Io dico

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Con un ricordo di Jeffery Deaver e un omaggio di Massimo Cotto

gioRGIO fAlETti

dIco

A cura di Roberta Bellesini Faletti e

Chiara Buratti

“GIORGIO FALETTI VOLEVA BENE ALLE PAROLE.

E NE AVEVA STIMA: SI RENDEVA CONTO DELLA LORO IMPORTANZA. LORO, LE PAROLE, LO SAPEVANO. E RICAMBIAVANO.

SI METTEVANO ELEGANTI, BRILLAVANO

E DANZAVANO NELLE PAGINE” bEppE sEVErgniNi

Sounds

good!

Giorgio Faletti

Io dico

a cura di Roberta Bellesini Faletti e Chiara Buratti

ISBN 979-12-221-1091-2

Prima edizione novembre 2025

ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0

anno 2029 2028 2027 2026 2025

© 2025 Carlo Gallucci editore srl - Roma

Per i testi e le citazioni © 2014 Eredi di Giorgio Faletti

Per la curatela © 2025 Roberta Bellesini Faletti e Chiara Buratti

Edizione pubblicata in accordo con Piergiorgio Nicolazzini Literary Agency (PNLA)

Le foto pubblicate all’inizio di ogni capitolo e nel capitolo Io scrivo provengono dall’album di famiglia di Giorgio Faletti. La foto del capitolo La nebbia sottile è di repertorio, quella del capitolo Come fosse la musica un sogno ed io il suo strumento è di Paola Malfatto.

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Giorgio Faletti

Io dico

a cura di Roberta Bellesini Faletti e Chiara Buratti

con un ricordo di Jeffery Deaver e un omaggio di Massimo Cotto

Giorgio, mille vite più una: la sua di Roberta Bellesini Faletti

Il grimaldello per scardinare la porta ed entrare nella vita di Giorgio va cercato nella sua casa natale: una casa di ringhiera in periferia, immersa in una vita di provincia. Figlio di un ambulante e di una sarta, è cresciuto in un ambiente segnato dalla convinzione che da una vita mediocre non ci si potesse affrancare.

Quell’atmosfera di rassegnazione, che Giorgio ha cominciato a percepire nell’adolescenza, aleggiava ogni giorno, insinuandosi nei gesti e nei discorsi familiari. È stato allora che è nato in lui un desiderio profondo di ribellione, la volontà di liberarsi da quel senso di inadeguatezza che gli pesava addosso. Eppure, proprio dalle stesse atmosfere ha preso forma il seme della sua comicità: molti dei suoi personaggi più celebri nascevano da quella cultura contadina e 5

provinciale, trasformata in materia viva di racconto e di sorriso.

Sono stati proprio quei personaggi il suo trampolino di lancio, dopo gli anni di gavetta al Derby Club di Milano, fino alla consacrazione nella storica trasmissione Drive In. Lì la creatività di Giorgio ha raggiunto l’apice, e lui ha trovato il suo posto nella storia della comicità italiana.

Ma tra tutti gli ambiti artistici, la musica era il luogo in cui si spogliava della pelle e dei pudori. Non temeva di mettere a nudo le proprie fragilità e le inquietudini. E in quella verità ha lasciato un segno indelebile nella musica italiana, con Signor tenente e le collaborazioni con artisti del calibro di Mina, Milva, Gigliola Cinquetti, Angelo Branduardi e molti altri.

Poi è venuta la meravigliosa avventura letteraria, un capitolo che è già storia. Anzi, “larger than life”, come lo ha definito Jeffery Deaver, provocando a Giorgio quasi un infarto per l’emozione di sentirsi descritto così da uno dei suoi miti letterari.

Giorgio amava spiegare la differenza tra i vari ambiti di scrittura con una metafora sportiva: scrivere una canzone o un pezzo comico, diceva, è come essere uno sprinter, si brucia tutto in pochi minuti. Un ro-

manzo, invece, richiede la resistenza di un maratoneta: è analisi, non sintesi.

Sia di uno sketch sia di una canzone la gente ricorderà solo due battute. Il problema è che tu non sai quali sono. Ed è per questo che curi ogni parola con attenzione diversa: perché ognuna può essere quella che dà l’impronta al pezzo. Lo sketch deve chiudersi lasciando alla gente la voglia di rivederti. La canzone deve spingerli a risentirla subito. Il romanzo, invece, deve farti girare la pagina per scoprire cosa succede dopo. Questo cambia il passo, ma soprattutto il linguaggio.

Dal palcoscenico alle cene tra amici, non passava giorno senza che il suo sguardo attento sul mondo si traducesse in una battuta fulminante o in una riflessione sul senso della vita e sull’importanza delle relazioni umane.

In fondo, tutte le mille facce artistiche di Giorgio nascevano da un’unica esigenza: raccontare e raccontarsi. Che l’ascoltatore fosse un bambino, una tavolata di amici o una platea teatrale, poco importava. Aveva un carattere adolescente, curioso: aveva bisogno di esplorare, di sentirsi sempre un esordiente. Quando

capiva che in un ambito artistico aveva dato tutto, doveva cercare nuovi stimoli.

La sua bravura e il suo coraggio nel rimettersi continuamente in gioco sono stati il motore della sua versatilità e della sua capacità di reinventarsi con successo in campi sempre diversi. Passando dal cabaret alla televisione, tuffandosi con un doppio carpiato nella musica e nella letteratura, Giorgio ha solcato strade differenti per approdare attraverso forme diverse in ogni casa italiana.

E lo ha fatto divertendo, commuovendo e affascinando generazioni, comprese le più giovani, che lo hanno scoperto anche attraverso il cinema, nella sua memorabile interpretazione in Notte prima degli esami.

Molti lo hanno definito un artista poliedrico, eclettico. Ma forse Giorgio era, più semplicemente, un uomo che ha morso la vita con la voracità di chi non si sente mai arrivato, mai al traguardo. Un funambolo, in equilibrio costante tra l’insicurezza, l’entusiasmo e l’emozione per gli applausi.

Una chiave di lettura per trovare un posto nel mondo di Chiara Buratti

Quando penso a Giorgio mi arriva addosso il profumo di bergamotto con cui spesso condiva i suoi piatti.

L’azzurro del suo sguardo.

La “o” chiusa, piemontese, con cui pronunciava le parole.

E il suono della sua risata. Che iniziava sempre un attimo prima o un attimo dopo quella di Massimo (Cotto).

Avevano toni diversi, le loro risate. Massimo si lasciava andare a un suono acuto, lungo, alto, come lui. Giorgio era più baritonale, più scavato. Ma erano inconfondibili. Un suono unico. Asincrono. Così sbagliato ma così perfetto.

Giorgio è stato il fratello mancato di Massimo.

Anzi, no, il fratello acquisito.

Lui ci ha fatto avvicinare all’essenza delle cose belle. L’amicizia. La risata. Il tempo condiviso.

Massimo diceva sempre: “Quando devo mangiare, mangio con persone con cui sto bene. Altrimenti mangio da solo”. Ecco, Giorgio era il suo compagno di cena preferito. Quello era il loro spazio per il gioco, per la creazione, per l’autenticità. Che, a pensarci bene, sono la stessa cosa.

Durante le loro cene hanno scritto assieme uno spettacolo teatrale che vedeva Giorgio in veste di attore e cantautore, Massimo di regista.

Massimo ha invitato Giorgio a comporre il seguito di Signor tenente. E lui ci ha messo quattro minuti a scriverlo quel testo, sopra un tovagliolo. Canzone che non ha mai pubblicato, ma che era bellissima. Fidatevi, perché quel quadrato di carta non esiste più.

Durante le cene Giorgio cantava i versi di nuove canzoni che aveva composto nel pomeriggio. E chiedeva a Massimo: «Ti piace questo verso?»

Ogni tanto lui gli rispondeva: «No».

E Giorgio: «Vabbè, lo tengo lo stesso».

Insomma, erano spassosissimi assieme. E inseparabili. Non potevamo non dedicare un libro a Gior-

gio in questa collana, Sounds good!, ideata da Massimo.

A me Giorgio ha fatto un grande regalo. Dopo avermi visto una sera recitare a teatro, mi ha donato una chiave di lettura per trovare un posto nel mondo.

Ha scritto per me uno spettacolo teatrale, L’ultimo giorno di sole.

Ci ha impiegato sei mesi. Sei mesi in cui si è messo da parte. Ha messo da parte progetti e scadenze.

Una sorta di diario dell’attaccamento alla morte e dell’attaccamento alla vita. L’ho capito molto tempo dopo, ma la protagonista che mi ha fatto interpretare rappresentava, esattamente, la donna che avrei voluto diventare io da grande.

Il libro che state per leggere è Giorgio. In tutta la sua bellezza e complessità.

È nebbia e ombra, è specchio e spicchio. Ironia e scintilla. Sole e neve.

Ora sta a voi capire qual è la vostra stagione.

Un

uomo rinascimentale dei giorni nostri

È davvero difficile per me scegliere tra i ricordi preferiti che conservo del mio amico Giorgio. Ho avuto l’immensa fortuna di trascorrere del tempo con lui in diverse occasioni, sia personali che professionali, spesso insieme alla cara Roberta, e custodisco gelosamente quei momenti.

Per me Giorgio era un uomo rinascimentale dei giorni nostri. Non solo era un grande attore e comico, ma anche un cantante eccezionale. Mi sono esibito con lui sul palco durante un evento vicino Roma e sono stato contento che fosse lui il frontman, dato che come cantante non me la cavo granché bene!

Non so se la gente sa che, oltre ad avere tutti questi talenti, Giorgio era anche un artista. Una volta, nel

corso di un incontro, l’ho visto scarabocchiare su un blocco e mi sono chiesto cosa stesse disegnando: è venuto fuori che stava realizzando un mio ritratto! Un ritratto perfetto, intitolato Il padre di Lincoln Rhyme, in omaggio al mio Il collezionista di ossa.

Poi c’era la scrittura. Come autore di thriller, ho un debole per i romanzi crime e devo dire che ne ho letti moltissimi, specialmente quelli che riguardano serial killer e cose simili. Io uccido è un capolavoro. Persino io, leggendolo, ho provato un autentico terrore – e ricordate che mi guadagno da vivere spaventando la gente. Mi ha molto commosso sapere da Giorgio che ero stato una delle sue fonti di ispirazione per quel libro.

Forse il mio ricordo più caro è quello di una serata trascorsa nel suo appartamento, a cena con lui e Roberta, durante la quale noi due abbiamo chiacchierato di un’altra nostra passione: la cucina. Abbiamo deciso di proporre a un editore l’idea di un libro di ricette. Io avrei scritto le ricette italiane e lui quelle americane. Era un’idea meravigliosa, che purtroppo non siamo riusciti a realizzare prima della sua scomparsa. Eppure quel progetto rimane con me, come tante altre cose, come un piacevole ricordo di quest’uomo straordinario.

Aspetto fiducioso che tutti se ne accorgano di Massimo Cotto

Il 25 novembre del 1950 nasce Giorgio Faletti, astigiano divertente dall’animo malinconico, splendido scrittore di canzoni che tiene nel cassetto e che forse un giorno si deciderà a pubblicare, tra un romanzo di successo e un altro.

Faletti è chansonnier nell’animo, ha la Francia di Brel dentro e la capacità davvero rara di essere giocoliere di parole sia nella forma breve del verso canzonettaro che nel libro di biblica lunghezza.

Quando scrive: “E ogni volta che sa di vaniglia / il vento caldo dell’est / si fa salnitro sui muri sbrecciati / sui sassi di Brest” agisce a due livelli: quello immediato e conciso dell’immagine che si fa lampo, e quello evocativo delle parole che si fanno valanga e precipitano

a valle, trascinandosi dietro il peso di tutti i mondi di riferimento.

Nonostante il passato da comico, Faletti non è interessato alla risata in musica, semmai al sorriso strappato, come sipario che si squarcia per far vedere gli attori non ancora pronti, perché è in quegli attimi che si coglie l’umanità, la stoffa sotto l’abito da scena. Attentissimo ai particolari, è da quelli che fa nascere la canzone. I suoi personaggi sono strambi come lune storte: sono donne che volevano essere marinaio, non marinai che cercano in ogni porto le loro donne.

Non cerca la poesia a tutti i costi: se l’uomo di Prévert aveva in mano tre fiammiferi, l’assassino di Faletti ha davanti tre sigarette. Però la commozione nasce egualmente, spontanea come fonte dalla roccia.

È uno dei più grandi autori di testi di canzoni degli ultimi vent’anni.

Aspetto fiducioso che tutti se ne accorgano.

Ai ricordi basta un nulla per riaffiorare

L’epitaffio che vorrei sulla mia tomba: “Qui giace Giorgio Faletti, morto a 17 anni”

Intervista video presso Casa Italiana Zerilli Marimò – New York

Mio padre.

È lui che mi ha insegnato a giocare a biliardo. Con il tempo sono diventato abbastanza bravo. Così, ogni tanto, mi faccio prendere dall’euforia e lo sfido.

E lui accetta sempre la sfida.

Ogni volta, mentre giochiamo, ha scritte negli occhi le regole del biliardo e della vita. Nessuna facilitazione, nessuna concessione, nessuno sconto. Tutti gli insegnamenti, tutto l’aiuto possibile, tutto l’affetto del mondo, ma la vittoria è una cosa che va conqui-

stata, non ricevuta in dono. Con mio padre non ho mai vinto.

spettacolo di musica e monologhi Da quando a ora in scena

Per me il successo rappresenta una specie di riscatto. La dimostrazione, a me stesso e ai miei genitori, che si può riuscire nella vita. La mia era una famiglia umile, i miei erano venditori ambulanti. A casa aleggiava sempre un senso di sconfitta. La frase classica era “ah, ma noi non siamo capaci”, sembrava che a noi dovessero essere negate le cose che agli altri erano possibili. Mia madre ha sempre avuto un complesso di inferiorità che ha pesato sul suo modo di affrontare la vita. A me quel modo di fare provocava rabbia: cosa avevamo, noi, meno degli altri?

“Psychologies Magazine”, 4 aprile 2006

Le chiese mi hanno sempre fatto paura. Credo che sia un retaggio dell’infanzia. Ero bambina e mia madre mi portava in chiesa e come entravo trac! La figura di san Sebastiano trafitto dalle frecce, la testa di san Giovanni Battista su un piatto, quello sulla

graticola, quell’altro spellato vivo, quell’altro ancora sbranato dai leoni. Poi andavamo a casa e mia madre mi raccontava la fiaba di Cappuccetto Rosso.

«E il lupo mangiò la nonna e si mise a letto con la sua cuffietta e la sua camicia da notte»

«Che occhi grandi che hai»

«Per vederti meglio»

«Che orecchie grandi che hai»

«Per sentirti meglio»

«Che bocca grande che hai»

«Per mangiarti meglio»

«Mamma, me la sto facendo addosso dalla paura!»

«Ma no stai tranquilla, perché poi arriva il cacciatore, uccide il lupo, gli taglia la pancia e tira fuori la nonna».

L’ultimo giorno di sole

Consegnare a una pagina quelle confidenze legate al mio ictus significherà liberarmene una volta per tutte. Sarà come appendere una carta moschicida che invece di imprigionare gli insetti blocca i brutti ricordi.

frase pronunciata durante la presentazione del libro Da quando a ora, 2012

Stampato e fabbricato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Grafica Veneta spa (Trebaseleghe, PD) nel mese di ottobre 2025 con un processo di stampa e rilegatura certificato 100% carbon neutral in accordo con PAS 2060 BSI

gioRGIO fAlETti

(Asti, 1950 - Torino, 2014) ha esordito in televisione nel 1979 e ne è diventato uno dei protagonisti per i successivi decenni grazie ai suoi personaggi e a programmi come Drive In, Fantastico e Striscia la notizia. Grande appassionato di musica, è stato un acclamato cantante e autore. Con la sua Signor tenente ha vinto il Premio della critica al Festival di Sanremo del 1994, dove si è classificato secondo. Nel 2002 ha pubblicato il suo primo thriller Io uccido, che ha venduto oltre cinque milioni di copie solo in Italia ed è stato tradotto in più di trenta Paesi nel mondo. Con i successivi romanzi e raccolte di racconti si è poi confermato un fenomeno letterario italiano e internazionale. Faletti è stato anche un attore di teatro e di cinema, celebre per il ruolo del severo professore nel film Notte prima degli esami (2006).

Immagine di copertina: © Paola Malfatto

Art Director: Stefano Rossetti

Graphic Designer: Davide Canesi / PEPE nymi

“ s c R ivend O cO s e dA Ride R e h O imp A RA t O

A cO n O s ce R e lA m A l inc O n i A , s c R ivend O R O m A n zi

h O imp A RA t O A cO n O s ce R e lA vit A ,

d i pin G e nd O quAd R i h O imp A RA t O A cO n O s ce R e lA l u ce e il cO l O R e , s c R ivend O cA n z O n i

h O imp A RA t O A cO n O s ce R e m e s t ess O ”

Scrittore, attore, sceneggiatore, comico, autore di canzoni per grandi interpreti come Mina, Angelo Branduardi e Milva, Giorgio Faletti è stato uno degli intellettuali più poliedrici e di maggior successo degli ultimi decenni. Ironico, ambizioso, melanconico, mai banale: Io dico ce lo restituisce attraverso la sua stessa voce con testi poetici inediti e aforismi fulminanti scelti da chi lo ha conosciuto, e amato, più di chiunque altro.

“ nO n s O l O GRA n de A t t O R e e c O m ic O , m A A n che

A R t I s t A , c A n t A nte eccezi O n A le e sc R IttoRe

d I c A p O l A vORI. Gi O RG i O pe R me e R A un u O m O

R in A s ciment A l e dei G i O R n i n O s t R i”

Jeffery Deaver

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