Università degli Studi di Bergamo - Centro Studi sul Territorio “Lelio Pagani”
QUADERNI 28
a cura di Fulvio Adobati, Maria Claudia Peretti, Marina Zambianchi
BERGAMO UNIVERSITY PRESS
sestante edizioni
Con il contributo
Comune di Bergamo
Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Bergamo
Ordine degli Ingegneri della Provincia di Bergamo
© 2015, Bergamo University Press Collana fondata da Lelio Pagani, diretta da Anna Maria Testaverde ICONEMI 2015. PAESAGGI ABITATI: PROVE DI CITTÀ E DI CITTADINANZA. AGRICOLTURA URBANA PER LA RIGENERAZIONE SOCIALE E TERRITORIALE a cura di Fulvio Adobati, Maria Claudia Peretti, Marina Zambianchi p. 96 cm. 21x29,7 ISBN – 978-88-6642-224-2 Segreteria organizzativa: Renata Gritti, Silvia Cortinovis www.iconemi.it In copertina: Immagine di Francesca Perani.
INDICE
GIORGIO GORI Premessa ..........................................................................................................................................
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MARIA CLAUDIA PERETTI Coltivare cambiamento. Antologia di esempi delle nuove pratiche dal basso per la rigenerazione degli spazi urbani ......
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FRANCESCA FORNO - SIMON MAURANO Cibo e sostenibilità. Dai circuiti alternativi di approvvigionamento alle nuove strategie di governance territoriale. Una proposta per Bergamo ................................................................
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FULVIO ADOBATI I nanetti al lavoro: fare agricoltura (urbana) nella città orizzontale ............................................
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PATRIZIA BERERA Orti botanici, una premessa ............................................................................................................
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FRANCESCA PUGNI Orti e giardini per scuole che crescono. Un progetto dell’Orto Botanico “Lorenzo Rota” ...........
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MARA SUGNI La meraviglia è il seme da cui nasce la conoscenza .......................................................................
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GABRIELE RINALDI L’Orto Botanico di Bergamo come attrattore sociale: educazione ambientale, didattica, turismo, networking con gli altri spazi del verde pubblico ...........................................................
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TOMMASO GIORGINO Gli orti extra moenia di Ostuni: la rigenerazione del paesaggio storico oltre la città murata .....
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MARIA CRISTINA TULLIO L’agricoltura periurbana tra periferia e parchi a Roma: nuovi esempi di governance ................
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MARIO SARTORI Partecipazione, paesaggio e agricoltura periurbana ......................................................................
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SIMONE ZENONI Il paesaggio di Bergamo: luoghi, percorsi e comunità ...................................................................
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MARINA ZAMBIANCHI Esperienze internazionali di agricoltura urbana e rigenerazione del paesaggio abitato ..............
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ALESSANDRA FERRARI - MARCELLA DATEI Il contributo dell’Ordine degli Architetti .......................................................................................
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PAOLA MORGANTI Partecipare è anche esprimere i sogni ............................................................................................
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FEDERICO BLUMER Esperienze internazionali di agricoltura urbana e rigenerazione del paesaggio abitato ..............
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RENATO FERLINGHETTI Bergamo da ‘città parco’ a fulcro di rigenerazione degli spazi aperti urbani e suburbani, per una nuova centralità delle aree di ‘frangia urbana’ ................................................................
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GIORGIO GORI
PREMESSA
È necessario trattare in modo sinergico i temi del cibo, della sostenibilità e della gestione del territorio e nel farlo è altrettanto necessario darsi degli obiettivi anche molto ambiziosi, perché c’è una relazione stretta tra: • l’obiettivo di consentire ai cittadini di alimentarsi con cibo buono e sano, • il tentativo di valorizzare le produzioni locali e di creare attraverso queste delle economie di territorio, con un nuovo impulso dell’ occupazione nelle campagne, così come nei luoghi agricoli periurbani, • la gestione dei suoli mediante la valorizzazione e protezione dei terreni agricoli. Per molto tempo questa correlazione è stata ignorata e finalmente oggi è evidente che ogni elemento è interconnesso agli altri due, per questo è veramente necessario sistematizzare questi tre obiettivi. Questa visione si alimenta dell’iniziativa assunta da molte persone e gruppi di persone, come anticipatori di una cultura che si va formando. Si tratta di gruppi di cittadinanza attiva che hanno cominciato a “scavare” dei percorsi alternativi all’economia del cibo, che partono dalla produzione, si snodano lungo la catena della distribuzione, costruiscono forme alternative di distribuzione e di consumo. Ciò ha contribuito a costruire una coscienza, con comportamenti e scelte radicali, talvolta anche eccessivamente radicali. Queste avanguardie, però, servono per poter diffondere la consapevolezza di nuovi stili di vita possibili e, quando si affermano, sono determinanti per modificare la domanda e costruire di conseguenza la sostenibilità dell’offerta. Questo è il grande tema su cui cimentarsi. L’interesse verso il tema dell’agricoltura come strumento di rigenerazione sociale e territoriale denota una nuova visione dei territori agricoli, per molto tempo visti come dei luoghi “bianchi” sulle carte, su cui poter costruire nuovi edifici e che sono stati luoghi di conquista e di consumo: i dati sul
consumo di suolo nella nostra Pianura Padana sono impressionanti. Anche in provincia di Bergamo lo sono. Allo stesso modo nel comune di Bergamo si è verificato negli anni passati un grande consumo di suolo agricolo. Ci troviamo ora in una fase completamente diversa, spero non più reversibile, che considera i terreni agricoli un bene prezioso da valorizzare, da salvaguardare, non solo per l’economia di produzione del cibo, ma anche per la valorizzazione paesaggistica e turistica dei nostri luoghi. Il cambiamento dalla precedente visione è stato molto rilevante. Il percorso di studio ed attuazione di questo cambiamento è avvenuto anche con il concorso di coloro che, intervenendo in qualità di relatori a questi eventi formativi che si ripetono ormai da 5 anni, hanno reso visibile una collaborazione continua tra l’Università degli Studi di Bergamo e il Comune di Bergamo. È stato in questi mesi costruito un tavolo per avere in città, nella sede del Comune, un luogo di riflessione molto concreto su questi temi, cui sono stati invitati i diversi attori e portatori di interessi: i produttori agricoli, i responsabili del Parco dei Colli, Slow Food e gli altri soggetti interessati. Obiettivi di questo tavolo sono: • provare a creare una diversa destinazione funzionale dei terreni agricoli, in parte di proprietà pubblica, in parte di proprietà privata, all’interno del perimetro della città, • alimentare percorsi di distribuzione dei prodotti agricoli locali che consentano la sostenibilità delle attività economiche agricole • alimentare il conseguente cambiamento degli stili di vita e dei consumi dei nostri cittadini. Il tentativo è di sostenere e realizzare nella nostra realtà locale questo percorso virtuoso che abbiamo deciso di seguire. Condividiamo inoltre un progetto, proiettato al 2017, che vuole Bergamo Provincia – insieme a
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GIORGIO GORI
quelle di Brescia, Cremona e Mantova – inclusa nella Regione Gastronomica Europea per cui è stata presentata la candidatura: questo titolo è stato riconosciuto ed ora va riempito di contenuti. I contenuti si articolano su due linee guida: • la prima è l’introduzione e la valorizzazione della gastronomia locale nel palinsesto turistico dei nostri territori, secondo un’esperienza turistica che stiamo vedendo modificarsi: la gente viene per l’arte, per il paesaggio, ma anche per sperimentare e per conoscere i prodotti tipici di questi territori: dobbiamo cercare di far emergere un’identità e una relazione tra i territori e i loro valori gastronomici;
• la seconda, naturalmente in relazione con la prima, è la costruzione di una filiera locale del cibo che si unisce alle iniziative contro lo spreco alimentare che il Comune di Bergamo sostiene e promuove. È necessario rappresentarci in Europa come forti su entrambi i percorsi. Oggi viviamo un momento di passaggio, ma il percorso non finisce qui: l’impegno della città sui temi della sostenibilità alimentare e della promozione del territorio continueranno, trovando nuovi modi di coinvolgimento dei cittadini e diffusione di stili di vita più sani e vantaggiosi. GIORGIO GORI Sindaco di Bergamo
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MARIA CLAUDIA PERETTI
COLTIVARE CAMBIAMENTO. ANTOLOGIA DI ESEMPI DELLE NUOVE PRATICHE DAL BASSO PER LA RIGENERAZIONE DEGLI SPAZI URBANI
Sono tantissimi gli esempi di agricoltura urbana che stanno diffondendosi nei centri abitati di tutto il mondo gestiti e sostenuti dal basso, cioè da gruppi di cittadini che si uniscono per riappropriarsi dei luoghi dove abitano, elaborando istanze e pratiche comuni legate alla coltivazione della terra: si tratta di orti sociali, di giardini condivisi, di cooperative agricole che producono cibo, socialità e nuova bellezza. Si parla di food-urbanism e di food-scaping, cioè di un approccio che considera la produzione e la distribuzione del cibo come temi portanti di un nuovo modo di pensare alla città e alla sua organizzazione. Si parla anche di agri-tettura e di agri-civismo. Sono tutte parole composte che rimettono insieme termini la cui separazione ha prodotto squilibri ambientali e sociali gravi e assolutamente allarmanti. Quasi sempre l’agricoltura urbana serve per rigenerare terreni marginali, abbandonati e poco vissuti: di spazi così la città contemporanea ne produce molti non solo in periferia, come siamo portati a pensare, ma anche nelle zone centrali dove, con frequenza crescente, verifichiamo la presenza di vuoti e dismissioni. Orti e giardini occupano gli spazi aperti seminandoci nuovi simboli, restituendo valore collettivo e dando attuazione diretta al rammendo della città. Nonostante siano partoriti in contesti diversi dal punto di vista geografico e socio culturale molti di questi esempi fanno riferimento a una griglia di valori e di motivazioni comuni, evidenziando la crescita trasversale di una sensibilità diffusa che assume le caratteristiche di un’onda capace di veicolare cambiamento e azioni concrete per la cura dei territori. L’obiettivo unificante è quello della sostenibilità, non come enunciato astratto e retorico, ma come pratica quotidiana che impegna tutti, ciascuno col suo ruolo, ad agire senza attendere oltre. Le azioni individuali trovano un senso nelle azioni comunitarie, l’io diventa noi, un noi che viene evocato per rifondare il legame tra gli abitanti di un quartiere (spesso violentato dalle logiche speculative delle trasformazioni territoriali degli ultimi de-
cenni), ma anche in nome di una scala superiore, quella della coabitazione planetaria, della responsabilità dei singoli gesti nei confronti dell’equilibrio ambientale che non ha confini e che ci interroga come rappresentanti della specie umana sul destino delle future generazioni. Si assiste a uno slittamento progressivo dalla dimensione privata e quella dei beni comuni: lo impone l’urgenza delle questioni in gioco che riguardano la salute, il benessere, un’alimentazione sufficiente e sana per tutti. Condizioni di vita più belle e contemporaneamente più eque. La diffusione capillare di orti e coltivazioni urbane supera negli ultimi anni l’annedottica del ‘curare il proprio orticello’ come spazio privato, di orizzonte limitato ed egoistico e si radica invece nell’esperienza collettiva delle pratiche agricole come modalità dello stare insieme e dell’imparare insieme ad abitare i paesaggi. Una forma di nuovo umanesimo basata sull’assunto che tante piccole azioni possono avere un peso importante se incanalate da una coscienza collettiva: nessuna mitizzazione antropocentrica, nessuna esaltazione dell’individualismo competitivo e prevaricatore, quanto piuttosto la scelta di modalità cooperative finalizzate alla condivisione. Un modello di coabitazione fondato sull’ intreccio tra un sistema di valori immateriali e l’agire pragmatico per la riconversione fisica degli spazi della vita. Esperienze di autorganizzazione, pratiche di volontariato che si emancipano via via verso forme di impresa sostenibili anche dal punto di vista economico e in cui comunque, ad essere determinante, è pur sempre l’apporto di energia umana, di impegno e di convinzione contagiosa. Di idealità. Sono esempi di ottimismo, di non rassegnazione ad interpretare la commedia dell’impotenza e del ‘tanto non serve a nulla’, perché ‘ci pensano le Istituzioni’: sono esempi di impegno e di concretezza avversi all’astrazione dei linguaggi ipertecnici e iperretorici che si autoalimentano e bastano a se stessi senza riuscire a trasformare il mondo.
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MARIA CLAUDIA PERETTI
LA RIVOLUZIONE DI TODMORDEN
di noi stessi. Il nostro obiettivo è di fornire l’accesso per tutti ad un buon cibo locale….”1 Questo è ciò che si legge nella home page del sito di Incredible Edible, movimento nato nel 2007 a Todmorden, nella contea del West Yorkshire, in Inghilterra. Dal villaggio con 15.000 abitanti in cui vede la luce, in breve tempo Incredible Edible, attualmente famosissimo, si diffonde in altri luoghi non solo della verde Inghilterra, ma di tutto il mondo. Nel 2012 infatti nasce Incredible Edible Network. L’idea di network è un pilastro fondativo della gran parte dei movimenti dal basso che si stanno sviluppando intorno al tema del cibo e che usano la rete come strumento di comunicazione, praticando modelli open source di condivisione dei saperi e delle esperienze. Nel sito di Incredible Edible Network2 nato per supportare e ispirare chiunque voglia aderire al movimento creandone una gemmazione nel posto in cui vive, in “our incredible Story”, leggiamo questa significativa presentazione: “Se mangi, sei dei nostri!” Questo messaggio lanciato da poche persone nel piccolo villaggio di Todmorden nel nord dell’Inghilterra, ha risuonato nel mondo e ora ci sono più di 100 gruppi nel Regno Unito e il movimento si è esteso dal Canada alla Nuova Zelanda. Nato nel 2007 da un nucleo di persone tra cui Pam Warhurst e Mary Clear questo movimento voleva trovare una strada per consentire a tutti di contribuire a migliorare la loro comunità. La risposta fu trovata nel cibo. Tutti capiscono il cibo. Tutti possono parlare di cibo o meglio ancora tutti nel cibo possono trovare una motivazione ad agire e a prendere parte…” e ancora “i tre focus della nostra attività sono: - la Comunità: produrre e lavorare insieme - l’apprendimento: fornire educazione dal campo, all’aula, alla cucina - l’impresa: supportare il commercio locale..”3 In questo semplice racconto è racchiusa gran parte della filosofia di Incredible Edible: l’aspetto interessante è che i temi e gli obbiettivi ricorrono in movimenti di tutto il mondo, aldilà della differenza dei contesti.
“Siamo persone appassionate che lavorano insieme per un mondo in cui tutti condividano la responsabilità per il benessere futuro del nostro pianeta e
L’adesione a Incredible Edible è libera e personalizzabile. Si può partecipare facendo ciò che piace, ciò che si sa e si vuole fare e condividere, dalla
L’assunzione diretta di responsabilità è senz’altro l’aspetto centrale, legato alla consapevolezza che la sostenibilità è un tema di tutti e per tutti e in quanto tale non spensieratamente delegabile. E tanto meno rimuovibile nascondendolo dietro la spessa nebbia dell’iperconsumo verso cui le interpretazioni economiche dominanti continuano a spingere i popoli. Sono esempi di margine, che nella marginalità trovano contemporaneamente la loro forza e la loro fragilità, dentro la complessità del sistema in cui si trovano ad operare. In tutto questo viene fortemente messa in discussione la dimensione istituzionale, le modalità di gestione e di intermediazione vigenti negli apparati deputati al governo della crisi a vari livelli, che appaiono spesso inadeguati, arroccati in autodifesa per conservare lo status quo e la sua insostenibilità, piuttosto che aperti alla ricerca delle innovazioni radicali di cui, cambiando il punto di percezione, è evidente l’assoluto bisogno; incapaci quindi, nella gran parte dei casi, di convogliare l’energia positiva emanata dai movimenti dal basso, dentro una logica di sistema, amplificandone i risultati. Per inciso, penso che sarebbe più corretto sostituire il termine ‘dal basso’ con il termine ‘da fuori’ che meglio rende l’idea di azioni autorganizzate, esterne alle prassi costituite, portatrici a volte di conflitti, ma molto spesso di progettualità, di competenze alte e di forza trasformativa. La domanda di fondo è proprio questa ed è alla base del progetto reale della sostenibilità che sta come una grande sfida di fronte a noi: come riuscire a ridisegnare un sistema complesso fatto di abitudini radicate, sistemi giuridici, organizzazioni pubbliche, linguaggi e ruoli consolidati in un nuovo modello di polis aperto e resiliente in cui il confine tra istituzioni e cittadini, tra governanti e governati, tra chi sta dentro e chi sta fuori, trovi nuovi tracciati, nuove forme, nuovi modi efficaci per rispondere al meglio alle urgenze della crisi ambientale che stiamo vivendo e che non ha precedenti.
INCREDIBLE EDIBLE
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http://www.incredible-edible-todmorden.co.uk/ http://incredibleediblenetwork.org.uk/ http://incredibleediblenetwork.org.uk/incredible-beginnings
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Figg. 1-4. Todmorten – Fotografie delle colture diffuse nel villaggio (tratte dal sito:http://www.incredible-edible-todmorden.co.uk/).
raccolta di compost, all’organizzazione di mercati, dalla coltivazione diretta, all’insegnamento, alla grafica, alla gestione di software, ai corsi di cucina... “Want to be incredible? Whatever skills you have, you can be”4, la porta è aperta, il movimento è inclusivo, punta a coincidere con la comunità stessa, perché chiunque abita può prenderne parte. A Todmorden gli spazi liberi del villaggio si sono progressivamente riempiti di nuove coltivazioni in gran parte insediate in letti rialzati che vengono curate da volontari e producono ortaggi, erbe aromatiche e piccoli frutti disponibili per la raccolta gratuita da parte di chiunque, in un clima di fiducia reciproca che esalta il senso di appartenenza alla comunità5. Inoltre sono stati piantati numerosi alberi da frutto, sono stati attivati corsi di educazione ambientale e programmi di collaborazione con le scuo-
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le, strategie di supporto per le imprese del posto e per i loro prodotti alimentari...: l’obiettivo dichiarato è quello della tutela della dimensione locale che tocca contemporaneamente la produzione di cibo sano e controllato, la sua distribuzione, la consapevolezza alimentare e ambientale dei cittadini, la sostenibilità economica di un nuovo modello di coabitazione ispirato dalla gentilezza e dalla reciproca responsabilità. Le parole d’ordine di Incredible Edible sono: cibo locale, cibo gratuito, cibo sano, legame intergenerazionale, apprendimento, relazioni sociali, condivisione, connessione con la Madre Terra: l’accentuato localismo è fortemente mediato dalla coscienza di essere ospiti del Pianeta, alla luce della quale ciò che sembra riproporre il revival di modelli autarchici, assume una connotazione completamente diversa.
http://www.incredible-edible-todmorden.co.uk/us/want-to-be-incredible. “Dunque cosa mi vieta di andare con una grossa borsa e prendere tutto il rosmarino nella città? Niente. Cosa mi vieta di rubarmi tutte le mele? Niente. Tutti i vostri lamponi? Niente. Semplicemente, questo non accade. Abbiamo fiducia nelle persone. Noi crediamo veramente – siamo testimoni di ciò – che le persone sono oneste.” Brano tratto da un’intervista a Mary Clear co-fondatrice di Incredible Edible. 5
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MARIA CLAUDIA PERETTI
Il ritorno al locale viene considerato come strumento indispensabile per far fronte alle disfunzioni che la globalizzazione ha reso drammaticamente evidenti, distruggendo paesaggi, culture, economie e comunità. Tutela del locale coincide con tutela della biodiversità, del pluralismo, della bellezza delle differenze e della loro necessità.
TRANSITION TOWN ORGANIZZIAMO LA RESILIENZA
Molti dei temi di Incredible Edible sono presenti anche in un altro movimento che, in pochi anni, ha avuto una rapida diffusione globale. Si tratta di Transition Town fondato da Rob Hopkins nel 2005/2006 a Totnes (Inghilterra) e Kinsale (Irlanda) e attualmente presente in tutto il mondo con oltre 2000 comunità.6 L’obiettivo in questo caso è quello di organizzare la transizione dall’attuale modello di sviluppo, basato sulla dipendenza dal petrolio, verso un nuovo modello di città sostenibile. ‘Transizione’ e ‘resilienza’ sono i termini fondamentali che si incastrano l’uno nell’altro: il primo, movimento e passaggio da uno stato a un altro; il secondo, capacità adattativa, elasticità nei confronti delle trasformazioni inevitabili dei nostri stili di vita. I temi di Transition Town sono: l’energia, la salute, l’educazione, l’economia e l’agricoltura. La griglia dei valori di riferimento è assai significativa e comprende: • Rispetto per gli anziani, (pratiche sociali intergenerazionali). • Connessione con le reti sociali già esistenti. (espandiamoci, mettiamoci insieme) • Un ‘ponte’ con i governi locali (interlocuzione costruttiva con le istituzioni in vista di un radicale cambiamento). • Mantenimento in vita dei know how (riferito alle capacità e ai saperi pragmatici e tradizionali). • La conquista della consapevolezza (in materie difficili come l’ambiente e l’energia). • Progetti pratici, operativi, concreti (l’astrazione fine a se stessa non serve e non basta). • Lavoro di gruppo, azioni collettive. (insieme per agire) • Uso dello spazio pubblico (che è nostro e ci appartiene).
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• Piani di resilienza energetica (da mettere a punto in ogni specifica realtà territoriale). • Temporaneità e rotazione dei gruppi dirigenti (diffidenza verso le gerarchie di potere). • “Lascia che vada dove vuole” (sperimentalità, attitudine alla sfida, consapevolezza del ruolo pionieristico di chi deve cambiare tutto, trial and error methods). • Grande ‘scatenamento’ (energia volontaria, orgoglio della partecipazione a una causa comune). Anche per Transition Town lo strumento della rete finalizzato a costruire network di condivisione e travaso open source dei saperi e delle esperienze è fondamentale. Anche per Transition Town la rivendicazione della dimensione locale è fortissima al punto che a Totnes (e in altre località dove è presente il movimento di Transition) circola una moneta alternativa, la Totnes Pound, generata per favorire lo scambio e la protezione dei prodotti del luogo, eliminando la catena dei passaggi di intermediazione che separano i frutti della terra da chi li consuma, rendendoli merce astratta, soggetta alle logiche finanziarie che attraversano il mondo, distruggendo diversità e consapevolezza. – LA MOLTITUDINE INARRESTABILE SECONDO PAUL HAWKEN7 BLESSED UNREST
Il più grande movimento del mondo e della storia, non violento, nato dalla società civile, senza un ca-
https://www.transitionnetwork.org/ Hawken,P.(2009), Moltitudine inarrestabile. Come è nato il più grande movimento del mondo e perché nessuno se ne è accorto, Edizioni Ambiente,Milano 7
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Figg. 6-7. Prinzessinengarten – Moritzplatz – Kreuzberg Berlino.
po, vertebrato e maschio, senza nome e senza un’ideologia dominante, senza un centro e senza ruoli gerarchici… Un movimento che affonda le radici nelle culture indigene, nei gruppi ambientalisti e in quelli che operano per l’equità sociale. Un movimento che si sta diffondendo nei contesti più diversi, ma che presenta aspetti sorprendentemente comuni... Variegato, globale, senza ortodossia... il più grande movimento del mondo si muove fuori dai media, si diffonde per simbiosi, affinità, condivisione… Talmente nuovo che non riusciamo spesso a riconoscerlo... Il cuore di questo movimento batte per una nuova giustizia ambientale e sociale … Sono gli anticorpi del Pianeta che agiscono per la sua salvezza…..La salvezza di Mama Pacha che si trova nella diversità e nel rispetto reciproco. Se non avete voglia e tempo di leggere il libro di Paul Hawken ascoltate le sue parole nel breve filmato che trovate su YouTube linkando https://youtu.be/3z9uyQ6rRNw: è un esempio efficace di ‘scatenamento’ che riguarda temi e modalità che stanno attraversando il mondo. Può piacerci o meno, ma non è questo il problema: la presentazione di Paul Hawken è il condensato espressivo di un mood che sta estendendosi viralmente e nel quale si riconosce una parte significativa degli abitanti della Terra.
PRINZESSINENGARTEN MORITZPLATZ
– BERLINO KREUZBERG8
Nasce nel 2009, in un piazzale privo di un ruolo urbano riconoscibile, attestato su una rotatoria traf-
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http://prinzessinnengarten.net/about/
ficata del quartiere multietnico di Kreuzberg a Berlino. Nasce dal basso, grazie alla spinta e all’energia di due persone, Robert Shaw e Marco Clausen, per poi raccoglierne molte altre lungo un percorso che unisce il progetto personale alla volontà di creare impresa sociale, alla ricerca di una difficile sostenibilità economica che possa consentire alle pulsioni volontaristiche di permanere nel tempo. È il Prinzessinengarten, esempio ormai celebre di orto/giardino, declinazione creativa e contemporanea, pulsante di flussi e di senso, della codificata categoria del verde urbano che ancora oggi riempie di astrazione fallimentare i progetti urbanistici delle città. Nel breve arco temporale di due anni l’energia delle persone ha trasformato un ‘non luogo’ per eccellenza in un luogo pieno di vita, piante, ortaggi, api, fiori... un’altra storia. Prinzessinengarten è un esempio significativo di un nuovo modo di pensare agli spazi verdi dentro la città, ritagli plurifunzionali e cangianti, belli come giardini e utili come orti: luoghi che producono cibo, ma anche educazione ambientale e alimentare, relazioni umane, occasioni per stare insieme. Dentro il Prinzessinengarten chiunque può coltivare e imparare dagli altri a farlo: l’apprendimento è fondato sull’esperienza diretta e sullo scambio. Si impara insieme agli altri, si impara a stare insieme in un clima di apertura e inclusività, informalità e pragmatismo. Le materie sono di interesse universale: alimentazione, salute, sostenibilità, biodiversità.
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MARIA CLAUDIA PERETTI
Figg. 8-11. Prinzessinengarten – Moritzplatz – Kreuzberg Berlino.
Il ‘non luogo’ iniziale è stato concesso in uso dall’amministrazione cittadina che non sapeva cosa farne, ma potrebbe riprenderselo in qualsiasi momento per realizzare diverse previsioni urbanistiche. Proprio per questo l’idea è stata quella di realizzare un orto spostabile, non radicato nel suolo, ma appoggiato a strutture mobili, container, sacchi in iuta, pallets. La compagnia no-profit che ha inventato e gestisce il Prinzessinengarten si chiama Nomadisch Grün, Verde Nomadico. Molti esempi di nuovi orti e giardini urbani vivono nella dimensione del transitorio, occupando spazi marginali e temporaneamente privi di appeal immobiliare, per attuare forme di rigenerazione che spesso finiscono col restituire l’appeal che mancava anche dal punto di vista della rendita fondiaria speculativa. Questo impone una riflessione sui meccanismi che ancora regolano l’assetto delle città: il suolo libero continua a essere la parte fragile della struttura urbana, quella che può essere sacrificata in nome
della cosiddetta valorizzazione economica; e ciò nonostante sia proprio la riqualificazione dello spazio aperto e collettivo che dimostra di essere lo strumento più efficace per la rinascita delle zone urbane depresse e impoverite. Nonostante l’evidente fallimento del modello attuato negli ultimi decenni, ancora non esistono nel linguaggio e nelle regole territoriali criteri che misurino il valore della densità sociale e della positività dei flussi. Nelle prassi verificabili, aldilà delle retoriche tutte interne al dibattito disciplinare e accademico, l’idea della qualità urbanistica continua a trovare traduzioni dentro standard quantitativi atopici, gli stessi che hanno accompagnato i decenni dell’espansione e che di certo non sono adeguati a sostenere la città della rigenerazione. La trasformazione rapidissima di un piazzale asfaltato e vuoto nel pulsante Prinzessinengarten dimostra che la città vive di idee, di umori, di passioni: dimostra che la città è abitata e che è dagli abitanti che si deve ripartire per rimediare ai disastri indotti dall’incrocio delle astrazioni finanziarie con le astrazioni della tecnica urbanistica.
COLTIVARE CAMBIAMENTO
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ESTETICHE DEL VERDE URBANO CONTEMPORANEO
IL NUOVO GLOSSARIO DEL FOOD-URBANISM
È un tema affascinante e meriterebbe una lunga e colta trattazione. Di certo la coscienza ecologica contemporanea ha ribaltato l’idea di bellezza degli spazi verdi, spostandola dall’apprezzamento di una natura imbrigliata entro i criteri formali e geometrici della ragione umana, verso un approccio completamente diverso, che culmina nel pensiero di Gilles Clement, giardiniere planetario all’ascolto della natura e dei suoi modi, osservatore rispettoso e umile del miracolo della biodiversità. Le estetiche che emergono nelle esperienze di agricoltura urbana descritte in questa breve antologia assumono come criteri fondativi: informalità, naturalezza, libertà, semplicità, sostanza, pluralità, sperimentazione, passione... Tutto ciò versus altri criteri che suscitano immediato sospetto: formalismo, rigidità, burocrazia, esibizionismo, eventismo, finzione, strumentalità, spreco, demagogia. Il cibo è un bene comune nel quale prende forma un patrimonio di consapevolezza collettiva: premessa antitetica rispetto a chi immagina i popoli come masse di forzati del consumo disposti a lasciarsi sedurre e inebetire da panem et circenses.
Per fare una sintesi, queste sono le caratteristiche che emergono dagli esempi di agricoltura urbana che stiamo analizzando: • Pervasività: tanti piccoli punti che creano rete. • Occupazione di spazi marginali che assumono una nuova centralità sociale. • Cooperazione e condivisione. • Intreccio molto forte tra temi ambientali e temi sociali. • Autorganizzazione. • Azioni locali/coscienza globale. • Volontariato. • Gratuità. • Empirismo e sperimentazione, trial and error. • Trasversalità generazionale e sociale. • Apprendimento/educazione. Modello esperienziale.
Fig. 12. Prinzessinengarten – Moritzplatz – Kreuzberg Berlino.
ORTI SOCIALI DI CHIASSO
Tra i molteplici esempi di un nuovo modo di intendere il verde urbano, gli orti sociali realizzati a Chiasso entrano in questa breve antologia perché portatori di temi particolarmente significativi.
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MARIA CLAUDIA PERETTI
Anche in questo caso si tratta di una proposta nata da fuori, ma presto accolta e sostenuta dalle istituzioni che hanno finanziato il progetto9. Il luogo è un terreno periferico e marginale adiacente alla ferrovia, a un piccolo insediamento industriale e a una serie di attrezzature sportive: un tessuto misto da riqualificare e rigenerare. Gli orti sono una risposta a questo obiettivo: in particolare vengono concepiti come parte della cittadella dello sport e del tempo libero, perché coltivare ortaggi non solo consente di mangiare cibo controllato e sano, ma è un’attività fisica che fa bene alla salute di chi la esercita, in una visione dello sport che abbandona modelli agonistici e spettacolari per intrecciarsi con il tema del wellness, dello stare bene e in forma attuando stili di vita equilibrati. L’agricoltura urbana diventa così un modo per rifocalizzare il tema della cura del corpo e della salute a costi bassi, anzi bassissimi rispetto ai benefici che può generare. Gli orti sociali di Chiasso presentano anche un altro aspetto particolarmente interessante: sono il risultato di un percorso partecipato gestito da uno studio di architettura, l’Officina del paesaggio di Sophie Agata Ambroise. È questo un esempio nitido dei nuovi contenuti che il progetto della città contemporanea richiede: l’architetto non disegna più oggetti, ma processi, diventando attivatore di dinamiche sociali e ambientali intergenerazionali. La presenza dei progettisti sottrae lo spazio degli orti di Chiasso alla casualità formale che contraddistingue molti esempi più spontanei di agricoltura urbana. Qui è infatti evidente un principio regolatore impostato sull’utilizzo del pallet come materiale costruttivo dominante: riempiti di sassi e materiali di scavo i pallets definiscono i recinti perimetrali, sono ottimi contenitori per il terriccio, servono per la pavimentazione dei percorsi, per le sedute, per i letti rialzati. Sono modulari e quindi introducono un criterio di ordine e di misura. La filosofia di fondo è quella del 9
riciclo di materiali poveri con pochissime opere murarie e dell’uso oculato e sobrio delle risorse. Non è solo la dimensione istituzionale ad essere sollecitata dalle istanze che provengono dai movimenti dal basso che stiamo analizzando: ad essere in discussione, più in generale, sono le modalità con cui i saperi tecnici e disciplinari si sono rapportati negli ultimi decenni ai sistemi complessi delle città, dimenticando troppo spesso l’utente finale, i cittadini, coloro che abitano e per i quali le scelte trasformative si traducono direttamente in modalità di vita, opportunità o limitazioni, arricchimento o impoverimento progressivo. Il ruolo dell’architetto viene fortemente scosso dall’obbiettivo di un ambiente sostenibile: il fatto che la gran parte degli esempi di agricoltura urbana nascano senza avvertire il bisogno di un progetto ci racconta della diffidenza che molte persone hanno sedimentato nei confronti di una disciplina che non ha saputo trainare un pensiero lungimirante a favore del benessere collettivo, mettendosi invece docilmente al servizio di prospettive parziali, che per l’interessi di pochi, hanno molto contribuito all’insostenibilità del modello di sviluppo. Una disciplina, quella del progetto urbano, che anche nei casi migliori non ha saputo spiegarsi e si è chiusa nella torre d’avorio di un linguaggio criptato, non comprensibile ai più. Per poi mostrare invece con grande evidenza, la bruttezza dei risultati, la loro inaccettabile sperequazione sociale. Non è affatto casuale che nel percorso di autoriflessione critica degli ultimi due decenni si siano affermati con forza i contenuti del ‘paesaggio’ e della ‘partecipazione’10 entrambi cangianti e da interpretare aldilà delle mode retoriche, alla ricerca di una decisa rifondazione disciplinare e di nuove modalità per la costruzione di un senso condiviso e collettivo del progetto e delle azioni territoriali. Mai come ora c’è bisogno di progetto, di competenze alte, capaci di fornire risposte adeguate alla complessità dei problemi che dobbiamo affrontare;
Il progetto nasce nel 2010. L’area viene ceduta alla Comunità dalle Ferrovie Federali Svizzere. I finanziamenti sono cantonali e federali. Tra i partner del progetto Radix Svizzera Italiana (per la promozione della salute e per la prevenzione delle dipendenze), la Fondazione Diamante (per l’integrazione delle persone con handicap) e il Centro di registrazione per richiedenti d’asilo di Chiasso. Mediante un bando pubblico vengono selezionati 59 ortisti in base a criteri sociali come il reddito, la provenienza e la composizione familiare e riuniti in associazione: sono incaricati oltre che della gestione degli orti di organizzare eventi culturali, incontri didattici e momenti ricreativi legati al territorio. 10 Il tema della partecipazione è senz’altro uno dei temi centrali del progetto del territorio contemporaneo. Dalla Conferenza di Rio (1992) in poi con l’istituzione delle Agende 21, tutti gli atti, i protocolli, le carte che sono state prodotte a livello internazionale ed europeo, (a partire dalla Convenzione europea del Paesaggio) assumono tra i pilastri fondativi di un modello di sviluppo sostenibile, la partecipazione attiva di chi abita dentro gli ambienti e dentro i paesaggi e abitandoci esercita quotidianamente nel bene e nel male la propria azione trasformativa. Partecipazione è uno strumento fondamentale per poter attuare da qualsiasi punto lo si affronti, il progetto della sostenibilità. Nessuna politica ambientale e paesistica può essere efficace e sostenibile se non prende in considerazione le comunità interessate, la dimensione locale, in alternativa alle logiche atopiche e aterritoriali della globalizzazione finanziaria. Parlare di partecipazione vuol dire fare in modo che chi abita un luogo possa capire, possa avere gli elementi per mettere a punto un’opinione consapevole, possa sentirsi parte attiva di una comunità, esprimere i suoi bisogni e i suoi desideri, le sue proposte, insomma possa appartenere alla di-
COLTIVARE CAMBIAMENTO
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Figg. 13-14. Gli orti di Chiasso.
mai come ora, allo stesso tempo, c’è bisogno di un nuovo patto sociale, di nuovi cittadini capaci di agire come soggetti critici e consapevoli per affrontare insieme le urgenze della crisi ambientale. I nuovi architetti si occupano di questo: riavvicinare i problemi e le soluzioni ai cittadini, ristabilendo un clima di fiducia e di rispetto reciproco senza cui la parola ‘progetto’ perde il suo significato principale, ovvero quello di prospettare un mondo migliore. I nuovi architetti progettano la ‘polis’. LES JARDINS PARTAGÉS PARISIENS 11
Sono quasi un centinaio i giardini collettivi di Parigi: si tratta di terreni inedificati di piccole o piccolissime dimensioni, messi a diposizione dal Comune, da Enti Sociali o dalle Ferrovie Francesi, trasformati in giardini e orti e gestiti da gruppi di cittadini, associazioni di quartiere e comitati. Spesso sono terreni abbandonati, residuali, accanto a linee di transito, a edifici periferici e dequalificati: a volte sono giardini transitori, Jardin Nomade, Jardin Ephemere. Si tratta di luoghi di promozione di legami sociali e comunitari, basati su forme di autogoverno responsabile e sostenibile da parte delle comunità locali. Nel 2001 l’Amministrazione comunale ha deciso di assecondare e promuovere (all’interno di una mappa di azioni più vaste sul tema del verde e dell’agricoltura
urbana) l’attività già in essere spontaneamente in diversi luoghi della città, in particolare nel settore nord est dei quartieri operai, emanando la Chartemain verte (carta del pollice verde) cioè un regolamento che i soggetti assegnatari degli spazi condivisi si impegnano a rispettare, garantendo una gestione seria e responsabile dei luoghi, oltrechè l’apertura al pubblico e l’organizzazione di eventi per i quartieri. L’Amministrazione affida i terreni in comodato ma fornisce anche consulenze tecniche, sostegno e riconoscimento. Svolge quindi un ruolo di regia e promozione che è un esempio positivo di come gli Enti Pubblici possano far tesoro di situazioni, bisogni e desideri dei cittadini, evitando incomprensioni e conflitti, ma cercando invece un interesse comune a beneficio di tutti e della sostenibilità ambientale e sociale della città da rigenerare e riumanizzare.
Fig. 15. Jardin de l’Aqueduc.
mensione della cittadinanza attiva, togliendosi da quella passiva e frustrante del consumatore che deve continuamente subire cose che non capisce ma che incidono profondamente sulla qualità della sua esistenza. L’assunzione di un ruolo attivo significa consapevolezza non solo dei diritti ma soprattutto dei doveri che l’appartenenza ad una società impone, significa corresponsabilità. È proprio la partecipazione intelligente infatti che può bloccare il fenomeno del nimbysmo per cui ai cittadini tocca il ruolo di chi si lamenta di quello che succede nel suo orticello senza porsi il problema che il suo orticello è parte di un sistema, di una comunità complessa. 11 http://www.paris.fr/services-et-infos-pratiques/environnement-et-espaces-verts/nature-et-espaces-verts/les-jardins-partages-203
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MARIA CLAUDIA PERETTI
Fig. 16. Jardin de l’Aqueduc.
Fig. 17. Jardin du Ruisseau porte de Clignancourt.
Fig. 18. Jardin du Ruisseau porte de Clignancourt.
Fig. 19. Jardin du Ruisseau porte de Clignancourt.
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FRANCESCA FORNO, SIMON MAURANO
CIBO E SOSTENIBILITÀ. DAI CIRCUITI ALTERNATIVI DI APPROVVIGIONAMENTO ALLE NUOVE STRATEGIE DI GOVERNANCE TERRITORIALE. UNA PROPOSTA PER BERGAMO
ABSTRACT Il contributo riguarda le diverse forme di produzione agroalimentare e gli attuali sviluppi delle Alternative Food Networks. All’iniziale spontaneismo che caratterizza in molti casi la diffusione di queste esperienze, spinte dalla ‘crescita’ del consumo critico, negli ultimi anni si sono affiancati tentativi di riorganizzazione del sistema locale del cibo nell’ambito dei cosiddetti Food Policy Councils, attuati da istituzioni locali per sostenere pratiche alternative già esistenti. Valorizzare il sistema agroalimentare locale, infatti, può (ri)creare sinergie tra le attività educative, economiche, sociali e di protezione dell’ambiente. L’articolo ripercorre il dibattito che negli ultimi anni si è articolato attorno alle Alternative Food Networks in ambito europeo e nordamericano concludendo con una proposta per Bergamo. INTRODUZIONE I processi e le dinamiche che stanno attraversando il sistema del cibo rappresentano una delle principali sfide verso un modello di sviluppo più sostenibile. Le evidenze scientifiche hanno dimostrato che la produzione e il consumo di cibo hanno un impatto significativo sull’ambiente (cfr. ad esempio Seuneke et al., 2013; Morgan et al., 2009; Goodman e Watts, 2007; Sage, 2015) oltre che sulla sfera economica e sociale. Una delle evidenze più discusse è come ancora oggi quasi un miliardo di persone soffrono fame e malnutrizione, mentre un altro miliardo o più sono in sovrappeso e sono colpite dalle malattie tipiche relative alle cattive abitudini alimentari. In contrasto, un terzo della produzione di cibo globale (1,3 miliardi di tonnellate/anno) viene sprecata e nel processo di produzione superflua si generano 3,3
miliardi di tonnellate di gas climalteranti all’anno (UNEP, 2013). Infatti, se per un verso il progresso e l’affermazione del sistema agro-industriale ha garantito cibo a sufficienza per masse di popolazione in crescita, dall’altro ha generato diversi tipi di problemi di carattere ambientale, sociale e economico: • ambientali: le coltivazioni e la zootecnia intensiva rilasciano nell’ambiente grandi quantitativi di fertilizzanti e pesticidi chimici, oltre che di gas climalteranti, provocano l’erosione e la salinizzazione dei suoli e il depauperamento delle falde acquifere, con un forte impatto sulla stabilità degli ecosistemi e la perdita di biodiversità; • sociali: spesso è messa a rischio la sicurezza e la sovranità alimentare di interi Paesi, la salubrità degli alimenti è minacciata, mentre aumenta la separazione dei luoghi di consumo da quelli della produzione, cresce il metabolismo urbano, aumentano le minacce al benessere degli animali da allevamento; • economici: la liberalizzazione globale del commercio spinge a una forte competizione sui prezzi che induce i produttori a sfruttare le risorse naturali o il lavoro in maniera più intensiva, essendo schiacciati dal cosiddetto fenomeno costprice squeeze (Morgan et al., 2009, p.54; Maye et al., 2007). Ciò, da un lato, mette in difficoltà i produttori non industrializzati e standardizzati, minacciando anche la sopravvivenza di intere comunità rurali del sud del mondo (Sage, 2015), dall’altro, rischia di fornire al mercato prodotti di qualità inferiore o meno salubri (Seuneke et al., 2013). Le esternalità negative, sia a monte che a valle, della filiera del cibo (Carolan, 2011) sono alimentate da un modello di consumo ‘occidentale’, basato su prezzi bassi e sull’alta disponibilità di cibo (e alto spreco). Un caso assai emblematico è quello del consumo di carne. Le problematiche concernono anche le forme di potere economico connesse alla
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FRANCESCA FORNO - SIMON MAURANO
produzione e alla distribuzione, alla proprietà della terra, e più in generale alla sovranità alimentare. (Sage, 2015). I consumi e gli sprechi di cibo più elevati, poi, si formano solitamente con lo stile di vita tipico delle aree urbane, che sono quelle che hanno maggior bisogno di importare risorse dall’esterno: incidere sui loro consumi è una sfida-chiave della sostenibilità a scala globale, anche perché i modelli di consumo globali come quelli del fast food, ma anche recentemente come quelli dei vari tipi di slow food attecchiscono e diventano di moda proprio a partire dall’immaginario collettivo dei consumatori e dei media occidentali (Forno, Maurano, 2014; Dansero et al., 2013). Sebbene cambiare stili di vita e abitudini non rappresenti una sfida da poco, è proprio su questo piano che oggi sembra concentrarsi una attenzione crescente da parte sia delle associazioni della società civile, sia delle istituzioni. Un tale cambiamento potrebbe infatti esercitare pressione su chi produce, influenzando il comportamento delle imprese, forzandole a considerare l’impatto ambientale e i modelli di produzione. E in parte quanto sta già avvenendo, complici anche la crisi economica in atto e le preoccupazioni crescenti dei cittadini circa l’impatto sociale e ambientale dei prodotti. Entrambi questi fattori stanno già spingendo un numero sempre più elevato di persone verso l’individuazione di nuove strategie e percorsi di produzione, distribuzione e consumo di cibo che potrebbero rappresentare il fulcro di un nuovo modello economico integrato che parte, rivalorizzandola, dalla dimensione locale dello sviluppo. Da questo punto di vista si può affermare con certezza che ci sono enormi margini di miglioramento nel ‘sistema del cibo’. Come spesso accade, peraltro, alcune delle soluzioni hanno preso avvio da dinamiche spontanee grassroots attivate da soggetti marginali o periferici rispetto agli attori centrali nel sistema convenzionale di produzione di cibo, ovvero da reti produttive auto-organizzate che via via sono riuscite a coinvolgere un numero sempre più ampio e differenziato di attori. Sebbene si tratti di fenomeni ancora largamente di nicchia, la grande diffusione e il grande interesse che hanno suscitato le cosiddette Alternative Food Networks (i sistemi di approvvigionamento alternativo) sta portando un’accelerazione della loro diffusione, in qualche caso favorita, come vedremo, da politiche locali che stanno promuovendo ‘nuove governance del cibo’ anche nel nostro Paese.
CONVENTIONAL FOOD NETWORKS (CFNS) VS ALTERNATIVE FOOD NETWORKS (AFNS) Il sistema agricolo può essere anche rappresentato come un sistema di potere all’interno del quale si confrontano diversi attori, alcuni dei quali ricoprono una posizione dominante, con più capacità di influenzare norme e decisioni (Morgan et al. 2009). A questo riguardo basta pensare ad esempio alle relazioni che si instaurano sulla proprietà intellettuale dei semi, sui terreni agricoli, sui modelli di consumo (Sage, 2015). All’interno di questo sistema non esiste però solo un hard power, in cui sono mantenute relazioni guidate dalle grandi multinazionali a capo della catena distributiva, che costringono i produttori ad accettare le condizioni imposte dalla grande distribuzione, ma anche un soft power, rappresentato dai sistemi agro-alimentari alternativi. In quest’ultimo il potere starebbe invece nella capacità di persuadere i consumatori, attraverso argomentazioni etiche, a scegliere di sostenere queste produzioni. (Morgan et al., 2009). Il sistema agro-industriale si afferma nei paesi occidentali in realtà non molto tempo fa. Questo modello diventa infatti quello prevalente nei sistemi ad industrializzazione avanzato solo dopo la seconda metà del ‘900. A differenza di quello contadino, che si caratterizza per essere policolturale e dipendente significativamente dalle condizioni naturali, opera slegando in gran parte la produzione del cibo dall’ambito locale, dalla stagionalità e dalle culture locali (Conti et al., 2006). Come è noto, tale modello ha spinto le imprese agricole ad introdurre tecnologie capital-intensive basate su un forte impiego di macchinari, pesticidi, fertilizzanti chimici e, recentemente, varietà colturali geneticamente modificate (OGM) per elevare il livello di produttività e massimizzare i profitti, portando ad aumentare le dimensioni delle aziende per attuare economie di scala (Gale Johnson, 1975 e 1995). Negli attuali standard dell’agro-industria “produttivista”, i discorsi sulla sostenibilità non sono assenti, ma sono declinati spesso attraverso la fiducia nella scienza e nella tecnica (tecnologia, biotecnologia e nanotecnologia), chiamate a risolvere i problemi di sotto-nutrizione globale e ad affrontare i bisogni alimentari di quella che è la popolazione mondiale prevista di 9 miliardi di persone per il 2050. Si pensa che in futuro potrà essere raggiunta una produttività più elevata ma con meno impatti ambientali (Garnett, Godfray, 2012). Puntando sulle tecnologie per aumentare la produttività, la questione della distribuzione dei terreni agricoli e del consu-
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CIBO E SOSTENIBILITÀ
mo di suolo passerebbe in secondo piano, ma nel contempo le multinazionali produttrici delle principali commodities o i governi di alcuni Paesi stanno acquistando terreni dai Paesi più poveri dando vita al dibattuto fenomeno del land grabbing: spesso terre che sono tradizionalmente abitate e utilizzate da comunità locali per coltivare il proprio cibo vengono vendute dai governi locali e recintate. Questo fenomeno si è enormemente amplificato con l’ultima crisi finanziaria (FAO, 2013). Sin dagli anni ’90, queste dinamiche sono state al centro delle rivendicazioni condotte da alcuni movimenti di consumatori ‘critici’ che hanno iniziato a mettere sotto accusa il sistema agro-industriale, usando il ‘potere del carrello della spesa’ per punire o premiare le imprese in base al loro comportamento. Queste istanze, unite alla ricerca individuale di cibo sano, con l’espansione del mercato del biologico ma anche la crescita e affermazione di associazioni della società civile come Slow Food e altre iniziative dal basso quali i Gruppi di acquisto solidale (GAS), ha fatto crescere l’attenzione verso i sistemi di approvvigionamento di cibo alternativi. (Forno, 2006; Forno, Maurano, 2014; Graziano, Forno
2012; Forno, Grasseni, Signori, 2013; Grasseni 2013, 2014). Descritti come manifestazioni di tensioni e conflitti rivendicativi rispetto a tematiche come la giustizia sociale e spaziale, forme di mercato anticapitalistiche (Dansero, Puttilli, 2014b) o, più recentemente, pratiche di resilienza sociale1 le AFNS modificano il rapporto tra cibo e territorio: al centro del loro agire c’è il rapporto diretto tra produttori e consumatori, basato sull’accorciamento della filiera e la riduzione degli intermediari e sulla prossimità spaziale, mentre tutti i soggetti coinvolti condividono più o meno fortemente valori quali la sostenibilità ambientale e la giustizia sociale, da applicare nel loro operato. Queste nicchie emergenti di mercato stanno ridisegnando una nuova geografia del cibo (Maye, Holloway, Kneafsey, 2007), rilocalizzando alcune produzioni, riaccorciando le distanze tra produttore e consumatore, e diffondendo l’idea del cosiddetto km zero e della filiera corta come leva dello sviluppo endogeno (Morgan et al., 2009, pp. 53 e ss.). A volte sono connesse a movimenti sociali non solo locali, ma anche globali (come i Seed Savers o Via Campesina).
Tab. I: DIFFERENZE PRINCIPALI TRA IL SISTEMA AGRO-INDUSTRIALE E LE AFNS Relazione con lo spazio
Sistema agro-industriale (delocalizzazione)
Alternative Food Networks (rilocalizzazione)
Relazioni di produzione
Produzione intensiva, concorrenza e riduzione prezzi al produttore, grandi quantitativi dai produttori ai trasformatori e distributori.
Enfasi sulla qualità; i produttori cercano strategie per ottenere valore aggiunto; nuove associazioni di produttori.
Relazioni di consumo
Assenza di riferimenti alla provenienza dei prodotti; non si stimola la conoscenza del prodotto; prodotti a-spaziali.
Conoscenza dei prodotti e dei luoghi di provenienza; acquisti con relazioni sia faccia-a-faccia, sia a distanza; nuove associazioni tra consumatori.
Trasformazione e vendita
Assenza di trasparenza sulla tracciabilità; standardizzazione.
Trasformazione e commercio locale/regionale; trasparenza, tracciabilità, alta variabilità.
Quadro istituzionale
Norme altamente burocratizzate; standardizzazione e normative igieniche che la rafforzano.
Sviluppo regionale supportato dalle autorità locali.
Sistema di relazioni
Relazioni tecnocratiche e a distanza, commerciali, a-spaziali; assenza di fiducia e di conoscenza del territorio
Relazioni basate sulla fiducia; locale; a rete; sistema competitivo ma in alcune occasioni collaborativo.
Relazioni tra attori sociali
Fonte: riadattamento tabella da Morgan et al. (2009), p. 72. 1
Sul concetto di resilienza applicato nelle scienze sociali si veda Keck, Sakdapolrak (2013).
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FRANCESCA FORNO - SIMON MAURANO
Nelle AFNs si cercano canali alternativi di distribuzione attraverso una maggiore partecipazione di tutti i soggetti della filiera, dal produttore al consumatore (Forno, Grasseni e Signori 2013; Grasseni, Forno e Signori, 2015), per sfuggire al sopracitato fenomeno del cost-price squeeze. La clientela può essere raggiunta attraverso i farmers market oppure con la vendita diretta nel luogo di produzione o con l’autoraccolta, tutte pratiche che permettono di conoscere i propri produttori ‘sul campo’ (Migliore et al. 2014). I GAS (Gruppi di Acquisto Solidale) sono un esempio di questo forte coinvolgimento del cittadino nel ruolo di consumatore attivo nel sistema di produzione e distribuzione del cibo (Forno 2013; Forno, Grasseni e Signori 2013). Usano criteri di acquisto che favoriscono il valore del prodotto piuttosto che il prezzo, si prendono in carico la distribuzione e a volte finanziano in anticipo la produzione rafforzando relazioni di fiducia basate sulla trasparenza, la tracciabilità del prodotto e, spesso, anche se non sempre, sulla prossimità (Forno, Grasseni e Signori, 2015). Sebbene non esista nella realtà una distinzione così netta tra le AFNs e le CFNs (Morgan et al. 2009), nè si possa sempre identificare le AFNs con la sfera locale (Colombino, Giaccaria, 2013), in Tab. I si riassumono sinotticamente le principali differenze tra il sistema agro-industriale convenzionale e quello alternativo. Sebbene si siano dimostrate capaci di innescare processi di cambiamento importanti, come viene spesso sottolineato le AFNs tendono ad essere espressione di un consumo ristretto ad una classe media e medio-alta (Goodman et al., 2012). Di conseguenza, il modello delle AFNs rimarrebbe un modello ‘elitario’ e per una nicchia privilegiata, con la conseguente incapacità di produrre cambiamenti di massa nei consumi, tali da incidere sui meccanismi che regolano il sistema agro-alimentare. L’aumento della consapevolezza di questo problema, ma anche delle potenzialità economiche, sociali e ambientali delle AFNs è alla base dell’attuale cambio di passo sia da parte dei movimenti del cibo, sia da parte di alcune amministrazioni locali che stanno sperimentando modelli di governance innovativi con l’obiettivo di promuovere sistemi locali del cibo sostenibili. NUOVI SISTEMI DI GOVERNANCE LOCALE SUL CIBO Se l’autoregolazione del mercato sembrerebbe relegare le filiere alternative di cibo in una nicchia a causa di alcuni fattori di oggettiva difficoltà di espansione, quali l’accessibilità ai prodotti, il prezzo
(valutato in termini assoluti e non rispetto al valore del bene), la relativa assenza di informazioni e pubblicità rispetto ai prodotti agro-industriali, la logistica e così via, esistono attualmente alcuni casi in cui le pratiche grassroots hanno incontrato il sostegno da parte delle istituzioni, a partire da quelle locali. Sebbene si tratti ancora di sperimentazioni in atto, da sempre più parti si sostiene che un supporto istituzionale all’espansione delle AFNs potrebbe permettere il superamento di alcuni degli scogli sopradescritti oltre che il superamento degli interessi particolaristici presenti anche tra le AFNs. In molte città europee e anche italiane, proprio per questo, hanno iniziato a prendere avvio tavoli multi attoriali, alcuni dei quali formatisi spontaneamente, come ad esempio nelle reti o nei ‘distretti di economia solidale’, forum di discussione all’interno dei quali viene facilitato il confronto tra produttori e consumatori (Grasseni, 2014; Forno, 2014). Una versione maggiormente istituzionalizzata di questi tavoli trova una forma nei Food Policy Council (FPC), attuati da alcune amministrazioni locali. I (FPC) sono tavoli di lavoro e di discussione tra consumatori, produttori e altri soggetti intermedi coinvolti nella filiera agroalimentare di uno stesso territorio. Sebbene non esista un unico modello di FPC (Harper et al., 2009), a livello internazionale iniziano ad esservi diversi esempi di città europee e nordamericane le cui politiche del cibo coinvolgono l’amministrazione comunale e la cittadinanza che mirano a sostenere le esperienze di agricoltura urbana, i produttori periurbani e regionali facilitando l’accesso al cibo di qualità a tutti i cittadini. Obiettivi ricorrenti nei FPC sono la salubrità del cibo, la tutela dell’ambiente, l’educazione dei cittadini, il supporto all’economia locale, mentre idealmente dovrebbero essere presenti esponenti di tutti e cinque i settori del sistema alimentare: (produzione, consumo, trasformazione, distribuzione e gestione degli scarti e dei rifiuti) (Malandrin, 2011, p. 10). Nel nord America queste iniziative sono partite già negli anni ’80, molto prima che altrove (Harper et al., 2009). Come sostengono Dansero et al. (2014a), infatti, i Paesi anglosassoni sono generalmente “più avvezzi ad apprezzare i vantaggi competitivi di una visione strategica seria, coerente e pluriennale e contemporaneamente meno dotati di un patrimonio enogastronomico, materiale e immateriale, vasto e di qualità” (p. 22) come invece è, ad esempio, quello italiano. Oggi città come Toronto, Seattle, New York, Londra, Bristol, Cork, Amsterdam, Rotterdam sperimentano questo approccio, che viene sancito attraverso documenti programmatici come i ‘piani del cibo’.
CIBO E SOSTENIBILITÀ
Nel nostro Paese è solo di recente che si iniziano a osservare processi in questa direzione, con l’iniziativa della definizione del Piano del Cibo di Pisa, il lavoro fatto dal comune di Milano sia al livello locale che internazionale in occasione dell’Expo e con altri tentativi in atto come a Torino e a Bergamo. Spesso la spinta a partire proviene da collaborazioni con enti di ricerca come l’Università, da pratiche già esistenti e dalla volontà politica dell’ente locale. UNA PROPOSTA PER BERGAMO Anche a Bergamo esistono svariate iniziative dal basso rubricabili come AFNs. Queste istanze hanno trovato un punto d’incontro informale permanente nella Rete di Economia Solidale della bergamasca ‘Cittadinanza Sostenibile’: un’iniziativa nata nel 2007 cui partecipano molte organizzazioni del territorio che promuovono stili di consumo e risparmio socialmente orientati, associazioni ambientaliste, consumeriste, cooperative di consumo, ecc. Recentemente, inoltre, sia l’Università che l’Amministrazione locale hanno organizzato tavoli di lavoro che coinvolgono rappresentanti dei diversi settori della filiera agroalimentare, con un occhio di riguardo alle filiere corte e sostenibili. Indagini precedentemente svolte (Forno, Maurano, 2014) hanno evidenziato che l’esistenza di svariate esperienze e progetti già in corso2 rappresentano interessanti opportunità per valorizzare la filiera agroalimentare locale e uno sviluppo endogeno e sostenibile del territorio. Inoltre, le peculiarità morfologiche della provincia e la presenza di produzioni tipiche di alta qualità, concentrate soprattutto nelle ‘aree fragili’ collinari e di montagna, apportano già esempi di sviluppo integrato e di multifunzionalità dell’agricoltura, capaci di valorizzare la produzione mettendola in collegamento con altri servizi quali il turismo enogastronomico e iniziative culturali e di educazione. Restano però diversi limiti: l’ambiente altamente industrializzato comprende fenomeni di inquinamento e di elevato tasso di consumo di suolo; poi, se il tessuto sociale presenta un forte associazionismo, risente anche di una diffusa chiusura culturale, tanto che le buone pratiche spesso non riescono a ‘fare sistema’ (Forno, Maurano, 2014). Infine, il mondo agricolo bergamasco risulta essere professionale nella fase di produzione, ma meno efficace in quella 2
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della promozione e poco incline a sfruttare i vantaggi che possono derivare da forme di cooperazione interne o anche con altri settori. Considerato il contesto, per lavorare alla costruzione di una governance locale sul cibo per Bergamo, sono state identificate tre aree che necessitano di interventi sinergici e sincronici: • INFORMAZIONE E SENSIBILIZZAZIONE AL CONSUMO SOSTENIBILE
La domanda di consumo sostenibile va estesa, attraverso azioni di educazione e informazione a stili di vita e di consumo sani e sostenibili. La progettualità può orientarsi a supportare azioni sia di ricerca che di informazione/educazione, per promuovere: • studi e ricerca sugli stili di vita e di consumo di giovani e adulti; • progettualità con le scuole; • forme di informazione nei confronti dei genitori attraverso gli alunni delle scuole; • azioni di informazione alla cittadinanza con il coinvolgimento delle associazioni dei consumatori. • INFORMAZIONE E SENSIBILIZZAZIONE ALLA PRODUZIONE SOSTENIBILE DI CIBO
Le pratiche di coltivazione con metodi sostenibili, nonché le strategie di commercializzazione all’interno di mercati diversi da quelli convenzionali è ancora poco conosciuta tra gli agricoltori locali, quindi si propone di promuovere: • studi e ricerche sugli attori della filiera corta; • corsi di formazione per agricoltori sia a livello tecnico che a livello commerciale. • RAZIONALIZZAZIONE DELLA LOGISTICA L’accessibilità dei prodotti va migliorata attraverso soluzioni logistiche capaci non solo di rendere i prodotti del territorio più disponibili, ma anche di ridurre i costi per i piccoli produttori che spesso hanno redditi troppo bassi a fronte di una molteplicità di spese. Anche i mercati territoriali e gli orti urbani necessitano di interventi capaci di mettere in rete le molteplici iniziative al fine di dare più visibilità a esperienze che rappresentano spesso veri e propri spazi di socializzazione e integrazione con importanti capacità auto-educanti ad un consumo più consapevole. Come in altri territori italiani, i lavori verso una governance del sistema locale del cibo potranno essere avviati attorno alla redazione di una ‘Carta del Cibo’, orientata a: • promuovere una cultura alimentare locale basata sul concetto di dieta sostenibile;
Come vendita o raccolta diretta in azienda, mercati con prodotti biologici e a km zero nelle piazze della città di Bergamo e di altri comuni della provincia, iniziative di orti urbani o orti didattici nelle scuole, progetti di le mense a km zero, Gruppi di acquisto solidale, reti informali di produttori biologici (certificati o auto-certificati).
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FRANCESCA FORNO - SIMON MAURANO
• migliorare la comprensione tra i cittadini dei nessi tra dieta, salute e ambiente; • sviluppare percorsi di innovazione civica in grado di migliorare le abitudini alimentari e ridurre gli sprechi; • rafforzare la capacità del territorio – e degli agricoltori locali – di fornire cibo sostenibile a prezzi accessibili; • favorire l’innovazione istituzionale per un’integrazione delle politiche in grado di perseguire con coerenza la sicurezza alimentare locale.
FAO (2013), Trends and impacts of foreign investment in developing country agriculture Evidence from case studies, Roma.
Come altre esperienze sottotitolano, la partecipazione attiva di tutti gli attori del cibo necessita dell’adozione di un metodo di lavoro partecipativo, con l’obiettivo di realizzare le condizioni per l’apprendimento reciproco, la comprensione critica e l’impegno attivo dei soggetti e attori chiave del sistema agroalimentare. Per questo, un passaggio fondamentale, come in tutti i FPC, sarà la costruzione di un tavolo permanente di confronto che unisca quelli attualmente esistenti (formali e informali) e la scrittura condivisa della Carta che si rivolgerà direttamente ai cittadini, alle associazioni, alle istituzioni e alle imprese del territorio. Valorizzarne il sistema agricolo locale, infatti, non vuol dire solo rafforzare le potenzialità e superare i limiti delle imprese agricole del territorio, ma anche creare e sostenere la domanda di prodotti agricoli locali di qualità attraverso la promozione di un consumo responsabile.
Forno F. (2013), “Dal consumo critico alle Reti di Economia Solidale per un futuro autosostenibile dei territori”, in Adobati F., Peretti M.C., Zambianchi M. (eds.), ICONEMI alla scoperta dei paesaggi bergamaschi, Bergamo,BergamoUniversityPress-Sestante,pp.25-31.
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CIBO E SOSTENIBILITÀ
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FULVIO ADOBATI
I NANETTI AL LAVORO: FARE AGRICOLTURA (URBANA) NELLA CITTÀ ORIZZONTALE
Il territorio investito dallo ‘sprawl urbano’, che chiamiamo ‘città diffusa’ o ‘città orizzontale’ (…o in altri n modi) occupa una parte considerevole delle aree urbane/metropolitane nel mondo. Il dibattito sulla questione urbana, e sulle implicazioni derivanti dalla forma urbana per la vita nelle città, è in questa fase particolarmente vivace sia nel quadro normativo-istituzionale1, sia delle discipline riferibili alla pianificazione/design urbano e all‘interno delle scienze sociali (Brenner N., Schmid C., 2015). Il territorio della città diffusa è spesso al centro delle riflessioni per l’essere poco rispondente agli obiettivi di sostenibilità ambientale per evidenti ragioni: occupazione e dissipazione di suolo per edi-
fici e infrastrutture di servizio, scarsa efficienza nella diffusione delle reti, propensione alla mobilità privata per difficoltà di istituire sistemi concorrenziali di trasporto pubblico locale, alto consumo energetico. Il dibattito entro la sociologia urbana degli ultimi decenni ha sovente evidenziato come i contesti formati in prevalenza da case singole con giardino, che hanno caratterizzato l’espansione urbana dal secondo dopoguerra, rappresentino un ‘abitare individuale’ (per nucleo familiare) che alimenta una tendenza alla introversione casalinga e all’indebolimento delle reti dei rapporti di prossimità-vicinato. Il nodo della questione, che ruota intorno a una domanda -largamente prevalente- sospinta da modelli dell’abitare
Fig. 1. 1
Si pensi al tema del contenimento del consumo di suolo e della rigenerazione urbana, presente nel progetto di legge (C2039) nazionali in fase di discussione parlamentare, e in provvedimenti approvati a livello regionale regionali; in particolare si segnalano la Toscana con LR 65/2014 e Lombardia con LR 31/2014.
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FULVIO ADOBATI
Fig. 2. I. Diottalevi, F. Marescotti, G. Pagano, progetto di città orizzontale, 1939, parte centrale del quartiere con il complesso dei servizi collettivi.
veicolati in forme diverse2, risiede nella tensione espressa dal rapporto tra il sistema delle preferenze individuali che sospingono il mercato della produzione edilizia e la critica diffusa alla inquinante/energivora e opulenta ‘villettopoli’3. Opportuno qui menzionare come il tema della forma urbana, e nello specifico della ‘città orizzontale’ evocata in apertura, abbia avuto ampio spazio entro il dibattito architettonico e urbanistico internazionale e nazionale. Gli anni Trenta del Ventesimo secolo hanno visto il fiorire di una formulazione di modelli ideali di città distesa o orizzontale, si pensi alla Broadacre City di F.L. Wright, o agli schemi insediativi di L. Hilberseimer. Nel dibattito nazionale di quegli anni spicca poi il progetto di città orizzontale di I. Diottalevi, F. Marescotti, G. Pagano (Fig. 2). Un contesto di riflessione (certo molto diverso nelle due realtà americana ed europea) che si interrogava sugli assetti futuribili della città fondando i principi su presupposti di uno sviluppo urbano fondato su tipologie di case basse, modulari e componibili, ma anche su tipologie capaci di interpretare il bisogno di casa dei ceti popolari rispondendo alle esigenze igieniche del tempo, sovvertendo le coppie centro-densità periferia-diluizione. Proprio questa reinterpretazione di modello abitativo nell’evoluzione dei decenni successivi ha rappresentato (certo sospinto da azioni di marketing 2
che hanno visto convergere una pluralità di interessi economici) il fenomeno dominante gli sviluppi urbani e territoriali. Nella consapevolezza degli impatti determinati dal modello città orizzontale, vale la pena assumerne quindi anche la valenza di risposta alla domanda emergente di una quota rilevante della popolazione. Se consideriamo quindi il sistema delle preferenze abitative degli ultimi decenni, resosi possibile nel tempo del relativo benessere economico, la città orizzontale ne rappresenta la traduzione spaziale, elemento distintivo della città contemporanea: il tratto più significativo della città del XXI secolo (Secchi, 2015). Si pone quindi un impegno di reinterpretazione della città orizzontale anche rispetto al dibattito sull’agricoltura urbana: non solo un’inesorabile avanzata nella campagna di mattoni e giardinetti ma, con questo, la produzione di un sistema frammentato di tessere verdi quale forma di ibridazione di città e campagna. Le food policy emergenti, ormai tema di lavoro comune per i contesti urbani/metropolitani, rappresentano una sollecitazione interessante nella reinterpretazione della città orizzontale; la territorializzazione delle politiche del cibo determina infatti un secondo campo di definizione, rappresentato dal disegno di un contesto territoriale privilegiato ricono-
Il riferimento più immediato va al modello di vita americano veicolato da molte produzioni cinematografiche e dalle serie televisive. Fig. 1, Immagine tratta da: https://figliodellafantasia.wordpress.com/2015/05/10/consumo-di-suolo-italia-sempre-piu-affogatanel-cemento-secondo-ispra/ 3
I NANETTI AL LAVORO
sciuto nella categoria della regione, di approvvigionamento della città4. Una declinazione parziale del disegno di equilibrio urbano-ambientale contenuto nel concetto di bioregione urbana5 è provocatoriamente praticabile per le agglomerazioni urbane, costituite per parte consistente di unità edilizie mono-bifamiliari con giardino. Ed è proprio questa provocazione alla base di una sperimentazione applicata al contesto dell’area urbana di Bergamo6. L’area urbana di Bergamo rappresenta peraltro un ambito di studio significativo ed estensibile nella valutazioni a molta parte della regione funzionale urbana milanese, per analogia nei caratteri quantitativi dei tessuti a bassa densità edilizia. L’analisi condotta7 si compone di quattro fasi. Nella prima fase sono stati identificati entro l’ambito territoriale della ‘Grande Bergamo’ i poligoni dei tessuti bassa densità, come codificato nel database uso del suolo8. Nel secondo passaggio si è calcolata, utilizzando una media tra diversi campioni territoriali, l’incidenza delle aree verdi di pertinenza delle abitazioni (il backyard… nella narrazione collettiva della città diffusa il regno dei nanetti da giardino) che occupano il 42% dei tessuti, al netto di strade di diversa tipologia e pertinenze stradali. Utilizzando la quota di incidenza delle aree verdi nei tessuti a bassa densità si è calcolato l’ammontare delle aree verdi di pertinenza nell’area della ‘Grande Bergamo’ che possiede una sommatoria di ambiti a bassa densità 4.650 ettari; applicando infine la percentuale di aree verdi (42%) nelle zone DUSAF a bassa densità si è quindi determinato l’ammontare complessivo dei backyard, che risulta quindi pari a 1.953 ettari. L’analisi condotta porta a una dotazione di verde pertinenziale, coltivabile (una cui quota, beninteso, già coltivata a orto), di circa 40 mq/abitante. Ritorno alla terra e all’orto urbano, autoproduzione e risparmio in tempo di crisi, occasioni di scambio di prodotti e di socializzazione dei saperi e delle espe-
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rienze, sicurezza alimentare, … tante buone ragioni per riflettere sulle potenzialità agricole della città orizzontale. Convincendo i nanetti9 a mettersi al lavoro. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI American Planning Association-APA (2007), Policy Guide on Community and Regional Food Planning; American Planning Association: Chicago. Berger A. (2007), Drosscape. Wasting Land in Urban America, Princeton Architectural Press, Princeton. Brenner N., Schmid C. (2015), Towards a new epistemology of the urban?, «CITY», 19, 2-3, 2015, pp. 151-182. Donadieu P. (2006), Campagne urbane. Una nuova proposta di paesaggio della città, Donzelli, Roma. EESC-European Economic and Social Committee (2004), Opinion of the European and Social Committee on Agriculture in Peri-Urban Areas, Brussels, Nat/204. Magnaghi A. (2010), Il progetto locale. Verso la coscienza di luogo, Bollati Boringhieri, Torino. Lanzani, A. (2011), In cammino nel paesaggio. Questioni di geografia e urbanistica, Carocci, Roma. PURPLE (2012), Peri-urban regions platform Europe, http://www.purple-eu.org/. Secchi, B. (2015), Una nuova etica per ripensare la città, Cantiere Europa 2015, http://www.eastonline.eu/. SUBURBFOOD (2013), Sustainable urban and periurban food provision, http://www.suburbfood.eu/. Živanovi Miljkovi , J. (2012), Land use planning for sustainable development of peri-urban zones, «SPATIUM International Review», 28, pp.15-22.
4 Quale modello organizzativo avanzato si veda, in questo volume, il saggio di M.C. Peretti in questo volume, in particolare l’esperienza “Incredible edible” di Todmorden. 5 Per una sintesi del concetto di bioregione urbana, efficace la definizione operata da Alberto Magnaghi: “Faccio riferimento alla definizione di bioregione urbana per denotare un sistema territoriale locale che riattiva i processi coevolutivi di lunga durata fra sistema insediativo e ambiente; un sistema vivente caratterizzato da una alta complessita dei suoi caratteri idrogeomorfologici e ambientali, dalla presenza di una pluralita di centri urbani, organizzati in sistemi reticolari e non gerarchici di citta, connessi ciacuno in modo sinergico, peculiare e multifunzionale con il proprio territorio rurale; sistemi interrelati fra loro da relazioni abitative, di servizi e di produzione (specializzata e complementare) e da relazioni ambientali volte alla chiusura tendenziale dei cicli (delle acque, dei rifiuti, dell’alimentazione, dell’energia). Queste relazioni coevolutive caratterizzano e la qualita e gli stili dell’abitare, i caratteri identitari e patrimoniali, gli equilibri ecosistemici e la capacita autoriproduttiva di un luogo.” (I parchi agricoli nella città policentrica della Toscana centrale, presentazione in convegno Metropoli Agricole, 13 maggio 2014, Milano) 6 L’area della “Grande Bergamo” collegata dal servizio urbano di trasporto pubblico locale, comprendente 49 comuni, conta (al 2014) 475.559 abitanti. 7 La ricerca è stata condotta da gruppo interno al CST “Lelio Pagani” dell’Università degli Studi di Bergamo, in particolare con la collaborazione dei dott. Andrea Azzini e Filippo Carlo Pavesi. 8 Destinazione d’Uso dei Suoli Agricoli e forestali” di regione Lombardia, 2012 (Dusaf 4.0), mappatura ottenuta da fotointerpretazione delle foto aeree Agea del 2012, su tutto il territorio regionale. 9 Immagine tratta da it.wikipedia.org
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Fig. 3a. Uso del suolo nella ‘Regione Urbana Milanese’.
Fig. 3c. Campioni territoriali selezionati.
Fig. 4. ‘Nanetti al lavoro’.
FULVIO ADOBATI
Fig. 3b. Contesto amministrativo della ‘Grande Bergamo’.
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PATRIZIA BERERA
ORTI BOTANICI, UNA PREMESSA1
“È il tempo che hai perduto con la tua rosa che ha fatto la tua rosa importante” – dice il Piccolo Principe. Ogni giorno da mesi, soprattutto in questi mesi dell’Expo 2015, in molti ci si ritrova a riflettere sugli stessi argomenti: sostenibilità, orti urbani, buone pratiche, filiera corta, agricoltura biologica, nutrire il pianeta; organizziamo convegni, lezioni, seminari in cui si parla di questi temi – si parla, appunto. Ma quanti di noi che ne parliamo poi davvero passiamo del tempo “perdendoci con una rosa”? Accudire le piante e avere a che fare con la terra, con le fasi della crescita, con la stagionalità, con il tempo atmosferico, con lo stupore della germogliazione, con la delusione di un insuccesso vegetativo, con prove tentativi ed errori, con la bellezza, con la scoperta e l’osservazione di forme e colori impensati, con il fascino dell’appassimento e la rinascita, con la condivisione di saperi e di esperienze, con la soddisfazione di autoprodursi il cibo... è educativo in sé, è ‘naturalmente educativo’ per chiunque. ‘Educazione naturale’ anziché ‘educazione ambientale’, mi pare più appropriato. È questo uno dei motivi per cui è così importante fare educazione negli Orti botanici. Inoltre, essendo luoghi aperti permettono di vivere esperienze
1
educative che rientrano a pieno diritto nell’outdoor learning, ovvero l’utilizzo di spazi diversi dalla classe per insegnare e imparare e ciò implica una serie di benefici a livello educativo: “There is only one thing more painful than learning from experience and that is not learning from experience”. A. MC LEISH Imparare fuori dalla classe permette di costruire un ponte tra teoria e realtà, tra scuola e comunità, tra i giovani e il loro futuro. Le esperienze di apprendimento nelle situazioni ‘reali’ migliorano le abilità personali e sociali e quando queste esperienze sono ben pianificate, gestite con cura ed eventualmente personalizzate sui bisogni del singolo esse contribuiscono realmente a: migliorare le prestazioni scolastiche, sviluppare abilità e autonomie allargandole a vari ambiti, rendere l’apprendimento più coinvolgente e pertinente per i ragazzi, formare cittadini attivi e ‘custodi’ dell’ambiente, coltivare la creatività, ridurre i comportamenti problematici, stimolare, ispirare e incrementare la motivazione, sviluppare la capacità di confrontarsi con l’insicurezza, fornire la capacità di valutare i livelli di rischio, sostanzialmente migliorare l’attitudine all’apprendimento.
Questo contributo funge da premessa ai contributi a seguire di Francesca Pugni, Mara Sugni e Gabriele Rinaldi.
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FRANCESCA PUGNI
ORTI E GIARDINI PER SCUOLE CHE CRESCONO UN PROGETTO DELL’ORTO BOTANICO “LORENZO ROTA”
Il percorso di crescita dell’Orto Botanico di Bergamo L. Rota ha permesso di potenziare sensibilmente le capacità educative nei confronti del mondo scolastico e, nell’ambito dell’educazione permanente, del pubblico in genere. A tal fine sono operativi i Servizi Educativi, i quali agiscono sia nei confronti dell’esterno, sia rivolgendosi alla struttura nel proprio interno. A tal proposito è stata di basilare importanza la partecipazione dei nostri operatori didattico-educativi a momenti di alta formazione quali: • Progetto EST - Educare alla Scienza e alla Tecnologia. Progetto triennale finanziato da Regione Lombardia e Fondazione Cariplo; • Corso di Interpretazione Ambientale negli Orti Botanici e nelle aree protette d’Italia. Organizzato e proposto a livello nazionale dalla Rete degli Orti Botanici di Lombardia nel 2011. • Progetto INQUIRE1. Progetto europeo per promuovere la metodologia IBSE (Inquiry Based Science Education, metodo di educazione scientifica basato sull’investigazione) in scuole, orti botanici, aree protette e musei, il cui secondo corso di formazione si è svolto all’Orto Botanico di Bergamo nell’anno 2012/2013. Parallelamente alla formazione educativa, l’Orto da sempre si interessa alla conoscenza approfondita dei propri visitatori. Un’ultima ricerca effettuata nel 20122 sui giovani, visitatori reali e potenziali, ha indagato il gap tra giovani generazioni e natura. Dai dati raccolti con criteri statistici e su un campione significativo di oltre 3.000 giovani in fasce di età riconducibili all’intervallo tra le scuole primarie e l’università, è emersa una progressiva diminuzione
1
del tempo dedicato ad attività in parchi e giardini, un aumento con l’età delle ore passate davanti ad uno schermo, un generale allontanamento e distacco dalla natura e dalle piante. I dati raccolti attestano, ad esempio, che a livello territoriale più del 50% dei bambini delle scuole primarie afferma che il cotone non sia una pianta, il 41% afferma che le zucchine crescono sotto il terreno e il 30% pensa che la clorofilla sia nelle radici. A livello generale è diffusa una debole conoscenza della biodiversità locale, dei nomi delle piante e dell’importanza che le piante rivestono nella nostra quotidianità. Per fronteggiare questi limiti e per ricucire un rapporto tra giovani e natura, che riflette quello tra società e natura, l’Orto Botanico ha sperimentato negli anni svariate formule di collaborazione con gli istituti scolastici offrendo attività didattiche di alta qualità basati sull’esperienzialità, sulla didattica hands on, sull’interattività. E nel 2015, all’interno delle azioni previste per Expo2015, l’Orto Botanico ha proposto alle scuole territoriali il progetto di orticoltura scolastica Orti e giardini per scuole che crescono: coltiviamo progetti e seminiamo conoscenza, orientato a diffondere pratiche e conoscenze agronomiche, botaniche, ambientali, a potenziare metodologie didattiche scientifiche attive, a recuperare e potenziare spazi d’importanza culturale, formativa e ambientale. Tale azione è stata resa possibile grazie a un primo finanziamento ricevuto dalla Fondazione Banca Popolare di Bergamo Onlus, integrato da un finanziamento comunale.
Inquiry-based teacher training for a sustainable future. Progetto EU Identificazione di chiamata: FP7-SCIENCE-IN-SOCIETY2010-1. 2 Orto Botanico di Bergamo: conosciamo davvero i nostri fruitori reali e potenziali? Una ricerca per ridurre il gap. Progetto cofinanziato da Regione Lombardia nell’anno 2011/2012.
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FRANCESCA PUGNI
IL PROGETTO Il programma offerto gratuitamente alle scuole dall’Orto Botanico si è articolato in questo modo: • Formazione seminariale per tutti gli insegnanti richiedenti, con l’obiettivo di trasmettere nozioni pratiche di orticoltura e strumenti per fare didattica all’aperto, partendo dalle piante viventi; • Interventi pratici di creazione di orti giardini in piena terra o in cassone; • Percorsi educativi con gli studenti sulle tematiche dell’orto e con l’utilizzo di metodologie educative attive (hands-on, active learning, social learning, inquiry based science education), pensati e tenuti dagli operatori dell’Orto Botanico. Il progetto proposto alle scuole nel mese di giugno 2014, attraverso l’Ufficio Scolastico Territoriale, ha riscosso un enorme interesse. Abbiamo ricevuto 49 richieste di iscrizione di scuole di città e provincia, che hanno dimostrato il desiderio di attivare orti-giardino in piena terra o orti in cassone, percorsi didattici con gli studenti e formazione per i docenti. Di queste 49 richieste, ne abbiamo soddisfatto 27. ATTIVITÀ SPECIFICHE DEL PROGETTO CORSO DI FORMAZIONE PER DOCENTI Il corso di formazione seminariale si è svolto dal mese di dicembre 2014 al mese di marzo 2015. Sono stati previsti 5 pomeriggi di pratica e studio. Abbiamo deciso di offrirlo in forma seminariale per poter accettare il maggior numero di iscritti, anche gli insegnanti delle scuole escluse dal progetto. Il corso di formazione ha ricevuto più di 80 iscrizioni. Al corso hanno partecipato insegnanti delle scuole incluse nel progetto e insegnanti di scuole del territorio interessate alla tematica degli orti scolastici e portatori di un’esigenza: essere seguiti da un’istituzione come l’Orto Botanico nella creazione degli orti scolastici, nella gestione sostenibile degli stessi e nella diffusione di competenze tra le persone della scuola. Erano presenti insegnanti dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di secondo grado. Le tematiche affrontate nel corso sono state: 1. L’orto scolastico e le sue specificità – tenuto dall’agronomo Marco Zonca; 2. L’orto scolastico come strumento per l’inclusione – tenuto dalla Dott.ssa Roberta Ottolini, psicologa dello sviluppo; 3. L’orto scolastico come aula all’aperto – tenuto dall’ Arch. Patrizia Berera, collaboratrice dell’Orto Botanico di Bergamo;
4. L’orto in pratica: workshop pratico presso la Cooperativa Biplano – tenuto dall’agronomo Marco Zonca; 5. Progetti interdisciplinari in giardino: l’orto-giardino come ecosistema. Strumenti per sfruttare al meglio il proprio giardino scolastico – tenuto dal Dott. Gabriele Rinaldi, direttore dell’Orto Botanico di Bergamo. CREAZIONE DEGLI ORTI SCOLASTICI Sono stati creati 19 nuovi orti scolastici in scuole con o senza giardino. Nello specifico abbiamo creato 9 orti in cassoni (trasportabili) di circa 1.20m x 70cm e 10 orti in piena terra, delimitati da pali di castagno. Tutti i materiali sono stati forniti gratuitamente per le scuole. Le diverse tipologie di orti, sono state studiate e personalizzate per la scuola in questione e per gli spazi disponibili. In 8 scuole sono stati effettuati interventi di miglioramento dell’orto scolastico già esistente. OFFERTA DI PERCORSI EDUCATIVI NELLE SCUOLE In ciascuna delle 27 scuole aderenti al progetto, sono state offerte 8 ore di interventi educativi tenuti dagli operatori dell’Orto Botanico di Bergamo, appositamente formati. Sono stati pensati interventi da due ore ciascuno (4 interventi annuali), gravitanti attorno a tematiche che riguardassero le piante dell’orto scolastico, le tematiche riguardanti Expo2015 e l’alimentazione. Ecco le tematiche affrontate nei diversi interventi educativi e modellati in base delle età dei ragazzi/bambini: • Nutrizione, piante alimentari, usi e tradizioni alimentari in Italia e nel mondo, anche in previsione delle tematiche di Expo 2015 Nutrire il Pianeta. • Arte e Scienza: attività di Land Art, laboratori sui colori vegetali in chiave creativa-artistica, laboratori sui pigmenti vegetali e loro relazioni con la fotosintesi. • Matematica, geometria, simmetrie nelle piante – Forme, dimensioni, esperienze e scoperte multisensoriali. Dove possibile, le attività sono state effettuate all’aria aperta e sempre con le nostre metodologie di apprendimento attivo. In 10 scuole di Bergamo e provincia, alle 8 ore con i ragazzi, sono stati proposte 2 ore di formazione aggiuntiva con gli insegnanti. La formazione si è svolta presso l’istituto scolastico, ha avuto come oggetto la trasmissione di strumenti per far fruttare al meglio l’orto scolastico ed il giardino anche per l’attività educativa e ha coinvolto tutti più i docenti legati alla gestione dell’orto scolastico.
ORTI E GIARDINI PER SCUOLE CHE CRESCONO
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Figg. 1-2. Orti in cassone di una scuola primaria – cipolle in crescita.
Figg. 3-4. Costruzione degli orti in piena terra e bambini di una scuola dell’infanzia al lavoro.
OBIETTIVI RAGGIUNTI E RIFLESSIONI APERTE… Sicuramente il progetto ha permesso di diffondere gli orti scolastici nelle scuole del territorio, di offrire agli alunni momenti di reale contatto con le piante ortive e con la terra e strumenti agli insegnanti per trasformare l’orto in aula didattica. I continui incontri avvenuti con gli insegnanti, hanno permesso di potenziare il rapporto scuola – museo e di aumentare il ruolo sociale dell’Orto Botanico nel mondo scolastico. Nello specifico, ecco gli obiettivi effettivamente raggiunti: • 19 nuovi orti scolastici in Bergamo e provincia; • 780 alunni dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di primo grado, hanno messo le mani nella terra; • 216 ore di attività educative con 780 alunni, tenute dagli operatori dell’Orto Botanico. Sono state proposte attività educative interdisciplinari, con metodologie educative attive; • 14 ore di formazione teoriche e pratiche per circa 80 docenti di ogni grado scolastico, per la promozione dell’orto scolastico, la promozione dell’orto giardino come aula all’aperto, la promo-
zione dell’orto scolastico come strumento per migliorare l’ambiente scolastico, • 2 ore aggiuntive di formazione specifica per insegnanti in 10 scuole per sfruttare al meglio il proprio giardino scolastico, anche come aula all’aperto. Il progetto lascia riflessioni aperte riguardanti gli scetticismi che ancora gravitano attorno all’orto scolastico, purtroppo visto per alcuni insegnanti e per alcuni genitori come un luogo ‘altro’ rispetto alla scuola, più legato allo svago e al divertimento che alla costruzione di conoscenza. In questo senso, la parola chiave sarebbe ‘continuità’: è necessaria una continuità nella proposta di progetti di orticoltura scolastica di qualità e di momenti di scambio tra scuola e museo, tra scuole e museo. Gli insegnanti che hanno partecipato al corso, hanno risposto ad un questionario strutturato e dall’analisi dei dati si evince la loro richiesta di un aiuto e di un sostegno continuativo, non occasionale, non solo legato alla gestione pratica dell’orto scolastico, ma alla trasformazione in aula didattica e luogo privilegiato di apprendimento attivo partendo da materiale vegetale vivente.
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FRANCESCA PUGNI
Figg. 5-6. Simmetrie vegetali – scuola dell’infanzia (bimbi grandi) e classificazione di elementi vegetali per colore – Scuola dell’infanzia (bimbi piccoli).
Ecco alcune delle frasi emerse dai questionari, che si traducono in nuovi obiettivi da raggiungere per l’Orto Botanico di Bergamo: • “dare la possibilità a chi ne fa richiesta di avere un orto a scuola”; • “sarei interessata a seguire un ulteriore corso più pratico”;
• “non sempre è così facile inserire l’attività dell’orto nella didattica”; • “non sempre è facile creare interdisciplinarità”; • “assenza di testi sui contenuti trattati”; • “possibilità di visitare gli orti delle altre scuole”; • “più scambio tra scuole”.
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MARA SUGNI
LA MERAVIGLIA È IL SEME DA CUI NASCE LA CONOSCENZA
REPORT DELL’INCONTRO DEL 22 MAGGIO 2015 PRESSO L’URBAN CENTER DI BERGAMO Da diversi anni mi occupo di didattica negli orti botanici e nella scuola, formando insegnanti ed educatori ma soprattutto coinvolgendo bambini, adulti ed anziani nelle attività di ‘lettura’ del nostro meraviglioso patrimonio. E, siccome sono un’accanita sostenitrice dell’‘imparare facendo’, vorrei raccontare quale è la cosa più importante che ho imparato in questi anni di esperienza. Il mio contributo vuole infatti dimostrare quanto sia evidente e ormai imprescindibile all’interno di qualsiasi approccio alla
Fig. 1. Costruzione di un diagramma fiorale.
didattica la necessità di partire dal coinvolgimento attivo di chi deve apprendere nel processo di apprendimento stesso. Nel 2015, in una situazione globale complessa e difficile da decifrare, nel bel mezzo di una rivoluzione culturale di entità immane con opportunità per l’accesso alla conoscenza incredibili solo fino a 10 anni fa, non possiamo più accontentarci di contesti di apprendimento dove si trasmettano esclusivamente nozioni (‘si impara studiando sui libri di testo!’ ‘l’insegnante è bravo quando spiega bene!’ ‘per approfondire questo argomento, cari studenti, fate una ricerca su internet!’). Obiettivo dell’educazione dovrebbe essere, a mio parere, quello di formare cittadini consapevoli ed in grado di operare le scelte importanti che la vita ci chiede di operare. Per questo motivo è fondamentale includere, in ogni processo formativo, l’insegnamento della complessità, che è fatto sì di nozioni ma anche di sfumature attribuibili a tali nozioni, di competenze trasversali alle discipline, di sviluppo del pensiero critico, di promozione – oltre che del sapere – del saper fare e saper agire.
Fig. 2. Costruzione di un diagramma fiorale.
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MARA SUGNI
Fig. 3. Assaggiamo il prodotto della fotosintesi!.
L’Orto botanico è, a mio modo di vedere, luogo ideale per attuare questo tipo di insegnamento, perché è un luogo di scienza e di conoscenza che ha come mission quella di favorire il dialogo tra la comunità scientifica e la popolazione e perché ha attivi diversi canali di comunicazione con la popolazione stessa. I Servizi Educativi sviluppano proposte di attività che vanno ad indagare diversi aspetti legati al mondo vegetale e che sono rivolte a pubblici diversi; possono essere strutturate in maniera formale (all’interno, cioè, di pacchetti proposti alle scuole) oppure preve-
dere meccanismi di coinvolgimento dei visitatori di tipo informale (es: attività leisure); possono essere ricorrenti o saltuarie e possono prevedere diversi livelli di approfondimento. Ma tutte hanno la caratteristica metodologica di essere basate sull’esperienza. Perché, citando Francis Bacon, “La meraviglia è il seme da cui nasce la conoscenza”, e nessuna esperienza desta più meraviglia di quella effettuata ‘con le mani in pasta’. Ecco perché, per studiare l’anatomia di un fiore ha molto più senso effettuare, sotto la guida di un educatore esperto, la dissezione di un fiore reale e la realizzazione di un diagramma fiorale piuttosto che leggere su un libro la descrizione morfologica delle varie parti, ancorchè schematizzata in un disegno o in una tavola. Ed ecco perché, chi ha assaggiato la linfa di un albero si ricorderà per sempre quanto è dolce il prodotto primo della fotosintesi, il glucosio! E cosa ricorderanno gli studenti che hanno appreso la morfologia della foglia di una labiata osservandola dal vivo e tentando di riprodurla con il disegno scientifico? (Fig. 4) Tantissimi ambiti del sapere possono essere indagati in un Orto botanico e molte sono le connessioni tra i vari saperi che è possibile sviluppare e rendere evidenti nelle nostre aule all’aperto. Ed infinte sono le possibilità di offrire letture complesse di una realtà, quella del mondo reale – al di fuori degli Orti botanici! – che è difficile da comprendere ma che è importante padroneggiare per poter parlare di futuro e di sostenibilità.
Fig. 4. Osservazione di una foglia con lenti contafili e rappresentazione in scala 8:1 .
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GABRIELE RINALDI
L’ORTO BOTANICO DI BERGAMO COME ATTRATTORE SOCIALE: EDUCAZIONE AMBIENTALE, DIDATTICA, TURISMO, NETWORKING CON GLI ALTRI SPAZI DEL VERDE PUBBLICO1
Gli Orti botanici sono un’interfaccia tra il Regno delle Piante e il pubblico, hanno il compito di convincere, trasmettere conoscenza, influenzare il pubblico sui molti temi che riguardano le specie vegetali e a tale scopo si avvalgono di strumenti, metodi, risorse per rendere efficaci le proprie azioni. È opportuno rimarcare che sono molte le azioni che un Orto botanico è in grado di svolgere, tra le quali possiamo ricordare: azioni • coltivare gestire collezionare conservare • accogliere • studiare monitorare • elaborare progettare • orientare prendere posizione formare • sostenere collaborare partecipare • connettere coinvolgere Su un’azione in particolare vale la pena di soffermarsi, l’accoglienza. L’Orto botanico è, infatti, un luogo speciale che si rivolge ad una molteplicità di soggetti che costituiscono nell’insieme il pubblico: famiglie, bambini, ragazzi, scolaresche, adulti, pensionati, turisti, giardinieri, paesaggisti, disabili, partecipanti ai centri ricreativi estivi, guardie ecologiche volontarie, rifugiati politici, persone in cerca di luoghi in cui leggere, contemplare, rilassarsi… Ciò spiega la natura complessa dei rapporti che si possono instaurare con i partecipanti e lascia intuire quanto siano variegate le possibilità di offerta. A Bergamo abbiamo scoperto con una certa sorpresa che da alcuni anni vi è una presenza significativa di turisti stranieri nell’Orto botanico (37% nel 2013, 35% nel 2014), il che indica un ruolo anche economico nella realtà cittadina, nonostante la nostra pubblicità in tale direzione sia decisamente limitata. 1
Le attività di coinvolgimento del pubblico vanno dalle tradizionali visite guidate dedicate ai temi più diversi, ai laboratori nei quali si richiede la partecipazione attiva, senza trascurare l’importanza delle occasioni in cui entrano in gioco linguaggi differenti da quelli della botanica classica, con la massima apertura per attività che si basano sul teatro, la musica, le arti, in grado di far scoprire l’Orto botanico anche a persone che altrimenti mai arriverebbero a noi. Non sono da trascurare le persone con disabilità che qui fanno o hanno fatto scoperte significative, come nel caso di non vedenti coinvolti in attività tattili, oppure di ragazzi autistici che riusciamo a coinvolgere in operazioni di importanza fondamentale, ripetitive e schematizzate, da svolgere con precisione, come la collocazione periodica degli erbari nei freezer per prevenire le infestazioni da insetti. Anche persone con disagio psichico più marcato sono accompagnate nel periodo estivo per svolgere attività a loro gradite e che hanno un riscontro anche sul piano espositivo, là dove vi sono semplici operazioni di raccolta e riordino o, in un caso, anche nel coinvolgimento per una allestimento temporaneo dedicato alle piante acquatiche nell’ambito di un progetto di studio e conservazione ex situ in collaborazione con un parco naturale (Parco Adda Nord). L’Orto botanico, infatti, è attivo anche sul fronte dello studio e della ricerca, in particolare in connessione con i parchi locali (vedi il caso di monitoraggio della flora spontanea dei magredi durante le azioni per l’eradicazione dell’ailanto, specie nella lista nera delle aliene nel PLIS del Brembo). In molti casi simili è possibile individuare un segmento di attività per coinvolgere persone che non hanno uno specifico interesse per l’obiettivo di conservazione, ma che possono trovare comunque un giovamento nel sentirsi coinvolti. Un nuovo fronte riguardo l’accoglienza è quello aperto ai progetti rivolti ai rifugiati politici e richie-
Il presente testo ricalca quello dell’intervento al convegno Theatrum Florae, il ruolo di orti botanici e giardini storici per lo studio, la salvaguardia e la divulgazione di conoscenze sulla flora d’Italia, nell’ambito del Progetto Florintesa, (Roma, 23 gennaio 2015) organizzato dalla Commissione Musei dell’Accademia dei Lincei in collaborazione con ENEA, Forum Plinianum e Società Botanica Italiana.
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GABRIELE RINALDI
denti asilo, in particolare il progetto SPRAR-Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati promosso dal Ministero dell’Interno con un rete nazionale degli enti locali. Si tratta nei casi da noi sperimentati di persone fortemente motivate e operose che trovano beneficio dal lavoro a contatto con la terra, con le piante, con le persone che vi operano e dal sentirsi partecipi di attività che contribuiscono a farli riconciliare con il mondo, considerato che quasi sempre si tratta di individui che provengono da esperienze traumatiche. Con le mostre, le conferenze ed altro cerchiamo di attirare anche il grande pubblico costituito da cosiddetti normodotati, sebbene il concetto di normalità non sia di semplice delimitazione. Un aspetto importante da non trascurare è il tema del linguaggio non verbale e quello pittorico può essere privilegiato per la capacità di comunicare e coinvolgere soggetti con cui altrimenti, forse, le possibilità di connessione sarebbero molto più difficili. È il caso, ad esempio, di ragazzi autistici che sotto la guida di una brava maestra d‘arte hanno realizzato tele utilizzate nell’esposizione temporanea delle piante tropicali, oppure, delle persone della Casa Circondariale cittadina coinvolte nel progetto promosso dalla GAMeC - Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo dal titolo Effetto Serra, partecipi di una proposta educativa cha avuto una ricaduta diretta sul settore espositivo: l’Orto botanico ha fornito immagini e aperto un dialogo in carcere sul tema delle piante ed in particolare delle piante dormienti, vale a dire quelle che per una parte considerevole dell’anno non sono manifeste sotto gli occhi dei visitatori - metafora o paradigma della situazione carceraria; i detenuti hanno fornito all’Orto stesso una serie di disegni realizzati a biro (l’unico strumento consentito) che, riprodotti su supporto plastico, sono esposti permanentemente accanto ai cartellini didascalici con i nomi delle piante. Aprire l’Orto botanico di notte ha offerto occasioni di incontro con creativi ed artisti, vale a dire
Una base conoscitiva che permette di orientare le scelte di un orto botanico sono i dati statistici, ad esempio, quelli relativi alle conoscenze o agli stili di vita delle persone. Noi abbiamo indagato, ad esempio, il rapporto tra giovani generazioni e natura, riscontrando un gap in considerevole aumento. I dati raccolti con rigore scientifico statistico hanno rivelato che anche solo 2 domande semplici quali “le zucchine crescono sotto terra?” oppure “il cotone è un pianta?” (il 55% ritiene falsa l’affermazione) sono in grado di mettere in difficoltà gli interlocutori e rivelano una preoccupante necessità di alfabetizzazione botanica. Dai dati in nostro possesso si evince una quota spropositata di tempo dei giovani in ogni fascia d’età di fronte ad un schermo, con percentuali variabili tra
Fig. 1. Differenti linguaggi espressivi per coinvolgere differenti segmenti di pubblico dell’Orto Botanico.
Fig. 2. Un progetto con Spazio Autismo Bergamo vede i ragazzi con un ruolo attivo nella cura degli erbari dell’Orto Botanico.
con chi predilige la musica, la danza (compresa quella sugli alberi) o altra forma espressiva non strettamente scientifica. In tali occasioni, lo sforzo richiesto di trovare un qualche elemento di riferimento con le piante, la botanica, il giardino, la naturalità, ha permesso di coinvolgere persone, giovani in particolare, che altrimenti mai sarebbero entrati nell’Orto botanico. Le persone che capitano per caso perché attratte da un evento sono invogliate a ritornare in un secondo momento in un luogo che hanno altrimenti già apprezzato. L’attenzione a linguaggi e sensibilità diverse è una chiave che apre molte porte di accesso per le nostre istituzioni. All’Orto hanno trovato possibilità di espressione artisti e personalità riconducibili a tradizioni di paesi lontani, talvolta con collegamenti a mostre che, invece, hanno una forte connotazione botanica, ad esempio con la biodiversità di paesi tropicali. SCUOLE
L’ORTO BOTANICO DI BERGAMO
televisione o internet, rispetto alle attività all’aperto. Queste ultime sono sacrificate. Il paradosso che emerge è che ciò che viene fatto non coincide in molti casi con ciò che si vorrebbe fare, lo stare all’aperto e/o con gli amici sono meno frequenti del desiderato. Da tali dati ed altri ancora ne è disceso un riorientamento delle attività e degli obiettivi dell’Orto botanico per far sì che i giovani abbiano maggiori occasioni di contatto con la terra, con le piante, con la natura. Una proposta in particolare, fatta propria dall’amministrazione comunale, ha per titolo Orti e giardini per scuole che crescono, coltiviamo progetti e seminiamo conoscenza alla quale partecipano più di 80 insegnanti e che ha consentito a circa 750 allievi di scuole di scuole primarie e secondarie di primo grado di maturare esperienze dirette nell’a.s. 2014-2015. In questo caso sono obiettivi educativi la sostenibilità, il render consapevoli i docenti di avere a portata di mano un’aiuola all’aperto, la capacità di un orto domestico di saper rappresentare una notevole complessità scientifica e di consentire l’utilizzo di metodologie di coinvolgimento e di apprendimento attive. Del resto, che l’Uomo in generale stia orientando molte delle proprie scelte verso la costruzione di habitat ostili lo dimostrano alcune esperienze sotto gli occhi di tutti. In città, ad esempio, il piedibus (gruppi di allievi scortati da adulti e sorvegliati a vista nel tragitto casa-scuola,) è il paradigma dell’habitat insicuro, in cui vengono immessi in atto accorgimenti di protezione dei cuccioli. Un’attività che va nella direzione della mitigazione del distacco giovani generazioni – piante è l’affido nei mesi invernali delle piante tropicali dell’Orto botanico alle scuole che ne fanno richiesta. Oggi sono 4 istituti superiori che si avvalgono del nostro patrimonio botanico per rinverdire i corridoi e atrii (le aule negli ultimi anni scolastici hanno aumentato il numero di allievi e hanno meno spazio libero), e che adottano anche per ragioni di studio le piante in vaso dell’Orto botanico. È questo un sistema che permette, tra l’altro, di non sovraccaricare la nostra piccola serra d’invernamento che si saturerebbe se dovesse accogliere tutte le piante di cui l’Orto è proprietario. Alle scuole che ne fanno richiesta l’Orto offre consigli, consulenze, orientamenti per la realizzazione di giardini e orti partecipati sulla base della buona volontà dei docenti. Altro elemento che contribuisce a rendere l’Orto botanico un luogo di rilievo sociale è il supporto dato agli studi e alla successiva divulgazione delle conoscenze botaniche. Un recente contributo pubblico ha messo in luce che le Mura veneziane di Bergamo – luogo che gode di grande popolarità - debbano essere considerate a tutti gli effetti ecosistemi.
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Altre azioni importanti sono quelle che consentono connessioni con realtà differenti, quali ad esempio le cooperative sociali che gestiscono la manutenzione dell’Orto botanico e, in tal modo, consentono a persone con varie difficoltà di sentirsi partecipi della vita dell’Orto stesso. Altri collegamenti sono con associazioni di supporto, come l’Associazione Amici dell’Orto botanico che fonda la sua ragione d’essere sulla buona volontà di sostenitori. Altre connessioni sono legate alle opportunità culturali che la città offre, come il caso dell’ottima Bergamoscienza, un festival che sta cambiando diffusamente in senso positivo la percezione della cultura scientifica. Durante il suo svolgimento si arricchisce dei contributi dei singoli istituti culturali, e l’Orto botanico offre occasioni di conoscenza e circuita le proprie idee in un bacino d’utenza molto più ampio dell’ordinario. Connessioni più sistematiche sono quelle riconducibili alle reti, che possono avere scala dimensionale, caratteristiche e obiettivi piuttosto differenti, quali ad esempio: • la Rete Sociale di Città Alta, una rete di quartiere formata da attori locali quali le scuole, l’oratorio, gli esercenti, le associazioni ecc., allo scopo di favorire la convivenza, la qualità della vita, l’aiuto a persone con difficoltà, o occasioni di crescita per le giovani generazioni, compresi i soggetti con comportamenti border line, come pure occasioni di svago. • La Rete degli Orti botanici della Lombardia che abbiamo contribuito a costruire, una rete professionale formata da orti botanici differenti per natura giuridica e caratteristiche. • La rete afferente il gruppo di lavoro per gli Orti botanici e i giardini storici della Società Botanica Italiana che consente la circuitazione dell’informazione, la condivisione di un sito Web, la partecipazione ad incontri di reciproca conoscenza e di presentazione dei progetti. La Rete degli Orti botanici della Lombardia è formata da 7 nodi che, oltre a Bergamo, fanno capo al Parco dello Stelvio a Bormio (Giardino botanico ‘Rezia’), all’Università di Milano (Orto Botanico di Brera, Orto Botanico di Città Studi, già Cascina Rosa, e Orto Botanico ‘G.E. Ghirardi’ di Toscolano Maderno - BS), all’Università di Pavia e all’Ente Villa Carlotta di Tremezzo. A tal proposito uno dei vantaggi indiscussi del lavorare in rete è la possibilità di sviluppare progetti che altrimenti singolarmente sarebbe difficile o impossibile affrontare. Nel caso, ad esempio, della diffusione delle conoscenze botaniche è opportuno citare il progetto editoriale Schede di campo, mini atlanti per l’identificazione delle specie vegetali e animali ti-
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GABRIELE RINALDI
piche di vari ambienti, oggi in vendita. Il progetto AAA autoctone, alloctone, aliene ha permesso di valorizzare le piante spontanee nei singoli orti botanici con installazioni, pannelli e allestimenti specifici. Altri progetti condivisi hanno permesso di coinvolgere il personale operativo della rete stessa (dai giardinieri agli operatori educativi) e da alcuni anni anche in altri orti botanici italiani estendendo così la comunità di pratiche. Un obiettivo recente è l’allestimento di un mostra dal titolo significativo Seduzione e Repulsionestorie di piante. Se l’obiettivo degli Orti botanici di lavorare in rete, il networking, è stato in buona misura raggiunto, tuttora da perseguire è quello che è stato lanciato a livello internazionale in occasione del congresso mondiale del BGCI – Botanic Garden Conservation International tenutosi a Durban nel 2009, che individua nel raggiungimento delle masse l’unica possibilità per riorientare un serie di processi non sostenibili, distruttivi nei confronti della biodiversità, compromettenti anche per la specie umana. A tal proposito, un nuova opportunità maturata a Bergamo è stata la creazione in occasione dell’esposizione mondiale EXPO 2015 dallo straordinario messaggio - Nutrire il pianeta, energia per la vita di una nuova sezione dell’Orto Botanico interamen-
te dedicata all’agrobiodiversità in un contesto cittadino di straordinaria qualità ambientale. Qui, in una valletta con un ex monastero che vanta quasi un millennio di storia, un latifondo di 60 ettari tra boschi e aree agricole della fondazione MIA nel Parco dei Colli ha cambiato il proprio destino e si apre alla Città con nuove proposte in chiave di sostenibilità. L’Orto botanico ha in tal senso avuto un ruolo nell’orientare culturalmente le scelte istituzionali, nella presa in carico di una superficie di 9.000 mq destinata alle collezioni e di oltre un ettaro di corridoi ecologici. Si tratta di un ambito sfidante in cui è possibile declinare cultura, natura e agricoltura anche in chiave educativa. La sezione dell’Orto botanico è stata denominata Valle della Biodiversità ed è allestita in modo tale da rispondere ad una semplice domanda, di quali piante si nutre l’uomo sul pianeta? Nel primo anno di vita, 30.000 persone hanno potuto visitare, partecipare agli eventi, raccogliere ed acquistare le eccedenze, sporcarsi mani e piedi in un contesto che contribuisce a riconciliare il rapporto tra cittadini e natura. L’obiettivo è costruire un museo relazionale avente la biodiversità come soggetto da comunicare e la Città in cui è inserito come sfondo da influenzare.
Fig. 3. Persone con disagio psichico coinvolte in attività manuali per disallestire una mostra di tulipani.
Fig. 4. Valle della Biodiversità ad Astino: evento partecipativo il 22 febbraio 2015 precedente l’avvio del cantiere.
Figg. 5-6. Valle della Biodiversità ad Astino: la sezione dell’Orto Botanico è stata inaugurata il 14 maggio 2015.
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TOMMASO GIORGINO*
GLI ORTI EXTRA MOENIA DI OSTUNI: LA RIGENERAZIONE DEL PAESAGGIO STORICO OLTRE LA CITTÀ MURATA1
ABSTRACT L’area degli orti extra moenia cinge il centro storico di Ostuni da nord-ovest a sud-est ed è, in Puglia, un significativo esempio di paesaggio culturale mediterraneo dal carattere evolutivo: un contesto caratterizzato da un’intensiva opera di terrazzamento ad uso agricolo e da un particolare utilizzo di risorse come l’acqua, il suolo e la pietra, ricco di valenze storicoculturali, ecologiche e paesaggistiche, oltre che economiche. L’intera area rappresenta un bene collettivo fondante l’identità della popolazione locale. Il mosaico delle tessere paesistiche, a partire dagli anni ’80, è stato interessato da notevoli trasformazioni ed un lento processo di degrado che necessitavano di studi, interventi e risposte, in termini di recupero, gestione e rifunzionalizzazione dell’area. Da oltre dieci anni, intorno a questo tema si sono svolti dibattiti, convegni, iniziative e progetti che hanno visto protagoniste le associazioni cittadine, le scuole, la popolazione, professionisti ed amministratori ed è stato avviato un percorso di confronto e partecipazione, con l’obiettivo di riportare, attraverso opportune fasi si pianificazione, progettazione e gestione, al recupero funzionale degli antichi orti, armonizzando vecchie e nuove funzioni. Con un primo stralcio di interventi, a partire dal 2013, su circa tre ettari, è stato avviato il recupero dei fabbricati rurali, delle cisterne, degli acquari e ricostruiti gli ordini di terrazzamento che negli anni passati erano stati distrutti da privati per creare un parcheggio di circa 4.500 mq. Il percorso di rigenerazione avviato e l’impegno della società civile che sta operando attivamente, in sinergia con gli amministratori locali, nella definizione di una futura governance dell’area, rappresenta per la realtà mediterranea un’esperienza nuova e significativa, ricca di aspetti positivi e criticità, ma
utile spunto di riflessione e confronto per futuri interventi analoghi. INTRODUZIONE Il paesaggio pugliese è l’espressione del millenario rapporto uomo-natura e di processi storico-culturali complessi e stratificati: una matrice agro-ecosistemica connessa a relitti vegetazionali, all’urbanizzato ed alle reti di comunicazione, caratterizzata da un’originale opera di ingegnerizzazione, dalla stagionalità e regionalità delle colture. Attualmente, il modello ed il meccanismo di equilibrio tra i processi costitutivi hanno subito una sfasatura dovuta a complesse vicende politiche e socio-economiche: le conseguenze sono date dai fenomeni di cambio d’uso del suolo e di abbandono, la perdita di funzionalità e d’identità dei luoghi, i problemi di carattere ambientale, la scomparsa dei caratteri costruttivi mediterranei, oltre che lo spreco di risorse, la perdita della diversità, complessità e stabilità del paesaggio (Giorgino et al., 2007). A tal proposito, esempi in Puglia sono alcune superfici terrazzate della scarpata murgiana ed alcune aree ex-agricole nelle periferie urbane. Questi temi sono al centro delle politiche regionali che hanno fatto del paesaggio il cardine dello sviluppo sociale e dei vari settori economici. L’esperienza del PPTR, avviata in Puglia a partire dal 2007, e le politiche di rigenerazione urbana rappresentano le principali attività volte alla caratterizzazione dei valori del territorio regionale, alla risoluzione delle criticità generate dal rapporto uomo-paesaggio, alla definizione di regole d’uso, di trasformazione e costruzione del paesaggio stesso ed all’incentivazione delle forme di partecipazione attiva che vedono i cittadini pugliesi protagonisti del proprio presente, per il futuro della regione.
* Dottore Forestale e Paesaggista, libero professionista. 1 Parole chiave: Paesaggio culturale mediterraneo, governance, rigenerazione urbana.
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TOMMASO GIORGINO
IL CONTESTO DI RIFERIMENTO TRA PASSATO E PRESENTE
Gli orti extra moenia cingono il centro storico di Ostuni da nord-ovest a sud-est e sono un significativo esempio di ‘paesaggio culturale’ dal carattere evolutivo, caratterizzato da un’intensiva opera di terrazzamento ad uso agricolo e ricco di valenze storico-culturali, economiche, ecologiche e paesaggistiche. L’area è stata popolata a partire dal 1000 a.C., epoca di fondazione della prima città messapica e nei secoli successivi è andata rafforzandosi la sua
funzione produttiva: l’attività agricola era ripartita fra orticoltura, altamente redditizia, praticata sugli orti terrazzati, e l’olivicoltura, praticata nella piana costiera a nord. Gli orti, o meglio i ‘giardini’, come vengono ancora oggi chiamati dai residenti locali, erano permeati da una fitta rete di stradine, viottoli e scalinate a servizio degli stessi e che li relazionavano alla città, oltre a permettere il collegamento della città al territorio circostante. Costante nel tempo è stato il particolare uso delle risorse suolo, pietra e acqua, testimoniato da ri-
Fig. 1. Una immagine dell’aerea di studio negli anni ’50 che mostra alcuni orti terrazzati in produzione.
Fig. 2. Abbandono e degrado nell’area d’intervento nel 2010.
GLI ORTI EXTRA MOENIA
trovamenti di età messapica e romana, dalla presenza dei muri di recinzione, della viabilità pedonale, del reticolo di canali e cisterne utili al collettamento ed immagazzinamento delle acque meteoriche. Il mosaico paesaggistico, a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, a causa di una profonda crisi dell’orticoltura brindisina, della modernizzazione e dei profondi mutamenti dell’agricoltura, è stato interessato da significative trasformazioni, da un lento processo di degrado e di distacco strutturale e funzionale dalla città che richiede interventi di recupero, rifunzionalizzazione e un’attenta gestione. L’area in questione rappresenta un bene collettivo fondante l’identità della popolazione locale che, negli anni, ha reagito spontaneamente dando inizio ad un processo di rigenerazione, ben lungi dall’essere terminato. CRONACA DI UN APPROCCIO CONDIVISO ED INTEGRATO PER LA FUTURA GOVERNANCE
Nell’Europa centro-settentrionale e negli Stati Uniti, da decenni, si assiste a forme di partecipazione attiva di cittadini, singoli o aggregati, ad iniziative
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spontanee finalizzate all’utilizzo e riqualificazione di spazi urbani pubblici. Anche in Italia, sempre più di frequente, aree marginali, degradate e in abbandono vengono trasformate dalla ‘cittadinanza attiva’ in terreni coltivati, in grado di generare un miglioramento delle performance ambientali nei contesti urbani, dell’economia, del benessere sociale e psico-fisico: l’orticoltura urbana, sperimentata ormai da tempo, in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Campania, per citare solo alcune Regioni, sta assumendo proporzioni sempre più importanti e significative sotto il profilo della socialità, della sostenibilità, ma anche dell’autoproduzione e del mangiar sano; così, le complesse dinamiche socio-culturali, una crescente sensibilità delle popolazioni verso le tematiche ambientali ed il bisogno di rendere le città più vivibili stanno spostando l’attenzione dal principio di government a quelli più attuali di governance e citizen partecipation (Bussu, 2012). Ad Ostuni, da oltre dieci anni, intorno al tema degli orti extra moenia, si svolgono attività e progetti che vedono protagoniste le associazioni cittadine, le scuole, la popolazione, professionisti con diverse competenze ed amministratori; è stato, inoltre, avviato un percorso di
Fig. 3. La nuova viabilità pedonale in una vista prospettica di progetto.
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TOMMASO GIORGINO
confronto e partecipazione con l’obiettivo di riportare, attraverso fasi si pianificazione, progettazione e gestione, al recupero funzionale degli antichi orti. A partire dagli anni ’90 numerose sono state le iniziative sul tema: il Progetto OrtiCultura nel 1994 a cura del circolo locale ARCI; l’acquisizione al patrimonio comunale del primo ettaro di orti; lo studio presentato a Pistoia nel 2007, in occasione del primo convegno internazionale Vestire il Paesaggio; le attività svolte nel 2008 dall’ Istituto di Istruzione Secondaria Superiore ‘L. Pepe – A. Calamo’ nell’ambito del Programma Nazionale Scuole Aperte; l’assegnazione, da parte della Regione Puglia, del Premio Buone Pratiche di tutela del paesaggio per il progetto sulla valorizzazione degli orti che ha impegnato studenti del Liceo Classico ‘A. Calamo’, l’Istituto Agrario ‘E. Pantanelli’, Italia Nostra, Slow Food e Comune; la sottoscrizione da parte del Comune di Ostuni, nel 2013, del protocollo d’intesa stipulato tra Italia Nostra e ANCI sugli ‘orti urbani’. Così, il recupero degli orti è diventato, nei Piani dell’Amministrazione comunale, una priorità (Comune di Ostuni, 2003 e 2010).
Attualmente, da parte degli amministratori locali, con l’approvazione di uno specifico Regolamento e la pubblicazione di un bando finalizzato all’acquisizione di proposte, contributi d’idee e manifestazioni d’interesse, è stato avviato un percorso di codificazione dei processi di coinvolgimento diretto della popolazione alla gestione dei beni pubblici, attraverso la sottoscrizione di veri e propri “patti di collaborazione” tra pubblico e privati che prevedono la gestione condivisa anche degli stessi orti comunali. Pur trattandosi di un percorso articolato, non sempre organico e pianificato, che ha visto spesso confronti critici ed aspri tra le parti in gioco, questo è stato caratterizzato da alcuni principi fondanti: • la condivisione da parte di diversi attori locali; • l’eterogeneità degli attori coinvolti; • la spontaneità delle iniziative; • l’approccio integrato e multidisciplinare al tema, attraverso il coinvolgimento di sensibilità e competenze diverse. Tutto ciò sta permettendo di maturare, nel medio e lungo periodo, una salda consapevolezza sull’importanza del recupero e della corretta gestione degli orti.
Fig. 4. Cittadini e studenti durante una delle iniziative tra gli orti terrazzati.
GLI ORTI EXTRA MOENIA
PRIMI INTERVENTI DI RECUPERO NELL’AREA DEGLI ORTI EXTRA MOENIA Sulla base delle proposte d’intervento avanzate da cittadinanza e associazioni culturali attive in Ostuni e delle evidenze che il percorso pregresso ha generato, negli ultimi anni si è innescato un processo virtuoso che ha stimolato alcuni soggetti privati, proprietari di orti terrazzati, nel loro riutilizzo secondo protocolli di coltivazione bilogica, impiegando varietà orticole antiche e tradizionalmente coltivate in Puglie e nel Sud Italia. A partire dal 2011, per iniziativa del Comune di Ostuni, è stato anche redatto il Progetto di rigenerazione urbana nell’area degli orti terrazzati, con l’obiettivo di salvaguardare questo patrimonio storico, culturale ed ambientale. Finanziato nell’ambito del PO FESR Puglia 2007/2013, Asse VII, il progetto ha previsto interventi di rifunzionalizzazione dell’area e di ricucitura tra città e campagna, attraverso: • l’acquisizione al patrimonio comunale dei circa 3 ettari di superfici terrazzate che si sommano all’ettaro già acquisito nel 2008; • la realizzazione di interventi strutturali ed infrastrutturali di recupero dell’area; • la creazione di un modello di governance futura e di avvio della gestione. Nel 2013 è stato avviato il recupero dei fabbricati rurali, di cisterne e acquari, recuperati alcuni terrazzamenti ed i relativi percorsi di collegamento, oltre che la ricostruzione dei terrazzamenti distrutti abusivamente da privati, negli anni passati, per la creazione di un parcheggio di circa 4.500 mq. Per la razionalizzazione degli accessi all’area ed il collegamento tra la stessa ed il centro storico, sono stati in parte realizzati percorsi pedonali che andranno in futuro migliorati ed ultimati. Rispetto a quanto originariamente previsto in progetto, non è stato completato il recupero dell’antico sistema di collettamento delle acque meteoriche, non è stato realizzato il pozzo artesiano ed il nuovo impianto di adduzione idrica, necessario, insieme al sistema di recupero delle acque meteoriche, a riavviare l’attività orticola e a creare nuove aree verdi pubbliche; inoltre, solo in parte sono state realizzate le attività di animazione, elaborazione del modello di gestione ed avvio della stessa. RIFLESSIONI CONCLUSIVE: RISULTATI, EMERGENZE, CRITICITÀ E STRATEGIE FUTURE
L’attenzione per il recupero degli orti extra moenia di Ostuni rappresenta un’esperienza nuova e si-
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gnificativa per la realtà mediterranea, a volte svuotata del tradizionale concetto di comunità, spesso vocata agli individualismi, poco abituata agli approcci partecipativi nei progetti pubblici e relativamente ai temi della rigenerazione urbana e del paesaggio. Quanto fatto in questi anni offre spunti di riflessione in termini di risultati raggiunti, emergenze e criticità, permettendo di definire strategie future per il completamento di questo processo di rigenerazione urbana. Un risultato positivo è il concreto e consolidato percorso che ha coinvolto una pluralità di attori, capaci di stimolare, negli anni, l’attenzione delle amministrazioni locali e che stanno contribuendo a definire quella che sarà la futura governance. L’esperienza sta permettendo di ‘metabolizzare’ ciò che, per la gestione dei beni paesaggistici, rappresenta l’imprescindibile: l’attività di pianificazione e la visione di medio-lungo periodo al centro delle politiche e delle strategie gestionali. Tutto ciò permetterà di riallacciare il mosaico degli orti storici al centro storico ed al resto della città e alla cittadinanza di riappropriarsi dell’identità di un luogo caratterizzato da particolari valenze, ma per molti anni abbandonato in una lunga fase di attesa e degrado. Positivo è stato, anche, l’avvio del primo stralcio di lavori utili a rallentare i fenomeni di degrado strutturale e funzionale degli orti terrazzati. I risultati raggiunti, il numero e l’eterogeneità degli attori locali e gli output delle fasi di confronto e analisi degli anni trascorsi hanno palesato la potenziale multifunzionalità dell’area, al di là della storica vocazione orticola che manterrebbe la sua preponderanza; difatti, previa un’attenta progettazione, l’area si presterebbe ad ospitare aree verdi pubbliche, spazi aperti per mercatini, eventi culturali e ricreativi, un parco archeologico ed altri servizi di supporto alla collettività ed al turismo. Le criticità emerse, d’altro canto, riguardano soprattutto la fase di realizzazione degli interventi di recupero che in futuro dovranno necessariamente proseguire con un approccio coerente alle caratteristiche e valenze storico-archeologiche e culturali dell’area. Sarà necessario prestare più attenzione a questioni che, ad oggi, sono rimaste irrisolte: il problema della fruizione in sicurezza, dell’assenza di approviggionamento idrico, della necessità di nuova viabilità pedonale interna, discreta ed integrata al contesto. Dal punto di vista strategico, la risoluzione delle criticità non potrà prescindere dalla nascita di una governance solida e multidisciplinare, capace di dare maggiore spazio alle tensioni della cittadinanza attiva e di captare le risorse finanziarie che i Programmi della Comunità Europea mettono a disposi-
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TOMMASO GIORGINO
Fig. 5. I terrazzamenti ricostruiti durante i primi interventi di recupero nel 2013.
zione degli Stati membri e degli Enti Locali per la riqualificazione e la gestione del paesaggio. Così, nel rispetto della memoria storica e dell’originario assetto strutturale e percettivo degli orti, si potrà dare enfasi alla vocazione multifunzionale dell’area ed al mutato contesto socio-economico e culturale: meglio se con operazioni di marketing territoriale e pianificazione strategica che includano il progetto di recupero degli orti nel più ampio processo di rigenerazione dell’intero sistema urbano ostunese e del rapporto tra città e campagna circostante.
Bussu S., (2012). Governing with the citizens: strategic planning in four italian cities. PhD thesis, The London School of Economics and Political Science (LSE). Cassatella C., (2008). “Lo spazio dell’innovazione e la creazione di nuove identità”. In: Cillo B. (ed.) Nuovi orizzonti del paesaggio, Alinea , Firenze, pp. 35-53. Ciola, G., Giorgino, T., Maiorano, F., (2014). “Il recupero degli “orti extra-moenia” della Città di Ostuni”. Urbanistica informazioni, 255: 49-50.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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MARIA CRISTINA TULLIO*
L’AGRICOLTURA PERIURBANA TRA PERIFERIA E PARCHI A ROMA: NUOVI ESEMPI DI GOVERNANCE
PREMESSA La storia ci racconta della continua ricerca dell’uomo per ‘abitare’ sulla terra in ‘armonia’. Armonia è un termine classico che rimanda al tema della proporzione e della ‘giusta misura’ delle cose. Tale ‘giusta misura’, o equilibrio spaziale, proporzionale, adeguato inserimento nel paesaggio ed equilibrio ambientale sono obiettivi da raggiungere. “Guai a voi che aggiungete case a case e poderi a poderi fino a che c’è spazio! … starete voi soltanto sulla terra?” (Isaia, 3,8) La ricerca di questo difficile equilibrio è antica ma, oggi, è ancor più necessaria perché per abitare i luoghi, consumiamo suolo e natura con grande facilità e velocità e, soprattutto, produciamo strutture che, per funzionare, a loro volta consumano energia, producono rifiuti e inquinano l’aria. Dobbiamo, dunque, perseguire la ‘giusta misura’ nell’avviare ogni nuovo intervento e recuperare quanto più possibile l’esistente, compensando i consumi e i danni generati, equilibrandoli con interventi atti a creare armonia col pianeta e puntando alla ‘qualità della vita’ della collettività. Tale operazione di compensazione/armonizzazione può avvenire integrando quanto più possibile gli interventi urbani, che ‘consumano’, con quelli che ‘producono’ promuovendo, ad esempio, le pratiche agricole e produttive ‘in armonia’ col sito (con la sua natura, il suo paesaggio, la sua storia e tradizioni), creando un sistema simbiotico di scambio e arricchimento reciproco.
Ma non solo. Nell’ormai citatissima Enciclica Laudato sì1, nel passo 184, Papa Francesco ha sottolineato: “Quando compaiono eventuali rischi per l’ambiente che interessano il bene comune presente e futuro, questa situazione richiede “che le decisioni siano basate su un confronto tra rischi e benefici ipotizzabili per ogni possibile scelta alternativa”. Questo vale soprattutto se un progetto può causare un incremento nello sfruttamento delle risorse naturali, nelle emissioni e nelle scorie, nella produzione di rifiuti, oppure un mutamento significativo nel paesaggio, nell’habitat di specie protette o in uno spazio pubblico. Alcuni progetti, non supportati da un’analisi accurata, possono intaccare profondamente la qualità della vita di un luogo per questioni molto diverse tra loro, come ad esempio inquinamento acustico non previsto, riduzione dell’ampiezza visuale, la perdita di valori culturali, gli effetti dell’uso dell’energia nucleare. È importante leggere i testi biblici nel loro contesto, con una giusta ermeneutica, e ricordare che essi ci invitano a ‘coltivare e custodire’ il giardino del mondo (cfr Gen 2,15). Mentre ‘coltivare’ significa arare o lavorare un terreno, ‘custodire’ vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura”. “Coltivare e custodire”, dunque, considerando tali operazioni integrate e finalizzate al contemporaneo beneficio dell’essere umano e della natura, producendo cibo di qualità ma anche preservando l’ambiente e il territorio circostante e custodendolo, facendosi carico della sua manutenzione e salvaguardia.
* Presidente sezione Lazio AIAPP. 1 Citiamo l’Enciclica di Papa Francesco per il suo straordinario interesse per l’Italia, pari quasi a quello della Convenzione Europea del Paesaggio del 2000.
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MARIA CRISTINA TULLIO
ROMA AGRICOLA Il territorio di Roma è ricco di siti archeologici e di estese aree ‘verdi’ intorno alle quali e fra le quali è cresciuta la città ‘a macchia di leopardo’, lasciando spazi più ampi, come è logico che sia, nelle zone periferiche. Il sistema paesaggistico-ambientale di Roma Capitale è costituito da circa 86.000 ettari di territorio salvaguardato e protetto (pari a circa i 2/3 dell’intero territorio comunale), comprendente un patrimonio di aree estremamente diversificato e complesso, composto da aree naturali protette, aree verdi urbane (ville storiche, giardini, alberate stradali, ecc.), aree golenali (Tevere, Aniene, fossi affluenti) e aree agricole2. Queste ultime, che costituisco l’Agro romano, interessano una superficie di oltre 37.000 ettari che rendono Roma la città più agricola d’Europa. Da alcuni anni, a Roma si assiste ad un rinnovato interesse verso l’Agro romano, salvato nelle aree parco dalla speculazione edilizia, e si assiste all’avvio di nuove modalità di sperimentazione e coinvolgimento/condivisione collettiva nella gestione delle aree agricole pubbliche e perimetrali. L’interesse di tali iniziative è insito nel loro stesso meccanismo, in quanto ‘buone pratiche’ pubbliche, ma anche come possibile volano di promozione e avvio di iniziative private e pubblico/private, di agricoltura multifunzionale. La multifunzionalità nell’Agro romano, infatti, è d’obbligo perché qui non si può parlare di agricoltura nel territorio periurbano della capitale, senza parlare di cultura e di beni culturali date le numerosissime e importantissime presenze storico-archeologiche che lo punteggiano (e, quindi, senza parlare anche di turismo). L’Agro romano, come altri paesaggi agricoli, è caratterizzato da una grande ricchezza espressa o potenziale in termini di: • biodiversità; • funzione di rete ecologica;
• presenza di beni culturali e archeologici; • possibilità di integrare e affiancare alle produzioni agricole nuove lavorazioni e tecnologie per l’utilizzo delle fonti di energia rinnovabile; • ‘multifunzionalità’, fruitiva e produttiva, soprattutto connessa al turismo e al turismo rurale in particolare. Illustriamo alcuni esempi di ‘buone pratiche’ romane e laziali, che propongono nuove formule di condivisione e gestione delle aree rurali periurbane in cui si cerca di valorizzare e promuovere tali elementi. AREE PUBBLICHE A GIOVANI AGRICOLTORI Nel 2014, il Comune di Roma ha redatto un bando per l’assegnazione di alcune aree pubbliche a giovani agricoltori e questo è sicuramente un caso che va monitorato nel tempo per seguirne gli sviluppi. Così, anche la regione Lazio ha espletato un bando simile e “In poco più di un anno e mezzo ha erogato circa 200 milioni di euro, su un totale di 560 milioni di pagamenti effettuati dall’avvio della programmazione... valorizzando contestualmente la qualità dei progetti… e i cosiddetti pagamenti agro ambientali, vale a dire i contributi agli agricoltori che hanno scelto di introdurre o mantenere in azienda metodi di produzione biologici e/o ecocompatibili”. Sarebbe interessante verificare le caratteristiche di tali investimenti e le ricadute previste: quale cambiamento nel paesaggio e nell’utilizzo del suolo sarà determinato? INTERVENTI NELLE AREE PROTETTE GESTITE REGIONALE ROMANATURA
DALL’ENTE
Come accennato, Roma è circondata da un sistema di parchi e riserve naturali, gestite dall’Ente Regionale Roma Natura per un totale di 14.163 ettari di cui circa 10 mila ettari è rappresentato da superfi-
2 Per quanto riguarda le aree naturali protette, il territorio romano vanta ben 9 Riserve Naturali (Marcigliana, Valle dell’Aniene, Decima-Malafede,Laurentino-Acqua Acetosa, Tenuta dei Massimi, Valle dei Casali, Tenuta dell’Acquafredda, Monte Mario, Insugherata, per un totale di 14.163 ha), 2 parchi regionali urbani (Aguzzano e Pineto, pari a 303 ha), 3 Monumenti Naturali (Mazzalupetto, Galeria Antica e Parco della Cellulosa, pari a 318 ha) e un’area marina protetta (Secche di Tor Paterno, pari a 1.380), per un totale di 15 aree protette (16.164 ha), gestiti dall’Ente Regionale Roma Natura. Ci sono poi altre tre aree protette/parchi che interessano anche il territorio di comuni adiacenti: il Parco Regionale dell’Appia Antica, (3.400 ha, anche nei Comuni di Ciampino e Marino), il Parco Regionale di Vejo (15.000 ha, anche nei Comuni di Campagnano, Castenuovo di Porto, Formello, Magliano Romano, Mazzano Romano, Morlupo,Riano e Sacrofano) e la Riserva Naturale Statale “Litorale Romano” (15.900 ha, di cui 8.150 ettari a Roma e i restanti a Fiumicino). Per ciò che concerne le aree verdi urbane, nel 2014 le aree censite dal Catasto del verde e fruibili dai cittadini secondo la tipologia di area verde sono 1.792 per complessivi 4.013 ha. Esse sono suddivise in: verde storico archeologico (584 ha), grandi parchi urbani (1.786 ha), arredo stradale (331 ha), aree di sosta (201 ha), verde attrezzato di quartiere (1.084 ha), e verde speciale (26 ha), cui bisogna aggiungere le aree di verde scolastico (1.000 ha). Le aree golenali interessano, invece, una superficie complessiva pari a circa 1.600 ettari. L’estensione di verde urbano fruibile a Roma (somma di verde attrezzato, parchi urbani e verde storico) è di 16,5 mq per abitante.
L’AGRICOLTURA PERIURBANA
Figg. 1-8. Immagini del Giardino degli Orti dell’Alessandrino.
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cie agricola totale (Sat). Alcune aree circondano l’urbe, trovandosi a ridosso del Grande Raccordo Anulare, mentre altre si insinuano nel cuore della città e tutte offrono spaccati di paesaggio agricolo in città, caratterizzato da pascoli di ovini, campi di cereali, ‘orti’ utilizzati sia per il fabbisogno familiare che per la fornitura dei mercati rionali, con dovizia di presenze storiche e/o archeologiche e idriche. In particolare, da alcuni anni si assiste ad un potenziamento dell’utilizzo di alcune aree con finalità multifunzionali. Illustriamo più dettagliatamente due casi d’intervento pubblico in riserve naturali: 1. Nel Centro di Cultura Ecologica nella Riserva Naturale di Aguzzano, una serie d’interventi di ‘paesaggio’, di bio-edilizia e di produzione energetica hanno permesso di recuperare e rilanciare un sito che conserva i caratteri agricoli originari ma che oggi svolge nuovi ruoli e accoglie nuove funzioni. L’intervento, finanziato dalla Regione Lazio, con fondi per i quartieri svantaggiati e realizzato dal Dipartimento per le periferie nel 2008 riguarda la sistemazione di diversi spazi ubicati nell’area destinata a Centro di Cultura Ecologica della Riserva naturale del Parco di Aguzzano. In particolare, si tratta di un enclave agricola, salvata dall’espansione edilizia urbana, che ha mantenuto i caratteri rurali tipici del caratteristico Agro-romano. Qui è stata prevista la sistemazione di: • spazi esterni (recinzione per la messa in sicurezza dell’area, creazione di un nuovo ingresso per persone con disabilità, con una piccola piazzetta pedonale, sistemazione dell’ingresso esistente, arredi, attrezzature per la sosta, impianto di alberature e arbustive con funzioni dimostrative), • il recupero di attrezzature esistenti (fontanili, essiccatoio) • il restauro di manufatti edilizi (ex-stalla dei tori e fienile), con l’utilizzo di soluzioni energetiche alternative e di bio-architettura. Obiettivo e presupposto del progetto è stato quello di conservare e valorizzare/evidenziare il carattere e il paesaggio rurale dell’area, proponendo soluzioni adeguate alle mutate esigenza funzionali e con un carattere dimostrativo e ‘didattico’ consono al Centro di Cultura Ecologica. In particolare sono stati previsti: • la realizzazione della recinzione perimetrale e la creazione degli ingressi, ispirati alle caratteristiche ‘formali’ delle recinzioni agricole; • la sistemazione degli spazi esterni connessi al casale (spazi contermini, coinvolti dal cantiere di recupero, spazi esterni coinvolti dalla realizzazione delle strutture impiantistiche geotermiche,
ecc), con la creazione di un orto-giardino dimostrativo, di una vasca di recupero delle acque con funzione didattico-dimostrativa sulla fito-depurazione, col mascheramento dell’edifico della caldaia tramite la creazione di un pergolato con la vite di uva fragola bianca ‘maritata’ con rose e altre rampicanti a fioritura stagionale differenziata, la creazione di una pergola fotovoltaica che funge da struttura umbratile per la didattica ambientale e il recupero e la valorizzazione di un fontanile-abbeveratoio preesistente; • l’impianto di alberature, siepi di piccoli frutti, rampicanti, bulbi, piante acquatiche e palustri si unisce la creazione di prati (non irrigati) con valore dimostrativo, per esempio, con piante foraggifere nell’area dell’impianto geotermico e con prati fioriti ottenuti tramite la selezione di specie tipiche dell’agro romano circostante. • le opere necessarie al recupero del Casale con materiali e criteri di bio-architettura, dal rifacimento della copertura (ventilata), alla realizzazione di tutte le finiture usando prodotti di bio-edilizia (pavimentazioni, isolamento, intonaci e pitture parietali, ecc), a tutte le dotazioni impiantistiche interne (sistema di riscaldamento a pavimento a secco, impianto elettrico a stella, recupero dell’acqua), l’utilizzo di sistemi di produzione energetica rinnovabile, (geotermico e fotovoltaico); • la sistemazione del fienile, tramite il consolidamento strutturale e il rifacimento del tetto, la realizzazione di un nuovo solaio e di una scala, la disposizione di un parapetto perimetrale, ed il collegamento impiantistico elettrico e idrico per utilizzarlo come belvedere, per la didattica ambientale, o la lettura (il centro di cultura ecologica ospita una biblioteca specializzata) e per eventi vari (cinema o spettacoli all’aperto). Oltre alla polifunzionalità della pergola fotovoltaica è importante qui rilevare come nell’ampio prato seminato a foraggio (come in origine), sia stato possibile creare un sistema di geo-sonde per il riscaldamento del casale, integrando così le antiche funzioni agricole (che qui oggi acquistano un carattere solo dimostrativo), con nuovi utilizzi di produzione energetica geotermica. Anche se oggi ne’ gli edifici, ne’ gli spazi hanno più l’originaria funzione produttiva, infatti, nella Riserva del parco di Aguzzano, questo brano di paesaggio e d’insediamento agricolo preservato della periferia romana, svolgono un importante ruolo culturale, dimostrativo e comunicativo e come spazi d’incontro collettivo e multifunzionale. Il successo dell’intervento è dimostrato, infatti:
L’AGRICOLTURA PERIURBANA
• dal fatto che la biblioteca ambientale (che esisteva da anni) è letteralmente ‘decollata’ (registrando un quotidiano overbooking di richieste dei fruitori), sicuramente grazie all’ottima capacità organizzativa dei gestori ma anche e solo dopo la sistemazione dei suoi spazi esterni e del nuovo sistema di accessibilità; • dalla nascita nell’area di un mercato agro-alimentare periodico a km zero e con prodotti biologici; • dalla nascita di un confinante orto sinergico ‘collettivo’, voluto e realizzato dai cittadini, proprio al confine e assieme al Centro di Cultura Ecologica di Aguzzano. Grazie ai fondi europei e alla promozione e assistenza dell’Ente Roma Natura, molte aziende agricole, oggi, stanno avviando formule innovative di gestione e promozione. Fra queste citiamo, ad esempio, una neonata associazione di produttori nella tenuta di Acquafredda o la più antica Cooperativa denominata Agricoltura Nuova a Decima Malafede, che svolgono attività di gestione di orti urbani biologici e attività ‘multifunzionali’ connesse al turismo nell’area, o le nuove coltivazioni di lenticchia nel quartiere romano del Trullo, o altre attività di alcune aziende site nella riserva della Marcigliana. 2. Anche per promuovere e sostenere le attività di queste ultime, oltre che per rilanciare l’utilizzo e promuovere la conoscenza del patrimonio storico, paesaggistico e ambientale della Riserva Naturale della Marcigliana, recentemente è stata realizzata la sistemazione/recupero di un itinerario turistico, pubblico, con fondi del PSR 2007-2013 nei pressi della Casa del Parco della Riserva. In particolare, il Municipio III del Comune di Roma, quale Ente di Prossimità, insieme all’Ente Regionale RomaNatura hanno ottenuto un finanziamento europeo per la sistemazione di un percorso preesistente che attraversa un tratto di paesaggio coltivato nella Riserva. Il territorio di quest’ultima è caratterizzato da importanti insediamenti archeologici fra cui spiccano i resti della città di Crustumerium, una delle più antiche del Lazio protostorico e tutto il territorio è caratterizzato dalla presenza di un sistema di Casali spesso costruiti su nuclei di ville romane – che insieme ad un sistema di torri di avvistamento – tipiche di molti tratti dell’Agro romano –, punteggiano il paesaggio. Quest’ultimo che, dal punto di vista morfo-
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logico è alimentato da un ricco sistema idrografico che lo rende particolarmente fertile e produttivo, dal punto di vista paesaggistico e morfologico mostra un susseguirsi di valli e vallecole solcate da fossi (a carattere torrentizio e/o alimentati da sorgenti e fontanili), con un dolce andamento orografico, creando ambiti paesaggistici diversificati, con visuali prospettiche aperte e chiuse, che determinano una concatenazione di ‘paesaggi’ e una struttura naturale ricca di biodiversità. Il progetto presentato ha previsto due diversi lotti d’intervento: • il primo, inaugurato a luglio 2015, relativo a opere finanziate con fondi del PSR 2007-2013; • l’altro, che si spera di poter avviare con il prossimo PSR 2014-2020. Gli interventi realizzati hanno riguardato: • il ripristino di un itinerario esistente di circa 2.200 metri, già realizzato dall’Ente Regionale RomaNatura alla fine degli anni novanta, in prossimità della Casa del Parco; • l’attrezzatura di aree sosta per l’osservazione del paesaggio, la didattica ambientale per gruppi e famiglie, l’incremento delle specie vegetazionali, anche con finalità dimostrative e didattiche. Tali aree sono state dotate delle attrezzature necessarie a svolgervi attività di vario tipo (didattica, concerti, iniziative per gruppi numerosi, ecc), al fine di attrarre un ampio target di pubblico per sensibilizzarlo e ‘avvicinarlo’ alla natura del sito, ma anche per promuovere le attività imprenditoriali agricole presenti nella Riserva. La Passeggiata inizia in un’area di sosta, con tavoli per merende disposti in un frutteto di antichi cultivar laziali, scelti fra specie citate da Plinio e Columella (e quindi utilizzate dagli antichi romani) e con piante officinali e aromatiche tipiche della nostra macchia mediterranea, anch’esse note e utilizzate in epoca romana3. La passeggiata di circa 2.200 metri, corre ai margini di una spalletta boschiva e di campi coltivati, fino a raggiungere l’‘Aula verde’ che permette di godere della valle del fosso di Tor San Giovanni, con lo sfondo della Torre omonima, prosegue attraversando il fosso le Spallette (in cui sono state piantate 150 piante palustri tipiche della flora ripariale del sito), attraversando un guado per raggiungere un’altra area di sosta, creata a ridosso di una sorgente di antiche origine (presumibilmente preromane) di grande fascino e interesse, che alimenta una serie di
3 Virgilio nelle Georgiche (I,88) citano le pere dette appunto crustumine perché l’area era famosa nell’antichità per la fertilità del suo terreno.
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Fig. 9. Centro di Cultura Ecologica della Riserva naturale di Aguzzano.
Fig. 10. Centro di Cultura Ecologica della Riserva naturale di Aguzzano.
L’AGRICOLTURA PERIURBANA
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Fig. 11. Centro di Cultura Ecologica della Riserva naturale di Aguzzano.
‘vasche moderne’ per abbeverare le greggi. Da qui, lungo la strada asfaltata, si può proseguire, verso le aziende agricole e agrituristiche presenti, o completare l’‘anello’ della Passeggiata e raggiungere la Casa del Parco e il parcheggio. Alle iniziative connesse all’inaugurazione della passeggiata (concerti, degustazione a base di latticini e prodotti del territorio, passeggiata guidata), seguiranno iniziative quali un mercato agro-alimentare periodico a km zero, iniziative di didattica ambientale, escursioni a piedi, in bici e per persone con disabilità, attività creative partecipate, organizzate con le associazioni e i produttori del territorio che contribuiranno alla manutenzione della passeggiata, usufruendo degli spazi per le loro attività di promozione. ORTI CONDIVISI GESTITI COME AGRO-CLUB 3. Un altro esempio d’interesse è quello della realtà che si sviluppa fra il quartiere Alessandrino e della Mistica (toponimo derivante da ‘misticanza’) nell’attuale Municipio VI (ex VII) del comune di Roma.
Qui siamo fuori dalle aree protette del comune di Roma ma nei pressi dell’acquedotto Alessandrino e qui, su richiesta dei cittadini, nel 2010 è stato realizzato il Giardino degli orti, con fondi regionali dall’allora Municipio VII. Tale opera, realizzata con la partecipazione attiva delle associazioni di cittadini del territorio, è oggi gestito dagli stessi con successo con una formula innovativa ideata dal dott. Paolinelli: l’Agroclub, pensato come un club sportivo, ma per coltivare singole particelle orticole di 40 mq ciascuna, usufruendo delle strutture di base necessarie al funzionamento dell’orto (irrigazione, spazio d’incontro e scambio collettivo, riparo attrezzi, wc, ecc). La realizzazione del Giardino degli orti e la gestione come Agroclub (pubblico) dell’Alessandrino, ha permesso di salvare quest’area di parco pubblico dalla sua trasformazione in un parcheggio per 330 auto e, inoltre, ha permesso di creare una sinergia pubblico-privata per la gestione e manutenzione di parte del Parco Alessandrino. La cooperativa biologica e sociale, Agricoltura Capodarco ha contribuito all’avvio dell’Agroclub e, non distante dal Giardino degli orti, sta gestendo un’ampia realtà agricola: la Tenuta della Mistica che
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Fig. 12. Immagini della Passeggiata della Bio-diversitè nella Riserva Naturale della Marcigliana.
offre spazi per la didattica e per la vendita e promozione di prodotti agricoli biologici di qualità. A tale tenuta si può accedere percorrendo un tratto della via Francigena del sud, parallela all’acquedotto Alessandrino e anche in questo caso è significativa la connessione esistente nel territorio fra storia, beni culturali, tradizioni e attività produttive. Anche in questo caso la commistione fra agricoltura, archeo-
logia e turismo culturale e rurale, con spazi per svolgervi attività di socializzazione e sensibilizzazione, rende queste esperienze interessanti ed illuminati sulle possibili strade da intraprendere per promuovere e mantenere il territorio ‘coltivandolo e custodendolo’, ma anche migliorando la qualità della vita dei cittadini che fruiscono del paesaggio periurbano rurale di Roma.
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MARIO SARTORI
PARTECIPAZIONE, PAESAGGIO E AGRICOLTURA PERIURBANA
Partecipare significa poter svolgere un ruolo attivo in un avvenimento o in un processo. In questa chiave partecipare significa poter influire sull’esito del processo ed è questo il profilo che distingue la partecipazione da altre forme di interazione con cui spesso viene confusa come la comunicazione, l’informazione, il dialogo. L’importanza della partecipazione può essere letta sotto il profilo dell’ampliamento della democrazia – maggiore informazione, maggiore interazione tra cittadini e decisori – ma anche come opportunità per permettere ai cittadini singoli o ai soggetti organizzati di assumere, in una logica di sussidiarietà, ruoli propositivi, deliberativi ed attuativi nei processi di governo e trasformazione del territorio e del paesaggio. In questi ultimi la partecipazione dovrebbe assumere una rilevanza maggiore rispetto ad oggi se non altro perché sulle trasformazioni che toccano l’ambiente di vita dei cittadini il loro punto di vista, (che oggi non viene indagato e non conta), deve, in base alla Convenzione Europea del Paesaggio (CEP), assumere un ruolo centrale. La CEP infatti si basa sull’assunto che il paesaggio debba diventare, superando una logica strettamente specialistica e una visione dirigistica delle scelte in materia, “...un tema politico di interesse generale, poiché contribuisce in modo molto rilevante al benessere dei cittadini euro1
pei che non possono più accettare di subire i loro paesaggi, quale risultato di evoluzioni tecniche ed economiche decise senza di loro. Il paesaggio è una questione che interessa tutti i cittadini e deve venir trattato in modo democratico, soprattutto a livello locale e regionale”.
È indispensabile dunque raccogliere esigenze, istanze, interessi ed attese delle comunità locali e costruire contesti partecipativi dove queste attese possano interagire e confrontarsi con le soluzioni e le scelte in fieri che riguardano la biodiversità e il paesaggio. Questo approccio va affermato nella pianificazione delle aree protette ma anche nella costruzione di tutte le decisioni ad alta incidenza territoriale, naturalistica e paesistica. L’importante è che in ciascun passaggio formalizzato del processo di costruzione delle decisioni, quanto emerge dal percorso partecipativo sia essere messo in evidenza in modo da poterlo raffrontare con la risposta del piano1. Nonostante l’ampio repertorio di indirizzi, Convenzioni, Direttive sulla partecipazione e sulla sua particolare finalizzazione alle strategie per la sostenibilità, è assente in Italia una legislazione quadro sulla partecipazione dei cittadini, mentre stiamo assistendo a una certa diffusione di leggi regionali in materia, a partire dalla Regione Toscana ‘apripista’.
Il provvedimento deliberativo d’avvio di un processo decisionale dovrebbe sempre (anche in base alle direttive europee) indicare quali iniziative e quali strumenti partecipativi siano previsti nella fase di definizione, attuazione e monitoraggio del piano/programma. Analogamente negli elaborati del piano/programma devono essere evidenziati, anche con apposite tavole, relazioni o norme attuative i contenuti analitici o prescrittivi dettati o influenzati dal percorso partecipativo. È anche importante che si mettano in evidenza quali esiti della partecipazione dovranno avere influenza nei provvedimenti attuativi del piano/programma (progetti, norme attuative, piani di settore…) e negli indirizzi verso altri livelli di pianificazione (es dal PTCP al piano urbanistico comunale o alla progettazione di un’infrastruttura). In particolare dovremmo ritrovare l’esito della partecipazione innanzitutto nei verbali, nei piani d’azione o nei report approvati dai forum del processo partecipativo, ma anche nei passaggi consultivi previsti formalmente dalle procedure (es. osservazioni ai piani), elle banche dati e nei GIS di analisi territoriale (dove vanno riportati anche i punti di vista, le conoscenze e le valutazioni della comunità raccolte attraverso le inchieste, i sopralluoghi, i tavoli di lavoro e le altre attività partecipative), nelle relazioni preliminari agli atti deliberativi di approvazione di piani programmi, progetti, negli atti deliberativi che riguardano la biodiversità e il paesaggio anche per le attività gestionali (piani di manutenzione di infrastrutture), nei piani di gestione di aree protette o comunque sottoposte a gestione naturalistica, negli strumenti di programmazione e di bilancio degli Enti locali (in particolare attraverso i Bilanci partecipativi), nelle VAS che accompagnano piani e progetti rilevanti per la biodiversità e il paesaggio
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MARIO SARTORI
Fig. 1. Gli ortisti della Barona con la prima compostiera.
Fig. 2. Meeting progetto Cives Cascina Battivacco.
Fig. 3. Meeting dell’Ecomuseo alla ex Fornace.
Se prendiamo in considerazione invece la legislazione più specificamente orientata al governo delle risorse territoriali una particolare enfasi sul ruolo della partecipazione la troviamo nella Direttiva sulle acque2 del 2000 e, soprattutto, nella Convenzione europea del Paesaggio3 (Firenze, 2000).
Uno dei pilastri di quest’ultima infatti è costituito dall’affermazione della centralità del punto di vista delle comunità locali sulle scelte che interessano il loro ambiente di vita e nella definizione stessa di Paesaggio: “Paesaggio designa una parte di territorio così come è percepita dalle popolazio-
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Direttiva 2000/60/CE, recepita con il D.lgs 152/2006. Recepita dal D.Lgs 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) e successive modifiche ed integrazioni (D.lgs 157/2006 e 63/2008) e formalmente ratificata con la Legge 14 del 9 gennaio 2006. 3
PARTECIPAZIONE, PAESAGGIO E AGRICOLTURA PERIURBANA
ni, il cui carattere risulta dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni” (CEP, Art. 1). Su questa base, come vedremo meglio più avanti, la Convenzione pone l’attenzione sulla necessità di definire e di attuare un’organica “Politica del Paesaggio” (art.5). concepita come la matrice strategica su cui fondare gli obiettivi di qualità paesaggistica (art.6) da perseguire attraverso le scelte urbanistiche, la pianificazione ambientale, le politiche di incentivazione e di gestione dell’agricoltura, le modalità di progettazione e di realizzazione delle opere pubbliche e dell’edilizia privata. C’è tuttavia ancora una grande distanza tra gli indirizzi e le prescrizioni di questo corpo normativo e la pratica della partecipazione in Italia: Gran parte delle norme e dei criteri della Convenzione Europea del paesaggio, ma anche della Water Framework, di Aarhus, della Vas o del Countdown 2010, sono del tutto disattesi o applicati in modo minimalista o distratto. L’offerta non soddisfacente di partecipazione qualificata da parte della pubblica amministrazione (con le dovute eccezioni) e la flebile domanda di partecipazione da parte delle comunità locali (sempre con le dovute eccezioni quasi sempre legate ad occasioni di conflitto tra scelte pubbliche e sensibilità delle comunità interessate) si giustificano l’un l’altra, o, al più, si addossano vicendevolmente la responsabilità dell’inerzia partecipativa. Ciò avviene in particolare in un contesto, quello delle politiche del territorio, della biodiversità e del paesaggio, in cui piani, programmi e iniziative si rivelano nella maggior parte dei casi opera esclusiva di pochi addetti ai lavori e di settori estremamente specializzati dell’amministrazione e della ricerca scientifica. Si tratta di piani e progetti che spesso manifestano anche scarsa autorevolezza nell’affermare le necessarie priorità degli obiettivi di qualità paesistica e naturalistica rispetto agli obiettivi di altri piani o iniziative di settore (si pensi all’obiettiva debolezza di molti piani paesistici o dei vincoli di tutela naturalistica di fronte a piani-progetti di grandi opere). In questa chiave la mancata partecipazione alle definizione delle misure del piano che apparentemente poteva apparire – agli occhi degli amministratori e dei tecnici/progettisti – un fattore di autorevolezza e di acceleratore delle decisioni, diventa invece un fattore di grande criticità in quanto gli obiettivi e le misure del piano finiscono per non essere capiti, condivisi ed appoggiati dalla comunità di riferimento.
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LA PARTECIPAZIONE IN RETE (e-participation) Nei (rari) contesti e nelle occasioni in cui viene offerta ai cittadini la possibilità di partecipare – nella prospettiva, a cui abbiamo fatto più volte cenno, di poter influire sulle decisioni – è chiaro che il primo nodo da sciogliere è quello delle modalità e del ‘luogo’ in cui i cittadini potranno esercitare la loro opzione partecipativa. Una parte delle criticità che hanno segnato la storia degli ultimi dieci anni dei processi partecipativi in Italia trae origine dal fatto che, pur in presenza di alcuni promotori (Pubbliche amministrazioni) disponibili al confronto e al recepimento di istanze e contributi dalla comunità in ordine a temi e progetti d’interesse generale, gli strumenti, gli ambienti e le metodologie di comunicazione-iterazione si siano rivelate inadeguati, frustranti o inaccessibili per i partecipanti o i potenziali partecipanti. In queste occasioni la difficoltà a prender parte come si potrebbe o come si vorrebbe, si manifesta innanzitutto nella difficoltà a presenziare per disagio (distanze, orari, impegni, età, salute…) o a presenziare con continuità. Qualora invece si riesca a partecipa al forum o alle altre istanze partecipative nel territorio, possono insorgere altri fattori di criticità che riguardano: • la disomogeneità nel possesso o nell’accesso alle informazioni importanti che potrebbero permettere di influenzare il dibattito o i suoi esiti, • la difficoltà di apportare i propri contributi informativi o di palesare le proprie opinioni o proposte a causa soprattutto della mancanza di tempo durante gli incontri spesso molto rarefatti, • della mancanza di pariteticità che si manifesta nel gap tra ruoli forti e ruoli deboli sin dalle prime battute del percorso, • di una scadente organizzazione dei lavori che privilegia l’ex-cathedra o di carenze nella gestione del ‘tavolo’ (facilitazione), • di difficoltà personali ad esporre coram populo le proprie opinioni, • la difficoltà a finalizzare il dibattito e a concluderlo con l’assunzione di deliberazioni o scelte precise. Si tratta di criticità niente affatto sporadiche nei processi partecipativi vis a vis che per loro natura richiedono un’interazione sincrona e che possono trovare soluzioni interessanti ed innovative – anche se non necessariamente sempre risolutive – negli ambienti e negli strumenti di partecipazione on line, caratterizzati da una interazione asincrona. Ma non è solo questo; la partecipazione attraverso la rete (e-participation) infatti presenta, al di là del confronto dei pregi e dei limiti rispetto all’interazione vis a vis, propri specifici requisiti e potenzialità
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MARIO SARTORI
che sono riconducibili alla moltiplicazione delle possibilità di contatto e di interazione ma anche di visibilità, aggregazione e di ‘trascinamento’ che possono avere i singoli, ma anche le loro idee e proposte. Un altro elemento che caratterizza l’interazione on line che ci interessa particolarmente in questa sede è costituito dalla ricchezza ed attrattività del patrimonio informativo, culturale e documentale che può essere costruito e condiviso in rete. ESPERIENZE PER LA DEFINIZIONE DI PROGETTI
SUL TEMA DELL’AGRICOLTURA PERIURBANA,
DEL PAESAGGIO AGRARIO E DELLA PARTECIPAZIONE ALLA LUCE DELLA
CONVENZIONE EUROPEA
In questo quadro Fondazione RCM – Rete Civica di Milano4 ha condotto e sta conducendo in prima persona esperienze progettuali che perseguono gli obiettivi della CEP e mettono in campo specifiche azioni sul tema dell’agricoltura periurbana e della funzione degli agro-ecosistemi intorno e dentro la città (con particolare riferimento alla realtà milanese). IL PROGETTO CIVES (CITTADINI VERSO LA SOSTENIBILITÀ) 2010-20125 HTTP://WWW.CIVES.PARTECIPAMI.IT Con il progetto Cives si è riusciti a costruire, dentro un percorso partecipativo durato quasi due anni, occasioni di confronto e di collaborazione tra: • le aziende agricole (e loro associazioni) che operano nella pianura irrigua a ridosso di Milano (Parco Sud Milano), • l’Amministrazione di Milano (comune e Consigli di zona 5 e 6), • associazioni e cittadini attivi sui temi del paesaggio, dell’ambiente e della riqualificazione urbana, con il risultato di condividere alcune importante proposte e scelte in materia di rapporto città - campagna, riqualificazione del sistema dei Navigli e della Darsena, valorizzazione del territorio agricolo e dell’offerta di prodotti e servizi dell’agricoltura peri-urbana.
Le attività principali che sono state condotte si sono tradotte: • nella lettura partecipata della storia del territorio (Darsena/Navigli e Parco delle Risaie), • nella valorizzazione dei soggetti, dei progetti e delle iniziative che concorrono a ricostituire il patrimonio delle risorse (beni) comuni, • nell’elaborazione degli scenari delle potenzialità e delle progettualità sul tema della connessione città-campagna (spazi, regole e metodi per portare proposta di beni, di paesaggio e di cultura dell’agricoltura urbana dentro la città), • diffusione, via web, del materiale informativo e delle mappe interattive delle aziende agricole, dei Gas e dei progetti di riqualificazione urbana, • inchieste (interviste filmate e questionario on line), • coinvolgimento della cittadinanza e dei soggetti attivi del territorio in eventi ed iniziative, • definizione di una carta d’impegni finale con l’evidenza delle proposte finali maturate nel corso del progetto. IL PROGETTO MI compORTO 2012-2014 HTTP://WWW.PARTECIPAMI.IT/INFODISCS/INDEX/38 Il progetto MI compORTO6 ha avuto l’obiettivo di sperimentare un modello metodologico, gestionale e tecnico-operativo – ivi compresa l’autocostruzione delle attrezzature necessarie – per il compostaggio domestico applicato agli orti urbani. Il secondo obiettivo (stili di vita, senso civico) era quello di promuovere lo spirito di cooperazione per la sostenibilità e l’efficienza energetico-ambientale degli stili di vita dei membri della comunità dei concessionari degli orti (ortisti) costruendo opportunità di: • Conoscenza – informazione – formazione, • Partecipazione, • Creatività, • Responsabilità, • Spirito d’iniziativa. La sperimentazione si è svolta in due località di orti a gestione pubblica (Comune di Milano/CdZ 6) –
4 Fondazione RCM - Rete Civica di Milano è una fondazione di partecipazione no profit, nata nel 1998 dal Laboratorio di Informatica Civica dell’Università degli Studi di Milano (LIC) che ha dato vita nel 2006 alla piattaforma partecipaMi (www.partecipami.it) gestita con il software openDCN (www.opendcn.org) sviluppato dalla stessa Fondazione RCM. I suoi Enti fondatori sono l’Università degli Studi, la Regione Lombardia, la Provincia di Milano, la Camera di Commercio di Milano e l’Associazione libera Informatica Civica. FRCM nasce con lo scopo di “progettare, gestire e sostenere ambienti di partecipazione attiva dei cittadini, avvalendosi di strumenti digitali, informatici e telematici, nei processi di formazione, adozione e valutazione delle decisioni e dei servizi di pubblico rilievo”. (art 2 Statuto FRCM). 5 Cofinanziato da Fondazione Cariplo – bando Comunità sostenibili 2010. 6 Cofinanziato da Fondazione Cariplo – bando Comunità sostenibili 2012.
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gli orti della Barona e gli orti del Parco dei fontanili nel quartiere di Bisceglie – in collaborazione con le associazioni degli ortisti che hanno in concessione gli appezzamento ortivi. Il primo obiettivo del progetto Mi compORTO è stato quello di creare, una comunità che prendendosi cura di una parte dei rifiuti che essa stessa produce volesse e fosse in grado di: • Ridurre i rifiuti che conferisce al circuito pubblico di raccolta e smaltimento, • Accompagnare l’introduzione dei servizi di raccolta differenziata della frazione umida avviati dal comune di Milano e dall’azienda Amsa dalla fine 2012 e rispetto alla quale l’iniziativa rappresenta, per le famiglie coinvolte, un elemento rafforzativo di incentivazione ad un’attenta separazione dei rifiuti organici, • Riciclare direttamente una parte consistente dei rifiuti organici e la totalità degli scarti verdi prodotti dalla comunità interessata al progetto, producendo compostato misto (verde + organico) di qualità, • Utilizzare direttamente il compost presso gli orti urbani in concessione alle associazioni espressione della comunità stessa, • Costruire un modello metodologico, gestionale e tecnico-operativo – ivi compresa l’autocostruzione delle attrezzature necessarie – per il compostaggio domestico applicato agli orti urbani. IL PROGETTO Ecomuseo della città AVVIATO
A NOVEMBRE 2014 (SI CONCLUDERÀ A DICEMBRE 2016) HTTP://WWW.MUMI-ECOMUSEO.IT/
Il progetto di costituzione di un Ecomuseo della Città a sud7 fa diretto riferimento allo spirito e alle intenzionalità del bando con cui Fondazione Cariplo intende promuovere il protagonismo culturale dei cittadini con l’obiettivo di stimolare la partecipazione attiva dei cittadini alle iniziative promosse nei “luoghi della cultura” ovvero negli spazi che, sul territorio, sono destinati alla pubblica fruizione della cultura: musei, archivi, biblioteche, aree archeologiche, teatri, sale da concerto, piccole sale cinematografiche, centri culturali, ecc. Il contributo che il progetto porterà alla definizione dell’identità e della vocazione funzionale dello spazio della ex-Fornace (edificio dell’Amministrazione comunale di Milano posto sull’Alzaia Naviglio pavese a pochi passi dalla Darsena ristrutturata) si può rintracciare negli obiettivi, nelle metodologie, negli investimenti e nelle azioni specifiche che sono proposte: 7
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1. Valorizzare l’importanza dello scambio con e tra i cittadini e i portatori di esperienze, abilità e creatività favorendo la comunicazione e la narrazione sui temi della vita e delle relazioni sociali, del territorio e delle sue trasformazioni; Saper e poter raccontare, sapere e poter ascoltare, sapere e poter comunicare. 2. puntare sulle nuove tecnologie nel rendere disponibili informazioni sulle risorse e i beni ambientali, nell’aggregare con l’apporto dei cittadini nuove informazioni, nuovi contenuti e proposte culturali, nel dar vita a progetti culturali e nel far partecipare la cittadinanza alla formazione di decisioni ed iniziative in campo culturale. Le nuove tecnologie allargano la comunità dei partecipanti (protagonisti e fruitori), preservano le parole, i saperi, le esperienze e le narrazioni e permettono di condividere nel tempo e nello spazio risorse e contenuti culturali che altrimenti si disperderebbero e si consumerebbero nell’immediatezza dell’evento e dell’esperienza. Puntare sulle nuove tecnologie (piattaforma partecipativa, base di dati sui contenuti culturali e partecipativi, sistema di interconnessione con banche dati sui beni culturali, soluzioni fruitive e espositive multimediali) significa rendere disponibili informazioni sulle risorse e i beni ambientali, aggregare con l’apporto dei cittadini nuove informazioni, nuovi contenuti e proposte culturali, permettere di dar vita a progetti culturali, offrire un importante supporto alle iniziative educative, formative e ai laboratori delle parole e della creatività, potenziare le possibilità di partecipazione della cittadinanza alla formazione di decisioni ed iniziative in campo culturale, civico e sociale. Seguendo gli studi e le esperienze che mettono il luce il ruolo dei media digitali nella valorizzazione dei patrimoni culturali, il progetto si concentra sul ruolo che le ICT possono avere come strumenti per: a. facilitare l’accesso e la fruizione di contenuti culturali da parte delle comunità; b. permettere un’ampia condivisione dei contenuti e delle conoscenze in possesso dei cittadini e degli attori territoriali che vengono coinvolti nei progetti tematici, c. attivare narrazioni transmediali in grado di coinvolgere anche emotivamente i cittadini nei progetti a tema (acque, rapporto città-campagna, memoria e scenari delle trasformazioni sociali e territoriali) d. creare ambienti performativi che permettano modalità avanzate e innovative di fruizione/interazione con i contenuti digitali collezionati nel corso del progetto Ecomuseo della Città, e che
Cofinanziato da Fondazione Cariplo – bando Protagonismo culturale dei cittadini 2014.
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MARIO SARTORI
Fig. 4. Agricoltura sull'acqua progetto Cives.
Fig. 5. La piattaforma di MUMI - www.mumi-ecomuseo.it.
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Figg. 6-7. la Fornace prima e dopo la ristrutturazione con le attrezzature multimediali.
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potranno comprendere un ampio spettro di iniziative (non solo quelle che il progetto metterà direttamente in campo) che faranno base nella struttura della Ex-Fornace. L’ambiente di interazione e partecipazione on line rappresenta l’elemento portante dell’intero sistema ICT del progetto in quanto gli strumenti che vengono messi a disposizione e le modalità di coinvolgimento che la piattaforma permette contribuiscono significativamente al raggiungimento dell’obiettivo dell’allargamento del protagonismo culturale dei cittadini con particolare riferimento alla possibilità di: • comunicare, attraverso la mappatura on line, la propria proposta e la propria esperienza artistica e culturale, informare sulle iniziative e poter ricevere commenti, richieste e feedback, • proporre progetti ed iniziative ed avanzare la propria disponibilità, capacità ed interesse a collaborare con altri protagonisti e decisori nell’organizzare eventi ed iniziative di carattere formativo, culturale e civico-partecipativo e costruire partenariati • costruire a più mani collezioni e palinsesti di eventi e exibitions e proporli, condividerli direttamente attraverso la rete ma anche nella sede della ex Fornace attraverso le postazioni e le attrezzature interattive e multimediali, • organizzare materiali e documentazioni per le esperienze formative ed educative (digitale attivo) che vedranno coinvolti i cittadini non solo come fruitori ma come protagonisti della trasmissione dei saperi, delle memorie e delle esperienze, • partecipare alla formazione delle decisioni e dei programmi in campo culturale e civico con particolare riferimento alla costruzione e condivisione dell’agenda delle attività che il progetto Ecomuseo della Città metterà in campo, ma an-
che alla formazione di decisione di bilancio e di sostegno e programmazione delle attività culturali da parte dell’amministrazione locale (bilancio partecipato per il sostegno ad attività culturali e partecipative). Gli investimenti nelle soluzioni hardware e software e nelle attività di gestione della piattaforma e del sistema informativo associato che il progetto mette in campo resteranno, alla fine del progetto biennale, in dotazione/proprietà dell’amministrazione comunale e al servizio dell’intero spettro delle attività che saranno proposte nello spazio dell’ExFornace, ma anche dell’intera città, dei visitatori e di tutti coloro che ne usufruiranno in remoto. Progetti tematici: I progetti tematici che il progetto ha attivato e svilupperà nel primo biennio di attività dell’Ecomuseo, oltre alla costituzione formale dell’organismo di gestione, fanno innanzitutto riferimento a tre macro-temi che caratterizzeranno ciascuno l’anno di Expo’ e i due anni a seguire: • L’acqua (paesaggio, cultura, socialità ed economia delle acque) • La città, la terra, il cibo (metabolismo urbano, riequilibrio agro-ambientale di margini urbani, cultura del cibo, alimentazione e multietnicità) • Ecologia, economia e socialità degli spazi urbani (gli spazi dell’abitare, memoria e scenari della trasformazione urbana, la riconversione delle aree dismesse e dei sedimi ferroviari). La prima presentazione pubblica delle attività e delle ricerche di MUMI (è il nome assunto dall’Ecomuseo di Milano Sud) si svolgerà tra fine settembre e la prima settimana di ottobre 2015 con la mostra multimediale Terre d’acqua, terre di risaie dedicata al tema della acque dedicata al paesaggio delle risaie e delle marcite e al progetto di riapertura dei Navigli Milanesi. www.mumi-ecomuseo.it
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SIMONE ZENONI
IL PAESAGGIO DI BERGAMO: LUOGHI, PERCORSI E COMUNITÀ
UNA QUESTIONE DI PUNTI DI VISTA E se invertissimo lo sguardo? Se, anziché concepire gli spazi aperti come vuoti li guardassimo come pieni, come parti dense della città, ricche di qualità e socialità urbana? Quando l’urbanista affronta l’arduo compito di studiare una città comincia con l‘individuazione dei pieni e dei vuoti; i pieni sono gli edifici mentre i vuoti sono gli spazi non costruiti. Nel migliore dei casi i vuoti vengono classificati attraverso le loro qualità, strade, piazze, giardini privati, parchi pubblici, orti e campi coltivati, ma vengono sempre considerati elementi minori rispetto alle parti costruite. Parlare di cintura agricola può sembrare strano per una città come Bergamo che deve il proprio sviluppo economico alle attività industriali ed artigianali tuttavia, se osserviamo con attenzione il paesaggio che circonda la città e che penetra il tessuto abitato con piccoli o grandi appezzamenti coltivati, non è difficile credere come l’agricoltura possa giocare un ruolo strategico per il futuro della città. Il mondo globalizzato ha fortemente indebolito se non reso del tutto superfluo quello stretto rapporto che da sempre lega il territorio agricolo alla sua città. I prodotti alimentari che provengono da ogni parte del mondo e che oggi viaggiano più delle persone sono la testimonianza di un benessere diffuso ma anche l’espressione della contemporanea schizofrenia economica. A questo scenario si contrappongono sempre più frequentemente azioni individuali ed iniziative collettive basate sul consumo critico e sulla promozione delle produzioni locali. Non si tratta di un nostalgico ritorno al passato ma della consapevolezza che il rapporto inscindibile fra cibo e territorio d’origine è qualcosa di più che una semplice simbiosi, è ciò che sta all’origine del paesaggio. Per troppo tempo abbiamo pensato che il mondo agrario fosse semplicemente un settore dell’economia, quello primario appunto, nonostante un grande
studioso come Emilio Sereni avesse già descritto nella sua importante opera Storia del paesaggio agrario italiano la bellezza ed il valore del nostro paesaggio, fatto soprattutto di agricolture. Esiste un nesso strettissimo fra la qualità di un paesaggio e quella dei suoi prodotti agroalimentari. Solo per fare alcuni esempi, si pensi ai paesaggi della viticoltura italiana o francese e, per contrapposizione, ai disboscamenti delle foreste pluviali per produrre monocolture su larga scala. La nostra città e il suo territorio provinciale esprimono un altissimo livello di biodiversità agraria che, come noto, gode della diversità morfologica che passa dalla pianura alla montagna attraversando un ambito collinare di grande suggestione paesaggistica. Non so quanto la bellezza del nostro paesaggio possa avere influito ma la crescente diffusione di pratiche agronomiche sostenibili e di iniziative legate alla partecipazione sociale e alla cura del proprio territorio sta lasciando un segno indelebile. UN SALTO NELLA STORIA: LE FRASCHE Fino alla fine degli anni ’60 sui colli bergamaschi era possibile sostare nelle cosiddette ‘Frasche’, cascine o ricoveri agresti adibiti alla ristorazione con cibi prodotti localmente, salumi, uova, carni verdure e vino, provenivano tutti dalla cascina che ospitava i viandanti e che esponeva frasche di alberi o arbusti all’ingresso per segnalarne l’apertura. Sembra che l’origine della Frasca risalga addirittura al XIX secolo ma il ricordo di questi ristori agresti è ancora vivo nella memoria di chi, come il sottoscritto, le ha potute frequentare negli anni della sua giovinezza. I profumi della campagna si mescolavano con quelli di una cucina semplice quanto ricca di sapori dando forma a quelli che oggi definiremmo veri e propri presidi enogastronomici. La Fra-
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SIMONE ZENONI
Fig. 1. Spazi aperti nelle ‘cinture’ di Bergamo.
sca non era un semplice ristorante ma qualcosa di più: un luogo dove cibo e paesaggio si legavano in un rapporto inscindibile. Non solo, la Frasca era anche un luogo agreste ma strettamente legato alla città, perché urbani erano suoi fruitori. Perché le Frasche? Perché questo esempio, semplice ed immediato ci consente di poter di dire quanto sia vicina alla nostra cultura e alla storia della nostra città l’idea di una cintura agricola, non necessariamente produttiva e redditizia ma anche culturale ed ambientale, in una parola paesaggistica. QUALE AGRICOLTURA URBANA? Chiunque osservi la nostra città dai percorsi delle mura, salendo per le strette scalette della Conca d’oro fra i muri di pietra, raggiungendo la cima di S.Vigilio ed osservando a 360 gradi il territorio circostante, non può non accorgersi della ricchezza e della varietà di spazi verdi coltivati ad orti, giardini, frutteti, vigneti e persino uliveti. Bergamo è una città ricca di giardini ma anche di colture che producono cibo. È un paesaggio che si lascia guardare e
che descrive ambiti molto diversi, come quello della pianura, della collina, fino a raggiungere le alte montagne alpine. Questo ricco patrimonio di agricolture, frammentario ma diffuso, unito al crescente interesse nei confronti dell’agricoltura urbana, della partecipazione sociale e della cura del territorio, suggerisce l’identificazione di percorsi e luoghi capaci di raccontarsi e di raccontare la storia della nostra città. Il breve elenco di itinerari che segue non ha alcuna pretesa di essere completo ma può essere considerato il punto di partenza di un progetto finalizzato alla valorizzazione di luoghi e attività già presenti sul nostro territorio. Itinerario 1 – La Greenway Dagli orti di Valmarina (sede del Parco dei Colli) all’Accademia Carrara, la Greenway non è soltanto una pista ciclo pedonale ma un vero proprio ambito di relazione fra il torrente Morla e le mura venete. Da questo punto vista è chiaro come le sue potenzialità vadano ben oltre il semplice collegamento ciclo pedonale fra due importanti funzione urbane, si tratta di attribuire un ruolo attivo anche a quell’insieme di spazi pubblici e privati che insieme realizzano una
IL PAESAGGIO DI BERGAMO
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Fig. 2. Via alle Case Moroni.
scenografia campestre dentro la città. L‘ambito urbano dell’Accademia Carrara dovrebbe inoltre assimilare quello straordinario patrimonio ambientale che prende il nome di Orti di S.Tommaso. La Greenway, recentemente riscoperta dai cittadini che la utilizzano per attività ricreative e sportive, non attraversa soltanto ambiti pubblici e privati di alto valore paesaggistico ma intercetta una delle strade di accesso alla città storica, via Maironi da Ponte, lungo la quale si possono osservare interessanti appezzamenti coltivati che raggiungono i piedi delle mura. Itinerario 2 Dalla sede del Parco dei Colli (Valmarina) al Complesso monumentale di Astino è previsto un nuovo collegamento ciclopedonale. I due poli storico-agrari, già operativi sul piano delle iniziative agroalimentari e non solo, potrebbero diventare veri e propri luoghi di marketing territoriale legato al cibo; il percorso che li unisce quali nuove suggestioni paesaggistiche potrebbe offrire? La recente valorizzazione del complesso di Astino ha offerto ai cittadini bergamaschi e ai turisti di ogni provenienza la bellezza di un paesaggio senza tempo.
Itinerario 3 Il fascino del complesso monumentale di Astino non è dato soltanto dall’architettura ma dall’insieme della relazioni con il paesaggio che lo circonda e che oggi può rafforzare la sua identità proprio grazie alle attività agroalimentari messe in atto nei terreni circostanti. Astino può raccontare la sua storia ma potrebbe anche raccontare anche il suo futuro. Per ottenere questo risultato è necessario che mantenere un rapporto stretto con la città, sopratutto quella storica. Qui l’itinerario è già presente e ce ne sono più d’uno. Le risalite che portano verso Città Alta sono numerose e già ricche di suggestioni, orti, giardini, terrazze, panorami. Infine voglio citare alcune realtà poco visibili perché periferiche ma centrali sotto l’aspetto sociale e della produzione di cibo. Nel territorio comunale di Mozzo, a diretto contatto con il territorio di Bergamo, è nata un’iniziativa di gestione e produzione vitivinicola a conduzione biologica ma non solo. Ubicata su uno dei più suggestivi colli della provincia bergamasca, l’attività agricola di questo vigneto prevede anche finalità sociali aperte alla partecipazione dei cittadini.
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SIMONE ZENONI
Spostandoci a sud del territorio comunale, nell’ambito del noto Parco Agricolo Ecologico, è operativa da anni una Cooperativa agricola che si occupa di recupero sociale applicando i principi di agricoltura biologica. I suoi prodotti son venduti essenzialmente nell’ambito del territorio provinciale, dimostrando una buona sinergia tra domanda e l’offerta. Questa modalità di produzione e consumo implicano comportamenti consapevoli che vanno nella direzione opposta rispetto all’attuale sistema dell’economia globale, estranea a qualsiasi tipo di interesse locale. Solo politiche attente alla vita dei cittadini che abitano fisicamente i luoghi delle città e
delle campagne potranno costruire un nuovo tipo di socialità urbana capace di riannodare i fili strappati di una legame antico nuovo al tempo stesso, quello tra la città e il suo paesaggio agrario. In conclusione, questi sono solo alcuni tra gli esempi più significativi delle nuove modalità di una cultura urbana e rurale, che chiede di essere ascoltata da chi dovrà decidere quale futuro sociale ed economico avrà la nostra città. In questo contesto l‘agricoltura, la produzione di beni alimentari legati al nostro territorio, gioca un ruolo strategico perché disegna nostri paesaggi.
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MARINA ZAMBIANCHI
ESPERIENZE INTERNAZIONALI DI AGRICOLTURA URBANA E RIGENERAZIONE DEL PAESAGGIO ABITATO
L’ESPERIENZA DELL’AGRICOLTURA PERIURBANA1
Il termine agricoltura urbana è nato negli anni ’80 per definire il ‘giardinaggio familiare per la sopravvivenza’2 in un’epoca di crisi alimentari, soprattutto nei paesi del sud del mondo, praticato da abitanti delle campagne costretti a migrare in città o da cittadini, costretti a queste misure dalla guerra civile o dalla povertà a causa dell’impossibilità di accedere al mercato o della mancanza di approvvigionamenti. Questa definizione è poi stata estesa all’agricoltura di revisione per la crisi sulla qualità dei prodotti alimentari dl sistema mondiale. I progetti agri-urbani hanno vissuto inoltre dinamiche di ‘rurbanizzazione’3 quando le classi medie hanno scelto, e non subìto come i gruppi sociali poveri, di abitare nello spazio rurale periurbano: questi nuovi abitanti hanno voluto controllare la dinamica del loro nuovo luogo dell’abitare per mantenerne la cornice di paesaggio che li aveva sedotti. Per molto tempo ostili agli agricoltori, accusati di degradare il loro quadro di vita, hanno compreso i rischi sociali delle terre incolte e cercato un accordo di governance con gli agricoltori. Oggi l’espressione agricoltura urbana qualifica ogni agricoltura che assume un significato rispetto al progetto urbano, che esprime la percezione cittadina degli spazi rurali di prossimità, percezione che lascia largo spazio all’immaginario, in una dimensione di multifunzionalità.
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Questa multifunzionalità deve essere considerata una qualità necessaria alla città sostenibile, all’interno della pianificazione urbana, poiché l’espansione delle città ha allontanato i luoghi della residenza dai servizi urbani e da quelli della campagna e sono proprio le grandi città e le metropoli più coinvolte da questa rivoluzione urbana. I principali strumenti operativi sono la ‘pianificazione urbana’ e la ‘governance condivisa’ tra città e agricoltura. L’ATTIVITÀ AGRICOLA COME OSSERVATORIO4
Le nuove dinamiche emergenti tra amministratori e cittadini in un mondo fortemente urbanizzato, vedono la città come scenario privilegiato di sperimentazione socio-spaziale e la recente inclusione dell’agricoltura nelle aree urbane costituisce una manifestazione molto significativa dei paradigmi – come la sostenibilità e la democrazia partecipata – che guidano tanto le politiche istituzionali quanto le iniziative di cittadinanza. In questo nuovo contesto l’agricoltura urbana si presenta come una lente privilegiata di osservazione attraverso cui analizzare l’interazione tra istituzioni locali e cittadini, in primo luogo, perché l’inserimento dell’attività agricola in ambito urbano, soprattutto a partire dall’inizio del XXI secolo, rispon-
SINTESI DELLE ESPERIENZE FRANCESI ED INTERNAZIONALI IN AGRICOLTURA PERIURBANA - André Fleury (ENSP) e Paola Branduini (PaRID, Politecnico Milano) – 1997 2 CITTÀ E CAMPAGNA. LE AREE DI TRANSIZIONE COME PATRIMONIO COMUNE – “La FAO la definisce come un’agricoltura che viene praticata all’interno ed all’esterno della città e che può tuttavia fornire a questa servizi per la collettività” (Pinzello, Schilleci, 2014). 3 LA RURBANIZZAZIONE - La parola rurbanizzazione nasce dalla associazione di due concetti – “vita rurale” e “urbanizzazione della campagna” – e indica un fenomeno caratterizzato dall’influenza della città sullo spazio rurale. La rurbanizzazione sfocia nella formazione, attorno alla città, di fasce d’espansione comprendenti un crescente numero di comuni rurali abitati da famiglie che hanno contatti frequenti con la città. Gli abitanti di questi comuni dipendono totalmente dalla città per gli approvvigionamenti, per il lavoro, per l’insegnamento al di sopra della scuola primaria, per il tempo libero e per gli altri bisogni non quotidiani: si materializza intorno alla città la diffusione spaziale della società urbana, http://doc.studenti.it/podcast . 4 IL RUOLO DELL’AGRICOLTURA URBANA NELLE RELAZIONI TRA ISTITUZIONI E CITTADINI NELL’EUROPA CONTEMPORANEA (López Izquierdo, 2013).
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MARINA ZAMBIANCHI
Figg. 1-2. Esempi di Green Belt progettati per la città di Milano e per la città di Bergamo.
de da un lato alle nuove esigenze dei cittadini di uso e gestione dello spazio pubblico e, dall’altro alle nuove prerogative della pianificazione urbana. In secondo luogo, perché intorno alla produzione agricola in città, in tutte le sue molteplici manifestazioni, si stabilisce un rapporto particolare tra cittadini e istituzioni locali che, in sintesi, può comportare la contestazione dei primi alle decisioni delle seconde; la creazione e legislazione, da parte degli enti locali, degli spazi produttivi in cui i cittadini giocano il ruolo di ‘utenti’; fino alla pianificazione congiunta dell’inclusione dell’agricoltura in città attraverso processi collaborativi tra amministratori, tecnici e cittadini. L’introduzione dell’agricoltura come strumento di pianificazione degli spazi verdi di molte città contemporanee, soprattutto in Nord America e in Europa, si inserisce tra le strategie che mirano alla riduzione dell’impronta ecologica delle città. In effetti praticare l’agricoltura in ambito urbano permetterebbe di ridurre la dipendenza delle città dalla produzione rurale di cibo e le emissioni derivate dal trasporto dei prodotti alimentari e dalla produzione agricola industrializzata. Altro fattore importante che spinge i comuni e le amministrazioni locali a promuovere gli orti in città è di carattere sociale: buona parte degli orti comunali sono riservati a determinate categorie sociali – anziani, disoccupati, disabili, immigrati ecc. – e sono uno degli strumenti delle politiche di integrazione delle fasce più deboli della società. Non di rado, inoltre, questi orti sono anche lo scenario di pro-
grammi di educazione ai quali partecipano dalle scuole elementari alle università. Una delle strategie più efficaci che sono state messe in pratica in alcune grandi città europee e nordamericane è la creazione di parchi agricoli nelle aree periurbane, vere e proprie cinture verdi produttive che in alcuni casi forniscono buona parte degli ortaggi consumati in città. Tuttavia, la percentuale di suolo urbano che si dedica, in genere, all’agricoltura quasi mai è di tale importanza da produrre un effetto significativo in tale senso. Anche nel Piano di Governo del territorio di Bergamo la Cintura Verde costituisce un progetto ambientale, di scala territoriale, che intende promuovere un’attuazione della multifunzionalità dell’attività agricola finalizzata al miglioramento del paesaggio rurale e alla sua fruizione turistica, garantendo la funzionalità dei percorsi pubblici e di uso pubblico e delle relative attrezzature aperte di corredo: il territorio rurale è chiamato ad affiancare alla tradizionale produzione di tipo alimentare anche la ‘produzione’ di servizi di interesse pubblico, in virtù degli aspetti paesaggistici, ambientali, culturali, storici, naturalistici che è in grado di esprimere (Figg. 1-2). Nonostante il ruolo cruciale delle politiche istituzionali di questo tipo, i principali attori della rinascita dell’agricoltura urbana dai primi anni Settanta ad oggi sono stati gli utenti dello spazio urbano, in molte occasioni ‘all’insaputa’ delle autorità o addirittura in contrapposizione a esse.
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ESPERIENZE INTERNAZIONALI
Fig. 3. Garden – Pompenburg.
Fig. 4. ORTO-Zomerhofstraat.
Si tratta in genere di occupazioni di spazi interstiziali – margini delle strade, aiuole non curate, terreni abbandonati, spartitraffico – da parte di gruppi di cittadini che li usano per coltivare. Le motivazioni sono molto variegate, così come le modalità di appropriazione e la scelta degli spazi, la gestione delle attività, il rapporto con le istituzioni ecc (Figg. 3-4-5). UN ESEMPIO DI GOVERNANCE:
I
PAESI BASSI5
In Europa le politiche comunitarie riguardanti la produzione agricola, la pianificazione urbanistica, l’ambiente, la governance e la sussidiarietà, condizionano, più o meno direttamente, lo sviluppo dell’agricoltura urbana; e, le manifestazioni locali corrispondono a un’enorme varietà di contesti storici, sociali e legislativi, dando forma a un ricchissimo mosaico di modalità diverse di creazione e gestione di orti e parchi agricoli urbani. Un esempio significativo di interazione efficace tra politiche istituzionali ed iniziative di cittadinanza è il caso di Rotterdam, dove le istituzioni hanno saputo intercettare e governare le molteplici iniziative botto-up in corso. Le iniziative ai diversi livelli istituzionali si sono integrate e reciprocamente contaminate ed alimentate in modo sinergico ed efficace. • a livello nazionale: il focus è sulla produzione a scala globale. • a livello provinciale: le istituzioni promuovono l’innovazione a favore dell’agricoltura peri-urbana. • a livello regionale: agricoltura urbana come tutela del paesaggio. • a livello municipale: costruzione di una rete di 20 città coinvolte in progetti di agricoltura urbana. 5 FOOD & 2014).
THE
CITY URBAN
Fig. 5. Community garden Tuin aan de Maas.
• è stata inoltre istituita DELL’AGRICOLTURA.
LA
GIORNATA ANNUALE
L’agricoltura urbana è entrata nei documenti strategici e nell’agenda della città: • Agenda per Rotterdam sostenibile – 2011: Municipality of Rotterdam stimulates urban agriculture and trade of regional food products • Documento strategico Cibo e Città – 2012: “Stimulating urban agriculture is about • both intra-urban and peri-urban food production; • both commercial and non-commercial food production; • as well trade, processing and distribution of food.” Le diverse iniziative sono state coordinate e mappate, geo-referenziando i dati per uno sviluppo che si
AGRICULTURE: SUSTAINABLE ECONOMIC DEVELOPMENT OF THE CITY AND ITS REGION
(Van Oorschot,
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MARINA ZAMBIANCHI
Fig. 6. Schema azioni e obiettivi - Rotterdam.
articola lungo tre assi fondamentali: economico, sociale e ambientale, in logica di sistema sinergico (Fig. 6).
SCHEMA AZIONI
• • • • •
– FOCUS OBIETTIVI6
Migliorare la salute dei cittadini. Migliorare la qualità degli spazi pubblici. Potenziare lo sviluppo economico sostenibile. Costruzione dell’Agenda per Rotterdam Sostenibile. Coordinamento di iniziative di cittadini, imprenditori e Organizzazioni sociali. • Creazione di una rete allargata di persone coinvolte nell’agricoltura urbana. Le azioni della municipalità si sono inoltre orientate a migliorare la salute dei cittadini, basandosi sul
principio che la combinazione di ‘cibo vero’ e di esercizio fisico contribuisce alla riduzione di obesità e altri problemi di salute: • diffondendo programmi educativi sul cibo salutare e sul giardinaggio. • stimolando e promuovendo la creazione di nuovi giardini di comunità in distretti urbani altamente popolati. • costruendo una rete di scuole che hanno attrezzato orti didattici. La municipalità ha inoltre l’obiettivo di migliorare la qualità degli spazi pubblici e conservare i paesaggi attorno alle città e ai distretti più attraenti mediante la realizzazione di Giardini Comunitari (Community Gardens7). Alcune azioni messe in campo a tale scopo:
6 FOOD & THE CITY URBAN AGRICULTURE: SUSTAINABLE ECONOMIC DEVELOPMENT OF THE CITY AND ITS REGION (Van Oorschot, 2014). 7 COS’È IL COMMUNITY GARDENING - “Un appezzamento di terra coltivato collettivamente da un gruppo di persone”. È questa la definizione di community garden secondo l’American Community Garden Association, una delle più importanti organizzazioni del movimento, ormai mondiale, che vede nel community gardening un’attività capace di migliorare la qualità della vita di chi vi partecipa e di produrre benefici per l’intera comunità. Una descrizione così sommaria, però, non rende affatto giustizia ad una realtà molto consolidata (l’Acga è stata fondata nel 1979) ed estremamente variegata. Un community garden (‘giardino condiviso’, in Italia) può sorgere sulla terrazza di un grattacielo di New York o nel cortile di una borgata romana. Impegnare una comitiva di casalinghe spagnole o un gruppo studentesco a Berlino. Può essere pubblico o privato. Produrre fiori rari, piante grasse, ortaggi biologici o, semplicemente, relazioni sociali. Del resto, che nasca da un’idea particolare di ambientalismo o da un’istanza salutista, l’obiettivo finale di ogni giardi-
ESPERIENZE INTERNAZIONALI
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Fig. 7. Esempi di paesaggio agricolo urbano.
Fig. 8. Esempi di paesaggio agricolo urbano.
Fig. 9. Mappa delle produzioni nella regione di Rotterdam.
Fig. 10. Farmer market a Rotterdam.
• Realizzare una mappa degli ‘spazi vuoti’ della città. • Informare con volantini sulle regole ed opportunità dei Community Gardens. • Promuovere la realizzazione di orti/giardini sui tetti per produrre cibo in centro. • Premiare le migliori iniziative di agricoltura urbana dei cittadini in una competizione annuale (Figg. 7-8). Per potenziare lo sviluppo economico sostenibile, allargare le basi economiche della città e i paesaggi al suo intorno, rafforzando contemporaneamente l’imprenditorialità, la municipalità ha provveduto a: • Promuovere i prodotti regionali e i mercati agricoli. • Utilizzare terreni comunali per realizzare fattorie urbane. • Abolire norme di pianificazione che impediscono iniziative di agricoltura urbana. • Organizzare incontri tra produttori e consumatori in rete.
• Utilizzare più prodotti regionali per i catering del comune. • Organizzare le regioni per vocazione produttiva agricola (Regional trade missions) con l’obiettivo di: • Connettere la città alle aree periurbane. • Mettere in contatto produttori e consumatori. • Accorciare la filiera del cibo. • Rafforzare l’economia locale (Fig. 9). È stato inoltre istituito un nuovo organismo per connettere i produttori, l’industria alimentare, i commercianti, i consumatori, la cura della salute, l’educazione e la ricerca: il Consiglio regionale del cibo. Il programma 2013/2015 del Consiglio Regionale del Cibo si è dato obiettivi individuando modalità operative ed azioni concrete:
no condiviso è questo: creare comunità. Permettere alle persone di incontrarsi, cercare soluzioni ai problemi, imparare a gestire insieme i beni comuni e a prendersene cura nel tempo, favorire la partecipazione. - Fabrizio Spano, dal sito www.labsus.org – maggio 2013, http//geograficamente.wordpress.com.
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MARINA ZAMBIANCHI
Fig. 11. Il nuovo mercato coperto di Rotterdam.
Fig. 12. Il nuovo mercato coperto di Rotterdam.
Nati in America, agli inizi del 2000, i farmer’s marsono l’attuale remake dei vecchi mercatini rionali dove i produttori portavano le loro primizie in piazza, per venderle direttamente ai consumatori del luogo. Una buona pratica che arriva dal passato e che è stata riscoperta per varie ragioni che vanno dall’economia alla qualità, passando dalla biodiversità. In questi contesti i produttori agricoli possono vendere direttamente i prodotti locali di stagione facendo riscoprire la vita dei campi e il mondo rurale, nel pieno rispetto dell’ambiente. Grazie al concetto di ‘filiera corta’, la merce viene trasportata una volta sola con un notevole risparmio di carburante e CO2 in atmosfera.
ket8
Fig. 13. Il nuovo mercato coperto di Rotterdam.
• Filiera corta della distribuzione: • Facilitare i negozi agricoli nei nuovi mercati. • Formazione-comunicazione per migliorare la salute a partire dai bambini: • Diffusione del progetti di educazione alimentare e giardini/orti nelle scuole. • Innovazione ed economia circolare: • Organizzazione eventi sul recupero di materiali verdi e allestimento biblioteche sugli usi di materiali vegetali (Fig. 10). L’Associazione ROTTERDAMSE OOGST organizza quattro mercati contadini nel Museumpark, con decine di bancarelle che espongono prodotti regionali e stagionali in un contesto urbano. 8
IL NUOVO MERCATO DI ROTTERDAM9 È l’unico mercato dove frutta e verdura non si possono ammirare solo sui banchi ma anche... sul soffitto: esso fa sfoggio di uno psichedelico e maestoso soffitto a volta, un’opera d’arte di 11mila metri quadri. Si tratta in realtà di un tempio del cibo abitato: quello, infatti, è un condominio di 230 appartamenti, piegato in due sulla meravigliosa hall allucinogena. Tutto nasce dalle nuove leggi nei Paesi Bassi che richiedono coperture aree per i mercati di carne e pesce tradizionali, a causa di nuove misure igieniche (Figg. 11-12-13). Curato da MVRDV, noto studio di architettura e urban design della città olandese, l’edificio è stato progettato per accogliere il mercato cittadino durante
I FARMERS’ MARKETS: ASPETTI NORMATIVI E CARATTERIZZAZIONE DEI CONSUMATORI - I farmers’ markets, o mercati degli agricoltori, sono esempi di vendita diretta dal produttore al consumatore che rispecchiano i principi della “filiera corta”. Essi nascono e si sviluppano per contrapporsi alla cosiddetta “filiera lunga”, nella quale, in termini generali, il prodotto agricolo è intermediato da uno o più operatori prima di poter esser acquistato dal consumatore (Sini, 2009) - Settembre 2009, http://agriregionieuropa.univpm.it. 9 Tratto da: www.greenme.it - IL CONDOMINIO PSICHEDELICO DI ROTTERDAM CHE AFFACCIA SUL MERCATO CONTADINO - Roberta Ragni – 3 Ottobre 2014; UN NUOVO SPETTACOLARE MERCATO COPERTO A ROTTERDAM - 15 Ottobre 2014, www.gamberorosso.it. UN NUOVO SPETTACOLARE MERCATO COPERTO A ROTTERDAM - 15 ottobre 2014, www.worldwinecentre.com.
ESPERIENZE INTERNAZIONALI
il giorno e trasformarsi in uno spazio a disposizione dei cittadini durante la sera, riprendendo l’idea di una piazza del mercato in piena regola, luogo per fare acquisti, rifornire la dispensa e incontrare gente. Una perfetta combinazione sostenibile di cibo, tempo libero e abitazioni, tutti completamente integrati per valorizzare e sfruttare al massimo le possibilità sinergiche delle diverse funzioni. I numeri: • 100 i box per la vendita di prodotti freschi. • 15 i negozi. • 8 i ristoranti al primo piano. • 1 scuola di cucina. • 230 appartamenti.
IL RICONOSCIMENTO DEL VALORE AGRICOLO DI UN TERRITORIO10
L’emergere di questa nuova forma di città (la ‘ville nature’) sembra costituire una tappa comune alle dinamiche urbane, sia laddove il controllo e l’organizzazione sono più avanzati, sia laddove si verifica un insufficiente controllo dei suoli dovuto alla debolezza delle politiche pubbliche e all’assenza di portavoce dei contadini, troppo spesso rappresentati dai soli proprietari fondiari, aventi propri interessi divergenti. È necessario distinguere questa esperienza da quella dei parchi naturali, a tutela del patrimonio naturale e della ruralità tradizionale, poiché - pur essendo quest’ultima frequente in Europa – è meno integrativa e sinergica della realtà agricola, sia sotto il profilo economico che nelle sue rappresentazioni sociali. Il progetto agri-urbano vi si contrappone, rivolgendosi ad un’agricoltura attiva, dove gli agricoltori assumono la loro responsabilità imprenditoriale e dove lo spazio dell’agricoltura non è un bene pubblico, ma un bene comune agli abitanti del territorio. L’esperienza porta ad aumentare gli scambi di esperienze con la diffusione delle nuove idee sull’implicazione dell’agricoltura: si sono infatti costituite reti, in generale animate da un sistema di coordinamento e formazione, per creare difficili sinergie tra le competenze urbanistiche ed agronomiche, cercando nel contempo di approfondire la ricerca. Nel corso dell’ultimo decennio, in tutta Europa, è emersa l’esigenza di riconoscimento certamente del valore storico-culturale, ma anche di quello agricolo di una parte del proprio territorio o di un bene da parte di associazioni che hanno chiesto al mondo 10
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universitario un supporto scientifico nella costruzione della ‘difesa’ della propria identità territoriale e nella ricerca di soluzioni di integrazione tra funzioni agricole e fruitive del territorio. Un paesaggio è ‘vivo’ per come viene percepito dalla gente e se muove ad azioni di salvaguardia e di valorizzazione. BIBLIOGRAFIA AA.VV. (2014), Un nuovo spettacolare mercato coperto a Rotterdam. È il Markthal, rivestito da un’opera d’arte di 11mila metri quadri. http://www.gamberorosso.it/it/ricette/1020556-unnuovo-spettacolare-mercato-coperto-a-rotterdame-il-markthal-rivestito-da-un-opera-d-arte-di11mila-metri-quadri. Fleury A., Branduini P. (2007), Sintesi delle esperienze francesi ed internazionali in agricoltura periurbana, Atti del Convegno Nazionale “Produzione agricola e nuovi paesaggi” 26.11.2007, ISTVAP, Milano, http://www.istvap.it/cms/documenti/Branduini.pdf. Galisai T., Olmeo G., Usai G. (2009), I farmers’ markets: aspetti normativi e caratterizzazione dei consumatori, in Agriregioneuropa 18/2009, http://www.agriregionieuropa.univpm.it/content/article/31/18/i-farmers-markets-aspettinormativi-e-caratterizzazione-dei-consumatori. Lopez Izquierdo, M. (2014), “Il ruolo dell’agricoltura urbana nelle relazioni tra istituzioni e cittadini nell’Europa contemporanea”, in Malatesta M., Rigato D., Cappi V., (eds.) Politica e territori nel mondo contemporaneo, Dipartimento di Storia Culture Civiltà, Bologna. Pinzello I., Schilleci F. (eds, 2014) Città e campagna. Le aree di transizione come patrimonio comune, Franco Angeli, Milano. Ragni R. (2014), Il condominio psichedelico di Rotterdam che affaccia sul mercato contadino, http://www.greenme.it/abitare/bioedilizia-ebioarchitettura/14489-condominio-psichedelicorotterdam-mercato-contadino. Van Oorschot K. (2014), Food & the City Urban agriculture: sustainable economic development of the city and its region, Municipality of Rotterdam, Rotterdam.
SINTESI DELLE ESPERIENZE FRANCESI ED INTERNAZIONALI IN AGRICOLTURA PERIURBANA (Fleury, Branduini, 1997).
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ALESSANDRA FERRARI - MARCELLA DATEI
IL CONTRIBUTO DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI
Siamo nel 2015 e non dovrebbe essere più necessario parlare del valore della tutela, né spiegare che bisogna integrare il territorio, migliorarlo e preservarlo, avviare un processo partecipativo intellettuale e professionale per osservarlo e definirlo. Non dovremmo ancora spiegare, dopo decenni di esperienze consolidate, che ‘costruito e natura’ partecipano in equa parte alla definizione del nostro spazio di vita nè che entrambi devono essere vivi e vissuti per non morire. Eppure dobbiamo ancora invitare al riconoscimento del bene comune e alla partecipazione attiva da parte di tutti, pubblico e privato, nella sua tutela. Ma Iconemi 2015 non va considerata come un semplice invito alla comunità ma come un’espressione già in atto di quello che le forze intellettuali stanno producendo da anni. Questa serie di incontri ha un grande merito: il metodo. Gli organizzatori promuovono, gli ordini partecipano, i privati e le associazioni contribuiscono e propongono, le istituzioni certificano e agiscono. Questo è il senso di una comunità. Certo, potremmo osservare che uno dei problemi della pianificazione attuale del verde a Bergamo è di non essere riuscita a prevedere dinamiche tecnico-economiche che non hanno reso attuabili tutte le previsioni virtuose. Questo risultato denuncia che l’urbanistica spesso si rivela incapace di leggere la realtà. Ma non dobbiamo dimenticare che Bergamo è un’isola felice: in tutte le pianificazioni contemporanee a Bergamo c’è stata attenzione nei confronti della protezione del bene sempre riconosciuto come prezioso. Ora sappiamo che la produzione di ‘società’, la relazione tra persone, rende viva e vera una ‘città’ molto più di una qualsiasi pretesa edificatoria. È importante che il lavoro fin qui emerso rientri negli indirizzi di revisione del Piano di Governo del Territorio e come Ordine vigileremo affinché lo sia. Facciamo l’esempio degli orti bergamaschi, prospicienti le Mura: essi fanno parte del bene comu-
ne, meritano il nostro interesse e la loro tutela produce beneficio all’intera comunità di Bergamo. Tutela vuol dire anche favorirne la produttività agricola in modo che si inneschi quell’autotutela necessaria alla sopravvivenza di qualsiasi bene oggi. L’agricoltura a piccola scala e di sussistenza è stata percepita tradizionalmente come arretrata, ma teorie contemporanee ci dicono che l’agricoltura basata sulla biodiversità è la più resistente ai cambiamenti climatici. La produzione alimentare, tramite coltivazioni a ridosso dei nuclei abitativi, ha trasformato radicalmente la vita degli esseri umani nel corso dei millenni; li ha costretti a ragionare su come fosse necessario inventare tecniche di sfruttamento e di divisione pianificata della terra: orto si chiama così perché vuol dire diritto ma anche ‘giusto, coerente, rappresentativo’. Nelle Opere dei giorni di Esiodo gli uomini vengono descritti come vigorosi e felici, al riparo da ogni male, quando gli orti e la natura, vicino alle opere dell’uomo, potevano offrire abbondanza, salubrità, particolarità e gioia del lavoro. Non sto descrivendo una speranza di vita bucolica ma indicando i presupposti concettuali che sono alla base della convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale dell’UNESCO. Entrare a far parte della lista costituisce un riconoscimento a livello globale dello straordinario valore culturale del luogo candidato che deve essere conservato e trasmesso attraverso tutto il sistema su cui incide. Con certezza finalmente le mura apparterranno a tutti, anche grazie al sistema degli orti che come categoria si inseriscono di diritto nel novero delle più significative presenze dell’uomo nell’ambiente. Non è più solo la conservazione di un’identità o la speranza in un ritorno alla natura ma il segno di un lungo abbraccio territoriale che genera prossimità culturale e nuove più profonde esperienze di conoscenza.
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ALESSANDRA FERRARI - MARCELLA DATEI
UNESCO/MURA Attivamente per UNESCO è l’evento promosso dall’Ordine degli Architetti P.P.C. della Provincia di Bergamo con il Comune di Bergamo e l’Associazione Terra di San Marco per immaginare insieme azioni a sostegno dell’iscrizione delle Mura a Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. L’occasione è stata la stesura del piano di gestione, documento essenziale di programmazione che accompagnerà il dossier di candidatura del sistema delle fortificazioni venete a Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. L’intera candidatura è seguita da Siti, Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l’Innovazione. È un’Associazione senza scopo di lucro, costituita nel 2002 tra Politecnico di Torino e Compagnia di San Paolo, che svolge attività di ricerca e formazione orientate all’innovazione e alla crescita socio-economica. L’occasione di questa collaborazione è stata la stesura del piano di gestione, documento essenziale di programmazione che accompagnerà il dossier di candidatura del sistema delle fortificazioni venete a Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. LA CANDIDATURA La candidatura riguarda le più significative realizzazioni militari della Repubblica di Venezia, sia nel dominio di terra che in quello di mare. Il progetto coinvolge Italia, Croazia e Montenegro e si colloca nell’ambito delle candidature seriali transnazionali. Bergamo, Palmanova, Peschiera del Garda per il dominio di terra; Venezia, Chioggia e poi Zara, Sebenico, Curzola in Croazia, il Golfo di Cattaro con Cattaro e Castelnuovo in Montenegro per il dominio di mare, rappresentano un sistema eccezionale e unico che raccoglie un elenco selezionato di opere progettate dai più famosi architetti e ingegneri militari a rappresentare molteplici tipologie di fortificazione. IL METODO Si è pensato ad un momento di confronto tra i soggetti che per motivi diversi sono legati ed in relazione con le mura venete. Il piano di gestione, infatti, deve diventare il cuore delle attività materiali e immateriali che la città esprime per sostenere la candidatura. Deve individuare i soggetti locali e le azioni territoriali, a scala
locale e sovra-locale, che riescano a valorizzare il patrimonio culturale affinché si generi sviluppo attraverso l’industria culturale, l’industria turistica, i marchi di qualità relativi alle produzioni locali, gli scambi di conoscenze ed esperienze tra gli attori delle comunità coinvolte. Questo nella convinzione che il percorso per il riconoscimento del valore universale delle mura debba rappresentare un’occasione per la città, un’occasione imperdibile per coinvolgere le forze locali in un momento di confronto di idee e progetti e per ridefinire in modo condiviso l’immagine che si vuole dare della comunità bergamasca raccolta intorno alla scommessa della candidatura. Da un lato si è cercato di imprimere un’accelerazione al processo per rendere sistematica la promozione di idee che possano fornire una più ampia gamma di servizi di supporto integrati. Idee che includano interventi sullo spazio fisico (infrastrutturali), i servizi per lo sviluppo del business e le opportunità di integrazione e networking tra gli attori locali e i partner italiani e internazionali e dall’altro abbiamo cercato di riflettere insieme su quale debba e possa essere il valore da trasmettere. Dall’altro abbiamo cercato di riflettere sul significato dell’azione che la nostra comunità ha intrapreso con la candidatura per ritrovare e riconoscere il valore che questo manufatto rappresenta. Sono infatti stati individuati quei soggetti nei quali abbiamo, a vario titolo, riconosciuto le azioni più attive. La vitalità di un luogo è determinata soprattutto da chi lo vive e da chi lo mantiene vivo. La domanda che ci siamo posti è stata se il riconoscimento delle mura venete a patrimonio dell’umanità ci difende dalla facile banalità dell’artificiale? Abbiamo voluto riflettere su questo punto. È l’autentica combinazione di beni che garantisce la vitalità del reale, ed è questo il valore che abbiamo voluto far emergere difendere e conservare. Il percorso per il riconoscimento delle mura venete ci deve aiutare a conservare gli interventi umani che proteggono il vero, il vivo. Un bene che mantiene la vitalità della memoria nel presente assicurandone, al contempo, il futuro. Ci sono luoghi che, distrutti come focolai di cultura e civiltà, quindi del vero, sono rinati come ombra di ciò che erano prima, la cui unica finalità è quella di attirare consumatori. Questi luoghi hanno perso la loro bellezza, la loro verità, poiché sono stati privati della loro storia naturale. Tuttavia un processo di questo tipo può avvenire gradualmente, snaturando, man mano, un luogo dei suoi aspetti più vitali e veri. Il turismo, può portare i
IL CONTRIBUTO DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI
luoghi più emozionanti a perdere di forza espressiva, si pensi ad esempio al rischio che corre Venezia. La bellezza di un luogo sta quindi nella sua storia e nell’irrinunciabile simbiosi che ha con la natura e con l’uomo, con la sua vita quotidiana. Si può quindi parlare di un ecosistema, fragile tanto quanto uno naturale, il cui rischio maggiore è di diventare imitazione di se stesso. Il riconoscimento delle mura venete significa rendere giustizia all’unicità di questo ecosistema, così come degli altri luoghi, anch’essi ecosistemi, all’interno del progetto, e fortificare la verità, quindi bellezza ed importanza, intrinseca ad essi. Per questo abbiamo chiamato a raccolta le forze più vitali della città. Abbiamo riconosciuto nelle attività economiche, agricole, culturali le energie da mettere in campo per ritrovare e riconoscere noi prima degli altri i valori che proteggono il bene che noi candidiamo. Non sempre siamo stati capaci di proteggere l’autenticità della nostra città, l’abbiamo svuotata, abbiamo allontanato i suoi abitanti ‘naturali’ abbiamo un po’ frantumato la sua comunità ma siamo, e qui cito l’intervento del professor Ferlinghetti, “stati in grado negli anni più bui della ‘cementificazione’ di proteggere il monumento ed il suo ecosistema, i colli”.
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Fortissimo deve essere oggi il recupero del sistema agricolo, degli orti ancora adesso così radicati: è certamente una delle azioni che la comunità ha sentito con forza, coinvolge il mondo del lavoro, quello economico, quello gastronomico e quello culturale. Ormai è un tema caldo e sentito e gli imminenti strumenti di pianificazione non possono che partire da qui. Si è invitato, quindi, chi immaginerà la Bergamo del prossimo decennio a proteggere questa unicità ed a immaginare uno strumento urbanistico in cui la vitalità della città venga valorizzata. Le giornate del 25 e 27 maggio sono state ricche e dense, gli amici che sono intervenuti, hanno portato progetti e suggerimenti che vanno in questa direzione: l’Ordine degli Architetti è stato felice di aver facilitato questo processo. Desideriamo ringraziare i tutor per la disponibilità, l’elevata professionalità e l’attenzione data al simposio. Sottolineiamo ancora una volta il valore delle istanze di chi è intervenuto e della disponibilità a partecipare. Le loro relazioni ed interventi, hanno saputo innescare proficue riflessioni per l’attività futura e per la presa di conoscenza dei temi trattati per numerosi cittadini presenti.
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PAOLA MORGANTI
PARTECIPARE È ANCHE ESPRIMERE I SOGNI
Nel ringraziare gli organizzatori di Iconemi per l’invito all’Ordine degli Ingegneri di Bergamo, mi complimento con loro per la tempestiva e intelligente scelta del tema proposto quest’anno. In effetti le scelte territoriali ed in particolare quelle connesse all’agricoltura, dalle più semplici a quelle più complesse, ormai non possono prescindere dal coinvolgimento il più possibile diretto della popolazione che, più consapevole e attenta di un tempo, non rinuncia a dire la propria, a far presente i propri bisogni, ma anche i propri desideri. E non sono certe le nuove procedure burocratiche istituite con le leggi sulla Valutazione Ambientale Strategica (VAS) che portano un vero contributo creativo e propositivo da parte della società civile. Anche se qualche seria iniziativa, in questo senso, va riconosciuta: seppur poche, alcune amministrazioni comunali, per esempio, hanno adottato una efficace consultazione preventiva della cittadinanza in occasione di varianti urbanistiche, ma siamo ancora lontani da un’applicazione costante e non demagogica né burocratica di quello che lo spirito legislativo comunitario si proponeva. Parliamoci chiaro, se la comunità civile, in tutte le sue forme aggregative comprese quelle professionali, è informata, partecipa, si dà da fare, difende il proprio territorio. A volte è sufficiente esplicitare le caratteristiche del territorio stesso, la sua storia, il suo legame profondo con la città per rendere palese la vocazione a certi usi e non ad altri. L’esempio emblematico per eccellenza da ricordare è quello di Astino. Alla fine degli anni ‘80 la proprietà propose la trasformazione della valle in un campo da golf e l’utilizzo dell’antico monastero in una club house. Seppur presentato da uno studio di architettura di grido, il progetto non piacque alla società civile. La città insorse. Si mobilitarono comitati e varie associazioni; ricordo in prima fila Italia Nostra. Era evidente la perdita di una zona agricola coltivata (seppur privata), così strettamente legata alla
storia della città per almeno un millennio, intessuta di relazioni tra i monaci e la ‘città sul monte’, di tecnologia agricola con i suoi canali irrigui che dalla valle arrivavano giù, nella pianura, fino a Levate, con i suoi boschi, un tempo ‘riserva’ di legna e frutti e ora riserva naturale, con i suoi segni del paesaggio dove il legame tra natura e cultura è stato ed è inscindibile, dove i muri degli edifici raccontano ancora la storia di chi ci ha pregato, lavorato, sofferto e abitato. La proposta di un uso banale, prettamente legato al divertimento di pochi, ad un utilizzo avulso dagli stretti legami tra edifici e campi coltivati, boschi e sentieri e soprattutto slegato dalla città, ha fatto archiviare il progetto. Il rischio di abbandono si è subito palesato, ma le risorse per un suo recupero, fortemente voluto dalla città, alla fine sono state trovate. E, vi confesso che mi si è aperto il cuore quando ho visto la notizia del recupero monumentale di Astino da parte della MIA, della presenza concreta dell’orto botanico, del ripristino di coltivazioni agricole, dell’interessamento del Parco dei Colli di Bergamo e di altre realtà che sono per la salvaguardia dell’ambiente. Era un mio sogno nel cassetto, sicuramente condiviso da tanti altri, la rinascita coerente con la storia e con il paesaggio di questa valletta, da quando, studente universitaria, per studiare le strutture della chiesa e del monastero e le sue tante preziosità architettoniche, ero finita nei suoi sottotetti. La valle d’Astino ha in sé legami storici, ambientali, culturali con la città talmente forti che l’hanno saputa difendere, ma non bisogna abbassare la guardia e vigilare perché anche usi troppo massicci, slegati dal territorio agricolo, finalizzati solo a far tornare i conti, creano un evidente impatto progressivo negativo sul paesaggio, su questo tassello così emblematico per la nostra Bergamo. La valle d’Astino è paragonabile in questo senso ad un organismo vivente, come l’uomo. I nostri anticorpi ci difendono da molti attacchi di virus e batteri, ma non bisogna sfidarli sottoponendoci a cattiva alimentazione, modi e stili di vita estremi o indifferenti alle caratteri-
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PAOLA MORGANTI
stiche del nostro corpo e a ciò di cui ha bisogno. Prima o poi ci si può ammalare. Ma ci sono altri tasselli della città che non hanno gli “anticorpi” così forti come Astino, che sono invece presenze più deboli, ma che pure sono spazi strategici per la città. Mi riferisco per esempio all’area verde del parco agricolo ecologico, a sud di Bergamo, che stenta a partire nonostante le grandi potenzialità ancora inespresse. Dopo la tutela e lo scongiurato pericolo di vederlo occupato dal nuovo stadio con infrastrutture e volumi edilizi commerciali connessi, anche per questa realtà da anni si stanno muovendo comitati locali e associazioni ambientaliste che all’unisono ne chiedono un’effettiva progettazione ambientale partecipata, valorizzando le colture agricole esistenti, per la costituzione di un mercato agricolo a km zero, chiedendo spazi verdi organizzati per la fruizione ‘soft’ dei cittadini, per percorsi ciclabili, educazione ambientale e alimentare, con la consapevolezza che è una fortuna avere uno spazio agricolo coltivato alle porte della città. Il paesaggio nel quale siamo immersi, che ci piaccia o no, incide fortemente sulla nostra esistenza, nel bene e nel male. Studi scientifici hanno provato che il benessere dell’uomo aumenta anche solo nel vedere una fotografia di un piacevole paesaggio, figuriamoci nell’attraversarlo nella realtà. La percezione degli spazi aperti, e quelli agricoli ne sono un
evidente esempio, crea benessere nell’organismo umano. Basti pensare, quando percorriamo una delle pregevoli scalette che portano in città alta, di quelle chiuse tra due muri di sostegno, alla nostra tendenza a cercare varchi e a ‘traguardare’ le rare brecce nei muri per scoprire cosa c’è al di là, per gettare lo sguardo proprio su spazi aperti. Sarà la necessità antropologica di controllo del territorio, ma la possibilità di percezione effettiva a lungo campo ci rassicura; da Leopardi in poi non possiamo non prendere coscienza di questo bisogno di vedere ‘oltre la siepe’. È anche per il nostro benessere, che non è semplicemente ‘non essere ammalati’, che dobbiamo tener conto e difendere la ‘madre terra’ in tutte le sue declinazioni possibili: un campo di orzo non serve solo a mettere qualcosa nel nostro piatto, cosa peraltro indispensabile, ma comporta tanto altro... Ed è quindi per noi stessi e per la comunità in generale odierna e futura che come professionisti, ma ancora prima come cittadini, dobbiamo sentirci impegnati nel sostenere le più ampie forme di partecipazione del pubblico alle scelte anche tecniche che le amministrazioni fanno, perché sono scelte che incidono in modo irreversibile sul territorio del quale noi facciamo parte e che ci rende in proporzione a quanto siamo in grado di seminare. E si semina anche con le idee, le proposte, i progetti e, perché no? Anche con i sogni.
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FEDERICO BLUMER
ESPERIENZE INTERNAZIONALI DI AGRICOLTURA URBANA E RIGENERAZIONE DEL PAESAGGIO ABITATO
IL PARERE DELL’ORDINE DEI DOTTORI AGRONOMI E FORESTALI DELLA PROVINCIA DI BERGAMO
ne sovrabbondante e alle disfunzioni che ne derivano: diabete, eccesso di peso, problemi cardiocircolatori.
Fatto 1 Circa un miliardo di persone nel mondo è denutrito. Un altro miliardo è obeso. Quasi metà della popolazione mondiale vive quotidianamente il problema di un’alimentazione insufficiente. L’altra metà soffre dei tipici problemi legati a un’alimentazio-
Fatto 2 Se si disegna un grafico che evidenzia i punti in cui è concentrato il potere laddove il cibo viene coltivato e venduto, il risultato è una clessidra (Fig. 4). Il grafico mostra i dati relativi alla situazione in Europa.
Figg. 1-3. Carenze ed eccessi alimentari.
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FEDERICO BLUMER
Fig. 4. Fonte: Raj Patel (2008), I padroni del cibo, Feltrinelli, Milano.
Fatto 3 Dieci colossi dell’industria alimentare controllano da soli più del 70 per cento del cibo del pianeta. Queste multinazionali gestiscono 500 MARCHI che entrano nelle nostre case quotidianamente. Fatto 4 Più di 3 miliardi e cinquecento milioni di persone, oltre la metà della popolazione mondiale vive nei centri urbani. una tendenza in crescita, tanto che gli esperti prevedono che verso il 2030 il 70% della popolazione abiterà in città. Mentre le aree urbane sono affollate, molte zone rurali si spopolano: stiamo assistendo da tempo a una diminuzione del numero di contadini, in particolare tra i giovani. Fatto 5 LAND GRABBING = ‘accaparramento della terra’ consiste nell’acquisizione su larga scala di terreni agricoli in paesi in via di sviluppo, mediante affitto o acquisto di grandi estensioni agrarie da parte di compagnie transnazionali, governi stranieri e singoli soggetti privati. Dal 2000 al 2010 nel mondo sono stati venduti o affittati a investitori privati e pubblici 70,2 milioni di ettari di terreni agricoli. Il fenomeno è in crescita.
Fatto 6 CONSUMO DI SUOLO: in quindici anni la Lombardia ha perso 47mila ettari di suoli agricoli, urbanizzati nel periodo tra il 1999 e il 2012. Altri 53mila ettari potenzialmente trasformabili “dormono” nelle pance dei Comuni, essendo previsioni di trasformazioni contenuti nei Piani di governo del territorio (PGT). In totale, così, la Regione che ospita un Expo dedicato all’agricoltura ha teoricamente perso 100mila ettari di suolo fertile. Possibili anticorpi • Filiera corta. • Km 0. • Diminuzione spreco alimentare. • Conservazione biodiversità. • Educazione alimentare. • Organizzazione dei produttori agricoli. • Organizzazione dei consumatori (GAS). • Agricoltura urbana. Agricoltura urbana L’agricoltura urbana permette un “ciclo breve» produttore/consumatore, riduzione dei costi di trasporto, e delle emissioni di CO2.
ESPERIENZE INTERNAZIONALI DI AGRICOLTURA URBANA
Fig. 5. Fonte: Joki Gauthier per Oxfam International 2012.
Fig. 6. Fonte: Oxfam International 2012.
Fig. 7. Land Grabbing nel Mondo.
Fig. 8. Land Grabbing.
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Fig. 9. Orto Urbano.
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Autoproduzione per alcune esigenze. Riciclo veloce di alcuni rifiuti organici. Strumento di protezione contro il consumo di suolo. Strumento di conservazione biodiversità. Collegamento tra città e campagna si incontrano, rurale-urbano.
AGRICOLTURA URBANA = NUOVO PATTO TRA CITTÀ E CAMPAGNA LA TECNICA E LA POLITICA CONTRO LA FAME*
Le capacità tecniche dei dottori agronomi e degli ingegneri agronomi alla sfida della sicurezza alimentare verso Expo 2015. Buone pratiche agricole e sicurezza alimentare: quante volte negli ultimi anni si è sentito parlare di questo binomio? Già durante il Vertice mondiale sull’alimentazione, svoltosi a Roma nel 1996 si parlava di sicurezza alimentare, definendola come qualcosa che “esiste quando tutte le persone, in ogni momento, hanno accesso dal punto di vista fisico, sociale ed economico a cibo sufficiente, sano e nutriente che rispetti i loro bisogni dietetici e le loro preferenze alimentari per una vita attiva e salutare”. È impossibile avere la sicurezza alimentare senza che vengano seguite e applicate buone
pratiche agricole, sia a livello locale sia a livello generale. Ma cosa intendiamo oggi per sicurezza alimentare? Un’alimentazione quantitativamente sufficiente e qualitativamente sana e sicura. L’idea dell’alimentazione sufficiente declina il principio secondo cui (ogni essere umano ha il diritto all’alimentazione). Il diritto all’alimentazione è uno dei fondamentali principi sanciti dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo nel 1948: “ogni individuo ha diritto a un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia con particolare riguardo alla sua alimentazione (...)”. Nel 1966, vent’anni dopo, il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ha approvato questo concetto, sottolineando il diritto di ognuno a un alimentazione adeguata e specificando che ogni essere umano ha diritto a non soffrire dalla fame. Per poter raggiungere questo obiettivo è necessaria un’agricoltura tecnicamente sviluppata e compatibile con l’ambiente nel quale si svolge. La ricerca di nuove tecniche di coltivazione, di nuove varietà di colture che si adattino ai diversi ambienti e dotate di resistenza all’attacco di agenti patogeni è stata una responsabilità dei dottori agronomi e degli ingegneri agronomi di tutto il mondo. Responsabilità che tutt’ora continua a compiersi
* Maria Cruz Díaz Álvarez, Presidente Associazione mondiale ingegneri agronomi. Sintesi del discorso pronunciato in occasione della prima riunione del Comitato internazionale di selezione per il bando Best practices, le sfide e il futuro della sicurezza alimentare di Expo Milano 2015.
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Fig. 10. Agricoltura urbana: nuovo patto città-campagna.
ogni giorno con la ricerca, allo scopo di fare arrivare e potere applicare le nuove tecnologie agrarie in tutto il mondo. L’innovazione, la ricerca e la sperimentazione agraria nel mondo sono svolte per fornire alimenti di qualità e per garantire la sicurezza alimentare. Sicurezza alimentare è uno dei nostri diritti come consumatori, garantito anche dal sapere che cosa mangiamo e come viene prodotto, non solo nei campi ma anche nell’industria, questo grazie alla tracciabilità dei prodotti e la rintracciabilità delle materie prime. Mangiare bene è un dovere per conservare la salute, ovvero per essere sani, sebbene questa situazione si è andata alterando nei paesi del cosiddetto primo mondo a causa del consumo sconsiderato di alimenti che hanno provocato l’aumento di alcune patologie, come l’obesità, il colesterolo, il diabete, le intolleranze alimentari, ecc. Questa situazione ci ha condotto allo sviluppo di tecniche di produzione che possono essere definite ‘produzione senza’, per esempio senza zucchero, senza lattosio, senza grassi, senza glutine. Questo tipo di produzione – che si è spinta oltre al semplice concetto di mangiare bene – ha causato l’investimento di molte risorse sia a livello economico sia a livello di tempo speso per la ricerca di nuovi prodotti, tutto ciò in
parte a scapito della ricerca (tradizionale) atta a migliorare le produzioni agrarie. Tutto questo lavoro risulterebbe vano se non ci fosse una scelta decisiva da parte del mondo politico capace di tener conto del semplice concetto che senza alimentazione è impossibile raggiungere la stabilità sociale, politica ed economica delle nazioni. Quest’ultimo concetto ci riguarda come cittadini prima ancor che come dottori agronomi e ingegneri agronomi, in quanto non è una responsabilità tecnica, bensì morale. Come cittadini del mondo e come professionisti è necessario chiedere ai politici che vengano attuate misure capaci di far cessare la fame nel mondo. I dottori agronomi e gli ingegneri agronomi sanno che gli strumenti ci sono e il tema della sicurezza alimentare apre una vasta gamma di possibilità per progettare, valutare e attuare ulteriori nuove soluzioni. Come si può fare? Soltanto noi potremo avere successo con una coscienza chiara e una conoscenza esaustiva dell’ambiente e delle condizioni che ci circondano, e applicando, allo stesso tempo, la tecnologia sostenibile per migliorare le condizioni di vita dei cittadini. Non è un lavoro facile, ma lo conduciamo da sempre, ora con una consapevolezza rinnovata con il VI Congresso mondiale degli ingegneri agronomi, evento finale di Expo 2015.
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RENATO FERLINGHETTI
BERGAMO DA ‘CITTÀ PARCO’ A FULCRO DI RIGENERAZIONE DEGLI SPAZI APERTI URBANI E SUBURBANI, PER UNA NUOVA CENTRALITÀ DELLE AREE DI ‘FRANGIA URBANA’1
INTRODUZIONE Bergamo è città storica, città d’arte e città murata, la più delicata e rara tipologia tra le città storiche. Le mura di Bergamo presentano un serie di caratteri che la rendono uno degli esempi più preziosi di città murata. La cinta cinquecentesca voluta da Venezia per “la sicurità non solamente di quella città, (Bergamo n.d.a.), ma ancora di tutto il nostro stato”2 sono, nel loro intero sviluppo, originali, integre e funzionali, ancor oggi le porte svolgono la funzione di pressochè unico varco di accesso a Città alta e annunciano, con le loro ricercate architetture, la magnificenza di ciò che racchiudono e nel contempo, grazie al differenziato linguaggio delle loro facciate, evocano le gerarchie e i valori dei luoghi verso cui conducono le direttrici che da esse si dipartono. Bergamo è inoltre città generatrice di uno specifico sistema rurale urbano, frutto di un plurimillenario rapporto della città con il proprio contesto sottoposto a un’intensa reificazione finalizzata a sopperire alle esigenze alimentari delle stessa popolazione urbana. L’ampio e diversificato assetto rurale, esito della relazione tra campagna della città ed evoluzione storico-urbanistica è per ampi brani ancora persistente e si sta caratterizzando come uno degli assetti distintivi della città contemporanea che grazie al proprio sistema rurale urbano potrà trovare nuovi e innovativi percorsi di promozione territoriale e di rafforzamento del proprio assetto identitario. La Bergamo prossima ventura si profila anche come virtuoso e attivo esempio di città ‘verde’. L’articolato quadro agrario cittadino è frutto anche di lungimiranti scelte amministrative che hanno garantito la salvaguardia degli spazi agricoli e implementato la qualità paesaggistica e ambientale del sistema urbane e periurbano.
Il presente contributo richiama, brevemente, la genesi del locale sistema rurale, descrive le principali scelte che dalla seconda metà del secolo scorso hanno contribuito alla sua salvaguardia e valorizzazione e prospetta ulteriori percorsi e indirizzi d’attenzioni che possano ulteriormente estendere il ruolo del verde agricolo quale elemento di riqualificazione e rigenerazione degli spazi urbani, particolarmente di quelli di margine. IL VERDE RURALE DI BERGAMO UN MIRABILE ARTEFATTO URBANO
Bergamo, in stretta dipendenza del proprio sito, non ha sviluppato la propria espansione urbana in modo concentrico, a macchia d’olio, come avviene in molti centri, soprattutto di pianura, ma in parti e piani ben definiti. Osservata dalla pianura la città appare articolata in due parti e tre piani. Le parti sono costituite dal nucleo di Città alta e dai borghi, alcuni dei quali dimensionalmente più estesi della città. Procedendo dal piano verso l’alto i tre piani sono rappresentati dai borghi, dalla città storica e dal Castello di S. Marco, l’antico Castrum Capellae, posto sul colle di S. Vigilio. La città ha storicamente assunto una pianta palmare, in cui il palmo è costituto dal nucleo originario della città storica da cui si dipartono, simili ad affusolate dita, le propaggini dei borghi che scendono al piano seguendo le direzioni verso i centri del contado e dei vicini capoluoghi. La struttura palmare della città si è confermata in modo evidente fino al primo Novecento. Tale pianta è all’origine di una peculiare relazione tra sistema del verde e tessuto urbano. I borghi si alternavano ad amplissime conche rurali che toccavano il piede della cinta muraria cinquecentesca.
1 Il testo riprende e compone, integrandoli, alcuni brani tratti da precedenti saggi dell’autore, in particolare Ferlinghetti R. 2012a, 2012b, 2013, 2015, a cui si rimanda per i relativi approfondimenti culturali e bibliografici. Le fotografie sono dell’autore ad eccezione dell’immagine 1 fornita dall’amico Arturo Arzuffi che ringrazio per la generosa e preziosa collaborazione fornita anche in questa occasione. 2 Archivio di Stato di Venezia, Senato Segreta, Deliberazioni, reg. 72, c.70 v., citato in Colmuto Zanella, Zanella (1995, p. 102).
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RENATO FERLINGHETTI
Le conche più lontane dalla città, definite da dorsali secondarie perpendicolari al crinale principale dei colli, assunsero il nome di valli, si pensi alla valle d’Astino o, appunto, alla Valmarina. Al loro interno si stagliavano, isolati, i monasteri annunciati dalle torri campanarie e circondati da altri muri di pietra e/o borlanti che segnavano il limite dei broli. Nei pressi degli edifici monastici sorgenti d’acqua e rioli assicuravano il rifornimento idrico necessario per la vita e il lavoro della comunità. Avvicinandosi alla cerchia medievale delle Muraine e alla cortina dei borghi che in parte di estendevano anche oltre il limite della seconda cinta muraria, le partizioni, le colture e l’organizzazione agraria mutano ancora. Alle spalle del duplice allineamento di edifici dei borghi, tagliato dalla strada che saliva verso la città, si estendeva una serrata serie di orti. I rettangoli verdi replicavano la partizione, stretta e allungata, dei lotti su cui sorgono le abitazioni. Al piede del colle le ortaglie domestiche beneficiavano delle acque derivate dai canali Serio e Morlana e dalle rogge che da essi si dipartono. Tali ampie e produttivi parcelle, rispetto ai singoli orti, vennero censite nel catasto austrica come Ortaglie adaquatorie. Le colture degli orti, mutano in funzione della soglia cronologica e della disponibilità economica della proprietà. Nelle ortaglie alle spalle del Borgo Pignolo che nel periodo veneziano costituì il Borgo di rappresentanza le superficie orticole dei palazzi nobiliari sono ampie, condotte a mezzadria, da uno o più ortolani che vendono la percentuale di proprietà spettante e le eccedenze produttiva nei mercati delle erbe presenti in città. In tali ortaglie, per le più ricercate esigenze dei proprietari e per la maggior professionalità dei conduttori, alle consuete verdure si affiancano lattughe, asparagi e carciofi e una vasta serie di erbe officinali. Si privilegiano prodotti di più facile e lunga conservazione: rape, cipolle, agli, numerose varietà di legumi, verze e cavoli. Non mancano gli alberi da frutto; quando quest’ultimi divengono dominanti si parla più propriamente di brolo, coltivo che rispetto alle ortaglie presenta anche una superficie maggiore. Broli e ortaglie sono generalmente cinte da muri, di pietra sul colle a cui si avvicendavano, fino a prendere il sopravvento al piano, i borlanti di fiume, spesso posti a lisca di pesce. Le chiusura murarie sono purtroppo oggetto di un continuo ‘sfoltimento’, sostituite da più banali e omologanti cancellate metalliche. All’esterno della cortina delle ortaglie si collocavano prati e arativi di maggior ampiezza. Una coltura particolarmente diffusa a Bergamo fu la vite, sostenuta da motivazioni, economiche, politiche oltre che sanitarie. Il progressivo aumento del mercato cittadino portò a un ampliamento della superficie riservata al
vigneto. La produzione vitivinicola, infatti, garantiva un alimento fermentato, il vino, che al contrario dell’acqua dei pozzi e delle rogge, non veicolava agenti patogeni causa di periodi e spesso intense e catastrofiche epidemie. La crescente richiesta di vino giustificò il cospicuo investimento di forza lavoro e di risorse finanziarie necessarie al disboscamento delle zone collinari, al risanamento delle terre basse e malsane e alla bonifica degli incolti che si stendevano intorno al perimetro urbano. Le esigenze agronomiche determinarono il terrazzamento, spesso a ripe erbose, delle pendici più erte, sui pianori cosi ottenuti si allinearono i filari di vite delimitati da siepi e muraglie di recinzioni ai cui bordi si consolidò una minuta trama di sentieri, strade vicinali e comunali che ancor ritaglia le pendici collinari e costituisce una rete per la mobilità dolce di grande suggestione per gli scorci panoramici verso la pianura o il fronte prealpino. Le esigenze di paleria per il sostegno dei tralci di vite determinò la conversione di ampie superficie arborate, verso il bosco ceduo, soprattutto nei versanti a bacio la cui gestione era in rapporto diretto con le esigenze agronomiche dei vigneti diffusi sui pendii meglio esposti. Il quadro paesaggistico così definitosi, caratterizzato dall’alternarsi e dall’integrarsi di parti di città edificati e parti caratterizzati da minute e fortemente cesellate aree agricole costituisce uno degli iconemi più rappresentati e decantati del volto di Bergamo. La mirabile vista dal Mons civitatis era già stata rimarcata iconograficamente fin dal prime rappresentazioni della nostra città, si pensi alla più antica rappresentazione della città di Bergamo, contenuta in un manoscritto quattrocentesco della Vita di San Benedetto conservato presso la biblioteca comunale di Mantova o ai disegni di Marin Sanudo che nei suoi schizzi grafici relativi al profilo dei colli di Bergamo scrive, sul fianco dell’altura di S. Vigilio, “tutto zardini”. L’autore non dava a tale espressione il significato attuale, ma è in ogni caso chiaro il richiamo a uno spazio verde coltivato, disegnato, frutto del lavoro dell’uomo. Le descrizioni letterarie, cartografiche o pittoriche che si susseguono nei secoli continuano a restituirci l’immagine di una città fortemente caratterizzata da ampi brani di verde agricolo. Solo con la prima metà dell’Ottocento molte ortaglie e broli a ridosso dei palazzi di maggior prestigio dei borghi si trasformeranno in giardini, alcuni dei quali, Suardi, Caprotti, Marenzi, verranno acquisiti nella seconda metà del Novecento dall’amministrazione comunale e oggi costituiscono i parchi pubblici più centrali della città. Con l’annessione di Bergamo alla repubblica di Venezia (19 aprile 1428) la città andò incontro al più
BERGAMO DA ‘CITTÀ PARCO’ A FULCRO DI RIGENERAZIONE DEGLI SPAZI
traumatico episodio urbanistico della propria storia: la realizzazione della cinta muraria cinquecentesca. Le nuove fortificazioni determinarono una notevole variazione nel rapporto tra spazi pieni e spazi vuoti urbani e, di conseguenza, tra verde ed edificato. Le mura bastionate veneziane squartarono la città: stravolsero conformazioni orografiche, violentarono equilibri secolari e recisero l’organico nesso tra l’insediamento collinare e i borghi. Tutto cadde d’innanzi all’avanzare della ciclopica opera difensiva, le distruzioni edilizie coinvolsero probabilmente un decimo della popolazione, furono rase al suolo centinaia di case, scomparvero interi tratti di borghi e in toto Borgo S. Lorenzo. Furono interrotti gli acquedotti che alimentavano la città e recise le vie che raccordavano la città ai borghi. Scomparvero numerosi poli religiosi, ben tre delle quattro nuove porte presero il nome di chiese distrutte, a cui si deve aggiungere la cattedrale e il convento di Santo Stefano. Alla chiusura della cinta muraria nel 1588 Bergamo si trovò tagliata da un’ampia spianata che oggi costituisce la collana di orti e spazi verdi che adornano la base dei bastioni. Già nel 1562, prima quindi dell’ultimazione del sistema difensivo, venne stabilito il divieto di fabbricare entro la distanza di 52 metri dall’impianto fortificatorio. La servitù generò un ampio incolto tra la città storica e i borghi. La fascia di rispetto era evidenziata da termini in pietra che recavano la scritta non latius. In tale spazio nudo, sottratto al precedentemente tessuto urbano, non era consentito impiantare coltivazioni legnose al fine di non fornire alcun vantaggio agli assalitori. Il nucleo antico della città si cristallizzò nella sua struttura di ‘Fortezza di monte’. La città Seicentesca, come ci testimoniano le fonti documentarie, appariva dominata dallo scosceso e spoglio colle di S. Vigilio sul quale si ergeva il complesso fortificato del Forte di S. Marco. Ai piedi della cinta muraria un ampio spazio libero da costruzione, più in basso si apriva la raggiera dei borghi connessi alla città fortezza da una nuova trama viaria. I nastri dei borghi ripartivano, nel vasto declivio tra monte e piano, estese conche rurali minutamente cesellate dalla mano dell’uomo in cui si distribuivano nuclei rurali e monasteri. La presenza dei coltivi era talmente diffusa che la città antica si pose come un balcone affacciato nel verde. Tale quadro urbanistico si manterrà grossomodo inalterato fino alle soglie del XX secolo. PERCORSI DI CITTADINANZA: LA CITTÀ PER IL VERDE Sebbene attenzioni al sistema del verde si siano sempre manifestate nel plurimillenario sviluppo di Ber-
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gamo, queste erano generalmente finalizzate al mantenimento e all’ampliamento delle sue funzioni produttive e a regolare la convivenza cittadina più che motivate da una chiara volontà di promozione di modelli di decoro, di immagine pubblica e civile della città stessa. Con la caduta di Venezia e la conquista napoleonica le idee illuministe di rendere la città più bella e confortevole non solo negli spazi privati, ma anche in quelli pubblici giunsero a Bergamo. A Bergamo l’adeguamento ai nuovi canoni urbanistici avvenne attraverso l’ampio utilizzo del viale alberato. L’argine murario, abbandonata la funzione di struttura militare, divenne, attraverso l’uso pubblico e la piantumazione di alberi, luogo di passeggio e splendido belvedere. Dapprima venne alberato il tratto tra Porta S. Agostino e Porta S. Giacomo, a cui seguirono alcune sistemazioni a verde nei pressi della porta di S. Alessandro. Il modello del viale alberato venne adottato anche nei nuovi rettifili realizzati in città: la circonvallazione delle Muraine, il nuovo Campo di Marte di fronte al Convento di S. Marta, la grande arteria della Strada Ferdinandea (1845), l’attuale Viale Vittorio Emanuele, che raccordò i propilei di Porta Nuova con la porta di S. Agostino. Seguì poi il viale della stazione, straordinariamente ampio per l’epoca e per la mobilità del tempo. Come sottolinea acutamente Pagani (s.d., p. 18), l’impianto degli ippocastani lungo il viale di accesso alla città storica e sulle mura stesse assume un peculiare valore iconico: “…oggi questi alberi, con l’ampio corredo delle loro fronde, concorrono in modo distintivo a definire gli aspetti della città. La loro funzione è determinante anche nel segnare, insieme a tutto il patrimonio del verde urbano e periurbano, il colore delle varie stagioni: Bergamo non può essere percepita o sentita senza le architetture nude dei rami degli ippocastani dell’inverno, il verde trasparente della primavera, il verde denso dell’estate e l’oro dell’autunno.” L’inserimento del verde ornamentale si fece con il XX secolo sempre più marcato. Le cortine arboree si diffusero dalle vie e dalle piazze alle ortaglie, trasformandole in giardini. Negli spazi verdi dell’area urbana si rafforzò l’uso delle conifere che tinsero di nuove tonalità gli spazi aperti. Al verde tenue delle latifoglie si sostituirono le tonalità scure delle aghifoglie caratterizzate da chiome dai profili piramidati, che al contrario di quelle delle caducifoglie non segnano il susseguirsi delle stagioni. Il paesaggio vegetale contemporaneo posto a dimora tra le ‘selve’ di condomini e di ville, singole e a schiera, è un ibrido tra la taiga russa, per l’ampio utilizzo di conifere e betulle, e la foresta sub-tropicale per l’altrettanto largo utilizzo di palme, magnolie o altre sclerofille tipiche di climi più caldi.
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La foga della piantumazione non solo convertì le produttive e tradizionali ortaglie in verde ornamentale, dai tratti esotici, ma giunse perfino a obliterare il piano sommitale del profilo di Bergamo. Il colle di S. Vigilio da sempre dominante sulla città, come un nido di aquile, venne mimetizzato da una densa macchia boscata e mascherato da una serie di villini sorti per godere dell’invidiabile posizione panoramica. La legge urbanistica del 1942 impose alle città italiane di darsi un piano regolatore regionale. Nel dopoguerra si avvieranno anche a Bergamo gli studi preliminare a sostegno del Piano regolatore Muzio – Morini (1951-1956). Lo strumento urbanistico introdusse, all’articolo 9 delle norme e prescrizioni per l’attuazione del piano, la cosiddetta norma del cinquantesimo che assunse un ruolo fondamentale per la conservazione e la valorizzazione del sistema verde collinare. In base a tale indicazione le eventuali costruzioni sorte nella zona di rispetto panoramico3 non potevano “coprire più di 1/50 dell’area a disposizione per un’altezza di piani 2”. La norma, essendo le proprietà di piccola pezzatura, si rivelò particolarmente restrittiva impedendo di fatto l’edificazione del fronte collinare. Alcuni anni dopo l’approvazione del Piano il Sindaco di Bergamo Tino Simoncini, dimostrando elevato senso civile e tensione verso la difesa del bene comune, così rispose alle critiche che ampia parte dell’opinione pubblica aveva riservato alla stringente norma del cinquantesimo: “Abbiamo la chiara consapevolezza, noi Amministratori del Comune, di essere custodi di un patrimonio tanto prezioso quanto delicato ed intendiamo esercitarne una funzione di consapevole conservazione. Abbiamo quindi resistito a tutte le improvvisazioni che potessero comportare una alterazione dello scenario collinare così come si è conservato ed è stato fino ad oggi molto opportunamente protetto dal nostro piano regolatore generale e da altre norme di carattere panoramico, emanate a tutela dell’ambiente (…) Abbiamo ritenuto giustamente di attendere che dette norme sviluppassero una loro radicazione giuridica e psicologica onde fosse ben chiaro che l’incentivo edilizio era ed è rigorosamente subordinato all’interesse pubblico che, in questo caso, è rappresentato da una serie di elementi per la più parte convergenti verso una esigenza di conservazione. Ogni alterazione particolare deve inserirsi 3
in tale esigenza ed ogni nuovo insediamento residenziale o retificazione viaria, deve introdursi col garbo di chi tutto faccia per armonizzare il più possibile la nuova presenza”4. Il testo, esemplare per sensibilità e lungimiranza amministrativa, incentivò nell’opinione pubblica la consapevolezza del valore collettivo e identitario del verde collinare oggetto, una ventina di anni dopo, di un’ulteriore scelta per certi aspetti rivoluzionaria: l’inserimento della città storica e delle sue pertinenze geografiche nell’istituendo Parco regionale dei Colli di Bergamo. L’iniziativa impose l’avvio di innovativi percorsi di pianificazione finalizzati a gestire una città con la sensibilità dovuta ad un’area protetta e nel contempo conciliare le esigenze dell’area protetta con le necessità di una città e, nello specifico, di una città di particolare delicatezza, perché città storica, città d’arte e città murata, fulcro di un contesto territoriale oggetto di intensissime e profonde dinamiche territoriali. Le politiche del Parco dei Colli si sono concentrate su tre principali linee d’indirizzo: • conservare e valorizzare l’ingente, assai diffuso e spesso di valore altissimo patrimonio storico paesaggistico locale; • stabilire un nuovo equilibrio tra risorse ambientali e le attività dell’uomo con particolare attenzione alle risorse agro-silvo-colturali; • implementare l’uso culturale, ricreativo e turistico del patrimonio immobiliare inutilizzato e del contesto territoriale del Parco. A distanza di quasi quarant’anni da tale scelte possiamo dire che la sfida è stata vinta. Ma anche la città contemporanea continua a generare e rafforzare nuovi sistemi verdi. Nel Piano di Governo del Territorio di Bergamo (Cavagnis G., Della Mea G., Zambianchi M.) è prevista l’attuazione del progetto ambientale della Cintura Verde, di scala territoriale, che “intende promuovere un’attuazione della multifunzionalità dell’attività agricola finalizzata al miglioramento del paesaggio rurale e alla sua fruizione turistica, garantendo la funzionalità dei percorsi pubblici e di uso pubblico e delle relative attrezzature aperte di corredo: il territorio rurale è chiamato ad affiancare alla tradizionale produzione di tipo alimentare anche la ‘produzione’ di servizi di interesse pubblico, in virtù degli aspetti paesaggistici, ambientali, culturali, storici, naturalistici che è in grado di esprimere” (Zambianchi M., in questo volume, p. 68).
Erano incluse in tale ampia zona “tutte le colline, le pendici e gli spalti delle Mura veneziane, i pendii collinosi della Conca d’Oro e la zona della Benaglia”, (Zanella, 1962, ristampa del 1995, p. 107). 4 Il passo è riportato in Ferlinghetti R, 2012 a, p.33.
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Fig. 1. Il volto di Bergamo è profondamento intrecciato agli spazi aperti di orti, giardini, boschi storici. Nell’immagine Città alta e la conca di Astino, una delle più belle del sistema urbano..
Fig. 2 Stralcio della pianta attribuita ad Alvise Cima, 1693. Il tratto nero rappresenta il percorso delle mura cinquecentesche sul corpo della città. La realizzazione dell’ opera stravolse l’antico assetto urbano e generò un’ampia fascia di spazi aperti nel tessuto edilizio.
Fig. 3. Bergamo, vista sull’articolato sistema rurale che circondava Città alta nei primi decenni del Novecento.
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IL VERDE PER LA CITTÀ, NUOVI ORIZZONTI PER LA CITTÀ PROSSIMA VENTURA
Il verde che si è venuto configurando nella città di Bergamo è il frutto dello stretto intreccio tra portato di natura (configurazione e struttura del sito, caratteri climatici, biodiversità locale) e attività umane. Tale relazione ha generato un sistema verde a forte connotazione geo-storica e spiccata organizzazione rurale in cui, richiamando Giacomo Leopardi “La maggior parte di quello che chiamiamo naturale, naturale non è, anzi è piuttosto artificiale”. La collana di verde che cinge la città murata e si prolunga fino al Santuario di Sombreno, per uno sviluppo lineare di circa dodici chilometri, costituisce uno degli aspetti che più delineano l’identità di Bergamo. Il sistema verde collinare tocca in molti contesti valori di eccellenza paesaggistica e seppur adeguatamente protetto dai piani di governo del territorio e dal Parco dei Colli di Bergamo, è stato oggetto, solo negli ultimi anni, di significativi processi di valorizzazione. Eppure il manto verde delle balze, le chiome dense dei boschi storici, gli assolati muri di sostegno che legano il margine aperto periurbano alla città murata, l’ecomosaico collinare in cui pendii, pianori, selle, affacci, si susseguono senza incontrare traumatiche scollature, costituiscono senza dubbio una delle carte migliori che la città di Bergamo possa mettere in gioco nella competizione internazionale tra le città storiche e che vede il capoluogo orobico collocarsi in posizione di particolare favore anche per la presenta dell’aeroporto internazionale di Orio al Serio i cui traffici, sia merci che passeggeri, sono da decenni in continua ascesa. Nel contempo la transizione tra aree incluse nel Parco dei Colli e contesto presenta una netta contrapposizione paesaggistica. Pare quasi di assistere, a volte lungo i fronti della medesima via, alla materializzazione della contrapposizione tra gli esiti della tradizionale linea della tutela conservativa dei beni culturali e del paesaggio, saldata spesso alle nuove politiche di promozione dei cosiddetti paesaggi culturali e di marketing territoriale che tendono a ridurre a cartolina l’immagine paesaggistica, e le risultanze dell’intensissima pressione edificatoria, solo in parte smorzata dalla contemporanea crisi del settore immobiliare, che “…senza remore si sovrappone al paesaggio ereditato, spesso ne cancella ogni traccia, senza riuscire a fare ‘nuovo paesaggio’, ossia senza riuscire a creare ‘nuovi mondi’ in cui nuovi e vecchi oggetti, attività e individui si relazionino tra loro e co-esistano, seppur con regole diverse dal passato” (Lanzani 2011, p. 79).
Sembra che la vista del fondale verde collinare, su cui poggia la città storica, abbia distolto l’attenzione dalla cintura urbana in cui, senza troppo remore si è perseguito un’anonima urbanizzazione diffusa, ignorando la specifica matrice territoriale di tale ambito che è parte integrante della storia urbana e urbanistica della città e come per le aree centrali necessità di attenzione e prospetta soluzione e potenzialità notevoli sia per quanto riguarda le prove di cittadinanza che nel campo della agricoltura civica. Pur nella criticità della situazione sopra descritta notevoli sono ancora le prospettive per percorsi di riqualificazione e risignificazione degli spazi aperti urbani. Il richiamo, in particolare, è alla corona dei Corpi Santi, suburbio che nei centri lombardi costituiva l’area di transizione tra città e contado e rappresentava il limite amministrativo della città. Il termine Corpi Santi si affermò a partire dal Medioevo: in origine indicava, probabilmente, le aree in cui sorsero i primi cimiteri che accoglievano le reliquie dei martiri cristiani, successivamente il termine definì le proprietà di campagna delle chiese e delle congregazioni religiose, quindi la locuzione fu applicata al complesso dei beni di una città situata oltre la cinta muraria, quando avesse l’onore di immunità ecclesiastiche (Ghizzardi, 1996). Per Bergamo Giovanni da Lezze, nel 1596 afferivano ai Corpi Santi le terre “non più lontane da Bergomo di due milia incirca” in cui erano distribuite le seguenti località: Redona, Valtesse, Daste e Spalenga, Boccaleone, Campagnola, Colognola, Grumello del Piano, Lallio, Sudorno, Fontanabrolo, Castagneta, Broseta con Longuelo, Curnasco con Dalcio, Fontana con Valle d’Astino e San Vigilio. Il limite di due miglia è ribadito anche da Celestini Colleoni (1618) e da Vincenzo Formaleoni (1777), il primo autore quantifica in circa cinquemila abitanti la popolazione dei Corpi Santi bergamaschi. In questa sede più che seguire la complessa evoluzione amministrativa dei Corpi Santi, in perenne oscillazione tra volontà egemonica della città e istanze di autonomia, si vuol sottolineare la loro specifica struttura paesaggistica raramente richiamata negli interventi che interessano quella che oggi viene generalmente definita ‘frangia urbana’. La causa di tale lacuna deve essere probabilmente ricondotta al fatto che i Corpi Santi, anche nelle analisi più attente, sono considerati esclusivamente come una storica struttura amministrativa e non come ambito urbano dotato di specifici processi ed esiti territoriali. Nel suburbio dei Corpi Santi la vicinanza del mercato urbano favoriva l’ampia diffusione, rispetto al contado, delle colture orticole, con l’approssimarsi del centro urbano s’infittiva anche la rete del reticolo idrico artificiale e la diffusione dei luoghi del lavoro ad essi associati. Significativa era anche la
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presenza di edifici padronali finalizzati alla villeggiatura funzionale sia al controllo delle proprietà fondiarie sia allo sviluppo degli ozi agresti. Diffusi erano i nuclei demici e la presenza di oratori e chiese campestri. L’immagine convenzionale e stereotipata dei margini urbani quali luoghi melanconici e depressi è capovolta nelle descrizioni storiche di numerosi autori. Carlo dell’Acqua, autore di una monografia sul comune dei Corpi Santi di Pavia così si esprime: “Ubertoso territorio posto in bella e amena parte dell’agro pavese, che spicca per suo vaghissimo tappeto di verzura e di fiori; un territorio sul quale sorgono fabbricati di villeggiatura sparsi qua e là su ridenti poggi, e stendonsi vallette bagnate dalle acque della Vernavola che vi serpeggia con grazioso giro, del Naviglio, del Navigliaccio e di altri piccoli canali che si diramano per ogni dove con immenso vantaggio dell’agricoltura”. Analoghe bucoliche descrizione furono stese dagli autori bergamaschi che definirono i Corpi Santi locali “luoghi di delizie” o “ameni ritiri”. Al contrario di quanto avvenuto in altri centri lombardi i Corpi Santi di Bergamo sono ancora chiaramente leggibile, salvaguardati, nella loro partizione collinare, dal Parco dei Colli di Bergamo, mentre nella sezione al piano, grazie alla loro marcata struttura, non sono stati completamente obliterato dalle trasformazioni edilizie degli ultimi decenni. Ancor oggi chi li abita oltre che cittadini di Bergamo si definisce residente a Colognola, Campagnola, Boccaleone, Redona o negli altri nuclei demici della rimossa corona dei Corpi Santi. Tra le principali direttrici viarie che si dipartono dalla città persistono ancora ampie superfici intercluse che permettono di fruire di ampi sguardi sulla tradizionale paesaggio del suburbio. Un dedalo di strade campestri collega tra loro gli antichi Corpi Santi; da tali percorsi dolci è possibile godere di splendide viste verso la città sul colle, seguire le cortine verdi delle rogge, cogliere la antiche partizioni del tessuto agricolo, alcune delle quali legate agli storici interventi di bonifica prodotti dalla città nel periodo comunale. La persistente e delicata trama dei Corpi Santi merita un’attenta risignificazione, in senso pubblico, aperto e inclusivo che salvaguardi gli aspetti caratteristici e costruisca nuovi paesaggi di transizione tra il nucleo denso della città e gli spazi aperti dell’attuale campagna industrializzata. L’invito è pertanto a considerare l’antico ambito dei Corpi Santi, come uno stratificato territorio e non un ‘vuoto urbano’, contesto che ci impone una innovativa progettazione densa di cultura dei luoghi e di spinte innovative. Tali processi di qualità urbanistica dovranno mettere in valore anche il capitale sociale di queste aree che negli ultimi anni si è distinto per numerose proposte finalizzate al-
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la costruzione di ambienti di vita di qualità. La risignificazione del reticolo connettivo dei Corpi Santi, carico di caratteri identitari e di qualità paesaggistica e ambientale, può costituite una risposta ‘alta’ alle spinte omologanti dei processi di globalizzazione e dei contemporanei sviluppi metropolitani. Nel dibattito internazionale sulla ‘rinaturalizzazione’ della città è sempre più marcata la consapevolezza che il suo ritorno, soprattutto nelle città storiche europee, non debba essere pensato per concedere al verde qualche metro in più quanto per “riportare la natura in città restituendole la pienezza di quel significato ecologico, storico e culturale, che traspare vividamente dall’iconografia storica” (Gambino, 2014). Gli sforzi che in tante città europee si stanno facendo per riportare e attualizzare l’idea delle ‘cinture verdi’, nelle nuove prospettive della città reticolare, testimoniano la difficoltà di individuare nuove logiche organizzative, capaci di integrare spazi aperti e spazi chiusi, paesaggi urbani e paesaggi rurali, dinamiche insediative e dinamiche ambientali. In questa direzione le politiche di conservazione della natura e del paesaggio sembrano destinate a “sfidare la cultura urbanistica, costringendola ad uscire dai suoi recinti tradizionali (legati più o meno rigidamente all’ambiente costruito) per tentare di dar senso concreto a concetti come gli ‘standard urbanistici’ e, più in generale, per assumersi nuove più pesanti responsabilità in ordine alla realizzazione dello spazio pubblico e dello spazio sociale” (Gambino, ibidem). In tale quadro di ambiziosi indirizzi di governo del territorio significative dinamiche si stanno addensando alla scala locale. La cintura verde prevista dal vigente PGT di Bergamo si sta declinando verso la risignificazione dell’armatura territoriale dei Corpi Santi, la proposta di legge regionale di revisione delle aree protette spinge verso l’accorpamento delle aree protette locali (PLIS) ai Parchi regionali, ciò potrebbe determinare un ampliamento del Parco dei Colli al pianalto cittadino generando una nuova cintura verde che recuperi e rilanci i valori storico paesaggistici e ambientali distribuiti nel suburbio e nel tessuto periurbano, la rigenerazione integrata tra spazi aperti e patrimonio storico architettonico della Valle di Astino, avvenuta nell’ambito del progetto ‘I territori di EXPO 2015’, mostra quali positive ricadute si possano genera nel caso di adeguati progetti di integrazione tra aspetti paesaggistici, ambientali e culturale, e ancora, l’avvio del percorso di revisione del PGT del comune di Bergamo e del PTC del Parco dei Colli, si presterebbe ad accogliere e sistematizzare, in una prospettiva di governo complessivo del territorio, le numerose spinte innovative di questa felice stagione della città di Bergamo.
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Figg. 4-5. Mozzo, vedute dalla porta del Parco in Via Masnada. Il limite del Parco dei Colli è spesso caratterizzato da uno stridente passaggio tra panorami di grande valenza storico paesaggistica (a destra) e i nuovi paesaggi ibridi (a sinistra), tipici dello sprawl urbano, che caratterizzano la corona della ‘Grande Bergamo’.
Fig. 6. La Festa del Parco dei Colli di Bergamo, permette a famiglie e bambini di avvicinarsi al mondo rurale urbano.
Fig. 7. Bergamo, sede dell’ANA in Via Gasparini. La sede è posta in un nucleo medievale dominato dalla torre Gargana.
Fig. 8. Valori architettonici e trame paesaggistiche nei Corpi Santi a sud di Bergamo. Elaborazione cartografica Andrea Azzini, Centro Studi sul Territorio ‘L. Pagani’, Università degli studi di Bergamo..
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Finito di stampare nel mese di dicembre 2015