ANNO V NUMERO SPECIALE – OTTOBRE 2015

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Trimestrale dell’associazione Il Gioco degli Specchi ANNO V NUMERO SPECIALE – OTTOBRE 2015

IL RIFIUTO DELLA TERRA Cambiamenti climatici e migrazioni

9 - 13 NOVEMBRE 2015 TRENTO ilgiocodeglispecchi.org


di Andrea Petrella

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EDITORIALE Il rifiuto della Terra: da dove cominciamo? PRIMO PIANO Ecoprofughi ATAS ONLUS Terre espropriate in Africa, popoli costretti a emigrare MIGRANTI Il cambiamento climatico è un moltiplicatore di minacce

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IL GIOCO DEGLI SPECCHI periodico dell’Associazione “Il Gioco degli Specchi” Reg. trib. Trento num. 2/2010 del 18/02/2010 direttore responsabile Fulvio Gardumi direttore editoriale Mirza Latiful Haque

Ci tieni alla Terra? #ilrifiutodellaterra è un'emergenza Diamo un volto alla Natura, agli uomini e alle donne in difficoltà Il Gioco degli Specchi ha attivato una campagna online, sulla piattaforma Leevia, per promuovere la partecipazione di tutti alla riflessione sul tema dei cambiamenti climatici e loro rapporto con le migrazioni. La campagna si basa sulle immagini e partecipare è semplice: 1. clicca su http://ilrifiutodellaterra.leevia.com/ 2. posta una foto / disegno / vignetta che mostri gli effetti del riscaldamento globale e/o le conseguenze sulla vita degli uomini 3. rilancia in rete ai tuoi amici Una foto per collegarsi in un comune obiettivo: la cura dell'ambiente e insieme di tutti gli uomini, specie i più indifesi, i poveri, le donne, i migranti.

Editoriale

YAKU Progetti di sostegno per acqua e giustizia PROGRAMMA

AMNESTY INTERNATIONAL Terra violata e persone in fuga

14 15 16|17 18|19

redazione via S.Pio X 48, 38122 TRENTO tel 0461.916251 - cell. 340.2412552 info@ilgiocodeglispecchi.org www.ilgiocodeglispecchi.org progetto grafico Mugrafik

RACCONTO Dal dire al fare VITE DISEGNATE Sono figli nostri IMMI/EMI Quando alluvioni e malattie spinsero i nostri nonni a cercare l'America CINEMA Cittadini del nulla

stampa Litografia Amorth, loc. Crosare 12, 38121 Gardolo (Trento) con il sostegno di Comune di Trento Assessorato alla Cultura e Turismo

Radio Trentino in Blu media sponsor seguiteci ogni venerdì in diretta dalle 10.35 alle 11.00, fino al 25 dicembre

LA NOSTRA TERRA

Francesco e la cura della casa comune una serie di trasmissioni, in collaborazione con Il Gioco degli Specchi, su riscaldamento globale, povertà e migrazioni a partire dalla “Laudato si’” e dall'appello urgente lanciato dal Papa con questa enciclica

IL RIFIUTO DELLA TERRA DA DOVE COMINCIAMO? Il Gioco degli Specchi ha da sempre interrogato la realtà cercando di rilevare i motivi che, ieri come oggi, hanno determinato e determinano le migrazioni. Ogni anno abbiamo aperto spazi di riflessione, ci siamo posti domande e abbiamo cercato di trovare risposte con l’aiuto di tanti amici invitati a Trento, italiani e stranieri: scrittori, accademici, attori, registi, traduttori, editori, mediatori. Paura, Patria, Colonialismo, Muri, Pluralismo, Incontro: tanti temi sono stati affrontati per fornirci prospettive e interpretazioni diverse alle dinamiche migratorie che quotidianamente osserviamo. Tra queste parole-chiave ve n’è una, l’ambiente, finora da noi poco considerata seppure ricorrente in molte delle storie raccolte e ascoltate. Quando un anno fa abbiamo pertanto scelto di dedicare le nostre energie, il nostro tempo e le nostre capacità organizzative al tema delle migrazioni ambientali non immaginavamo di trovarci di fronte a una tale complessità e interdisciplinarietà. È stato abbastanza naturale, per noi che da anni crediamo nel lavoro di rete, chiamare a raccolta altre associazioni e ragionare assieme su questo intreccio di concetti, avvenimenti e numeri. Il risultato è un lavoro ancora in fieri, un insieme di storie e immagini capaci solo in parte di restituirci le dimensioni del fenomeno. Molte delle difficoltà incontrate nello spiegare le migrazioni ambientali riguardano la quantificazione dei protagonisti (loro malgrado) di questa particolare tipologia di migranti. Ci troviamo

di fronte a fonti molto diversificate e numeri non certi, variabili a seconda della definizione adottata. Personalmente mi affido alle stime dell’International Organization for Migration (IOM), secondo cui già nel 1990 si contavano 25 milioni di rifugiati ambientali: donne, uomini e bambini in mobilità per motivi che andavano dalla desertificazione ai disastri naturali, dalla siccità all’inquinamento. Oggi i migranti (o rifugiati) ambientali dovrebbero essere più di 50 milioni, a cui aggiungere i quasi 190 milioni di persone che, a causa di conflitti e di situazioni politiche e socio-economiche, vivono al di fuori dei confini della propria terra di nascita. Sempre l’IOM calcola che nel 2050 le persone costrette a migrare per ragioni ambientali potrebbero raggiungere l’astronomica cifra di 200/250 milioni. Quello tra condizioni ambientali-climatiche e spostamenti di popolazioni non è, va precisato, un nesso sviluppatosi e manifestatosi solo negli ultimi decenni. La storia dell’umanità è costellata di esodi, migrazioni, spostamenti di famiglie, interi villaggi o interi popoli dettati dall’impossibilità di trarre risorse dal proprio ambiente. Carestie, siccità e inondazioni hanno caratterizzato la vita di molte civiltà, costringendo milioni di individui ad ampliare il proprio raggio d’azione, a migrare temporaneamente o permanentemente in altri contesti, anche quando i confini ancora non esistevano. Oggi ciò che vi è di nuovo – e che un po’ ci disorienta – all’interno di questo nesso è l’intrecciarsi simulta-

neo di più fattori che determinano il degrado ambientale. Uno di questi fattori è sicuramente la repentinità con cui il degrado si sta manifestando, sospinto da cambiamenti climatici mai così intensi come negli ultimi decenni. Altro elemento di enorme importanza per comprendere l’attuale gravità del fenomeno è l’impoverimento del territorio provocato dalla sottrazione incontrollata di risorse naturali (e dalla loro conseguente diseguale redistribuzione). L’intervento diretto dell’uomo attraverso la realizzazione di grandi opere infrastrutturali, lo sfruttamento intensivo del suolo a scopi agricoli e zootecnici, la pesca intensiva, l’approvvigionamento energetico e altro ancora si è sensibilmente intensificato nell’era della cosiddetta globalizzazione. Globalizzati sono i capitali, globalizzati sono gli affari, ma globalizzate sono anche le ricadute di queste dinamiche: i rifugiati ambientali che oggi chiedono accoglienza sono le donne e gli uomini a cui ieri è stata sottratta la terra, razionata l’acqua o prosciugato il fiume. Chi entra (o cerca di entrare) oggi in Francia, Germania, Italia o Stati Uniti è stato espulso (rifiutato) ieri dal delta del Niger, dalle campagne messicane o cinesi, dai villaggi sub sahariani. Stiamo cercando di comprendere questi accadimenti e lo facciamo mettendo assieme storie e immagini, collegando fatti e numeri, collaborando con altre associazioni e dando voce a chi ha vissuto sulla propria pelle il Rifiuto della Terra. Editoriale


di Raffaele Crocco

di Patrizia Bugna

Che cosa fa Atas per i sempre più numerosi rifugiati

Terre espropriate in Africa, popoli costretti a emigrare

46° PARALLELO

ECOPROFUGHI Milioni di esseri umani nel mondo lasciano le loro case per cause ambientali Provate a immaginare 250 milioni di esseri umani – l’equivalente di metà della popolazione dell’Unione Europea – in marcia. Immaginateli in cammino, perché in cerca di sopravvivenza. Pensateli mentre lasciano le città europee, le campagne, i monti, perché non c’è più nulla da coltivare, nulla su cui far crescere grano, mais, riso, frutta. Senza terre per i pascoli, senza acqua per bere, senza speranze. Se li state immaginando, bene: fra pochi anni potrete vederli. Lo dice l’Onu. Entro il 2050, cioè fra 35 anni, gli esseri umani costretti ad abbandonare la loro terra per tentare di vivere saranno un quarto di miliardo, una folla infinita. La loro fuga – lo dicono sempre le statistiche – sarà determinata solo in parte dalle guerre, come ora. La maggioranza dovrà andarsene per colpa della desertificazione, dell’inquinamento, per la costruzione di dighe, bacini artificiali o per l’accaparramento delle terre fertili da parte di governi e multinazionali. Ecoprofughi, si chiamano così già oggi, mentre si muovono senza alcun riconoscimento internazionale, senza alcuna norma che ne riconosca il diritto d’asilo e accoglienza. Facciamo un esempio: la Siria. In quasi cinque anni di guerra, i profughi – rifugiati o sfollati – si calcola siano circa 7milioni. La guerra, appunto, nell’idea comune, è la ragione della loro fuga. È vero solo in parte. Già nel 2010, un anno prima della guerra, circa 800 mila siriani furono costretti a lasciare le loro case per mancanza d’acqua. La costruzione di una serie di dighe per produrre energia elettrica, li aveva privati della possibilità di averla. Ed erano inevitabilmente fuggiti. I civili in fuga aumentano, ogni anno, per decine di ragioni.

Primo piano

Nel giugno del 2015 erano circa 59 milioni e 400 mila, quasi quanto la popolazione dell’Italia. Un individuo ogni 122, nel mondo, oggi è profugo. Vuol dire che, statisticamente, tutti ne conosciamo almeno uno. La maggior parte di loro viene da appena cinque Paesi, tutti colpiti da conflitti: l’Afghanistan, la Somalia, l’Iraq, la Siria ed il Sudan. Negli ultimi anni ci sono stati flussi importanti anche da Mali e Repubblica Democratica del Congo. I numeri sono allarmanti. Evidenziano che ingiustizie, consumo delle risorse, guerre, creano sempre più disperazione. Di fatto ogni 4 secondi una persona nel mondo diventa rifugiato o sfollato. Quasi la metà sono minori. Tutto questo accade qui, ora, davanti ai nostri occhi. Raccontarlo, affrontarlo, sapere cosa sta accadendo, significa avere gli strumenti per capire le ragioni di chi arriva qui, sulle nostre coste, nelle nostre città, cercando di vivere. In 40 Paesi africani su 53, la speranza di vita è inferiore ai 40 anni. In Italia è superiore agli 84. Le ragioni dell’adesione dell’"Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo" al progetto “Il rifiuto della terra” è nei numeri che avete letto, nel profilo tracciato qui sopra. Da sei anni lavoriamo con i ragazzi, le associazioni, gli enti, per dare una possibile chiave di lettura a quanto accade nel Mondo. L’Atlante è uno strumento di informazione e l’informazione è uno strumento di maggiore libertà. Raccontare cosa sono gli ecoprofughi, quali sono le ragioni che li spingono a mollare una terra, una casa, una vita per cercare altro, significa raccontare il nostro tempo, starci dentro fino in fondo. Una occasione che non volevamo sprecare.

WWW.ATLANTEGUERRE.IT

“D’un tratto non potevamo più coltivare i campi del villaggio. Erano stati venduti. Non sapevamo a chi”. La privatizzazione delle terre che per generazioni sono state coltivate dagli abitanti è una delle situazioni che i richiedenti asilo accolti in Trentino ci raccontano e che spinge le persone a partire, magari a cercare lavoro in Paesi vicini, poi a loro volta travolti dalle guerre. Alcuni arrivano dalla regione del Sahel, soggetta al fenomeno della desertificazione. “Per tre anni non è piovuto e i campi che coltivavo non davano nessun raccolto” ci dicono. Altri provengono dall’area del Delta del Niger, terra di petrolio. Sono oltre 800 i richiedenti asilo e rifugiati accolti in Trentino a settembre 2015. Alcuni di loro abitano negli appartamenti messi a disposizione da ATAS onlus all’interno dello SPRAR – Sistema Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati e del sistema dell’Accoglienza Straordinaria, con il coordinamento di Cinformi e in collaborazione con un’ampia rete di enti, associazioni, volontari, tra cui Centro Astalli onlus, cooperativa Punto d’Approdo e APPM onlus. Gli operatori e operatrici di Atas seguono una parte delle persone accolte per quanto riguarda la gestione quotidiana dell’alloggio, della convivenza con gli altri ospiti e gli accompagnamenti ai servizi del territorio. Illustrano le regole del progetto di accoglienza, spiegano cosa significa vivere negli appartamenti con altre persone, quali prodotti utilizzare per le pulizie, dove acquistare gli alimenti, si accertano della frequenza dei corsi di italiano, li accompagnano se necessario

in caso di problemi di salute, li presentano ai vicini, li orientano verso altri servizi o iniziative del territorio. Un altro aspetto importante che segue Atas sono le relazioni dei richiedenti asilo e rifugiati con la comunità nel comune di Trento, promuovendo la partecipazione alle attività delle associazioni locali, la conoscenza e le relazioni positive con i vicini di casa, il lavoro volontario per la comunità, e, in generale, la partecipazione e il contributo alla vita sociale, culturale e sportiva della città. Pensiamo che la conoscenza personale, le relazioni e il racconto delle storie di vita possano aiutare a farsi un’idea, senza preconcetti, dello stato delle cose a livello locale e globale, delle interrelazioni tra questi livelli, e ad agire di conseguenza. Tra i richiedenti asilo e rifugiati seguiti da Atas ci sono persone che hanno visto il proprio Paese devastato da conflitti per il controllo delle risorse naturali, il proprio ambiente trasformato, la propria terra resa inaccessibile perché “venduta” a terzi. Queste persone e le loro storie entreranno nelle scuole e in eventi pubblici nel corso del progetto Il Rifiuto della Terra. Proporremo inoltre il documentario Ero 197, il racconto di un ragazzo che vive in uno degli alloggi di Atas, partito da solo dal Burkina Faso a 15 anni. Vogliamo così dare un contributo alla conoscenza e al dibattito pubblico sulle migrazioni e l’accoglienza, facendo emergere dalle persone che fanno già parte della nostra comunità il racconto di fenomeni apparentemente lontani. Per capire.

WWW.ATAS.TN.IT Ero 197, regia di Donato Chiampi, prodotto da Donato Chiampi in collaborazione con Atas onlus - durata 25’30” Tidjane è un ragazzo come tanti, solo che si affaccia al mondo esterno diversamente dai suoi coetanei quindicenni: è nato in Burkina Faso. Parte di nascosto per la Libia ed entra così nell’interminabile conta dei migranti sub-sahariani. Il viaggio del protagonista è metaforicamente rappresentato da una scalata dove avanzare significa superare difficoltà.

Lavora per vivere e proseguire attraverso punti sperduti nei deserti Ténéré e Sahara, località che ogni migrante conosce e non scorda più. Tali città e oasi brulicano di persone che affrontano piste segnate da “chi non ce l’ha fatta” (racconto di Tidjane). Arrestato, fugge dal carcere libico di Al Gatrun, correndo per 11 ore nella notte. Tripoli, dopo un anno la guerra con bombardamenti e nuovo arresto. Su un barcone, con altre 600 persone, raggiunge l’isola della speranza: Lampedusa. La nuova vita in Italia. Tidjane incontra

altri profughi africani che studiano l’italiano; stranieri di varie nazionalità nella scuola secondaria per adulti; italiani che, al di là di ogni considerazione, si mettono in gioco, pur tra mille domande… A fine riprese una sorpresa che ha lasciato senza fiato Tidjane e tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione del docu-film. “Ero 197” è una storia vera che senza enfasi e spettacolarità ci introduce in un mondo che è il nostro, andando oltre l’anonimato dei naufragi e degli sbarchi quotidiani che vediamo in ogni telegiornale.

Primo ATAS Onlus piano


MIGRANTI

di Manuel Beozzo

IL CAMBIAMENTO CLIMATICO È UN MOLTIPLICATORE DI MINACCE Sono diversi i motivi che inducono una persona a fuggire dal proprio Paese e iniziare un viaggio senza conoscerne la destinazione, i tempi e gli esiti. Tutti hanno certamente un’origine drammatica e non volontaria. Negli ultimi mesi la stampa nazionale ha ritrovato nel tema migrazione una grande fonte di ispirazione, scrivendo quotidianamente di rifugiati e migrazioni. Come altri grandi temi, probabilmente anche questo così com’è apparso, scomparirà dalle prime pagine dei giornali quasi magicamente. Vale quindi la pena sfruttare l’attualità del tema per approfondimenti legati in maniera più o meno diretta al tema centrale. Una delle “categorie” dei rifugiati è quella dei rifugiati ambientali o profughi ambientali. Si tratta di “quelle persone che sono state costrette a lasciare il loro habitat tradizionale, temporaneamente o permanentemente, a causa di un’interruzione ambientale (naturale e/o causata dall’uomo) che ha messo in pericolo la loro esistenza e/o gravemente influito sulla qualità della loro vita. Con "interruzione ambientale" si intende ogni cambiamento fisco, chimico e/o cambiamento

Rifugiati ambientali, una nuova emergenza senza alcun riconoscimento internazionale

biologico nell’ecosistema (o nelle risorse base) che lo rendono, temporaneamente o in modo permanente, inadatto a sostenere la vita umana”. Lo scrive, a metà degli anni Ottanta, un ricercatore egiziano, Essam El-Hinnawi, utilizzando il termine “rifugiato ambientale” in un rapporto internazionale delle Nazioni Unite (Programma per l’ambiente) a seguito degli spostamenti di popolazioni causati dai disastri ambientali di Bophal (India) e Chernobyl (Unione Sovietica). “Rifugiato ambientale” si era letto per la prima volta nella seconda metà degli anni Settanta in una relazione per il World Watch Institute di un ricercatore statunitense, Lester Brown. L’importanza di approfondire il tema delle migrazioni a seguito di disastri ambientali (siano essi di breve durata come terremoti, tsunami, cicloni ecc., oppure di lungo periodo come siccità, desertificazione o ancora causati direttamente da errore umano come nei casi poco sopra elencati o volontà umana come per i conflitti) si incentra sui grandi numeri che descrivono il fenomeno: milioni di uomini. Tra il 2008 e il 2013 circa 27 milioni di persone ogni anno hanno lasciato

il proprio Paese a seguito di cambiamenti ambientali o disastri ambientali. Nonostante ciò e benchè le previsioni parlino di aumenti esponenziali nei prossimi dieci anni, questa tipologia di rifugiati non è contemplata nella Convenzione di Ginevra (1951) né nel suo Protocollo Supplementare (1967). Gli organismi internazionali stanno cercando di creare delle tutele anche per i rifugiati ambientali, ma ad oggi nessun governo ha l’obbligo di accoglimento all’interno del proprio territorio di persone fuggite dal proprio Paese a seguito di un disastro naturale. Un aspetto questo molto delicato, ripreso anche da Legambiente nel rapporto Profughi Ambientali (2013), dal quale si può evincere la complessità del caso: “anche se i governi estendono le leggi esistenti in materia di asilo per includervi le persone sfollate da cambiamenti climatici, non porterebbero a fornire una giusta protezione. Inoltre, comportereb­be sprecare risorse giudiziarie necessarie per le persone che attualmente ricevono tutela a norma dei rifugiati e del diritto di asilo. La protezione delle persone sfollate dai cambia-

menti climatici, ben­ché necessaria, non dovrebbe rientrare nell’ambito delle leggi di rifugiati. Nuove leggi nazionali e internazionali dovrebbero concedere a queste persone maggior protezione”. Un altro aspetto centrale legato a questa tematica, riguarda la sua analisi in relazione ad altri temi. Esistono interessantissime analisi sul tema ambiente, migrazioni, sviluppo e conflitti. Ciò che troppo di rado viene preso in considerazione è un’osservazione che consideri le interazioni tra questi fenomeni. Questo alla luce del fatto che chi si occupa di ambiente definisce il cambiamento climatico un “moltiplicatore di minacce”. Recentemente un pioneristico articolo apparso sulla stampa inglese argomentò che alla base del conflitto in Siria ci siano state anche ragioni di carattere ambientale. L’autore dimostrava come scelte politiche poco sostenibili nel settore agricolo e la conseguente siccità mal gestita dal Governo abbiano portato ad una massiccia e rapida migrazione interna dalle zone rurali a quelle di città, causando scontento tra la popolazione (disoccupazione, corruzione e iniquità sociale).

Foto: Mahmud Amin

PER APPROFONDIRE

Per approfondire il tema si vedano i dossier di Legambiente e altra bibliografia selezionata dal Gioco degli Specchi WWW.LEGAMBIENTE.IT | WWW.ILGIOCODEGLISPECCHI.ORG

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LA NOSTRA TERRA Migranti

Francesco e la cura della casa comune

Migranti


di Francesca Caprini

Progetti di sostegno per acqua e giustizia

COLOMBIA: il paese con più sfollati interni Da 5 a 7 milioni, causa sfruttamento minerario e narcotraffico

WWW.YAKU.EU La Colombia ha firmato, dopo quasi sessant’anni di guerra, lo storico accordo fra Governo e gruppi guerriglieri che dovrebbe pacificare il paese e ridare dignità alle migliaia di vittime e desaparecidos che ancora non conoscono giustizia. Un accordo salutato con entusiasmo, che mostra anche degli aspetti preoccupanti, in particolare per ciò che concerne l’impostazione delle politiche economiche stabilite dal governo del presidente Santos. La Colombia, sotto l’egida della cosiddetta “locomotora minera” rimane stretta dentro la morsa di un modello energetico neoliberista che favorisce la continua concessione di ampie porzioni delle proprie terre e risorse ai grandi gruppi finanziari, causando numerosi sfollamenti forzati e mantenendo le sacche di povertà che contraddistinguono la società colombiana. Gli sfollati interni in Colombia sono fra i cinque ed i sette milioni: contadini, afrodiscendenti ed indigeni allontanati con la violenza dai propri territori d’origine, costretti ad abbandonare ogni forma di autosussistenza, ma anche i propri usi e costumi, le proprie radici, la propria identità. Questo fa della Colombia il paese al mondo con più sfollati interni, insieme al Sudan. Dietro il desplazamento forzato e massivo ci sono la violenza paramilitare e l’impunità di Stato, che per oltre mezzo secolo hanno operato in combutta con i grandi latifondi ed il

Yaku

narcotraffico, ed oggi con i cartelli economici più aggressivi. Il 40% del territorio colombiano è richiesto in concessione da multinazionali minerarie, in particolare di oro; l’abbassamento del prezzo del petrolio ha incrementato le trivellazioni petrolifere, che hanno visto la resistenza dei popoli indigeni di etnia Nasa affrontare a mani nude elicotteri e corpi militari; mentre le coltivazioni intensive di pino, eucalipto, palma da olio, soia e canna da zucchero - oltre che di caffè e banane - si estendono per immense aree che nelle regioni del Cauca, Norte del Valle, Eje Cafetero, Antioquia, Alto Magdalena ed Orinoquia, colpiscono in maniera irreversibile le fonti idriche e la biodiversità. La Colombia, terra ricchissima di acqua e di risorse, ha una popolazione che per poco meno della metà non ha accesso all’acqua potabile e si situa al di sotto dei livelli di povertà. Eppure i “desplazados”, anche grazie all’appoggio delle organizzazioni internazionali per i diritti umani, hanno avviato negli ultimi anni fruttuosi processi di riappropriazione e riorganizzazione dei loro territori. Yaku vi partecipa attraverso vari percorsi di sostegno, fra cui il progetto Agua, Justicia y Paz, volto al recupero delle risorse idriche, degli acquedotti comunitari e dei sistemi di raccolta delle acque, attraverso un percorso di autonomia ed autodeterminazione delle

comunità, insieme alle scuole locali, riunite nella rete delle Scuole dell’Acqua. L’intervento di Yaku all’interno del percorso condiviso “Il Rifiuto della Terra”, promosso dal Gioco degli Specchi, si situa in questo asse di elaborazione e confronto: da una parte la diffusione delle informazioni che esplicitino con chiarezza le connessioni intrinseche fra modello economico e accaparramenti di terre, acqua e risorse; dall’altra, la promozione delle soluzioni che le stesse comunità locali stanno mettendo in campo: la terra, maltrattata ed offesa, ridotta a merce, ed i suoi abitanti, si danno una nuova opportunità, lavorando per la difesa dei propri territori attraverso sperimentazione di alternative che privilegino la gestione locale e partecipata dei beni comuni. Un punto di vista che vuole mettere in particolare evidenza il ruolo della donna nella difesa dell’acqua, in Colombia ma anche in Bolivia, altro Paese che verrà preso in esame e dove Yaku collabora: con seminari informativi su migrazione e progetti di cooperazione internazionale all’interno del percorso formativo “la Scuola dell’Acqua e dei Beni Comuni” e la visione del pluripremiato documentario “La mujer y el Agua”, l’apporto di Yaku cercherà di contribuire alla denuncia globale contro il sistema biocida che l’economia finanziarizzata attua contro la Madre Terra e le popolazioni in lotta per la sua difesa.

Yaku


PROGRAMMA Dal 9 al 14 NOVEMBRE

VENERDÌ 13 NOVEMBRE

ESPOSIZIONE DI LIBRI SUL TEMA

SCUOLA DI STUDI INTERNAZIONALI dell’Università di Trento, via Tommaso Gar 14

Sala Manzoni, BIBLIOTECA COMUNALE CENTRALE, via Roma 55, Trento

ORE 16.00

ECOMIGRAZIONI E DIRITTI DELLA NATURA

LUNEDÌ 9 NOVEMBRE ORE 21.00 Sala conferenze, MUSE Museo delle Scienze, Corso del Lavoro e della Scienza 3, Trento

CAMBIAMENTI CLIMATICI E MIGRAZIONI

Il riscaldamento globale è sotto gli occhi di tutti: i ghiacciai si ritirano, i mari invadono la terra, luoghi un tempo vivibili diventano deserti inospitali. Si discute sulle cause del fenomeno, ma è certamente accelerato e aggravato dalle attività dell’uomo. Le persone cercano una possibilità di vita per sè o almeno per i loro figli, sfollano in megalopoli invivibili o migrano verso un qualunque altrove inseguendo una speranza. Sono ormai milioni e saranno sempre di più. Come far fronte ad una situazione così grave? Certo non basta tamponare le emergenze, bisogna intervenire sulle cause e dunque sulle attività umane. La terra non può reggere la pressione di una umanità che la distrugge col mito della crescita, specie ora che molti più stati si muovono in questa direzione. È necessario cambiare obiettivi e stile di vita. Questo tipo di sviluppo vorace che si alimenta con la distruzione, punta al profitto di pochi e crea scarti anche umani, lo abbiamo inventato noi: possiamo anche far prevalere un benessere rispettoso della terra, dei poveri, delle generazioni future.

Puntiamo con decisione alla VITA: del PIANETA, di TUTTI e OVUNQUE. È urgente. Programma

Valerio Calzolaio, politico, giornalista e autore di Ecoprofughi. Migrazioni forzate di ieri, oggi, domani Luca Lombroso, meteorologo, personaggio televisivo, conferenziere e divulgatore ambientale

MARTEDÌ 10 NOVEMBRE

VALERIO CALZOLAIO E LUCA LOMBROSO INCONTRANO STUDENTI DELLE SUPERIORI

GIOVEDÌ 12 NOVEMBRE ORE 21

con il giurista Ugo Mattei, Andrea Petrella e gli studenti della Scuola Studi Internazionali di Trento, all’interno della “Scuola dell’Acqua e dei beni comuni”, un ciclo di incontri e seminari formativi a cura dell’associazione Yaku

ORE 21.00 Sala conferenze della FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI TRENTO E ROVERETO via Garibaldi 33, Trento

TERRA VIOLATA E PERSONE IN FUGA: IL DELTA DEL NIGER NON È COSÌ LONTANO Introduce Cristiano Vernesi di Amnesty International – gruppo di Trento: Il Delta del Niger. Tra responsabilità sociale delle imprese petrolifere (anche italiane) e disastro ambientale; specifica Luca Manes di Re:Common: Soldi sporchi. Corruzione, riciclaggio e abuso di potere tra Europa e Delta del Niger con presentazione della graphic novel su questo tema; e in conclusione: Abbandonare il proprio paese. Testimonianza di un cittadino nigeriano che vive in Trentino a cura di Amnesty International Trento e con la collaborazione di Atas Onlus

CINEMA ASTRA, corso Buonarroti 16, Trento

VOCI DI TRANSIZIONE/VOICES OF TRANSITION

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#ilrifiutodellaterra IL PROGETTO CONTINUA ANCHE NEL 2016 IL RIFIUTO DELLA TERRA. AMBIENTE DEVASTATO E MIGRAZIONI

IL GIOCO DEGLI SPECCHI, via S.Pio X 48, 38122 TRENTO tel 0461 916251, cell 340 2412552 info@ilgiocodeglispecchi.org

ilgiocodeglispecchi.org

di Nils Aguilar Francia/Germania, 2012, versione originale in inglese con sottotitoli in italiano durata 62’ Vincitore di prestigiosi premi in Oregon e in Colorado come Miglior opera prima e come Miglior film sull’ambiente, Voices of transition mette in discussione l’agricoltura industriale e presenta esempi in Francia, Regno Unito e Cuba di modi nuovi (o ritrovati) di coltivare in modo sano per l’ambiente, sia in campagna sia in città. Con Roberto Barbiero dall'Osservatorio Trentino sul Clima e Paolo Magnabosco del movimento culturale Transizione Italia. Con il sostegno di Con il contributo di

Con la collaborazione di

VENERDÌ 20 NOVEMBRE ORE 20.00

Teatro San Marco, Via San Bernardino, 8, Trento

PROIEZIONE DI LA MUJER Y EL AGUA, CON LA PARTECIPAZIONE DELLA REGISTA NOCEM COLLADO All’interno della rassegna “Tutti nello stesso piatto” di Mandacarù. A cura dell’associazione Yaku

TUTTI GLI INCONTRI SONO AD INGRESSO LIBERO E GRATUITO Il Gioco degli Specchi è ente accreditato presso il Servizio sviluppo e innovazione del sistema formativo scolastico. Gli insegnanti coinvolti nei vari incontri possono richiedere il riconoscimento di crediti formativi.

Programma


TRENTO

di Cecilia Nubola e Alberto Lavelli

Terra violata e persone in fuga: il Delta del Niger non è così lontano La ricchezza di petrolio impoverisce la popolazione

Re:Common WWW.AMNESTYTRENTO.IT

parlare di un posto così lontano quando i disastri ambientali non mancano certo anche a casa nostra? Una prima risposta può essere la seguente: perché il mondo è sempre più piccolo, sempre più globale. Fenomeni apparentemente lontani ci riguardano da vicino e possono essere influenzati e influenzare il nostro modo di vivere. La nostra dipendenza energetica dal petrolio, ad esempio, fa sì che il Delta del Niger, come tante altre zone nel mondo, sia inquinato e distrutto.

fitto e poco rispettosi dell’ambiente e dei diritti umani delle comunità. Un altro effetto prodotto dall’azione delle multinazionali riguarda la corruzione dei governi locali che sottrae risorse economiche alle popolazioni e ne impedisce la crescita economica e sociale. Una significativa storia di corruzione è raccontata da Re:Common nella graphic novel Soldi sporchi. Corruzione, riciclaggio e abuso di potere tra Europa e Delta del Niger.

A 20 anni dalla sua uccisione da parte del governo nigeriano, queste parole di Ken Saro-Wiwa, poeta e attivista per i diritti umani nigeriano, sono ancora drammaticamente attuali. Nella regione del Delta del Niger si continua a inquinare l’ambiente e a violare i diritti umani nel nome del petrolio.

Il contrasto tra l’impoverimento delle popolazioni del Delta e la ricchezza prodotta dal suo petrolio nei paesi occidentali è uno degli esempi più significativi della “maledizione delle risorse naturali”. Le compagnie petrolifere, tra cui l’italiana Eni, che operano nel Delta del Niger hanno portato ben pochi benefici alla regione, trascinando molte persone ancora più a fondo nella povertà e contribuendo a scatenare conflitti. Le diffuse violazioni dei diritti umani, collegate all’estrazione del petrolio, hanno contaminato il terreno e le acque, compromettendo i tradizionali mezzi di sostentamento (agricoltura e pesca). Il gas flaring (gas che esce dalla terra e che viene fatto bruciare) ha danneggiato la salute delle persone provocando problemi respiratori e malattie della pelle.

Ma perché occuparsi della natura violata nel Delta del Niger, della sua popolazione costretta a vivere in situazioni degradanti oppure ad andarsene? Perché

In assenza di una legislazione specifica, nazionale e internazionale, le imprese petrolifere e estrattive hanno adottato comportamenti tesi al massimo pro-

L’insieme di questi processi innesca una spirale di povertà e degrado sociale, conflitti e violenza, mancanza di rispetto dei diritti umani, che hanno come conseguenza la necessità per le popolazioni di abbandonare la propria terra per finire negli slum delle grandi città o per emigrare in Europa. Nell’ambito del progetto Il rifiuto della terra coordinato dal Gioco degli Specchi, il gruppo di Amnesty International di Trento, in collaborazione con ATAS Onlus di Trento, vi invita ad una serata di approfondimento di questi temi, venerdì 13 novembre 2015, ore 21,00 nella sala della Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, a Trento: Terra violata e persone in fuga: il Delta del Niger non è così lontano. Saranno presenti Cristiano Vernesi del gruppo di Trento di Amnesty International, Luca Manes dell’associazione Re:Common e un cittadino nigeriano che vive in Trentino.

"...tutti noi siamo di fronte alla Storia. Io sono un uomo di pace, di idee. Provo sgomento per la vergognosa povertà del mio popolo che vive su una terra molto generosa di risorse; provo rabbia per la devastazione di questa terra; provo fretta di ottenere che il mio popolo riconquisti il suo diritto alla vita e a una vita decente. Così ho dedicato tutte le mie risorse materiali e intellettuali a una causa nella quale credo totalmente, sulla quale non posso essere zittito. Non ho dubbi sul fatto che, alla fine, la mia causa vincerà e non importa quanti processi, quante tribolazioni io e coloro che credono con me in questa causa potremo incontrare nel corso del nostro cammino. Né la prigione né la morte potranno impedire la nostra vittoria finale..."

Amnesty International Trento

iclaggio e abuso Soldi sporchi. Corruzione, ric del Niger di potere tra Europa e Delta 15 Round Robin editrice, Roma, 20

Questo fumetto, ideato da Re:Common e disegnato dalla giovane Claudia Giuliani, racconta una vicenda realmente accaduta: una operazione di riciclaggio internazionale che ha coinvolto, per milioni di dollari, politici della Nigeria, affaristi, multinazionali del petrolio, organismi di cooperazione e istituzioni internazionali. È la storia di Dotun Oloko, l’uomo che aveva scoperto il colossale affare e lo aveva denunciato, in un primo tempo inutilmente, la sua drammatica fuga e la sua vita sotto scorta fino alla condanna, almeno, dell’ex governatore dello stato del Delta. Il racconto a fumetti è integrato da documenti (i memorandum e le lettere ufficiali di denuncia di Dotun Oloko) e resoconti puntuali (il dossier dell’associazione Re:Common “Il delta dei veleni. Gli impatti delle attività dell’ENI e delle altre multinazionali del petrolio in Nigeria”). Ne risulta coinvolta la Shell ma anche l’AGIP, da sempre struttura portante del gruppo ENI, che significa energia italiana, in Italia e nel mondo, ed è controllata al 30% dal governo italiano. La Nigeria è il principale esportatore africano di petrolio, ma questa sua enorme ricchezza non ha portato sviluppo. Se il 70% della popolazione nigeriana è sotto la soglia di povertà, quella del delta del Niger, seduta sulla ricchezza principale del paese, è la più povera Re:Common, associazione per il controllo pubblico e partecipato delle risorse naturali, in questo fumetto - inchiesta chiede di accertare l’entità degli impatti ambientali e le responsabilità delle compagnie petrolifere, di procedere ad una bonifica ambientale, di compensare le popolazioni locali e di metter fine alla pratica del gas flaring. In pratica chiede all’opinione pubblica ed ai governi europei, quello italiano compreso, di uscire da una mentalità eurocentrica, di imporre alle multinazionali la salvaguardia dell’ambiente e il rispetto delle popolazioni locali e dei loro diritti fondamentali. Il diritto ad un livello di vita decente, all’acqua, al cibo, alla salute, al lavoro.

Amnesty International Trento


Erica lo sa, l’ha letto, ma vederlo spiattellato così, con vanto spudorato, le dà un pugno allo stomaco, la mette sottosopra, la fa precipitare in una dimensione di irrealtà. Cento giorni di grano: quante persone possono nutrire? Una persona che mangia carne si appropria di risorse che, suddivise, basterebbero per cinque o dieci persone, la accusa Caparròs, ci va giù duro lui: Mangiare carne è uno sfoggio bestiale di potere. E Andrea Segrè con tutti i suoi calcoli a ricordarle quanta acqua ci vuole per arrivare a 300 grammi di bovino, quattro volte di più che per quella di pollo. E quanta CO2 emettono gli allevamenti e l’aereo che l’ha portato dal Nord America?! in una terra poi che è solo boschi e pascoli. Quel ‘nordamericano’ le fa proprio rabbia. Non verrà mica dal Montana? non è più quello di John Wayne, ci scapitozzano le montagne per mettere a nudo le vene di carbone. È in compagnia, non ha intenzione di fare la guastafeste e in ogni modo si siede a tavola più volte al giorno (diciamo la verità con gusto e perfino proclamando “che fame!” oppure bamboleggiando “ho una famina oggi!”). Anche

se sa bene che nell’Altro mondo la fame è un’altra cosa. Una volta aveva digiunato per tre giorni (per empatia? per provare ad avvicinarsi a un’umanità così lontana dalle splendide vetrine di corso Roma? forse solo un’idea balzana delle sue) e quello che non aveva speso l’aveva mandato non sa più per quale carestia indiana. Ha ancora il ricordo di un certo levitare, di una sensazione di vertigine, non si è sentita granchè buona a mandare soldi, non era certo una soluzione al problema. Si è forse immedesimata un attimo, ma senza riuscire a immaginare come possa essere una vita fatta di giorni che si susseguono ad altri giorni senza sapere se domani si potrà mangiare. L’incertezza, l’angoscia dell’incertezza, quella senza rete di salvataggio, come la puoi immaginare? il pianto di bambini a cui non puoi dar da mangiare. Beh, è tornata diligente al suo menù, non le piace farsi aspettare, ha scelto un tortino di zucchine che prometteva bene e affronta una delusione di frittatina mignon con qualche rondellina verde. Elegante, questo sì. Erica fa scivolare lo sguardo sui boschi ricchi e sani che intravvede dalle vetrate. Giornata troppo placida e solare per pensare alle emissioni di carbonio, ai gas serra e all’orologio dell’apocalisse. Lo sa che ci stiamo mangiando tutto, il bovinonordamericanonutrito-

agrano e un pianeta intero. Anche due o tre se si mettono anche altri a sgranocchiare con lo stesso appetito. Informata è informata, che lei l’inglese lo sa, Climate Change, Warmer World, Desertification, Ocean Acidification, Sea Level, Water Grabbing, Land Grabbing, Fracking, Flaring, altro che sustainable development. Se ne preoccupa, ma senza preoccuparsi. Non sa nemmeno lei. È una specie di anestesia. Non ha figli e tutto sembra così lontano. C’è tanto lavoro tutti i giorni, corri qua corri là. In macchina s’intende, altrimenti non ce la farebbe a far tutto. Un pensiero commosso a Ken Saro Wiwa e via. Sì, ogni tanto ci pensa a quel che possono fare i petroliferi. È diverso quando ti muoiono intorno. Lì i morti e gli ammalati li contavano ogni giorno, non facevi in tempo ad affezionarti a uno che... Lì sì che la carne la volevi del Montana! Le pecore. Se socchiude gli occhi, le vede come se fossero lì su quei prati pettinati: bestie da far spavento, come quelle di Salto di Quirra, che si trascinano spelacchiate in attesa che vengano a prenderle i monatti. Erica è nata a Grottaglie, a due passi dalla Sagrada Familia dell’ILVA, ma è scappata appena ha potuto, lontana, l’università, il dottorato, il master. Ah, Parigi, non se ne sarebbe mai andata via. Parigi, la Tour Eiffel, la civiltà.

NARRATIVA

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ILLUSTRATA

euro 18.00

i r e N i l l e t a r F I Lisa Tetzner

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8254-63-

88-8 ISBN 978-

254630 9 788888 .zoolibri.com www

Siamo nelle montagne del Canton Ticino, una terra avara. È una mattina di fine estate dell’anno 1838. Un uomo scende lungo la Val Verzasca. Cammina in fretta e non dà neppure un’occhiata alle balze rocciose che delimitano il sentiero o alle trote che saltano nelle acque del fiume. Tiene lo sguardo fisso davanti a sé, impaziente perché Sonogno non appare ancora. Ma ecco, finalmente, le prime case. Ora non ha più fretta, sa di essere vicino al paese e si mette a sedere, lontano dalla strada. Il suo sguardo vaga lungo le pendici scoscese dei monti. Scruta quella natura così poco generosa con i suoi abitanti. - Qui non c’è di che vivere, - pensa. - I figli, li devono dare via. Su questo conta il trafficante di bambini, getta la sua esca ai genitori e se non ci riesce subito torna l’anno seguente. Qualche disgrazia li porterà a più miti consigli, basta poco per mettere in difficoltà chi è vicino al precipizio, e allora deve cedere. Riesce così sempre a portare a termine i suoi affari, a partire con un gruppo di ragazzi che potrà rivendere a Milano, un centro ricco, con tante necessità. Giovani, piccoli e magri, adatti a salire nei camini e pulirli. Li imbarca su un ‘batél’ come quello dei Promessi Sposi, ma si scatena la tempesta e il lago vuole i suoi morti. Quando Giorgio risale in superficie, vede tendersi mani, braccia. Grida disperate vengono coperte daI fragore delle acque. Poi nuove ondate si rovesciano suI misero rottame. ll ragazzo torna di nuovo a galla, ma la barca è scomparsa. Con uno sforzo estremo riesce finalmente a raggiungere un’asse cui aggrapparsi e vi sale sopra. Ora può guardarsi intorno. Ecco scorge l’amico: - Alfredo! Questo si avvinghia disperatamente allo stesso pezzo di legno.

Racconto

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Sul menu c’è scritto “carne di bovino nordamericano nutrito per almeno 100 giorni a grano”.

SONO FIGLI NOSTRI

tati venduti e por gono ancora ton Ticino ven pochi a azzi del Can ravvivono in tocento i rag e schiavi, sop ca, com zas uti A metà dell’Ot Ver Ten della Val zzacamini. ttordicenne fare gli spa ece, un qua a Milano a Neri. . Giorgio, inv dei Fratelli loso lavoro ico reta per tati seg l con que sono rac à nella società avventurosa, ia e solidariet la sua fuga trova amiciz nome di Lisa di Giorgio e 1941 sotto il i, il destino nel tard e più esc ni umi che Cent’an agini. i in due vol anzo per imm o per ragazz in un romanz racconta il rom nes Binder i dopo, Han Tetzner. Ann

. Hannes Bin

dal dire al fare

di Maria Rosa Mura

Lisa Tetzner

di Maria Rosa Mura

Poi i due ragazzi capiscono meglio come devono tenersi attaccati. Sono troppo sfiniti per parlare. Un colpo di vento disperde la nebbia - Là, - dice Giorgio respirando a fatica. - La riva... no, da questa parte è più vicina. Tieniti forte che io spingo. Non è il Mediterraneo dei nostri giorni, ma il lago di Lugano di due secoli fa. Sono addestrati come spazzacamini, ma potrebbero essere i giovani soffiatori di vetro della Toscana o i piccoli suonatori d’organetto nelle strade di Londra e di New York. Oppure due dei minori stranieri arrivati in Italia ‘non accompagnati’: 9.699 secondo i dati del Ministero del lavoro e delle politiche sociali al 30 settembre 2015, 5.588 dei quali dichiarati ‘irreperibili’ cioè si sono allontanati dalle strutture o dalle famiglie di accoglienza e non se ne hanno più notizie. Quanta disperazione, passata, futura, in genitori che mandano i figli da soli nel mondo nella speranza che possano vivere.

Lisa Tetzner, Hannes Binder, I fratelli neri, ZOOlibri, Reggio Emilia, 2011 Il libro è stato scritto da Lisa Tetzner insieme a suo marito Kurt Held, nome “tagliato” per motivi razziali, in quanto perseguitato dal nazismo. Inizialmente pubblicato in Germania nel 1941, è qui illustrato da Hannes Binder, che vive e lavora come illustratore e pittore a Zurigo. Attingendo al materiale iconografico dell’epoca, disegna con potenti incisioni, i luoghi dell’azione senza limitarsi ad illustrare questo classico, ma raccontando il romanzo per immagini.

Vite disegnate Cinema


di Maria Serena Tait

Cambiamenti climatici ed emigrazione trentina a fine ‘800

Quando alluvioni e malattie delle piante spinsero i nostri nonni a cercare l’America Foto: Stivor, archivio Trentini nel mondo Onlus

I recenti intensi flussi migratori, legati spesso a numerose concause, quali guerre, cambiamenti climatici, desertificazione e sfruttamento indiscriminato delle risorse del territorio dall’effetto globale deflagrante, mi hanno indotta a chiedermi se anche alla base della secolare emigrazione trentina, oltre alla generica motivazione della “intollerabile miseria della popolazione”, non ci fossero cause più specifiche, sostanzialmente le stesse che ai giorni nostri spingono i migranti verso nuove terre in grado di offrire una possibilità di vita e non solo di sopravvivenza. In particolare ho cercato nella nutrita ed esauriente bibliografia sull’argomento dei possibili riscontri anche nella causa che apparentemente sembrava la più improbabile, ovvero i cambiamenti climatici, e proprio lì ho avuto le sorprese più interessanti. Già nel 1600 si verificò in Trentino un evento molto importante e foriero di conseguenze determinanti anche nei secoli successivi: la “piccola glaciazione”. Un forte calo della temperatura provocò l’abbassamento del limite inferiore dei ghiacciai e delle nevi perenni con la perdita di pascoli e terreni in zone alpine precedentemente abitate. Questo comportò una sorta di emigrazione interna con una maggior concentrazione ed esubero di popolazione nelle zone sottostanti, dove già gli abitanti vivevano grazie ad un’agricoltura ai limiti della sussistenza. Un’ulteriore, inevitabile conseguenza fu a questo punto l’incremento della già diffusa emigrazione periodica e stagionale dalle vallate trentine secondo una ormai consolidata tradizione che privilegiava precisi percorsi e occupazioni. Dalla val di Ledro segantini e facchini si muovevano in direzione di Venezia; dalle valli di Fiemme e Fassa i carpentieri raggiungevano Bolzano; dalla val Rendena artigiani con diverse abilità professionali si recavano a Mantova; per i giornalieri agricoli della val di Gresta la meta era il veronese e i taglialegna del Primiero cercavano lavoro nel bellunese.

Immi/Emi

Non dobbiamo dimenticare che la particolare conformazione geomorfologica del Trentino lasciava ben poco spazio allo sfruttamento agricolo dei terreni con il 65% della superficie collocata sopra i 1000 metri e solo il 13% nelle aree più agevoli e fertili sotto i 500 metri. Secoli di sfruttamento intensivo del territorio non erano certo rimasti senza conseguenze, come si evince da questo stralcio di articolo apparso su “Il Trentino” del 31 marzo 1873: “Le nostre condizioni forestali sono così disperate, che ci vuole una potente ed energica invenzione dello stato e della provincia per metterci qualche riparo. La orribile devastazione dei boschi non solo ha sconcertato il nostro clima, ma ha talmente corrosi e scompaginati i fianchi delle nostre montagne, che la sabbia dei torrenti e l’inondazione dei fiumi trovano alimento continuo nelle frane e negli inghiaiamenti, le nostre campagne e i nostri villaggi sono minacciati da continui pericoli, i nostri comuni e i nostri possidenti estenuati da incessanti contribuzioni per ripari e lavori d’acque.” Nella seconda metà dell’800 la fine della “piccola glaciazione” comportò un’eccezionale piovosità e un aumento della temperatura media con scioglimento dei ghiacci e delle nevi perenni. Le conseguenze, sensibilmente acuite dallo sfruttamento indiscriminato e intensivo del territorio, furono smottamenti dei pendii, straripamento di fiumi e torrenti con perdita dei raccolti, e devastazione dei campi, soprattutto, ma non solo, in Valsugana. Nel 1882, nel 1885 e nel 1889 ci furono ben tre rovinose inondazioni. A rendere ancora più disperata la situazione economica del Trentino di quegli anni si aggiunsero contingenze di tipo politico, la moria del baco da seta che ne dimezzò la produzione e alcune malattie della vite. La riunificazione dell’Italia dopo le guerre risorgimentali aveva infatti tagliato a suon di dazi e gabelle le consuete opportunità di sbocchi commerciali e lavorativi verso il sud del Trentino, estremo lembo meridionale dell’impero asburgico.

La pebrina, malattia ereditaria del baco da seta, si diffuse dalla Provenza verso l’Italia settentrionale e il Tirolo italiano a partire dal 1855 e nel 1859 aveva infettato tutti gli allevamenti di bachi da seta della regione. Diede il colpo di grazia ad un settore già in crisi per mancanza di investimenti e aggiornamenti tecnologici, non più in grado di vincere una concorrenza produttiva e commerciale sempre più agguerrita. L’Austria rimase infatti ai margini della Rivoluzione industriale che stava trasformando la produzione di merci in Europa e negli Stati Uniti, preferendo arroccarsi su posizioni reazionarie ed arretrate sia in economia che in politica. A risentirne furono soprattutto gli abitanti della valle dell’Adige e della Vallagarina e in particolare le donne, in precedenza occupate in filande e filatoi e in grado fino a quel momento di integrare sensibilmente il reddito familiare. È un’ipotesi fondata supporre che la diffusione catastrofica delle malattie della vite, peronospora e oidio, sia stata fortemente condizionata dai mutamenti climatici, ovvero la fine della “piccola glaciazione” a cui abbiamo precedentemente accennato. La peronospora, causata da un fungo, viene infatti favorita dal rialzo della temperatura e dalle precipitazioni abbondanti e fu particolarmente devastante nelle zone di fondovalle, mentre l’oidio, sempre causato da un fungo e più diffuso nelle zone collinari esposte ed asciutte, viene comunque favorito dalle alte temperature. Pare significativo a questo proposito che negli ultimi anni, caratterizzati da temperature più alte anche nel periodo pri-

maverile e maggiore piovosità, ci sia stata, secondo i dati della Fondazione Mach, una recrudescenza di queste malattie della vite con una maggiore resistenza ai trattamenti e maggiore precocità stagionale nel loro manifestarsi. La pesante crisi economica della seconda metà dell’800 ebbe come conseguenza un incremento mai visto in precedenza dell’emigrazione dal Trentino. Partirono a migliaia, non solo singoli individui ma intere famiglie e interi villaggi. Partirono in modo illegale, aggirando i divieti dell’impero asburgico che a lungo si oppose a questa emorragia di sudditi, e partirono in modo legale, godendo degli incentivi e degli accordi tra l’impero e i paesi di destinazione, pur non trovando quasi mai le condizioni economiche promesse che avevano acceso le loro speranze e dato la forza di partire. Fu così per gli abitanti della Valsugana, che su carri trainati da buoi affrontarono il lungo viaggio verso la Bosnia Erzegovina, un’altra provincia ai confini dell’impero recentemente conquistata, e che con questa emigrazione incentivata dal governo avrebbero dovuto da fedeli e devoti sudditi dell’imperatore fungere da “cuscinetto” rispetto ai musulmani nell’opera di colonizzazione. Fu così anche per i trentini che raggiunsero il Brasile con la promessa di fertili e pianeggianti terreni da coltivare, dotati di accoglienti baracche per ospitarli, e si trovarono a dissodare una foresta ostile e popolata di animali pericolosi e mai nemmeno immaginati. Ma questa è un’altra storia.

Immi/Emi


CINEMA

Cittadini del nulla un film di Razi Mohebi e Soheila Javaheri

“Cittadini del nulla” è un film di Razi Mohebi e Soheila Javaheri, registi afghani che vivono a Trento. Il soggetto è risultato vincitore del Premio Gianandrea Mutti- AMM, Archivio delle memorie migranti. Presentato in anteprima il 28 febbraio 2015 alla Cineteca di Bologna all’interno di “Visioni Italiane”, e poi al Festival di Venezia, "Cittadini del Nulla" racconta la storia di una rifugiata politica afghana appena giunta in Italia (Monira) e degli incontri e delle situazioni con le quali si troverà a confrontarsi.

Immi/Emi Cinema

Regia: Razi Mohebi Anno di produzione: 2015 Durata: 52'

Intervista ai registi Razi Mohebi e Soheila Javaheri a cura di Alex Scarpa, Chiara Romeo e Teresa Palmieri

Tipologia: documentario Genere: sociale

Come nasce l’idea di questo film?

Paese: Italia

Razi: La sceneggiatura viene dall’esperienza di vita in Italia.. Da quando siamo venuti qui, ovvero dal 2007 sino al 2012, abbiamo vissuto momenti e situazioni… l’idea del film nasce da questo modo di vivere, dalla nostra vita.

Produzione: Razi Film House; in collaborazione con Filmwork-Trento Formato di proiezione: DCP, colore *IL PREMIO MUTTI-AMM Il Premio Gianandrea Mutti- AMM, Archivio delle memorie migranti è un Concorso nazionale dedicato ai registi migranti residenti in Italia e ai film sull’immigrazione in Italia.

Soheila: La scelta del titolo risale ad una lettera aperta “Rifugiati politici in Italia. Cittadini del nulla”, da noi scritta nel 2013. Era un momento molto particolare, vivevamo sotto moltissima tensione, soprattutto per la casa: dovevamo uscire e non sapevamo come. Tutti chiedevano come requisiti l’avere un contratto di lavoro a tempo indeterminato, una busta paga, eccetera. Cose

per noi infattibili. Ci siamo trovati in un momento in cui era impossibile per noi fare qualsiasi cosa. Ho pensato che l’unica via fosse proprio scrivere una lettera aperta. Razi: Poi a Torino, mentre giravamo “Afghanistan 2014”, abbiamo messo online la lettera, indirizzandola a tutte le istituzioni italiane. Abbiamo atteso una risposta ma non abbiamo ricevuto nulla, esattamente come il titolo della lettera. Online è stata tradotta in diverse lingue. In realtà solo dopo tre anni abbiamo scritto la sceneggiatura per il film… Per superare i momenti difficili noi scriviamo. Scriviamo per scoprire qualcosa, per aprire una nuova finestra tramite la quale vedere e percepire il mondo in modo differente. Così si crea la speranza per andare avanti. Questa lettera ha creato uno spazio di silenzio, ha fornito la capacità per poter pensare. Ognuno da solo, dov’era, pensava con se stesso. Uno spazio nel quale noi abbiamo trovato noi stessi, abbiamo pensato con noi stessi. Ci ha dato la possibilità di parlare insieme, di dialogare. In questo titolo cosa c’è? Il nulla. E per comprendere il nulla bisogna capire tre cose: lingua, tempo e luogo. Nel nulla non c’è né tempo né luogo. Tutto ciò che c’è dentro è niente. Questa parola, questo titolo, mi ha stimolato a pensare: io sono niente. Per non essere niente, per essere qualcosa cosa ci vuole? Il niente è per me un inizio, una possibilità. Perché ero diventato niente se una volta ero qualcuno? Cosa mi è successo? Ho perso il mio nome. Non ho più un nome che gli altri possano capire perché ancora non sono nato nella lingua. Dove non c’è lingua le persone, le cose non hanno nome, non possiedono identità. Non sono capibili. Se non c’è lingua non c’è nemmeno tempo, non c’è definizione. Mi chiedevo, io chi sono? Un profugo? Un immigrato? Un richiedente asilo politico? Oppure un rifugiato? Nessuna di queste parole mi rappresenta-

va. Ad un certo punto non ero niente. In una società basata sulle leggi tutto ciò che vi rimane fuori è considerato niente. Non essendo nato giuridicamente non ho nessun dovere, nessun diritto. Di decreti legge emergenziali che dovrebbero rappresentare un pezzo di me ve ne sono a migliaia. Ma tra loro non v’è alcuna connessione organica e laddove non esiste una legislazione coerente e strutturata non si esiste, non si è attori sociali, non si esercitano diritti e doveri. Così anche il tempo viene a mancare. Andavo a chiedere lavoro, sette anni fa. Un lavoro qualsiasi. Se non riesco ad accedere all’interno della società mantenendo un livello medio-alto allora devo partire dal basso. Partire in ogni caso è meglio che restare fermi. Mi hanno detto che mi avrebbero chiamato, ma sono ancora in attesa. E per quale motivo? Perché siamo collocati fuori dal tempo. Il domani per chi è inquadrato all’interno di una legge organica equivale a 24 ore. È tutto chiaro. Tutti ne comprendono il significato perché c’è una lingua. Noi non siamo posti nel linguaggio, non ne abbiamo uno comune. Il domani per noi potrebbe valere dieci anni o forse una vita intera, perché il tempo per quanto ci riguarda non ha significato. E siamo sprovvisti anche di luogo. Il luogo, dove le persone si incontrano, per parlare, per condividere, noi non ce l’abbiamo. Non esistiamo nella lingua: non avendo nome l’identità ci è tolta, sottratta. Siamo niente. Questo niente è cittadini del nulla. Questo niente rappresenta un punto di partenza per narrarsi, per raccontarsi: come vuoi essere puoi essere. Non come altri vogliono che tu sia. Io non sono un prodotto. Non sono un pomodoro a cui si può assegnare un’ etichetta. Quando scado non scade anche il mio valore. Quando giunge al termine il mio permesso di soggiorno i miei diritti non possono venir meno. Il mio valore, i miei diritti non scadono. Io sono uomo e i diritti degli esseri umani non scadono assieme alla

scadenza del contratto di casa, o di lavoro, o del permesso di soggiorno. Per questo devo raccontarmi. Devo rappresentarmi con qualunque mezzo e possibilità. Potevo scrivere ed ho scritto. Potevo realizzare un film e questo ho fatto.

Per le riprese avete scelto uno staff particolare, tutte persone alle prime esperienze. Come mai avete optato per questa strada? Razi: Noi avevamo un titolo “cittadini del nulla”. Dovevamo trovare delle persone senza senso, incomprese dalle istituzioni. Per le istituzioni, per i datori di lavoro, è necessario un curriculum. Chi non ce l’ha non è niente. Ho cercato e trovato persone intelligenti per fare questo lavoro. Ognuno ha lavorato, ha vissuto quel momento per dare il significato che volevano alla loro vita. Noi stranieri siamo emarginati, i giovani sono emarginati, le donne sono emarginate. Allora mi sono indirizzato verso questo tipo di persone. Soheila: Scegliere l’equipe equivale a scegliere gli attori del film. Tutte le persone che lavorano sono importantissime, tutte. È stato un lavoro in cui tutti hanno messo tutto quello che avevano: la passione, l’energia fisica, i materiali. Un’energia inaudita.. Credo che questo stare insieme, con l’équipe, l’energia trasmessa da loro giovani sia stato un dono. Capivo sguardo per sguardo, attimo per attimo … Ricordo tutte le vostre facce in vari momenti, come ci avete accompagnati e come siate stati il viaggio stesso, la strada stessa. Purtroppo in Italia non sono solo i rifugiati gli emarginati. Lo sono anche i giovani. C’è però una discontinuità devastante nella nostra situazione: non possiamo dare agli altri questa continuità. Si crea passione, energia, si dà il massimo. E poi?

Cinema


Slums of Mumbai, uno dei tanti in cui si ammassano gli sfollati interni.

Foto Marco Palladino - www.marcopalladino.net / www.fotobiettivo.it

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