




Dan Peterson
Umberto Zapelloni
La storia del basket in 50 ritratti illustrazioni di Fer Taboada
Publisher
Balthazar Pagani – BesideBooks
Fact checking
Massimo Perrone
Editing della nuova edizione e fact checking
Fabia Brustia
Graphic design
PEPE nymi
ISBN 979-12-221-0928-2
Nuova edizione aggiornata maggio 2025 ristampa 9876543210
anno 2029 2028 2027 2026 2025 © 2025 Carlo Gallucci editore srl - Roma
Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso BALTO print, Utenos g. 41B, Vilnius LT-08217, Lithuania
nel mese di aprile 2025
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A Laura, deus ex machina della famiglia, la mia Numero Uno.
A Cristina, l’architetto che ha colorato, arredato e restaurato la mia vita.
Usa (New York, 16 aprile 1947)
Quando è venuto al mondo era già un gigante. Ferdinand Lewis «Lew» Alcindor, come si chiamava prima di cambiare il proprio nome in Kareem Abdul-Jabbar, nel 1971, alla nascita pesava 6 chili ed era alto 57 centimetri. Il suo destino era scritto. Ma che diventasse il miglior realizzatore della storia Nba con 38.387 punti (24,6 di media in vent’anni di carriera) non era per nulla scontato. Un titolo che ha detenuto per quasi quarant’anni fino al 2023, quando il suo record è stato superato da LeBron James. Quando l’Ncaa si trova a vietare le schiacciate perché ne faceva troppe, lui si inventa un altro tiro immarcabile: il gancio cielo… partiva così in alto che nessuno è mai riuscito a stopparlo. Quella conclusione è diventata il suo marchio di fabbrica. Ha dominato a livello scolastico con la Power Memorial Academy e universitario con la mitica Ucla (record di 88-2 con tre titoli Ncaa in tre anni e quarantasette vittorie in fila). In Nba, prima con i Milwaukee Bucks (1969-75) e poi con i Los Angeles Lakers (1975-89), ha vinto sei titoli, è stato votato Mvp sei volte, primeggiando in diverse statistiche: percentuale di tiro, rimbalzi, stoppate. È stato molto più di un realizzatore. È stato un grande uomo squadra, perché era un passatore eccezionale. Anzi, forse il migliore fra i pivot di ogni epoca. Sapeva come muoversi contro ogni trappola, ogni raddoppio, ogni aiuto. Un mago.
Kareem Abdul-Jabbar è stato un atleta eccezionale. Solo Wilt Chamberlain, fra quelli oltre i 210 centimetri, può reggere il paragone. Aveva rapidità, velocità, coordinazione, elevazione, controllo del corpo e anche una notevole forza fisica. È stato, senz’altro, il lungo più elegante nei movimenti in tutta la storia del basket, un ballerino alto 218 centimetri. Poi, oltre a tutto questo, aveva una tecnica bellissima. Vederlo eseguire un palleggio, un passaggio, un gancio, un libero, un tiro in sospensione era una cosa da filmare: la tecnica in persona. Ma è anche una persona di grande intelligenza, laureato a Ucla con lode, un uomo a 360 gradi, bravo a parlare come a scrivere, un precursore del movimento Black Lives Matter.
Kareem non ha mai peccato di protagonismo. Ha sempre giocato bene con i compagni, esaltandoli ogni volta: Art Kenney alla Power; Mike Warren a Ucla; Oscar Robertson a Milwaukee; Magic Johnson a Los Angeles. La sua eleganza e la sua tecnica nascondevano un notevole spirito agonistico, quello di chi non vuole mai perdere. Infatti, nelle partite che contavano di più, ha sempre reso al massimo. Nessuno è stato meglio di lui.
Usa (Merced, 20 luglio 1975)
Ray Allen è stato, fino al 2021, quando il suo record è stato battuto da Steph Curry, il tiratore da tre punti per eccellenza. 2973 in diciotto anni di carriera, dal 1996 al 2014. Ma a essere impressionante è anche la percentuale, mostruosa, che ha mantenuto: 40 per cento su 7429 tiri tentati. Alla fine è arrivato a realizzare 24.505 punti, con una media di 18,9 a partita. I numeri però non dicono tutto di Candy Man, come era soprannominato per la sua eleganza. Era bello da vedere anche per gli avversari, ma allo stesso tempo letale. Ha vinto due titoli Nba, con i Boston Celtics (2008) e con i Miami Heat (2013), e ha conquistato tre ori con la maglia della nazionale: Universiadi del 1995; Olimpiadi del 2000; Campionati Americani nel 2003.
I suoi punti sono stati determinanti in tutte queste vittorie. Mai un canestro da tre è stato più importante di quello segnato contro San Antonio nel 2013, in gara 6, con Miami sotto 3-2 nella serie. Con quei tre punti ha portato la sfida al supplementare, dove gli Heat hanno poi vinto arrivando così a quella gara 7 in cui hanno conquistato il titolo. Per spiegare la grandezza di Allen basta un dato: ha giocato ben 171 partite di playoff in carriera.
È stato un giocatore determinante, un go-to guy, un killer nei momenti topici della gara, ma anche un atleta capace di giocare per la squadra, come ha dimostrato ai Celtics, con Paul Pierce e Kevin Garnett.
Ray Allen è stato protagonista anche in uno storico film sul basket, He Got Game, girato nel 1998 da Spike Lee. Allen, che all’epoca aveva ventitré anni ma sembrava ancora più giovane, faceva la parte di Jesus Shuttlesworth, un giocatore di high school voluto da tutte le università. Denzel Washington interpretava invece Jake, padre di Jesus ed ex galeotto. Secondo gli appassionati, è uno dei tre migliori film mai fatti sul basket, insieme a Hoosiers e Glory Road. Cos’ha fatto di Ray Allen un grande tiratore da tre? Due cose. Prima di tutto una tecnica stilisticamente perfetta, da filmare, da manuale. Poi, dettaglio forse ancora più importante, la rapidissima esecuzione del tiro. Ogni squadra cronometra il rilascio della palla. Ray Allen viaggiava attorno a cinquanta centesimi dalla ricezione all’uscita. Il record, giusto per far capire quanto fosse fulmineo, è di quarantacinque centesimi. Organizzare un gesto così complesso in mezzo secondo rende impossibile il lavoro della difesa, perché il tiro parte prima che il difensore possa alzare la mano per ostacolarlo. Un incubo per gli avversari.
Gre (Atene, 6 dicembre 1994)
Giannīs Antetokounmpo è conosciuto come il «Greek Freak», il Mostro Greco. Nato ad Atene da genitori nigeriani, Giannīs è davvero un prodigio in campo. Alto almeno 210 centimetri, con fisico longilineo (pesa solo 110 chili) ma forte, ha tutto: palleggia come un playmaker, tira da tre come una guardia alta, corre come un’ala piccola, prende rimbalzi come un’ala forte e fa stoppate come un pivot. È senz’altro il lungo più completo e più versatile nell’Nba di oggi, anche se la concorrenza non è male. È un fenomeno, lo certificano anche le sue vittorie: Mvp nelle stagioni 2018-19 e 201920 ed Mvp delle Finals nel 2021, ha guidato i Milwaukee Bucks al titolo sempre nel 2021. Gli manca solo una medaglia con la nazionale greca, ma ci sta lavorando. Per capire quanto è versatile, basta sapere che nella stagione 2016-17 è stato il primo giocatore a entrare nella top 20 nelle cinque categorie statistiche principali dell’Nba: punti, rimbalzi, assist, recuperi e stoppate! In più va aggiunto che sa anche difendere, e non solo perché ruba palloni o distribuisce stoppate. È stato scelto come migliore difensore dell’anno nel 2020. Certo, palle rubate e stoppate influiscono in questa scelta, ma conta anche quella che gli allenatori chiamano difesa petto-a-petto. Cioè, uno-contro-uno con gli aiuti difensivi. Insomma, Giannīs è davvero un giocatore a tutto tondo. Per di più è un uomo squadra, disposto a coinvolgere i compagni per vincere.
Non è stato facile, per Giannīs, arrivare dov’è adesso! Suo padre giocava a calcio in Nigeria e sua madre era una saltatrice in alto. Sono emigrati ad Atene, ma non trovavano lavoro. Per arrotondare gli incassi della famiglia, Giannīs e suo fratello andavano per le strade di Atene a vendere orologi, borse e occhiali da sole! Sulla loro storia hanno realizzato anche un film biografico, Rise, che in inglese vuol dire «sorgere», «sollevarsi». Giannīs è diventato cittadino greco solo il 9 maggio 2013, poco più di un mese prima del Draft Nba, dov’è stato la quindicesima scelta. Quando si vede un vero fenomeno come Giannīs, si cerca un paragone. In questo caso, non è possibile. Non c’è mai stata un’ala grande (il suo vero ruolo) come lui: con quella combinazione di altezza e atletismo, con quell’accoppiata di tecnica e versatilità. Fra le ali grandi, Tim Duncan, Kevin McHale e Dirk Nowitzki avevano l’altezza, ma non l’atletismo. Karl Malone e Charles Barkley non avevano l’altezza. Forse solo Kevin Garnett era paragonabile, anche se meno potente. Ma nessuno ha mai avuto tutto ciò che ha Giannīs: davvero un asso.
Li chiamano “i giganti del basket” ma non è necessario essere alti due metri per emergere prima sull’asfalto dei campetti, poi SUL parquet. Servono talento, velocità, precisione, doti atletiche e intelligenza, e soprattutto il desiderio di giocare per la squadra, portandola al successo.
Da Kareem Abdul-Jabbar a LeBron James, passando per Kobe Bryant, Magic Johnson e Michael Jordan, fino ad arrivare a giovani prodigi come Anthony Edwards e Victor Wembanyama. C’è tanta Nba e non potrebbe essere altrimenti, ma ci sono anche gli europei che l’hanno conquistata, gli allenatori che con le loro idee hanno scritto schemi e storie straordinarie, i talenti under 30 che hanno raggiunto risultati sorprendenti negli ultimi anni e due grandi giocatori italiani.
sorprendenti negli ultimi anni e due grandi giocatori italiani. per
La storia del basket vista attraverso 50 brillanti ritratti, scritti da Dan Peterson con Umberto Zapelloni e illustrati da Fer Taboada.
Coach, è
forse l’americano più noto d’Italia. Allenatore portentoso della Vir-
tus Bologna e dell’Olimpia Milano, con le quali ha vinto tra il 1973 e il 1987 cinque scudetti, due coppe europee e tre Coppa Italia, è l’uomo che ha inventato il basket moderno in Europa.
passi nel mondo del giornalismo a “Superbasket” ha cominciato la sua carriera a “il Giornale” per poi diventare responsabile della redazione sportiva del “Corriere della Sera” e vicedirettore de “La Gazzetta dello Sport”. Attualmente è responsabile dell’inserto sportivo de “il Foglio”, scrive su “il Giornale” e collabora con Sky e Mediaset. Ha scritto anche La storia della Formula 1 in 50 ritratti e La storia della Ferrari in 50 ritratti. gli