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STOP THE RACE

n째centodieci

GREENPEACE NEWS - N.110 - III TRIMESTRE 2013 - ANNO XXVII


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SOMMARIO

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Artico sotto assedio

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AGRICOLTURA

End the age of coal

1 grattacielo 6 donne

NEWS PERIODICO DI GREENPEACE ITALIA

Déjà vu transgenico

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Direttore editoriale/ Andrea Pinchera Direttore responsabile/ Fabrizio Carbone Redazione/ Serena Bianchi, Laura Ciccardini, Maria Carla Giugliano, Valeria Iovane, Luigi Lingelli, Cecilia Preite Martinez, Gabriele Salari, Massimo Suraci Archivio foto/ Massimo Guidi Internet/ Alessio Nunzi Progetto grafico/ Saatchi&Saatchi Impaginazione/ Francesca Schiavoni, Paolo Costa Redazione e Amministrazione/ Greenpeace ONLUS Via della Cordonata, 7 00187 Roma email: info.it@greenpeace.org tel: 06.68136061 fax: 06.45439793 Ufficio abbonamenti/ Augusto Carta tel: 06.68136061(231) Sped. in abb. postale -Art.1, Comma 2 - Legge 46/2004 - DBC Roma

Abbonamento annuo 35 Euro

MARE

Le ricette salvatonno

FORESTE

Carta riclicata

CLICK & CO.

DAL MONDO

Aut. Tribunale di Roma 275/87 del 8.5/87

Foto copertina/ © Greenpeace Questo periodico è stampato su carta amica delle foreste: carta riciclata contenente alte quantità di fibre post-consumo e sbiancata senza cloro. L’involucro per l’invio del Greenpeace News è in Materbi, un materiale derivato dal mais, completamente biodegradabile.

EDITORIALE di GIUSEPPE ONUFRIO

LA CAMPAGNA globale per salvare l’Artico ha vissuto un’estate di grande fermento. Ad agosto, Greenpeace ha portato a termine le clamorose azioni al Gran Premio del Belgio di Formula 1 e altre attività di protesta contro Shell – il colosso anglo-olandese che guida la corsa alle estrazioni petrolifere nel Mare Artico – dalla Danimarca alla Germania. Mentre chiudiamo il giornale è in preparazione una iniziativa di mobilitazione globale per il 15 settembre in sei città italiane (Roma, Milano, Catania, Bari, Napoli e Verona). Quando il ghiaccio artico avrà raggiunto il suo minimo storico la nostra Pedalata Polare globale ricorderà l’urgenza di una rivoluzione energetica chiedendo di fermare la corsa petrolifera nel Mare Artico. Il petrolio che possiamo ricavare dai giacimenti nell’Artico basta a coprire il fabbisogno mondiale per pochi anni. Ne vale la pena? Un incidente nel Mare Artico avrebbe un impatto devastante sull’ecosistema marino e sarebbe impossibile da gestire. Il nostro scenario Energy [R]evolution dimostra che un percorso energetico che non faccia uso di queste risorse marginali è possibile, sia tecnicamente che economicamente, e creerebbe più occupazione rispetto a quella degli scenari convenzionali. Intanto, in Friuli continua il tentativo di contaminare con mais OGM le colture locali. Già nel 2010 Greenpeace era intervenuta per fermare l’impollinazione di mais transgenico; oggi dobbiamo fare i conti con lo stesso problema e, nonostante il fronte antiOGM sia riuscito a far emettere un decreto dal governo, andiamo in stampa senza alcuna garanzia che le autorità interverranno concretamente. Noi vigileremo costantemente sul tema. Il disastro di Fukushima non smette di causare gravi problemi, mostrando l’evidente incapacità dell’azienda Tepco di gestire la situazione. Oltre agli sversamenti a mare di acqua radioattiva, si continuano a trovare nuovi punti di forte contaminazione: la bonifica dell’area richiederà decenni, costi elevati e rischi crescenti per i lavoratori addetti, mentre la situazione è sempre più

fuori controllo. E non solo: a pagare i conti sono poi sempre i cittadini, cioè soldi pubblici. Oltre ad aver iniettato dieci miliardi di dollari nell’azienda Tepco, infatti, il governo giapponese ha stanziato in questi giorni – forse solo perché deve dimostrare che è attivo in vista dell’assegnazione dei Giochi Olimpici del 2020 – mezzo miliardo di dollari per “tappare la falla” delle perdite di acqua radioattiva. Gran parte del denaro servirà a creare e mantenere un muro di ghiaccio di 1400 metri per ridurre le perdite di acqua a mare, esperimento mai fatto prima! Costi esorbitanti a carico dello Stato, cioè dei cittadini. L’industria nucleare, invece, non deve rispondere delle conseguenze dei danni, un’industria dunque lasciata totalmente priva di responsabilità, mentre qualunque produttore di apparecchiature e macchine è chiamato a rispondere dei danni che un suo prodotto può arrecare ai consumatori. Fukushima dimostra ancora come il nucleare produce disastri cui non è in grado di porre rimedio e una normativa internazionale che lascia i costi delle conseguenze da pagare ai cittadini. In Italia, nel frattempo, mentre il governo continua a cercare di frenare lo sviluppo delle rinnovabili, la produzione energetica da termoelettrico continua a calare e per la prima volta, anche grazie alla flessione dei consumi, si registra un calo stagionale anche della produzione da carbone. Riorganizzare il sistema produttivo verso le rinnovabili – riducendo ulteriormente le importazioni di fossili – riorganizzare la mobilità urbana, spingere verso tecnologie più efficienti in tutti i settori è l’unica strada da percorrere. Ma lobby del petrolio e del carbone, grandi aziende energetiche e industria dell’auto legata a modelli grandi e spreconi si oppongono, come al solito, al cambiamento. Una politica fossile capace solo di proteggere industrie-dinosauro che, se non cambiano in fretta, rischiano di estinguersi.


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SPECIALE SAVE THE ARCTIC

ARTICO SOTTO ASSEDIOL’ACCORDO

TRA SHELL E GAZPROM

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© Greenpeace

di CRISTIANA DE LIA

ERA IL 16 APRILE scorso quando Renny, Kiera, Josefina, Ezra, insieme alle guide polari e ai fotografi del team Aurora, raggiungevano il punto più a Nord del pianeta per dichiarare simbolicamente l'Artico santuario globale e zona protetta da ogni tipo di sfruttamento industriale. Qui avevano piantato una capsula con i nomi dei primi due milioni di persone che avevano deciso di entrare a far parte del movimento globale per salvare l’Artico. Oggi sono ben quattro milioni coloro che hanno aderito alla nostra campagna su www.SaveTheArctic.org in difesa di uno degli ecosistemi più fragili e preziosi al mondo. GHIACCIO ADDIO Negli ultimi trent’anni l’Artico ha perso più di tre quarti del volume dei suoi ghiacci per arrivare, lo scorso settembre, a toccare il triste record del minimo storico.

Alcuni esperti hanno anche preannunciato un nuovo allarmante livello di scioglimento dei ghiacci per l’anno in corso che, con ogni probabilità, sarà tra i cinque più bassi record della storia. Secondo molti il ghiaccio potrebbe addirittura svanire totalmente entro il 2020. Le foche si servono delle piattaforme di ghiaccio per partorire e accudire i loro piccoli ma a causa del loro scioglimento ora fanno fatica a sopravvivere. Sul ghiaccio imparano a cacciare, a difendersi dai predatori e a sviluppare la loro pelliccia, fondamentale per muoversi nelle gelide acque artiche. Oggi, però, molti esemplari vengono trasportati via dalle correnti ancora cuccioli e non riescono a diventare adulti.Gli orsi polari si servono delle calotte ghiacciate per la caccia. Con il contrarsi di queste, sono costretti a percorrere distanze sempre più lunghe per procurarsi il cibo. Molti non ce la

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fanno e altri, spinti dalla fame, diventano addirittura cannibali. CORSA ALL’ORO NERO Se per molti lo scioglimento dei ghiacci è una minaccia, per altri rappresenta nuove opportunità di profitto. L’assenza di ghiaccio ha aperto nuove vie di transito e l’Artico, un tempo irrangiungibile, è diventato terra privilegiata per la ricerca e l’estrazione di petrolio. A capo di questa corsa all’oro nero c’è Shell. L’azienda anglo-olandese ha investito cinque miliardi di dollari nel suo programma Artico ma una lunga serie di imbarazzanti disastri – tra cui una piattaforma arenata e una incendiata – hanno dimostrato la sua incapacità di gestire programmi di trivellazione e impedire sversamenti a latitudini estreme. Così lo scorso febbraio è stata costretta ad abbandonare i piani in Alaska.


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ORSI POLARI BALNEARI LA PRIMA volta sono stati avvistati sulla spiaggia di Ostia. Sorseggiavano un cocktail scuro e oleoso, l'“Arctic black”, e leggevano sul "Corriere Artico" le ultime drammatiche notizie sui piani di Shell di trivellare la loro casa. Ma è stato solo l’inizio. Durante tutta l’estate i nostri orsi polari hanno girato l’Italia, da Nord a Sud senza sosta, per lanciare l’appello contro la corsa all’oro nero nell’Artico. Ve lo immaginate un orso polare sul palco di un concerto rock? È successo a Roma durante l’esibizione dei Sud Sound System a Villa Ada. Invitato dal gruppo a salire, ha detto a tutti che salvare la sua casa vuol dire salvare quella di tutti noi. La loro presenza è stata notata anche dai media. Il Corriere umbro ha riportato la notizia di un orso polare all’Umbria Jazz Festival. In tv ne abbiamo visto uno ballare la pizzica alla Notte della Taranta. Hanno attraversato chilometri di lungomare da Bari a Trieste. Uno di loro ha preferito la bici e si è fermato sotto la Torre di Pisa. Altri si sono diretti verso Genova e le Cinque Terre. Le foto degli orsi “balneari” hanno invaso le bacheche di Facebook e Twitter. Grazie alle loro incursioni, il messaggio #SaveTheArctic ha raggiunto centinaia di migliaia di persone, grandi e piccoli. E allora il ringraziamento più importante va ai nostri volontari: per tenere Shell lontana dall’Artico sono disposti a tutto, anche a sudare chiusi in costumi da orso sotto il sole cocente di agosto! M.C.G.

© Will Rose/Greenpeace

UNA SPORCA INTESA Shell, però, non si è arresa definitivamente. L’azienda ha recentemente stipulato un tacito accordo con Gazprom e il presidente russo Vladimir Putin per perforare la Russia artica: un territorio dove gli incidenti sono frequenti e i controlli scarsi. Per smascherare i folli piani di Shell e minare la sua reputazione, lo scorso luglio abbiamo lanciato la seconda fase della campagna Save The Arctic. Con una video animazione lanciata sul Web e numerose azioni nel mondo abbiamo fatto conoscere all’opinione pubblica quanto l’accordo tra Shell e Gazprom rappresenti una minaccia senza precedenti per l’Artico. Se questi colossi del petrolio possono trivellare nell'Artico è grazie allo scioglimento dei ghiacci che essi stessi stanno determinando con lo sfruttamento delle risorse petrolifere. Insieme al carbone, il petrolio è la prima causa dei cambiamenti climatici. Ma è arrivato il momento di spezzare questo circolo vizioso, per sempre. Le condizioni estreme della regione artica rendono gli incidenti molto probabili. Qui nessuno sarebbe in grado di fermare uno sversamento di petrolio. La contaminazione di un ecosistema così fragile metterebbe a rischio la sopravvivenza di balene, trichechi, orsi polari, uccelli e delle stesse comunità locali. I disastri di Shell in Alaska hanno già dimostrato la totale inaffidabilità dell’azienda, mentre Gazprom è tristemente famosa per l’incidente della piattaforma Kolskaya, affondata con ben cinquantatre

persone a bordo. Un accordo tra Shell e Gazprom non può che portare all’ennesimo disastro. LA RUSSIA ARTICA Gazprom, di proprietà statale è l’unica azienda che insieme a Rosneft è autorizzata a trivellare nell’Artico. Chiunque voglia esplorare la Russia artica è costretta a stringere un patto con una di queste due compagnie petrolifere. Questa estate la nostra nave rompighiaccio, Arctic Sunrise, è partita per un tour nelle acque della Russia artica per testimoniare ed agire contro i pericolosi piani di Rosneft, che si prepara a perforare il fragile fondale Artico alla ricerca di petrolio russo insieme a molte compagnie occidentali. Il governo russo ha più volte tentato di fermare i tentativi dell’equipaggio dell’Arctic Sunrise di protestare in maniera pacifica contro i pericolosi piani di esplorazione artica, prima negando il permesso di entrare nel Mare del Nord poi minacciando di ricorrere all’uso della violenza. L’Arctic Sunrise è stata costretta ad allontanarsi dalla rotta del Mare del Nord, ma la nostra corsa per salvare l’Artico non finisce qui. La Russia artica è il nuovo campo di battaglia per salvare questo fragile ecosistema. Nel mondo quattro milioni di Difensori artici hanno già dato vita a un movimento globale senza precedenti. Il futuro dell’Artico e il futuro del pianeta dipende da noi. Unisciti a Save The Arctic.

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© Francesco Alesi/Greenpeace

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AL GRAND PRIX DI F1 PER FERMARE LA CORSA DI SHELL SE C’È qualcosa a cui Shell tiene particolarmente è la sua immagine. Dietro il logo dell’azienda, però, si nascondono verità scomode che non tutti conoscono, come il patto con Gazprom per trivellare la Russia artica. Per questo, abbiamo deciso di metterla in imbarazzo proprio nel giorno di massima visibilità: il Grand Prix di F1 in Belgio. Dopo aver speso milioni di dollari per tappezzare il circuito con il suo logo e farsi bella davanti ai piloti e al mondo intero, Shell ha dovuto fare i conti con i nostri attivisti in azione. Prima che la gara iniziasse, due paracadutisti hanno sorvolato il circuito del Grand Prix con un banner della campagna Save The Arctic. Durante la competizione un gruppo di attivisti ha scalato il tetto della tribuna principale situata di fronte all’area recintata dei VIP e ha aperto un banner lungo venti metri con la scritta “Arctic oil? Shell no!” (“Petrolio Artico? Shell no!”). Ma come per ogni gara che si rispetti il momento più bello è quello della premiazione finale. Ed ecco che sul podio, sulle note dell’inno nazionale tedesco e davanti agli spettatori di tutto il mondo, spuntano due striscioni elettronici telecomandati a distanza con una rivisitazione del logo di Shell in chiave artica e la scritta Save The Arctic. L’uomo della sicurezza si affretta a strappare via gli striscioni che fanno capolino sul podio e le telecamere TV cercano di spostare l’immagine. Il momento viene però ripreso e pubblicato da Greenpeace su YouTube. In poche ore il video totalizza così tante visite che i vertici della F1 si affrettano a censurarlo. Greenpeace risponde alla censura pubblicandolo sui social media e su altri canali. Le immagini impazzano sul Web! I tentativi di rimuovere il nostro video non sono altro che l’ennesima dimostrazione di quanto le aziende ci tengano alla propria immagine e temano di essere ridicolizzate davanti al grande pubblico. Noi speriamo che Shell abbia recepito il messaggio e che metta fine ai suoi piani nella Russia artica per sempre. Il Polo Nord non è un circuito di Formula1 dove del petrolio in pista provocherebbe un disastro arginabile. Uno sversamento di petrolio nell’Artico sarebbe catastrofico. Shell deve capire che la sua folle corsa all’oro nero non ha vincitori, ma solo perdenti. C.D.L.

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© Greenpeace

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1GRATTACIELO 6DONNE © David Sandison/Greenpeace

di MARIA CARLA GIUGLIANO

1 TRIONFO EPICO

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CHE COSA avranno provato a 310 metri d’altezza Victoria, Sandra, Sabine, Liesbeth, Wiola e Ali?! Sono loro le sei protagoniste di un'impresa mai compiuta da nessuno prima: hanno scalato lo Shard di Londra, il grattacielo più alto d’Europa, per far sapere a Shell e ai leader politici che milioni di persone in tutto il mondo non vogliono le perforazioni nell’Artico. Dal grattacielo Shard, infatti, si vedono i tre uffici londinesi della Shell, una compagnia che sta investendo miliardi per trivellare l’Artico alla ricerca del petrolio, sia in Alaska che in Russia. Le nostre attiviste si sono allenate insieme per due mesi. Allenamenti intensi. Ore e ore su corda. Hanno fatto il conto alla rovescia fino a quando l’11 luglio è arrivato. L’azione è partita di notte. Ci sono volute 15 ore per arrivare fino a lassù, una mano dopo l’altra. Non sono mai state sole: 54 mila sostenitori hanno seguito la loro impresa in diretta streaming, incoraggiandole con messaggi via social network. A Londra l’hashtag #iceclimb è stato il trendtopic per tutto il giorno. Una volta conquistata la cima, hanno aperto lo striscione SaveTheArctic. La nostra bandiera ha sventolato in bella vista di fronte agli uffici di Shell e davanti

agli occhi di centinaia di migliaia di persone. La notizia della protesta, infatti, ha fatto il giro del mondo, diffondendosi viralmente sul web e attirando l’attenzione di tv, radio e giornali. Guardando la gente a terra col naso all’insù, sentendo le frasi di incoraggiamento degli impiegati dagli uffici dello Shard, le attiviste hanno pensato di vivere in un sogno, che non stava succedendo davvero. Hanno avuto paura? Sì, molta! Nessuna di loro ha chiuso occhio il giorno prima. A metà della scalata, Victoria manda questo tweet: “Oh good, the next part is overhanging. Mom, if you're watching now... Don't!” (Oh cavolo, la prossima parte è a strapiombo. Mamma, se stai guardando ora… Non farlo!). Quando sono scese dal grattacielo, c’era la polizia ad aspettarle. Sono state arrestate e trattenute in custodia per 20 ore. Per settimane le gambe di Victoria, Sandra, Sabine, Liesbeth, Wiola e Ali sono state segnate dai lividi della salita su corda. Lo rifarebbero. Negli ultimi trent'anni abbiamo perso più di tre quarti dei ghiacci artici. Proteggere l’Artico vuol dire proteggere l’intero Pianeta. Tutti devono saperlo. Gridandolo dal tetto più alto d’Europa, le nostre sei attiviste l’hanno detto a tutti.

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ULTIM'ORA: 6 donne,il grattacielo Shell, nessun permesso.Tu cosa faresti x l'Artico? http://SaveTheArctic.org #iceclimb

Sabine,Sandra,Victoria,Ali,Wiola e Liesbeth scalano lo Shard di Londra. Mano a mano #iceclimb http://bit.ly/DirettaIceClimb pic.twitter.com/XSkWy5Gj2R #iceclimb le nostre sei attiviste sono quasi in cima allo Shard!!! Seguite la protesta in diretta su http://bit.ly/DirettaIceClimb

15 ore, 310 metri, più di 54,000 sostenitori, 6 donne e un trionfo epico #iceclimb http://bit.ly/DirettaIceClimb pic.twitter.com/erqiTS6Xhr

Ce l'abbiamo fatta a gridare dalla cima dell'edificio più alto d'Europa "SHELL, STAI LONTANA DALL'ARTICO" #iceclimb http://bit.ly/DirettaIceClimb


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END THE AGE OF COAL © Greenpeace

LA FINE DELL’ERA DEL CARBONE di ANDREA BORASCHI

IL CAMBIAMENTO CLIMATICO è probabilmente la minaccia globale numero uno. Si tratta della sfida - quella per il contenimento delle temperature – che più di ogni altra segnerà il destino del Pianeta e delle generazioni che lo abiteranno. Il recentissimo rapporto dell’Organizzazione Metereologica Mondiale “The Global Climate – 2001-2010” evidenzia come il primo decennio del XXI secolo sia stato il più caldo da quando sono iniziate le misurazioni delle temperature. La decade appena trascorsa è stata anche quella che ha registrato la più alta frequenza di fenomeni meteorologici estremi: hanno causato la morte di 370 mila persone. Ogni anno del decennio 2001-2010, tranne il 2008, è stato inoltre tra i 10 anni più caldi mai registrati; il record negativo si è registrati nel 2010, con una temperatura stimata in 0,54 gradi al di sopra della media del periodo base 1961-1990. Per rispondere all’emergenza climatica nella settimana tra il 24 e il 30 giugno scorsi si sono riuniti per la prima volta, a Istanbul, 500 attivisti provenienti da 134 Paesi di tutto il mondo. Il “Global Power Shift”, questo il titolo del meeting, è stato promosso da 350.org con la collaborazione di 45 associazioni tra cui Greenpeace. L’intento che ha unito i difensori del clima convenuti nella capitale turca è stato quello di dare vita a una campagna davvero globale contro il car-

CLIMA bone, la principale fonte di emissione di gas serra, dunque il maggiore fattore antropico di alterazione del clima. Hanno scambiato esperienze, discusso condiviso difficoltà e sfide in una città provata dai fatti di Gezy Park e in un Paese, la Turchia, minacciato come pochi altri dal proliferare di nuovi progetti a carbone. Da quella mobilitazione è nata una giornata mondiale di protesta contro la fonte più dannosa per il clima e la salute umana. “End the Age of Coal” – questo lo slogan che ha unito la protesta in tutti i continenti – ha coinvolto molte migliaia di cittadini in 60 manifestazioni, sparse in 12 Paesi. In Italia Greenpeace ha sostenuto la mobilitazione con una azione pacifica a non violenta presso la centrale a carbone Enel di Civitavecchia; e promuovendo manifestazioni, con la collaborazione di comitati locali e altre associazioni, in 5 città lungo tutto lo stivale. UNA RISORSA INSOSTENIBILE Quello del carbone è un business sempre più insostenibile: la sua estrazione è causa di distruzione di interi ecosistemi ed è spesso correlata a fenomeni di violazione dei diritti umani; la sua movimentazione minaccia aree fragili del pianeta, come nel caso dell’export australiano che rischia di distruggere la più preziosa barriera corallina del mondo; infine, la sua combustione è responsabile di oltre il 40 per cento

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delle emissioni di anidride carbonica, a livello globale, primo fattore assoluto di impatto sul clima. Dalle ciminiere delle centrali a carbone fuoriescono anche gas acidi, fuliggine e polveri sottili: ovvero il maggior contributo industriale alla generazione del particolato fine, che colpisce soprattutto neonati e bambini e causa attacchi cardiaci e cancro al polmone, incrementa gli attacchi d’asma e i problemi respiratori. Da quelle stesse ciminiere fuoriescono anche metalli pesanti tossici come mercurio, piombo, arsenico e cadmio, che aumentano i rischi di insorgenza di malattie oncologiche e danneggiano la crescita dei minori. Un recente studio realizzato dall’Università di Stoccarda per Greenpeace segnala come in Europa gli impatti sanitari del carbone equivalgano a circa 22.300 morti premature l’anno: più di due morti premature ogni ora. Le centrali a carbone funzionanti nel continente producono un quarto dell’energia elettrica consumata nell’Unione ma emettono il 70 per cento degli ossidi di zolfo e più del 40 per cento degli ossidi di azoto provenienti dal settore elettrico. Queste centrali sono la fonte di circa la metà di tutte le emissioni industriali di mercurio, di un terzo di quelle di arsenico e producono quasi un quarto del totale delle emissioni europee di CO2. Per questo, per difendere l’aria che respiriamo e il clima, dobbiamo mettere fine all’era del carbone.


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DÉJÀ VU TRANSGENICO MA L’ITALIA

NON VUOLE OGM

di FEDERICA FERRARIO

AGRICOLTURA

© Lorenzo Moscia/Greenpeace

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COSA CI FANNO Biancaneve e la Strega cattiva in una calda e afosa mattina di luglio, davanti alla sede di rappresentanza del ministero della Salute? Chiedono al Ministro Beatrice Lorenzin di proteggere gli italiani firmando il decreto pronto ormai da tempo per bloccare gli OGM, il tutto a tutela della biodiversità e dell'agricoltura italiana. I due personaggi della fiaba si sono presentati al Ministero muniti di striscioni con la scritta "Chi è il ministro più OGM del reame?", frase che fa il verso alla famosa battuta dello specchio magico nel cartone Disney, e "L'Italia non vuole OGM". Ma perché è stata necessaria questa farsa? Perché in Italia pare proprio che alcuni personaggi siano amanti del “dejavu transgenico” e di correre

rischi inutili a scapito della nostra agricoltura di qualità? IN POCHI GIORNI 58MILA FIRME Il 15 e il 16 giugno scorsi, in barba al principio di precauzione, in Friuli è stato seminato mais OGM, il MON810 della Monsanto, nello stesso appezzamento decontaminato tre anni fa dagli attivisti di Greenpeace. Nonostante dichiarazioni, proclami e comunicati stampa, nessuno dei Ministri competenti si è mosso per adottare prontamente misure utili a bloccare la contaminazione e vietare la coltivazione di OGM. Cosa di per sé anacronistica dato che sia il Senato che la Camera hanno velocemente adottato mozioni unitarie per impegnare il Governo a vietare la coltivazione di mais

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transgenico. In Italia sono i Ministri De Girolamo, Orlando e Lorenzin le autorità in grado di procedere in materia e, in particolare, sulla scrivania del ministro della Salute sostava da settimane il dossier che permetteva l'adozione di misure emergenziali per fermare queste semine. Per questo Biancaneve si è rivolta direttamente al ministro Lorenzin chiedendole se voleva essere davvero la più OGM del reame. Sono già otto i Paesi europei (Austria, Francia, Germania, Lussemburgo, Ungheria, Grecia, Bulgaria, Polonia) che hanno adottato il divieto alla coltivazione del mais MON810 della Monsanto. Per l'Italia, col suo inestimabile patrimonio di biodiversità, che senso ha aspettare? La maggioranza degli italiani ormai lo ripete da


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anni che non vuole OGM sulle proprie tavole. A dimostrarlo sono state le oltre 58 mila persone che in pochissimi giorni hanno inviato un messaggio chiaro al ministro della Salute per fermare gli OGM dal sito www.StopOgm.org lanciato da Greenpeace insieme a tutta la Task Force per un’Italia Libera dagli OGM in contemporanea alla manifestazione tenuta in Piazza Montecitorio, a Roma, appena saputo delle semine transgeniche in Friuli. UN MERCATO DI NICCHIA D’altronde gli OGM in campo agroalimentare rimangono un mercato di nicchia, in gran parte limitato al continente americano. L'80 per cento circa delle colture OGM è limitata a quattro Paesi: Stati Uniti, Brasile, Argentina e Canada. In Europa le colture OGM non riescono a farsi strada nonostante gli sforzi delle aziende biotech. La Spagna è l'unico Paese dove persiste una vera e propria coltivazione di mais OGM, mentre l'agricoltura biologica è in costante aumento nel vecchio continente. Dopo 16 anni di commercializzazione, tre quarti delle colture OGM in campo sono progettate per essere tolleranti agli erbicidi prodotti dalle stesse aziende che le commercializzano. Gli OGM non incrementano le rese, ma l'uso di prodotti chimici e fanno aumentare i profitti e il controllo sul cibo di una manciata di multinazionali. Che cosa c'entrano quindi gli OGM con il modello italiano di produzione agricola basato sulla tipicità e la qualità? Cosa c'entrano con la richiesta dei consumatori italiani che vogliono prodotti sani, che rispettino la nostra diversità?

API ALLA RISCOSSA 67.500 E-MAIL inviate al ministro dell’Agricoltura, 2.800 download della “lista dei fiori amici delle api” e delle “istruzioni per costruire un alveare”, 10.200 condivisioni del post di facebook sul voto UE per il bando dei neonicotinoidi e 950 retweet dell’hashtag #SOSapi in giro per il web. Non stiamo dando i numeri, queste sono tutte persone che hanno fatto qualcosa per salvare le api con noi in poco più di un mese. È del 16 luglio la notizia del bando europeo del Fipronil, un altro pesticida killer delle api. Un nuovo passo in avanti nella difesa degli insetti impollinatori e dell’agricoltura in Europa, che non basta, ma che ci dice che quello che abbiamo fatto finora attraverso il sito SalviamoLeApi.org funziona. Siamo sulla giusta strada e per questo dobbiamo continuare. I nostri obbiettivi sono sempre gli stessi: eliminazione di tutti e sette i pesticidi killer delle api individuati nel nostro rapporto “Api in declino”, abbandono dell’agricoltura di stampo industriale dipendente dalla chimica e ricerca e sviluppo di un’agricoltura ecologica e sostenibile a sostegno della biodiversità. Gli strumenti: raccogliere ancora più firme per fare pressione sulle autorità nazionali e comunitarie, informare e diffondere il nostro messaggio in rete e per strada, trovando

UNA STORIA INFINITA Ma andiamo avanti con le fiabe. Il 12 luglio i tre ministri di Agricoltura, Ambiente e Salute finalmente firmano il decreto interministeriale, che concede alle Regioni diciotto mesi di tempo per definire le necessarie misure per assicurare la "coesistenza" – una chimera irrealizzabile – tra mais tradizionale e mais OGM. L’incubo OGM sembra finire qui. Invece no. Dovrà trascorrere un altro mese prima di veder pubblicato il decreto in Gazzetta Ufficiale – pubblicazione avvenuta il 10 agosto – così da sancire la sua effettiva entrata in vigore. Altro tempo perso. E ora? Tutto risolto? Purtroppo no. Mentre questo articolo va in stampa non solo i due campi seminati a luglio con mais OGM non sono ancora stati bonificati, ma sembra che ce ne siano altri due, sempre in Friuli, sempre a Vivaro (PN), sempre seminati con mais MON810. Perché nessuno interviene? Le autorità italiane sono in grado di proteggere agricoltura e consumatori oppure sono quest’ultimi a doversi rimboccare le maniche e agire in autonomia?

modi originali e creativi. Alla parte informativa abbiamo pensato noi con il rapporto e con le video-testimonianze degli apicoltori da tutta Europa. Il resto della campagna lo stiamo facendo insieme! Da giugno, in ufficio sono arrivate decine di buste con i moduli di raccolta dati per la petizione compilati e firmati. La nostra casella di posta salviamoleapi.it@greenpeace.org e il nostro album facebook “Qui api al sicuro” si sono presto affollati di foto coloratissime di balconi, orti e giardini pesticidi-free. In giro c’è una grande consapevolezza del ruolo fondamentale svolto dalle api per l’equilibrio dell’ecosistema e per il nostro cibo, e c’è molta voglia di fare per difendere questi piccoli insetti. La comunità di SalviamoLeApi.org sta crescendo e si fa sentire. Per citare il trailer del film “Un mondo in pericolo” (in anteprima esclusiva per Greenpeace sul nostro sito), stiamo lavorando insieme come in un alveare, “un sistema perfetto, dove tutti hanno un compito e nessuno dà ordini”. A differenza delle grandi multinazionali dell’agrochimica, come Syngenta, Bayer e BASF, la nostra comunità sta lavorando nell’interesse di tutti, agricoltori e consumatori, e a tutela dell’ambiente e del nostro cibo. E i risultati si vedono. Continuiamo così! REBECCA BORRACCINI

© Francesco Alesi/Greenpeace

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LE RICETTE SALVATONNO IN CUCINA CON LO CHEF

MARE

© Paul Hilton/Greenpeace

di GABRIELE SALARI

C’È UN TONNO in scatola che fa bene al mare. E fa bene anche alle piccole comunità di pescatori come quelli delle Maldive che di questa pesca vivono. Se la pesca al tonno è dominata da grandi pescherecci che pescano in modo eccessivo e distruttivo svuotando i nostri mari, esiste però un’alternativa sostenibile: tonnetto striato pescato a canna. Questo tipo di pesca ha un minimo impatto ambientale e dà lavoro a migliaia di piccoli pescatori costieri. Grazie alla campagna “Tonno in trappola” di Greenpeace alcune aziende italiane hanno finalmente iniziato a distribuire nei supermercati scatolette con tonnetto striato pescato a canna. Al nostro fianco sono scesi anche noti chef, come Angelo Troiani, romano, da sempre sensibile a questi temi. Con lui abbiamo realizzato quattro ricette salvatonno, che trovate fotografate (e una anche filmata) sul nostro sito www.green-

peace.it/tonnointrappola. Navigando in queste pagine è possibile anche consultare la classifica delle aziende in base al tonno che impiegano, aggiornata con gli ultimi impegni riguardanti l’impiego di metodi di pesca sostenibili, come la pesca a canna. Sta a noi consumatori chiedere che sul nostro mercato arrivi solo tonno sostenibile. Possiamo diminuire la pressione sul tonno pinna gialla, i cui stock sono in serio declino, utilizzando tonnetto striato e fare attenzione a scegliere prodotti pescati in modo sostenibile. Solo con l’aiuto dei consumatori potremo convincere le aziende, che hanno fatto dei passi avanti in seguito alle nostre pressioni, a rendere sostenibile il 100 per cento dei loro prodotti. Per rispettare il mare bastano cambiamenti anche minimi delle nostre abitudini alimentari: il tonnetto striato è gustoso e nutriente come le altre specie di tonno,

come conferma anche lo chef Angelo Troiani:"Da sempre sono attento al pesce che impiego in cucina. Per esempio ho deciso di eliminare completamente dal menù del mio ristorante il tonno rosso, risorsa sull'orlo del collasso a causa di anni di pesca eccessiva. Ecco perché ho aderito subito all'invito di Greenpeace di far conoscere prodotti sostenibili. Se svuotiamo il mare di pesci, dovremo rinunciare anche a molti piaceri per il palato!" Facciamo un piccolo sforzo allora quando andiamo a fare la spesa e cerchiamo prodotti che abbiamo il bollino “tonno pescato a canna”, come quelli di aziende come Asdomar, Riomare, Mareblu, Coop o Nostromo. Molto meglio, poi, se ad essere pescato a canna è il tonnetto striato! È ora che tutto il comparto cambi direzione. Solo trasformando completamente il mercato potremo garantire un futuro ai nostri mari.

UOVA SODE RIPIENE DI TONNO, ERBA CIPOLLINA E TARTUFO

INSALATA MISTA DI TONNO E FRUTTA

Difficoltà facile/Tempo 12 mn. Occasione pranzo all’aperto/pic nic

Difficoltà facile/Tempo 5 mn. Occasione pranzo last minute/in ufficio

LE RICETTE

Ingredienti: - 4 uova - 250 gr tonno sott'olio sgocciolato - 1 ciuffo erba cipollina - tartufo nero scorzone da 30 gr circa Per la maionese: © Massimo Guidi/Greenpeace

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- 2 rossi d'uovo - 2 cucchiai di limone - 2 cucchiai di aceto di vino bianco - 3 bicchieri di olio di semi - 2 cucchiai Olio di oliva

Procedimento: lessare in acqua bollente le uova per 5 minuti, freddarle in acqua e ghiaccio, privandole del tuorlo e impastarlo con il tonno e la maionese precedentemente fatta. Chiudere le uova con questa farcia e guarnire con tartufo nero. Per la maionese: unire 2 rossi d'uovo all'aceto e limone e tramite minipimer emulsionare con i 2 olii ( semi e oliva).

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Ingredienti: - 2 coste di sedano - 1/4 di ananas - 1 mazzetto rucola - 1 mela Smith - 250 gr di tonno sgocciolato - 3 cucchiai senape

- 2 cucchiai di glucosio - 1 cucchiaio di aceto balsamico - 1 cucchiaio di zenzero grattugiato fresco

Procedimento: ottenere dal sedano dei nastri tramite il pelapatate e metterli in ammollo in acqua e ghiaccio ottenendo così dei ricci. Tagliare finemente l'ananas ottenendo dei carpacci, fare delle palline di mela aiutandosi con uno scavino e condirle con olio, pepe, sale e zenzero. Per la salsa: unire glucosio, senape e aceto balsamico ottenendo un'emulsione cremosa.


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© Matteo Nobili/Greenpeace

CARTA RICICLATA FORESTE

USARLA CONVIENE

di ESPERANZA MORA

DURANTE L’EDIZIONE 2013 del Salone del Libro di Torino abbiamo lanciato un sondaggio tra il pubblico del Salone e sul nostro sito web per raccogliere le opinioni dei lettori italiani sulla carta riciclata. Ad un mese dal lancio abbiamo analizzato i risultati, riscontrando che al sondaggio hanno risposto più di 21 mila persone, di cui 1413 visitatori del Salone e che, contrariamente a quanto affermato dagli editori italiani, ai lettori la carta riciclata piace molto!. Una tonnellata di carta riciclata consente di risparmiare (rispetto alla carta in fibra vergine) il taglio di 24 alberi, il consumo di 4.100 kWh di energia e di 26 metri cubi di acqua, e l’ emissione di 27 chili di CO2. Un prodotto completamente riciclato ci fa risparmiare il 44 per cento dell’energia totale, il 50 percento di acqua, il 38 per cento delle emissioni nette di CO2 e il 100 per cento di utilizzo di legno. Inoltre la carta utilizzata proviene dalla raccolta differenziata che tutti noi facciamo a casa, e che diventa così una materia riutilizzabile, invece di un rifiuto. COSA DICONO I LETTORI Eppure gli editori evitano di usare carta riciclata per stampare i libri, nascondendosi dietro l’affermazione che ai lettori non piace: “la trovano grigiastra”. Invece i risultati del nostro sondaggio dimostrano proprio il contrario: ai lettori la carta amica delle foreste piace di più. Il 91,5 per cen-

to dei partecipanti al sondaggio non lamenta alcun problema di leggibilità sulla carta riciclata rispetto a quella prodotta con fibra vergine. E sebbene l’84,8 per cento sarebbe disposto a pagare una piccola somma in più della per un prodotto in carta riciclata, la restante parte ritiene che l'eventuale prezzo maggiorato non dovrebbe ricadere sul consumatore. Dai risultati si evince anche che una buona fetta del campione, pur ignorando i problemi della deforestazione legata alla produzione di carta, riconosce i benefici ambientali della carta riciclata. Circa 17 mila intervistati, inoltre, si sono impegnati a consultare la classifica “Salvaforeste” di Greenpeace prima di acquistare un libro. In Italia il tasso annuale di riciclo degli imballaggi di carta e cartone ci mette al terzo posto in Europa, ma le fibre provenienti dal riciclo si usano poco per la produzione di libri e piuttosto vengono esportate. La domanda di carta riciclata da parte di settori come quello dell’editoria rappresenta un fattore decisivo sia per consentire la prossimità tra raccolta differenziata e prodotti derivati dal riciclo, sia per evitare l’approvvigionamento di polpa di cellulosa da fonti controverse per episodi di deforestazione come l’Indonesia. EDITORI AMICI DELLE FORESTE? Il sondaggio di Greenpeace fa parte del

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progetto “Editori amici delle Foreste” che promuove nel mercato editoriale italiano la scelta di carta “Amica delle Foreste”, prodotta con almeno il 50 per cento di fibre riciclate post-consumo e composta, per la restante parte, di fibre certificate FSC o fibre non legnose. La classifica “Salvaforeste”, lanciata per la prima volta nel maggio 2010, è stato il principale strumento per far conoscere il progetto al settore dell’editoria e per spingerlo a cambiare le proprie produzioni verso la sostenibilità. In tanti hanno deciso di seguire la strada proposta da Greenpeace. Il Gruppo Giunti, per esempio, ha convertito la stampa di ben 45 collane su carta riciclata in solo un anno. Dal lancio della classifica tutti i grandi gruppi editoriali italiani si sono impegnati ad adottare politiche della carta a Deforestazione Zero, ma la maggior parte continua a non introdurre o non aumentare l’uso della carta riciclata, senza ascoltare quello che pensano i lettori. I risultati del nostro sondaggio parlano chiaro. Gli editori non si possono più nascondere dietro la scusa che la carta riciclata non piace. È probabile che dietro questa opposizione ci sia un problema di marketing che deve quindi essere affrontato, vista la risposta dei lettori alle tematiche ambientali che riguardano i consumi. Per scaricare il rapporto e la classifica vai su: DeforestazioneZero.it


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1. Città del Messico, Messico – Attivisti in azione nel cuore della città messicana contro gli OGM. ©Ivan Castaneira/Greenpeace.

2. Tricastin, Francia – Disposto a pagare il prezzo?”,

4. Manila, Filippine – In azione contro una discarica di rifiuti illegale. Greenpeace chiede la chiusura e la bonifica dell'intera area interessata. ©Steve De Neef/Greenpeace.

questo il messaggio al presidente francese Hollande proiettato sulla centrale nucleare di Tricastin. ©Micha Patault/Greenpeace.

5. Fredericia, Danimarca – In azione in una delle sei

3. Londra, Inghilterra – Aurora, l'orso gigante di

6. Francoforte, Germania – La nave di Greenpeace

Greenpeace che prende parte alla pedalata polare nella capitale inglese. ©Kristian Buus/Greenpeace

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raffinerie di petrolio Shell in Europa. ©Kaisa Sjolander /Greenpeace.

Germania, Beluga II, durante un tour per promuovere la protezione delle foreste tedesche in Bavaria e Hessen. ©Andreas Varnhorn/Greenpeace


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7. Pittsburgh, Stati Uniti – Greenpeace USA chiede

10. Beznau, Svizzera – Attivisti in azione a Beznau

8. Keelung, Taiwan – Cerimonia d'accoglienza per la

11. Lussemburgo – Protesta fuori il consiglio europeo

alla StarKist di adottare metodi di pesca al tonno sostenibile. ©Greenpeace/Robert Meyers.

Rainbow Warrior arrivata per la prima volta a Taiwan. ©Steven Vigar/Greenpeace.

9. Roma, Italia – Lo staff di Greenpeace Italia al Colosseo in solidarietà con la protesta dei giovani di Gezi Park in Turchia. ©Massimo Guidi/Greenpeace.

contro la più vecchia centrale nucleare del mondo. ©Greenpeace/Nicolas Fojtu.

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dell'ambiente a favore di una politica che riduca le emissioni di CO2 delle automobili. ©Tom Wagner/Greenpeace . . Brasilia, Brasile – Azione contro il carbone fuori il ministero dell'Energia. ©Cristiano Costa/Greenpeace.

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CLICK & CO.

di MASSIMO GUIDI


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ERBE CINESI TOSSICHE

© Greenpeace/Piao Ri Quan

NELLA MEDICINA TRADIZIONALE CINESE le erbe non sono solo un’alternativa alle medicine occidentali, ma anche una parte importante della dieta. Questo tipo di rimedi si è fatto strada anche in Occidente: le esportazioni di erbe cinesi nel 2011 hanno raggiunto il valore di 2,33 miliardi di dollari, con un incremento annuo del 36,48 per cento. Tra novembre 2012 e aprile 2013, Greenpeace ha acquistato prodotti a base di erbe cinesi in sette mercati chiave per l'esportazione: Italia, Canada, Francia, Germania, Olanda, Regno Unito, e Stati Uniti. Sono stati raccolti 36 campioni di prodotti erboristici importati dalla Cina, tra cui bacche di goji, crisantemo, caprifoglio, bulbi di giglio, datteri, boccioli di rosa e san qi (Panax pseudoginseng, o “pseudo ginseng”). I campioni sono stati inviati a un laboratorio indipendente per verificare l’eventuale presenza di residui di antiparassitari. Le erbe vengono normalmente acquistate per le loro proprietà medicinali, ma le analisi svolte hanno rilevato che la maggioranza dei campioni conteneva un cocktail di pesticidi, alcuni dei quali molto pericolosi: 32 campioni contenevano tre o più tipi di pesticidi (i campioni di caprifoglio acquistati in Canada e Germania contenevano rispettivamente 24 e 26 sostanze); 17 campioni contenevano residui di sostanze classificate dall'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) come estremamente pericolose o molto pericolose; 26 campioni contenevano residui di antiparassitari che superano la soglia tollerabile in Europa. Nei tre campioni acquistati in Italia (a Milano) – bacche di goji, bulbi di giglio e datteri – sono stati rintracciati ben 23 pesticidi

diversi, tra cui due vietati in Cina, trovati rispettivamente nei bulbi di giglio e nelle bacche di goji. Il livello di carbofuran rilevato nelle bacche di goji era pari alla soglia europea. La contaminazione delle erbe cinesi non è un caso eccezionale ma piuttosto l’ennesimo esempio del fallimento dell’agricoltura di stampo industriale dipendente dalla chimica. Serve un cambio di rotta, che punti verso la ricerca e lo sviluppo di pratiche agricole sostenibili, non si può più aspettare. F.F.

FORESTE IN FIAMME

© Ulet Ifansasti/Greenpeace

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NEI MESI SCORSI Singapore e Malesia sono stati avvolti da un’impenetrabile nube di fumo che ha costretto tutti a ripararsi con una mascherina. Il fumo, in soli sei giorni (dal 16 al 21 giugno) ha portato l’indice d’inquinamento dell’aria (Polluttant Standards Index: PSI) da 75 a 401. Un PSI superiore a 300 è pericoloso per la salute e le capacità

respiratorie. Gli incendi forestali, causa del fumo, sono stati appiccati in Indonesia, in provincia di Riau nell’isola di Sumatra, non da contadini sprovveduti, ma da imprese multinazionali. Imprese come la Wilmar, che fa affari in tutto il mondo con i prodotti della deforestazione come l’olio di palma. Gli incendi dimostra-

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no la debolezza delle misure di tutela forestale adottate in Indonesia. Nonostante solo un mese fa il governo indonesiano abbia rinnovato la moratoria sulla deforestazione, sono 42 milioni gli ettari di foresta non ancora tutelati legalmente che rischiano di sparire nei prossimi anni.La responsabilità di escludere la deforestazione dalle loro filiere, spetta soprattutto alle aziende produttrici di olio di palma. Gli incendi permettono la conversione delle foreste in piantagioni di palma, principale “motore economico” della deforestazione. E sono proprio queste le cause del rilascio nell’atmosfera di 1,8 miliardi di tonnellate di CO2 ogni anno: l’Indonesia è tra i maggiori Paesi emettitori di gas serra del Pianeta, dopo Cina e USA. L’import italiano di prodotti indonesiani quali l’olio di palma e la polpa di cellulosa sta aumentando. Tutto ciò rende le imprese e i consumatori italiani, complici più o meno consapevoli di un crimine ambientale. CHIARA CAMPIONE


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BREVI DAL MONDO

I VIZI DI ENI NELL’ESTATE APPENA trascorsa Eni ha fatto parlare di sé. Nel giro di un mese il noto marchio italiano, impegnato in una cieca corsa al petrolio, si è reso responsabile di ben tre disastri. La lista nera di Eni si apre lo scorso 4 giugno, quando dall’impianto petrolchimico di Gela fuoriesce petrolio che si riversa sulla costa. In seguito, un operaio denuncerà l’assenza di manutenzione e lo stabilimento sarà posto sotto sequestro dagli inquirenti per disastro colposo e danneggiamento aggravato. Il secondo incidente si verifica il 2 luglio al largo delle coste del Congo, con l’affondamento della piattaforma della Saipem, società controllata da Eni. Dopo appena sei giorni, è l’8 luglio, un semplice temporale è sufficiente a provocare lo sversamento di petrolio di una raffineria Eni a Taranto. L’azienda dichiara che la situazione è sotto controllo e nega l’evidenza delle gravi ripercussioni sull’ambiente. Il cane a sei zampe continua a millantare procedure e standard di sicurezza elevati ma la lunga serie di sventure dimostra che di Eni non ci può fidare. Non solo: Eni ha recentemente ottenuto i permessi per trivellare nel Canale di Sicilia. Al ministro dell’Ambiente Orlando abbiamo chiesto di intervenire per assicurarsi che tali progetti vengano valutati in modo attento e indipendente. La regione Sicilia, che grazie alle nostre pressioni aveva avanzato la prima opposizione formale ai piani di ricerca sulla costa dell’isola, non ha ancora fatto nulla di concreto. “Questo è solo l’inizio” avevano scritto sui muri di Gela. Se le istituzioni non si muovono, non resta che attendere l’ennesima notizia di un nuovo disastro, altrimenti a pagarne le conseguenze saranno le comunità locali, la nostra salute e l’ambiente. C.D.L.

CONCORSO VERDE DALL’ INDIA VUOI AIUTARCI a dare il via a una rivoluzione energetica pulita in India? Se sei in grado di progettare una pompa di irrigazione che funzioni a energia rinnovabile, il concorso che fa per te si chiama Greenpeace Challenge. In palio premi del valore di oltre trentamila euro e la soddisfazione di vedere il tuo progetto realizzato. In India quasi dieci milioni di pompe di irrigazione alimentate a diesel hanno permesso ai piccoli agricoltori di irrigare i propri campi, provvedere alle proprie famiglie e condurre una vita dignitosa.Ma il diesel, come la maggior parte dei combustibili fossili, incide negativamente sul clima e sulla salute del pianeta. Il prezzo di questo combustibile, inoltre, cresce di anno in anno mettendo in difficoltà gli stessi contadini che rischiano così di dover abbandonare i propri campi e trasferirsi nelle grandi città. Una soluzione però esiste: sono le pompe di irrigazione alimentate a energia rinnovabile che non emettono gas serra e usano fonti pulite e gratuite! Al momento queste pompe di irrigazione sono una tecnologia marginale in India. Una pompa di irrigazione sostenibile, per imporsi sul mercato, deve essere facilmente trasportabile, robusta e riparabile sul luogo, economica e capace di garantire prestazioni sufficienti per innaffiare un piccolo appezzamento. La sfida è ambiziosa e richiederà l’impegno di menti geniali. Metti in gioco la tua capacità progettuale: noi ne faremo un’opzione realmente disponibile e diffusa. Il concorso, partito il 3 settembre terminerà il 15 novembre, ultimo giorno utile per poter inviare la propria idea. Per partecipare basta andare su www.greenpeacechallenge.org A.B.

CERCASI DIALOGATORI URGENTEMENTE!

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TUTELA CON NOI L’INDIPENDENZA DI GREENPEACE. Sei creativo e determinato? Sei la persona giusta per aiutarci a trovare nuovi sostenitori regolari a Roma, Milano, Torino e Napoli. Candidati sul nostro sito vai su: www.greenpeace.org/italy/dialogodiretto Greenpeace è un’organizzazione indipendente: non accetta fondi da enti pubblici, aziende o partiti politici. L'unico sostegno economico dell'organizzazione è rappresentato dalle persone. I dialogatori aiutano Greenpeace a restare indipendente, perché incontrano ogni giorno migliaia di persone e spiegano l’importanza di Greenpeace per il Pianeta.

Nelle tue occasioni speciali pensa al Pianeta! Sostituisci le tue tradizionali bomboniere con una donazione a Greenpeace. Riceverai il nostro portaconfetti per comunicare a parenti e amici la tua scelta solidale. Gli inchiostri utilizzati per la stampa sono vegetali e la carta è riciclata. Per informazioni chiama lo 06.68136061 (int.101) oppure scrivi a: bomboniere.solidali.it@greenpeace.org.

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Greenpeace/Ardiles Rante

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Il lascito a Greenpeace. Per lasciare il 0ianeta, senza abbandonarlo. Siamo custodi del Pianeta solo per un breve momento. Il lascito testamentario a Greenpeace è un modo concreto per difendere la Terra dal riscaldamento globale, dalla deforestazione, dall’inquinamento, dalla pesca distruttiva. È un gesto che onorerà la tua memoria, perpetuerà i tuoi ideali e contribuirà a creare un futuro verde e di pace. Per informazioni: luigi.lingelli@greenpeace.org | Tel. 06.68136061 - interno 229 | Fax 06.45439793

www.greenpeace.it


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