112 - Niente amnistia per l'Artico

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NIENTE AMNISTIA PER L’ARTICO

n°centododici

GREENPEACE NEWS - N.112 - I TRIMESTRE 2014 - ANNO XXVIII

Poste Italiane SpA. Spedizione in abbonamento postale D.L.353/03 (conv.in L.27/02/2004 n°46) art 1 comma 1 aut. DCB Roma


NEWS PERIODICO DI GREENPEACE ITALIA

SOMMARIO

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3 ARTICO

Finalmente a casa

FORESTE

AGRICOLTURA

Buone notizie in Indonesia

Gocce al veleno

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6 DAL MONDO

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Questo numero del Greenpeace News è di sole otto pagine, ma non preoccupatevi: le notizie importanti ci sono tutte! Stiamo lavorando a un nuovo formato, che sarà pronto nei prossimi mesi. A presto!

CLICK & CO.

Direttore editoriale/ Andrea Pinchera Direttore responsabile/ Fabrizio Carbone Redazione/ Laura Ciccardini, Valeria Iovane, Luigi Lingelli, Cecilia Preite Martinez, Gabriele Salari, Massimo Suraci Archivio foto/ Massimo Guidi Internet/ Alessio Nunzi Progetto grafico/ Saatchi&Saatchi Impaginazione/ Francesca Schiavoni, Paolo Costa Redazione e Amministrazione/ Greenpeace ONLUS Via della Cordonata, 7 00187 Roma email: info.it@greenpeace.org tel: 06.68136061 fax: 06.45439793 Ufficio abbonamenti/ Augusto Carta tel: 06.68136061(231) Sped. in abb. postale -Art.1, Comma 2 - Legge 46/2004 - DBC Roma

Abbonamento annuo 35 Euro Aut. Tribunale di Roma 275/87 del 8.5/87

Foto copertina/ © Greenpeace/Martin Katz Questo periodico è stampato su carta amica delle foreste: carta riciclata contenente alte quantità di fibre post-consumo e sbiancata senza cloro. L’involucro per l’invio del Greenpeace News è in Materbi, un materiale derivato dal mais, completamente biodegradabile.

EDITORIALE di GIUSEPPE ONUFRIO

LA FINE DELLA VICENDA degli Arctic30 con il ritorno a casa degli attivisti e del nostro Cristian lo scorso 27 dicembre, dopo un’ingiusta e illegittima privazione della libertà, ha chiuso una prima fase della campagna per salvare l’Artico e il clima globale. Abbiamo potuto contare su una grande solidarietà a tutti i livelli: leader politici, premi nobel, cantanti e milioni di cittadini che hanno scritto per protestare contro le trivellazioni nell’Artico e contro l’arresto degli attivisti di Greenpeace. Oltre cinque milioni di persone si sono mobilitate online in tutto mondo. Eppure questa grande mobilitazione è solo l’inizio della campagna più difficile e importante per salvare il clima globale e l’Artico. Gli scienziati della Commissione Intergovernativa sui Cambiamenti Climatici (IPCC) dell’ONU, nel Quinto Rapporto presentato lo scorso settembre hanno detto chiaramente che, per ridurre i danni e non superare un aumento di due gradi centigradi nelle temperature globali, il 75 per cento delle risorse fossili deve restare dov’è: sottoterra. Penso che questa cifra da sola spieghi l’enormità della sfida ambientale globale che abbiamo di fronte. Ancora, se guardiamo le stime dell’Agenzia Internazionale per l’Energia dell’OCSE, la produzione di petrolio convenzionale è destinata in pochi lustri a scendere globalmente, controbilanciata solo parzialmente dalle produzioni “non convenzionali” – più sporche e pericolose – come l’estrazione in Artico, in pozzi offshore profondi o l’uso delle sabbie bituminose e dell’olio di scisto. È evidente che se non si passa a un nuovo paradigma – la “rivoluzione energetica” – oltre a non salvare il clima aumenterà anche il rischio di guerre e conflitti per le risorse. Dunque non si tratta solo della protezione dell’ecosistema artico e del clima globale – già motivi più che sufficienti per una campagna internazionale – ma anche di ridurre le tensioni politiche sempre rischiosis-

sime sul tema energetico. In questo quadro, la reazione della politica non sembra adeguata: sugli obiettivi europei al 2030 pur confermando obiettivi vincolanti sul taglio di CO2 e le rinnovabili si registra un rallentamento: troppo poco ambizioso il 27 per cento da rinnovabili e il taglio del 40 per cento delle emissioni di CO2, mentre l’obiettivo sull’efficienza energetica rimane non vincolante. Apriamo l’anno invece con la campagna per rendere più sostenibile l’industria tessile e la moda. Dopo i risultati positivi del 2013 – con importanti firme che hanno accettato i nostri obiettivi – la campagna si focalizza su quei marchi che non rispondono nemmeno alle nostre richieste (Louis Vuitton, Versace e D&G) perché eliminino l’uso di sostanze chimiche pericolose. Mentre chiudiamo il giornale arriva la notizia dell’arresto di sei persone per lo scandalo della finta bonifica dell’ex Sisal a Pioltello, da noi denunciato a più riprese sin dal 2011. Oltre a essere la prova che abbiamo svolto un lavoro di indagine importante, è anche un segnale d’allarme: se la “bonifica modello” è stata in realtà una truffa ambientale (rifiuti pericolosi riclassificati come non pericolosi per lucrare sui costi di smaltimento) la situazione è davvero grave. Greenpeace Italia continua, nonostante la crisi, a crescere superando la soglia dei 67.800 sostenitori attivi nel 2013, quasi cinquemila in più rispetto a un anno fa. Ed è grazie a voi che ci sostenete che possiamo dare il nostro contributo per un futuro migliore per il pianeta e i suoi abitanti.


FINALMENTE A CASA IL RITORNO DEGLI ARCTIC30, E ORA?

ARTICO

© Dmitri Sharomov/Greenpeace

di CRISTIANA DE LIA

© Dmitri Sharomov/Greenpeace

GLI ARCTIC 30 sono finalmente a casa. È il 27 dicembre quando finalmente possiamo dare la notizia che tutti attendevamo da settimane. I nostri attivisti hanno trascorso due lunghi mesi di detenzione senza conoscere il loro destino, tra paure e speranze, illusioni e rassegnazione: un’altalena emotiva alimentata dal susseguirsi di notizie sempre nuove e spesso contraddittorie. Durante la prigionia, in tantissimi nel mondo si sono mobilitati per gli Arctic30: dai nostri volontari alla gente comune, dai premi Nobel ai musicisti, dai politici agli attori. Molti sono scesi in piazza manifestando in silenzio davanti alle ambasciate russe di tutto il mondo. Altri hanno inviato lettere di incoraggiamento. Dall’Austria alla Turchia fino all’Italia, i nostri attivisti hanno i scalato i

tetti degli stadi per protestare contro Gazprom, sponsor principale della Champions League. Ben due milioni e mezzo di persone hanno firmato la nostra petizione. I media di tutto il mondo hanno riportato giorno per giorno la storia di questi 30 eroi. In Italia, il nostro connazionale Cristian D’Alessandro ha ricevuto grande attenzione e solidarietà . Finalmente il 19 novembre si apre uno spiraglio di luce per i nostri Arctic30: la Corte di San Pietroburgo decide di rilasciare temporaneamente gli attivisti in attesa della fine delle indagini. Ma le preoccupazioni non finiscono: gli attivisti non possono ancora tornare a casa. I 30 sono costretti a rimanere in territorio russo con l’accusa di vandalismo che può costare fino a 7 anni di carcere. Questo accade nonostante a fine novembre il Tribunale marittimo internazionale avesse ordinato alla Russia il dissequestro della nave di Greenpeace “Arctic Sunrise” e il rilascio degli Arctic30, dietro pagamento di un deposito cauzionale, versato dal governo olandese. Finalmente, a tre mesi dall’arresto, il punto di svolta: ci giunge la notizia che la Duma - il parlamento russo - ha approvato un provvedimento di amnistia che pone termine al procedimento legale aperto contro gli Arctic30. I nostri attivisti vengono amnistiati per un crimine che non hanno mai commesso, ma per quelli di nazionalità russa la fedina penale

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rimarrà macchiata per sempre. Li hanno accusati prima di pirateria, poi di vandalismo, ma la realtà è che gli Arctic30 erano e sono solo colpevoli di pacifismo, colpevoli di avere una coscienza che li ha portati a lottare in prima linea per il bene del nostro Pianeta. NESSUNA AMNISTIA L’amnistia ha reso i 30 liberi, ma rimane la consapevolezza che l’Artico è in pericolo: “La nostra battaglia continua”, hanno dichiarato al loro ritorno a casa. Con singolare tempismo, poco prima del rimpatrio degli Arctic30, il colosso petrolifero russo Gazprom ha annunciato di aver prodotto le prime quantità di petrolio con la stessa piattaforma Prirazlomnaya contro la quale i 30 avevano protestato. Considerando gli obsoleti e arrugginiti impianti della Gazprom, e le preoccupanti performance dell’azienda, che contano 206 sversamenti e perfino vittime umane , ormai quello nell’Artico è un disastro annunciato. Gli Arctic 30 sono liberi ma per l’Artico non c’è amnistia. Per questo, con il vostro aiuto, continueremo a lottare per la sua salvaguardia e aspettiamo con ansia di tornare a disporre di tutti i nostri strumenti. La nave “Arctic Sunrise”, infatti, è ancora sotto sequestro a Murmansk e non abbiamo nessuna notizia su quando potrà tornare a solcare i mari. Sicuramente dovrà subire una seria manutenzione dopo mesi in cui è stata bloccata in porto.


BUONE NOTIZIE IN INDONESIA

FORESTE di ESPERANZA MORA CI SONO VOLUTI ANNI di pressioni da parte di Greenpeace e di altre Ong per far sì che Wilmar International, multinazionale dell’olio di palma, aprisse gli occhi sull’impatto ambientale della propria filiera di produzione. L’impegno di Wilmar a cambiare rotta è fondamentale per arrestare il processo di deforestazione in Indonesia: la produzione di una materia prima come l’olio di palma è importante, ma non al prezzo della distruzione di un intero ecosistema. Far spazio alle piantagioni per produrre l’olio di palma è la prima causa della deforestazione in Indonesia. Per vederci chiaro abbiamo pubblicato lo scorso ottobre il rapporto “Licenza di uccidere”. Le nostre ricerche indicano come finora i fornitori di Wilmar siano stati coinvolti nella distruzione dell’habitat di specie in pericolo come la tigre di Sumatra, di cui attualmente restano solo 400 esemplari al mondo, e l’orango del Borneo. Sono state distrutte importanti aree naturali dentro a parchi nazionali e appiccati incendi senza controllo, sia accidentali che intenzionali, dall’impatto devastante. Lo scorso giugno il fumo proveniente da questi roghi, divampati nell’isola di Sumatra in Indonesia, si è

esteso fino in Thailandia e Singapore, a 200 chilometri dall’isola. I livelli di inquinamento dell’aria che si sono registrati in quest’area sono diventati altissimi, e casualmente proprio a Singapore ha sede la multinazionale Wilmar. I MARCHI NASCOSTI Wilmar agisce sia come produttore che come distributore, e controlla il 45 per cento del mercato mondiale. Tra i clienti della multinazionale ci sono noti marchi come Procter & Gamble, Mondelez (in passato Kraft) e Colgate Palmolive, che producono beni di consumo quotidiano quali Pantene, Milka o i dentifrici Colgate. Successivamente al lancio del nostro rapporto, Wilmar ha assunto una nuova politica a Deforestazione Zero per l’intera filiera, che precedentemente applicava solo alle foreste torbiere nelle proprie concessioni, e non all’olio di palma proveniente da fornitori terzi che poi l’azienda rivendeva. Questo nuovo impegno dimostra come il settore dell’olio di palma sia ben consapevole di contribuire al problema e di poter anche invertire la rotta dell’industria. Il successo dipenderà dalla corretta e immediata implementazione del

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piano: bisogna cancellare i contratti con tutti i fornitori responsabili. La produzione responsabile dell’olio di palma esiste e per quanto riguarda l’industria italiana c’è un esempio da seguire per tutti. Ferrero e tutti i suoi fornitori hanno sottoscritto a settembre il Palm Oil Charter, in cui si prendono l’impegno a rispettare tutte le tipologie di foreste, garantire la tracciabilità dell’intera filiera dell’olio di palma e un monitoraggio periodico da parte di agenti terzi, andando oltre la certificazione RSPO raggiunta finora: proprio quanto chiediamo noi. Seguendo questa strada, entro il 2015 Ferrero sarà in grado di assicurare che il 100 per cento della sua produzione di olio di palma sia a Deforestazione Zero. Ora la palla passa agli altri grandi rivenditori di olio di palma come Cargill, Musim Mas e Sime Darby. Chiediamo a tutto il settore dell’olio di palma di adottare e implementare delle politiche a Deforestazione Zero, come hanno fatto Wilmar e Ferrero, dimostrando che è possibile produrre olio di palma senza mettere in pericolo le ultime grandi foreste del Pianeta. E con noi lo chiedono sempre più consumatori al mondo.

© Ardiles Rante/Greenpeace

PRIMO STOP ALLA DEFORESTAZIONE


GOCCE AL VELENO UN BANDO, MA NON BASTA

AGRICOLTURA

© Greenpeace/Ex-Press/Michael Wurtenberg

di FEDERICA FERRARIO

FRUTTO DEGLI APPELLI di apicoltori e ambientalisti, nonché delle sempre maggiori evidenze scientifiche sugli impatti diretti e indiretti nei confronti di api e altri impollinatori, il primo dicembre scorso è finalmente entrato in vigore il primo bando europeo “salva-api”. Sono così parzialmente vietati tre pesticidi neonicotinoidi responsabili di morie e spopolamenti degli alveari. Un passo in avanti quindi, che fa bene all’ambiente e alle api e anche a noi bipedi. Ma alcuni non hanno gradito. Neanche il tempo di divenire effettivo, che Syngenta e Bayer – due delle società produttrici degli insetticidi banditi – hanno presentato ricorso presso la Corte di Giustizia europea contro la Commissione europea, per chiedere l’annullamento del bando. Niente di nuovo, la solita vecchia prassi di anteporre il profitto privato al benessere pubblico, ma apicoltori, ambientalisti e consumatori non ci stanno. In risposta a questo ricorso, Greenpeace International, il Coordinamento Apistico europeo Bee Life e altre quattro associazioni ambientaliste e di consumatori (Pesticides Action Network Europe, ClientEarth, Buglife e SumOfUs), hanno deciso di intervenire presso la Corte di Giustizia europea per difendere le misure

protettive a ssostegno delle api. Con il bando, che ha ricevuto anche il forte sostegno politico dei governi europei, sono stati parzialmente vietati in Europa tre neonicotinoidi prodotti da Syngenta (thiamethoxam) e Bayer (imidacloprid e clothianidin). La Commissione europea ha adottato il divieto per gli impatti negativi di queste sostanze sulle api e gli altri insetti impollinatori, in base alle valutazioni scientifiche dell' EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare): si tratta quindi di un divieto scientificamente rigoroso e giuridicamente corretto che aiuta a proteggere gli interessi degli agricoltori e dei consumatori europei. UN NUOVO RAPPORTO Ulteriori prove delle diverse modalità di contaminazione da parte di alcuni insetticidi le offre il recente studio pilota “Gocce al veleno”: www.greenpeace.org/italy/Gocceal-veleno. Greenpeace ha analizzato il liquido che trasuda dalle piante – chiamato acqua di guttazione – ottenute da mais trattato con due diversi insetticidi per la concia delle sementi: thiamethoxam (prodotto da Syngenta) e clothianidin (prodotto da Bayer), entrambi oggetto dal divieto europeo. Trattandosi di insetticidi ad azione sistemica, i neonicotinoidi penetrano nel sistema linfatico delle piante diffon-

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dendosi ovunque. Lo studio ha rivelato che le concentrazioni di pesticidi essudati dalla pianta nell’acqua di guttazione sono tanto alte da eguagliare o addirittura superare le concentrazioni di principi attivi raccomandate dalle aziende per l'utilizzo in forma spray nelle formulazioni commerciali. Si tratta dunque di un’ulteriore modalità di esposizione ai neonicotinoidi potenzialmente letale per le api, che va ad aggiungersi ai già noti e inaccettabili rischi legati a queste sostanze. Il liquido di guttazione, infatti, è una delle fonti di approvvigionamento di acqua per il singolo insetto o per la colonia e, quando proveniente da colture trattate, potrebbe rappresentare un serio pericolo per le api, perché i residui di pesticidi rinvenuti sono tali da poter uccidere un insetto con una sola assunzione. Il bando europeo quindi non è solo giustificato, ma deve diventare permanente ed essere rafforzato, e va esteso anche ad altre sostanze nocive per api e impollinatori. Bayer e Syngenta hanno scatenato i loro avvocati per bloccare il bando, ma hanno trovato pane per i loro denti. Questo primo e necessario passo per proteggere le api in Europa va difeso dagli attacchi delle aziende che perseguono i propri interessi a scapito dell’ambiente e del nostro cibo.


PROIBITA LA PATATA OGM resistenza ad alcuni antibiotici e che potrebbe scatenare una resistenza batterica verso medicinali salvavita. Sulla base di queste preoccupazioni per la salute umana e per l’ambiente, nel 2010 l’Ungheria aveva promosso un ricorso in sede europea, a cui si erano aggiunti Francia, Lussemburgo, Austria e Polonia, chiedendo l’annullamento dell’autorizzazione. Anche i cittadini si erano mobilitati per protestare contro la Commissione per aver ignorato le preoccupazioni scientifiche riguardo gli OGM: un milione di europei aveva firmato la petizione di Greenpeace e Avaaz ribadendo ancora una volta che gli OGM non sono graditi. La patata transgenica si era rivelata un vero e proprio flop commerciale, tanto che, nel gennaio 2012, BASF aveva annunciato di voler abbandonare i suoi piani di sviluppo delle colture OGM in Europa. Oltre al flop commerciale, ora è arrivato anche lo stop delle autorità. La Commissione Ue non aveva sottoposto al comitato di esperti dei Paesi membri la nuova proposta di autorizzazione, modificata dopo le valutazioni dell’EFSA, inviandola invece direttamente al Consiglio dei Ministri. La Corte ha stabilito che la Commissione non ha rispettato le norme comunitarie sulle procedure di autorizzazione dei prodotti OGM. F.F. Luis Liwanag/Greenpeace

NEL DICEMBRE 2013, la Corte di Giustizia Europea ha annullato l'autorizzazione alla coltivazione in Europa della patata OGM “Amflora”, brevettata da BASF. Il via libera era stato concesso nel 2010. La patata Amflora contiene un gene che trasmette la

OBIETTIVI RINNOVABILI, APPUNTAMENTO MANCATO le importazioni di fonti fossili e continuare ad esporre l’UE all’andamento volatile dei prezzi di gas e petrolio in special modo. Le rinnovabili invece,

secondo Greenpeace, potrebbero arrivare a soddisfare, al 2030, quasi la metà del fabbisogno energetico europeo al 2030. ANDREA BORASCHI © Robert Mayers/Greenpeace

LA COMMISSIONE EUROPEA ha mancato un appuntamento significativo col futuro industriale e ambientale dei Paesi membri dell’Unione e, ancor più, con la politica globale. La proposta che ha avanzato lo scorso 22 gennaio – e che sarà discussa nei prossimi mesi dai governi europei – per definire nuovi obiettivi per la salvaguardia del clima al 2030 è deludente e lacunosa. Il target specifico riguardante la riduzione di emissioni di gas serra indicato dalla Commissione ( meno 40 per cento) è del tutto insufficiente rispetto a quanto deve fare l’UE per contribuire alla salvaguardia del clima. Ancor più: è un obiettivo che non risolleverebbe in alcun modo le sorti del moribondo mercato del carbonio e non sosterrebbe veramente la conversione del sistema energetico. Ma c’è di peggio: la Commissione non ha voluto indicare un target vincolante per la crescita delle fonti rinnovabili, suggerendone uno volontario fermo al 30 per cento. Un modo certo, questo, per non intaccare

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© Thomas Eiberger/Greenpeace

© Dawid Sypniewski/Greenpeace

MONTAGNA INCANTATA? NO, TOSSICA SE SIETE APPASSIONATI di passeggiate in montagna oppure amate sciare c’è qualcos’altro su cui dovrete informarvi oltre al meteo. Un recente rapporto pubblicato da Greenpeace Germania mostra, infatti, come alcuni capi di abbigliamento outdoor tra i più famosi contengano sostanze chimiche pericolose. Abbiamo analizzato 17 campioni di tessuto di marche molto diffuse sul mercato, anche quello italiano, come The North Face, Patagonia, Adidas e l’italiana Salewa tra le altre. Perfluorinati e perfluorocarburi (PFC) sono due delle sostanze chimiche pericolose rilevate tra le membrane che vengono utilizzate in questo tipo di prodotti per renderli resistenti all’acqua. I PFC sono composti altamente persistenti nell'ambiente, considerati rischiosi per i potenziali effetti sulla funzionalità del sistema immunitario, riproduttivo e della tiroide. Tra i risultati più significativi, c’è la contaminazione dai PFO in un guanto, in cui il valore eccede il limite di legge di ben nove volte. Ma non finisce qui. Lo studio ha anche dimostrato che sostanze chimiche come i PFC viaggiano nell’aria che respiriamo e una volta messi in lavatrice vengono rilasciati nell’acqua con la quale laviamo il nostro bucato. Già diverse aziende, anche italiane, hanno accettato la sfida “Detox”, impegnandosi all’eliminazione di queste sostanze dai loro prodotti. CHIARA CAMPIONE.

STOP AL CARBONE A PORTO TOLLE NIENTE VIA PER IL PROGETTO di conversione a carbone della centrale Enel di Porto Tolle. La Commissione Via del Ministero per l’Ambiente ha bocciato nuovamente – accogliendo molti dei nostri rilievi – la procedura autorizzativa. Enel, se vorrà perseguire nel più catastrofico degli errori, dovrà presentare un nuovo progetto e un nuovo studio di impatto ambientale. Potrebbe accadere, nonostante l’Italia disponga già di un parco di generazione elettrica praticamente doppio rispetto alle necessità di consumo nazionali e non abbia bisogno di nuove centrali alimentate con fonti fossili. Non esiste il carbone pulito. Quella fonte rimane la più inquinante e dannosa per il clima e la salute umana. La conversione a carbone di una vecchia centrale a olio combustibile nel cuore di un parco naturale, in un ecosistema fragile e unico, sarebbe semplicemente folle. Lo sarebbe doppiamente, poi, impattando direttamente sulla pianura padana, la zona con la peggiore qualità dell’aria in Europa. Starà ad Enel, adesso, decidere se continuare in futuro a rappresentare il problema – tenendo in vita la prospettiva del carbone come risorsa energetica chiave per l’Italia – o se vorrà piuttosto diventare parte della soluzione, cominciando a investire sullo sviluppo delle fonti rinnovabili e sull’efficienza energetica. A.B.

BREVI DAL MONDO

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© XXXXXXXXXXXXX/Greenpeace

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1. Negros, Filippine – Greenpeace a sostegno di

4. Jalisco, Messico – La Rainbow Warrior arriva in

2. Australia – I sub di Greenpeace in difesa della

5. The Hague, Olanda – Attivisti consegnano la peti-

3. Caen, Francia – In azione per bloccare un carico di

6. Varsavia, Polonia – Climbers in azione contro il

un festival di agricoltura biologica. © Andri Tambunan/Greenpeace Grande barriera corallina. © Dean Sewell / Greenpeace legname illegale dal Congo. © Pierre Baelen/Greenpeace

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Messico per il tour Detox. © Yohena Raya / Greenpeace

zione con 85 mila firme raccolte in difesa delle api. © Cris Toala Olivares/Greenpeace carbone durante il World Coal Summit. © Bogusz Bilewski/Greenpeace

CLICK & CO.

di MASSIMO GUIDI

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