi, social, tecnologie e migrazioni, Baldini & Castoldi.
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MARIA CLAUDIA PERETTI
Mi riferisco per esempio al fenomeno del climate changing con tutte le conseguenze che trascina con sè e con l’ evidenza dei frequenti danni ingenti che provoca ai sistemi territoriali, già messi a dura prova da un avanzato grado di dissesto idrogeologico. Oppure al fenomeno dei flussi migratori, che peraltro sono già in parte e saranno sempre di più collegati al cambiamento climatico. O alla gestione delle risorse fondamentali e vitali, come l’acqua e l’energia; all’ inquinamento dell’atmosfera che anche a Bergamo, ormai lo verifichiamo costantemente, porta ogni anno allo sforamento dei limiti delle polveri sottili e sottilissime. Con ripercussioni fondamentali sulla forma e sui modelli organizzativi delle città che hanno una parte da gigante sia nel consumo di risorse che nella produzione di inquinamento. Questi fenomeni pretendono urgenti e difficilissimi ridisegni generali del modello di sviluppo basati su un approccio strutturale, sistemico, di lunga visione, che guardi alle generazioni a venire, includendo una dimensione fortemente sperimentale che coinvolge i paradigmi di base, ormai inefficaci, dei sistemi tradizionali di governo delle complessità territoriali: di certo, non possiamo più permetterci di continuare ad affrontarli collocandoli nella categoria degli eventi transitori. Il progetto della ‘resilienza’, cioè della capacità di mettere a punto modalità efficaci di adattamento ai traumi che i cambiamenti in corso stanno provocando, è tutt’altro che transitorio: presuppone la riforma generale e radicale degli organismi di governance territoriale e delle mentalità consolidate.
Paradossalmente entro i sistemi complessi in cui abitiamo, la massima flessibilità per generare nuovi equilibri assestandosi su forme in continuo cambiamento, si potrebbe ottenere soltanto con un’organizzazione rigorosa e per nulla improvvisata, basata su capacità evolute di monitoraggio, interpretazione dei dati e gestione delle azioni e del controllo. Ugualmente il tema della ‘rigenerazione urbana’ richiede una visione integrata e cooperativa di aspetti che invece vengono a tutt’oggi affrontati in maniera frantumata ed episodica, dalle politiche fiscali a quelle creditizie, a quelle di organizzazione delle imprese e dei programmi industriali e produttivi da indirizzare verso obiettivi coerenti di medio/lungo periodo. Senz’altro per chi si occupa di territorio un ‘attenzione particolare è quella da riservare alla ricerca di un equilibrio possibile tra le specificità di un luogo, dei suoi paesaggi, dei suoi idiomi, del suo capitale umano e produttivo, delle sue differenze e la creazione di flussi e di ibridazioni, spesso anche imponenti, legati ad usi transitori.10 Per esempio, come si può coniugare un valore sacrosanto come quello della tutela, con le forme cosiddette di valorizzazione e promozione turistica del patrimonio culturale e di quello naturale? Come governare, arginandolo, il fenomeno del turismo di massa che ai livelli attuali genera lo snaturamento allarmante del patrimonio storico e degli ecosistemi sociali e naturali? Il ciclo di Iconemi 2017 affronterà queste domande ascoltando varie voci ed esperienze.
10 Vedi: Settis, S. Se Venezia muore, 2014, ed. Einaudi. D’Eramo, M. Il selfie del mondo. Indagine sull’età del turismo, 2017, ed. Feltrinelli.
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MANUELA BANDINI
ARCHITETTURE A TERMINE
Globalizzazione e informatizzazione, parole chiave della contemporaneità, inducono profondi ripensamenti sui concetti di stabilità e durata che hanno storicamente connotato l’architettura. Accanto alle ricerche sulla flessibilità, già tra i presupposti dell’industrializzazione edilizia del secolo scorso, all’alba del nuovo millennio si fa strada l’opportunità di progettare la transitorietà per rispondere a dinamiche economiche, sociali e culturali sempre più ‘liquide e instabili’. Catastrofi naturali, spesso provocate dall’uomo, e fenomeni migratori; variazioni nella struttura della famiglia e bisogni abitativi provvisori; disponibilità economiche precarie e obiettivi di sostenibilità sono alla base di alcune interessanti proposte in cui il fattore della temporalità assume un ruolo fondamentale. Se nella storia e nelle pratiche umane l’architettura si è andata affermando come pratica ‘tettonica’, il cui esito è stata la costruzione di elementi stabili, in grado di esprimere la volontà dell’uomo di segnare il proprio tempo attraverso la trasformazione dello spazio, appare oggi sempre più diffuso e in ogni ambito dell’agire il riferimento a condizioni di mutamento, di transitorietà e di variazione. Dal pensiero post-moderno alle formulazioni della ‘società liquida’, dalle teorie sulla “città diffusa” alle sperimentazioni architettoniche e alle ricerche dell’arte contemporanea, molteplici sono le riflessioni, i progetti e le realizzazioni in cui il parametro temporale è centrale, non più in termini di permanenza, quanto piuttosto di temporaneità e transitorietà. Manifestazioni, eventi, fiere, flash-mob, temporary locus rappresentano lo scenario che oggi realizza l’aforisma “form follows fiction”1, versione attualizzata dello slogan “form follows function”2, principio di legittimazione del funzionalismo nell’architet1
Fig. 1. Foster + Partners, Padiglione Vieux Port, Marsiglia, 2013, 46m x 22m x 6m di altezza.
tura del Moderno, evidenziando la dimensione effimera del presente e la centralità dell’ambito mediatico anche per l’architettura, più comunicata su social e riviste patinate che radicata nel vissuto dei suoi abitanti e dei luoghi in cui è costruita. Nell’ultimo scorcio del XX secolo le grandi manifestazioni internazionali, dalle Olimpiadi alle Esposizioni Universali alle iniziative più diverse dell’industria culturale, sono divenute eventi di grande impatto: attrattori di turismo di massa, oltre che occasioni di trasformazione o creazione di interi settori urbani, e ribalte in cui la spettacolarità dei progetti è spesso inscindibile dal ruolo mediatico dei loro autori, laddove la firma di un archistar assicura edifici di grande richiamo che sono un marchio, garanzia di originalità e successo, al di là del valore effettivo dell’architettura. In occasione della candidatura di Marsiglia a Capitale europea della cultura3 del 2013, l’architetto Norman Foster progetta il masterplan per la sistemazione dell’area portuale dove realizza il padiglione Vieux Port [Fig. 1]. L’architettura del padiglione
‘La forma segue la narrazione fantastica e spettacolare’ allude ad uno dei caratteri salienti della contemporaneità per rapporto al mondo dello spettacolo e dei media. 2 ‘La forma segue la funzione’, frase attribuita a Louis Sullivan, architetto che contribuisce alla ricostruzione di Chicago negli anni ’80 dell’’800, e si cimenta tra i primi con l’architettura del grattacielo. 3 La designazione della ‘Capitale europea della cultura’, così ribattezzata nel 1999, è una manifestazione annuale che prevede lo stanziamento di fondi europei per “valorizzare la ricchezza, la diversità e le caratteristiche comuni delle culture europee e permettere una migliore conoscenza reciproca fra i cittadini dell’Unione europea”. Chiamata inizialmente “Città europea della cultura”, l’iniziativa venne approvata dal Consiglio dei Ministri della U.E. il 13 giugno 1985 su iniziativa di Melina Mercuri, ministro greco della cultura.
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MANUELA BANDINI
è una semplicissima pensilina in acciaio specchiato con i bordi assottigliati in modo tale che la sua percezione sia quella di un foglio specchiante senza apparente spessore, retta da 8 esili pilastri in acciaio inox alti 6 metri, la cui consistenza è ulteriormente affinata dal materiale e dal rispecchiamento continuo. Pubblicizzata e progettata da un archistar, la pensilina di Marsiglia è solo un prodotto mediatico o, piuttosto, un geniale dispositivo di spazio pubblico? Se lo fosse, avrebbe i suoi illustri antecedenti nella tradizione dei portici, e ancora prima nella tettoie-recinto dei popoli del Neolitico, come i togunà dei Dogon dell’Alto Volta, dove si realizza l’idea di uno spazio delimitato da pochissimi elementi, ma capace di essere centralità per la comunità, luogo di incontro e di scambio degli abitanti. La pensilina specchiante non è però un recinto: troppo alta per esserlo. Evoca piuttosto le superfici specchianti di Pistoletto ed è tuttavia in grado di definire uno spazio, quasi aereo, temporaneo e mutevole perché creato dalla presenza continuamente variabile di chi la percorre riflettendosi sulla sua superficie; spettacolare per le dimensioni e il materiale, ma senza dubbio suggestivo e in grado di divenire ‘luogo’. Occasioni di progettazione di architetture temporanee perché destinate ad avere una durata limitata, sono invece e per definizione le Esposizioni, quelle Universali e le manifestazioni che ad esse si sono ispirate, ed emblematici per approccio sperimentale e spirito di innovazione, alcuni degli edifici ‘a termine’ realizzati nel tempo: a partire dal Crystal Palace, smontato al termine dell’evento, riallestito in un altro parco londinese e poi distrutto da un incendio; per non dire della Tour Eiffel, destinata allo smantellamento, ma che – con i palazzi dell’Expo del 1889 – ha invece costruito un’intera parte di città, divenendo uno dei simboli più stabili e riconoscibili della capitale francese. Interessante e significativa, la vicenda delle Esposizioni nel corso del ’900 è spesso in grado di segnalare gli spunti più avanzati della ricerca architettonica e le sue criticità. Al di là delle specificità delle singole manifestazioni e dei giudizi sulle architetture, uno degli aspetti che maggiormente caratterizza le edizioni più recenti è il dibattito sul grado di sostenibilità degli interventi che esse comportano sia rispetto ad obiettivi di compatibilità ambientale e di implicazione urbanizzativa che nel merito dei futuri utiliz-
zi delle aree occupate e delle strutture realizzate4, con esplicite ricadute sul tema della durata. Emblematico è il caso di Expo Milano 2015. A due anni dalla chiusura dell’evento è stato organizzato un concorso internazionale per la trasformazione dell’ area interessata dall’evento: il masterplan del progetto vincitore5 prevede lo sviluppo di un Parco della Scienza, del Sapere e dell’Innovazione esteso su un sito di oltre 1.000.000 di metri quadrati. “Raccogliendo l’eredità di Expo 2015, quest’area ci offre un’opportunità straordinaria per avviare un programma di innovazione urbanistica e tecnologica. Il progetto darà forma a una città che sa essere allo stesso tempo un polo scientifico di respiro europeo e un quartiere centrato sui bisogni delle comunità locali, incentivando la crescita economica e il progresso sociale a Milano e nella sua area metropolitana”6. Il destino di questa vasta zona sarebbe stato probabilmente molto diverso se non si fosse abbandonato il primo progetto per Expo Milano 20157 [Fig. 2] fondato sull’idea dell’unificazione degli spazi espositivi. Come nel Crystal Palace, dove ogni espositore aveva una porzione di superficie a disposizione in una grande cattedrale in ferro e vetro, il Concept Master Plan del 2009 mirava ad un intervento leggero per realizzare un parco agricolo che desse ‘più spazio ad un’architettura complessiva del paesaggio piuttosto che ai singoli padiglioni... realizzando a Milano un paesaggio inedito di monumentale leggerezza e naturale bellezza, ... un grande parco agroalimentare strutturato su una griglia di tracciati ortogonali, circondato da canali d’acqua e punteggiato da grandi architetture paesaggistiche’.8 Mancato l’obiettivo nell’impianto generale, sia per Expo 2015 che per i destini futuri delle aree, il superamento della concezione monumentale e spettacolare dell’architettura espositiva si è concretizzato in alcuni padiglioni, come quello realizzato per Slow Food [Fig. 3]. Senza porte, né percorsi obbligati per l’accesso e il deflusso dei visitatori, il padiglione era uno spazio accessibile e permeabile costituito da tre tettoie in legno, disposte a triangolo e arredate con semplici lunghi tavoli che evocavano il senso del convivio. Tavole imbandite con odori, in una sequenza scientifica ma al tempo stesso poetica, che poneva all’attenzione del
4 L’Expo 1992 a Siviglia e quella del 2000 ad Hannover, hanno avuto un ruolo decisivo nel dibattito sul rapporto costi/benefici. Nonostante il relativo fallimento della manifestazione, l’Expo 2000 lascia alla città tedesca nuove strade, linee di tram aumentate e un terzo terminal all’aeroporto. Alle Expo future un nuovo approccio e soprattutto i ‘principi di Hannover’ per la costruzione dei padiglioni tenendo conto del loro impatto ambientale e della sostenibilità. 5 Il concorso è stato vinto dallo studio Carlo Ratti Associati (CRA) e il gruppo australiano Lendlease. 6 Antonio Atripaldi, Project lead, CRA. 7 Master Plan Expo Milano 2015, di Herzog & de Meuron, Jacques Herzog London School of Ecomics, Ricky Burdett Stefano Boeri Architetti, Stefano Boeri William McDonough + Partners, William McDonough, 2009. 8 Ib. Relazione di progetto.
ARCHITETTURE A TERMINE
visitatore la gamma compiuta della sensorialità e del testing, confluendo poi nell’exibition, la piazza con le vasche per le coltivazioni, in cui si poteva leggere, incontrarsi, confrontarsi. Realizzati con materiale riciclabile e capaci di richiamare le cascine lombarde nel ritmo dei porticati, al termine della manifestazione i tre padiglioni sono stati smontati e ridestinati come aule e orti didattici ad alcuni istituti scolastici. L’azienda che ne ha curato la realizzazione si occupa da tempo di prefabbricazione e contempla nei suoi cataloghi la voce “case temporanee”. La ricerca per la costruzione di alloggi temporanei, destinate però a popolazioni colpite da terremoti, vedono impegnato da più di vent’anni Shigeru Ban (Tokio,1957), vincitore del premio Pritzker per l’architettura 2014. In occasione del terremoto di Kobe del 1995, l’architetto giapponese sperimenta per la prima volta un alloggio di 16 metri quadri con pareti in fibra naturale, montabile in sei ore e senza l’ausilio di manodopera specializzata. Forma elementare, materiale riciclato, basso costo, facilità di trasporto e di montaggio sono le caratteristiche della Paper log house [Fig. 4] che si costruisce a partire da una piattaforma di base [Fig. 5] costituita da cassette per bottiglie in plastica appesantite da sacchetti di sabbia [Fig. 6], capaci, poiché modulari, di adattarsi anche a situazioni di terreno non perfettamente regolari. La Paper Log House è una casa provvisoria con pareti in tubi di cartone resistenti all’acqua, coperta con elementi in legno e telo impermeabile. Costruita con materiali riciclati e riciclabili, economica (2.500 euro l’una), è stata riproposta più volte in occasione dei disastri naturali in Turchia, India, Sri Lanka, Cina, Haiti, Nuova Zelanda Filippine. L’elemento costruttivo di base è una colonna di 10 cm circa di diametro [Fig. 7] in cartone compresso di grosso spessore trattato con resina che Shigeru Ban propone anche nel caso di interventi diversi, come la realizzazione di elementi divisori semplici per sistemazioni temporanee di prima emergenza [Fig. 8]. Gli studi sull’abitazione temporanea includono anche le ricerche sulla prefabbricazione, già centrali nella produzione edilizia del ’900, ma declinate oggi in funzione di un diverso concetto di flessibilità e di una maggiore attenzione alla sostenibilità. Da tempo al centro delle sperimentazioni dell’industria edilizia statunitense, sia per la natura nomade della cultura insediativa americana che per la diffusione della tradizione costruttiva del legno, la temporaneità dell’abitare è oggetto di sperimentazioni e ricerche anche in funzione della variabilità dei nuclei familiari e delle esigenze abitative. Plug and Play è un prototipo di casa prefabbricata studiata dalla Carnegie Mellon University nel 2007. Si
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tratta di un progetto di design modulare per una abitazione che può cambiare nel corso del tempo. Alla casa prefabbricata TriPod [Fig. 9] possono essere aggiunti o tolti ambienti a seconda delle esigenze poiché il sistema è concepito come una scheda madre di un pc in grado di accettare diversi moduli e parti prefabbricate [Fig.10], come cucina, bagni, spazi comuni e camere; i moduli possono essere altresì scambiati e riutilizzati da utenti diversi, secondo un principio di ‘house sharing’ [Fig. 11]. Plug and play è un’idea nuova, ma che si innesta nel filone dell’architettura radicale degli anni ’60, e sembra citare anche nella denominazione la Plug and city degli Archigram (1964), macchine per abitare che compongono una città costruita da un immaginario tecnologico fantastico, per pezzi, per parti. O ancora, le cellule abitative per l’ottimizzazione degli spazi come la Total Furnishing Unit (1971-72), già oggetto di studio di Joe Colombo [Figg. 12a, 12b, 12c], oggi rivisitate con un significato rovesciato: se allora l’obiettivo era sostenuto da un’assoluta fiducia nella tecnologia in senso espansivo, oggi è piuttosto inscindibile dall’uso consapevole e controllato di risorse nella coscienza della loro limitatezza. Una combinazione di cellule caratterizza anche l’abitare transitorio degli alloggi per studenti realizzati ad Amsterdam [Fig. 13]. Si tratta di case realizzate con container: edifici collettivi pensati per soluzioni abitative in cui non varia nel tempo la dimensione degli spazi, ma si modificano gli abitanti, studenti universitari che vivono in questi alloggi per un periodo di tempo limitato e senza prospettive di variazione nelle loro esigenze abitative. Si tratta di una forma di abitare tipologicamente più simile a quella di un albergo e che, soprattutto, deve avere un costo limitato. Premesso che in molte città universitarie la domanda di alloggi incide spesso in modo consistente sul mercato immobiliare alterandone i valori e gli equilibri, ad Amsterdam, città che da sempre ha convissuto con la necessità di reperimento dei suoli, il problema dell’alloggio per gli studenti universitari è stato in tal modo coniugato con quello della riqualificazione di aree urbane periferiche, in una felice convergenza che fa della transitorietà dell’abitare e della temporalità delle situazioni abitative una possibile soluzione delle criticità urbane. Il gruppo Tempohousing, fondato dall’architetto Q. de Gooijer, ha proposto per Diemen un quartiere di edifici realizzati con container coloratissimi: le students housing si sviluppano su cinque piani, in blocchi di 12x20 metri, con unità abitative servite da ballatoi e affacciate su corti piantumate e spazi comuni al servizio degli studenti [Fig. 14]. L’alloggio-tipo, vetrato sul doppio affaccio, prevede al centro il bagno e il disim-
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Fig. 2. Herzog & de Meuron, con R. Burdett, S. Boeri, W. Mcdonough, Master Plan Expo Milano 2015, 2009.
Fig. 4. Shigeru Ban, Paper Log House, 4x4 m., Kobe, Giappone, 1995.
Fig. 3. Herzog & de Meuron, Slow Food Pavilion, 1.188 mq, Expo Milano 2015, realizzazione in legno Rubner Objektbau, Brunico.
Figg. 5-6. Shigeru Ban, Paper Log House, Schemi planimetrici.
Figg. 7-8. Shigeru Ban, Paper Log House, Colonna e allestimento per ricovero temporaneo.
Figg. 9-10-11. Carnegie Mellon University, TriPod Plug and Play, moduli abitativi prefabbricati, 2007.
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ARCHITETTURE A TERMINE
Fig. 12a-b-c. Joe Colombo, Total Furnishing Unit, 1971-72.
Fig. 14. Tempohousing, Abitazioni per studenti: gli spazi comuni, Diemen, Amsterdam, 2004.
Fig. 13. Tempohousing, Abitazioni per studenti, Diemen, Amsterdam, 2004.
Fig. 15. Tadashi Kawamata, Tree Huts, 2013, Palazzo Strozzi, Firenze.
Fig. 17a-b. Stefan Eberstadt, Rucksack House (Casa Zaino), legno e acciaio, 9 mq., dal 2009.
pegno che collega la zona giorno-studio alla camera da letto. Alcune tipologie sono integrate da un mezzo modulo che ospita l’angolo-cottura, mentre l’altro mezzo modulo va ad ampliare la dotazione di ambienti comuni, atrii e disimpegni, anche con soppalchi dove poter sostare, incontrarsi, studiare. Rallegrati dalla colorazione, ma assolutamente nudi e spartani nella formalizzazione, gli edifici-container sono tecnologicamente attrezzati, con impianti e connessioni WiFi, di facile manutenzione e sostituibili nelle singole unità perché modulari. L’assemblaggio dei container ha garantito la possibilità di risiedere in città a studenti universitari con contratti quinquennali, usufruendo dei
Fig. 16. Tadashi Kawamata, Tree Huts, 2013, Strozzina, Firenze.
Fig. 18. Elemental, COPEC + Pontificia Universidad Católica de Chile, Alejandro Aravena Edilizia sociale a Quinta Monroy, 2004, Iquique, Cile.
servizi di collegamento con l’istituto universitario – la metropolitana- e a quelli del “quartiere” realizzando con particolare attenzione gli spazi comuni e pubblici, come le corti-giardino e i percorsi pedonali e ciclabili di connessione alle zone limitrofe. L’attualità della transitorietà come possibile declinazione dell’abitare è confermata anche dall’interesse che suscita negli artisti. Tree Huts è un’installazione realizzata dall’artista giapponese Tadashi Kawamata ‘su’ Palazzo Strozzi a Firenze nel 2013. [Fig. 15]. Si tratta di un’installazione site-specific costituita da tre “nidi” montati sulla facciata del palazzo rinasci-
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mentale e nella corte interna e realizzati con materiali di scarto reperiti negli scantinati, con cui l’artista ripropone uno dei temi ricorrenti della sua ricerca: la relazione tra l’instabilità e permanenza. I residui, ciò che è stato eliminato, tornano a nuova vita e nidificano come protuberanze informi sulle precise e potenti fronti dell’architettura di Benedetto da Maiano. Nella Strozzina, che ospita spazi espositivi dedicati all’arte contemporanea negli interrati del Palazzo, Kawamata ha poi completato il suo intervento utilizzando delle vecchie porte appese orizzontalmente al soffitto con cavi trasparenti [Fig. 16]. Precarietà e instabilità era ciò che il pubblico percepiva nell’attraversare lo spazio dell’installazione: sia per il rovesciamento di senso nella collocazione degli oggetti – la porta è per sua natura un elemento verticale-, sia per la preoccupante inconsistenza degli ancoraggi. Nel racconto dell’artista, il lavoro di Firenze era nato proprio dalla riflessione sulle differenze tra le tradizioni abitative giapponesi e quelle italiane: arrivare dal Giappone delle case di carta e vedere l’architettura di pietra pesante lo aveva suggestionato a tal punto da immaginare un soffitto di porte appese e le protuberanze dei nidi in facciata. Protuberanze sono anche le Rucksack House di Stefan Eberstadt: più propriamente case-zaino. L’artista tedesco pone spesso al centro delle sue azioni la riflessione sul consumo dello spazio: la casa-zaino è un vano che può essere appeso alla facciata di ogni edificio residenziale per aumentarne la superficie disponibile. La scatola, che misura 3x3x3 metri, realizzata in legno, acciaio e plexiglass, viene appesa con cavi in acciaio al solaio di copertura e può essere smontata quando i proprietari decidono di trasferirsi e rimontata altrove, sempre che i regolamenti edilizi locali lo consentano. [Figg. 17a, 17b]. La casa-zaino si appoggia all’edificio esistente e costituisce una sorta di ingrandimento della casa esistente: a fronte di variazioni nella struttura della famiglia e di mutati bisogni abitativi la proposta di Eberstadt risponde con un intervento minuto e mirato sull’esistente. In Eberstadt come in Kawamata, nelle sperimentazioni architettoniche delle residenze universitarie come nella Paper Log House e in Plug and play, e ancora nel dibattito sul destino delle aree di Expo 2015, il tema della durata si dimostra pertanto indissolubilmente connesso a quello più esteso della sostenibilità: coniugare l’abitare con la temporaneità – dei manufatti, dei fruitori, degli utilizzi – contempla la riflessione ineludibile sul limite e la finitezza delle risorse e sulla necessità di ripensare i termini stessi del rapporto tra l’uomo e il suo spazio nel pianeta.
Una riflessione su un concetto ampio ed esteso di sostenibilità, come quello che alimenta le ricerche e l’operato dell’architetto cileno Alexandro Aravena, Priztker Price 2016. Promotore con il gruppo Elemental di interventi di sviluppo dell’edilizia sociale nella prospettiva di un’‘economia urbana sostenibile’, Aravena sperimenta per la prima volta nel 2004 a Inique il sistema della ‘costruzione aperta’, coinvolgendo 100 famiglie. Per ovviare al dilagare delle baraccopoli e in mancanza di fondi per interventi completi, la proposta prevede la realizzazione con un finanziamento pubblico dello scheletro degli edifici ovvero la struttura portante, la copertura e i servizi con gli impianti, lasciando agli abitanti l’onere del completamento, secondo il gusto e le possibilità di ognuno, in un processo comunque responsabile e partecipato. [Fig. 18] Ciò significa costruire un processo di collaborazione tra il privato e il pubblico, a cui spetta anche il compito della pianificazione generale e il monitoraggio delle realizzazioni dei singoli. Il progetto di Inique non è solo il progetto di Aravena, ma anche quello dei suoi abitanti. All’architettura della mediaticità e delle archistars, si è qui sostituita una condivisione di responsabilità dove il compito del progettista è condurre il processo, indicare le tracce, segnare i percorsi; porre questioni e offrire possibilità, anche nel segno della variabilità e della temporaneità, più che non dare risposte e stabilire certezze. BIBLIOGRAFIA AA.VV, TERRITORI INSTABILI. Confini e identità nell’arte contemporanea , Ed. Mandragora, 2013. B. Angi, Strategie di sopravvivenza urbana. Istruzioni per l’uso, Università degli Studi di Trieste, in http://www.openstarts.units.it/ A. Aravena, Elemental Chile, «Casabella», n. 742, 2006. R. Bologna, Abitare la temporaneità, in Costruire in laterizio, novembre/dicembre 2008, n. 11, 2008. F. Boni, Ceci construira cela’. La costruzione mediatica dell’architettura, in Costruzionismo e scienze sociali, a cura di A. Santambrogio, Perugia, Morlacchi, 2010. F. La Cecla, Contro l’architettura, Bollati Boringhieri, Torino, 2008. T. Firrone, Sistemi abitativi di permanenza temporanea, Aracne Ed. , Roma, 2010. E. Granata A. Lanzani , Metamorfosi dell’abitare, in A. Lanzani, In cammino nel paesaggio. Questioni di geografia e urbanistica, Carocci editore, Roma, 2011. «Lotus» n. 133, Viral architecture, 2008.
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LA TEMPORANEITÀ DEI LUOGHI DEL COMMERCIO COME OCCASIONE DI INNOVAZIONE, SPERIMENTAZIONE TECNOLOGICA E RIGENERAZIONE URBANA
1. IL CONTESTO Nell’attuale contesto internazionale (in particolare, cinese e statunitense) ed europeo, una delle principali trasformazioni territoriali in atto è quella relativa al rilevante successo delle piattaforme di ecommerce che determinano una discontinuità spaziale e localizzativa nel mercato distributivo, con ricadute potenzialmente rilevanti sulla tenuta del commercio al dettaglio tradizionale e moderno, dove spesso la temporaneità viene utilizzata come tentativo di risposta alle dinamiche di abbandono e dismissione degli spazi non più attivi. Il mercato italiano dello shopping on-line nel 2017 è stato pari a circa il 5,7% (Politecnico di Milano, 2017) e ha continuato a crescere (+17% rispetto al 2016): gli acquisti di prodotto (es. informatica, elettronica di consumo, abbigliamento, food&grocery, arredamento) hanno superato, per la prima volta nel 2017, quelli di servizio (es. assicurazioni, turismo), segnale che alcuni comportamenti d’acquisto stanno progressivamente cambiando anche nel nostro Paese. Oggi, in Italia, l’ecommerce ha un ricavo complessivo di circa 20-25 miliardi annui, una quota di mercato ancora ridotta, soprattutto se confrontata con il valore economico generato in altri paesi europei come Francia (€ 65 mld), Germania (€ 75 mld) e il Regno Unito (€ 100 mld). Nonostante questo posizionamento, dal punto di vista territoriale, già si possono riscontrare i primi effetti ed esternalità: dalla severa disintermediazione della filiera produttiva all’accelerazione dell’obsolescenza del commercio fisico, dall’incremento del flusso di traffico commerciale generato dai vettori privati al mutamento di vocazione territoriale di estesi ambiti regionali (es. sistema lineare della Brebemi). Questi inducono a
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Delibera N. 400/18/CONS, Roma, 29 luglio 2018.
ipotizzare nel prossimo futuro la necessità di introdurre nelle politiche localizzative regionali un rapporto integrato di impatto, come già previsto per le grandi strutture di vendita, anche per l’insediamento delle piattaforme e-commerce, tema, ad esempio, sul quale si è recentemente espressa anche l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom)1, sanzionando un grande operatore ecommerce per esercizio di servizio postale (inteso come logistica, consegna di pacchi o gestione dei centri di recapito) senza titolo abilitativo, suggerendo impatti sulla regolamentazione esistente e azioni di verifica di eventuali profili di concorrenza sleale nelle dinamiche dell’offerta da parte dell’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato. Nel contesto internazionale, attraverso l’attrattiva leva degli investimenti e dell’occupazione, il processo di penetrazione degli acquisiti online sul mercato retail, con strutture variabili dai 35mila ai 150mila mq, ha un evidente carattere evolutivo: negli Stati Uniti, ad esempio, è stato stimato che l’e-commerce nel 2030 si avvicinerà a una quota del 37,5% con importanti ricadute sulla tenuta delle superfici commerciali nei centri urbani caratterizzati già ora da elevati tassi di dismissione (vacancy rate). Una seconda importante dinamica di contesto è quello legata all’obsolescenza, alla dismissione delle grandi strutture commerciali di prima e seconda generazione e al processo urbanistico ed economico di trasformazione e riuso funzionale, conosciuto negli Stati Uniti come Demalling (Tamini, 2018), dove la presenza di grandi quantità di spazi vuoti indica, da tempo, alcune esternalità locali: “il fallimento economico, la diserzione sociale e problemi urbani più profondi che sono espressi spazialmente” (Jacobs, 1970).
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Parallelamente alla localizzazione di nuove polarità attrattive di ultima generazione caratterizzate da una forte ibridazione di formato e da un’alta qualità progettuale2, emerge un progressivo fenomeno di dismissione di una pluralità di attività economiche che ha investito molteplici tipologie di offerta determinato dalla progressiva riduzione delle capacità d’acquisto del bacino di utenza, da dinamiche poco flessibili del mercato urbano delle locazioni, da condizioni di saturazione dell’offerta, dalla forte competizione territoriale tra i formati distributivi che ha accelerato l’obsolescenza delle superfici commerciali meno recenti e già scarsamente attrattive. Il fenomeno dell’abbandono degli spazi commerciali non più competitivi costituisce, infatti, sia una forte criticità per il soggetto pubblico comunale (abbattimento della fiscalità locale, effetti negativi sul mercato locale, difficile gestione urbanistica di medi e grandi contenitori dismessi senza più una funzione attrattiva) e per la proprietà (incaglio finanziario, imposte fisse sul patrimonio immobiliare, alti costi per il sistema di sicurezza, …), sia un’opportunità insediativa e progettuale di potenziale riuso funzionale in ambiti territoriali che si stanno orientando verso, ad esempio, una nuova e decisa vocazione logistica3, dove, anche in questo caso, i confini territoriali della concorrenza non coincidono con i perimetri amministrativi di comuni o province, ma sono determinati dalla concentrazione spaziale della domanda e dalla sua mobilità.
2. LA TEMPORANEITÀ COME OCCASIONE DI INNOVAZIONE DI FORMATO, SPERIMENTAZIONE TECNOLOGICA E RIGENERAZIONE URBANA
In questo scenario di elevata concorrenza e di avanzata crisi dei tradizionali e moderni sistemi di offerta (Wood, McCarthy, 2014), il ruolo della temporaneità degli usi, “ciò che è esplicitamente e intenzionalmente limitato nel tempo” (Bishop, Williams, 2012), assume sempre più importanza strategica, dalle politiche di rigenerazione urbana dei sistemi locali di offerta al ridisegno funzionale delle polarità commerciali esistenti, dove è decisiva la scelta localizzativa, spesso orientata, “in un centro la cui reputazione sia credibile e desiderabile” (Lowe, Maggioni, Sands, 2018). La domanda “Non è più realistico introdurre un nuovo ciclo di vita nel ‘tempo di mezzo’ tra una vecchia e una nuova destinazione d’uso?” (Pasqui, 2014) trova nel retail un’efficace risposta attraverso un nuovo strumento di relazione, servizio e comunicazione con l’utenza. I temporary store4 sono infatti spazi temporanei “dal punto di vista di chi li usa, ma invece una tipologia distributiva che negli anni si è consolidata, si è data le sue regole e ha sviluppato professionalità specifiche” (Pellegrini, 2018). In questo senso, “l’uso temporaneo rappresenta un metodo flessibile di produzione spaziale” (Madanipour, 2018), soprattutto in questa fase dell’econo-
Figg. 1a-b. Ikea Temporary, Madrid, El Rastro. Fonte: https://www.arquitecturaydiseno.es/diseno/ikea-una-vuelta-por-barrio_446 2 Ad esempio, nella regione urbana milanese, si segnala il successo del nuovo aggregato commerciale “Il Centro” di Arese (MI), localizzato nel 2016 nell’area industriale dismessa Alfa Romeo, che rappresenta un inedito caso di ibridazione di formato a scala territoriale: il mix funzionale tra servizio commerciale, centro guida sicura ACI (nell’ex pista di prova) e il museo Alfa Romeo ha determinato l’attrattività di questa estesa trasformazione insediativa (nel 2017 ha registrato 13 milioni di presenze con una media di 48mila utenti/giorno e un fatturato annuo di € 600 milioni), che nel 2020 incrementerà la sua polarizzazione con l’attivazione del primo Skidome italiano progettato da Michele De Lucchi. Un altro esempio rilevante per i potenziali effetti diretti e indiretti è quello del progetto Westfield Galeries Lafayette, in corso di realizzazione a Segrate (MI) nell’area dell’ex Dogana, a ridosso dello scalo ferroviario, che prevede la realizzazione entro il 2021 di uno shopping mall di 130mila mq (già autorizzati), integrato con ampi spazi dedicati alla ristorazione, al tempo libero, all’intrattenimento e agli eventi. In questo caso, gli elementi di rottura con le esperienze precedenti sono rappresentati dall’assenza della piastra alimentare nel layout merceologico del nuovo insediamento, dall’alto investimento privato previsto (€ 1,4 miliardi), dall’importante quota di compensazione territoriale definita dal rapporto di impatto regionale (€ 88 milioni) e dalla previsione di un collegamento ferroviario, a carico del promotore, tra l’aeroporto di Linate e il territorio di Segrate.
LA TEMPORANEITÀ DEI LUOGHI DEL COMMERCIO
mia urbana caratterizzata da un rilevante stock di unità immobiliari non più utilizzate e abbandonate (Tamini, Zanderighi, 2017). Le esperienze top-down di Ikea pop-up e temporary attivati a Milano, Madrid e Barcellona hanno rappresentato, ad esempio, un’innovazione di formato su base temporanea nei processi di riuso di ex contenitori posizionati nel tessuto urbano centrale. Il caso milanese di Ikea Temporary rappresenta, in primo luogo, un tentativo di costruzione di interazione locale tra uno spazio di vendita temporaneo e i grandi eventi internazionali che hanno connotato la città nel corso del 20155. Localizzato in un ex contenitore produttivo di 1.400 mq. su due livelli nel contesto riqualificato della Darsena (via Vigevano), la superficie (con bistrot) è stata infatti aperta nella settimana di aprile contraddistinta dalla pluralità di eventi del Fuori Salone del Mobile e chiuso a fine settembre, un mese prima del termine di Expo Milano 2015. Aperto dalle ore 12 alle 22 (e fino alle ore 24 nei fine settimana), il temporary è stato caratterizzato da un calendario di eventi e interactive cooking, centrati sulle diverse culture del cibo e sulle nuove tendenze della ristorazione, elaborate in nord Europa nell’ultimo decennio, in stretta sinergia con i temi di Expo. Nel caso spagnolo, invece, in occasione dei 20 anni dalla prima apertura dello store di Badalona, nell’ottobre 2016 sono stati attivati per dieci giorni (dalle ore 10 alle 21) due spazi pop-up di medio-piccola dimensione nell’area centrale di Madrid (El Rastro, Calle San Cayetano, 460 mq., Fig. 1) e Barcellona (El Born, Calle Comerç, 100 mq.), con un assortimento di prodotti esclusivi e con un programma di workshop sulla personalizzazione di mobili e accessori per la casa, che ha permesso di mettersi in ascolto del bacino di utenza di prossimità (in particolare, dei non clienti). Tale esperienza conoscitiva locale è servita come base per l’apertura a Madrid nel mag3
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gio 2017 di un nuovo concept store urbano temporaneo di 900 mq su due livelli (chiusura prevista nel 2019), in uno dei principali assi commerciali della città (Calle Serrano nel barrio turistico di Salamanca) in un ex flagship store dismesso (a insegna Imaginarium), utilizzando lo spazio a rotazione ogni sei mesi, variando il focus, le referenze (n. 300) e l’ambientazione, inteso anche come verifica sul campo dell’ipotesi di una nuova formula distributiva urbana temporanea, sottolineata dalla presenza di 240.000 visitatori nei primi 6 mesi. Un caso di sperimentazione tecnologica utilizzando la temporaneità di un grande evento internazionale è rappresentato dal progetto Future Food District disegnato per Expo 2015 da Carlo Ratti (MIT Senseable City Lab di Boston), in collaborazione con Coop Italia, dove è stato realizzato un padiglione tematico – un “supermercato del futuro” completamente funzionante (con una superficie di circa 2.500 mq.) – concepito come uno spazio di ricerca sull’innovazione digitale applicata all’esperienza quotidiana dei luoghi del consumo (Fig. 2): dall’offerta commerciale all’allestimento, dall’informazione sul prodotto alle modalità d’acquisto6. Un elemento di interesse di questo progetto sperimentale è stato la sua replicabilità nel dicembre 2016 attraverso una declinazione spaziale e tipologica (“supermercato del futuro” + ristorante) nell’ambito ancora in trasformazione del progetto Milano Bicocca, all’interno del nuovo aggregato commerciale Bicocca Gate. Questa scelta localizzativa, dal punto di vista strategico, si configura come un rafforzamento e una diversificazione del presidio di insegna dell’operatore commerciale Coop, già presente nel bacino d’utenza primario con una grande superficie alimentare (al Centro Sarca nel comune confinante di Sesto San Giovanni). Dal punto di vista operativo, l’apertura del nuovo concept a Bicoc-
Uno dei casi pilota italiani di dismissione commerciale è rappresentato dall’ex centro commerciale “Le Acciaierie” di Cortenuova (BG), inaugurato nel 2005 e chiuso nel 2014, localizzato nel contesto infrastrutturale dell’asse Brebemi. 4 Il fatturato generato in Italia dai negozi temporanei ha raggiunto nel 2016 la quota di 83,5 milioni di euro (Assotemporary, 2017), in crescita del 7% rispetto al 2015, comprensiva del costo delle location e dei servizi accessori, tra i quali prevale l’organizzazione di eventi, utilizzata per radicare un’insegna in specifici mercati locali. Milano rappresenta il contesto urbano più dinamico in Italia (con 115 aperture temporary), mentre nel segmento dei centri commerciali circa il 20% degli spazi sono destinati a temporary shop. Tra i settori merceologici è prevalente la moda con una quota del 62% di iniziative temporanee, con incrementi di utilizzo nel food, nella gioielleria-bigiotteria e nel mercato dell’automobile. Da segnalare anche il fenomeno emergente del moving store, la forma itinerante di temporary shop, che vede in circolazione 23mila negozi (a tre o quattro ruote), utilizzati da imprese del fashion e del food per operazioni di vendita e di marketing. 5 Obiettivo sostanzialmente diverso dall’iniziativa temporanea replicata a Roma da aprile a giugno 2017 in piazza San Silvestro in prossimità di via del Corso, con una superficie di 400 mq focalizzata sul tema della cucina personalizzata, utilizzando la leva tecnologica (schermi, video, QR Code) per rendere più interattiva l’esperienza di acquisto. 6 Attraverso, ad esempio, l’inserimento di differenti tipologie di interazione (intuitiva): i tavoli interattivi, composti da vele e da 200 sensori di movimento (che vogliono richiamare i banchi di un mercato); gli scaffali verticali con touch screen dotati di una “etichetta aumentata” disposti in tutto il perimetro di ciascuno dei 3 livelli dello spazio (con un assortimento di circa 1.500 referenze alimentari); i sistemi automatici per il riassortimento e del replenishment dal basso. Il “prototipo” ha avuto un’utenza di circa 1.760.000 visitatori (con una media di 9.600 ingressi al giorno e 974.000 scontrini emessi nei sei mesi di Expo).
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Figg. 2a-b. Future Food District: lo spazio sperimentale. Fonte: Laboratorio di Urbanistica, Politecnico di Milano, A.A. 2014-15.
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ca rappresenta anche un’occasione – in uno spazio compatto con più ridotte dimensioni (850 mq.) ma con molte più referenze (circa 6.000) – per testare nelle pratiche quotidiane di consumo le tecnologie introdotte a Expo, suggerendo alcuni concreti scenari sulla rilevanza e le potenzialità della componente tecnologica e informativa dei luoghi fisici del commercio contemporaneo, in questo caso, in stretta sinergia con la filiera agroalimentare territoriale. Temporaneità come strumento di rigenerazione urbana Nella consapevolezza che l’uso temporaneo dello spazio non sia l’esclusiva “panacea per creare città resilienti, sostenibili, socialmente ed ecologicamente giuste” (Németh, Langhorst, 2014), una possibile declinazione della relazione tra le azioni di qualificazione del centro urbano e storico e la definizione di politiche attive di rilancio dell’attrattività locale è spesso rappresentata da buone pratiche progettuali connesse alla temporaneità degli usi di spazi dismessi, abbandonati o sottoutilizzati. Tale progettualità è intesa, nella seguente selezione – parziale e con un carattere di necessaria sperimentalità – di quattro casi italiani bottom-up, come concreta opportunità e strumento di rigenerazione urbana in un contesto di crisi economica (Andres, 2013; Tamini, Zanderighi, 2017). Fare Centro, Forlì Regione Emilia-Romagna nell’ambito delle politiche di riqualificazione del patrimonio culturale e ambientale ha avviato numerosi progetti sperimentali per la definizione di uno strumento operativo a supporto dei Comuni per la progettazione della valorizzazione dei centri storici7. Il progetto “Fare Centro” coordinato dal Comune di Forlì ha rappre-
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sentato, in primo luogo, oltre che uno dei primi casi pilota strutturati in Italia, una buona pratica di interazione tra soggetti diversi, dall’amministrazione comunale ai singoli proprietari edilizi, dalle associazioni di categoria (commercio, artigianato e servizi) agli operatori locali, che nel 2010 hanno attivato una società mista (“Forlì nel cuore”) finalizzata a un progetto sperimentale di intervento integrato sul centro commerciale naturale esistente nel tessuto storico della città. In relazione al tema del rilancio degli spazi inutilizzati al piano terra nel tessuto centrale, questo soggetto misto (cooperativo consortile), ha lavorato su differenti tipologie di progettualità: dalla creazione di sinergie per aumentare l’attrattività del centro storico e urbano per investitori e operatori franchising, all’occupazione dei negozi sfitti in forma permanente o temporanea al fine di creare un flusso commerciale continuo; dalla riduzione della percezione di degrado e abbandono del centro città alla creazione di eventi culturali per la città. Dal punto di vista operativo, l’intervento si è articolato in alcune fasi propedeutiche all’azione progettuale: la realizzazione di un database degli spazi sfitti presenti nel centro storico articolato in anagrafica, insegna, dimensioni, stato di utilizzo, target dell’offerta, condizioni manutentive, ripresa fotografica e numero degli affacci su strada; l’analisi catastale di tutti i dati raccolti e l’identificazione anagrafica dei proprietari immobiliari; l’organizzazione di incontri e momenti di confronto pubblico con le differenti proprietà finalizzata a illustrare gli obiettivi, le modalità di lavoro e a raccogliere le adesioni dei soggetti privati orientati a fornire a “Forlì nel cuore” la disponibilità delle unità sfitte per la sperimentazione delle prime iniziative di richiamo negli spazi interni, di riuso temporaneo e di copertura delle vetrine lasciate
Figg. 3a-b. Forlì: ”Spazio agli spazi”. Fonte: Indis Unioncamere (2013). 7 Attraverso, ad esempio, il programma operativo del fondo europeo di sviluppo regionale (FESR 2007-2013), la Regione ha finanziato 38 progetti, per un contributo complessivo pari a € 40,7 milioni.
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vuote con insegne e grafiche coerenti con il tessuto storico. Questa azione si è tradotta nel settembre 2012 nel progetto “Spazio agli spazi” con la promozione di un bando aperto di raccolta delle candidature – organizzato da “Forlì nel cuore” con il contributo di Comune, Provincia, Camera di commercio e degli istituti di credito locale – per l’inserimento negli spazi sfitti di esposizioni e mostre, attività di animazione culturale, workshop e allestimenti artistici senza fine di lucro (Fig. 3), dove le unità sfitte sono state concesse alle associazioni individuate senza alcun canone di locazione (a loro carico le spese di allestimento, pulizia e le utenze). Infine, nei criteri di scelta degli interlocutori sono state privilegiate le realtà che assicuravano una presenza più continuativa (tra i due e i tre mesi), considerando un periodo minimo di un mese. È da segnalare che nella prima edizione 2012 del progetto sono pervenute a “Forlì nel cuore” 47 richieste di utilizzo temporaneo, 40 da parte di associazioni culturali, artistiche e di volontariato e 7 da parte di privati (non previste dal bando); 11 richieste erano riferite ad attività di laboratori creativi, 18 a workshop tematici e 12 a mostre, con attività rivolte a più ambiti e fasce di età. La selezione delle iniziative ed il programma di utilizzo degli spazi liberi, attraverso un meccanismo di rotazione, è stato coordinato dagli assessorati alle Attività produttive, Cultura, Politiche Giovanili e Ambiente del Comune di Forlì in collaborazione con “Forlì nel cuore”. Brescia Open Brescia Open è un progetto di riuso integrato degli spazi non utilizzati ai piani terra di un ambito del centro storico del comune di Brescia, attivato nel 2014 e coordinato dal Consorzio Brescia Centro, con la partecipazione di Confesercenti, i residenti del centro storico, l’amministrazione comunale, con il contributo di Regione Lombardia e della Camera di commercio. Il progetto si è articolato in differenti livelli di intervento: – il riutilizzo di un esercizio commerciale sfitto in qualità di vetrina temporanea (un mese) per esposizioni artistiche a rotazione, con illuminazione a carico del Consorzio e nessun canone locativo; – il riuso temporaneo di un spazio sfitto come vetrina a fini commerciali: in questo caso l’illuminazione è a carico del conduttore e il canone locativo è da definirsi puntualmente in base a tipologia merceologica, localizzazione, superficie; – l’attivazione di un temporary store, con spese a carico del locatario e un canone di affitto da concordare;
– l’unità immobiliare in questione può diventare una vetrina temporanea orientata ad essere riutilizzata in locazione oppure come elemento di attrazione per l’asse commerciale: in questo caso l’illuminazione è a carico del Consorzio e il contratto è in comodato d’uso gratuito da definire puntualmente. Un elemento di interesse del progetto è il processo di emulazione (“effetto contagio”) osservato nel contesto del centro storico che ha orientato alcuni proprietari degli esercizi sfitti, non aderenti al progetto, a mantenere i propri spazi inutilizzati illuminati e in condizioni coerenti con la tutela del decoro del centro storico. Pop Up Lab, Toscana Pop Up Lab è un progetto sperimentale di nuove pratiche di riuso temporaneo degli spazi abbandonati nei centri storici toscani. L’iniziativa di matrice sociale e culturale attivata nel 2014 sfrutta le risorse creative locali, coinvolgendo gli enti locali, attraverso quattro fasi: 1. recupero degli spazi sfitti: individuazione delle superfici chiuse e inutilizzate presenti nei centri storici e messa a disposizione per il progetto, grazie all’accordo con i proprietari; 2. raccolta di nuove idee: lancio di una call for ideas aperta a singoli e gruppi, formali e informali, che propongono proposte e progetti per riattivare le unità inutilizzate; 3. promozione dell’azione “riaprire la città”: i vincitori della call for ideas utilizzano a titolo gratuito gli spazi a loro destinati per realizzare le idee presentate e organizzare attività sociali, culturali e commerciali per i primi tre giorni dell’evento, con la possibilità di mantenere attiva la propria attività per tutto il mese successivo; 4. “creazione di connessioni” attraverso l’organizzazione di workshop, mostre, laboratori, performance, momenti informali di confronto con esperti. Al progetto, condiviso anche dall’Autorità regionale per la garanzia e la promozione della partecipazione, hanno aderito sei Comuni in provincia di Firenze, Pistoia, Pisa (da Empoli a Campi Bisenzio, da Cascina a Quarrata prevalentemente tra i 26.000 e i 48.000 abitanti) con un ruolo di governance collaborativa: le amministrazioni individuano spazi sfitti e in accordo con i proprietari provvedono a metterli a disposizione dell’iniziativa. I vincitori del bando (pop uppers) utilizzano gratuitamente le superfici a loro destinate per realizzare le idee presentate, organizzare attività sociali, culturali e commerciali di tipo amatoriale e/o imprenditoriale e individuare linee guida partecipate per il rilancio del centro storico.
LA TEMPORANEITÀ DEI LUOGHI DEL COMMERCIO
Sfitto a Rendere, Mantova L’iniziativa “Sfitto a Rendere” promossa dall’associazione RUM - Rianimazione Urbana Mantova è stata inserita in un percorso che nel giugno 2014 ha permesso di coinvolgere la città di Mantova nel progetto “Hai del sale?” vincitore del bando della Fondazione Cariplo “Tempo ai Giovani” (call “La cultura come bene comune”), con l’obiettivo di valorizzare i rapporti di vicinato e di collaborazione in un’ottica di condivisione dei beni materiali (biciclette, libri, oggetti e prodotti) e immateriali come conoscenze, competenze e saperi. Insieme a questa proposta è stato finanziato dal bando Cariplo anche l’intervento “Sfitto a rendere” che si pone in continuità con il percorso intrapreso, ponendo maggiore attenzione alle criticità dei vuoti presenti nel tessuto urbano. La prima azione è stata quella di attivare un osservatorio sugli spazi sfitti, mappando le dismissioni commerciali presenti nel centro storico di Mantova8. Nel settembre 2014 è stata verificata l’intenzione delle differenti proprietà, attraverso l’iniziativa “La vetrina che vorrei”, di mettere a disposizione del progetto gli esercizi sfitti in comodato d’uso gratuito per un periodo limitato, da uno a tre giorni. Attraverso un processo di coinvolgimento e di sensibilizzazione verso i temi della rigenerazione urbana, l’associazione RUM ha utilizzato un tool kit di procedure e stima dei costi per processi di riaperture commerciali temporanee che coinvolgevano tre livelli di dettaglio: lo spazio esterno, il layer espositivo e la superficie interna9. In continuità con le azioni precedenti, nel settembre 2015 è stato attivato il progetto sperimentale “ideAzione” di qualificazione del centro storico orientato non solo a favorire le aperture temporanee degli spazi sfitti ma ad attrarre nuovi soggetti e nuove attività con l’obiettivo di contrastare gli alti costi di ingresso sul mercato locale di nuovi imprenditori legati all’ambito della creatività e del settore digitale. Un ultimo intervento di rigenerazione urbana promosso da RUM ha previsto la collaborazione con l’Ufficio Mantova e Sabbioneta patrimonio mondiale Unesco (già sperimentata nel dicembre 2014 con un’apertura temporanea in un’unità inutilizzata di via Orefici) e ha coinvolto uno spazio sfitto individuato sempre nell’ambito centrale (via Verdi): dal dicembre 2015 al marzo 8
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Fig. 4. Mantova: ”Sfitto a Rendere”. Fonte: http://www.sfittoarendere.it
2016 l’ex superficie dismessa ha accolto il “Mantova e Sabbioneta Heritage Center” dedicato al sito Unesco dove sono state presentate alla cittadinanza le attività istituzionali, introducendo il ruolo di Mantova quale capitale italiana della cultura 2016. BIBLIOGRAFIA Andres L. (2013), “Differential spaces, power hierarchy and collaborative planning: a critique of the role of temporary uses in shaping and making places”, Urban Studies, vol. 50, n. 4, pp. 759-775. Assotemporary (2017), Dati a consultivo 2016, Milano, febbraio. Bishop P., Williams L. (2012), The temporary city, Routledge, New York.
Il rilievo ha restituito una geografia di 145 spazi commerciali dismessi, pari al 32% del territorio comunale, con un andamento peggiorativo di 6 attività chiuse in 5 anni. 9 La riflessioni sulle diverse tipologie contrattuali ha indirizzato RUM verso contratti di comodato d’uso gratuito (con le spese di utenza a carico dell’utilizzatore) per i casi di intervento da uno a sette giorni. Per il caso intermedio di un mese di locazione sono state previste due possibilità: un comodato d’uso gratuito oppure un canone calmierato dove RUM si pone come mediatore tra il conduttore e il proprietario. In entrambi i casi le utenze sono escluse e la tempistica di rigenerazione non supera il mese (per non dover sostenere le spese di registrazione all’Agenzia delle Entrate). Infine per la progettualità più lunga (quattro mesi) è stato previsto un “contratto di locazione temporanea ad uso diverso da quello abitativo” con canone mensile crescente (utenze escluse).
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LUCA TAMINI
Indis Unioncamere (2013), Rivitalizzazione economica e rigenerazione urbana. Sviluppo di percorsi programmatici e progettuali per le reti cittadine e per le imprese del commercio e dei servizi, Roma, Copygraph. Jacobs J. (1970), The Economy of Cities, Vintage Books, New York. Lowe J., Maggioni I., Sands S. (2018), “Critical success factors of temporary retail activations: A multi-actor perspective”, Journal of Retailing and Consumer Services, vol. 40, pp. 74-81. Madanipour A. (2018), “Temporary use of space: Urban processes between flexibility, opportunity and precarity”, Urban Studies, vol. 55, n. 5, pp. 1093–1110. Németh J., Langhorst J. (2014), “Rethinking urban transformation: Temporary uses for vacant land”, Cities, vol. 40, pp. 143–150. Pasqui G. (2014), “Prefazione. Riusi temporanei per un’altra città” in Inti I., Cantaluppi G., Persichino
M. (a cura di), Temporiuso. Manuale per il riuso temporaneo di spazi in abbandono, Altra Economia, Milano. Pellegrini L. (2018), “Prefazione” in Costa M., Temporary shop: per vendere e farsi conoscere (in tempo di crisi), Franco Angeli, Milano. Politecnico di Milano, Osservatorio ECOMMERCE B2C (2017), ECommerce B2Cin Italia, Report, ottobre. Tamini L. (2018), Re-activation of Vacant Retail Spaces. Strategies, Policies and Guidelines, Springer International Publishing, Cham. Tamini L., Zanderighi L. (2017), Dismissioni commerciali e resilienza. Nuove politiche di rigenerazione urbana, EGEA, Milano. Wood S., McCarthy D. (2014), “The UK food retail ‘race for space’ and market saturation: A contemporary review”, The International Review of Retail, Distribution and Consumer Research, vol. 24 n. 2, pp. 121-144.
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ANTONELLA BRUZZESE
DISMISSIONI, USI TEMPORANEI, EVENTI E RIGENERAZIONE URBANA. NOTE INTORNO AL CASO MILANESE
1. USI TEMPORANEI. CONDIZIONI, LIMITI E OPPORTUNITÀ Gli usi temporanei da qualche anno sono diventati un tema “di moda”. Da quando si è cominciato a identificarli non solo come pratica illegale di “squatting” ma come una opzione possibile per trattare questioni di disuso e di sottoutilizzo di strutture dismesse, il tema ha assunto in alcuni discorsi pubblici la valenza di risposta “facile” e sempre valida per tamponare situazioni ferme da tempo o per giustificare l’impossibilità di affrontare in maniera non strutturale problemi di abbandono (AA.VV 2007). Mercati, giardini, residenze speciali, spazi di aggregazione temporanei sono apparsi usi sufficienti per tenere attiva l’area ed evitare l’abbandono con minima manutenzione e con interventi in economia e a tempo determinato, in vista di altre forme di recupero. Non sempre, tuttavia tali interventi sono stati accompagnati da una riflessione davvero fondata sulle condizioni necessarie per praticarli e sulle loro implicazioni. L’uso temporaneo, infatti, è un tema carico di potenzialità ed è tutt’altro che banale, come dimostrano le diverse esperienze fatte in anni recenti anche
in Italia e i diversi soggetti che ci lavorano.1 Alcune condizioni al contorno ne hanno favorito la diffusione: la situazione economica e del mercato immobiliare che ha rallentato, ancora più che in passato gli interventi di trasformazione urbana (Sassen, 2000, Kunzmann, 2016); l’aumento del patrimonio dismesso che non riguarda più solo i manufatti industriali ma anche il settore commerciale e terziario (Cavoto 2014, Gosseye and Avermaete 2017); l’emergere o il consolidarsi di alcune pratiche di cittadinanza attiva che rivendica un uso e una gestione diretta di beni pubblici (Cassano 2004, Arena e Iaione, 2012, Iaione 2013, Harvey 2012, Parker, Schmidt 2017); il diffondersi dei temi del riciclo e del riuso (Ciorra, Marini 2011, Heimeyer, Petzet 2012). Sono tutti fattori che da una parte evidenziano la grande disponibilità di occasioni e spazi, dall’altra rimarcano lo scarso successo nel procedere con modalità tradizionali e consolidate, e ancora segnalano l’emergere di un nuovo attivismo e di forme diffuse di presa in carico e di “cura” degli spazi urbani. Tutto ciò suggerisce possibilità inedite di intervento, anche a tempo. Che risultano tanto più adeguati quanto più sono capaci di suggerire nuove modalità
Figg. 1a-b. Usi temporanei a Milano in Piazza Castello 2015 (a sinistra) e a Lambrate 2016 (destra). 1 A Milano si veda in particolare il lavoro dell’associazione Temporiuso e il relativo Corso di perfezionamento Riuso Temporaneo Strumenti e strategie per il riuso temporaneo di spazi in abbandono presso il Politecnico di Milano.
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ANTONELLA BRUZZESE
di trasformazione urbana anche al di fuori della loro estemporaneità congenita. Mettere in campo interventi efficaci di riuso temporaneo, infatti, significa non solo saper riconoscere le opportunità spaziali che certi ambiti dismessi o sottoutilizzati rappresentano (spazi scarichi di usi e relazioni che rappresentano straordinarie occasioni per reinventare nuove identità urbane, spesso in luoghi marginali), ma anche interrogarsi su cosa vuol dire “progettare la temporaneità” (Bruzzese, De Michelis 2011) in termini di processo e procedure per avviarlo (quali risorse vanno mobilitate, quali economie sono necessarie, quali esigenze può soddisfare, attraverso quali canali e con che tipo di programmazione può essere attivata) e anche quali implicazioni tali progetti a tempo determinato possono avere, in altre parole che tipo di trasformazioni ulteriori potrebbero (o meno) innescare. L’uso temporaneo quindi può essere una risposta efficace ai problemi di disuso quando riesce a mettere in campo le diverse componenti che lo caratterizzano (costi limitati, reversibilità, mobilitazione dal basso) ma anche quando si interroga su come queste possono diventare parte di un progetto di lungo periodo a partire dagli usi che consente di sperimentare. Perché, anche se il riuso temporaneo è generalmente reversibile nelle sue trasformazioni fisiche, raramente lo è negli usi e nelle tracce che lascia, rendendo necessario e opportuno ripensare la relazione tra uso temporaneo del breve periodo e trasformazione urbana di lungo periodo. 2. A MILANO. INDUSTRIE CREATIVE CULTURALI ED EVENTI. IL FUORISALONE E LE ALTRE (WEEK) Le attività legate alla cultura e creatività possono essere elementi chiave per lo sviluppo delle città e vere e proprie leve di sviluppo urbano e territoriale, soprattutto nello scenario della competizione globale. Moda e design, in particolare, sono due settori nei quali Milano si distingue per tradizione, consistenza di imprese, numero di addetti2. Alla base di ciò sta il forte legame che sin dagli anni cinquanta si è instaurato tra talento progettuale e capacità artigianali e manifatturiere di Milano e della Lombardia. Una relazione tra progettualità e produzione, sapere
artigianale e innovazione industriale che ha dato vita a sodalizi che hanno caratterizzato la storia del design italiano e internazionale e che hanno trovato sede in uno specifico contesto fisico in cui la prossimità ha giocato un ruolo importante. Le attività legate a moda, design, e più in generale a creatività e cultura,3 si sono consolidate nella città costruendo nuove centralità non solo perché hanno teso a addensarsi in luoghi specifici ma anche e soprattutto perché queste attività, più di altre, sono state capaci di ospitare eventi in grado di attirare notevoli flussi di persone concentrate in particolari momenti dell’anno. Uno degli eventi legati al design e al mondo dell’arredo che più di altri ha avuto un ruolo di amplificatore e di promotore di alcune dinamiche di cambiamento urbano è stato fin dai primi anni ’90 il Fuorisalone4. La “Design week” – come ha iniziato ad essere chiamata qualche anno fa – insieme alla “Fashion week” ma con maggiore intensità e capacità di penetrazione negli spazi della città e nel coinvolgimento dei visitatori, è stato un fenomeno in progressiva crescita per numero di visitatori coinvolti5. La prevalenza di attività creative, il coinvolgimento di professionisti in grado di fare rete, la capacità comunicativa messa al lavoro, la disponibilità di spazi inusuali, hanno rappresentato alcune delle condizioni che hanno consentito di promuovere e di ospitare gli eventi e attività temporanee in alcune specifiche zone della città. Zona Tortona, VenturaLambrate, Zona Porta Romana rappresentano le geografie temporanee, che il Fuorisalone ha costruito negli anni e che si sono sovrapposte ad ambiti urbani che in maniera più o meno permanente si stavano trasformando all’insegna della cosiddetta industria creativa (Bruzzese, Botti, Giuliani, 2013;Bruzzese 2014; 2015a;). Tutto ciò ha contribuito notevolmente ad alimentare la visibilità “esterna” di tali aree. Allo stesso tempo ha consentito di amplificare un processo di auto riconoscimento in cui gli stessi attori della trasformazione hanno sviluppato veri e propri brand territoriali. Alla città trasformata nella materialità dei suoi spazi e nelle abitudini dei suoi utenti, se ne sovrappone un’altra, virtuale e spiccatamente promozionale, che ha progressivamente tentato di far coincidere il lancio di prodotti che avveni-
2 Si veda in proposito Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi. (2018) Milano Produttiva, 28° Rapporto. Servizio Studi, Statistica e Programmazione, della Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi. 3 Si veda: Commissione Europea (2010) “Libro verde – Le industrie culturali e creative, un potenziale da sfruttare”, COM (2010). 4 L’insieme delle attività espositive ed eventi organizzati in città a Milano che accompagnano la fiera espositiva dell’arredo conosciuta come Salone del Mobile, istituzionalizzato agli inizi degli anni ’90 grazie alla rivista Interni che pubblicò una guida in allegato intitolata “Guida al Fuorisalone”. Una storia si trova in Cuman, A.D., 2012, MediaSpaces, Urban Events and Mobile Experience: an ethnographic enquiry into the social production of the city of design. Tesi di dottorato, Università Cattolica di Milano. 5 Nel 2018 sono stati circa 500.000 i visitatori della Design Week, all’interno del cosiddetto Fuorisalone, per 1.367 eventi organizzati a fronte di 434.000 visitatori della Fiera. Fonte: Giovanna Mancini, 22 aprile 2018 Record di visitatori per Salone e Fuorisalone: in fiera oltre 434mila persone, Il sole24ore.
DISMISSIONI, USI TEMPORANEI, EVENTI E RIGENERAZIONE URBANA
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Figg. 2a-b. A sinistra. Localizzazione dei principali luoghi a Milano del Fuorisalone– edizione 2018 Fonte: fuorisalone.it A destra. Installazione durante il Fuorisalone.
va in quei luoghi con la promozione stessa di quei luoghi, di quella zona; in definitiva considerando quello specifico ambito territoriale il supporto necessario a sostenere attività, stili di vita e prodotti. E ponendo l’accento su come la relazione fra trasformazione fisica ed eventi temporanei abbia giocato un ruolo importante nella trasformazione della città. Il numero degli eventi diffusi nello spazio e distribuiti nel tempo è diventato inoltre una cifra identificativa molto forte dell’offerta culturale (e non solo) milanese. Dopo il Fuorisalone e la Settimana della moda (che resta l’evento forse ancora più elitario e meno diffuso), Milano ha visto la nascita negli ultimi anni di un numero considerevole di “week” tematiche: Art week, Arch week, Movie week, Food week, Photo week, Digital week, Social Media week, Fall design week., ma anche Piano City, Book City, Green City (ora Green week), iniziative con palinsesti molto ricchi e articolati che attivano temporaneamente spazi diversi distribuiti nel territorio cittadino. 3. SUL TERRITORIO: LE OCCASIONI DELLE DISMISSIONI E NUOVE DIREZIONI
La dimensione della temporaneità degli usi legata agli eventi non è certamente l’unico aspetto che caratterizza le attività riconducibili alle industrie culturali e creative. Come noto, nella città sono in atto profondi processi di trasformazione che riguardano soprattutto gli spazi produttivi di prima industrializzazione (settori manifatturiero, chimico, siderurgico), processi diffusi di dismissioni e/o di delocalizzazione industriale che hanno comportato la perdita di interi settori produttivi e profonde ripercussioni sulla dimensione economica, sociale e ambientale delle aree urbane. In molti casi sono proprio questi spazi dismessi, dentro la trama urbana, a prestarsi a diventa6
re le sedi di nuove attività culturali e creative. Queste trasformazioni, date dall’incontro tra opportunità spaziali e domande di spazio di nuovi lavori legati alla creatività, spesso hanno funzionato come attrattori in grado di costruire delle vere e proprie concentrazioni e delle singolari sinergie tra produzione, modi di abitare e sistema sociale nel suo complesso. Osservare dove tali attività sono insediate a Milano consente di riconoscere specifici “addensamenti” (Bruzzese 2015a) in alcune aree della città non solamente storiche e centrali come quelle legate alla moda ma anche in settori urbani semiperiferici, caratterizzati dalla presenza di una maggiore varietà di funzioni produttive nel senso ampio del termine. Si tratta ad esempio delle aree prossime a Porta Genova oramai conosciute, grazie al Fuorisalone, come “zona Tortona”, consolidata da tempo o “zona Ventura Lambrate” che si dimostra già in una fase di contrazione delle attività. Ma anche altre aree come quelle intorno a via Spartaco o via Tertulliano o via Piranesi, o intorno alla nuovo Fondazione Prada a sud dello scalo ferroviario di Porta Romana. Si tratta di ambiti urbani in cui in passato la produzione era mescolata alla residenza, ai servizi e al commercio in un tessuto che ancora oggi quindi presenta un’ampia gamma di tipologie di edifici e di spazi; collocati in posizione semi-centrale, spesso vicino alla cintura ferroviaria, prossime a nodi di interscambio e stazioni e quindi relativamente accessibili; caratterizzate in passato dalla presenza diffusa di edifici industriali di medie dimensioni6. Alcuni manufatti sono stati trasformati in spazi per esposizioni, produzioni, studi (di architettura, grafica, design), gallerie, etc. dall’imprenditoria privata, a partire da alcuni interventi che possono essere considerati dei veri e propri “pionieri” o apri-pista, come Superstudio più in zona Tortona, la ex Faema a
Tra 15 e 20.000 mq di superficie come ad esempio Superstudio più in zona Tortona e l’ex Faema a Lambrate.
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ANTONELLA BRUZZESE
Lambrate, o la Fondazione Prada a sud dello scalo di Porta Romana. I quali hanno innescato un processo di trasformazione nelle aree limitrofe ancora disponibili, creando in alcuni casi delle concentrazioni di attività analoghe riconoscibili e in grado di caratterizzare uno specifico contesto. Sebbene quindi la localizzazione di attività legate a moda e design a Milano restituisca una situazione apparentemente diffusa su tutto il territorio comunale, alcune zone cittadine sono riconosciute più di altre come centralità legate a queste funzioni, per motivi differenti, non solamente riconducibili a elementi quantitativi (la numerosità delle attività) ma qualitativi, quali: l’alta reputazione di alcune attività creative che più di altre sono state in grado di mobilitare interesse e attrarre l’attenzione a scala locale e sovralocale; la sovrapposizione tra attività permanenti ed eventi temporanei; il ricorso a interventi di “place-branding” di diversa natura volti a affermare nuove immagini urbane; lo “status” che in anni recenti alcune zone di Milano hanno raggiunto nelle mappe mentali degli utenti come quartieri “creativi”. In altri termini, alcune attività, al di là del loro numero, riescono con maggiore efficacia a caratterizzare un contesto urbano e a rendere più visibile la propria presenza, spesso grazie anche a fattori eterogenei che vanno dal tipo di network in cui sono inserite, alla scala internazionale in cui operano, alle strategie di comunicazione che adottano. Questi fattori hanno contribuito non solo ad alimentare la reputazione di certe attività, ma anche a favorire processi di ‘addensamento’ di attività economiche simili, rimarcando i vantaggi della prossimità fisica. Concentrazioni di attività che pongono diverse questioni in merito sia alle dinamiche del fenomeno (le condizioni di partenza, la relazione tra trasformazione fisica e promozione dell’immagine), sia ai suoi effetti (governo delle trasformazioni, qualità urbana, gentrification, benefici pubblici, recupero etc.). 4. LAMBRATE, AD ESEMPIO7 Eventi, uso temporaneo, aree dismesse e Fuorisalone trovano un punto di incontro nel caso di Ventura Lambrate, un quartiere in cui i processi di rigenerazione urbana legati all’insediamento dell’industria creativa – arte e design principalmente – avviati negli anni Duemila hanno contribuito a affermare la zona come una “centralità a tempo” del Fuorisalone. Senza poter entrare troppo nel merito mi limito a ricordare sinteticamente alcuni passaggi nodali della 7 8
vicenda. Si tratta di un quartiere periferico milanese, con un’importante storia industriale nata tra gli anni trenta e cinquanta del Novecento con l’arrivo di aziende come l’Innocenti, la Richard Ginori, l’industria farmaceutica Bracco,o la Faema, tra le altre, e che ha subito dagli anni settanta un altrettanto importante processo di dismissione. A partire dagli anni Duemila, il quartiere è stato oggetto di interventi di recupero di alcuni manufatti ex industriali da parte di operatori del mondo dell’arte, del design e della cultura, a cominciare dall’ex Faema, la storica industria di macchine da caffè. L’operazione può essere considerato il primo intervento “pioniere” di un processo di trasformazione che ha mobilitato una rete di attori del settore della creatività milanese che ha visto in quel quartiere i vantaggi della prossimità e le possibilità di promuovere le attività insediate nell’area come un insieme. Tra il 2007 e il 2016 l’area è stata sede di un progetto avviato da Organisation in Design, un gruppo di designer olandesi che, in cerca di spazi espositivi alternativi a zona Tortona (ambito del Fuorisalone già consolidato dagli anni ‘90), ottenne la possibilità di esporre i propri progetti in uno dei cantieri allora in corso, aprendo così la strada ad un fenomeno di occupazione temporanea di spazi che si è ripetuto con crescente successo negli anni seguenti (tra il 2010 e il 2015 gli eventi organizzati da loro passano da 22 a 176, con 950 designer coinvolti; i metri quadrati utilizzati temporaneamente per esposizioni ed eventi da 5.000 a 13.000; i visitatori da 30.000 a più di 100.000)8. In quegli anni quindi Lambrate ha potuto contare sull’uso temporaneo di alcuni dei suoi spazi ex industriali parzialmente o totalmente dismessi per attività legate dapprima al mondo dell’arte (StartMilano) poi, con sempre maggiore successo, al mondo del design Fuorisalone (Bruzzese, 2015), anche se che ora è in una fase di contrazione degli usi, dal momento che alcuni degli operatori più forti si sono spostati altrove. In particolare, l’uso temporaneo a Lambrate in questi anni ha riguardato diverse categorie di edifici (parzialmente o totalmente dismessi, ancora attivi con funzioni produttive, recuperati a funzioni espositive) con modalità di utilizzo differenti anche sulla base delle diverse superfici coinvolte (da una singola stanza al piano terra a interi edifici industriali di medie e grandi dimensioni) che hanno permesso molteplici forme di messa a reddito dello spazio; ha coinvolto edifici in un’area relativamente concentrata ma capace di incidere notevolmente sulla reputazione del quartiere (Scott, 2000); è stato prevalentemente connesso al fenomeno del Fuorisalone che si
Il paragrafo riprende contenuti pubblicati da chi scrive in Bruzzese, 2015b. Fonte: Organization in design dal sito: www.venturaprojects.com
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Figg. 3a-b. Aree dismesse a Milano Lambrate – 2015. Elaborazione dell’autore. Usi temporanei durante il Fuorisalone a Milano Lambrate – 2015. Elaborazione dell’autore.
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Fig. 4. Workshop Osservatorio Lambrate laboratorio di Urbanisitica aa.2015-16 proff. Antonella Bruzzese e Anna Moro.
Fig. 5. Il territorio di Lambrate.
Fig. 6. Una delle associazioni attive sul territorio Made in Lambrate.
svolge in un periodo breve – una settimana – ma ricorre ogni anno; si è affermato come un’operazione avviata e gestita da un unico soggetto – Organisation in Design – che ha espresso un progetto curatoriale e culturale preciso con una politica di gestione dei prezzi di affitto tale da consentire l’accesso ad alcune categorie di espositori giovani e promettenti
pur sottoponendoli a una forte selezione di ingresso sulla base della proposta presentata9; si è aperto successivamente ad altri operatori (la disponibilità di spazi è ampia) che hanno differenziato l’offerta con tutto ciò che comporta in termini di riconoscibilità; negli ultimi anni, come già ricordato sopra però, ha subito una contrazione per il venire meno di
9 Nel 2017 il progetto Ventura Lambrate ha avuto circa 400 domande a fronte di una selezione di circa 126 espositori di 38 differenti nazionalità e circa 115.000 visitatori Fonte: www.venturaprojects.com
DISMISSIONI, USI TEMPORANEI, EVENTI E RIGENERAZIONE URBANA
Fig. 7. Via Ventura.
un equilibrio conveniente tra proprietari degli immobili e curatori degli eventi che ha spinto, dal 2017, Organization in Design a spostare diverse attività curate con il nome di Ventura-Lambrate e localizzate, appunto in via Ventura nel quartiere Lambrate, in altre zone della città e negli spazi dei Magazzini raccordati sotto la stazione Centrale di Milano, avviando i progetti Ventura-Centrale e VenturaFuture.10 5. EFFETTI, LIMITI E VISIONI DI CITTÀ Il caso di Lambrate e le riflessioni fatte più in generale su usi temporanei, eventi, creatività e relazioni con le trasformazioni di aree ex industriali milanesi consentono di mettere a fuoco alcune considerazioni riguardo il ruolo che l’uso temporaneo che svolge, alle economie che genera e alle questioni che propone all’agenda pubblica, e che possono assumere una valenza più generale: 1. il successo dell’operazione di uso temporaneo qui si è basato su un sostrato di trasformazioni che già aveva agito sul quartiere contribuendo a costruire la sua fama di “quartiere creativo” ma soprattutto sulla presenza di un network di realtà e di contatti personali che ha reso possibili le operazioni. In altri termini non è stato un progetto estemporaneo ma costruito nel tempo e grazie a un insieme di competenze internazionali e di conoscenza della realtà locale; 10
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2. l’uso temporaneo a Lambrate si era basato su una visione urbana di medio periodo che ha saputo individuare le potenzialità dell’area e ha puntato sulla rilevanza di un progetto culturale di alto profilo. Una visione promossa da un operatore privato che sul quartiere ha espresso obiettivi di valorizzazione immobiliare e di opportunità di lavoro; 3. le economie generate da questi usi hanno riguardato soprattutto la dimensione espositiva e al suo indotto. Per i proprietari delle aree – al di là degli esiti – si è trattato prevalentemente di un “business di prospettiva”, legato alla valorizzazione del quartiere che per il momento appare soprattutto di immagine più che di vero e proprio innalzamento dei valori immobiliari.11 In altri termini le entrate di affitto degli immobili non coprono le spese di manutenzione, né sono tali da sostituirsi a forme di trasformazione permanente che sarebbero certamente più redditizie ma che non si danno in queste contingenze. Emergono tuttavia nuove forme di attività (affitto come location), pratiche informali di arrotondamento delle entrate o più semplicemente strategie di occupazione di spazi in attesa; 4. il successo dell’operazione culturale si è basata sulla qualità e la dimensione sperimentale della proposta che ha puntato su giovani e scuole, differenziando l’offerta di Lambrate da altre zone del Fuorisalone che ospitano marchi più affermati; 5. questa situazione, garantita dalla presenza di un progetto complessivo, tuttavia era in una condizione di equilibrio precario che da anni mostrava segnali di scarsa tenuta per il prevalere di logiche di profitto da parte di operatori meno coinvolti culturalmente e che negli ultimi due anni ha spinto l’organizzazione a investire altrove visto l’aumento dei prezzi degli affitti con le conseguenze di una modificazione del profilo dell’offerta; 6. trattandosi di edifici e di interventi privati, l’attore pubblico ha continuato qui ad avere un ruolo marginale. Non è stato possibile finora e in regime di risorse scarse, sperimentare e mettere in campo eventuali forme di incentivo per tali pratiche temporanee o in generale misure che, agendo anche su questo genere di attività, possono evitare l’abbandono da un lato e/o colmare i tempi e gli spazi scarichi di usi;
Si veda: Laura Traldi, 2018 Cosa è successo (e cosa succederà) a Ventura Lambrate? 15 Gennaio 2018 - su www.designatlarge.it A Lambrate la residenza si divide tra gli edifici storici, tessuto residenziale realizzato anni cinquanta/sessanta, gli interventi residenziali recenti del PRU Rubattino e nuovi loft. I prezzi degli appartamenti nuovi hanno subito una crescita costante dal 1999 in poi, con un’impennata tra il 2011 e il 2012 in linea tuttavia con i prezzi di altri quartieri milanesi, mentre i prezzi di vendita di capannoni, depositi e magazzini si sono mantenuti tendenzialmente costanti. 11
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7. a Lambrate, infine, l’uso temporaneo non è stata una risposta solamente “tattica” di fronte a singole occasioni. È stata parte di una strategia che è temporanea (e ricorrente) per natura. Ciò offre ulteriori elementi per tentare di riarticolare il paradigma dell’uso temporaneo allargando la riflessione a una molteplicità di “tipi di temporaneità” (Inti et al., 2014), al ruolo che tali usi possono assumere non solo come strumento di profitto ma anche come parte di un progetto espositivo e culturale, capaci di contribuire in maniera più sostanziale alla costruzione di qualità urbana. BIBLIOGRAFIA Arena, G., Iaione, C. (eds.) (2012) L’Italia dei beni comuni. Roma: Carrocci. AA.VV, (2007) Urban Pioneers. Temporary Use and Urban Development in Berlin, Jovis Verlag. Bruzzese A., De Michelis G. (2011) Progettare la temporaneità. L’esperienza del workshop la “Cittadella del Riuso Temporaneo” a Sesto San Giovanni in Territorio, n. 56, pp.59-64. Bruzzese A., Botti C., Giuliani I. (2013), Territorial branding strategies behind and beyond visions of urbanity.The role of the Fuorisalone event in Milan. Planum. The Journal of Urbanism www.planum.net, ISSN 1723-0993, n.28, vol 2(2013) pp.1-11. Bruzzese A., Tamini L. (2014), Servizi commerciali e produzioni creative. Sei itinerari nella Milano che cambia, Bruno Mondadori, Milano . Bruzzese A. (2015a) Addensamenti creativi, trasformazioni urbane e Fuorisalone, Maggioli editore, Sant’Arcangelo di Romagna. Bruzzese A (2015b), Spazi in attesa, industria creativa e riusi temporanei. Il caso di Lambrate a Milano in Atti della XVIII Conferenza nazionale
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PRESENTAZIONE Dal 18 giugno al 3 Luglio 2016 si è tenuto sul lago di Iseo un evento di eccezionale portata, artistica, innanzitutto, e quindi turistica quale conseguenza dell’originalità dell’iniziativa. L’artista americano Christo, ben noto per sue precedenti originali iniziative che hanno lasciato il segno in molti paesi del mondo (si ricorda tra l’altro l’”impacchettamento” del Bundestag di Berlino) ha realizzato sul lago d’Iseo un sistema di passerelle che hanno collegato la sponda bresciana del lago a Montisola, la più grande isola lacuale europea posta al centro del lago. Grazie ad esse un pubblico assai numeroso, valutato in 1 milione e 200 mila unità, ha potuto “camminare sulle acque” senza alcun sistema di protezione fisso, invadendo l’area e costringendo la Prefettura a chiudere l’afflusso in alcuni momenti di maggiore concentrazione di persone. L’evento è stato preceduto da qualche polemica (in particolare da parte del mondo ambientalista) e soprattutto da molta perplessità, non essendovi precedenti ad un evento di queste caratteristiche e di questa portata. Non era facile immaginare a priori l’interesse che una simile iniziativa avrebbe potuto suscitare sul pubblico e in particolare sull’attrazione che avrebbe esercitato sul turismo interno e internazionale. L’Università di Bergamo, grazie all’iniziativa degli allora laureandi della Laurea Magistrale di Progettazione e Gestione dei Sistemi Turistici, Emanuele Falcone e Viviana Trotti, ha predisposto un’indagine diretta (ovvero attraverso interviste ai visitatori) con l’obiettivo di quantificare l’impatto turistico ed economico dell’evento; alla stessa ha partecipato l’Agenzia Territoriale del Turismo del Lago d’Iseo e Franciacorta che ha messo a disposizione due collaboratori per le interviste. L’indagine ha avuto le seguenti caratteristiche: – si è svolta durante l’intero periodo dell’evento, sia durante i giorni feriali che in quelli festivi;
– agli intervistati è stato somministrato da un intervistatore un questionario di 18 domande (vedi allegato); lo stesso è stato predisposto in quattro lingue; – il campione di visitatori è stato il più casuale possibile, sia in ragione dell’età, sia della provenienza, sia dello spazio di rilevamento, essendo le interviste state effettuate in zone diverse delle passerelle. Avendo come obiettivo un campione di 500 visitatori, sono stati effettivamente raccolti 471 questionari utili, compilati per il 62% da donne e per il 39% da stranieri. Alla quantificazione in valore assoluto delle diverse variabili prese in considerazione dall’indagine si è pervenuti sulla base della stima di 1,2 milioni di visitatori, dato comunicato dagli organizzatori, e quindi assunto come riferimento. Si darà conto qui di seguito dei principali risultati a cui è pervenuta l’indagine; nel caso di approfondimenti, conseguenti all’incrocio di variabili, si metteranno in evidenza solo le tendenze che differiscono in modo significativo dai risultati complessivi
1. LA PROVENIENZA Le interviste sul luogo dell’evento hanno consentito di verificare che la composizione dei visitatori era in primo luogo composta da due “blocchi” (Graf.1): i visitatori di prossimità, cioè coloro che provenivano da una località lombarda (43,7%), e i visitatori provenienti da lontano, ovvero i visitatori stranieri (39,3%). La restante quota (17%) è rappresentata da visitatori provenienti da altre regioni italiane, in prevalenza da quelle più vicine (Veneto, Emilia R.). Il dato è interessante perché differisce dai risultati di altri tentativi di analisi effettuate a partire dall’offerta, ovvero intervistando soprattutto alberghi e ristoranti (Ferruzzi 2016 a e b). Ciò è facilmente spiegabile: soltanto attraverso l’analisi di un campione di visitatori effettuata sul campo è possibile cogliere la reale distribuzione dei partecipanti; operando attraverso l’analisi dell’offerta infatti vengono esclusi tutti quei visitatori
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Graf. 1. La provenienza.
Graf. 2. Il pernottamento.
che, fermandosi per un breve periodo, non pernottano, pur essendo presenti e consumando e spendendo sul territorio. I paesi di provenienza da cui si sono riscontrati i flussi più consistenti sono naturalmente quelli europei, con particolare consistenza di quelli i cui turisti sono particolarmente affezionati ai laghi italiani (Germania, Olanda, Svizzera), ma stupisce che molto consistente risulti anche la presenza di visitatori provenienti dagli Stati Uniti, paese lontano; il motivo è da attribuirsi alla popolarità di Christo in quel paese (Celant 2016) e all’esistenza di una nutrita area di fedelissimi, che nel mondo segue le sue creazioni artistiche. Le provenienza dall’estero è maggiormente presente nelle fasce di età avanzata, mentre vi è una notevole consistenza di giovani provenienti dalla Lombardia. Proiettando le percentuali riscontrate sul totale dei visitatori, possiamo stimare in oltre 470 mila i visitatori stranieri, a fronte di 524 mila visitatori lombardi e 204 mila di altre regioni italiane.
derando che si tratta di un’area di dimensioni modeste, certamente meno popolare di altri laghi lombardi, questo dato fa capire quale effetto “turistico” abbia raggiunto l’evento, soprattutto sul mercato estero, quello prevalente nei pernottamenti. È comprensibile che i pernottamenti siano stati più consistenti nei visitatori meno giovani, ma senza significative differenze tra le fasce di età; solo tra i giovani sotto i 25 anni si registra un incidenza di pernottamenti dell’11,7%, mentre le altre fasce si aggirano tutte sul 30-33%. Limitando l’analisi a coloro che hanno pernottato nell’area del lago, di cui ci interessava valutare le implicazioni turistiche ed economiche, è stato rilevato che oltre il 40 % (Graf.3) ha pernottato pres-
2. IL PERNOTTAMENTO: DOVE E QUANTO È stato innanzitutto rilevato che quasi il 96% dei visitatori presenti sulle passerelle sono venuti espressamente per l’evento; marginale è infatti la componente di coloro che si trovavano in zona per altri motivi e vi si sono recati per una visita. Oltre la metà dei presenti (57,5%) hanno pernottato nella propria abitazione: il che significa che provenivano da una località relativamente vicina, a questi va aggiunta una quota del 10,8% che proveniva da una località di vacanza. La componente di coloro che hanno dunque pernottato per visitare l’evento è di poco più del 30%, circa un terzo (Graf.2), di cui la stragrande maggioranza ha trovato posto nell’area del lago. Si tratta di un dato molto significativo che porta a circa 380 mila il numero di “turisti”1 giunti sul territorio per visitare l’evento, dei quali 354 mila nell’area del lago; consi-
Graf. 3. Distribuzione % dei pernottamenti per tipo di struttura ricettiva.
Tab. 1. Permanenza media e modalità di alloggio.
1 Per “turisti” si intendono – secondo l’Organizzazione Mondiale del Turismo (O.M.T.) – coloro che pernottano almeno un giorno e meno di un anno.
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so un hotel: questo significa circa 142 mila persone un numero decisamente rilevante, di cui il sistema alberghiero del Sebino ha potuto godere e che ha consentito l’avvio di un processo di investimenti che ha in parte mutato la fisionomia qualitativa dell’offerta alberghiera dell’area. La ripartizione tra tipologie ricettive mostra una netta prevalenza, oltre che dell’alberghiero (40,8%), del B&B (16,8%), oramai molto diffuso nel territorio, e degli appartamenti o camere in affitto (20,4%); quest’ultima tipologia fa pensare ad una componente di visitatori che ha colto l’occasione dell’evento per una vacanza più lunga. Solo il 7,7% ha pernottato presso parenti o amici, quindi in strutture “gratuite”; si è trattato prevalentemente di italiani (Graf.4), così come prevalentemente italiani erano coloro che hanno pernottato in case di proprietà (seconde case). La durata media del soggiorno per coloro che hanno soggiornato sul lago, calcolata sulla base delle dichiarazioni degli intervistati, è risultata di 3,2 giorni, senza differenze rilevanti tra le tipologie di alloggio; si tratta di una durata rilevante, considerando che la visita all’evento richiedeva solo mezza giornata, e questo fa pensare che vi sia una componente consistente di persone che ha voluto visitare il territorio o addirittura trascorrervi le vacanze. Anche questo dato anticipa l’impatto economico molto positivo registrato dagli alberghi e dalle altre strutture ricettive. La scelta dell’albergo è stata decisamente maggiore da parte di turisti di età avanzata (58% oltre i 60 anni e 23% fino ai 25 anni), mentre i B&B e le camere sono stati maggiormente utilizzati da turisti in età attiva (da 26 a 60 anni).
3. LA PRIMA VOLTA SUL LAGO È questo certamente uno dei dati più significativi dell’indagine, che combinato con altri, mette in evidenza la grande portata dell’evento sotto il profilo turistico, soprattutto in vista del futuro. Il 42% dei visitatori che si è recato all’evento è giunto per la prima volta nell’area del lago d’Iseo; ciò significa che oltre 500 mila persone hanno visitato per la prima volta il lago d’Iseo: di questi 145 mila italiani e 359 stranieri, pari al 71% dei nuovi visitatori. Tra gli italiani, i lombardi hanno rappresentato il 7,6%, una percentuale comprensibilmente modesta. Considerando la prima visita al lago dal punto di vista del ‘area di provenienza, è stato rilevato che: – tra i visitatori lombardi la quota di coloro che sono giunti per la prima volta era del 7,2%; – tra i visitatori italiani, non lombardi, era del 52,5%; – tra i visitatori esteri del 76,2%;
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Di questi 500 mila nuovi visitatori, circa 280 mila hanno pernottato nell’area. Tutti questi dati mettono in evidenza quale effetto promozionale abbia avuto l’evento soprattutto per il mercato estero; come vedremo più avanti ciò è tanto più significativo se si considera il livello di gradimento della visita.
4. IL TRASPORTO VERSO L’AREA E NELL’AREA Il Graf.4 riporta la distribuzione % dei trasporti utilizzati per l’accesso all’area. Il mezzo proprio (ovviamente in primo luogo l’auto) e l’areo rappresentano le due quote più consistenti: i primi prevalentemente usati dai visitatori di prossimità, i secondi dagli stranieri. Non è insignificante tuttavia l’utilizzo del treno (13,2%) che solitamente rappresenta quote più basse nei movimenti turistici (attorno al 5%); il fatto che la località di accesso alle passerelle (Sulzano) disponga di stazione ferroviaria (infatti il treno è stato usato da molti come mezzo di accesso all’evento) ha certamente favorito l’uso del treno anche per l’avvicinamento. Del tutto marginale l’uso del bus che è stato utilizzato solo da una parte dei gruppi; questi ultimi peraltro sono stati una componente marginale, inferiore all’8%. Si è voluto anche verificare l’utilizzo degli aeroporti, riscontrando che il 38,5% degli utilizzatori dell’aereo per avvicinarsi all’area è atterrato all’aeroporto di Bergamo-Orio al Serio, un dato non insignificante, se si pensa che si tratta di un aeroporto con voli low cost (quindi connesso con alcune destinazioni soltanto) e che oltre ad altri due aeroporti in Lombardia, vi è a breve distanza anche l’aeroporto di Verona. Non si riscontrano tuttavia differenze significative in termini di età e quindi, si presume, di reddito.
Graf. 4. I mezzi di trasporto utilizzati dai visitatori per l’accesso all’area (distribuzione%).
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L’area dell’evento non era liberamente raggiungibile da mezzi privati. L’elevato numero di visitatori previsti ha infatti imposto la chiusura dell’area e un accesso regolamentato che si poteva effettuare con uno dei seguenti mezzi: – Traghetto, con partenza da un paio di comuni del lago; – Treno, grazie alla linea Brescia-Edolo che ferma a Sulzano, di cui sono state potenziate le frequenze; – Bus-navetta, appositamente predisposto per l’evento. In realtà l’indagine ha dovuto considerare anche l’accesso a piedi, che è stato più importante di quanto ci si attendesse, in considerazione soprattutto della elevata congestione degli altri mezzi. Come si vede (Graf.5) non vi sono differenze rilevanti tra i tre principali mezzi di accesso, se si esclude l’accesso a piedi, che per la maggior parte è stata una soluzione di ripiego, essendo il tragitto dai parcheggi all’evento abbastanza lungo. Anche in questo caso non si riscontrano significative differenze né in relazione alla provenienza, né in relazione all’età. 5. LA CONOSCENZA DI THE FLOATING PIERS Si è cercato di approfondire in quale modo i visitatori sono venuti a conoscenza dell’evento. Come si vede nel Graf.6, due sono le principali fonti di informazione per il visitatore; i tradizionali mezzi di informazione e comunicazione e i più recenti canali di informazione digitale. La prima è ancora prevalente, ma, come era prevedibile, in questo caso vi sono significative differenze nelle fasce di età. L’informazione digitale è infatti molto più frequente nelle fasce giovanili (40-45% sotto i 40 anni), mentre scende al 32% nella fascia 40-60 anni e al 17% sopra i 60 anni. È interessante rilevare che il passaparola, tradizionale canale di informazione turistica, in questo caso è limitato al 13,6% perché si tratta di un evento che pochi hanno avuto la possibilità di comunicare ad altri in tempo utile per indurre alla visita; ciò è stato possibile soprattutto per i lombardi, per i quali infatti sale al 21%. 6. IL PRANZO Il pranzo è forse l’unica occasione di spesa che ha interessato quasi tutti i visitatori, anche coloro che si sono fermati per un periodo breve. Il dato più interessante è infatti che meno del 15% non ha pranzato in loco, il che indicherebbe una visita molto breve. Le modalità sono varie, anche perché erano stati allestiti sulle passerelle dei chioschi per consumare un boccone molto veloce, modalità che abbiamo definito
“street food”, a differenza del “fast food” che si intende consumato nei locali pubblici dell’area; le due modalità sono peraltro abbastanza simili anche per il livello di spesa ed esprimono una percentuale non lontana tra loro. Complessivamente ha acquistato cibo in loco il 58% dei visitatori: un quarto circa ha pranzato al ristorante, una quota molto simile a quella di coloro che si sono portati il cibo da casa. Nel caso degli stranieri la percentuale di coloro che sono andati al ristorante sale al 40%, così come aumenta in ragione dell’età. 7. LA SPESA DEI VISITATORI E L’IMPATTO ECONOMICO DELL’EVENTO La spesa dei visitatori è per molti versi il cuore dell’indagine, quantomeno per gli operatori e gli amministratori perché fornisce le dimensioni economiche che l’evento ha generato sul territorio indicando chi ne ha fruito maggiormente (Richte & Yangzhou 1987). Come si è detto all’inizio, i valori economici che qui vengono riportati sono condizionati dall’assunto che all’evento abbiano partecipato 1 milione e 200 mila visitatori, dato comunicato dagli organizzatori, ma che non si è potuto verificare. L’indagine sulla spesa è tema sempre delicato, sia perché spesso gli intervistati sono restii a parlare di aspetti economici, non volendo far sapere la loro disponibilità di spesa, sia perché tendono a confondere la spesa effettivamente sostenuta sul territorio con il budget messo a disposizione per partecipare a quel soggiorno, includendo anche spese che non si sono verificate sul territorio. Si è insistito con gli intervistatori che facessero riferimento alle effettive spese avvenute sul territorio, anche se quelle potevano essere riferite a più giornate di soggiorno (ad es. la spesa per l’albergo) nella convinzione che si compensassero con quelle di altri che avevano effettuato lo stesso tipo di spesa in altri giorni. Come mostra il Graf.8 la spesa media pro capite giornaliera riscontrata per tutti i visitatori è stata di 75,8 €; molto più alta per gli stranieri (142,2 €) e decisamente bassa per i lombardi. E questo un dato attendibile? Non abbiamo termini di paragone sullo stesso territorio, ma qualche considerazione e qualche ragionamento ci è d’aiuto. In primo luogo sappiamo dalle informazioni precedenti che gli stranieri sono stati tra coloro che hanno usufruito di più della ricettività, soprattutto alberghiera, e anche della ristorazione, il che ovviamente comporta una maggiore spesa; per contro sappiamo che i visitatori di prossimità, cioè i lombardi, sono soprattutto coloro che hanno visitato l’evento in giornata e che quindi hanno contenuto la spesa. Abbiamo inoltre un dato ufficiale che ci è molto utile come riferimento: sappiamo, dall’Indagine sul
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* Molto frequente la conoscenza dell’artista.
Graf. 5. Accesso all’evento.
Graf. 6. Conoscenza dell’evento.
Graf. 7. Il pranzo.
Graf. 8. La spesa giornaliera.
Graf. 9. Il gradimento del luogo, dell’evento e dei servizi.
Turismo Internazionale della Banca d’Italia che, nell’anno dell’evento, la spesa pro capite giornaliera degli stranieri in Italia è stata di 112€, una cifra leggermente inferiore a quella da noi rilevata. Il fatto che la nostra cifra sia maggiore si giustifica considerando che la cifra rilevata dalla Banca d’Italia è comprensiva di ogni tipo di viaggiatore, anche di coloro che si sono recati presso parenti e amici, nelle loro case di proprietà o per motivi di immigrazione camuffata da turismo; è dunque ragionevole che i “nostri” stranieri abbiamo speso di più essendo giunti appositamente per l’evento ed avendo in buona parte pernottato in strutture commerciali. Ci sentiamo pertanto di affermare che le cifre da noi rilevate sono del tutto attendibili; comprensibile anche che la spesa cresca con l’età, anche se la fascia in cui la spesa è maggiore è quella tra 41 e 60 anni e non la più elevata. A partire dal dato di spesa media giornaliera, si può pervenire ad una prima stima di impatto economico sulla base dei seguenti passaggi: – la spesa media di tutti i visitatori moltiplicata per il numero dei visitatori dichiarato porta a 91 milioni di Euro la spesa media diretta2 stimata nel giorno di visita;
– a tale spesa va aggiunta la spesa effettuata dai turisti che hanno pernottato (354 mila persone) e che quindi hanno proseguito la spesa in altri giorni di permanenza sul territorio. Essendo il periodo medio di soggiorno di 3,2 gg. ed escludendo il giorno di visita (già conteggiato per tutti) viene quantificata la spesa dei pernottanti per altri 2,2 giorni, che porta la spesa diretta a 150 milioni di € (91 per il primo giorno + 59 per i giorni successivi); – non conoscendo il moltiplicatore della spesa turistica nell’area3 applichiamo il moltiplicatore medio nazionale, calcolato dal Ciset e proposto periodicamente sul Rapporto sul Turismo Italiano (Manente 2016), che è di 1,89. Con una certa approssimazione, che potrebbe essere ridotta da ulteriori ragionamenti più raffinati, arriviamo in questo modo a stimare un Valore Aggiunto complessivo indotto dall’evento di 283 milioni di euro. La cifra è sensibilmente superiore a quella circolata sulla base di altre analisi (Ferruzzi 2016 a) che stimano il fatturato delle imprese turistiche in 88 milioni di euro. Questo perché analizzando l’impatto economico a partire dall’analisi dell’offerta, si è inevitabilmente perso l’impatto su tutte le imprese
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Per spesa “diretta” si intende la spesa direttamente effettuata dai visitatori sul territorio. Per “moltiplicatore” si intende il parametro che porta a stimare il Valore Aggiunto complessivo indotto dalla spesa turistica. Nel Valore Aggiunto sono quindi inclusi gli effetti indiretti e indotti della spesa. 3
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(e sono molte) che non sono state prese in considerazione e inoltre si sono persi sia l’effetto indiretto che quello indotto generato sull’intero sistema economico. Riteniamo quindi che tale cifra sia, almeno in prima approssimazione, assolutamente attendibile, anche se siamo consapevoli che ulteriori approfondimenti potrebbero portare a stime più precise. 8. IL GRADIMENTO DEI VISITATORI L’ultima parte del questionario era dedicata al gradimento dei visitatori nei confronti del luogo, dell’evento e dei servizi dedicati. Agli intervistati è stato chiesto di esprimere una valutazione su singoli aspetti e sull’evento nel suo insieme, esprimendolo attraverso un punteggio da 1 a 10, dove 10 esprime il massimo livello di gradimento. Come si vede dal Graf.9, tutti le componenti hanno ricevuto un punteggio piuttosto alto, ma vi è una ben evidente differenza tra le valutazioni relative all’evento e al luogo, rispetto a quelle dei servizi. L’evento ha avuto un punteggio medio di 9,4, più elevato per gli stranieri e per i senior (9,6) e un po’ meno per i giovani (8,9) che si rivelano in tutte le valutazioni i più critici. Ancora più alto è il punteggio ricevuto dal paesaggio, che come abbiamo visto, non era conosciuto da quasi la metà dei visitatori; il punteggio qui sale a 9,7 molto vicino al massimo disponibile, senza differenze significative tra giovani e meno giovani. Le componenti più legate agli aspetti gestionali hanno dunque pagato qualche difficoltà organizzativa, o forse solo le conseguenze di una grande affluenza che ha oggettivamente messo in difficoltà gli organizzatori. Il trasporto all’area dell’evento è la voce che ha registrare il voto più basso, con un 6,7 riservato al treno, che in effetti ha avuto qualche momento di forte congestionamento; meglio il traghetto con 7,9 e anche il bus navetta (7,5). 9. CONCLUSIONI L’indagine ha fornito alcune chiavi di lettura per interpretare le caratteristiche dei visitatori e soprattutto per avere un’idea dell’impatto economico che l’evento ha generato. Ci pare che vi siano 3 punti sui quali vale la pena soffermarsi: – il numero complessivo di visitatori che è stato davvero elevato per i 16 giorni di durata dell’evento. Di questi la componente più significativa è stata quella degli stranieri, attirati essenzialmente dall’evento, che hanno mostrato una capacità di spesa piuttosto alta; – il secondo punto riguarda il numero di persone che hanno alloggiato nell’area anche per periodi
più lunghi del necessario, in un’area in fondo di dimensioni modeste. Questo ha portato un reddito inatteso agli operatori della zona, soprattutto a quelli alberghieri; ciò è stato ben interpretato come una opportunità di investimento per rilanciare le strutture e quindi l’area nel suo insieme. Dai colloqui avuti con gli operatori e dai primi segnali che sono giunti negli anni successivi all’evento è infatti emerso chiaramente che su questo tema degli eventi artistici l’area intende investire per qualificare l’ambiente, il paesaggio e la propria funzione turistica. Gli operatori turistici hanno a loro volta cominciato ad investire per qualificare le loro strutture e riqualificarsi in vista di un target di turisti di fascia medio-alta; – il livello di gradimento per il paesaggio (punteggio 9,7) è un dato sorprendente: non perché si dubitasse della bellezza del luogo, ma perché è indice di un apprezzamento che è decisamente superiore alla consuetudine. Se si considera che l’area del Sebino è tra le meno conosciute dei laghi lombardi e che questo apprezzamento viene da una popolazione di turisti di cui quasi la metà non conosceva il luogo, si può intuire quale potenziale per l’area ne derivi in termini di marketing e di promozione, peraltro ottenuto senza particolari investimenti. Considerato il tipo di visitatori l’effetto può essere davvero importante per il territorio in vista del futuro orientamento turistico.
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THE FLOATING PIERS: IMPLICAZIONI ECONOMICHE E TURISTICHE
Allegato QUESTIONARIO
Rilevatore …………………………………………………………………… Data e ora …………………………………………………………………… Luogo ……………………………………………………………………………
QUESTIONARIO per i VISITATORI di THE FLOATING PIERS 1. Da dove viene? 1. Da una provincia lombarda ………………………………………………………………………………………………………… (indicare quale) 2. Da una regione italiana ………………………………………………………………………………………………………………… (indicare quale) 3. Dall’estero …………………………………………………………………………………………………………………………………...… (indicare lo Stato) 2. Dove ha pernottato questa notte? 1. Nella sua residenza abituale 2. In una località dove sta trascorrendo la vacanza 3. In una struttura ricettiva della zona del Lago d’Iseo 4. In una struttura ricettiva di un’altra zona (dove però non sta trascorrendo una vacanza) 3. Se ha pernottato in una struttura ricettiva del Lago d’ Iseo, dove? 1. Hotel 2. B&B 3. Appartamento/ camera in affitto 4. Appartamento di proprietà 5. Presso parenti o amici 6. Camping 7. Ostello 8. Altro ……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………… 4. Se ha pernottato in questa zona, quante notti prevede di fermarsi? ……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………..
5. Se ha pernottato in questa zona, qual è lo scopo principale del suo viaggio? 1. La visita a The Floating Piers 2. Una vacanza sul lago d’Iseo 3. Altro 6. Se ha pernottato in questa zona, con quale mezzo principale è giunto? 1. In aereo 2. In treno 3. In bus 4. In auto o altro mezzo proprio 7. Se è giunto in aereo è atterrato all’aeroporto di Orio al Serio? 1. Sì 2. No 8. È stato altre volte sul Lago d’Iseo? 1. No è la prima volta 2. Sì, 1-2 volte 3. Sì più di 2 volte
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9. Per la visita a The Floating Piers si è servito/intende servirsi di una guida/accompagnatore? 1. Sì di una guida locale 2. Sì di un accompagnatore del gruppo 3. No, visito da solo 10. Come ha raggiunto la zona di The Floating Piers 1. In navetta 2. In traghetto 3. In treno con fermata a Sulzano 11. Come è venuto a conoscenza di The Floating Piers? Giornali/ Tv/radio Pubblicità/comunicazioni specifiche dell’evento Internet/ social network Passaparola Altro (specificare) ………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………… Da un giornale/ Tv del suo paese (se straniero) 12. Nella giornata di oggi, prevede di pranzare? 1. Al ristorante 2. Acquistando cibo presso esercizi pubblici (bar, panetterie, ecc) della zona 3. Acquistando cibo presso punti vendita mobili della zona 4. Con cibo portato da casa 5. Non prevedo di pranzare in zona 13. Includendo tutte le spese effettuate (o previste) nella giornata di oggi (es. benzina, albergo, biglietti, ecc.), potrebbe dirci quanto ha speso o prevede di spendere? ………………………………………………………. € 14. Per quante persone è destinata questa spesa? N: ……………………………………………………… 15. Con chi è venuto? 1.Con il partner 2.Con un gruppo famigliare e/o di amici 3.Con un gruppo organizzato 16. Sesso 1. M 2. F 17. Può dirci per cortesia, la sua fascia di età? 1. Fino a 25 anni 2. 25-40 anni 3. 41 - 60 4. Oltre 60 18. In conclusione potrebbe dare una valutazione su ciascuno di questi aspetti (voto da 1 a 10, dove 1 rappresenta voto minimo e 10 voto massimo) risponda solo se ne ha conoscenza The Floating Piers …………………………………………………………………………………………………………………………………………………………...…… Contesto paesaggistico del lago di Iseo …………………………………………………………………………………………………………………...…… Efficienza del sistema di trasporto ……… Efficienza organizzativa dell’evento (Tempi di attesa, qualità dei servizi, professionalità degli addetti,ec.) Servizi commerciali (bar, ristoranti negozi,) …………………………………………………………………………………………….…………………
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GRANDI EVENTI: EFFETTI E RICADUTE, PRIMA, DURANTE E DOPO La ricerca dell’equilibrio tra il diritto di fruire e usare i beni del patrimonio culturale, la sua tutela e la rigenerazione sostenibile degli ecosistemi urbani SANTARCANGELO FESTIVAL 1. La genesi del Festival In un convegno organizzato sul tema Turismo per lo spettacolo, spettacolo per il turismo, nell’ambito dell’edizione 1988 del Magis (Mostra per le attività di Gestione Industriali di Spettacolo), si rileva che il 70% dei festival più significativi sul piano nazionale trova realizzazione e sviluppo in località turistiche. Si tratta perlopiù di centri già noti nei circuiti turistici, con una politica orientata al turismo ben prima della creazione di un festival. In questi casi la realizzazione di ogni manifestazione risponde a una precisa scelta strategica, quella cioè di ricorrere a
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questa iniziativa come ulteriore strumento di incentivo e promozione, beneficiando quindi delle positive ricadute legate alla stessa pubblicizzazione della manifestazione. A Santarcangelo di Romagna il festival nasce in un contesto differente, in una città non turistica dell’entroterra, posizionata però a ridosso di un grande comprensorio votato al turismo come quello della riviera adriatica di Rimini, che negli anni Sessanta tocca il suo apogeo. La genesi del Festival avviene nel 1969 a seguito di un convegno dal titolo Per un nuovo rapporto tra entroterra e riviera, un simposio promosso dall’amministrazione comunale di Santarcangelo che con
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lungimiranza pone le basi per l’avvio di nuove iniziative, individuate e ricondotte fin dal principio in un ambito prettamente culturale. I fattori attorno ai cui nascono alcune riflessioni sono l’esistenza di un borgo medievale che negli anni Settanta risulta ancora autentico, ma che sta sperimentando un fenomeno di graduale esodo da parte della popolazione residente, con il rischio di decadenza e impoverimento del tessuto cittadino. C’è il desiderio incalzante di intercettare le favorevoli ripercussioni economiche del massiccio afflusso turistico della riviera. C’è poi una città in cui, nonostante la ridotta superficie, prende forma una sorta di genius loci; qui nascono poeti, artisti e intellettuali quali Tonino Guerra, Nino Pedretti, Raffaello Baldini, Augusto Campana, Giulio Turci e Federico Moroni, la cui fama si spingerà ben oltre i confini della provincia. C’è infine la predisposizione aggregatrice di un territorio, le cui grandi fiere-mercato attirano folle di visitatori in un clima da festa che fin dalle prime edizioni diventerà uno dei segni distintivi anche del Festival. Dopo il convegno, occorreranno due anni a far maturare quell’idea che porterà alla nascita nel 1971 del Festival Internazionale del Teatro in Piazza assieme all’ispirazione di un intellettuale come Flavio Nicolini, all’intraprendenza di un sindaco come Romeo Donati e all’immaginazione di un direttore artistico come Piero Patino. 2. Le tappe di una trasformazione Piero Patino si assume per i primi due anni di vita del Festival il rischio organizzativo ed economico dell’intera manifestazione, ma già dal 1973 e per le successive 44 edizioni l’identità del Festival diventa a iniziativa pubblica, prima attraverso un consorzio di enti pubblici, successivamente per mezzo di un’associazione senza scopo di lucro partecipata prevalentemente da enti pubblici. Questo aspetto amministrativo del Festival si lega saldamente alla sua “forma” e costituisce un dato fondante nel distinguere il Festival di Santarcangelo da molte altre manifestazioni dello stesso ambito. Se infatti molti Festival nati per iniziativa di compagnie o centri teatrali privati hanno intrecciato le loro fortune alle parabole creative dei loro direttori artistici, ritrovandosi inesorabilmente a invecchiare insieme a essi, il Festival di Santarcangelo, nell’arco di 47 anni di vita, ha visto l’avvicendarsi di ben 15 direzioni artistiche, in un’alternanza di artisti e curatori. Tentare di riassumere anche sommariamente questi 47 anni di storia significa inevitabilmente soffermarsi su molte fasi e profondi cambiamenti.
La prima di queste fasi è quella che va dal 1971 al 1977, sotto il segno del suo primo direttore artistico Piero Patino. In questo momento iniziale il Festival Internazionale del Teatro in piazza trova propulsione nelle istanze politiche legate al ’68 e nell’ardito folklore locale. “Il teatro sgorga dalla collettività per ritornare alla collettività” – teorizza Patino –, sottolineando il carattere sociale e politico dell’arte scenica in opposizione a un teatro mercificato. È un periodo costellato dalla presenza di nomi come Dario Fo e Franca Rame, Giorgio Gaber, Giovanna Marini, Carlo Cecchi, Memè Perlini, Roberto De Simone, mentre sul versante internazionale grande spazio è rivolto a formazioni folkloriche di musica e di danza provenienti principalmente dei paesi dell’est europa. Se questa fase iniziale fissa alcune coordinate del festival a venire, come il rapporto con lo spazio pubblico, l’attenzione all’impegno politico e sociale e il carattere internazionale della manifestazione, è a partire dalla fase successiva, che arriva la svolta decisiva nel conferire al Festival un’identità, una fama e una riconoscibilità sul piano nazionale e internazionale. È proprio nell’ultima edizione di Patino, nel 1977, che al Festival vengono invitati alcuni esponenti di quel teatro di gruppo che caratterizzerà la successiva stagione del Festival: Teatro di Ventura, Teatro delle Briciole, Piccolo Teatro di Pontedera. Il “periodo d’oro” del Festival, dal 1978 al 1989, pur con alcune interruzioni, è marcato dalla presenza alla direzione artistica di Roberto Bacci, regista del piccolo Teatro di Pontedera, e rappresenta l’apertura al Terzo Teatro invocato a partire dal 1976 da Eugenio Barba, i cui maestri sono Jerzy Grotowski, The Bread and Puppet Theatre e Julian Beck con il suo Living Theatre. Sotto la direzione di Bacci il Festival sperimenta una vera e propria invasione di pubblico ed esplode territorialmente allargandosi ai comuni limitrofi: Verucchio, Coriano, Rimini, San Giovanni in Marignano, Montefiore Conca, Mondaino, Torriana, Poggio Berni. È quello che la gente ricorda come il “festival dei fricchettoni”, del campeggio libero nel centro del paese, il festival del teatro di strada, dei trampolieri e dei mangiafuoco, ma, di fatto, è soprattutto un festival sempre più internazionale sia per rilevanza che per gli artisti invitati, Odin Teatret, Els Comediants, Akademia Ruchu, Royal De Luxe, Thierry Salmon, Ariane Mnouchkine, il Teatro Equestre “Zingaro”, Raul Ruiz, Judith Malina e Jerzi Grotowski. Nell’arco di questo decennio rivoluzionario il Festival celebra provocatoriamente la sua fine – l’edizione del 1984 viene titolata L’ultimo Festival
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di Santarcangelo – e successivamente abbandona il suo nome originale, Festival del teatro in piazza, per adottare, a partire dall’86, quello di “Santarcangelo dei Teatri”. Una terza fase caratterizzante è quella che si sviluppa dal 1989 al 1993, sotto la direzione di Antonio Attisani, studioso di cultura teatrale, che permette al Festival di ampliare lo sguardo ad altre scene teatrali e nuove scene performative, nel tentativo di mescolare e contaminare il teatro di ricerca con ulteriori e differenti linguaggi contemporanei. Diamanda Galas e Laurie Anderson, i rapper e le posse nostrane, la Mutoid Waste Company e i monaci tibetani, fianco a fianco con Remondi e Caporossi, Marco Baliani, il Teatro delle Albe, Danio Manfredini e il Théàtre du Radeau. In questi anni a Santarcangelo si ritrova la scena teatrale italiana e internazionale, ma anche l’apertura al teatro ragazzi, al comico, alla danza, alla performance. Una quarta fase è quella che va dal 1994 al 2005, la cui guida è affidata a un grande maestro della scena teatrale come Leo de Berardinis che dirige il Festival per tre edizioni prima di passare la mano al suo condirettore, Silvio Castiglioni. Nel triennio di Leo de Berardinis il Festival cambia nuovamente nome optando per un iconico: Santarcangelo 94, Santarcangelo 95, Santarcangelo 96. Anni caratterizzati da una forte attenzione per la scena teatrale italiana e a una dimensione internazionale più ridotta. Il teatro pubblico popolare, le lingue, i dialetti, la figura dell’attore-autore, il teatro danza sono i cardini attorno a cui ruotano questi anni. Accanto a nomi di autori affermati come Giorgio Barberio Corsetti, Alfonso Santagata, Claudio Morganti, Marco Paolini, Virgilio Sieni, e compagnie consolidate come Albe, Teatro della Valdoca, Socìetas Raffaello Sanzio, si affacciano in questo tempo nuovi gruppi di ricerca quali Motus, Teatrino Clandestino e Fanny&Alexander. Tra il 2006 e il 2008 si consuma una delle fasi più problematiche della storia del Festival, alla direzione artistica viene nominato il primo direttore straniero della storia del Festival, il francese Olivier Bouin, in precedenza addetto culturale dell’ambasciata di Francia a Roma che trasforma il nome della manifestazione in Santarcangelo International Festival of the Arts, cercando di rilanciarne la dimensione internazionale e performativa, esperienza che però si conclude anticipatamente con le sue dimissioni a soli tre mesi dall’edizione 2008, lasciando senza guida una struttura in piena metamorfosi e in una situazione economica di grave dissesto. Sono tre delle compagnie più importanti della scena teatrale italiana, tre compagnie che hanno
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propri spazi a pochi chilometri da Santarcangelo a sollevare il Festival da questo momento di crisi. A partire dal 2009 la manifestazione, che riprende il nome originale di Festival internazionale del Teatro in Piazza, vede l’avvicendarsi alla direzione artistica di Chiara Guidi della Socìetas Raffaello Sanzio di Cesena, Enrico Casagrande dei Motus di Rimini ed Ermanna Montanari del Teatro delle Albe di Ravenna. Sono tre anni importanti in termini di rilancio del Festival, di sistemazione dei conti, di declinazione del rapporto con lo spazio pubblico, tre anni propedeutici alla fase successiva, le cui redini della direzione artistica passano alla giovane curatrice Silvia Bottiroli, affiancata inizialmente nel ruolo di condirettori da Cristina Ventrucci e Rodolfo Sacchettini, assieme a lei membri del comitato criticoorganizzativo che avevano precedentemente affiancato i tre artisti direttori. Nei cinque anni di direzione artistica di Silvia Bottiroli, dal 2012 al 2016, il Festival progetta un ampliamento delle sue attività lungo tutto l’arco dell’anno e un’ulteriore spinta della sua dimensione internazionale. La conferma di tale rilevanza è l’assegnazione del prestigioso premio EFFE Award 2015-2016, che segnala Santarcangelo come uno dei 12 festival europei in grado di delineare un trend. Nel 2017 il nuovo direttore viene individuato con una open call internazionale e la direzione artistica viene affidata alla curatrice Eva Neklyaeva, bielorussa d’origine ma formatasi culturalmente e professionalmente in Finlandia. Ancora una volta una metamorfosi, un mutamento dell’intero progetto culturale, si abbracciano nuovi orizzonti, nuovamente il festival cambia pelle sotto il nome, sintetico e tautologico, di Santarcangelo Festival. 3. Fotografia di una città in mutamento Immaginare e abitare spazi teatrali temporanei è una forza di pensiero e azione con cui il festival, nel tempo, ha sopperito alla mancanza di un teatro cittadino vero e proprio. Dal 1822 al 1945 esisteva a Santarcangelo un teatro chiamato Teatro Condomini che riuniva gli amanti di prosa e di lirica nella città clementina, ma durante la seconda guerra mondiale viene completamente distrutto e quando nel 1971 si avvia il Festival Internazionale del Teatro in Piazza questa manifestazione s’innerva in una città senza spazi teatrali. Sin dal principio il Festival è quindi costretto ad appropriarsi di spazi pubblici e privati per riconvertirli in spazi spettacolo; così diventano palcoscenici le varie piazze del borgo, e successivamente, con il cambiamento dei “formati” e delle modalità teatrali, ogni luogo si fa “spazio dello sguardo”.
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È soprattutto a partire dal 1984 che compare la separazione tra spettacoli all’aperto e spettacoli al chiuso. Accanto alle piazze, una varietà di spazi diventano sede e scenografia degli spettacoli del Festival: luoghi ed edifici pubblici come la Sala consiliare, il Museo etnografico, le palestre delle scuole cittadine, lo Sferisterio, la Grotta municipale, il Lavatoio, la Torre civica, spazi privati come la Rocca Malatestiana, la Celletta Zampeschi, le grotte domestiche, le case, le stanze d’albergo, i magazzini, i capannoni, le fabbriche e anche i luoghi di culto o appartenenti alla parrocchia come la Pieve romanica, il Teatrino della Collegiata, il Supercinema, la Sala di Porta Cervese e la Sala del Convento dei Cappuccini. Nel corso del tempo il Festival occupa ogni spazio reso disponibile dalla città e dalla cittadinanza in cui gli artisti, nella loro instancabile ricerca di luoghi di risonanza, possano immaginare e mettere in scena i loro lavori. Il Festival registra così il mutamento economico e sociale di una città, occupa le cave abbandonate lungo il corso del fiume Marecchia, penetra nelle Corderie quando queste vengono chiuse, si ritaglia uno spazio all’interno dell’enorme struttura del cementificio quando l’Unicem trasferisce altrove l’attività, utilizza il campo sportivo e lo vede trasformarsi prima in un parcheggio e infine in un parco pubblico, occupa temporaneamente i magazzini Fisi, l’hangar Bornaccino, la fabbrica Mil.Ilm prima della sua ristrutturazione e trasformazione in sede della casa di moda Liviana Conti e il nuovissimo Centro Teorema quando la crisi lascia invenduti molti spazi. In altalenanti fasi di allargamento e di ricompattamento sulla città, il Festival si estende inoltre agli spazi delle città confinanti. Da Villa Torlonia a San Mauro Pascoli al Palazzo Marcosanti di Poggio Berni, dal Teatro Petrella di Longiano alla Colonia Roma di Bellaria, dal Macello di Riccione al Centro Commerciale Atlantide nella vicina Repubblica di San Marino per arrivare sino agli innumerevoli luoghi di Rimini: Centro degli Agostiniani, Teatro Novelli, Teatro degli Atti, spazi del vecchio ospedale “Infermi”, ex Centro Congressi, spiaggia del Talassoterapico. 4. Effetti duraturi dell’effimero. Il caso Mutoid e le compagnie del territorio Un festival che per 47 anni si imprime in una realtà come quella di Santarcangelo lascia una serie di effetti duraturi, sia sul tessuto sociale della città, che del territorio. Un primo esempio particolarmente significativo è quello rappresentato dai Mutoid e da Mutonia.
Nel programma del 1991, tra gli spazi spettacolo del Festival, compare lo Stato libero di Mutonia, una vecchia cava lungo il fiume Marecchia, di proprietà demaniale. A dar vita a questa “dimensione” arriva la Mutoid Waste Company, un gruppo di artisti e performer nati in Inghilterra, figli della cultura punk caratterizzati da un’estetica post apocalittica stile Mad Max e specializzati nell’utilizzo di materiali meccanici di recupero. Una parte della tribù nomade dei Mutoid, alla ricerca di una via di fuga dall’Inghilterra tatcheriana, dopo la partecipazione al Festival, decide di trasferirsi definitivamente a Santarcangelo e Mutonia diventa un insediamento permanente. Negli anni, la comunità si integra pienamente con la città e oramai esiste una seconda generazione di Mutoid, bambini nati, cresciuti a Santarcangelo e regolarmente iscritti alle scuole cittadine. Nel 2013, a causa della denuncia di un proprietario di un terreno adiacente a Mutonia, i Mutoid rischiano di essere cacciati. A seguito di un pronunciamento del Tar il Comune è costretto a emettere un’ordinanza “di demolizione e rimessa in pristino” dell’area. A partire da questa minaccia in città parte una vera e propria campagna volta alla difesa della comunità. Le vetrine dei negozi e dei locali del centro storico si riempiono di cartelli con la scritta “Mutoid must stay” (I Mutoid devono rimanere) e contro lo sfratto vengono raccolte oltre ottomila firme, è la dimostrazione di quanto i santarcangiolesi si sentano legati a quella vivace comunità accampata lungo il fiume e di quanto li sentano ormai parte della propria identità. Alla fine la controversia trova una soluzione nel maggio del 2014 grazie al riconoscimento dell’area come Parco Artistico Mutonia, con il quale l’Amministrazione comunale riconosce il valore culturale, artistico e sociale della comunità Mutoid Waste Company e del suo insediamento sul territorio santarcangiolese sulla base dei pareri espressi dalle Soprintendenze di Bologna e Ravenna, che avevano sottolineato la necessità di tutelare l’area dell’ex cava dal punto di vista ambientale, paesaggistico e dell’arte contemporanea nella forma delle opere realizzate dalla comunità stessa. Un altro effetto dell’impatto del Festival, meno diretto e meno dimostrabile, ma certamente rilevante, è la presenza, poco distante dal territorio santarcangiolese, di alcune delle più importanti realtà del teatro di ricerca in Italia. Nel cesenate, a partire dagli anni Ottanta, nascono le compagnie Socìetas Raffaello Sanzio e Teatro della Valdoca, a Ravenna, sempre in quegli anni, nasce il Teatro delle Albe e negli anni Novanta il gruppo Fanny & Alexander, mentre e a Rimini la compagnia Motus, una prolife-
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razione che porterà la critica teatrale e definire il fenomeno con il termine di Romagna felix. È interessante registrare il fatto che sono proprio tre di queste compagnie, in uno sforzo comune, a risollevare le sorti del Festival in quello che è stato forse il suo momento storico più cupo. 5. Azdora e il coinvolgimento della comunità Il Festival di Santarcangelo, ben prima che la definizione diventasse di moda, si è sempre occupato di progetti che prevedono pratiche di audience engagement. Un festival realizzato all’interno di spazi pubblici e con un occhio di riguardo a progetti speciali e spettacoli fuori formato ha naturalmente coinvolto cittadini e attori non professionisti all’interno delle produzioni stesse degli artisti. Stando solo agli ultimi anni ricordiamo i fulgidi esempi di: Eresia della Felicità della Non-scuola del Teatro delle Albe, Enimirc di Fagarazzi e Zuffellato, Domini Públic del catalano Roger Bernat, Stanze di Virgilio Sieni, Ads del newyorkese Richard Maxwell, Corbeaux della coreografa marocchina Bouchra Ouizguen, fino al progetto denominato Azdora del regista svedese Markus Öhrn. Markus Öhrn arriva a Santarcangelo nell’inverno 2015 per una residenza artistica, il progetto non ha contorni precisi se non l’idea che dopo un ciclo di tre opere dedicate alla famiglia patriarcale il lavoro possa essere dedicato alla nonna. Quando nella sua ricerca incappa nella figura dell’azdora, definizione che in lingua romagnola indica la reggitrice della casa nelle grandi famiglie contadine, di solito la moglie dell’azdor, del capo famiglia, Öhrn decide di realizzare un progetto che coinvolgerà inizialmente una trentina di donne over 50, residenti in zona. Nel corso dell’edizione 2015 del Festival, il progetto Azdora organizza un spazio, il Club Azdora, in cui vanno in scena ogni sera, per dieci sere, una serie di rituali di liberazione. Durante i ritual le signore, truccate con il tipico cerone bianco e nero dei musicisti black metal, lasciano la cura della famiglia per dedicarsi alla distruzione di auto, lavatrici, apparecchi deambulatori, per suonare chitarre elettriche, frustare attori, tatuare spettatori. Nel 2016 il progetto prosegue con la realizzazione di un disco e, in occasione del festival, con un concerto black metal ad opera delle azdore che si svolge in una location segreta a cui accedono 300 spettatori bendati, trasportati con sei autobus al luogo della performance. Nel frattempo le azdore cominciano a esibirsi anche al di fuori del Festival di Santarcangelo, un rituale viene realizzato per il Festival Live Arts We-
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ek di Bologna, partecipano come band a un festival musicale a Ravenna e vengono invitate a esibirsi alla Biennale di Wiesbaden e al Festival di Hannover. In occasione dell’edizione 2017 di Santarcangelo Festival, le azdore, ormai indipendenti da Markus Öhrn, ideano, organizzano e gestiscono un B&B per artisti. Un progetto artistico quello di “Azdora”, che grazie anche alla sua lunga vita ha fatto di queste donne delle vere e proprie ambasciatrici del festival all’interno della comunità santarcangiolese. 6. P.S. - Presente Sostenibile Consapevoli dell’impatto che una manifestazione come Santarcangelo Festival ha sul territorio che lo ospita, a partire dall’edizione 2013 il Festival avvia un progetto denominato P.S. - Presente Sostenibile che operando su energia, rifiuti, mobilità e acquisti consapevoli, mira a minimizzarne l’impatto ambientale. Sul fronte energetico il progetto si concretizza orientandosi verso fonti rinnovabili, sia nella scelta dei fornitori energetici, sia installando un’unità mobile fotovoltaica in occasione della manifestazione. Sul fronte dei rifiuti sviluppa un progetto dal titolo Facciamo acqua da tutte le parti, mirante a sostenere l’utilizzo dell’acqua di rete, ad abolire l’uso delle bottigliette di plastica presso gli spazi gestiti dal Festival (Centrofestival e Dopofestival), nonché a installare una casa dell’acqua nella piazza principale di Santarcangelo. Sempre sul fronte dell’abbattimento dei rifiuti, gli spazi del Festival sono apparecchiati esclusivamente di stoviglie lavabili e bicchieri riutilizzabili. Sul fronte della mobilità si dà vita a un progetto denominato Biciclo, che si sviluppa attraverso il recupero di biciclette vecchie e inservibili donate dai privati che vengono restaurate, riverniciate, e messe a disposizione del personale del Festival durante la manifestazione. In inverno, una parte di queste biciclette sono poi utilizzate dall’amministrazione e messe a disposizione dei turisti in un’attività di bike sharing. Sempre sul fronte della mobilità si opera incentivando le pratiche di car pooling per fare incontrare domanda e offerta di passaggi nei viaggi di spostamento “per” e “da” Santarcangelo. Infine, sul fronte degli acquisti consapevoli, il Festival comincia a produrre tutti i suoi materiali promozionali su carta Fsc e compiendo una serie di acquisti, legati al funzionamento della macchina organizzativa, con una particolare attenzione all’impatto ambientale da parte dei fornitori. Tutti questi progetti vengono realizzati in stretta collaborazione con diverse aziende del territorio impegnate sul fronte della green economy.
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7. Santarcangelo oggi Risulta impossibile dire quale sarebbe stato lo sviluppo della città di Santarcangelo senza il suo Festival. Quello che però si può constatare oggi è il fatto che se nel 1971 il Festival era concepito come un primo strumento di una strategia turistica volta a combattere un fenomeno di spopolamento in una cittadina di 14.000 abitanti, nel corso di questi 47 anni Santarcangelo è cresciuta costantemente fino agli attuali 22.000 residenti. Oggi Santarcangelo
conta una pluralità di strutture alberghiere, numerosi bed&breakfast, innumerevoli ristoranti, osterie e cantinette, situati in larga parte nel centro storico, quel centro storico che nel corso degli anni, in un tipico processo di gentrification, è stato completamente recuperato dal punto di vista architettonico sperimentando una decisa impennata dei prezzi delle case oggi paragonabili a quelli dei quartieri di maggior pregio di Rimini. Una trasformazione che si è compiuta aspettando ogni anno un nuovo Festival.
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PATRIMONIO CULTURALE E FLUSSI: TUTELA/VALORIZZAZIONE/FRUIZIONE
Ci sono argomenti su cui si stanno cimentando da anni numerosi specialisti, e, volendo essere pessimisti, senza addivenirne ad una. Uno di questi argomenti è certamente ascrivibile alla sfera della cultura nella particolare accezione del turismo. Una volta è “cultura e turismo”, un’altra “turismo e cultura”. Non sembri un giocoso calembour: essere al primo posto nella coppia dei sostantivi fa la differenza, qualifica l’importanza e la primazia, consente di avviare un discorso dalla parte dei progetti di conoscenza (e quindi di tutela e valorizzazione) o dalla parte dei consumi (e quindi di fruizione e redditività). Sempre ad essere pessimisti è la seconda accezione che la fa da padrona in molteplici casi e, vincendo il “turismo”, la cultura viene ad esso asservita. Ormai da tempo si sente enunciare un mantra che più o meno suona come “turismo culturale”; non mi pare, forse per distrazione personale, di aver mai sentito pronunciare – almeno da queste parti – qualcosa che somigli a “cultura turistica”. È certo meglio non addentrarsi in riflessioni consunte e superate dalla concretezza della realtà nello stesso momento in cui vengono fatte, ma è difficile esimersi da giudizi di valore e di merito rispetto a fenomeni dilaganti, frutto e conseguenza di una modificazione di usi, di costumi, di economie, in breve di tutti i parametri globali frullati in un infernale girone consumistico. Corre l’obbligo di concentrarsi almeno su alcuni termini della questione, lasciando sullo sfondo, ma come specifico contestuale, “il valore e il potenziale del patrimonio culturale ben gestito, in quanto risorsa di sviluppo durevole e di qualità della vita in una società in costante evoluzione” (come recita la Convenzione-quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società1).
Puntiamo lo sguardo sulla città, in particolare la città storica, complessa e ricca nelle sue stratificazioni: sappiamo bene che l’organismo città, anche la più antica, è in costante mutazione. Nessuno si può illudere di andare a Venezia, a Istanbul, a Granada e di vedere la città originaria, ma neppure la città che ha visitato pochi anni o addirittura pochi mesi fa, anche se può permanere l’impressione della immutabilità monumentale. Sicuramente ci si accorge che è mutato (aumentato, a dismisura) il flusso di persone che raggiungono luoghi diversi e lontani da quelli da cui hanno origine. Vista la criticità dei tempi, la drammaticità di tanti avvenimenti, limitiamoci ad affrontare il fenomeno solo dal punto di vista degli spostamenti per periodi di permanenza breve, spesso legati ad uso squisitamente “turistico”. Poiché le parole racchiudono il loro senso, turismo e turistico significano andare in giro, viaggiare; quello che fa la differenza è l’ulteriore significato che assumono se si accostano ambiti di interesse. Turismo religioso, turismo sportivo, turismo riproduttivo ecc. e oggi il molto enfatizzato turismo culturale. Nel “frittatone planetario” (secondo Duccio Canestrini)2 non c’è scampo: ciascuno di noi è homo turisticus, e tra tutte le altre categorie prevale quella dell’homo turisticus culturale. Raramente si muove da solo, spesso predilige il gruppo, anche di grandi dimensioni; approfitta della caduta dei confini e delle dogane (almeno sino ad ora, anche se sembra acutizzarsi una veloce inversione di tendenza), si affida ai passaparola e ai tam tam delle diverse agenzie e dei tanti operatori; scarta con accuratezza mete che presentino la più piccola pericolosità e si riversa su quelle città i cui aeroporti sono scalo dei voli low o low-low cost, tanto meglio se sono centri urbani storici, artistici, dotati di caratteristiche suggestive.
1 Convenzione di Faro, Consiglio d’Europa - Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la Società (CETS no. 199) 18/03/08 Faro, 27.X.2005. 2 Duccio Canestrini, Antropop. La tribù globale, Bollati Boringhieri 2014.
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Nonostante sia turista culturale le sue esigenze primarie sono il nutrimento e l’intrattenimento, e queste sue necessità sono salutate come panacea di tutti i mali economici che affliggono gli antichi centri urbani. Certamente, per l’arrivo dell’homo turisticus, si attiva una rete imprenditoriale che investe la filiera di chi opera nella ristorazione, nascono improvvisamente operatori del settore, con un frenetico ricambio di gestioni che aprono e chiudono nel giro di pochi mesi, ci si specializza in cibo da strada (senza rendersi conto che non si è inventato nulla, poiché in tutte le società, anche nel lontano passato, per strada si trovava da mangiare), e, allineandosi alle mode più recenti, le pizze diventano vegetariane, i toast vegani, e il bio/crudista a km 0 si adagia ai bordi delle strade dove proliferano sedie, pouf, divanetti e lanterne con candele. Forse qualcuno si chiede quali siano le condizioni che consentono questi vorticosi cambiamenti, magari come viene selezionata e retribuita la forza lavoro, da dove abbiano origine i capitali con cui le attività sono aperte e finanziate. Tutti, invece, si accorgono delle conseguenze, perché, mentre nascono attività di consumo di questo genere, scompaiono negozi e botteghe che erano funzionali al quotidiano degli altri uomini, dei residenti, ma anche i luoghi di socialità e di vita di quartiere si frantumano. Basti pensare alle piazze, invase dai dehors di ristoranti e di trattorie più o meno storici, oppure trasformate in “location” per eventi. Tuttavia non è la città nella sua interezza ad essere investita dal cambiamento con i suoi risvolti produttivi ed economici (assai settoriali in verità), bensì la parte più attrattiva, dotata del fascino e del magnetismo urbano derivato dall’antichità, dalla presenza dei monumenti più significativi, il tutto frullato nella dimensione del “caratteristico” che in realtà non somiglia a nulla della storia e della vita della comunità che nei secoli ha prodotto il suo ambiente. Piano piano di fatto i centri si svuotano dei loro abitanti e, al posto delle case e degli appartamenti occupati dalla gente che vive e lavora, si aprono alberghi (rari in verità) e proliferano B&B e Airbnb, che da un giorno all’altro quasi all’improvviso compaiono sul tuo stesso pianerottolo nel condominio. Piccole aziende a conduzione familiare, prosperano perché molto meno problematiche, spesso non controllate, senza bisogno di personale di servizio e di accoglienza, grandemente redditive rispetto a qualsiasi altro 3
tipo di locazione di lunga durata. Non si riesce ad opporsi all’ondata che travolge e spinge fuori, nelle periferie, i cittadini, soprattutto quei giovani che vorremmo investire della missione di rigenerare ciò che abbiamo lasciato spogliare di senso3. Assistiamo indifesi, inconsapevoli, alla trasformazione, neanche troppo lenta, di una parte di città in distretto turistico, modulabile in parco tematico, a seconda degli eventi che vi possono essere organizzati. E quando lo sciame turistico arriva, è lì che deve e vuole andare, non certo negli altri luoghi urbani, nelle zone di recente costruzione e tantomeno nell’hinterland, ed è più interessato alle botteghe dei souvenir e alle vetrine di panettieri, pizzerie, toasterie e hamburgherie, che al museo, alla cappella, alla torre che portano via troppo tempo all’esperienza “caratteristica” che stanno facendo. Di fronte a questa singolare “invasione” è sempre più urgente e necessario inventare nuovi rapporti tra homo turisticus e cittadini, da una parte per dominare la situazione, ma dall’altra, e soprattutto, per approfittare dei cambiamenti. Se cerchiamo un esempio emblematico di un fenomeno diffusissimo lo troviamo nella città di Napoli, una delle più importanti città italiane, malgrado tutte le sue criticità, una città che forse sta ancora vivendo un boom turistico le cui conseguenze non sono calcolabili. Dagli anni novanta del secolo scorso si è innescato nel capoluogo partenopeo un processo per la rivitalizzazione della parte più antica, da una parte per ovviare o almeno temperare i fenomeni di degrado che ghettizzavano gran parte del centro storico, dall’altra per recuperare luoghi e siti di grande interesse urbanistico, artistico. La motivazione più forte però sembra essere stata la necessità di mostrare una faccia presentabile in occasione di un avvenimento come il G84. La riconquista di alcuni luoghi e spazi urbani ha favorito e incrementato il turismo, un turismo massiccio che grazie ai servizi aerei da tutta Italia e da gran parte dell’Europa ha visto Napoli diventare meta eccellente, bella e perduta, con quell’aura di timore, oscurità, che prima la rendeva tristemente inavvicinabile. Ed è scattato un fenomeno davvero interessante, la cittadinanza (una parte) si è organizzata: vogliono l’esperienza autentica, urlata, quella dei panni stesi e dei fritti sulla soglia di casa, vogliono “conoscere” la vera Napoli? Si può fare. Si organizzano passeggiate lungo l’asse dei Quartieri Spagnoli, guide specializzate raccontano l’origine del
Una visione opposta è quella espressa da Matteo Stifanelli country manager AirBnB per l’Italia in http://www.ilsole24ore.com/ art/impresa-e-territori/2017-06-01/airbnb-non-facciamo-concorrenza-sleale-alberghi-151408.shtml 4 Il G8 in questione si è svolto nel 1994. Dal 1995 il centro storico di Napoli è inserito nei siti da tutelare di UNESCO, ma nel 2017 è messo sotto controllo proprio dalla commissione della istituzione sovranazionale per la malagestione dei fondi europei ricevuti, spesi in minima parte, e per la negligenza nel recuperare i monumenti fatiscenti.
PATRIMONIO CULTURALE E FLUSSI: TUTELA/VALORIZZAZIONE/FRUIZIONE
quartiere, chi lo costruì, chi ci visse. Tutto quello che si incontra è “tipico” e il giro finisce in un “autentico” basso, dove sarà servita una cena tradizionale cucinata davanti agli affascinati visitatori. Solo che il basso fino a poco tempo prima era un deposito della merce di ambulanti e serviva per parcheggiare motorini. In poco tempo è stato sistemato e sono comparse tutte le icone possibili: madonne e san gennari, ma anche maradona e mario merola. L’esperienza poi sarà siglata da una bella partita a tombola, con i fagioli secchi per segnare i numeri e un “femminiello” agghindato per l’occasione che sceneggerà ogni cifra pescata nel sacchetto con le rituali metafore e ricorrenze. I turisti sono a loro volta diventati oggetto d’esperienza, perché gruppetti di residenti del quartiere si pigiano sull’uscio e commentano ad alta voce ogni passo della tombolata. Sono quegli stessi, in particolare donne, che lungo il percorso hanno interpretato il cliché di vocianti e indaffarate casalinghe, intente ad accogliere i nuovi venuti lavando i panni a mano, cucinando fuori di casa con la bombola di gas, mentre in realtà, nel “loro” basso, ci sono lavatrice e cucina superattrezzata. Sono le pagine di Monitor, un giornale cartaceo nato nel 2006, divenuto mezzo di informazione on line, che evidenziano, in inchieste mirate, fenomeni come quello sopra descritto. Ciò che emerge, messo a confronto con altre fonti di informazioni, è il nodo cruciale, che si attaglia a tutti i centri urbani: i flussi turistici apparentemente dinamizzano realtà spesso percepite come refrattarie ad ogni cambiamento, soprattutto rispetto alle abitudini sociali; ma le inevitabili trasformazioni da chi sono governate? Perché si ha l’impressione che tutto sia un po’ improvvisato, lasciato ad iniziative private che non rientrano in alcun disegno, in alcuna visione complessiva della città? Dobbiamo forse temere la “ricostruzione storica”, tra le pieghe dell’antica Pendezza di Città Alta, di un’ipotetica casa del Giopì e della Margì, intenta a menar polenta dal mattino alla sera? È certamente compito di chi amministra avere una visione a lungo termine, per poter indirizzare le trasformazioni, senza doverle subire quando si realizzano nella brevità e nella estemporaneità di “eventi” transitori e spesso effimeri che, nonostante l’attributo culturale che si incollano addosso, rischiano di moltiplicarsi e riprodursi in modelli destinati ad estenuarsi fino all’esaurimento. Corriamo tutti un rischio, reale, di cui si deve tenere conto e non sono pochi ad ipotizzare che i flussi di un turismo indifferenziato e indifferente a ciò che caratte-
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rizza i patrimoni culturali, potrebbero fermarsi o sgonfiarsi come una delle tante bolle che negli ultimi decenni hanno avviato crisi non solo economiche di incalcolabile portata. Limitandoci ancora all’esempio della città, se anche si modificassero i rapporti con un turismo consumistico e diminuissero i flussi d’arrivo, si sarebbe innescato durevolmente, e forse irreversibilmente, quello che potremmo definire il “reflusso” degli abitanti, dei residenti. Pensiamo solo al fenomeno della trasformazione massiccia di case e appartamenti da abitazioni in alloggi temporanei; qualcuno ha presente Venezia? la città viene ancora assimilata nell’immaginario turistico al luogo simbolo di una spossata bellezza, ma chi ci vive e lavora percepisce il suo incalzante cambiamento in industria/lettificio. Chi mai (se finalmente si attuasse una cultura turistica rispettosa e quindi più qualificata che quantificata) potrebbe riuscire a ritrasformare la città in un luogo adatto per crescere, operare, creare? Quali sarebbero i costi da affrontare per ri-trasformare gli alloggi per turisti in dimore per famiglie? Cosa fare dell’inimmaginabile numero di ristoranti (per lo più di proprietà cinese, con personale asiatico)? Quali botteghe aprire al posto delle rivendite di carabattole, maschere, costumi, vetri “di Murano” made in Cina?5 Eppure il modello Venezia dilaga nel nostro paese, nonostante le grida di allarme, nonostante il monito di UNESCO: Iscritta trent’anni fa nella lista del patrimonio Mondiale dell’Unesco, Venezia è da tempo sotto attento esame dell’Organizzazione parigina in quanto la pressione turistica, l’afflusso massiccio delle grandi navi da crociera, la crescita incontrollata di esercizi commerciali al posto delle botteghe artigiane e il progressivo abbandono dei residenti con contemporaneo aumento degli alloggi per B&B, ne stanno mutando il carattere originario mettendo in pericolo il suo “outstanding universal value”. Il Comitato per il Patrimonio Mondiale in corso a Cracovia ieri [06-07-2017] ha adottato una decisione in cui riconosce l’impegno delle autorità italiane nazionali, regionali e comunali per cercare di risolvere i problemi che affliggono Venezia e la sua laguna chiedendo di continuare a monitorare le attività avviate e di disporre di un aggiornamento entro il 1 dicembre 2018 in modo da riesaminare la situazione complessiva della città lagunare nel Comitato del 2019 6.
5 Segnaliamo una pagina da Repubblica dell’agosto 2006 che profetizza una città vuota dei suoi abitanti http://www.repubblica.it/ 2006/08/sezioni/cronaca/2030-venezia-vuota/2030-venezia-vuota/2030-venezia-vuota.html 6 http://www.unesco.it/it/News/Detail/375, news 07/07/2017.
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Si aprono scenari difficili da immaginare, non solo per i centri urbani più amati, mete di percorsi secolari tracciati da coloro che hanno intessuto rapporti con ciò che le città erano ed erano diventate, ma per tutto quello che definiamo patrimonio culturale: le cittadine di provincia, i paesi, i paesaggi naturali, per tutti i beni materiali e immateriali che caratterizzano la cultura e la cultura dei luoghi. Mentre, da una parte, i responsabili a livello nazionale della gestione dei flussi turistici decantano il trend di sviluppo del fenomeno e si augurano di riuscire in breve tempo a proporre offerte estese ai centri minori, alle località naturalistiche, ai percorsi montani, dall’altra il riconoscimento di patrimonio universale di UNESCO attribuito ad alcuni luoghi rischia di essere costantemente messo sotto processo. Forse non è cresciuta sufficientemente la coscienza, individuale e collettiva, e tanto meno la sensibilità culturale. D’altra parte non riflettiamo mai abbastanza che non sono ancora passati cento anni da quando, a livello internazionale, si è iniziato a porre il problema del “valore” dei contesti urbani storicizzati e di conseguenza della necessità della loro conservazione. All’inizio del XX secolo si viaggiava sull’onda di “raccomandazioni” da seguire per la tutela di monumenti7, ma queste non erano sufficienti per opporsi a decisioni che oggi farebbero discutere animatamente. Per questo, forse, anche a Bergamo non furono incisive le azioni che tentarono di impedire o dilazionare la distruzione dell’Ospedale di S. Marco, “monumento” quattrocentesco della cultura cittadina dell’accoglienza e della cura, la cui esistenza era legata anche alla presenza della Fiera sul Prato di S. Alessandro8. Sulla scia delle realizzazioni piacentiniane si era fatta avanti un’entusiastica frenesia innovativa: “La struttura antica derivata dal cristallizzarsi della vita cittadina […] è ormai d’impaccio […] Bisogna creare nuovi centri, nuovi fulcri di irradiazione, aprire, sventrare, sistemare quartieri…”9. Poche voci dissonanti esprimevano invece la necessità di agire con prudenza e di intervenire solo 7
dopo aver “pensato” la città nel suo complesso, in rapporto con i comuni circostanti, trasformati da entità autonome in quartieri, e con una nuova viabilità dialogante con spazi collettivi e zone edificate: “Tutto questo patrimonio – con riferimento alla storia e all’arte di Bergamo – deve essere assolutamente difeso e non solo nei riguardi delle costruzioni monumentali, ma altresì di quanto vale a determinare l’ambiente antico od a costituire caratteristica della città […] soluzioni che alterassero il meno possibile l’attuale consistenza della città, specialmente nella zona centrale, limitando perciò al minimo possibile le demolizioni di fabbricati esistenti”10. Voci fuori dal coro, flebili segnali di una presa di coscienza che avrà bisogno di molto tempo per svilupparsi ed affermarsi. Sicuramente la Grande Guerra, da poco terminata, aveva rivelato quanto fragili fossero le opere dell’uomo, quanto facile fosse trasformare città e monumenti in bersagli, quanto rapidamente si sarebbe potuto azzerare la storia di intere comunità. Bergamo, che non aveva subito fisicamente alcun danno, si avviava alla modernità e al cambiamento “aprendo, sventrando”; eppure mentre si interviene pesantemente sui monumenti, si percepisce (però all’epoca le decisioni erano in mano a pochi) che è sbagliato non tener conto delle relazioni del costruito della città con la sua storia, la sua anima. Solo pochissimi anni dopo la conclusione del cantiere del centro piacentiniano, quando ancora non si era deciso dell’abbattimento dell’ospedale, a livello internazionale si affronta per la prima volta il problema di un corretto intervento conservativo delle città, soprattutto dei suoi monumenti11. Da allora ad intervalli più o meno lunghi, si è continuato a dibattere su regole e obiettivi: dal monumento si è passati all’ambiente urbano e paesistico, perché nessun monumento può essere separato dalla storia di cui è testimone12. Quindi all’influenza del patrimonio sullo sviluppo culturale e morale dell’uomo, ampliando l’orizzonte dei beni da conservare a quelli intangibili. La conservazione è diventata obiettivo per la pianificazione urbana e per l’assetto territoriale, pertanto le scelte riguardanti il patrimonio archi-
Il Ministero della Pubblica Istruzione nel 1914 fece stampare in Roma un Elenco degli edifici monumentali della Provincia di Bergamo che comprendeva il complesso dell’Ospedale di S. Marco, ritenuto edificio degno di nota all’interno del tessuto urbano. 8 Maria Mencaroni Zoppetti, La ‘più grande Bergamo’ e un monumento da salvare, in L’Ospedale nella città. Vicende storiche e architettoniche della Casa Grande di S. Marco, Bergamo 2002, p. 123. 9 Renato Larco, La Più grande Bergamo, “La Rivista di Bergamo”, aprile 1927. 10 Nel 1926 il Rotary Club finanziò un concorso per un piano regolatore di città bassa; i risultati sarebbero stati messi a disposizione del Comune in modo che il dibattito avesse punti di riferimento su cui fondare le ipotesi di cambiamento. La frase riportata è nella relazione del progetto Adsurgam, firmato da Antonio Berizzi, Mario Frizzoni, Ernesto Suardo che non risultò vincitore. Si veda “L’Eco di Bergamo” 9 aprile 1927; Vanni Zanella, Idee per la città. Ernesto Suardo ingegnere, Milano 1997, p. 49. 11 Carta internazionale di Atene, 1931. 12 Carta di Venezia, 1964.
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Figg. 1, 2. Ospedale San Marco, due disegni acquerellati su cartoncino, firmati F. Grugioni (?), s.l, s.d., (Archivio Ospedale Maggiore di Bergamo) tratti da: “L’Ospedale nella città. Vicende storiche e architettoniche della Casa Grande di S. Marco”, a cura di Mencaroni Zoppetti M., Stamperia Stefanoni, Bergamo, 2001.
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tettonico, considerato come tessuto vivo da non museificare, debbono coinvolgere non solo i responsabili, ma la popolazione13. Conservazione e sviluppo sostenibile sono diventati binomio inscindibile, rivendicando la necessità della reale partecipazione degli abitanti alla gestione dei processi di trasformazione dei luoghi, non più demandabili a specialisti e amministratori14. Finalmente si comincia a parlare anche di conservazione del paesaggio: “parte del territorio che deriva dall’azione di fattori naturali e umani e dalle loro interrelazioni”, fortemente sollecitato e trasformato dai processi di sviluppo sociali, economici e ambientali15. Con il coinvolgimento delle comunità locali nella identificazione e nella tutela dei beni e del patrimonio culturale, conservazione e gestione potranno essere al primo posto tra gli strumenti di pianificazioni sostenibili16 che dovranno riguardare anche quello che nel dibattito internazionale viene definito il Paesaggio Urbano Storico17. Le Raccomandazioni che vengono emanate avvertono di ampliare l’attenzione al territorio, rivelatore di una stratificazione di valori culturali e naturali riferibili al contesto urbano più ampio oltre che all’ambiente geografico. È sempre più urgente, pertanto, sensibilizzare sulla veloce mutazione che gli insediamenti urbani e in particolare i centri storici stanno subendo. Abbiamo già visto che se da un lato può essere positiva la loro trasformazione in motori economici – vista la influenza della circola-
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zione turistica – dall’altra, anche a causa di nuove pressioni dovute ad altri flussi di inurbamento difficilmente controllabili, ad un impiego non sostenibile delle risorse, all’uso non corretto del patrimonio, diviene progressiva e inarrestabile la perdita di valori materiali e immateriali. Nessuno si può illudere che i riflessi e gli effetti del depauperamento non si riverberino su tutto il paesaggio storico, sui contesti di cui i centri urbani fanno parte. Napoli e Venezia, criticamente monitorate anche da UNESCO, insieme ai territori circostanti sono un esempio sotto gli occhi di tutti. C’è voluto quasi un secolo per arrivare a definizioni e acquisizioni (per lo più e purtroppo solo teoriche); sulla coscienza che il patrimonio, i patrimoni sono bene comune e la loro conservazione non è il fine, ma il mezzo per assicurare a tutti di poter trasmettere la propria identità culturale alle generazioni a venire, c’è ancora molto da lavorare. Bergamo è appena entrata a far parte dei siti tutelati da Unesco, molti si chiedono quale sia il vantaggio. Forse più che un vantaggio è una sfida, una opportunità per dimostrare di saper temperare fenomeni legati a mode consumistiche e di poter gestire uno sviluppo sostenibile dell’Historic Urban Landscape, rispettoso delle specificità e dei valori, “resiliente” (come si ama dire oggi) ai cambiamenti imposti dalla competizione dell’economia globale.
Carta di Amsterdam o Carta della conservazione integrata, 1975. Carta di Cracovia, 2000. Convenzione Europea del Paesaggio, 2000. Dichiarazione di Budapest, 2002; Linee guida operative UNESCO, 2005. Raccomandazioni sul Paesaggio Storico, 2011.
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VULNERABILITÀ SOCIALE E RESILIENZA IN REGIONE LOMBARDIA. UNA PROPOSTA METODOLOGICA PER UNA NUOVA GESTIONE DEL RISCHIO SISMICO
INTRODUZIONE Molteplici studi (si veda Wilkinson, 2010; Taylor Gooby & Zinn, 2006) hanno dimostrato che l’analisi e la valutazione del rischio devono tenere in considerazione innumerevoli aspetti: naturali, probabilistici, socio-culturali, politici, discorsivi. Si tratta di una costruzione sociale dinamica e contestuale, frutto di negoziazioni, interpretazioni e simbolizzazioni, tanto complessa quanto radicata nella storia culturale dei soggetti collettivi che contribuiscono a definirla (Douglas & Wildavsky, 1982). Le teorie di stampo foucaultiano (Foucault et al., 1991) ci ricordano, tuttavia, che la definizione di rischio ha carattere performativo, in quanto ha conseguenze reali e tangibili sulla strutturazione dei soggetti, o, più semplicemente, sulla percezione di sicurezza nella vita quotidiana, sulla concezione del rapporto tra uomo e ambiente, sulle modalità di gestione delle emergenze. La posta in gioco è tale che vi sono istituzioni politico-amministrative (come, ad esempio la Protezione Civile in Italia) che, in collaborazione con enti scientifici, sono preposte ad occuparsi del tema. Negli ultimi anni è fiorito un dibattito internazionale sulle modalità di previsione e di prevenzione del rischio ambientale. Le caratteristiche socioterritoriali dei luoghi sono ora considerate come fattori rilevanti del rischio (Wisner et al., 2003), secondo l’equazione: R=H x V Dove H indica hazard, ovvero la pericolosità di un evento naturale e V significa vulnerabilità. Per vulnerabilità si intende l’insieme delle condizioni, determinate da fattori o processi fisici, sociali, economici ed ambientali, che aumentano la susceta b
tibilità di un individuo o di una comunità dinanzi all’impatto di un evento naturale (UNISDR, 2009). A partire da questa definizione generale, sono stati sviluppati diversi tentativi di operativizzare il concetto che prendono in considerazione un’ampia varietà di caratteristiche. Da una parte si mettono in luce le condizioni fisiche ed ambientali, come la prossimità al pericolo e lo stato del patrimonio edilizio; dall’altra le caratteristiche sociali, economiche e demografiche delle popolazioni interessate. Tutti questi elementi variano nel tempo e nello spazio e, interagendo, influenzano il grado di esposizione al pericolo di un luogo (Cutter et al., 2003). La vulnerabilità sociale è dunque una proprietà attribuibile ad un luogo, oltre che ad individui e a gruppi sociali. Un concetto strettamente connesso e complementare alla vulnerabilità sociale, ma semanticamente diverso, è quello di resilienza. La prima accezione del termine definisce la capacità fisica dei materiali di resistere agli urti senza spezzarsi (Doorn, 2017); successivamente la resilienza è entrata a far parte del lessico di numerose discipline, tra cui l’economia, la psicologia, la sociologia. La resilienza di un sistema territoriale è la capacità di una comunità di rispondere e recuperare dallo shock causato da un evento esterno; include quelle caratteristiche che permettono al sistema di intraprendere processi adattivi che facilitino la capacità di riorganizzarsi, cambiare ed imparare dalla risposta alla minaccia (Cutter et al., 2008). In questo senso, riguarda vari aspetti, ognuno dei quali tende verso una disciplina scientifica di riferimento, come la resistenza degli edifici e dell’ambiente costruito (ingegneria), le potenzialità del sistema produttivo (economia), o la coesione sociale (sociologia) (Cutter et al., 2010). Sostanzialmente più un luogo è resiliente, maggiore è la capacità di costruire soluzioni per superare le difficoltà dovute ad un evento esterno, stabilendo
Dipartimento di Sociologia e ricerca sociale, Università di Milano-Bicocca, Via degli Arcimboldi, 8, 20126 Milano. Dipartimento di Scienze dell’ambiente e della terra, Università di Milano-Bicocca, Piazza della Scienza 1, 20126 Milano.
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un nuovo equilibrio interno (Norris et al., 2008). Solidità dell’economia e delle attività produttive, qualità delle infrastrutture, forte coesione sociale sono alcune delle caratteristiche di un luogo resiliente (Cutter et al., 2010). Sebbene l’Italia sia tra le cinque nazioni europee in cui il rischio di disastri naturali è più alto (Beck et al., 2012), le politiche di previsione e di prevenzione del rischio ambientale ignorano la rilevanza dei fattori socioterritoriali. Il Piano di Protezione civile comunale, strumento principale per la gestione dell’emergenza, non comprende indicazioni sulle popolazioni e sulle condizioni socio-territoriali dei comuni. Negli ultimi anni sono state effettuate alcune ricerche a livello nazionale che hanno dimostrato quanto i fattori socio-territoriali siano determinanti nella rilevazione del rischio ambientale (Frigerio & De Amicis, 2016; Frigerio et al., 2016a; Frigerio et al., 2016b). Tuttavia, rispetto ad altre realtà europee ed extraeuropee, in Italia gli studi sulla vulnerabilità sociale non hanno raggiunto un grado di sviluppo tale da essere considerati nell’implementazione delle politiche di prevenzione. Questo studio nasce nell’ambito del rinnovamento delle direttive della Regione Lombardia e della Protezione Civile nazionale per l’implementazione di politiche locali di previsione, mitigazione e prevenzione del rischio sismico. L’indagine propone la costruzione di un indice di vulnerabilità sociale per comprendere le caratteristiche di una comunità che amplificano il rischio e gli eventuali danni di un terremoto in fase emergenziale, ed un indice di resilienza che sintetizza le risorse utili per la ricostruzione e il progressivo ripristino della normalità nel lungo periodo. Condotta con il metodo e le tecniche geostatistiche e attraverso strumenti GIS (Geographic Information System), essa presenta una lettura analitica (socio-territoriale) e cartografica della vulnerabilità sociale e della resilienza nel territorio lombardo.
LA RICERCA: OBIETTIVI E METODO Il primo obiettivo dell’indagine è individuare quali sono i luoghi della Lombardia più vulnerabili e meno resilienti in occasione di eventi sismici e, più in generale, di disastri naturali. Avendo collocato gli indicatori di vulnerabilità e di resilienza nel contesto geografico della Lombardia, si possono definire alcune aree a rischio, facilmente riconoscibili dall’amministrazione regionale e dagli enti competenti. Individuate le aree più vulnerabili, si cerca di comprendere che tipo di territorio è più a rischio e quali
elementi concorrono a renderlo vulnerabile. Quali indicatori, ad esempio, incidono sulla vulnerabilità delle zone alpine, o quali nelle aree urbane. In un secondo momento, l’obiettivo è quello di integrare i risultati dello studio ad altre informazioni sulla conformazione fisica del territorio. Se si uniscono i valori di vulnerabilità ai livelli di probabilità di un evento sismico (come quelli rappresentati nella mappa di classificazione sismica dei comuni lombardi), si possono ottenere informazioni sul rischio sismico che tengano conto anche della dimensione sociale del rischio. In sintesi, la ricerca si pone l’obiettivo di identificare le zone della Lombardia più vulnerabili da un punto di vista sociale, di approfondire le loro caratteristiche socio-territoriali e di proporre una lettura innovativa del rischio sismico in regione. Il metodo di ricerca consiste in una analisi secondaria di dati territoriali, finalizzata alla costruzione di due indici: uno di vulnerabilità sociale ed uno di resilienza. Ciascuno dei due indici è formato da una serie di indicatori composti che sintetizzano i diversi elementi di vulnerabilità e di resilienza. Gli indici e gli indicatori sono distribuiti spazialmente e analizzati attraverso sistemi di informazione geografica. Due definizioni operative Inizialmente sono state elaborate due definizioni operative dei concetti di vulnerabilità sociale e resilienza, al fine di chiarire il significato degli indicatori e degli indici collegandoli alle fasi di gestione del ciclo del rischio (Alexander, 2002). La vulnerabilità consiste nelle caratteristiche socioterritoriali che, in corrispondenza di un evento eccezionale, creano un danno potenziale. La vulnerabilità ha dunque a che fare con il danno creato da un evento. Per questo motivo gli indicatori di vulnerabilità riguardano quelle caratteristiche di un territorio che amplificano o riducono la potenzialità del danno immediato portato da un terremoto. L’indice comprende informazioni rilevanti nella pianificazione dell’emergenza e nella gestione del breve arco temporale simultaneo ed immediatamente successivo al terremoto. La resilienza, invece, misura la capacità di un territorio di assorbire l’impatto, di adattarsi, riorganizzarsi, riprendere forza nel lungo periodo. Riguarda le fasi successive a quella di emergenza: il ripristino dei servizi e delle infrastrutture, la ricostruzione, il ritorno ad una vita comunitaria normale. Mentre la vulnerabilità, come rivela la sua etimologia (dal latino vulnus), rappresenta la predisposizione di una comunità ad essere ferita, la resilienza esprime la capacità di assorbire e cicatrizzare il danno, sino ad eliminarlo. Indubbiamente vi sono alcuni ele-
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menti in comune, rilevanti nelle diverse fasi del ciclo del rischio. Perciò, seguendo la rappresentazione concettuale di Cutter et al. (2008: 600), resilienza e vulnerabilità possono assumere le forme di due insiemi intersecanti. Gli indicatori Gli indicatori di vulnerabilità e di resilienza sono stati creati seguendo quattro criteri:
– la coerenza con le definizioni operative; – la letteratura esistente; – le carattersistiche socio-territoriali di Regione Lombardia; – la disponibilità dei dati. Nella tab.1 sono elencati gli indicatori composti con le rispettive fonti e il loro effetto sugli indici di vulnerabilità sociale e resilienza: positivo (+) o negativo (-).
Tabella 1. Indicatori composti, fonti ed influenza sugli indici di vulnerabilità e resilienza. Positiva (+) o negativa (-) Vulnerabilità sociale
Indicatore
Fonti
Letteratura
Età
Istat Ottomilacensus
Ngo, 2001; Cutter et al., 2003; Tapsell et al., 2005
+
-
Livello di istruzione
Istat Ottomilacensus
Heinz Center, 2000; et al., 2016
-
+
Densità abitativa
Istat Censimento della popolazione
Martins et al., 2012; Frigerio et al., 2016b
+
Inadeguatezza e obsolescenza del patrimonio edilizio
Istat Ottomilacensus
Tapsell et al., 2005; Cutter et al., 2010
+
Accessibilità
Openstreetmap
Cook & Butz, 2015; Heinz Center, 2000
-
Stranieri residenti
Istat Censimento popolazione
Carnelli & Frigerio, 2016b; Frigerio et al., 2016b; Cutter et al., 2003
+
Mobilità quotidiana
Regione Lombardia, Istat Censimento mobilità
Adey, 2016
+
Turismo
Banca di Italia (Turismo internazionale)
Adey, 2016
+
Coesione sociale
Cenismento dell’industria e dei servizi, Ministero dell’interno, Ottomilacensus
Cutter et al., 2010; Chan et al., 2006; Di Franco, 2014
+
Produttività e forza economica
Istat Censimento industria e servizi, Ottomilacensus, Ministero dell’economia e delle finanze.
Norris et al., 2008; Morrow, 2008; Frigerio et al., 2016
+
L’analisi spaziale I dati di ciascun indicatore, una volta standardizzati in modo da ottenere un’unica unità di misura (z-scores), sono analizzati attraverso tecniche di analisi geospaziale. Al fine di approfondire la distribuzione geografica delle variabili all’interno della regione è applicata la tecnica di interpolazione Inverse Distance Weighted (IDW). Essa definisce una superficie continua, formata da una griglia di pixel1. Il valore di ciascun pixel è la media pesata dei valori 1
Le celle hanno un perimetro di 800 m
Resilienza
-
noti dei nodi limitrofi (collocati nei centroidi dei poligoni comunali), dove i pesi sono dati dall’inverso della distanza. Per ciascun indicatore, inoltre, è tenuto in considerazione il numero di abitanti dei comuni come ulteriore peso nella definizione dei valori delle celle raster. I comuni più popolati (le città in primis) hanno dunque un’influenza più forte nel definire i valori dei punti vicini al loro centroide. In questo modo si risolve, in parte, la questione della disomogeneità dei comuni come unità territoriali.
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L’IDW è un processo di interpolazione utilizzabile allorquando i punti campionati sono distribuiti in modo abbastanza uniforme e occupano la totalità della superficie dello spazio. Rispetto agli altri metodi di interpolazione esso è statisticamente più intuitivo e dunque garantisce una consapevolezza maggiore nell’interpretazione dei risultati. Gli indici finali di vulnerabilità sociale e di resilienza sono calcolati sommando i valori degli indicatori in ciascun pixel, secondo la formula (1):
Dove SIGmap è la griglia dell’indicatore interpolato per ogni indicatore I considerato nella composizione dell’indice. E i simboli +/- sono attribuiti in base all’effetto che il singolo indicatore ha sull’indice finale. In questo modo sono state ottenute le mappe degli indici di vulnerabilità sociale e di resilienza in Regione Lombardia. Infine le mappe di vulnerabilità e di resilienza sono integrate alla mappa di pericolosità sismica per ottenere una nuova lettura del rischio sismico in Regione Lombardia, che consideri non solo le caratteristiche geofisiche, ma anche gli aspetti socio-territoriali del problema (Formula 2).
Dove exposure è il livello di esposizione al rischio, SVI e RI map sono rispettivamente la mappa finale di vulnerabilità sociale e di resilienza, Hmap è la mappa di pericolosità sismica.
VULNERABILITÀ SOCIALE, RESILIENZA E RISCHIO SISMICO IN REGIONE LOMBARDIA Le zone ad alta vulnerabilità (fig.1) sono la Lomellina (in particolare nella zona più orientale) e l’Oltrepò pavese (soprattutto nella fascia appenninica) a sud-ovest; la zona pianeggiante che, a partire dal Lago di Iseo, seguendo il corso del fiume Oglio attraversa la bassa bergamasca e bresciana e prosegue nella porzione più orientale della provincia di Cremona, fino al basso mantovano; la valle Sabbia e le sponde settentrionali del Lago di Garda al confine occidentale; alcune rinomate località turistiche nell’arco alpino, come Livigno e Madesimo; le valli prealpine al confine tra la provincia di Lecco e di Bergamo (come la Valsassina e la val Brembana); le località sulla sponda occidentale del Lago di Como e sulle sponde italiane del Lago di Lugano; alcune porzioni dell’area metropolitana milanese ed in particolare l’area a nord di Milano; in misura minore risultano vulnerabili anche alcune città, come Brescia e Bergamo. Da un’analisi più approfondita delle zone si ha l’opportunità di stabilire una classificazione degli hotspot di vulnerabilità sociale. Studiando le carat-
Fig. 1. Mappa di vulnerabilità sociale in regione Lombardia, con dettaglio della provincia di Bergamo.
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teristiche territoriali di ciascun hotspot e ponendole a confronto, si comprende infatti che sussistono alcune tendenze comuni, riconducibili a diversi modelli di vulnerabilità.
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Partendo dalla fascia settentrionale, un primo modello di vulnerabilità è riscontrabile nelle località turistiche alpine (nella mappa in Fig. 1 sono messe in evidenza l’alta Valtellina e la Valchiavenna, in par-
Fig. 2. Mappa di resilienza territoriale in Regione Lombardia, con dettaglio della provincia di Bergamo.
Fig. 3a. Mappa di pericolosità sismica di Regione Lombardia; Fig 3b. Mappa di esposizione al rischio2. 2 La pericolosità sismica è classificata su una scala che va da 1 (sismicità alta) a 4 (sismicità bassa). In Lombardia non vi sono territori classificati nella prima classe. Tuttavia dalla mappa in fig. 3a si nota che l’estremità centro-orientale della regione (in rosso sulla mappa) rientra nella classe 2, ovvero è a rischio medio-alto. Qui possono avvenire terremoti di tale magnitudo da creare ingenti danni. La maggior parte del territorio regionale (in giallo) è a pericolosità medio-bassa: ha una sismicità bassa, che però in determinati contesti geologici può vedere amplificati i propri effetti. La porzione più occidentale della regione è a sismicità bassa: sono possibili scosse lievi e sporadiche, a bassa densità.
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ticolare le località di Ponte di Legno, Livigno e Madesimo). Questi territori sono attraversati stagionalmente da un numero cospicuo di popolazioni mobili (turisti italiani e stranieri) ed hanno un’accessibilità limitata dovuta alla posizione geografica impervia. Più a sud, le valli prealpine della provincia di Lecco e di Bergamo si distinguono per l’alto tasso di persone anziane, per il livello di istruzione decisamente inferiore alla media regionale e per i bassi valori di accessibilità. Seppur lontane geograficamente, le zone dei laghi (Maggiore, di Como e di Garda) sono accomunate da una distribuzione simile degli elementi di vulnerabilità: gli indicatori di età, di turismo e di obsolescenza ed inadeguatezza del patrimonio edilizio risultano ben al di sopra della media. Per quanto riguarda le aree urbane, è opportuno sottolineare che lo studio territoriale proposto non è in grado di cogliere la complessità delle città. Prendendo il comune come unità di analisi, si trascurano le differenze tra i quartieri e le sperequazioni interne ai grandi comuni urbani. In particolare il comune di Milano ha al suo interno quartieri popolati da un numero significativo di residenti, la cui vulnerabilità sociale è assai più elevata di ciò che figura negli esiti di questo studio. D’altronde è evidente che l’estensione regionale della ricerca riduce la capacità di approfondimento delle realtà locali. Tuttavia, tra le zone ad alta vulnerabilità vi sono alcune porzioni suburbane dell’area metropolitana di Milano e alcune zone urbane (Brescia e Bergamo). Gli elementi di vulnerabilità di queste aree sono la densità abitativa, la mobilità quotidiana (di pendolari e studenti), l’alto tasso di residenti di nazionalità straniera e, nel caso di Bergamo e Brescia, l’età avanzata degli abitanti. Infine tra le aree vulnerabili compaiono anche zone pianeggianti scarsamente urbanizzate, come la Lomellina e la lunga striscia tra le province di Brescia, Cremona e Mantova nei pressi del fiume Oglio. Sono territori a vocazione agricola in cui il livello di istruzione e la qualità del patrimonio edilizio sono inferiori alla media regionale. La Lomellina, inoltre, ha un’età media piuttosto alta, mentre nell’altra area pianeggiante vi è un tasso di stranieri più alto della media. Le zone a bassa resilienza (Fig. 2) seguono, in parte, le tendenze geografiche di quelle ad alta vulnerabilità. Nell’arco alpino settentrionale, vi sono delle località piccole ed isolate che risultano poco resilienti, ma non sono significative per estensione territoriale né per popolazione residente. Nell’arco prealpino e alpino meridionale si trovano quattro zone in cui il livello di resilienza territoriale è deci-
samente inferiore alla media regionale: le valli nella parte settentrionale della provincia di Varese (tra il capoluogo di provincia e le sponde del Lago Maggiore); la porzione settentrionale della provincia di Como tra il confine con la Svizzera e le sponde occidentali del lago di Como; le valli alpine e prealpine tra la provincia di Bergamo e di Sondrio; le prealpi bresciane ad ovest. Nella parte meridionale della regione si segnalano la Lomellina, le zone di pianura bassa pavese, bresciana, cremonese e mantovana. Infine, nella punta meridionale, la zona appenninica della provincia pavese. Contrariamente alle zone ad alta vulnerabilità, quelle a bassa resilienza presentano caratteristiche uniformi. Tutte le zone hanno una coesione sociale, un’economia del territorio ed un livello di istruzione molto più deboli rispetto alla media regionale (solamente l’area dell’Appennino pavese ha valori superiori in coesione sociale): generalmente sono territori in calo demografico, le cui attività economiche sono principalmente l’agricoltura o l’industria manifatturiera. Ad eccezione della bassa bresciana, l’età media è superiore alla media regionale in tutte le zone. L’indicatore di densità abitativa ed inadeguatezza del patrimonio edilizio non presenta un andamento significativo: i valori delle zone sono vicini alla media regionale. La mappa in Fig. 3b integra la pericolosità sismica di Regione Lombardia con gli indici di vulnerabilità e di resilienza, seguendo la formula
Se messa a confronto con la mappa di pericolosità sismica di Regione Lombardia (Fig. 3a), è evidente che la mappa fornisce informazioni più dettagliate sul livello di esposizione al rischio sismico in regione. Si nota che i comuni più a rischio sono presso la comunità montana della Val Sabbia: Barghe, Idro, Preseglie, Provaglio val Sabbia, Sabbio Chiese, Treviso Bresciano, Vestone, Vobarno, Valvestino. Sono piccoli comuni, spesso privi di un assetto territoriale unico (divisi in frazioni), in cui l’età media è piuttosto alta, l’accessibilità è limitata a causa della morfologia collinare o montuosa e le attività economiche principali sono l’allevamento e il turismo. A tutto ciò si aggiunge un forte degrado del patrimonio edilizio, riconosciuto dalla stessa Comunità montana della Val Sabbia nella stesura degli obiettivi della progettazione territoriale (Comunità Montana di Valle Sabbia). Anche i comuni che si affacciano direttamente sulla sponda settentrionale del lago di Garda risultano ad alto rischio perché rientrano nelle aree ad ele-
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vata vulnerabilità sociale: Tremosine, Tignale, Gargnano, Toscolano-Maderno e Gardone Riviera. Sono località turistiche che attraggono un numero significativo di persone straniere, hanno un patrimonio architettonico antico e, per via della loro posizione tra la costa del lago e i rilievi prealpini, hanno un’accessibilità stradale ridotta. Infine, l’ultima zona che risulta ad alto rischio è il comune di Brescia. Come si è affermato in precedenza, un’analisi a scala regionale non può cogliere la complessità del tessuto urbano di una città. In attesa di ricerche più approfondite, in questo contesto ci si limita a ricordare che Brescia, oltre ad una densità abitativa abbastanza elevata, ha un tasso di residenti stranieri superiore alla media regionale ed una popolazione che tende all’invecchiamento.
CONCLUSIONE Il saggio propone un metodo di indagine per approfondire la conoscenza delle caratteristiche socioterritoriali che assumono rilevanza nell’ambito delle politiche di previsione, prevenzione e mitigazione del rischio ambientale. Lo studio su vulnerabilità sociale, resilienza e pericolosità sismica in Regione Lombardia è l’esito di un percorso di ricerca che, a partire da alcune riflessioni concettuali sul rischio e sulla sua relazione con l’ambiente, ha individuato un quadro teorico e metodologico di riferimento e ha sviluppato un metodo di analisi socio-territoriale. Da un’analisi spaziale di dati territoriali sono state sviluppate le mappe degli indicatori e degli indici di vulnerabilità e di resilienza in Regione Lombardia. Successivamente le mappe degli indici di vulnerabilità sociale e di resilienza sono state abbinate a quella di pericolosità sismica, in modo da ottenere una rappresentazione dettagliata dell’esposizione al rischio sismico. Lo studio della vulnerabilità sociale e della resilienza offre strumenti concettuali e metodologici per invertire la logica emergenziale tuttora prevalente nell’ambito della gestione del rischio in Italia. In particolare rappresenta una proposta metodologica per la gestione del rischio sismico di Regione Lombardia nell’ambito degli interventi di Protezione Civile e pianificazione dell’emergenza. Tuttavia, considerando la complessità del tema, sarebbe scorretto, sia dal punto di vista teorico, sia da quello delle implicazioni pratiche insite nella definizione politico-istituzionale del rischio, trascurare i limiti di questa ricerca. Innanzitutto vi sono alcune scelte metodologiche discutibili e migliorabili, come la selezione degli in-
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dicatori, la dimensione dell’unità di analisi, la tecnica di interpolazione. Non sono stati effettuati questionari sulla percezione e la consapevolezza del rischio o sulla consapevolezza e il grado di preparazione delle amministrazioni comunali. Mentre altri dati, come quelli sul disagio psicofisico delle popolazioni, non erano disponibili a livello comunale. Un’unità di analisi più ridotta (la sezione censuaria) avrebbe sicuramente garantito una conoscenza del territorio più dettagliata, ma allo stesso tempo avrebbe ridotto il numero di indicatori utilizzabili, poiché alcuni di essi sono reperibili solamente a scala comunale. Per quanto riguarda la tecnica di interpolazione, sarebbe interessante confrontare i risultati di questa ricerca, che utilizza un metodo deterministico, con altri metodi probabilistici come Kriging e Kernel. Inoltre gli elementi che compongono vulnerabilità sociale e resilienza di un territorio variano localmente e diacronicamente a seconda di processi culturali, sociali ed istituzionali e sono difficilmente riducibili ad un set di indicatori o ad una rappresentazione cartografica. Questi limiti epistemologici impongono una riflessione sulla necessità di integrare il metodo qui proposto, e, più in generale, gli approcci quantitativi e cartografici al tema, con studi qualitativi capaci di una comprensione più dettagliata delle realtà territoriali. Da un continuo confronto dialettico tra metodi di studio diversi possono emergere spunti di riflessione e percorsi di miglioramento del processo conoscitivo. Poniamo l’esempio della ricerca sviluppata in questo saggio. A partire da essa si potrebbe organizzare uno studio qualitativo in una delle zone ad alta vulnerabilità, per approfondire le cause e il pensiero delle persone che vivono quei luoghi. Dal “campo” e dalla facilitazione di un processo di conoscenza bottom-up potrebbero nascere spunti per la creazione di nuovi indicatori, o per la correzione degli esistenti. In questo modo, in un costante perfezionamento reciproco dei metodi e delle tecniche di analisi, si approfondirebbero i temi della vulnerabilità sociale e della resilienza, creando strumenti più partecipati, precisi e affidabili per lo studio del territorio. BIBLIOGRAFIA Adey, P. (2016). Emergency Mobilities. Mobilities, 101(February), 32–48. Adger, W.N. (2006). Vulnerability. Global Environmental Change, 16, 268–281 Alexander, D. (2002). Principles of Emergency Planning and Management, Oxford: Oxford University Press.
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RIGENERAZIONE URBANA COME OCCASIONE PER LA RISCRITTURA DEL PAESE
Pur espressione ormai già abusata prima della sua riconoscibile traduzione in politiche sistematiche, è comunque all’idea dell’ineluttabilità della rigenerazione urbana che dobbiamo affidarci per tracciare le strategie di governo dei territori insediati nei prossimi decenni. Il concetto di rigenerazione appare efficace perché allude alla necessità di una svolta, che si connette al dovere ormai evidente di proporre politiche che sappiano assumere il già costruito come perno della futura creazione del valore, motore senza il quale le politiche appaiono illusorie. E si tratta non solo dell’edificato storico, nel quale si sono compiuti già diversi cicli di riconfigurazione fisica, o anche solo prevalentemente semantica, ma, forse soprattutto, dell’edificato dell’espansione urbana avvenuta dal dopoguerra a pochi anni orsono. La tanto repentina, quanto da molto tempo annunciata, prevalenza dell’offerta sulla domanda in gran parte del comparto immobiliare, ha finalmente diffuso la consapevolezza sia della nocività del procrastinarsi della generica espansione urbana che, soprattutto, della sua aleatorietà finanziaria. A fronte di questa assenza di esito economico delle pratiche urbane additive consuete, sancita ormai anche dalle norme e dai piani, non si è tuttavia ancora chiaramente configurata un’alternativa di nuove pratiche riconoscibili, differenti dal semplice schema di gioco precedente, che estraeva il valore fondiario, spesso privandone la comunità generale, nel processo acquisto-edifico-vendo. Ora, invece, la plusvalenza dovrà essere estratta intervenendo su territori già scritti, e spesso scritti male. Il nostro compito oggi, anche vista la notevole articolazione orografica del paese e la limitatezza dei suoli ancora disponibili, non è dunque quello di attendere un improbabile ulteriore ciclo di espansione. Altra via non abbiamo che capire, prima possibile, come si possano attivare investimenti sistematici sulle aree già urbanizzate.
PRESUPPOSTI DEL NUOVO CICLO IMMOBILIARE Anche se l’obsolescenza dei tessuti urbani moderni è assai differente a seconda dei luoghi e delle tipologie insediative, è semplice affermare che essa, oltrechè alla diffusa assenza di disegni urbani efficaci, sia dovuta anche alle seguenti altrettanto diffuse carenze dei fabbricati che li compongono: – ENERGETICA, poichè in gran parte costruiti prima della L.10/ ’91. – SISMICA, in quanto l’evoluzione della normativa antisismica è un dato recente. – TIPOLOGICA, in quanto pensati o per nuclei familiari ampi (i condomini degli anni ’50 e ’60) o perseguendo un modello di case individuali per tutti, costoso e insostenibile (la casetta suburbana con mansarda e taverna). – SOCIALE, perché non vi sono più i presupposti (l’inurbamento come emancipazione dalla povertà e costruzione di ceto medio, il senso del decoro urbano) che hanno connotato la spinta espansiva verso l’edilizia intensiva e perché, invece, l’edilizia estensiva delle villette (di produzione più recente) ha generato rottura dei legami di comunità e distruzione del commercio locale. – AMBIENTALE, perché costruiti in gran parte con materiali difficili da riciclare, quando non tossici, e senza attenzione alle prestazioni complessive (con evidenza al ciclo delle acque). – ARCHITETTONICA, perché, salvo casi minoritari, la qualità compositiva in Italia è stata scadente, orientata, soprattutto negli ultimi anni, alla riproduzione e divulgazione dei modelli antiurbani regressivi della promozione immobiliare e non alla costruzione di un paesaggio all’altezza della contemporaneità. Queste inadeguatezze si sono riflesse nella generale povertà, quando non assenza, di nuovo spazio pubblico, rendendo i nuovi insediamenti spesso semplici addizioni di manufatti connessi dalla ca-
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pillarità della mobilità veicolare privata, sostitutiva della carenza di mobilità pubblica, anziché occasioni per la produzione di luoghi e contesti riconoscibili. La crisi del mercato immobiliare ha mostrato i piedi d’argilla di questo patrimonio, ed è tanto più pericolosa quanto più colpisce non già i grossi compendi, spesso di maggior qualità, ma i piccoli, solitamente non caratterizzati da riconoscibile valore intrinseco, ma la cui somma è preponderante nel dato patrimoniale complessivo. Possiamo notare di aver assistito per decenni al dipanarsi di un equilibrio evolutivo, nel quale la crescita urbana, che avrebbe dovuto definire strutture insediative formate, si riteneva potesse governarsi con l’efficienza delle politiche amministrative, generando una progressiva evoluzione e consolidamento del valore patrimoniale.
Ora che il processo si è interrotto, si è, in diversi casi, ingenerato un equilibrio involutivo nel quale la labilità del paesaggio urbano diviene ostacolo alle politiche amministrative ordinarie, determinando così sia molteplici forme di disagio abitativo che una progressiva involuzione, quando non dissoluzione, del valore patrimoniale. Ne consegue che una politica di forte rinnovo del tessuto insediativo nazionale è importante anche per ridare una prospettiva alla tenuta e rimessa in circolo del risparmio privato, il cui inceppamento è una delle cause dello stallo attuale. Quando il valore immobiliare scende, ed il patrimonio diviene non commerciabile, si avviano processi viziosi di decadimento, che possono portare a situazioni difficili da recuperare generando problemi diffusi nei bilanci familiari, e in quelli bancari, deprimendo gli investimenti ed alimentando una condizione di generale insicurezza. 1
Ricordando come l’elevato debito pubblico nazionale è in qualche misura bilanciato da una patrimonializzazione diffusa, cui si sono rivolte per anni, in carenza di altri percorsi di affidamento del risparmio, le strategie familiari, come se il sessantennale ciclo dell’espansione edilizia avesse funzionato quale strumento del trasferimento di risorse collettive al patrimonio privato, appare evidente come il problema della riqualificazione dei tessuti urbani non sia solo un grande tema urbanistico, ma anche un problema di tenuta del valore complessivo del paese, nel quale il dato del patrimonio immobiliare residenziale è oggi stimabile in 6.227 miliardi di euro, pari a 3,8 volte il Pil del Paese1. Occorre evitare che tale asset divenga, per assenza di politiche adeguate, il luogo dell’annullamento del risparmio di due generazioni. Da questo quadro si esce solo elaborando nuovi modelli di intervento, che l’imprenditoria immobiliare, spesso medio-piccola, non è in grado da sola di percorrere, in quanto formatasi sul motore economico della spinta privata per la valorizzazione fondiaria e ora incapace di promuovere interventi dove tale plusvalenza è già stata estratta. La rigenerazione dei tessuti insediati, per essere efficace e ottimizzare la cattura del valore, deve risolvere la maggior parte delle obsolescenze prima citate, integrando gli interventi necessari su aree che sono già edificate, e talvolta da bonificare, spesso abitate, dunque con il tema della mobilità sociale in caso di demolizione e ricostruzione, oppure della compresenza degli abitanti in caso di ristrutturazione. Occorre perciò una progettazione molto più accurata, sia dal punto di vista urbanistico-architettonico- strutturale-impiantistico, ma anche della sicurezza di cantiere e della tenuta sociale, con maggiori costi, tempi e rischi. Il tutto entro un quadro normativo e fiscale tutt’altro che chiaro. Se non si risolvono questi temi nel loro insieme non si cattura il valore nascosto e continueranno a prevalere gli interventi parziali e marginali (caldaie, doppi vetri, ecc…) sprecando occasioni per le riqualificazioni integrali2. Solo i grossi gruppi immobiliari hanno la forza e le competenze per muoversi, su temi così complessi, in modo multidisciplinare, ma si limitano alle operazioni di maggior taglio e privilegio, quando invece la maggior parte del patrimonio non ha qualità, o posizione, tale da suscitare rilevanti interessi.
V. Agenzia delle Entrate: Gli immobili in Italia 2017 – Ricchezza, reddito e fiscalità immobiliare. In: http://www.agenziaen- trate.gov.it Raramentegliinterventidirisparmioenergeticosonoassociatiallariqualificazionesismica,perchéquestaèpiùcomplessa enongenera vantaggio economico immediato, compromettendo così per anni le possibilità di intervento ulteriori. 2
RIGENERAZIONE URBANA COME OCCASIONE PER LA RISCRITTURA DEL PAESE
Si spiega così perché la continua reiterazione ed ampliamento degli incentivi fiscali, pur associata in questi anni a molte altre misure (Decreto del Fare, Sblocca Italia, nuova legge condominiale, ecc..), non abbia ancora prodotto effetti sistemici. Essa appare come esito di un approccio settoriale e di una cultura del bonus più che di una strategia correlata ad una chiara vision del problema: si premiano a pioggia tutti gli interventi di efficientamento, prescindendo dal fatto che siano singoli o integrati, e prescindendo da una lettura dei tessuti e delle tipologie, col risultato paradossale che fruiscono di credito fiscale anche interventi inutili nel processo di rigenerazione, o addirittura effettuati su tipologie inadeguate poste in luoghi sbagliati. Se la strumentazione premiale viene invece orientata al conseguimento di un valore stabile è anche proponibile un patto di lealtà tra Stato e proprietà immobiliare, nel quale il primo, in cambio di incentivi elevati e del supporto al consolidamento del valore, correla il suo effettivo innalzamento alla riforma e rivalutazione delle rendite catastali (ora in stallo) e a una revisione ragionevole dell’imposizione di successione, costruendo così una traiettoria di riduzione del debito pubblico, che in quanto correlata all’ineluttabilità del ricambio generazionale, appare certa e addirittura cartolarizzabile3. L’azione fiscale deve dunque essere accompagnata da un chiaro ragionamento sul valore, che definisca i criteri generali con cui incentivare la rigenerazione, affidando alla strumentazione locale la corretta elaborazione di una tassonomia dei luoghi e delle tipologie, affinché vengano premiati gli interventi sistematici che riconfigurano i paesaggi urbani e non incentivata la riqualificazione parziale di fabbricati comunque condannati al degrado o allo spreco ambientale, o addirittura in origine abusivi. Si tratta di uscire finalmente dalla cultura dell’emergenza, meglio se promulgando una nuova legge urbanistica nazionale orientata agli strumenti per la rigenerazione, superando la pur ottima legge del 1942 (L.1150) che, ben elaborata dal legislatore durante la guerra, era pensata per tracciare la futura espansione delle città sotto la guida della mano pubblica, ed il suo aggiornamento del 1967 (L.765) che, dopo il clamore della frana di Agrigento, prendeva atto della prevalenza dell’imprenditoria privata sulla pubblica (e della diffusa inanità di entram-
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be) definendo finalmente limiti dimensionali all’intervento privato. Questa estrema riduzione del vasto corpo legislativo a due leggi è utile a coglierne la ratio profonda: dapprima governare l’espansione, poi porre dei freni alla prevalenza speculativa. Ora il quadro è radicalmente mutato: il processo di espansione è terminato, l’orizzonte di intervento non può che essere la riscrittura attenta dei palinsesti urbani esistenti per far fronte all’evidenza dei problemi ambientali ed alla necessità di rifondare i modi della cittadinanza. Per questa ragione è opportuna una nuova strumentazione organica che sappia sancire l’attuale momento storico, divenendo così riferimento per una riforma del comparto edilizio, ora in palese difficoltà perché privo di schemi di gioco adeguati. Per attuarsi pienamente, una nuova legge nazionale abbisogna comunque di un ruolo significativo della legislazione regionale, concorrente in materia urbanistica, da orientarsi non a competere sui principi, come spesso accade ora nel quadro della confusione generata dalla riforma del Titolo V della Costituzione, ma a perfezionare gli strumenti operativi più adatti per le realtà locali, predisponendo le basi conoscitive adeguate per i propri comuni, elaborando i progetti pilota di riferimento e certificando le procedure migliori come best practices replicabili e perciò affidabili. Si tratta di un ruolo fondamentale degli enti regionali, tanto più considerando l’imponenza delle risorse che essi, concorrendo con i programmi UE, possono destinare al supporto delle pratiche innovative.
IL CONSOLIDAMENTO DEL VALORE: ALCUNE NOTE SULLE TIPOLOGIE INSEDIATIVE
In pochi anni le pratiche normali di urbanistica contrattata, espressione con cui si intendeva spesso descrivere la mera trattativa sugli oneri qualificati, sono diventate obsolete, richiedendosi invece oggi all’amministrazione pubblica, pena nel governo del territorio, la capacità di essere lei ad avviare proposte integrate, delle quali chiarisce la finalità ed assume lo spunto ideativo, lasciandone agli operatori economici l’attuazione entro un quadro di procedure concordate e garantite. Tale azione è possibile solo se si definiscono modelli di riferimento applicabili alle varie differenti complessità territoriali.
3 La capacità di conseguire un innalzamento del valore medio del patrimonio immobiliare, raggiungendo valori comparabili al periodo precrisi, oltre a generare lavoro edile qualificatoe un consistente risparmio dellabolletta energetica nazionale,che bilanciano il mancato gettito dovuto alle premialità fiscali, se correlato ad una riduzione ragionevole, come peraltro sollecitato dalla UE, della franchigia successoria, potrebbe portare automaticamente, senza altri interventi,ad unasignficativariduzione automatica costante del debito pubblico.
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Il tema della rigenerazione urbana investe diverse grandi categorie di temi insediativi, che ineriscono tessuti prevalentemente residenziali, o produttivi, o grandi cluster monofunzionali, ma anche le molte diverse configurazioni dei sistemi lineari promiscui correlate alla viabilità territoriale. Circoscrivendo l’osservazione ai tessuti prevalentemente residenziali, ipotizziamo tre grandi polarità tematiche, la cui lettura può costituire spunto per ulteriormente affinare la strategia generale: – la rigenerazione delle aree residenziali a maggiore densità, dove la crescente diffusa complessità sociale facilmente innesca fenomeni di degrado; – il consolidamento urbano delle aree a bassa densità (il cd. sprawl urbano), spesso calate in contesti di scarsa qualità e quindi portate a non reggere il presupposto patrimoniale su cui sono fondate; – la rivitalizzazione dei tessuti storici, oggi sovente tanto vincolati quanto sottoutilizzati ed in decadimento. Per evitare che le premialità fiscali continuino ad operare in maniera indifferenziata, è opportuno orientarle al conseguimento di un valore stabile nelle aree urbane consolidate, o da consolidarsi, evitando così di sprecare risorse nella ristrutturazione di edifici sorti in luoghi sbagliati e con densità inadeguata, dove per ottenere un risultato coerente si dovrà invece, più faticosamente ed in tempi più lunghi4, operare con traslazione volumetrica e diradamento o con densificazione. Fabbricati pluriallaggio a molti piani ad alta densità C’è tanta letteratura sociologica sui processi decisionali dei condomìni. Ciò però che si sta studiando ora è la loro grave fragilità a fronte dei nuovi ceti sociali che tendono ad abitare gli esemplari meno pregiati. Si tratta di fenomeni già ora visibili in molte aree del paese, soprattutto nelle periferie urbane, la cui caratteristica prevalente è forse la mancata produzione di uno spazio collettivo efficace (cioè significante e adatto a supportare le relazioni sociali, in particolare il commercio locale). In esse, anche a seguito dell’immigrazione più recente, in generale non preparata, né supportata, ai codici ed alle mediazioni urbane, ciò ha portato all’espansione della labilità dello spazio pubblico all’interno dello spazio semipubblico delle tipologie più a rischio, quelle condominiali, dove la qualità dello spazio comune (tipicamente il vano sca4
la e l’ingresso) si fonda, prima che su regolamenti condominiali spesso obsoleti, su valori impliciti di convivenza e buon comportamento, peraltro da tempo oggetto di aggressione culturale anche da gran parte della comunicazione mediatica nostrana.
Il risultato è stato l’innescarsi di processi viziosi di degrado, nei quali la difficoltà di relazione porta alla fatica della gestione economica condominiale, al sorgere di illegalità, alla riduzione della manutenzione, al decadimento dello spazio interno fino alla sua completa disfunzionalità, spesso ben rappresentata dall’ascensore fermo e dal default economico. Lungo questo percorso il valore patrimoniale del bene si riduce progressivamente, acuito dalla fuga dei proprietari originari (quando fanno in tempo). Nel progetto di Contratto di quartiere di Zingonia (Verdellino, BG) del 2009, è stato proposto uno schema riepilogativo di questo percorso di decadimento5, con l’obiettivo di mostrare come alla situazione difficilmente recuperabile della criticità conclamata si pervenga attraverso una discesa per gradi che è possibile, ed opportuno, intercettare ed invertire (v. tabella a pag.seguente). L’esito di questa scala regressiva, oltre all’acuirsi dei problemi di convivenza, con il portato dell’aumento della criminalità e della necessità di maggior spesa ex-post per sorveglianza, riparazione, pulizia, assistenza sociale, interventi educativi straordinari, è palesemente anche la riduzione del valore patrimoniale dell’area interessata, spesso ben oltre il valore intrinseco rimasto alle strutture edilizie, con l’effetto che anche l’intorno non degradato viene coinvolto in una riduzione ad inghiottitoio dei valori immobiliari. Una simulazione ne ha stimato alcuni valori di riferimento6. Considerando che molti alloggi in ese-
Tipicamente di un ricambio generazionale. A cura di M. Vanoli, Analisi e progettazione sociale, Contratto di Quartiere per la risemantizzazione di Zingonia (2009). 6 V. F. Simonetti, Risanamento e riqualificazione di alloggio tipo nel condominio barbara 1 a Zingonia, stima ed ipotesi dei livelli di intervento, marzo 2015, In Zingonia 3.0. 5
RIGENERAZIONE URBANA COME OCCASIONE PER LA RISCRITTURA DEL PAESE
cuzione immobiliare non trovavano acquirenti neppure a 12.000 €, si è valutato il costo della loro riqualificazione interna (55mila € per 85 mq) e confrontato il valore di mercato ottenuto nei vari scenari d’intervento condominiale. Si sono poi considerati
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i medesimi valori nell’ipotesi di un intervento strategico di contesto teso ad annullare l’inghiottitoio ricostruendo i valori medi dell’intorno. Si evidenzia come l’unica alternativa per la ricostruzione del valore, quando la criticità complessiva è conclamata, risiede in una strategia di contesto che persegua la risoluzione del problema nella sua complessità, essendo illusorie le soluzioni tampone. In alcuni casi l’intervento più efficace è la completa demolizione e ricostruzione dell’area, ma poiché la maggior parte delle aree periferiche degradate sono luoghi pienamente abitati, si tratta di previsioni sostanzialmente ineffettuali. Solo nei casi di insediamenti mal progettati in luoghi sbagliati, e dunque mai riqualificabili, la demolizione è l’unica strada che garantisce risultati duratori; tuttavia lo spo-
Livello 1 Ordinario Criticità potenziale
Livello 2 Processo degenerativo innescato Criticità germinale
Livello 3 Situazione ad alto rischio Criticità manifesta
Livello 4 Situazione compromessa Criticità conclamata
È rilevabile una corretta condotta da parte di una parte consistente dei condomini nel governo della proprietà condivisa e relativamente ai comportamenti che hanno valore per la collettività (gestione e manutenzione spazi comuni, pagamento utenze condominiali, raccolta differenziata). Sufficiente coordinamento dei condomini con l’amministratore, che si esprime per es. in un’adeguata partecipazione alle assemblee condominiali.
Il governo della proprietà condivisa e i comportamenti che hanno valore per la collettività sono governati sommariamente dall’amministratore, perlopiù garantiti dal “presidio” di pochi condomini. Prime criticità connesse al pagamento di utenze collettive e fragilità dei meccanismi sanzionatori. Forme embrionali di conflittualità e di disinvestimento sul senso dell’abitare producono accelerazioni dei processi di normale turn-over, si liberano spazi e si perdono generalmente inquilini o famiglie capaci cioè di trovare collocazioni migliori. Primo calo del valore di mercato dell’immobile con conseguente attrazione di una domanda abitativa meno selettiva, orientata dalla variabile del minor costo.
Si manifesta una generale (amministratori-proprietariaffittuari) incapacità di coordinare i comportamenti afferenti la sfera della responsabilità collettiva. Progressivo indebitamento rispetto alle utenze condivise. Dissolvimento del senso di proprietà e di responsabilità collettivo a favore di una percezione dell’abitare sempre più indivudalistica e confinata nei singoli ap- partamento. Aumento della reciproca diffidenza e delle situazioni di conflittualità. Aumento del turn-over, e ricomposizione del quadro socio-demografico del condominio che va a determinare un progressivo fronteggiarsi di due forze contrapposte: una minoritaria connessa al presidio di pochi (spesso fasce deboli: anziani soli, famiglie con bambini piccoli) capaci di esprimere una cultura della responsabilità collettiva, un’altra, maggioritaria, caratterizzata da un approccio utilitaristico e strumentale dello spazio; approccio che lascia spesso campo d’azione al diffondersi di pratiche illecite e criminose. Accelerazione nel declino del valore dell’immobile.
La capacità di governo della sfera di responsabilità collettiva è da tempo pregiudicata, come dimostra l’alto indebitamento rispetto alle utenze condivise. Possibile interruzione di beni e servizi significativi (ascensore, illuminazione, gas, corrente, acqua). Rapporti tra singoli condomini e tra condomini e amministratori caratterizzati da sfiducia, diffidenza, conflittualità. Rapporto con le istituzioni caratterizzato da senso di abbandono alternato a aspettative di intervento pubblico “salvifico/miracolistico” Dilagare di zone “franche”: gli spazi privati condivisi (area parcheggi, ingressi degli edifici, cantine) non presidiabili, vengono occupati e ripetutamente danneggiati da soggetti esterni (con possibili complicità interne) per attività illecite. Auto-isolamento delle famiglie e dei soggetti che si confinano nei propri appartamenti per paura di aggressioni e violenze. Crollo verticale dei valori degli appartamenti, impossibilità di posizionamento sul mercato immobiliare.
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SINTESI DELLA VALORIZZAZIONE POSSIBILE
SCENARIO 1 Assenza di politiche di attuazione del PGT
FILIPPO SIMONETTI
SCENARIO A ritorno al degrado condominiale
SCENARIO B soluzione del default condominiale
SCENARIO C riqualificazione funzionale del condominio
VALORE
VARIAZIONE
VALORE
VARIAZIONE
VALORE
VARIAZIONE
€12.829
- 82,18%
€64.147
- 10,92%
€85.530
+ 18,77%
€85.530
- 18,77%
€111.189
+ 54,40 %
SCENARIO 2 Intervento strategico in attuazione del PGT
stamento di abitanti è sempre un percorso lungo e pieno di conflittualità, costoso socialmente, economicamente e politicamente. Laddove è possibile immaginare un percorso di riqualificazione e risignificazione del contesto, che reinterpreti almeno parte dell’insediamento originario, pur nella complessità dell’intervento, questo si rivela più efficace della demolizione. Interrompere il circolo vizioso del degrado è perciò possibile solo con progettualità strategiche integrate, capaci di risemantizzare lo spazio urbano, favorire nuove relazioni, colmare l’inghiottitoio e riportare il valore alle condizioni medie, ottenendo così un incremento di valore finale tanto maggiore quanto paradossalmente il luogo è ora svalutato, e comunque ben superiore al costo dell’intervento. Si tratta di un percorso di cattura del valore in parte simile a quanto già osservato nei processi di gentrification. Per converso l’assenza di azioni strategiche di contesto chiama le amministrazioni coinvolte alla promozione di continui e costosi interventi di presidio sociale, che possono sì calmierare il degrado ma non eliminare la ripetuta necessità di politiche di assistenza straordinaria, in pochi anni assai più costose dello sviluppo di una progettazione strategica. L’intervento di rigenerazione dunque non può essere solo affidato al possibile vantaggio fiscale individuale connesso alla riduzione del costo di riscaldamento, ma deve puntare alla cattura dello iato di valore prodotto dal degrado, anche con la possibile modifica tipologica (frazionamento di unità grandi, chiusura di balconi come logge abitate, formazione di unità commerciali di vicinato al piano terra,
ecc…) e con l’eventuale riutilizzo di spazi comuni o produzione di nuovi spazi commercializzabili e con la riqualificazione dello spazio pubblico del tessuto oggetto di intervento, correlato ad una nuova strutturazione della mobilità locale che riduca la pervasività della veicolarità privata. Tali interventi, economicamente costosi, sono peraltro già possibili nel quadro del deciso potenziamento delle misure di incentivazione contenute nella legge di bilancio 2017, che rende possibile coordinare la riqualificazione antisismica e quella energetica, definendo un orizzonte temporale compatibile (5 anni) con lo sviluppo di una pianificazione complessa e permettendo la cedibilità del credito, che diviene così monetizzabile e inglobabile in maniera certa nel quadro economico dell’intervento. Ciò rende economicamente sostenibili interventi prima inimmaginabili, come l’integrazione di elementi strutturali in acciaio entro la formazione di una nuova facciata termica, finora in Italia oggetto solo di interessanti studi7, ma che oggi può trovare le condizioni economiche per la sua realizzabilità8. Occorre perciò una progettazione integrale, che sia anche occasione di lettura e progettualità sociale, che né l’amministratore di condominio, né i condòmini sono in grado di immaginare. Il compito dell’amministrazione locale è la messa a disposizione di strumenti, la costruzione del consenso e della reputazione dell’intervento, ricercando e selezionando uno o più promotori che siano disposti ad elaborare le proposte necessarie. Sarebbe utile la disponibilità di fondi spese specifici destinati alle amministrazioni locali per finanziare le attività preprogettuali di
7 V. ad esempio F. Feroldi, A.Marini, C. Passoni, P. Riva, M. Preti, E. Giuriani, A. Belleri, G. Plizzari: Miglioramento e adeguamento sismico di edifici contemporanei mediante approccio integrato energetico, architettonico e strutturale con soluzioni a doppio involucro a minimo impatto ambientale, in: https://www.researchgate.net/publication/271504925 8 La Legge n° 232/2016 ha completamente ridefinito il quadro della fattibilità economica dei possibili interventi di riqualificazione edilizia rendendo ora possibile ipotizzare anche interventi economicamente assai rilevanti. Ad esempio l’integrazione della riqualificazione strutturale ed energetica di un condominio di 36 alloggi permette di effettuare un intervento di 4,896 milioni di euro con un beneficio fiscale di ben 4,017 milioni di euro.
RIGENERAZIONE URBANA COME OCCASIONE PER LA RISCRITTURA DEL PAESE
contesto (audit ernegetici, progetti preliminari di fattibilità, modellazioni antisismiche, letture sociali). Avendo un progetto credibile, un’evidenza dei vantaggi (risparmi e bonus), una chiarezza dei partner (istituti di credito) e la reputazione del pubblico, anche i privati ora disorientati divengono potenziali attuatori, quando non direttamente investitori. Case monofamigliari a bassa densità Si tratta di tessuti diffusissimi, che hanno consumato inutilmente suolo spesso pregiato per la produzione agricola, talvolta geologicamente inadeguato all’urbanizzazione. Le possibilità di intervento sono più difficili perché l’articolazione del tessuto corrisponde a quella famigliare: si interviene su edifici di questo genere solo al cambio generazionale, in presenza di eventi rilevanti (scomparsa genitori, matrimonio o partenza figli, ecc…). Salvo che nelle zone di privilegio, dove il valore del luogo è coerente con la diffusione di un tessuto rado, l’obiettivo deve essere da un lato la densificazione (accorpamento di più lotti per la realizzazione di tipologie più urbane) dall’altro la liberazione dei suoli impropriamente edificati. (v. immagine nella pagina)9. Nel primo caso occorre incentivare le operazioni di fusione, nel secondo caso occorre favorire forme perequative di recupero volumetrico con traslazione. In entrambi i casi sapendo che accadranno solo al momento in cui la dinamica familiare ne troverà il vantaggio o la necessità. Sarebbe invece dannoso favorire la ristrutturazione integrale dell’esistente consolidando una situazione urbanisticamente sbagliata (socialmente ed ambientalmente costosa, priva della dimensione minima per la formazione del commercio locale).
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La grande risorsa dei nuclei antichi Le migliaia di centri storici italiani non sempre sono stati oggetto di una politica all’altezza della complessità del tema della loro conservazione e recupero. Il notevole sviluppo del loro intorno o l’abbandono diffuso, con l’eccezione dei nuclei più noti, li hanno paradossalmente resi quasi luoghi labili. L’assenza di abitanti è spesso il dato più critico, occorrono perciò politiche di recupero orientate a valutare attentamente quale sia la possibile popolazione obiettivo. Per promuovere il loro riuso abitativo e lavorativo è opportuno ricordare che le loro caratteristiche particolari richiedono modi di abitare non convenzionali, e che questi non sono necessariamente graditi ad ogni strato della popolazione. Ciò ha comportato spesso un diffuso loro utilizzo spontaneo da parte di popolazione immigrata, più disposta a sopportare condizioni di disagio, ma, stante la sua ridotta capacità economica e la assai variegata provenienza, ha generato sovente utilizzi impropri e
9 In S. Causo, M. D’Ambrosio D. Errico, S. Manni, F. Simonetti, Studi per la valorizzazione e progettazione integrata dei paesaggi costieri dei Comuni di Taviano, Racale e Alliste (Lecce),2015.
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FILIPPO SIMONETTI
difficili convivenze che talvolta aggravano il problema anziché risolverlo. Pensando alla crescente domanda di residenzialità transizionale è probabilmente possibile, nei contesti urbani o periurbani, intercettare anche altre tipologie di popolazione, come la fascia giovanile che può ben convivere, e innescare azioni di mutua assistenza, con la fascia più anziana. Per entrambe le popolazioni, i disagi del nucleo antico (scarsa accessibilità carrale, maggior rumore) sono accettabili quando non graditi. Entrambe poi, per ragioni differenti, hanno attitudine all’utilizzo del commercio di prossimità e dunque sono potenziali agenti di rivitalizzazione dello spazio pubblico. È possibile perciò pensare politiche di welfare strutturate sull’economia della condivisione, sperimentando pratiche di inclusione che valorizzino le qualità di prossimità su cui si fondano i tessuti storici. Ciò significa ridare senso al corretto rapporto tra relazioni e misura dei luoghi, rovesciando quell’idea di disfunzionalità (all’uso automobilistico ed alle tipologie standard) che ha contribuito al loro abbandono, a vantaggio di una riscoperta della loro valenza di luoghi adatti alla ricostruzione di salutari pratiche sociali, soprattutto a beneficio dei soggetti più deboli che maggiore necessità hanno di riconferma, o di rinnovo, della propria identità (si pensi al tema delle separazioni pauperizzanti). Parimenti molti dei nuclei antichi italiani, soprattutto quando in contesti integri, hanno straordinarie potenzialità ricettive per turismo di qualità. È un tema assai vasto, perché significa perseguire la via virtuosa, in analogia con la riscoperta delle tradizionali pratiche agricole ed alimentari, della valorizzazione dei nuclei antichi, come alberghi diffusi e luoghi della promozione dei valori culturali del paese, mediante le forme di turismo più consapevole, a beneficio dell’intero loro contesto territoriale. Per stimolare la ristrutturazione e l’adeguamento sismico di nuclei sottoutilizzati, sia per rigenerazione sociale mediante pratiche abitative di prossimità, ovvero per valorizzazione ricettiva in correlazione alle qualità territoriali, le premialità fiscali rischiano di non bastare, occorre associarvi un progetto di recupero diffuso che non può essere prodotto dal singolo piccolo proprietario. In questo caso è ancor più centrale il ruolo delle amministrazioni locali nel promuovere forme di locazione garantita, da svilupparsi entro un progetto sociale, ovvero di ricettività diffusa nei luoghi di maggior pregio turistico. Queste istanze sono attivabili se in grado di intercettare la volontà di investimento o perlomeno di partecipazione della proprietà immobiliare. È dun-
que fondamentale la figura del promotore, di supporto all’amministrazione, in quanto capace di cercare il capitale privato. Occorre anche favorire la possibilità di attivare il recupero mediante investimenti di risparmiatori diversi dai proprietari originari, o perché interessati all’acquisto al termine del recupero, o perché disponibili ad un uso in concessione, laddove si voglia salvaguardare l’articolazione famigliare storica.
PER IL SOSTEGNO ALLE STRATEGIE DI CONTESTO Per poter operare nella nuova complessa direzione, oltrechè regole e procedure nuove, occorre dunque un cambiamento di assetto sia negli operatori (progettisti, investitori, imprese), e può essere l’occasione per una selezione di qualità in segmenti ingolfati dall’epoca dei guadagni facili, che nel ruolo dell’amministrazione pubblica, che deve riuscire finalmente a divenire proattiva, superando la mera attenzione al procedimento avulso dalla produzione del valore. Occorre perciò sia costruire le strategie progettuali multisettoriali di contesto citate, che saper attivare una governanace credibile a loro supporto. Azioni forse facili da denominare, ma che rappresentano le principali difficoltà storiche del nostro sistema paese, tranne rari casi incapace di perseguire progettualità durature, e storicamente in affanno su tutto ciò che richiede coordinamento della capacità di governo (governance).
E questo percorso, evidentemente più articolato, abbisogna di uno schema di gioco nuovo, nel quale gli attori principali del meccanismo urbano additivo hanno oggi da recitare una parte assai differente, non più confinata nei ruoli che per decen-
RIGENERAZIONE URBANA COME OCCASIONE PER LA RISCRITTURA DEL PAESE
ni si sono consolidati entro recinti di competenze e procedure abbastanza definiti, ma necessariamente trasversale, in quanto ognuno di essi ora è chiamato ad assumere la globalità del risultato come obiettivo. L’imprenditore se non raggiunge finalità collettive durature e non produce consenso sociale, rende vano il suo marketing e la sua architettura finanziaria non perviene al profitto. Si tratta perciò di attivare il capitale paziente, orientato ai tempi lunghi, lasciando il capitale speculativo, che ha tracciato la storia urbana degli ultimi decenni, alla sua ricerca delle operazioni minoritarie di maggior privilegio. Il progettista deve ampliare il suo compito ideativo alla scala urbana, portandolo ad un ruolo necessario di stimolatore e di interfaccia con l’istanza politica, assumendo perciò il ruolo di progettista di strategie di contesto oltreché di garante della qualità del prodotto edile. L’amministrazione deve finalmente superare l’habitus del mero controllore e divenire promotrice di politiche e garante della stabilità e dell’efficienza dei suoi comportamenti, nei quali il tempo diviene una variabile fondamentale non allungabile all’infinito in funzione del procedimento. L’utente, quale soggetto finale delle politiche urbane, assumerà un ruolo decisivo, perché non vi potrà essere valore, economico e civile, se non vi è cittadinanza, e se questa non è facilitata a comportamenti virtuosi di comunità che divengono garanti della durata del patrimonio nel tempo. La rigenerazione urbana implica dunque necessariamente anche una progettualità sociale10: senza software (progetto ed attenzione alle nuove forme della socialità) l’hardware (insediamento) è destinato al decadimento. Ciò significa patti di buon vicinato anziché semplici regolamenti condominiali, partecipazione delle amministrazioni locali a progetti di community organizing, qualificazione degli amministratori condominiali come mediatori, costruzione di reti di supporto per la mobilità sociale in caso di temporanei spostamenti degli abitanti, definizione di forme di sostegno assicurativo anti morosità locativa, promozione della share economy di vicinato ecc… Si tratta peraltro anche di rispondere alla Convenzione europea del paesaggio di Firenze (2000) che richiedeva ai vari governi la revisione dei loro piani e politiche in modo da definire il paesaggio attraverso l’esperienza di coloro che ci abitano.
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La complessità della rigenerazione richiede dunque sia nuove competenze, come la progettualità sociale, che la capacità di saperle integrare innovando le pratiche. Occorre pertanto definire e incentivare una nuova figura di promotore, che, laddove non riesce l’amministrazione pubblica, né l’amministratore condominiale, né l’impresa e neppure solo una ESCO, soggetto orientato al solo business sulle bollette, non può che essere un soggetto altamente professionalizzato, che trae il suo utile dal buon fine del processo, selezionando le competenze necessarie, costruendo partenariati con le amministrazioni comunali, coadiuvando gli amministratori condominiali, dialogando con il sistema del credito e delle assicurazioni. Occorre parimenti aiutare le amministrazioni locali a divenire proattive cambiando ruolo, da controllori a partner dei promotori: trarranno vantaggio dal miglioramento della qualità urbana, dal recupero di spazi pubblici, dal consolidamento della fiscalità locale, dalla riduzione delle problematiche di marginalità e dalla riduzione dei costi ambientali e sociali. Poiché spesso i proprietari degli immobili da riqualificare non hanno capacità di investimento, occorre codificare i modi per indirizzare sulla rigenerazione il risparmio privato medio piccolo (risorsa diffusissima ma assai disorientata perché non sa dove collocarsi). Ad esempio potenziando e chiarendo i benefici di chi acquista unità rigenerate. Essendo il taglio medio delle unità immobiliari di misura modesta, il costo della sua rigenerazione è compatibile con i risparmi anche di investitori minori, i quali, se sono costruite le condizioni di garanzia, possono trovare interessante un investimento patrimoniale in un luogo vicino, con una rendita fiscale certa (il credito fiscale) e che gli permette di partecipare ad un’operazione di generale utilità. Dunque è certo buona cosa attivare la Cassa Depositi e Prestiti per finanziare grossi interventi, ma meglio se questa serve anche a sostenere e dare garanzie ai tantissimi possibili interventi minori, coinvolgendo il risparmio locale, mediante la concertazione di luoghi di intermediazione, ad esempio promossi dal livello regionale o provinciale. È dunque un momento di svolta che, se interpretato con la giusta visione e ai vari livelli di governo, può permettere un riavvio duraturo del comparto immobiliare orientato ora, a differenza del lungo ciclo scorso, alla produzione di valore stabile, non solo per il privato, ma anche per la collettività.
10 l’enciclica Laudato Si, sulla cura della casa comune, che vi dedica con grande lucidità i paragrafi da 147 a 155, evidenzia come il pensiero della rigenerazione non possa prescindere da una riflessione sulla cura e sul rispetto del corpo umano.
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FILIPPO SIMONETTI
Tale ripresa non può prescindere dalla capacità di coinvolgere e qualificare le risorse imprenditoriali, professionali e di risparmio che nel nostro paese sono certo di taglio medio-piccolo, ma meglio sanno corrispondere alla notevolissima articolazione dei nostri contesti. Riuscire a coinvolgere le risorse e le
competenze diffuse del paese in un progetto di visione, applicabile in tanti contesti, dalle tante intelligenze che non mancano, è una grande operazione politica che mobilita le energie migliori del paese, ne aumenta la qualità e coesione sociale e riduce gli spazi per gli affarismi e le mafie.
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FULVIO ADOBATI
L’UNIVERSITÀ CHE FA LA CITTÀ
UNIVERSITÀ NELLA CITTÀ, UNIVERSITÀ PER LA CITTÀ “La storia e le dinamiche evolutive delle università europee sono legate fin dalle origini a quelle dei tessuti urbani in cui si snodano. Università e città vivono di un dialogo continuo, spesso esplicito e costante, talvolta timido o sottaciuto. È un fatto, quindi, che nel Vecchio Continente le istituzioni accademiche siano costrette a tenere in considerazione e interpretare al meglio i cambiamenti socio-culturali. A differenza delle esperienze di altri Paesi, in cui ad atenei metropolitani (New York, Shang Hai) si oppongono campus autosufficienti (Stanford e Berkeley) lontani da agglomerati abitativi di una certa consistenza, quella europea è, infatti, una storia di “campus diffusi” che permeano la città come snodi cruciali di una complessa rete culturale, formativa e di ricerca. Università e città condividono una le sorti dell’altra, in un continuo e inevitabile scambio di saperi, risorse e capitale umano, come due parti di uno stesso magnete.“1 Cogliere le dimensioni del rapporto tra Università e realtà urbana di riferimento, specie in chiave di rigenerazione urbana di parti di città, rappresenta un esercizio praticato in più contesti, ma nel quale sono riconoscibili ampi margini per l’edificazione di una nuova consapevolezza diffusa. L’attraversamento delle letture urbane tra effimero e permanenze, che caratterizza l’edizione 2017 di Iconemi, sollecita una riflessione profonda sul rinnovamento delle economie (nelle tre declinazioni, necessariamente integrate, produttiva, sociale
e culturale) che rappresenta la sfida chiave progetto per le città contemporanee. In particolare meritano attenzione le traiettorie di gentrification (Semi 2015) che connotano parti di città, sospinte da logiche commerciali che ben si coniugano con pratiche d’uso “modaiole” della città e con un mercato turistico plasmato dalla costruzione di brand territoriali. Beninteso, riflessione sull’effimero e sul temporaneo che ci esorta a pensare oltre le nostalgie passatiste, assumendo insieme le componenti di fragilità-caducità e di feconda “temporanea durevolezza” (Adobati 2018) che questi processi contengono. Come ben argomentato nella interessante ricerca promossa da Associazione Interessi Metropolitani nel contesto milanese2, il rapporto tra università e città è sinergico: l’università rappresenta una risorsa strategica per la città e il territorio di stretto riferimento per almeno tre ragioni: (i) rappresenta un punto di intersezione chiave tra scala globale e scala locale, favorendo lo scambio di intelligenze e di saperi nello scenario internazionale; (ii) è uno snodo di riferimento regionale per la produzione, l’innovazione e lo sviluppo/diffusione della conoscenza; (iii) costituisce un attore rilevante, insieme corpo e lievito, nelle politiche di ri-disegno e rigenerazione urbana. Al tempo stesso la città è fondamentale nella vita dell’Università: (i) costituisce il campo di interazione diretta e continua; (ii) rappresenta il laboratorio di applicazione privilegiato nel quale la capacità di interazione e di fertilizzazione delle pratiche costituisce un banco di prova della efficacia stessa delle linee di ricerca; (iii) costituisce uno snodo di relazione riconosciuto tra le forze sociali e culturali della città.
1 Stefano Paleari, testo di prefazione alla ricerca condotta da Fondazione CRUI: Università e città. Il ruolo dell’università nello sviluppo dell’economia culturale delle città, Roma, settembre 2015, p. 4. 2 Nel contesto milanese la riflessione sull’ assetto spaziale delle università e sull’interazione città-università è vivace almeno dagli anni Ottanta, quando si sono affermate opzioni di sviluppo atte a potenziare le università moltiplicandone la presenza sul territorio. Il contributo qui richiamato in particolare riguarda la ricerca prodotta per AIM- Associazione Interessi Metropolitani, pubblicata nel 2010 (Balducci A., Cognetti F., Fedeli V., (a cura di), La città degli studi, storia geografia e politiche delle università milanesi, Abitare Segesta, Milano).
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FULVIO ADOBATI
BERGAMO E UN DISEGNO (DINAMICO) DI SPAZI CULTURALI E DELLA RICERCA
L’assetto territoriale dell’Università di Bergamo si deve a una scelta strategica, che l’Università ha nel tempo sostenuto e sviluppato3. Un documento prodotto dall’Università degli Studi di Bergamo nel 20004 traccia con forza una opzione strategica sull’assetto desiderabile dell’Università nella città: “L’Università ovunque si presenta, per le sue proprie funzioni, come struttura che “fa” il territorio, che “fa” la città. Insieme ed accanto ad altre componenti essenziali che formano la complessità territoriale, l’Università costituisce nodalità altamente significative, “fuochi” di irraggiamento che arricchiscono la vitalità e l’attrattività, diventa connotativa del volto stesso dei luoghi. L’Università di Bergamo, data la sua fisionomia e in base ai suoi prevedibili sviluppi a medio termine, ritiene di poter scegliere il modello dell’“Università distribuita sul territorio”, piuttosto che quello della concentrazione in un’unica sede.
Condivide il pensiero di Tòmas Maldonado: “Personalmente sono dell’avviso che dovremmo orientarci verso un modello di Università distribuita sul territorio”. In un sistema di Università distribuita, e altamente informatizzata, le piccole Università non sarebbero più entità isolate, bensì veri e propri nodi di interattività e di interscambio con le altre Università, e anche con il contesto produttivo, sociale e culturale. L’Università di Bergamo ritiene inoltre, data la rapidità del suo sviluppo, di dover preferire a soluzioni grandiose o globali (da assegnare inevitabilmente a tempi non controllabili), soluzioni più contenute e di riequilibrio dell’esistente. La presenza della citta storica favorisce sensibilmente la scelta polinucleare. Riteniamo infatti che quella dell’ Università sia da considerare tra le funzioni nobili che possono alimentare la vitalità della citta (…) e sosteniamo pertanto la compatibilità dell’ Università, ovviamente entro limiti ragionevoli, con la citta e la volontà di dialogare anche con lo spazio fisico della citta. Siamo convinti che ciò possa giovare sia all’Università sia alla città.”
Fig. 1. L’ingresso della sede di fondazione dell’Università di Bergamo in Piazza Vecchia. 3
Tale considerazione fa riferimento a due assetti contrapposti, la scelta di un campus di nuova edificazione nel quale accogliere tutti gli spazi universitari vs. la scelta di un’università diffusa. 4 “Gli spazi per l’Università, la proposta del Rettore”. Tale documento, sviluppato anche a fronte di provvedimento nazionale sull’autonomia universitaria del 1999, fa riferimento a una popolazione all’anno 2000 di circa seimila studenti; la popolazione studentesca al 2018 si attesta a circa ventimila.
L’UNIVERSITÀ CHE FA LA CITTÀ
L’assetto territoriale dell’Università di Bergamo, disegnatosi nei 50 anni di vita ad oggi dalla fondazione nel 1968, si è sviluppato in tre poli: il polo umanistico sorto in Città Alta e sviluppatosi poi con gli insediamenti in San Agostino e collegio ex Baroni, proseguendo poi lungo la dorsale di via Pignolo per la ex caserma Montelungo di futura occupazione, per attraversare (idealmente) il centro cittadino sul piano e raggiungere il secondo polo economicogiuridico di via dei Caniana; infine, il terzo polo di Ingegneria a Dalmine che possiamo estendere fino a ricomprendere la sede presso il parco scientifico Kilometrorosso. Sono riconoscibili tre fasi nello sviluppo degli spazi dell’Università: una prima fase nella quale è sorta e si è sviluppata in edifici storici della città storica sul colle, e che nei complessi di Salvecchio e Rosate occupa ancora oggi; una seconda fase negli anni Novanta di insediamento del polo di Ingegneria a Dalmine, proseguito con il potenziamento del polo umanistico grazie al recupero del complesso di San Agostino e con l’insediamento nel complesso di via dei Caniana del polo economico-giuridico. Una terza fase, quella attuale, vede il consolidamento e potenziamento delle sedi esistenti, con l’ampliamento significativo dell’ex collegio Baroni, e dentro una prospettiva di rafforzamento e internazionalizzazione un consistente ampliamento del po-
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lo di Dalmine e il recupero a uso residenza universitaria e Centro Sportivo universitario della ex caserma Montelungo. Per una lettura urbanistica della città la presenza universitaria nel contesto bergamasco offre un ventaglio di situazioni di interesse. Nel cuore della città storica l’università determina il riuso/recupero di organismi architettonici e restituisce flussi di vita a luoghi di rilievo nella storia cittadina (per articolazione delle diverse sedi in organismi storici, e per rilevanza degli stessi: su tutti si pensi all’ex Convento di San Agostino), concorrendo con la vitalità culturale a quella mixité degli usi che rappresenta, forse, il migliore strumento per evitare gli effetti meno desiderabili della sopra citata gentrification. Basterebbe pensare a centri storici di città italiane, quali appunto Bergamo, senza la presenza universitaria. In contesti della produzione industriale, quali il polo di via Caniana o il polo di Dalmine, l’Università rappresenta insieme un’occasione di rilancio in chiave contemporanea della produzione (di beni e del sapere), volta a raccogliere il know how che contesti ricchi di storia produttiva e di capacità di intrapresa possono esprimere. In entrambe le tipologie di inserimento e integrazione urbana sopra delineate l’Università, unitamente a introdurre fattori di pressione (generando
Fig. 2. Mappa schematica con le sedi dell’Università nel tessuto dell’area urbana di Bergamo.
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Figg. 3-4-5-6. Le sedi di Salvecchio, Rosate, S. Agostino ed ex Baroni.
Fig. 7. Una veduta di una parte (edifici A e B) del campus universitario di Dalmine.
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Fig. 8. La sede di via dei Caniana.
consistenti flussi di mobilità delle persone), costituisce fattore di qualificazione e di possibile innesco di processi di rigenerazione urbana. Il disegno futuro del ruolo urbano dell’Università è chiaramente tracciato, in occasione di conferenza stampa relativa al citato progetto di recupero dell’ex caserma Montelungo, dal Rettore, prof. Remo Morzenti Pellegrini: “Oggi si e compiuto un passo importante per l’Università degli Studi di Bergamo, che ar-
ricchisce ulteriormente la sua presenza nella citta in quella che ho definito più volte come una “dorsale culturale” (dalla citta alta alla citta bassa), e che rappresenta un passo importante anche per la citta, che vede ora consolidarsi un nuovo disegno urbano. Disegno che investe la realtà urbana tutta, che vede rafforzata una presenza plurale delle sedi universitarie, opzione questa (rispetto al campus in unica sede) certo impegnativa ma sicuramente fertile e lungi-
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Fig. 9. Una rappresentazione in rendering della residenza studentesca e centro sportivo universitario nella ex caserma Montelungo.
Fig. 10. Università e internazionalizzazione, immagine illustrativa di alcune delle relazioni di collaborazione istituite dall’Università degli Studi di Bergamo con università e istituti di ricerca nel mondo.
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mirante; un “Campus diffuso” che e progetto di futuro: Università nella citta, Università per la città (…)”
BIBLIOGRAFIA Adobati F., 2018, Don’t obsess about permanence. Temporanea durevolezza nel governo dell’urbano. In: (a cura di): Adobati F. Garda E., “Biografie sospese. Un’esplorazione dei luoghi densamente disabitati della Lombardia”, pp. 171-181, MIMESIS EDIZIONI, Milano – Udine, 2018. Balducci A., Cognetti F., Fedeli V., (a cura di), 2010, La città degli studi, storia geografia e politiche delle università milanesi, Associazione Interessi Metropolitani, Abitare Segesta, Milano.
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Dilorenzo P. Stefani E., (a cura di) Università e città. Il ruolo dell’università nello sviluppo dell’economia culturale delle città, Fondazione CRUI, Roma, settembre 2015. Morzenti Pellegrini R., 2016, Rigenerazione urbana e cittadinanza, conferenza stampa del 20 luglio 2016, www.unibg.it Semi G., 2015, Gentrification. Tutte le città come Disneyland?, Il Mulino, Bologna. Università degli Studi di Bergamo, 2000, L’università nel territorio e nella città, Bergamo. FONTI DELLE IMMAGINI Tutte le immagini sono tratte dal sito www.unibg.it
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L’ARCHIVIO DI ICONEMI
2010 Alla scoperta dei paesaggi contemporanei Quaderno 19, Bergamo University Press – Sestante ed. 2011 Città – Campagna. Incontro o scontro? Quaderno 22, Bergamo University Press – Sestante ed. 2012 Paesaggi della sostenibilità. Come i nuovi bisogni e le nuove tecnologie trasformano i luoghi e il nostro modo di viverci e di concepirli Quaderno 23, Bergamo University Press – Sestante ed. 2013 Nuovi paesaggi verso smart City. La città partecipativa ed ecologica Quaderno 24, Bergamo University Press – Sestante ed. 2014 Alimentare i paesaggi / I paesaggi dell’alimentazione. Nuovi sguardi verso Expo 2015 Quaderno 26, Bergamo University Press – Sestante ed. 2015 Paesaggi abitati. Prove di città e di cittadinanza. Agricoltura per la rigenerazione sociale e territoriale Quaderno 28, Bergamo University Press – Sestante ed. 2016 Paesaggi della creatività. L’arte pubblica per la rigenerazione sociale e territoriale Quaderno 29, Bergamo University Press – Sestante ed. 2017 Eventi: la città nella dimensione del transitorio Effimero e permanenze nei paesaggi contemporanei Quaderno 30, Bergamo University Press – Sestante ed. Tutte le pubblicazioni sono liberamente consultabili nel sito www.iconemi.it
Finito di stampare nel mese di ottobre 2018