IL CANNOCCHIALE n.2 - Maggio 22

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Giornale del Liceo Scientifico "G. Galilei" di Lanciano - n.2 - maggio 2022

Liceo Scientifico“Galileo Galilei”- Lanciano Il giornalino degli studenti ® Anno Scolastico 2021/2022


Redattori:

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Benedetta Kamberaj Chiara Carlini Cristiana Di Matteo Debora D’angelo Giorgia Azzarà Giovanni Mubake Jessica Di Sciullo Libera Simone Lorenza Sauro Luna Marchetti Marco Cavallo Cristina D’orisio Maria Di Camillo Marika Morabito Mario Nicoló Cicchetti Marta Caporrella Martina Ciancetta Matteo Colacioppo Nicola Di Rado Nicole Gaeta Renata Trivilino Rossella Cefaratti Sarà Di Marcangelo Solima Nasuti Tommaso D’angelo Valentino Stampone

Andrea Ferrara 5G

Progetto grafico: Marco D’Addario, Luigi Impicciatore.

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SOMMARIO DI PACE E DI GUERRA SARA DI MARCANGELO 1C Dorogaya mat’. Cara madre. LORENZA SAURO, ALESSIA VITALE, SAMUELE ROMAGNOLI 3E ucraini LEONARDO CARULLI 5D L’importanza di essere morali

Intervista ai nostri ragazzi

LICEALI E SCIENZA MARIKA MORABITO, MARCO D’ADDARIO 5F Manifesto di Einstein-Russell : parte seconda GIUSY CIPOLLONE 5G Gli occhiali di Rosalind PERIPATETICA (riflessioni e pensieri) GIORGIA MENNA 5H Premio Raiano 2022. Le origini: nutrimento per la nostra identità ROSSELLA CEFARATTI 5F Pizza con l’ananas GLI ESPERTI AL GALILEI: incontri e seminari con esperti esterni. MARTINA CIANCETTA, CHIARA CARLINI 5D Una “non intervista” a Maria Rosaria La Morgia MARIA LETIZIA LOMBARDI 4A Latino, scuola e società AI NOSTRI MICROFONI (interviste) ROSSELLA CEFARATTI- MARCO D’ADDARIO 5F I ragazzi della Penny Wirton GIORNI SPECIALI MARIO NICCOLO’ CICCHETTI, GIORGIA AZZARA’ 1B Il Cambridge day SARA DI MARCANGELO 1C Gita a Paestum e Salerno PROVE DI CITTADINANZA PIETRO DEL BELLO 2I La Costituzione Italiana GIUSEPPE STANISCIA 2I I principi fondamentali MATTIA PASQUARELLI 2I Pace, diritto dei popoli DIMITRI VOLPE 2D La democrazia perfettibile C.L.I.L – “Cronache libere in Lingua” GLI ALUNNI DELLA 3C Bob Dylan: Master of Peace and Prophet of war. PAGINE SU PAGINE (recensioni) MARIKA MORABITO 5F Premio Asimov: La malattia da 10 centesimi FRANCESCO VALENTINI 2D La strada CHRISTIAN MUCCI 2D Norvegian Wood. RUBRICHE BASTIAN CONTRARI RENATA TRIVILINO 2D Cara Presidenza del Consiglio A TEMPO PERSO… CRISTIANA DI MATTEO 4A CRUCIVERBA

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Dorogaya mat’…Cara madre… Sara Di Marcangelo 1C

Dorogaya mat’, questa mattina mi sono svegliato accarezzato dalla frizzante brezza mattutina che mi solleticava le guance. Le palpebre appesantite dalla stanchezza e dal freddo mi impedivano di vedere correttamente, rendendo il mondo attorno a me poco chiaro. Mi sono stropicciato gli occhi e ho tentato di scaldarmi il naso ghiacciato con le mani altrettanto congelate. Mi sono alzato e ho camminato per qualche metro, con la speranza di riuscire a svegliare le gambeintorpidite. Ho incontrato Ivan: anche lui si era appena svegliato, poiché il freddo pungente dell’inverno gli aveva reso il riposo difficile. Abbiamo iniziato a discorrere riguardo il motivo della situazione poco chiara nella quale ci troviamo. Màma, questa mattina mi sono svegliato pensando a te e alle mie due sorelle Galina e Katioska... ho guardato la campagna e per un attimo ho creduto di vedere le bambine giocare a palla per i prati; tu, invece, le osservavi guardinga all’ombra di un albero mentre cucivi per loro dei maglioni all’uncinetto, proprio come sei sempre stata solita fare durante l’inverno, perché come dici tu, i vestiti per ripararsi dal freddo non sono mai abbastanza... il freddo ti penetra nella pelle, ti affetta la carne come fanno mille piccoli coltelli e ti corrode le ossa. Vedi màma, non ho mai creduto fino in fondo a questa storia, ma ora comprendo. Adesso rimpiango il passato, il mio letto caldo, i tuoi morbidi maglioni di cui vai tanto fiera. Ora non ho che una misera giacca di tessuto per difendermi da quell’esercito di piccoli coltelli che gli altri chiamano inverno.

Ogni notte che passo con l’unica compagnia della luna e delle stelle temo di addormentarmi per non svegliarmi più, assiderato a causa della temperatura. Ma tu màma, non devi preoccuparti per me, di preoccupazioni nella vita ne hai avute fin troppe, a partire dalla malattia del mio piccolo fratellino, fino a quella del mio rispettabile padre. Io ti ammiro màma. Ho sempre desiderato per me il tuo coraggio, la tua tenacia, la tua capacità di affrontare le avversità con una postura eretta ed il mento verso l’alto, ho sempre apprezzato il tuo atteggiamento di sfida alla vita che ti contraddistingue e ti rende unica. Da bambino pensavo che fossi una specie di supereroe, non ti abbattevi mai e mai mostravi le tue debolezze, tanto che pensavo che non ne avessi. Ma da quando sono stato chiamato a far parte dell’esercito, ho compreso che anche tu sei un’umana, specie da quanto ti ho vista piangere silenziosamente in cucina, mischiando le tue lacrime con il sapone per i piatti. Màma sai anche tu che, sebbene io sia appena diventato maggiorenne, non sarei potuto venire meno ai miei doveri di cittadino, in particolar modo per l’Operazione militare speciale, altrimenti il mio onore sarebbe stato perduto in patria. Certo è che se avessi saputo che non si trattava di una semplice esercitazione come dicono, avrei avuto modo di prepararmi diversamente e forse, mi illudo, che avrei potuto scegliere un destino diverso! I generali insistono nel dire che si tratta semplicemente di una preparazione militare atipica, eppure gli uomini muoiono davvero, i proiettili fendono la carne e fanno male, la paura è tangibile, il calore delle bombe è bruciante. Ogni giorno mi trovo a combattere contro un esercito di civili, maggiormente composto da ragazzi come me o poco più grandi ed è evidente màma che non hanno avuto tempo per imparare l’arte della guerra. Alle volte quando mi trovo sul campo di battaglia mi viene voglia di deporre la mia arma e di lottare a favore di qualcosa per cui davvero vale la pena spendere la vita: la pace.

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Nel campo vige una sola regola: combatti o vieni sopraffatto. Màma tu sai quanto io tenga alla vita, a quella cui sono abituato a vivere, quella con voi, caratterizzata da risate, lacrime, sorrisi e dispiaceri ed è a questo màma che mi aggrappo ogni giorno per sopravvivere. Io lotto, ma il mio domani è incerto. Ieri però, in questa quotidianità distopica, si è fatto strada uno sprazzo di normalità che mi ha fatto riassaporare la fragranza della mia vita passata. Mentre perlustravamo il magazzino abbandonato nel quale avremmo potuto trovare rifugio, Nikolai ha scovato una vecchia radio e, grazie alle sue spiccate doti, è riuscita a metterla in funzione. Così ieri tutto l’edificio rimbombava di quell’improvvisato concerto di musica rock di fortuna e delle nostre voci stonate. A nessuno interessava che canzone il programma stesse trasmettendo... eravamo semplicemente grati per quella piccola opportunità di evasione dalla terrificante realtà. Mentre cantavamo è riaffiorato in me il ricordo di quando alzavo il volume della musica che ascoltavo in maniera esagerata, tanto da far tremare le pareti della mia camera e tu màma fingevi maldestramente di arrabbiarti, abbozzavi un rimprovero, ma poi finivi col ballare con me movenze scatenate e liberatorie. Màma, non ho più tempo... bisogna combattere... màma, mentre io ti scrivo ognuno corre ad imbracciare il proprio fucile e si prepara all’ignoto... Màma...Màma, qualsiasi cosa accada, fa in modo che Galina e Katioska abbiano un futuro migliore, fa che studino e fa in modo che coltivino sempre le loro passioni. Dorogaya mat’, sono sicuro che in un modo o nell’altro, in un futuro più o meno prossimo, ci incontreremo di nuovo e nell’attesa, prenditi cura di te. Dimitri

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Intervista ai nostri ragazzi ucraini Lorenza Sauro, Alessia Vitale, Samuele Romagnoli 3E

Venerdì 29 aprile 2022, noi ragazzi abbiamo avuto la possibilità di intervistare i tre ragazzini ucraini arrivati da poco qui nella nostra scuola. Più che un’intervista, quella che abbiamo portato a termine è definibile più come una bella chiacchierata tra coetanei, un confronto significativo che si è incentrato specialmente sulle sensazioni dei nostri interlocutori riguardo la nuova realtà in cui si sono imbattuti. Parliamo di ragazzi come tutti noi, “au paire”, che in meno di un'ora ci hanno davvero permesso di realizzare quanto, in verità, noi tutti siamo fortunati a vivere nel bel paese, attualmente non soggetto a conflitti armati, e di diventare consapevoli dell'immensa bellezza dalla quale siamo circondati: il mare, i trabocchi, il cibo nostrano, le chiese e le piazze, specialmente Piazza Plebiscito con la sua basilica, i monumenti storici, il saluto costante e sorridente che si dona a tutti; questi, elementi caratteristici del nostro territorio indicati, dunque, proprio per questo, dai nostri compagni come ciò che li ha colpiti di più, ci permettono di notare come i rapporti umani, in realtà, cambino da una parte all'altra del mondo. È facile, dunque, notare come, essendo cresciuti in circostanze favorevoli, circondati da benessere e piaceri sociali, non ci accorgiamo totalmente del vero valore di ciò che abbiamo, della meraviglia che possediamo. Ovviamente le grandi bellezze non sono caratteristiche esclusivamente del nostro paese ma anche dell'estero: per quanto riguarda l’Ucraina, essa può vantare chiese e cattedrali maestose che, purtroppo, rischiano in ogni istante di non esserci più. Abbiamo discusso del fatto che nel loro paese natale, la regione del Donbass, la guerra è sempre stata presente, al contrario della realtà nella quale noi viviamo ed in cui abbiamo la fortuna di venire incontro a tali situazioni belliche sui libri di storia: ci limitiamo ad ascoltare ciò accade, tentando di trasmettere empatia e solidarietà a coloro che riteniamo gli "sfortunati" solo, però, inizialmente, durante l'ascolto del telegiornale e tornando, poco dopo, come fosse stato quasi

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Non bisogna, però, trattare tali ragazzi come estranei, quasi degli "alieni" solo perché hanno attraversato momenti e situazioni ovviamente, qui, non comuni: è stato imbarazzante il momento nel quale i nostri interlocutori hanno espresso il loro disagio quando, appena arrivati qui a scuola, sono stati accolti, con dei fragorosi e, forse, anche esagerati applausi, al fine di farli sentire quasi degli eroi. In realtà, non si è fatto altro che innalzare ancora di più la barriera che li divideva dagli altri rendendoli i "forestieri" invece che semplici adolescenti come noi che praticavano uno sport, uscivano con i propri amici e coltivavano degli hobby. È qui che dobbiamo fermarci al fine di riflettere e comprendere che l'obiettivo non deve essere quello di mostrare alle persone esterne che come realtà scolastica si è empatici nei confronti della situazione ucraina materialmente, ma facendo sentire questi ragazzi davvero a casa nei piccoli gesti quotidiani, aiutandoli a non pensare più al caos dal quale sono fuggiti e facendoli sentire finalmente a loro agio. L’atteggiamento di “estremo buonismo” da parte di molti non è stato, dunque, molto apprezzato: non sono necessari dei cartelloni il cui colore è lo stesso della bandiera ucraina e frasi motivazionali per far sentire i nostri coetanei a casa; un sorriso amico e una parola scambiata di tanto in tanto, sicuramente saranno più utili e permetteranno loro di considerarsi semplicemente dei ragazzi e non solo “gli ucraini”.


L’importanza di essere morali Leonardo Carulli 5D Ancor più che fuori, le cause della guerra sono dentro di noi. Sono in passioni come il desiderio, la paura, l’insicurezza, l’ingordigia, l’orgoglio, la vanità. Lentamente bisogna liberarsene. Dobbiamo cambiare atteggiamento. Cominciamo a prendere le decisioni che ci riguardano e che riguardano gli altri sulla base di più moralità e meno interesse. Facciamo più quello che è giusto, invece di ciò che ci conviene. Educhiamo i nostri figli ad essere onesti, non furbi. Tiziano Terzani, Lettere contro la guerra Una costante imprescindibile Quante volte guardando indietro nella storia vediamo solo guerre? Sembra una caratteristica fondamentale del genere umano. Ce n’è una per ogni secolo, epoca, stagione e luogo. Almeno una per ogni capitolo del nostro passato. E spesso dimentichiamo quanto sia tristemente ancora attuale. A volte crediamo di aver raggiunto il momento in cui tutti abbiamo capito che combattere e uccidersi è solo una grande contraddizione. Ma il presente puntualmente ci smentisce. E noi rimaniamo impotenti ad osservare come chi ha potere continui a combattere, continui ad uccidere. Dice bene il giornalista e scrittore Tiziano Terziani in Lettere contro la guerra: “Le cause della guerra sono dentro di noi”. Dobbiamo imparare a comprendere come solo attraverso l’empatia, la giustizia e la moralità possiamo costruire un mondo sereno, senza contrasti. Contrasti che ci tormentano sin dal principio. L’origine della belligeranza Non esiste storia senza guerra. Qualsiasi narrazione, veritiera o fantasiosa che sia, racconti l’origine di una civiltà, inizia con la violenza. E così abbiamo Zeus che uccide il padre Kronos per sopravvivere, i troiani guidati da Enea che combattono contro i rutuli per insediarsi, Romolo che uccide Remo, Orazi e Curiazi che si scontrano per la supremazia. Lo scontro è dentro di noi, caratterizza le radici più profonde della nostra essenza. Sappiamo che con la forza tutto è possibile. Non a caso la più grande civiltà di tutti i tempi, Roma, fu anche una tra le più belligeranti nella storia: il numero delle battaglie vinte dai romani rimane uno dei più alti di tutti i tempi, anche 1600 anni dopo.

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Le cause profonde Ma ora come non mai è necessario chiedersi: perché continuiamo a combattere? Quali sono le vere ragioni di questi massacri? Ovviamente di natura economica. Se dal principio della storia abbiamo compreso come assumere atteggiamenti vessatori sia il modo più semplice ed efficace per raggiungere i nostri fini, tutti li adottano, anche se nessuno vuole ammetterlo. Uccidere per il potere, per il denaro, per il controllo economico non è giustificabile, mentre farlo per la sicurezza, per un ideale o per un futuro lo è. Ed è per questo che si cerca sempre di legittimare una politica estera aggressiva con motivi più importanti del vile profitto. Ne abbiamo illimitati esempi: la guerra attuale in Ucraina, i continui bombardamenti americani nel medio oriente, la guerra in Vietnam. Ma anche 2000 anni fa si utilizzavano gli stessi stratagemmi. Ce lo racconta Tacito, nel celebre discorso di Calgaco, contenuto nell’ “Agricola”, dove il comandante dei caledoni, per denunciare l’ipocrisia dei romani, pronuncia la celeberrima frase “fanno il deserto e lo chiamano pace”. Un momento necessario? Però, secondo la dialettica del filosofo idealista tedesco Hegel, c’è speranza. Il divenire per lui è regolato da una legge chiara e ripetitiva: dopo il primo momento positivo, la Tesi, segue sempre un momento di lotta e negazione, l’Antitesi, che presuppone a sua volta un terzo momento, la Sintesi, nel quale si torna alla tranquillità iniziale. E se questo passaggio è dialetticamente ed ontologicamente obbligato, dobbiamo sforzarci di andare avanti, di scorgere quella luce in fondo al tunnel che fatica ad arrivare. A nulla sono serviti i movimenti pacifisti degli anni ‘70 del secolo scorso, a nulla sono valsi gli sforzi di intere generazioni che inneggiavano alla pace. La guerra si ripresenta, puntuale, e distrugge case, vite e speranze. Questo meccanismo, però, dovrà finire. Arriverà quell’istante in cui finalmente faremo ciò che è giusto, non ciò che è facile. E questo deve partire da noi.


Tutti dobbiamo capire che non esiste un solo motivo valido per uccidere, non sussistono ragioni per cui prevalere sull’altro è giustificato. Solo così potremo andare avanti. L’abominevole attualità Sembra assurdo che dopo millenni disseminati di guerre, dopo tragedie immani consumate nel corso della storia, dopo vicende che hanno segnato irreversibilmente la nostra memoria con le loro nefandezze, si possa fare riferimento all’attualità per parlare di questo argomento. La guerra continua, e con lei continuano i bombardamenti, le ingiustizie e le violenze. Ma ciò che colpisce di più sono le storie, sono gli episodi dei singoli che ci fanno comprendere meglio la brutalità della situazione. Vicende che fanno rabbrividire, che ci fanno tornare con il cuore pieno di paura al passato. Ma anche in questo caso, possiamo solo sperare che la situazione

Cristina Arezzo 3G

riesca a risolversi il prima possibile, sperare che la vita di milioni di persone prevalga sugli interessi economici, perché non tutto quello che conta si può contare. NO ALLA GUERRA Insomma, questo è un problema di cui difficilmente potremmo liberarci presto, ma che è nostro dovere combattere. Non dobbiamo abbatterci, non dobbiamo pensare che un mondo in pace sia una visione utopistica, o che la tranquillità possa essere soltanto un’effimera illusione. Non bisogna arrendersi ad un futuro prestabilito, ma alzare la propria voce per modificarlo e ricostruirlo su basi solide, di pace e fratellanza tra gli uomini. NO ALLA GUERRA deve essere impresso nei nostri cuori, in modo che il futuro possa diventare soltanto più luminoso.

Marco D’Addario 5F

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Manifesto di Einstein-Russell: parte seconda Chemical Weapons Marika Morabito, Marco D’Addario 5F “Nella tragica situazione che l’umanità si trova ad affrontare, riteniamo che gli scienziati debbano riunirsi per valutare i pericoli sorti come conseguenza dello sviluppo delle armi di distruzione di massa per discutere una risoluzione nello spirito del documento che segue.” Questo è l’incipit del manifesto EinsteinRussell, la dichiarazione presentata a Londra il 9 luglio 1955, agli albori della Guerra fredda, in occasione di una campagna per il disarmo nucleare. I due scienziati, sconvolti dalle conseguenze dell’utilizzo della chimica e della fisica in campo bellico, decisero di stilare questo documento per allertare i governanti del mondo sul pericolo di una guerra atomica. Due anni più tardi in Canada si tenne il primo incontro per la fondazione Pugwash, che ricevette il Nobel per la pace quasi quarant’anni dopo (1995). Quel vaso di cristallo, già incrinato dagli effetti della guerra, ha continuato a vacillare sotto le spinte del sentimento di distruzione dell’uomo, il quale si è servito della scienza per poter mettere in pericolo l’umanità e se stesso. Le armi chimiche furono così il mezzo perfetto per raggiungere i suoi scopi. Il primo esempio nell’era moderna di utilizzo per scopo bellico di tali sostanze chimiche risale alla prima guerra mondiale. I francesi, nell’ agosto del 1914, impiegarono granate contenenti alfabromoxilene (C8H9Br). Il cloro, usato durante la battaglia di Ypres dai tedeschi, si presenta come un gas urticante con effetti minori del fosgene (COCl2), un gas incolore estremamente tossico e aggressivo, dal tipico odore di fieno ammuffito. Il fosgene provocava sintomi di avvelenamento nel tempo, a causa della sua reattività, caratteristica dei cloruri acilici, che producono acido cloridrico nei polmoni. Fu sempre la Germania, nella terza battaglia di Ypres, a sviluppare per prima un prodotto dalle prestazioni più soddisfacenti: l’iprite, chiamata anche “gas mostarda” (bis-2cloroetilsolfuro). Essa colpiva direttamente la cute creando delle vesciche e, se respirata, distruggeva l’apparato respiratorio e persisteva nel terreno per giorni o settimane, in quanto la sua idrolisi avveniva molto lentamente.

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Fortunatamente con l’avvento del protocollo di Ginevra, venne vietato l’utilizzo dei gas mortali e delle armi tossiche, ma non sempre tutti i mali vengono per nuocere, come nel caso particolare dell’iprite, che in seguito alla sostituzione dell’atomo di zolfo (S) con quello dell’azoto (N), si mise al servizio della medicina come agente chemioterapico, per la sua capacità di bloccare la mitosi cellulare. Dall’iprite agli organofosfati La scienza è una medaglia a due facce e la storia degli organofosfati ce lo mostra molto bene. Gli organofosfati (esteri dell’acido fosforico) nascono come pesticidi agendo da inibitori della colinesterasi, un enzima che inattiva la acetilcolina, un neurotrasmettitore importante per la contrazione muscolare. Gli organofosfati concepiti come pesticidi non sono tossici per l’uomo, ma la semplice sostituzione di un atomo di zolfo con uno di ossigeno è bastato per costruire un’arma chimica micidiale “i gas nervini”, respirando i quali si muore asfissiati. Essi vengono distinti in agenti G (tabun, sarin) e agenti V. Gli agenti G sono particolarmente pericolosi perché il legame fosforo-ossigeno è molto difficile da rompere. Dalla produzione degli erbicidi si formano, come sottoprodotto della loro lavorazione, le diossine, una classe di composti eterociclici cancerogeni. Un esempio della loro pericolosità è il disastro di Seveso (Brianza) avvenuto nel 1976 a causa di un brusco innalzamento di temperatura all’interno della centrale di Icmesa, produttrice di triclorofenolo.


Il gas liberato nell’aria e insinuatosi negli alimenti (pesce, carne, uova, latte, burro e formaggi) provocò un’intossicazione cronica acuta con un lento e conseguente accumulo nell’organismo, in particolare nei tessuti adiposi. Al di là dei casi di intossicazione, l’aspetto più preoccupante è la permanenza delle diossine nel suolo, che varia tra i 9 e i 15 anni, determinando un insieme di effetti nocivi nell’ambiente, nell’acqua, negli alimenti. La guerra del nuovo millennio Le armi chimiche continuano a destare preoccupazione, sia per i loro effetti che per la pericolosità e la forza con cui sono capaci di distruggere. Nonostante i numerosi provvedimenti per tentare di limitarne l’utilizzo, ancora oggi le potenze minacciano il loro impiego, e probabilmente non è soltanto un’ipotesi... “Il presidente Zelensky ha espresso timori. Kiev teme che Putin possa decidere di utilizzarle per piegare la resistenza degli ucraini a Mariupol. Nonostante, secondo l’Opcw (Organisation for the Prohibition of Chemical Weapons), Mosca abbia ufficialmente completato nel 2017 la distruzione delle sue 40mila tonnellate di armi chimiche, molti esperti pensano che ne abbiano ancora a disposizione nel loro arsenale e le abbiano anche usate in episodi controversi degli ultimi anni.” Fonte: https://tg24.sky.it/mondo/2022/04/13/ armi-chimiche-russia-ucraina “Ci attende, se lo vogliamo, un futuro di continuo progresso in termini di felicità, conoscenza e saggezza” - dal Manifesto Einstein e Russell.

Andrea Ferrara 5G

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Gli occhiali di Rosalind Giusy Cipollone 5G

Per comprendere meglio la storia della grande Rosalind Franklin ci è stato proposto uno spettacolo teatrale intitolato “Gli occhiali di Rosalind” della compagnia L'Aquila Signorina di Bologna. Rosalind Franklin, cristallografa forte e perseverante, fu costretta a lottare contro le ostilità di un mondo scientifico ancora troppo maschilista, ma questo non le impedì di dare un contributo fondamentale alla scienza. I suoi studi le permisero di mettere a punto una tecnica innovativa che utilizzava i raggi X per fotografare i costituenti di tutti i materiali viventi e non viventi, attraverso una microcamera capace di produrre fotografie ad alta definizione dei singoli filamenti di DNA. Ottenne immagini bellissime come la famosa “Photograph 51”. Si scoprì, così, che il DNA era composto da due forme, la forma A e la forma B, e che quest'ultima aveva una forma a spirale. La scienziata, però, fu vittima di un furto da parte dei suoi colleghi maschi, James Watson e Francis Crick che, impossessandosi delle sue immagini realizzate con i raggi X, formularono il celebre modello a doppia elica. Rosalind Franklin è stata definita un’eroina mancata, ma ci piace pensare a lei semplicemente come una scienziata che ha fatto il suo lavoro, prima e meglio dei suoi colleghi maschi. Quella che viene messa in scena in “Gli occhiali di Rosalind” è una ricostruzione nei termini della fiction letteraria dell'incontro, avvenuto realmente nel 1970, tra la biografa, amica di Rosalind, Anne Sayre (interpretata nello spettacolo da Barbara Bonora) e Francis Crick (interpretato da Gabriele Argazzi), che nel 1962 ottenne, insieme a James Watson, il premio Nobel. Il dialogo tra gli attori permette di ripercorrere i momenti salienti dei due anni trascorsi dalla

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Ne emerge un interessante confronto tra una scrittrice alla ricerca dei motivi profondi che avevano portato un team di ricercatori e i loro superiori ad ignorare ripetutamente il ‘code of honour’ degli scienziati e uno scienziato affermato e celebrato, che mostra grande imbarazzo di fronte alla pubblicazione della “Doppia Elica” scritto dal suo collega Watson. In questo libro Watson descrive la collega Rosalind Franklin come “la terribile e bisbetica Rosy”, poco attraente e con un pessimo carattere. A Crick non restava che limitare i danni ammettendo l'inappropriatezza delle parole con cui presentava la Franklin. Nello spettacolo, che si presenta come una vera e propria partita a scacchi tra i due protagonisti, si alternano rivelazioni biografiche ed informazioni scientifiche, davvero coinvolgenti, rifuggendo dalla retorica e lasciando gli spettatori liberi di farsi una propria opinione su moventi e giustificazioni. Dopo la sua scomparsa, nel 1962, i due scienziati che l’avevano “derubata” della sua scoperta, Crick e Wilkins, ricevettero il Premio Nobel. Senza ovviamente, fare alcun riferimento al prezioso lavoro svolto da Rosalind Franklin. Il suo mito era però già nato: la scienziata è diventata infatti un’icona per tutte le donne, una “scienziata capace di rendere bella qualunque cosa toccasse”. È stata definita un’eroina mancata, ma ci piace pensare a lei semplicemente come una scienziata che ha fatto il suo lavoro. Prima e meglio dei suoi colleghi maschi.


Questa rappresentazione ci porta a riflettere sul ruolo delle donne nella scienza ponendoci davanti una realtà difficile. Oggi in ambito scientifico e accademico non mancano purtroppo i casi di veri e propri abusi nei confronti delle donne. Molte donne se vogliono intraprendere la carriera scientifica devono affrontare molte più difficoltà rispetto agli uomini. Il mondo della ricerca non è esente dal glass ceiling (tetto in vetro). Si parla sempre più spesso di glass ceiling effect: un fenomeno sociologico molto diffuso che consiste nella radicata discriminazione, in ambito lavorativo, delle donne, e nella maggiore difficoltà, per loro, di riuscire a fare carriera rispetto ad un suo pari, di sesso opposto con lo stesso curriculum, formazione e meriti. Si parla di un vero e proprio tetto metaforico dove chi sta sotto (solitamente le donne) riesce a vedere cosa c'è sopra e viceversa: una barriera invisibile ma solida. La discriminazione nel mondo del lavoro tra uomini e donne è molto radicata nella cultura e nell'educazione impartita dai genitori e dai nonni che vedono la figura femminile destinata a prendersi cura della famiglia. Un cliché che purtroppo è ancora attuale nell'Italia di oggi e in molte parti del mondo. Dopo la fase 2 post-lockdown da Coronavirus su 10 italiani tornati a lavoro, 7 erano uomini. Questa stima è stata descritta dalla scrittrice Michela Murgia che ha sottolineato come, nel periodo più grave della pandemia in Italia, “Sono andati persi 84mila posti di lavoro, di cui 65mila donne. Le donne sono considerate parte dello stato sociale, del welfare, devono occuparsi della fragilità dei bambini e degli anziani”. Per abbattere questo tetto in vetro bisogna far sì che uomini e donne collaborino senza rivalità e dove le differenze di genere possano diventare un valore e uno strumento per crescere, non un ostacolo.

La storia delle donne nella cultura e nella vita civile è stata una storia di emarginazione fino alla fine dell'Ottocento e in gran parte ancora fino alla metà del Novecento, almeno nei paesi industrializzati. Per secoli le donne che potevano avere accesso all'istruzione erano quelle rinchiuse nei conventi. Forse per questo le donne che sono emerse nel passato erano soprattutto umaniste, pittrici, scrittrici, poetesse, ma molto più raramente scienziate. Infatti chi ha attitudini artistiche o letterarie può emergere anche senza una preparazione specifica, mentre le scienze, e in particolare le cosiddette scienze "dure" come matematica, fisica, chimica richiedono una preparazione di base, senza la quale è quasi impossibile progredire. Solo quelle poche favorite dall'avere un padre, un fratello o un marito scienziato e disposto a condividere le proprie cognizioni, potevano farsi una cultura scientifica. Basta ricordare che ancora all'inizio del XX secolo in molti paesi europei alle ragazze era precluso l'accesso alle università ed anche ai licei. Perciò le donne, escluse dalle università, escluse dall'educazione scientifica, sono emerse là dove potevano emergere. Così è sorto il pregiudizio secondo cui le donne sarebbero più adatte alle materie letterarie e linguistiche che non a quelle scientifiche. Le stesse ragazze crescono in mezzo a questi pregiudizi e se ne lasciano influenzare, e scelgono le facoltà umanistiche anche contro le loro naturali inclinazioni, contribuendo così a rafforzare i pregiudizi stessi. Comunque, per fortuna, oggi cresce sempre di più il numero di ragazze che scelgono materie ritenute tipicamente maschili come ingegneria.

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Le origini: nutrimento per la nostra identità. Premio Raiano 2022 Giorgia Menna 5H

Si tiene il capo, si copre gli occhi, come a non voler guardare indietro, attorno. Ai suoi piedi una colomba calpesta una lucertola, da sempre considerata simbolo di rinascita. Quella vecchia si ritaglia un angolo della scena e si chiede quando arriverà la sua fine. Attorno a lei c’è la vita, un bambino che esplora il mondo in cui si trova a nascere, una donna che scopre il piacere della preghiera, dei giovani che intrattengono una conversazione divenendo così uomini di società. Un Eden, un giardino paradisiaco che diviene custode della vita dell’uomo, dalla nascita fino alla morte. E’ questo ciò che Gauguin si propone di raffigurare, uomini e donne che affrontano la vita. Ben dodici personaggi compongono la tela e divengono uomini dotati di una propria esistenza che non può prescindere dalle sue origini né da quell’istante in cui tale esistenza diverrà vittima di una forza superiore: la morte. Ben dodici personaggi che seppur distinti si trovano a condividere lo spazio in cui li racchiude Paul Gauguin, le loro origini si mescolano, le loro abitudini cambiano, il tempo muta e con esso il loro volto accoglie qualche ruga, le loro voci si uniscono a creare un unico grido: il grido della società. Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? È questo il titolo che Gauguin dà all’opera e in una lettera descrive tale capolavoro come il suo “testamento spirituale” perché rappresentava l’unica tela in cui riuscisse a condensare la sua visione sull’arte. Quest’oggi io voglio “servirmi” di quest’opera e riprendendo le parole dell’artista postimpressionista, affermare che tale tela rappresenta la visione della vita. Lo stesso titolo ci induce a pensare quasi spontaneamente a tre temi: origine, identità ed esistenza. Sono queste tre parole a identificare i tre perni attorno ai quali si articola la nostra vita, tre macrotematiche che sono state oggetto di studi e narrazioni nel corso dei secoli, ma che rimangono i tre attributi fondamentali dai quali l’uomo non può prescindere. Se volessimo definire meglio quale sia l’importanza dell’origine, dell’identità e dell’esistenza, dovremmo partire dalla seconda, proprio perché è attraverso l’identità che le altre due si dispiegano e prendono forma. Così partiamo con il definire l’identità come l’insieme delle caratteristiche che contraddistinguono una persona e che le consentono di riconoscersi e di essere riconosciuta dagli altri. Tale definizione ci fa comprendere che ognuno di noi è unico proprio perché possiede caratteristiche che lo distinguono dagli altri. Quando parlo di riconoscibilità non mi riferisco a quella serie di coordinate anagrafiche o strettamente fisiche che delineano il nostro io esteriore, ma a coordinate prettamente psicologiche. È proprio nella nostra psiche che il concetto d’identità trova terreno fertile sul quale potersi sviluppare. Ed è così che in psicologia identità assume l’accezione di percezione del proprio essere continuo attraverso il tempo e distinto da tutti gli altri. L’identità personale che diviene in tal modo l’essere riconoscibile come la stessa persona fin dalla nascita e, nello stesso tempo, l’essere unico e diverso da tutti gli altri esseri umani, rappresenta l’unica vera caratteristica di cui ogni uomo è costituito. Sarà proprio l’identità personale a mutare perché affetta da cambiamenti e trasformazioni. Un vero e proprio percorso che prende il nome di formazione dell’identità personale. Come spesso accade, la consapevolezza della propria identità si inscrive all’interno di quella fase di vita che definiamo infanzia. È proprio da quest’ultima che la formazione dell’identità personale prende forma e si articola in due stadi differenti: il rispecchiamento e l’introspezione. Il primo rappresenta la possibilità originaria di giungere alla coscienza di sé e vede protagonista il rapporto genitore-figlio o per essere più precisi madre-figlio. Fin dalla nascita il neonato identifica sé stesso attraverso le figure genitoriali. A spiegarci in maniera esatta cosa sia l’esperienza del rispecchiamento fu il pediatra e psicanalista britannico, Donald Winnicot, che espresse i suoi studi in tali termini: “Ora, a un certo punto, viene il momento in cui il bambino si guarda intorno. Forse il bambino al seno non guarda il seno. È più probabile che una caratteristica sia quella di guardare la faccia [...] Che cosa vede il lattante quando guarda il viso della madre? Secondo me, di solito ciò che il lattante vede è sé stesso. In altre parole, la madre guarda il bambino e ciò che essa appare è in rapporto con ciò che essa scorge” (D. H. Winnicott, 1971).

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Il prestare cure ed attenzione ad un neonato diviene di fondamentale importanza perché crea una congruenza tra i due atteggiamenti (ovvero tra la sensazione di benessere provata dal bambino e l’azione di prestare cure ed attenzioni al neonato) che in psicologia viene definita “integrazione”, ovvero un’esperienza psichica che se assente induce alla distruzione del Sé ancor prima della sua formazione. Questo guardarsi allo specchio, ovvero questo essere allo stesso istante soggetto (colui che si specchia) ed oggetto (ovvero immagine riflessa), porta l’infante ad osservarsi sempre dall’esterno, a compiere azioni senza essere consapevole che sia proprio lui l’autore di tali azioni. È come se il neonato fosse capace di vedere la sua immagine non percependola come propria. È quando questo “osservarsi da lontano” si riduce e quindi il bambino inizia ad avere più consapevolezza di sé stesso, che l’introspezione entra in scena. Quest’ultima seppur sia un processo che interessa maggiormente l’infanzia vede il suo portarsi lungo la vita del bambino fino a toccare le soglie dell’adolescenza. Se è vero, infatti, che intorno ai 12/18 mesi il neonato sia in grado di udire, di prestare attenzione a ciò che osserva e di esprimere attraverso versi ciò che pensa, è pur vero che soltanto intorno ai due/tre anni risulta in grado di esprimere un pensiero, seppur breve e poco articolato, a parole. L’introspezione a questo punto non potrà definirsi conclusa, perché a mancare sono ancora le articolazioni di un pensiero più ampio, che lo porti, ad esempio, non solo ad affermare di avere paura, ma a dare spiegazioni a questo sentimento. Insomma, dovrà essere paziente ed accompagnare il bambino fino all’adolescenza. A questo punto della nostra trattazione, dopo aver definito gli aspetti fondamentali che definiscono la creazione dell’identità personale, non possiamo elidere tutto quell’articolato discorso che ha condotto gli studiosi a distinguere l’identità in tre dimensioni fondamentali: l'identità fisica, l'identità psicologica, l'identità sociale. Tralasciando la prima che rappresenta pur sempre un punto di partenza fondamentale per definire il concetto di unicità e di distinzione delle diverse identità, ciò che più ci interessa quest’oggi è definire l’identità psicologica (intesa come l’insieme della personalità, dello stile costante del comportamento di una determinata persona e dell'idea che essa ha di sé), ma soprattutto l’identità sociale. È proprio quest’ultima che si pone come colonna portante per la creazione della persona, ovvero di quell’essere dotato di proprie caratteristiche e di una propria esistenza. È attraverso il riconoscimento di sé, della propria identità in una comunità, ovvero attraverso atteggiamenti sociali, che l’uomo diviene consapevole del suo vero essere. A spiegarcelo è il filosofo e psicologo americano George Herbert Mead. Definito autore dell’interazionismo simbolico, mette in risalto il fatto che il Sé di una persona deriva dagli atteggiamenti e dai comportamenti che gli altri, in particolare gli altri più significativi, come i genitori, hanno nei suoi confronti. Da tali azioni degli altri, in un secondo tempo, emerge la capacità della persona di considerare sé stessa oggetto della propria esperienza. Il Sé così non è una specie di "sostanza" contenuta nel soggetto e alla base delle sue interazioni con gli altri, ma piuttosto il frutto delle interazioni sociali. All’identità sociale si affiancano due sottoinsiemi, che seppur percepiti come minori, quest’oggi nella nostra trattazione si rivestono di un’importanza fondamentale. Sto parlando dell’identità culturale e l’identità etnica. L'identità etnica è quella tipica di una popolazione, in cui le identità distinte percepiscono la coscienza di una storia e di un'origine comune. L'identità culturale proviene dalla coscienza che il soggetto ha di condividere norme, condotte, valori, tradizioni e linguaggi con gruppi di persone, stabilendo così ampi legami. Gli studiosi affermano che l’identità culturale deriva dall’osmosi di varie etnie e culture. Essa, perciò, si fonda sull’esclusione di una sola ed unica appartenenza culturale. L’identità culturale così diviene strettamente legata a quella macro-tematica già citata poc’anzi: l’origine. Le origini infatti si innalzano ad elementi fondamentali per la vita umana. Se è vero tutto ciò che è stato affermato poc’anzi, i genitori rivestono un ruolo dal quale non si può prescindere. Sono loro i presupposti dai quali la coscienza di Sé prenderà vita e che quindi plasmeranno quella persona che svilupperà anche un’identità sociale. Le origini così divengono il cardine attorno alla quale ruota l’identità personale e culturale di ognuno di noi. Le nostre origini, la storia della nostra famiglia, sono come radici che ci sostengono, dando nutrimento alla nostra identità. Risulta così fondamentale conoscere e tramandarle, ed essere orgogliosi di possederle.

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A comprendere l’importanza delle origini fu anche Benedetto Croce che nel 1919 decise di pubblicare la monografia su Montenerodomo e due anni dopo quella su Pescasseroli. Questi due piccoli paesi collocati all’interno del paesaggio abruzzese, rappresentavano per Croce le sue origini, ovvero le città natie dei propri genitori. Croce che viene definito più volte un napoletano abruzzese, non aveva visitato molto spesso i due paesi, eppure il senso di appartenenza a queste due cittadine lo induce a scrivere, a lasciare traccia non solo del suo passaggio, ma in particolar modo di quello dei suoi avi. È così che Croce riesce a narrare non solo le sue origini, ma soprattutto la storia che si nasconde dietro quelle origini. Tutto ciò è possibile perché esattamente come ogni uomo anche Croce si vede costituito da quell’identità personale e culturale che lo rendono figlio non di due abruzzesi, ma di una storia vera e propria. Esattamente come ogni uomo anche Croce si è visto protagonista di quelle fasi infantili del rispecchiamento e dell’introspezione, creando così attraverso la figura paterna e materna la sua identità. È come se le origini venissero respirate per osmosi dai propri genitori andando a costituire patrimonio della propria persona. Benedetto Croce non solo esalta e illustra le sue origini abruzzesi, ma da storico qual è ne ricostruisce minuziosamente la storia, che così diviene secondo baluardo della nostra identità. Noi siamo figli di una storia, una storia che ci ha visti protagonisti di vicende, di eventi, una storia che insomma si inscrive all’interno del nostro patrimonio genetico aggiungendosi ancora una volta in quell’identità culturale più volte citata. Esattamente come Gauguin, anche noi siamo capaci di racchiudere in un’unica tela gli svariati aspetti della vita. La tela non è altro che la nostra identità, che si forma, che invecchia e che soccombe, ma che conserva sempre quella piccola caratteristica che l’accompagna sin dalla nascita: la propria origine.

Andrea Ferrara 5G

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Pizza con l’ananas Rossella Cefaratti 5F

L'italiano medio, come suggerisce il termine stesso, è attratto dall'italianità e di conseguenza da tutto ciò che è marchiato da un simbolo, da un aspetto, da un ricordo italiano, più semplicemente qualsiasi prodotto identificato come "Made in Italy". Il consumatore italiano tende prevalentemente ad acquistare prodotti di cui si fida, e quindi quelli di cui conosce il marchio, o riconosce in esso un'espressione, un'icona che ricordi l'Italia. Tuttavia spesso un prodotto è solo pensato in Italia, ma prodotto in altri paesi o peggio; paesi come la Cina, ideano e producono prodotti dai loro stabilimenti, ingannando il consumatore, aggiungendo un termine, un'immagine che possa associarsi all'Italia, in modo da invogliare il cliente ad acquistare, sentendosi in qualche modo tutelato e rassicurato dalla provenienza di esso, benché fittizia. Da queste considerazioni si evince che il metodo migliore, o peggiore, per innescare un meccanismo di compravendita efficace non dipende dal luogo di produzione o dalla concezione, ma dal comportamento, ovvero dal legame più o meno stretto con un atteggiamento, con la storia di un popolo, con la vita sociale di un paese. All'interno di questo clima non è facile trovare un consumatore razionale; impossibile dal momento che esso non esiste in questa tipologia di società. Il posto del consumatore responsabile e attento alle proprie spese viene spesso preso dal consumatore, cosiddetto, emotivo; colui che sceglie un prodotto piuttosto che un altro in base alle sensazioni e alle emozioni che suscita, e non in base al luogo di produzione o alla qualità del prodotto stesso, colui che acquista in relazione a ciò che vede e non a ciò che sa. Nella società di oggi non è difficile essere influenzati da tutto ciò che si vede e si sente. Ciò in cui l'individuo si sente più coinvolto, sia a livello pratico che a livello morale, sono gli acquisti, ergo il denaro. Unendo questi due aspetti della vita dell'uomo, si giunge facilmente ad una conclusione lampante; la società è influenzata nell'acquisto di qualsiasi prodotto.

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Ancor più la società italiana, profondamente radicata in tradizioni e costumi "italianissimi", estremamente tendente ad approcciarsi ad elementi e articoli a sé comuni e facilmente riconducibili a ciò che si conosce, e peggio ancora, allinearsi ad un concetto generalizzato che presuppone che tutto ciò che è diverso è sbagliato e quindi necessita di essere allontanato. Questo aspetto, oltre che nella vita comune e nel rapporto con l'altro, è facilmente ritrovabile nell'acquisto e nel consumo. La merce italiana, piuttosto che la musica o il cinema italiano, sembrano essere sempre i migliori, estranei a qualsiasi tipo di corruzione e immoralità, agli occhi dell'italiano medio, estremamente lontano dalla presunta falsità propria di qualsiasi altra produzione estera. Questa visione univoca e senza possibilità di alternativa è inevitabilmente errata dal momento che conduce l'individuo in un circolo senza via di uscita, che elimina ogni tipo di prospettiva, magari migliore alla quale si potrebbe guardare, e induce ad un ineluttabile regresso sia sociale che economico. Si rimane bloccati in una visione, che sembra essere l'unica giusta ma che in realtà è l'unica ad essere sbagliata e uscirne risulta impossibile. L'Italia dovrebbe imparare a guardare al futuro per cercare di migliorare il presente, rischiando e scommettendo sul nuovo, invece di adagiarsi sul passato, con l'effimera certezza di non poter sbagliare, ostentando il vecchio.


Una “non intervista” a Maria Rosaria La Morgia Martina Ciancetta, Chiara Carlini 5D

Lunedì 4 Aprile abbiamo avuto l’onore di incontrare, come redazione di un Giornalino d'Istituto ancora in crescita, una vera professionista del settore, che, tra piccole pillole di vero giornalismo e lezioni basate sulle sue esperienze lavorative, ci ha anche lasciato, in una “non-intervista”, preziosi consigli su come rendere più accattivante e meno scolastico il nostro giornale. La professionista in questione è Maria Rosaria La Morgia, ex giornalista della rete regionale RAI e del TG2 per la cronaca, originaria delle nostre terre, che ci è venuta a trovare nell’auditorium della nostra scuola per avviarci a quello che può essere considerato il “vero giornalismo”, fatto di “regole etiche e doveri” come ci dirà durante il nostro ampio dialogo. La nostra “chiacchierata” è cominciata con una disquisizione su cosa fosse il vero e puro giornalismo di cui, come la giornalista ci spiega, si è perso, soprattutto in Italia, il concetto autentico. Oggi, il giornalismo come lo conosciamo noi, è fatto soprattutto di spettacolarizzazione infatti prevale, soprattutto nei programmi televisivi, il così chiamato “giornalismo d’opinione” che non è sinonimo di cronaca. Privilegiare l’opinione sul fatto è una delle grandi lacune del giornalismo italiano, che proprio per questo molte volte non può definirsi tale. Affinché l’articolo d’opinione possa diventare la “registrazione impersonale di fatti secondo la successione cronologica”, cioè l’esatta definizione di cronaca, la dott.sa La Morgia, ci ha illustrato quali sono le regole di scrittura che deve seguire un bravo redattore. Innanzitutto, prima di iniziare la stesura di un articolo, va individuato il target, ovvero il pubblico di riferimento, per rendere quanto più possibile leggibile e capibile l’articolo. In secondo luogo, per quanto scontato possa sembrare, le fonti e la loro accuratezza sono di vitale importanza. Il primo modo per accertarsi della veridicità delle fonti, ci dice rispondendo a una delle domande poste da noi, è attingere alla notizia di persona, perché come si è sempre detto, un giornalista che si rispetti “deve consumare le scarpe per andare in giro”.

Se questo non fosse possibile, come nel caso delle informazioni riguardanti i recenti numeri di vittime nel conflitto Russia-Ucraina, il modo migliore per fornire dati veritieri e non incappare nelle fake news è attingere alle fonti indipendenti, come l’ANSA, che dovrebbero essere quanto più neutrali possibile, poiché non “contaminate” dalla propaganda che “inquina” invece le parti coinvolte nel conflitto. Nonostante la ricerca dell’obiettività sia fondamentale, ogni giornalista è una persona che matura un proprio pensiero in merito a determinate questioni, quindi la pura neutralità è pressoché inesistente, ma l’opinionismo deve essere riconoscibile e l’emotività va controllata, sia in diretta, sia quando si scrive un articolo. Tuttavia il coinvolgimento psicologico, quindi sentimenti come empatia e solidarietà, sono importanti perché mostrano la passione che c’è dietro la professionalità, passione che è fondamentale per avere il coraggio di vincere le paure che può avere, ad esempio, un corrispondente estero in paesi in guerra e per vincere possibili censure. Quindi, vincendo paure e censure, il giornalista diventa un punto di riferimento, addossandosi la responsabilità di non scrivere cose false e di divulgare notizie non attendibili, che vanno a minare la fiducia che i lettori hanno in lui. In quelle due ore abbiamo quindi costruito la strada che ci porterà verso una stesura più consapevole degli articoli per il nostro Giornale, in modo da preparare solide basi per chi farà parte della redazione dopo di noi.

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Latino, scuola e società Maria Letizia Lombardi 4A

Tutti sono a conoscenza di quanto misteriosa sia la lingua latina, una lingua, una cultura , una disciplina che ha sempre intimorito gli studenti in quanto troppo complessa da poter conoscere perfettamente. Ciò nonostante i ragazzi che Venerdì 22 aprile hanno avuto la speciale opportunità di partecipare ad un convegno unico quanto interessante sulla lingua latina, hanno cambiato considerazione di essa. Tutto era nuovo, tutto era sorprendente. Ad iniziare dall’ ospitalissimo luogo, L’Università di Chieti ha accolto gentilmente i ragazzi, accompagnandoli in un’immensa sala dai colori sgargianti del rosso e dell’oro. Protagonista della grande sala era il palco che ha accolto ospiti diversi durante l'arco di tutta la giornata. Le grandi menti della cultura latina hanno argomentato discorsi personali sulla lingua dell’antica Roma rendendo tutto attuale e incredibilmente contemporaneo. Non appena sistemati i ragazzi sono stati subito catturati dal discorso dell’intellettuale torinese, la cui ricerca ricca di dati statistici ha fatto sì che l’astratta bellezza del latino diventasse concreta. Andrea Baldo, direttore dell’Università di To r i n o h a i n t e s o b e n i s s i m o c o m e intrappolare l’attenzione dei ragazzi rendendo la lingua latina così flessibile da analizzare il suo cambiamento in seguito al Coronavirus. Ormai negli ambienti scolastici dire pandemia equivale a nominare la didattica a distanza “amica” degli studenti in quanto ha permesso loro per più di due anni di continuare l’istruzione nel modo più comodo possibile. Il professor Baldo, d’accordo con il resto dei docenti, si è decisamente schierato a favore di una educazione scolastica tradizionale che da secoli caratterizza l’Italia, evidenziano tuttavia i pochi pregi che il web ha. Una “Dad” efficace permette di organizzare incontri a livello globale eliminando completamente il problema legato alla distanza, rendendo così possibile il dibattito tra celebri menti.

C’è stata un’informazione che ha reso il discorso del docente torinese unico, i dati statistici sulla frequentazione dei licei. A breve, tra pochissimi anni gli studenti del liceo delle scienze umane supereranno quelli del liceo classico e dello scientifico.... E da cosa sono distinte queste scuole? Proprio dall’insegnamento del latino. Ad intervenire allora è stata Ilaria Torzi, insegnante di grammatica latina del liceo scientifico Vittorio Veneto di Milano. Con un brillante discorso la professoressa ha descritto l’effettiva ragione che è dietro il timore generato dalla lingua latina. La problematica non riguarda affatto la metodologia bensì la motivazione. Come si pretende, si chiede la docente milanese, di persuadere i ragazzi a studiare una disciplina da tutti ritenuta “ poco utile “ ? Dunque l’idea della Torzi è quella di modificare la valutazione del latino facendo sì che la lingua stessa acquisti più “ credibilità “ tra i giovani. Bisogna allora studiare e esaminare il latino come si fa con l’inglese, il francese ed il resto delle lingue internazionali. In seguito al discorso dell’insegnante milanese c’è stata una pausa per docenti e studenti; e dopo venti minuti rientrati tutti nell’aula ci sono stati interventi a distanza riguardo le sorti del latino nell’arco degli anni futuri. A caratterizzare l’intero convegno è stata però la tavola rotonda fatta per concludere l’incontro. Direttori, professori e massimi intellettuali dibattevano circa l’attualità del latino tra la scuola e la società. Le idee erano diverse, ciascuna ricca di una personalità propria, eppure il pensiero di ciascun docente era finalizzato alla difesa e alla promozione di tale cultura, quella latina. L’esperienza è stata nuova, coinvolgente e senza alcun dubbio educativa. I ragazzi del tutto sorpresi dei poteri che tuttora ha la lingua latina ringraziano le professoresse Bianco, Tiberio e Mililli per aver reso tale esperienza una realtà.

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I ragazzi della Penny Wirton Rossella Cefaratti, D’Addario Marco 5F

Il giornalino scolastico del liceo scientifico di Lanciano si è cimentato in un'intervista ad alcuni ragazzi frequentanti la Penny Wirton, una scuola nazionale, con sede a Lanciano, che fornisce gratuitamente lezioni di italiano a persone di tutte le età, desiderose di imparare al meglio la lingua. Grazie a questa iniziativa, i giovani "giornalisti" hanno avuto la splendida possibilità di avvicinarsi ad un mondo totalmente nuovo e, addentrandosi nelle dinamiche delle lezioni date da volontari estremamente generosi, hanno potuto apprendere il mondo dell'insegnamento e del volontariato, nonché sfruttare l'occasione per fare qualche domanda agli studenti.

La prima ad essere intervistata è Elena, un'amabile signora proveniente dalla Lettonia, arrivata in Italia nel dicembre 2021 e residente a Mozzagrogna insieme al suo gatto, e ora, grazie alla scuola che sta frequentando, si impegna nello studio della lingua italiana. Una volta arrivata, a colpirla sono stati il paesaggio, il cibo e le persone e come biasimarla! La sua giornata ha inizio dinnanzi allo schermo del computer, lavorando come manager pubblicitario, per poi proseguire cucinando e facendo lunghe passeggiate godendosi il mare abruzzese, sebbene ha confessato di preferire le fredde acque della Lettonia. Essendo tutti coinvolti, pur se lontani, nella situazione attuale circa la guerra in Ucraina, vi era la volontà di conoscere il pensiero di persone che la vivono più da vicino. Elena, a questa domanda ha preferito non rispondere, lasciando intendere quanto una circostanza di tale portata possa provocare scompenso emotivo e amarezza.

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Alex, 13 anni, nato a Fier, un comune albanese a sud-ovest della capitale Tirana. Dopo un primo soggiorno in Grecia, è partito per l’Italia in luglio insieme alla madre, lasciando lì suo padre e sua sorella. A Lanciano ha trovato buoni amici, una bella scuola, una casa accogliente sebbene conservi sempre nel cuore il suo paese, il mare, le spiagge sabbiose e le sue amate origini. Il calcio e la musica, anche qui in Italia, sono le sue passioni, ama la pizza e un giorno, tornando nella sua terra natale, potrà godere dei bei ricordi della vita italiana. La guerra lo spiazza, non riesce a concepire il motivo, il perché di tali atrocità, della violenza gratuita e dell’abuso di potere.

Valentina arriva dalla Colombia, ha 17 anni, abita a Lanciano insieme a suo zio e sua cugina. Il ricordo del suo paese e l’affetto dei suoi familiari persistono ancora in lei e forse mai svaniranno; ha tanta voglia di tornare nel suo paese natale, amerebbe poter nuovamente giocare con il suo tenero cagnolino Toby, gustare la sua amata "reppa", un tipico pane e formaggio della sua infanzia e magari vivere lì un futuro migliore, studiare e realizzarsi in Comunicazione Sociale e Scienze Politiche. “Odio la guerra...Non capisco perché chi ha il potere voglia il male delle persone, quando invece dovrebbe essere un punto di riferimento, una speranza, una salvezza. Oggi il problema più grande è la pandemia e non vedo come sia possibile rivolgere tutta l’attenzione su questa violenza inaudita, facendo finta che la meta da raggiungere siano il dominio e gli interessi economici, dannosi per tutti noi...” Questa la sua posizione nei confronti della guerra in Ucraina, parole che non passano inosservate, soprattutto perché espresse da una giovane ragazza, volenterosa di imparare nuove cose con non poche difficoltà.

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“Ho parenti in Ucraina, mia zia e i miei due cugini, riesco a parlarci, chiedo come vivono...É terribile. Fortunatamente sono lontani dalle zone interessate dai bombardamenti, seppur temono che il peggio debba ancora arrivare.” Propositivamente conclude con un fiducioso “L’Ucraina vincerà”. Maria ha 31 anni, è nata a Minsk, in Bielorussia, ed ora é residente a Sant’Apollinare insieme a suo marito e l’adorabile figlia di 8 anni, Anna. Qui lavora come freelancer, realizza moltissimi video e spot con un'abilità strabiliante, e ha affermato lei stessa di amare il suo lavoro. In questo momento sta concretizzando il sito della Penny Wirton, per sua volontà, con l'intento di ringraziare il sistema in cui si trova e gli insegnanti che l'aiutano con la lingua italiana, la quale nonostante risulta difficile, ama molto.

Mehar e Rajni sono due sorelle di 16 e 18 anni. Vengono da Punjab, uno stato nel nord dell'India e ora residenti a Castel Frentano con i genitori e la sorella. La vita italiana le ha conquistate, amano il cibo italiano, in particolar modo pizza e pasta. La questione della guerra le colpisce particolarmente. Vivendo in un confine molto delicato con il Pakistan, conoscono bene la pericolosità della situazione e nonostante si trovino, purtroppo, legate per abitudine a contesti simili, eventi come questi travolgono la loro psiche, come quella di chiunque.

La Penny Wirton aiuta le persone dal punto di vista lavorativo, culturale e quotidiano, permettendo a ragazzi come questi di sviluppare le loro competenze linguistiche e relazionali in modo da vivere un'esperienza di vita dignitosa.

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Il Cambridge day Mario Niccolò Cicchetti, Giorgia Azzarà 1B

Ormai, si sa che l’inglese è diventato essenziale per vivere in futuro, infatti al giorno d’oggi è risaputo che senza un livello medio di inglese, difficilmente si riesce a trovare un buon lavoro. Qui, dunque, nasce il progetto delle scuole con indirizzo “Cambridge” che con insegnanti qualificati, è capace di istruire e far conoscere l’inglese bene sin dalle superiori. La nostra scuola allora non si è fatta perdere l’occasione e con lo sforzo e il duro lavoro della dirigente, del corpo docenti e soprattutto della professoressa Livia Liberatoscioli ha ottenuto il titolo di istituto Cambridge con il suo indirizzo inglese dedicato...oltre alle scienze applicate, allo sportivo e all’ordinario. Ormai da due anni in funzione, l’indirizzo Cambridge, insegna l’inglese, la matematica e la fisica in inglese, con insegnanti qualificati affiancati da un madrelingua americano: Mr. T. Knapp. Quest’anno però è stato un anno diverso dagli altri perché malgrado le norme restrittive legate alla pandemia globale, si è riuscita a tenere la giornata dedicata alle classi Cambridge 1A, 1B, 2A, 2B: “Il Cambridge day”. Sotto proposta della professoressa Rossana Scaricaciottoli infatti, ottenuti i permessi, è stata organizzata, il giorno 12/04/2022, una giornata scolastica dedicata all’inglese e soprattutto organizzata interamente dai ragazzi dei vari gruppi organizzativi. Alle ore 8:30 le classi sono scese in auditorium dove hanno preso parte alla videoconferenza con la referente degli istituti Cambridge Josephine, in collegamento dall’Inghilterra; alle ore 9:15 invece, i presentatori hanno presentato la canzone “imagine” seguita dalla performance dei ragazzi della band che ha dato ufficialmente inizio alla giornata.

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Giornata che è stata arricchita dai numerosi Talk organizzati che hanno trattato tematiche pertinenti ed interessanti, non sono mancati neanche gli esperimenti che tra un talk e una canzone incuriosivano l’interesse delle classi. Molto apprezzate sono state anche le presentazioni dei libri scritti in inglese dai ragazzi e dedicati alle professoresse Scaricaciottoli, Liberatoscioli e al madrelingua Mr. Knapp. Giunti a metà giornata, dopo il banchetto, la situazione si fa ancora più emozionante quando viene presentata da Maria, la gara di spelling vinta da Antonio (2A) per il primo posto, Letizia (2B) per il secondo posto e Paolo (1B) per il terzo posto. A vincere però è stata anche Nevia della 1A che con il suo primo posto conquista la gara di Kahoot. Arrivati ormai alla fine, la giornata si conclude con la canzone “show must go on” suonata dalla band che ha fatto impazzire il pubblico, ragazzi e professori al punto da creare un enorme girotondo intorno al palco; la giornata si conclude con i ringraziamenti e con le classi che sono ritornate nelle rispettive classi primi di uscire da scuola. È stata quindi una giornata impegnativa colmata però dalla voglia di ripartire e di fare di noi giovani che in un mese ha organizzato la giornata più indimenticabile dell’indirizzo internazionale Cambridge del nostro istituto.


Gita a Paestum e Salerno Sara Di Marcangelo 1C

Il giorno 20 aprile 2022 i ragazzi della classe IC, insieme agli alunni delle classi IA, IB e IH, si sono recati presso il sito di Paestum e la città di Salerno. Alle 6:15 i giovani si sono incontrati nel piazzale terminal bus di Lanciano e da lì sono partiti alle 6:30. A seguito di un tragitto della durata di cinque ore, caratterizzato da un corposo traffico, gli alunni sono giunti alle 11:30 presso il sito archeologico di Paestum, dove alcuni studenti hanno condiviso le loro conoscenze riguardo il luogo. I templi di Paestum sono le principali attrazioni del parco e rendono quest’ultimo uno dei siti principali della Magna Grecia. Queste costruzioni sono giunte fino a noi in condizioni ottimali, grazie alla tecnica costruttiva utilizzata all’epoca dei greci. I tre templi, realizzati secondo i canoni dell’ordine dorico, sono il tempio di Hera e di Poseidone, situati presso il santuario meridionale del sito, e il tempio di Atena, situato presso il santuario settentrionale. Il tempio di Nettuno, edificato circa nel 460 a.C., un secolo dopo la costruzione del tempio di Hera, è uno dei tempi meglio conservati dell’epoca greca. Il santuario, molto probabilmente, è stato erroneamente attribuito al Dio del mare, poiché alcuni studiosi ritengono fosse dedicato a Zeus, ad Apollo oppure ad Hera. Il tempio di Nettuno è situato al fianco di quello di Hera e presenta una cella, ovvero l’area interna del tempio, molto complessa, poiché è organizzata in tre navate. La cella del tempio di Nettuno è la meglio conservata rispetto a quella degli altri due templi dell’antica Poseidonia. Il tempio di Hera, edificato intorno al 550 a.C., viene anche chiamato Basilica, nome derivato dalla credenza settecentesca che la struttura fosse destinata ad incontri pubblici. Ad oggi, il tempio in questione presenta tutte le colonne esterne che formano la peristasi (sono cinquanta), con una disposizione di nove colonne sulla facciata e sul retro e diciotto colonne lungo i lati.

Questa disposizione ci permette di classificare il tempio come periptero ennastilo. Il santuario di Hera, però, manca al giorno d’oggi del frontone e del fregio. L’ultimo santuario è quello di Atena, situato nel lato opposto del parco ed edificato intorno al 500 a.C. Il tempio era stato inizialmente attribuito a Cerere, ma, a seguito di alcuni scavi, sono state ritrovate numerose statuette dedicate alla dea Atena. Il tempio sorge sulle ceneri di un antico santuario, il quale, a seguito di un incendio, venne ricoperto da un rilievo artificiale, sul quale venne costruito il tempio di Atena. La struttura del tempio in questione è in stile dorico; presenta una forma molto semplice e un pronao con sei colonne di ordine ionico. Il fregio, molto alto, è invece in stile dorico. Altrettanto importanti sono l’anfiteatro e il foro: il primo sede di lotte fra gladiatori, il secondo cuore dell’attività politica, amministrativa ed economica dell’antica Poseidonia. Alle ore 13:30 gli alunni sono partiti verso la successiva destinazione: Salerno. A seguito di un tragitto in autobus della durata di quarantacinque minuti, i ragazzi sono giunti alla meta, dove sono stati liberi di passeggiare sul litorale salernitano a loro piacimento. Il lungomare di Salerno, lungo 1 Km e largo 30 m, oltre ad essere la struttura più lunga d’Italia, è paragonabile ad un grande giardino alberato, ricco di una lussureggiante vegetazione esotica e colmo di panchine, dalle quali è possibile ammirare il panorama mozzafiato dell’intero golfo. Inoltre, il percorso pedonale, che prende avvio nel centro storico e giunge fino a piazza della Concordia, è accompagnato dalla parallela pista ciclabile. Alle ore 16:30 gli alunni hanno lasciato Salerno e sono, in seguito, giunti alle ore 20:45 a Lanciano, felici di aver trascorso una piacevole giornata tra due degli interessanti siti che il Paese italiano offre.

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La Costituzione Italiana Pietro del Bello 2I

Parliamo della Costituzione Italiana: le sue caratteristiche e la sua struttura: Le caratteristiche della Costituzione italiana sono: • Democraticità; • Rigidità; • Lunghezza; • Popolarità (votata); • Programmaticità; • Compromissorietà. • DEMOCRATICITA' Alla base della Costituzione italiana vi è il principio della democrazia poiché la sovranità appartiene al popolo. Infatti, l'art.1 della Costituzione sancisce che "la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione". La Costituzione italiana, quindi, fissa il ritorno allo Stato democratico dopo l'esperienza della stato totalitario fascista. RIGIDITA' La Costituzione italiana non può essere modificata come una normale legge ordinaria, ma è necessario un particolare procedimento, più complesso, posto in essere dal Parlamento e che prende il nome di revisione costituzionale: per questo essa è considerata rigida. Ciò serve a tutelare le regole fondamentali dello Stato ed evitare una loro violazione. La Costituzione prevede, tra l'altro, che non si possa mai modificare la forma repubblicana: a prevederlo è l'art.139 che stabilisce che "la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale". LUNGHEZZA La Costituzione italiana è una Costituzione lunga: • sia nel senso che contiene norme su molti argomenti. • sia nel senso che molte norme non si limitano a contenere delle enunciazioni di principio generali, ma entrano nel dettaglio e negli aspetti applicativi.

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POPOLARITA' La Costituzione italiana è stata emanata dall'Assemblea Costituente, un organo rappresentativo del popolo. Per questa ragione diciamo che essa è una Costituzione popolare o anche una Costituzione votata a differenza dello Statuto Albertino che era una Costituzione ottriata, cioè concessa dal sovrano ai suoi sudditi. PROGRAMMATICITA’ La Costituzione italiana è una Costituzione programmatica nel senso che è una sorta di programma da attuare. Questo programma comprende: • sia una serie di diritti sociali che devono essere realizzati dallo Stato come il diritto al lavoro, il diritto all'istruzione, ecc... • sia l'attribuzione alla Repubblica del compito di intervenire concretamente affinché tali diritti non rimangano solamente una teorica enunciazione. • COMPROMISSORIETA' Nel predisporre la Costituzione, ed in particolare i suoi principi fondamentali, si fece prevalere l'interesse della Repubblica rispetto alle proprie convinzioni politiche. Il testo che ne è venuto fuori è un compromesso tra posizioni a volte molto lontane tra loro. La Costituzione italiana si compone di: • 139 articoli che contengono le norme della carta costituzionale; • e 18 disposizioni transitorie e finali che hanno una numerazione separata e che hanno avuto lo scopo di regolare il passaggio dal vecchio ordinamento monarchico al nuovo ordinamento repubblicano. STRUTTURA DELLA COSTITUZIONE ITALIANA La Costituzione italiana è così strutturata: • i primi 12 articoli rappresentano un preambolo e disciplinano i principi fondamentali, cioè i principi che ispirano la Costituzione italiana; • i restanti articoli sono divisi in due parti: • la prima parte regola i diritti e i doveri dei cittadini. Questa parte comprende gli articoli dal 13 al 54. Qui vengono disciplinati i rapporti tra lo Stato e i cittadini; • la seconda parte regola l'ordinamento della Repubblica. Questaparte comprende gli articoli dal 55 al 139. Qui viene disciplinata la composizione degli organi dello Stato ed i loro compiti. Infine vi sono le disposizioni transitorie e finali composte da 18 articoli che sono servite a regolare il passaggio dalla monarchia alla repubblica e a vietare la riorganizzazione del disciolto Partito fascista.


I principi fondamentali Giuseppe Staniscia 2I

La Costituzione è la Legge fondamentale del nostro Stato. Fu approvata dall’Assemblea Costituente, il 22 dicembre 1947 e promulgata dal Capo di Stato provvisorio Enrico de Nicola. Il 27 dicembre fu pubblicata sulla Gazzetta ufficiale ed entra in vigore il 1° gennaio 1948 . È composta da 139 articoli e può essere modificata solo attraverso leggi di revisione costituzionale. Il parlamento non può approvare leggi che ne contrastino i principi altrimenti interviene la Corte costituzionale, che ne decreta l’incostituzionalità. L’articolo 1 dice che: “L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione”. La democrazia è la forma di governo nella quale l'organo titolare della sovranità è il popolo, al quale spetta decidere come deve essere organizzato e come deve funzionare lo Stato. La democrazia può essere esercitata in forma diretta, quando, cioè, attraverso il referendum i cittadini possono, senza alcuna intermediazione o rappresentanza politica, esercitare direttamente il potere legislativo, oppure in forma indiretta, quando cioè, attraverso il voto, il Popolo sceglie propri rappresentanti, che siedono nel Parlamento. Quindi, in questo primo articolo viene definita la struttura della nostra Repubblica sia per quanto riguarda il Regine economico-politico, sia per quanto riguarda la forma di stato. “Repubblica democratica”. Questi due termini sono il frutto del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, in cui il popolo fu chiamato a scegliere tra la Monarchia e la Repubblica e nell’occasione di quel referendum le donne votarono per la prima volta. “Fondata sul lavoro”: la nostra Costituzione è l’unica europea che afferma il lavoro come valore su cui si fonda lo Stato. Si sottolinea il valore del lavoro per diventare cittadini a pieno titolo e acquistare un maggiore livello di benessere personale. Il comma 2 dell’articolo 1 della Costituzione afferma che il popolo esercita la sovranità nelle forme e nei limiti della Costituzione. Questa affermazione stabilisce il principio fondamentale in base al quale tutte le leggi devono rispettare la Costituzione.

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L'articolo 1 della Costituzione stabilisce, infine, anche il principio lavorista, che sarà spiegato nell’articolo 4. Il Primo comma dell’articolo 1 dice che “ L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”: Affermare che la nostra è una “Repubblica democratica fondata sul lavoro” significa dover assicurare a tutti la possibilità di lavorare, perché tutti i lavoratori devono essere nelle condizioni materiali e spirituali di contribuire all'organizzazione della vita politica, economica e sociale del Paese ed è compito dello Stato fare in modo che questo sia possibile, rimuovendo tutti gli ostacoli .


La Pace, diritto dei popoli Mattia Pasquarelli 2I

“L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.” L’articolo 11 della costituzione italiana stabilisce che la Repubblica consente l’uso di forze militari per la difesa del territorio in caso di attacco da parte di altri Paesi ma non con intenti espansionistici. Aggiunge anche che l’Italia accetta una limitazione alla propria sovranità, per promuovere e favorire, proprio mediante limitazioni alla libertà giuridica e di azione dello Stato, le organizzazioni internazionali che mirino al mantenimento della pace e ed allo sviluppo della collaborazione fra gli Stati. L’Italia può ospitare truppe straniere sul proprio territorio e partecipare a una guerra in difesa di altri Stati, ma rifiuta la guerra come strumento di offesa verso Stati terzi. Tuttavia, gli articoli 7887 della Costituzione, stabiliscono che le due camere possono decretare lo “stato di guerra”. Inoltre l’articolo sessanta prevede che il governo possa restare in carica più a lungo del previsto in caso di conflitto armato . In sintesi l’Italia si fa portavoce della pace , ma riconosce che talvolta è necessario entrare in guerra, qualora sia in pericolo l’incolumità dello Stato e dei suoi cittadini, quindi in caso di guerra difensiva, ma rifiuta i conflitti fatti per ottenere vantaggi territoriali , economici o politici.

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La democrazia perfettibile Dimostri Volpe 2D

Allora nella nostra costituzione c’è un articolo che è il più importante di tutta la costituzione, il più impegnativo per noi che siamo al declinare, ma soprattutto per voi giovani che avete l’avvenire davanti a voi. Dice così: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». È compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana: quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’articolo primo – «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro» – corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto un’uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società.” Pietro Calamandrei, Università di Milano, 26 gennaio 1955 Per democrazia si intende “una forma di governo in cui il potere viene esercitato dal popolo”, attraverso valori che sono scritti nella costituzione. La Costituzione Italiana, approvata il 27 Dicembre 1947, è costituita da vari principi; i più importanti sono i 12 principi fondamentali. E’ lecito chiedersi se vengano pienamente rispettati ed applicati? Prendiamo ad esempio l’art.1 il quale recita: “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”; ancora oggi nel nostro paese ci sono migliaia di persone disoccupate e disperate a causa della mancanza di lavoro.

Anche l’art.3 non viene rispettato a pieno perché sostiene che tutti i cittadini hanno pari dignità e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, razza, lingua e religione. Peccato però che di questi tempi ci siano ancora tante disuguaglianze e discriminazioni verso persone socialmente in di coltà. Prendiamo ad esempio gli immigrati, che spesso vengono discriminati solo perché di lingua, cultura e religione diversa, oppure le donne, talvolta sfruttate sul posto di lavoro perché non adeguatamente tutelate e retribuite. L’art.9 dice che l’Italia promuove e favorisce la ricerca scienti ca e tecnica ma ogni anno sentiamo alla tv di qualche stato estero che ha conseguito importanti scoperte scienti che grazie a persone che hanno studiato qui in Italia e che evidentemente, non avendo trovato lavoro oppure la possibilità economica di completare la propria ricerca, perché lo stato non investe a atto in quest’ultima, si trasferiscono in altri paesi dove essa viene costantemente valorizzata e giustamente premiata. In ne l’art.11 che esprime il ripudio della guerra come strumento di o esa contro altri popoli, sebbene l’Italia faccia parte della Nato, un’organizzazione politico-militare che in caso di gestione delle crisi ha il potere di intraprendere operazioni militari. Guardiamo a quello che sta succedendo nelle ultime settimane, ovvero la guerra tra Russia e Ucraina; se la Nato decidesse di aiutare l’Ucraina (anche non facendone parte quest’ultima) l'Italia, come tutti gli stati membri, entrerebbe in guerra e quindi l’art.11 della Costituzione Italiana sarebbe infranto. Insomma la nostra costituzione è scritta in modo perfetto ma la si dovrebbe rispettare di più per renderla una costituzione e ettivamente democratica. E per far sì che ciò accada, come sostiene Calamandrei, c’è bisogno dei giovani che impegnandosi in politica possano portare nuove energie ed idee realizzando il sogno di una democrazia davvero perfetta.

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Bob Dylan: Master of Peace and Prophet of war. I ragazzi 3C

Bob Dylan has been the idol of a generation, an inspiring voice that managed to turn poetry into music. His place as one of the world’s greatest artistic figures was publicly and fully recognized when he was named the surprise winner of the Nobel prize in literature 2016 “for having created new poetic expressions within the great American song tradition”. He entered the panorama of folk music in the early 60s and continually strove to ensure that his songs were not just pleasant pieces to listen to, but also contained a social message that could create political awareness and human sympathy. He lived in such a hectic historical period - the years of Kennedy's assassination, the Cuban crisis, the war in Vietnam and the US-Soviet tension – that his songs of protest fuelled the spirit of rebellion and ardour in the young people’s fight in defense of human rights. The lyrics of his songs are messages of peace against all forms of abuse and violence: from nuclear weapons and war to political oppression, from racism and discrimination to poverty and slavery. Having experienced a wide range of music, from folk music to blues rock, rock and roll to country rock, his influence has been enormous, so much that some of his songs have become real generational anthems, like "Blowin 'in the wind ", which became the soundtrack of the American protests against the war in Vietnam, but, actually, its message is “universal”. It is a sad cry against any war, seen as one of the worst instincts from which man can never be liberated. Just before the Cuban crisis broke out, Dylan almost prophetically composed a song that suggests how the artist looked at the future with pessimism, imagining apocalyptic scenarios, such as atomic fall-out caused by the explosion of nuclear bombs, growing injustice and suffering, rising seas, pollution and warfare. "A Hard Rain's A-Gonna Fall", written in a question-and-response pattern of a traditional British ballad, “Lord Randal”, is one of the most iconic and famous protest songs, which tries to raise awareness about the consequences of materialism and the so called “progress”.

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In the song the young man answers his mother’s questions, but actually he speaks to each of us, to every citizen of this world, telling what he has seen in his sad journey. He tells stories of those unlucky people, born in the wrong time and place, where there is poverty and degradation, caused by war, where children are forced to hide underground instead of playing outdoors, stories about anyone born with the wrong skin colour, ethnics or genre and condemned to discrimination. Simply stories of those who are bound to be victims by chance, to die without even knowing why, to leave their homeland in search of a dream that rarely comes true. The world he describes has come back from a catastrophe where children have lost their innocence, people die in the water, which should be a source of life and not death, where mankind has lost the ability to communicate, money has become the only God, women are killed by their own beloved and Mother Nature is gradually being destroyed. Isn’t this a prophecy, a poet’s tragic vision of what we hear, see and read on the media every day, today? There is also a warning. A harder rain is going to fall. Is it a nuclear war releasing destructive radiations that will sweep everyone and everything away, a virus causing a global pandemic that won’t be stopped and will continue to kill or a violent hurricane due to climate change and pollution? We’d love to think this rain is purifying water, so strong to wash away all the evils and bring about a new regeneration. A strong storm followed by a raimbow, a message of hope and trust in mankind. We’d love to think the Master of Peace will have the last word over the Prophet of War


La malattia da 10 centesimi Marika Morabito 5F

Dubbio, curiosità, ricerca. L’uomo dubita, teme di perdere il controllo della realtà che lo circonda. Cerca stabilità, vuole ottenere conoscenze certe e sistematiche ... Ma in che modo? L’uomo si interroga e formula delle ipotesi. La mente compie delle “analisi” e “scompone”, seguendo l’etimologia greca del termine “anàlysis”. L’intelletto divide per poi ricostruire l’ordine razionale. E’ questo il compito della ricerca scientifica, da sempre alleata della curiosità umana. Uno dei primi esempi di coinvolgimento attivo della popolazione nel campo della ricerca risale al 1938, quando il presidente americano Roosevelt organizza la “March of Dimes” (un’iniziativa di raccolta fondi per finanziare questo settore). In tal modo le monetine da 10 centesimi (“dimes”) diventano il simbolo della lotta alla poliomielite. “La malattia da 10 centesimi” (Codice Edizioni, 2021) è un’opera di divulgazione scientifica. L’autrice Agnese Collino accompagna il lettore in un viaggio attraverso le fasi principali della lotta contro la poliomielite, mediante un linguaggio semplice e accessibile a tutti. Il testo non si limita ad una semplice elencazione di eventi, bensì li intreccia con testimonianze e notizie giornalistiche dell’epoca. La presenza, inoltre, all'interno del saggio, di testimonianze tratte da interviste a persone affette dalla malattia rende l'opera estremamente coinvolgente. Le vicende narrate, infatti, appassionano il lettore e facilitano i processi di immedesimazione. I collegamenti con l’attualità rivestono un ruolo di fondamentale importanza nel saggio di Agnese Collino. I temi trattati sono molteplici e spaziano dalla malattia in sé alla sindrome post-polio, dalla tutela dei disabili alla ricerca in senso più ampio. Quest’ultimo aspetto rappresenta la tesi centrale dell’opera. L’importanza del finanziamento della ricerca scientifica pervade le varie sezioni del libro, intersecando le tappe che hanno portato all’eradicazione della poliomielite. I protagonisti sono i ricercatori che si sono dedicati anima e corpo alla causa, mettendo in campo passione per il proprio mestiere e una grande forza di volontà. Il loro contributo è stato indispensabile e ancora oggi è necessario riconoscere i loro meriti. Partendo da Landsteiner (il quale ha identificato l’agente infettivo della polio), per poi passare ai vaccini di Salk e Sabin. La corsa al vaccino anti-polio fa pensare immediatamente all’attuale SARS-CoV-2. E’ possibile individuare analogie tra le due malattie, in particolare se si considera il ruolo dei media e delle testate giornalistiche, che molto spesso enfatizzano o sottovalutano il problema. Agnese Collino riporta una citazione di Olin, il quale nel 1954 disse:”I giornali spesso danno l’impressione che la battaglia sia già stata vinta. Questo semplicemente non è vero”. L’autrice mette in evidenza il ruolo avuto dall’incidente Cutter nella storia della medicina, affermando che “l’eccellenza dei vaccini moderni deriva [...] dalla tragedia che macchiò l’immagine del vaccino Salk” (capitolo 4, pagina 149). Si tratta di un’opera coinvolgente (a tratti drammatica), adatta per chiunque voglia conoscere i dettagli di una delle epidemie che ha influenzato maggiormente la nostra società. “La malattia da 10 centesimi” è un libro da leggere con attenzione, ponendosi l’obiettivo di individuarne i collegamenti con l’attualità, poiché il passato non deve essere dimenticato e ci fornisce la chiave di lettura del presente.

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La strada Francesco Valentini 2D

Dati editoriali: Cormac McCarthy, La strada,Torino, Einaudi, 2010. Genere e sottogenere: Romanzo di fantascienza post apocalittica. Notizie sull’autore: Cormac McCarthy nasce a Providence il 20 luglio 1933 ed è uno scrittore, drammaturgo e sceneggiatore statunitense. Ha frequentato una scuola cattolica, poi è entrato all'Università e nel 1953 si è arruolato nell'esercito, dove è rimasto per quattro anni. Nel 1957 ha ripreso gli studi universitari durante i quali ha iniziato a scrivere alcuni suoi racconti. Nel 2007 ha pubblicato la sua ultima opera narrativa, La strada, che prosegue nello stile dei romanzi anni Novanta, ma con un'ambientazione fantascientifico-catastrofica. L’opera è stata vincitrice del Premio Pulitzer per la narrativa e nel 2009 da questo romanzo è stato realizzato il film, intitolato The Road. La storia è ambientata in uno scenario post-apocalittico, in un mondo freddo, inospitale e privo di qualsiasi forma di vita. I personaggi del romanzo sono i pochi sopravvissuti in seguito ad una catastrofe, tra cui i due protagonisti: un uomo e un bambino, padre e figlio, che viaggiano su una lunga strada in direzione dell’oceano attraverso le rovine di un mondo ridotto a cenere. La descrizione della strada ricorre nell’intero racconto e da essa il romanzo prende il nome. Padre e figlio camminano sulla strada in cerca di un luogo migliore spingendo un carrello del supermercato nel quale tengono i loro pochi averi: il cibo che riescono a rimediare nei pochi edifici non del tutto saccheggiati, un telo di plastica per ripararsi dalla pioggia e una pistola con cui difendersi da chi cerca di derubarli o addirittura di ucciderli. Al termine del racconto il padre si spegne tra le braccia del figlio, che nella disperazione lo ringrazia per averlo sempre protetto. Infine, preso da un sentimento di speranza, il bambino si aggrega a nuove comunità di sopravvissuti, nelle quali un rinnovato senso di civiltà e di convivenza sembra farsi debolmente strada. Il narratore della storia è esterno, il ritmo della narrazione è molto lento e sono presenti numerose sequenze descrittive molto dettagliate. Le sequenze narrative, invece sono spesso caratterizzate dal discorso diretto libero e i dialoghi tra i personaggi sono serrati. Il racconto segue la struttura dell’intreccio infatti sono presenti anche flashback e anticipazioni. Il linguaggio è a volte semplice e quotidiano, altre volte presenta termini specifici. Nella narrazione inoltre ricorrono espressioni e immagini crude utilizzate per descrivere una realtà tragica. Apocalittico e surreale, il romanzo riesce a catturare il lettore, pur avendo una trama estremamente scarna. I due protagonisti rappresentano sentimenti contrastanti: il padre rappresenta la disperazione, il rancore e la rabbia; il bambino, invece, la paura, l’ingenuità e la generosità. Il loro principale motivo di contrasto, infatti, è il rifiuto del padre ad aiutare gli altri sopravvissuti che incontrano sulla strada, atteggiamento non accettato dal figlio che vorrebbe sempre manifestare carità e compassione nei loro confronti. Il messaggio che l’autore vuole evidenziare è che in un mondo che sembra non avere più niente da offrire, solo l’apertura agli altri può permettere di andare avanti e sperare ancora. “La strada” è un romanzo molto particolare, che mostra un mondo senza vita e per questo angosciante, ma l’autore, grazie alla sua sorprendente abilità, riesce a rendere il romanzo accattivante. Durante la lettura spesso ho immaginato gli ambienti descritti e il rapporto di amore e fiducia tra padre e figlio. Con questo romanzo McCarthy riesce a farci apprezzare e rispettare il mondo in cui viviamo, avendo sempre fiducia nella famiglia e non arrendendoci di fronte alle difficoltà affinché esse non spengano mai la speranza.

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Norwegian Wood: storia di adolescenza, amicizia e disperazione Cristian Mucci 2D

Titolo: Norwegian Wood/Tokyo Blues Autore: Haruki Murakami Anno di pubblicazione: 1987 Casa editrice: Einaudi Super ET

Murakami Haruki nato a Kyoto nel 1949 è uno scrittore, traduttore e accademico giapponese. Gli sono stati attribuiti diversi premi, grazie ai suoi libri tra i quali Norwegian Wood che ha portato l’autore ad essere tradotto in più di cinquanta lingue. Fin dall’ adolescenza nutrì una forte passione sia per la scrittura che per la lettura. La sua giovinezza fu costituita da alti e bassi, infatti lasciò per un anno l’università e si diede alla musica, altra sua passione oltre a quella della scrittura che lo ha reso famoso ed apprezzato in tutto il mondo. In Norwegian Wood veniamo catapultati fin da subito in un mondo che non ci appartiene: culture diverse e scene ambientate in anni passati. Lo stile di Murakami in Norwegian Wood è crudo, sincero, personale; è quello di un uomo che parla delle sue tragiche avventure giovanili, malinconicamente, all’età di 37 anni circa. Le scene sono descritte maniacalmente bene, tanto da farci tuffare negli anni ‘70 di una Tokio che riprende vita grazie alle parole e ad una colonna sonora che possiamo solo immaginare, quella della canzone “Norvegia Wood” scritta e cantata dai Beatles. Toru, conosciuto come Watanabe, vive la sua bellissima vita da liceale diciassettenne insieme al suo unico amico Kizuki. La loro amicizia è fatta di divertimento ed uscite, alle quali prende parte anche la ragazza di Kizuki, Naoko, che instaura un ottimo rapporto di complicità con il protagonista. Con l’immotivato e misterioso suicidio del migliore amico Kizuki, Watanabe si ritrova sommerso dall’ombra e dalla solitudine e perde i contatti anche con la ragazza Naoko. Il destino o semplicemente la fortuna li porterà a rincontrarsi nella metro ed è da qui che i due cominciano a conoscersi e a provare qualcosa l’un per l’altro. Nel frattempo il protagonista inizia a vivere in un collegio e a frequentare l’università. Durante un pranzo incontra Midori, una ragazza che frequenta il suo stesso corso, ed è con lei che comincia a sentire il suo cuore diviso tra le due donne della sua vita: lei e Naoko. Le descrizioni sono molto minuziose ed ogni singolo dettaglio o fatto vengono riportati dallo scrittore, ma fanno la loro parte anche i dialoghi, in cui il protagonista si imbatte con i suoi coetanei in modo tale da offrirci un profilo emotivo molto dettagliato di ciascun personaggio. Il libro è molto scorrevole e pur essendo divenuto ormai un grande classico, adatto ad ogni età, resta anche un romanzo adolescenziale che riesce a coinvolgerci pienamente. Infine l’intreccio dei fatti lo rende un’opera avvincente, che sprona a proseguire rapidamente con la lettura e porta il lettore ad affezionarsi ai personaggi secondari forse più che al protagonista stesso.

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Cara presidenza del consiglio dei Ministri… Renata Trivilino 2D

Un ringraziamento speciale alla “Presidenza del Consiglio dei Ministri” per la fornitura alle scuole delle mascherine per “il contenimento e contrasto dell’ambiente epidemiologico COVID-19”. Ebbene, con quei bellissimi elasticoni da posizionare dietro la testa, che tirano indietro la mandibola e offrono nuove stravaganti capigliature, le mascherine fornite non sono esattamente un esempio di comodità. Non lo sono tantomeno i modelli più aggiornati, con spessi elastici da posizionare dietro le orecchie: accettabili, se si vuole assomigliare a Van Gogh. Insomma, tutti noi studenti finiamo per indossare mascherine da noi comprate piuttosto che quelle già pagate fornite dalla scuola. Ma allora a cosa servono le mascherine della Presidenza del Consiglio dei Ministri? Le prime volte ci era consentito non ritirarle ma sono poi divenute “obbligatorie”. A questo punto, si è dato spazio alla creatività! Esse possono essere utilizzate in ambito decorativo, ricreativo e non solo. Nei periodi di festa è sempre bello decorare gli spazi in cui viviamo ogni giorno. Un’opzione low cost, sono proprio queste mascherine! Si legano tra di loro tramite gli elastici e si ottengono fastosi festoni, che, in base alla festività, possono essere adeguatamente colorati per un ulteriore tocco di vivacità. Appesi ai muri, fanno la loro figura. Nei momenti di noia, invece, le mascherine, ancora impacchettate, rappresentano uno strumento adatto per ogni tipo di sport che comprenda un pallone, ma leggermente rivisitato. Si consiglia ai lettori di cimentarsi nel lancio delle mascherine (dall’originale lancio del giavellotto). Inoltre, i tessuti delle mascherine, grazie a una serie di esperimenti, sono risultati idonei alla pulizia di superfici, sostituendo i tradizionali Swiffer. Purtroppo però, non sono tanto qualificate per l’assorbimento di fluidi ma, in caso di mancanza di strumenti appositi, sono una discreta alternativa. In conclusione, si può dedurre che queste mascherine non siano esattamente utilizzate per il “contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID-19”, ma bisognerebbe riscriverne le istruzione per l’uso, annullarne la produzione per evitare lo spreco di denaro e risorse o magari produrre e fornire gratuitamente le classiche e comode mascherine che siamo costretti a comprare.

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Cruciverba su Dante e Manzoni Cristiana Di Matteo 4A

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