Numero 4 Riflettiamoci

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Quell’11 settembre nel Chaco Argentino

“Ciò che vedevamo, da lì, da quegli antipodi che un tempo avevano accolto milioni di emigranti dall’Europa, era un mondo che, sulla soglia del XXI secolo, non aveva risolto le sue contraddizioni, anzi, sembrava sempre più lacerato, sempre più diviso. Un mondo in fondo drammaticamente simile a quello odierno”

Nel giorno dell’attentato alle Torri Gemelle di New York, una delegazione della Provincia era in visita alle comunità di origine trentina che vivono in Sud America di Marco Pontoni

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oresta dell’Impenetrabile, Gran Chaco argentino. Sono già passati 10 anni. Quella mattina dell’11 settembre 2001 tutti noi che eravamo saliti sull’ aeroplanino decollato dall’aeroporto di Resistencia, la capitale della provincia, sapevamo che la giornata che ci aspettava sarebbe stata ricca di emozioni. Ma non immaginavamo quanto.

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copo di quel volo, incontrare alcuni degli emigrati trentini spintisi davvero più in là, nel cuore di un’immensa foresta arida, fatta di migliaia di arbusti spinosi, cactus e quebracho rosso. L’Impenetrabile era - e continua ad essere - la “frontiera” argentina a Nord, verso i confini con l’Uruguay e la Bolivia, speculare alla più nota Patagonia, raccontata da scrittori del calibro di Chatwin e Sepùlveda. Colonizzata all’epoca della dittatura militare, ancora in parte abitata da popolazioni indigene (gli ultimi degli ultimi, come racconta un altro grande scrittore argentino, Mempo Giardinelli), si mostrava, sotto di noi, come un vastissimo territorio pressoché disabitato. Alcuni dei circa 7.000 emigrati trentini e loro discendenti del Chaco - una delle provincie di per sé più povere dell’Argentina - anni prima avevano risalito il rio Negro per costruirsi un futuro qui.

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tterrammo su una pista di terra battuta, recintata con uno steccato per impedire che qualche animale l’invadesse. Salimmo su un furgone che cominciò a percorrere una strada diritta come la traiettoria di una pallottola, per centinaia di chilometri, con varie diramazioni che conducevano a fattorie sparse nella solitudine. Nulla di paragonabile ad un’azienda zootecnica europea, però, men che meno trentina; gli animali venivano tenuti allo stato brado, non erano vaccinati, non erano alimentati in maniera “mirata”. Inoltre non si faceva alcuna selezione genetica. “Il tasso annuale di

mortalità delle capre - ci spiegò un allevatore, presso il quale ci fermammo - oscilla fra il 40 e il 50 per cento.”

no guardando la televisione, succhiando il mate con la loro bombilla, espressioni impenetrabili sui visi segnati dal troppo sole.

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alla casa sbucò all’improvviso la figlia, una splendida ragazza; Renzo, uno dei giornalisti della nostra delegazione, cominciò a scherzare con lei. “Come fate a trovare marito, qui?” “C’è qualche festa, ogni tanto...” Ci mostrò il pozzo, con un sorriso di divertita rassegnazione sulle labbra. “L’acqua è arsenicata”.

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Qui a sinistra, un bambino che vive nell’Impenetrabile. Sull’altra pagina, le bandiere di due Circoli trentini fondati nel Chaco, ed un gruppo di discendenti di emigrati trentini (foto Paolo Holneider / Ufficio Stampa PAT).

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vevamo già visto nei giorni precedenti situazioni difficili, a Puerto Tirol, a Quitilipi, a Pampa del Infierno e in altre località dove erano presenti circoli trentini; situazioni rese ancora più gravi dalla crisi economica che stava lacerando il Paese e che avrebbe spinto di lì a qualche mese il presidente argentino de la RÚa a fuggire precipitosamente dalla capitale a bordo di un elicottero, incalzato dalla protesta popolare. Ciro Russo, il responsabile dei progetti della Trentini nel Mondo, ci aveva spiegato che la monocoltura del cotone, oltre a scontare debolezze strutturali derivanti dal clima e dalla mancanza d’acqua, ad un certo punto era entrata in crisi in seguito alla diffusione delle fibre sintetiche. I trentini, arrivando qui, dapprincipio avevano pensato di avere davvero trovato “l’America”: dopotutto gli spazi nel Chaco sono enormi, l’azienda media misura almeno 100 ettari. In realtà solo alcuni di essi si erano “sistemati”; molti avevano ancora bisogno dell’assistenza della Provincia autonoma di Trento e delle associazioni trentine, anche solo per avere una casa degna di questo nome. Però, condizioni così estreme come quelle dell’Impenetrabile non ce le eravamo immaginate.

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ravamo risaliti sul pick-up. Ad un certo punto, si profilarono in lontananza le sagome di tre uomini, che cammi-

navano sul ciglio della pista. Ci fermammo accanto a loro, offrendo un passaggio, come s’usa nelle regioni spopolate. Erano degli indios. Salirono sul cassone con noi, e cominciarono a parlarci, ma non ci intendevamo bene, il loro spagnolo non era un granché e così il nostro. Usarono le mani: con una mimavano un aereo, quello si capiva, con l’altra un ostacolo, tipo una parete di roccia, su cui l’aereo ad un certo punto si schiantava. “Dove?”, gli chiedemmo. Pensavamo che un piccolo aereo come il nostro fosse andato a sbattere, anche se non riuscivamo a capire dove, visto che la regione è piatta. “New York, New York!”.

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rrivammo ad un villaggio, dove avevano organizzato una piccola cerimonia di accoglienza per la delegazione. Ci trascinarono in una casa, sul tetto svettava l’antenna parabolica. Dentro, in un salottino, parecchie persone stava-

i girammo anche noi verso lo schermo, dopo avere salutato. Sembravano immagini di un film catastrofico: due aerei di linea, uno dopo l’altro, contro le Torri gemelle del World Trade Center.

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er i partecipanti a quel viaggio, il ricordo dell’attentato del secolo, che sembrò materializzare l’incubo del conflitto di civiltà profetizzato da Samuel Huntington, resterà indissolubilmente legato a quello delle solitudini del Chaco, e agli emigrati trentini laggiù.

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l giorno dopo, a Buenos Aires, l’arcivescovo di Trento, Luigi Bressan, partecipò ad una grande manifestazione per la pace, analoga ad altre che si stavano tenendo in tutto il mondo. La sera ci facemmo guidare nel quartiere della Recoleta da alcuni “trentini d’Argentina”. Naturalmente, erano come noi impressionati da quello che era successo; ma avevano anche i loro problemi, a cui pensare, il gorgo nel quale il Paese stava precipitando, a causa delle politiche neoliberiste adottate dalla classe dirigente. Presto la crisi avrebbe anche polverizzato i risparmi di chi aveva investito nei famosi “bond argentini”. Ciò che vedevamo, da lì, da quegli antipodi che un tempo avevano accolto milioni di emigranti dall’Europa, era un mondo che, sulla soglia del XXI secolo, non aveva risolto le sue contraddizioni, anzi, sembrava sempre più lacerato, sempre più diviso.

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n mondo in fondo drammaticamente simile a quello odierno.

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