IL CANNOCCHIALE n.1 - Febbraio 22

Giornale del Liceo Scientifico "G. Galilei" di Lanciano - n.1 - febbraio 2022

Liceo Scientifico“Galileo Galilei”- Lanciano Il giornalino degli studenti ® Anno Scolastico 2021/2022

Chi siamo Correva l’anno 1969 quando il primo numero del Cannocchiale, periodico del Liceo Scientifico di Lanciano, andava in stampa grazie alla matrice di un vecchio ciclostile.

Riprendere da lì vuole essere un tributo alla storia della nostra scuola e a quanto di buono le generazioni di studenti che sono passati tra i banchi del Galilei hanno lasciato in termini di idee, riflessioni, proposte. Il nuovo Cannocchiale si pone nel solco della continuità con il vecchio, al quale rubiamo non solo il nome ed il logo ma anche lo spirito del dialogo aperto, del confronto costruttivo, del rapporto sinergico che c’era, c’è e ci auguriamo sempre resti tra gli alunni ed i loro docenti.

Il giornale si modernizza. Cambiano il canale di diffusione e la veste grafica, cambiano i contributi degli studenti perché estremamente diverso il contesto storico, culturale ma anche scolastico di riferimento, ma non cambia l’entusiasmo di quanti hanno voluto e ancora vogliono testimoniare, anche in questo modo, la vivacità culturale che da sempre anima la vita del nostro Liceo.

Lo scorso anno si farà ricordare per lo stravolgimento delle nostre vite, quelle di tutti, a causa dell’epidemia di Covid che ha messo in ginocchio il mondo intero. La scuola ne è stata travolta in pieno. Insegnanti e studenti hanno fatto fronte comune per tentare di ricostruire quel briciolo di “normalità” che rendesse le giornate operose e salvaguardasse il nostro sentirci una “comunità”. Abbiamo attivato tutto il nostro ingegno e la nostra fantasia per sperimentare qualsiasi attività a distanza riuscisse a mantenere vivi i rapporti umani, costante l’impegno nello studio, proficuo lo scambio di idee.

Ce l’abbiamo messa tutta ma il Giornale d’Istituto, come tutti gli altri progetti, ha subito un’inevitabile battuta d’arresto. Quest’anno la redazione si avvale della collaborazione di un maggior numero di docenti e studenti che insieme intendono esprimere la medesima voglia di capire, leggere la realtà oltre la cortina fumosa delle ultime fake news, indagarla con la lucidità e lo spirito critico che la Scuola, quella vera, devono insegnare. Nella speranza che a questo numero faranno seguito molti altri, ringraziamo la Dirigente, i colleghi e gli studenti che hanno consentito al nostro progetto di riprendere il volo e al Cannocchiale di continuare a guardare lontano… la redazione

Redattori: • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

Giorgia Azzarà Maria Carmela Bianco Marta Caporrella Chiara Carlini Marco Cavallo Rossella Cefaratti Martina Ciancetta Mario Nicolò Cicchetti Matteo Colacioppo Marco D’addario Tommaso D'angelo Maria Di Camillo Mariella Di Lallo Sara Di Marcangelo Cristiana Di Matteo Nicola Di Rado Jessica Di Sciullo Maria Cristina D’orisio Enrico Esposito Nicole Gaeta Ivana Innamorati Benedetta Kamberaj Luna Marchetti Marika Morabito Giovanni Mubake Solima Nasuti Emanuela Recchia Simona Rollo Lorenza Sauro Denyse Scardapane Marco Seccia Libera Simone Valentino Stampone Maria Luisa Tiberio

Progetto grafico • Marco D’Addario • Luigi Impicciatore

Dai più deserti campi ai più affollati oceani Rossella Cefaratti, D’Addario Marco 5^F La solitudine racchiude in sé un ampio numero di signi cati. Troppo spesso si a da a questa parola un senso decisamente troppo semplice rispetto a quello che veramente ha.

Ri ettendoci anche solo un momento, si possono facilmente cogliere tutti i signi cati del termine.

Sarebbe troppo facile tentare di scappare dalla solitudine, con la convinzione che essa perseguiti l’uomo e goda nel vederlo contorcersi e disperarsi in una condizione solinga e abbandonata. La solitudine accorre, invece, in aiuto dell’uomo; si manifesta quando meno ce lo si aspetta e si pensa di averne bisogno permettendo all’uomo di servirsi di essa.

Il mirabile poeta Francesco Petrarca racconta ed esalta la solitudine molto più di quanto possa sembrare e molto prima di quanto si possa pensare. <<Solo et pensoso i più deserti campi vo mesurando a passi tardi et lenti,>> Con questo sonetto il poeta dona una connotazione positiva alla solitudine: egli intende utilizzarla per i suoi s c o p i e r i u s c i re c o s ì a scappare dalla triste realtà.

Tale riferimento ai versi di Petrarca vuole fungere da amo per poter tirar fuori da questo immenso mare di solitudine moderna, ciò che può rappresentare la salvezza, motivo di riscatto e ri essione, che sia in grado di rendere le nuove pronte al

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dialogo interiore e disponibili ad una pausa dalla tecnologia che li rende apparentemente meno soli...

E di fatto lo si è.

La pandemia di covid-19 ha portato alla ricerca di riparo non in una relazione sociale, oramai con nata nella monotonia e nell’abitudine, ma in ciò che per ognuno rappresenta un’ancora di salvezza.

(Raccontaci in queste poche righe cosa, ti ha aiutato a superare i di cili momenti che la pandemia ci ha messo di fronte : ....................................... ....... ........................................... . .............................................. .. ........................................…..)

Si è convinti di essere onnipresenti grazie alla tecnologia, simbolo ed emblema dell’essere soli con se stessi!

Mai come in questi anni solitudine e tecnologia hanno invaso la nostra quotidianità, fondendosi in un connubio confortevole ma allo stesso tempo drammatico, catalogando le nostre emozioni in una cronologia plasmata attraverso le immagini che tutti i giorni compaiono sui feed dei pericolosi social networks.

Nel momento in cui le abitudini umane sono state alterate da ciò che i notiziari, e i social ci hanno mostrato, l’uomo è stato aggredito dalla paura del contagio che porta a tenersi lontani dagli altri, favorendo dunque l’adattamento a situazioni negative.

Siamo ora immersi in queste acque buie e profonde, dove l’uomo è stato calato contro la propria volontà a combattere un nemico invisibile che ondeggia insieme a noi.

Come un banco di pesci migra verso condizioni migliori per la propria esistenza, allo stesso modo gli uomini soggetti a un numero di minacce tali da richiedere l'adozione di strategie mirate alla loro tutela, devono "migrare" verso una condizione migliore di vita.

Siamo pienamente consapevoli di star vivendo un periodo non facile.

In questo avvilente periodo di pandemia, l'uomo ha riscoperto in sé nuovi bisogni che no a questo momento sembravano essere ovvi, tuttavia è proprio questa banalità ciò che li rende indispensabili.

“Quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno.”

Madre Teresa di Calcutta

Imparare dagli errori Maria Di Camillo 4^D

Sono molte le domande che ci poniamo in continuazione, ma tu ti sei mai chiesto che cos’è l’errore? Qualcuno prima di noi l’ha fatto, fisici, filosofi e matematici, ma non sono sicura che siano arrivati a delle conclusioni. Forse però è sbagliato domandarsi “cos’è l’errore”, dovremmo invece chiederci “perché sbagliamo?” In fisica l l’errore viene definito come un’incertezza, ottenendo così valori non esatti. La filosofia invece lo intende come un qualcosa di falso che appare vero o il contrario. Molti dei più grandi personaggi dell’antichità hanno commesso degli errori.

Gorgia e Protagora, ad esempio, credevano rispettivamente che tutto fosse falso o vero e furono poi criticati da Platone e Aristotele perché se così fosse, che motivo ci sarebbe di discutere? Io credo che nella vita tutto ha importanza, anche la cosa che all’apparenza ci sembra insignificante ha un valore. L’errore è importante per un semplice motivo: ci fa crescere. Non dobbiamo preoccuparci di sbagliare, anzi dobbiamo commettere errori, tanti, il più possibile. Più commettiamo errori, più cresciamo. E’ qui che viene la parte interessante, ovvero la nostra capacità di capire dove abbiamo sbagliato e saper rimediare. Ti sei mai chiesto quanto tempo perdi a pensare se agire o meno, quando l’unica cosa che ti blocca è la paura di sbagliare?

Quanto tempo sprechi a pensare all’errore commesso invece di preoccuparti di trovare una soluzione? La mente umana è contorta e caotica per questo motivo non potrà mai agire con chiarezza, senza sbagliare. Tu credi che se quella volta non avessi sbagliato, probabilmente le cose sarebbero andate bene o comunque in modo diverso e che saresti stato felice.

E’ questo quello che credi?

La verità è che se non avessi commesso quegli errori non avresti mai imparato nulla di nuovo e soprattutto non saresti la persona che sei oggi. Siamo esseri imperfetti e dobbiamo essere comprensivi nei confronti di chi sbaglia.

Tutti possono cadere in errore e non è giusto essere giudicati per l’unica cosa sbagliata. A volte, forse, invece di andare avanti è bene fare un passo indietro, capire cosa c’è che non va e cercare di aggiustare le cose. Molte volte siamo così presi dal nostro grande sbaglio che pensiamo subito che sia la fine del mondo, che non c’è alcun rimedio, così arriviamo al punto di non provare neanche a rimediare perché crediamo che non ci sia più nulla da fare. Il fatto è che noi abbiamo bisogno di sbagliare per capire chi siamo, altrimenti siamo destinati a percorrere sempre lo stesso anello che non ha né un inizio, né una fine. Bisogna ogni tanto buttarsi e lasciare che le cose vadano da sole, senza avere il timore di fare un passo falso perché non sappiamo cosa ci aspetta. Ogni esperienza ha qualcosa da insegnarci e noi dobbiamo essere bravi a capire cosa. E’ proprio da quest’ultima, dai nostri errori e cosa abbiamo imparato da essi che foggiamo il nostro carattere.

Bisogna rischiare pur sapendo a cosa andiamo incontro. Può sembrare una cosa insensata, lo so, ma sarebbe ancora più sciocco non provarci per timore. La paura, talvolta, indica quanto teniamo a qualcosa o a qualcuno, ma dobbiamo avere la consapevolezza che dentro ognuno di noi ci sarà sempre qualcosa di più importante della paura, a seconda delle persone. Non si può sempre fare la cosa giusta. Dobbiamo essere coraggiosi e saper rischiare per poter vivere a pieno la nostra vita.

Questo non ci deve far paura perché non è errato errare, possiamo sempre rimediare.

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Emozioni meccaniche “Can’t Help Myself” (Sun Yugn, Peng Yu) esempio di arte cinetica Solima Nasuti 4^G “Lo scopo principale dell’arte non è semplicemente farti pensare? Penso che il problema principale di molte persone che visitano le gallerie d’arte sia che trattano l’osservazione di un’opera d’arte come fare la la per incontrare una persona famosa.”

– Alain de Botton

È possibile individuare il concetto esatto che la parola “arte” mira a designare? Essa permette l’esaltazione della bellezza di quel cosiddetto “sfondo” delle nostre vite.

Utilizzata per raccontare e ricordare. La sua manifestazione avviene attraverso molteplici mezzi. Otteniamo, così, svariati prodotti.

Eppure, ad oggi, mi chiedo come sia possibile per l’uomo creare dal nulla (o quasi) un qualcosa di confuso e marcato, de nirlo “opera d’arte”, e riuscire ad emozionare?

Come può una costruzione arti ciale, un’accozzaglia di bulloni e metalli, generare turbamento in noi stessi?

Nel 2019, Sun Yugn e Peng Yu presentavano alla Biennale di Venezia Can’t Help Myself: un liquido viscoso rosso, un braccio robotico che cerca di contenere quel simil sangue, stringendolo a sé.

Si muove: compie 32 manovre, gira su sé stesso, imbratta il vetro che lo circonda, disonora quel pavimento un tempo bianco brillante. E ancora, non si ferma. La macchina continua a muoversi in nitamente, compiendo gli stessi movimenti. Le componenti meccaniche battono quando incontrano una super cie, producendo un gran rumore. Sembrano urlare. Sembrano chiedere conforto.

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Adesso si mostra invecchiata: meno sciolta, più lenta, lascia scorgere diverse rughe color ruggine. Forse è stanca. Si muove ancora.

Nel 2016 si destreggiava con naturalezza, sembrava pensare di poter gestire, risolvere e pulire quello sporco disastro; ora sembra aver realizzato che tutto quello sforzo è inutile. Si dispera nel cercare di sistemare il disordine; nisce per macchiarsi del uido nero, ormai parte di sé.

Prova a tenere il controllo, ma ciò la sta portando ad un’autodistruzione.

“Can’t Help Myself è un'opera provocatoria e intrigante, tocca molti temi contemporanei che sono urgenti nel contesto urbano, non solo per le sue caratteristiche materiali, ma anche per il suo messaggio concettuale e socio-politico.”

– il curatore Xiaoyu Weng Vi sono diverse interpretazioni, derivate da pensieri limitati. Del resto, non è questa l’intenzione?

Si tratta di una macchina, la cui natura non permette di percepire emozioni e ad essa non importa di star ripetendo lo stesso compito più e più volte perché è l’unico motivo per cui è stata concepita. Ma, poiché noi siamo umani e trasciniamo tutto in una prospettiva umana, non solo la rapportiamo alla nostra vita, ma proviamo un senso di tristezza nei suoi confronti.

La compatiamo, vorremmo aiutarla. Speriamo in un blackout per poterle concedere un po’ di riposo. È meravigliosa l’empatia che l’uomo dimostra nei confronti di un mero oggetto incapace di provare alcunché. È la dimostrazione di quanto, in realtà, all’essere umano importi degli altri esseri (animati e non).

Per alcuni, è il ritratto della dipendenza: per quanto si cerchi di mettere ordine ed uscire da quel giro, non vi si riesce. È troppo dura. Per altri, è semplicemente il provare ad essere perfetti, nendo con l’accettare i propri errori ed essere costretti a convivere con essi, facendo del proprio meglio.

Fatica di Sisifo, ecco il lavoro che compie. Vano sacri cio. Nulla.

“Pressoché tutte le installazioni di Sun Yuan e Peng Yu hanno lo scopo di suscitare meraviglia e tensione nel pubblico, e il gesto di guardare (talvolta sbirciare) compiuto dai singoli spettatori è un elemento costitutivo delle loro opere più recenti, che spesso prevedono la messa in scena di spettacoli che evocano un senso di minaccia”.

– catalogo della Biennale d’arte 2019 Can’t Help Myself : continuamente raccogliere pezzi di te stesso che, piano piano, stanno cadendo uno ad uno, mentre tutti gli altri guardano e ti usano come pura forma d’intrattenimento. È come guardare un animale in gabbia, con il quale i visitatori interagiscono.

Non vi sono porte, è impossibile uscire, nessuno scampo.

La Biennale, così come ogni galleria, diventa zoo di specie rare. È possibile liberarle soltanto guardandole?

L’opera ha un lato quasi terri cante, provoca una sorta di fastidio, generando inquietudine e preoccupazione.

Se tutti credono che un’artista produca un manufatto per presentarlo ad un pubblico, Sun Yugn e Peng Yu dimostrano di non necessitare di questo, a ermando che lo stesso creatore è il primo spettatore. Questo è quanto basta.

Nonostante ciò, esso assume valore solo mediante l’ammirazione altrui.

Ma cosa fa di una sovrapposizione di pennellate, di un masso di marmo o, in questo caso, di un oggetto di fabbrica, un’opera d’arte? Quali caratteristiche deve possedere? Qual è il passo successivo? È solo una macchina. Lo è no a quando non la si comprende. Quando essa si fermerà, il mondo otterrà una nuova interpretazione, forse più profonda.

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DA TENNISTA A TENNISTA Enrico Esposito, Marco Seccia 3^I

Con la diffusa e preoccupante situazione pandemica, in tutto il mondo sono state imposte diverse restrizioni che variano da Stato a Stato. In questo contesto si inserisce il caso Djokovic, tennista serbo numero uno al mondo, respinto in Australia dove avrebbe dovuto partecipare all’Australian open, uno dei quattro grandi slam, nonché uno dei tornei di tennis più prestigiosi al mondo.

Il campione, infatti, non ha assolto l’obbligo vaccinale previsto per chi proviene dall’estero nel paese australiano. Punto di partenza di questa analisi è sicuramente la difesa della scienza e l’assoluta fiducia nei vaccini come strumento di difesa nei confronti di un virus letale, ma il nostro obiettivo è quello di commentare la modalità di gestione di un caso del genere che ha fatto scalpore in tutto il mondo. Le regole parlano chiaro, rules are rules Mister Djokovic: per entrare in Australia è obbligatorio il vaccino anti-Covid, quindi la discussione sull’ingresso di un non vaccinato, anche se tennista conosciuto a livello planetario, non dovrebbe neanche sussistere. Ma anche le regole presentano delle eccezioni: un contagio e un’avvenuta guarigione negli ultimi sei mesi, una reazione avversa ad una prima dose del vaccino, una allergia a qualche sua componente o un’altra condizione ostativa documentabile. Anche la diffusione del virus potrebbe attenuarsi nell’atmosfera della calda estate australiana caratterizzata da temperature elevate.

Ma quale dei suindicati motivi ha potuto riguardare Djokovic? Lui da’ inizio alla diatriba con il governo australiano sostenendo il primo motivo, ovvero un contagio avvenuto nei sei mesi precedenti, così asserisce nel mese di dicembre; è con questa motivazione che riesce a vincere la prima sentenza,

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che temporaneamente ribalta la volontà di non farlo entrare nello Stato, garantendogli la possibilità di allenarsi e di partecipare alle gare.

Nel frattempo la vicenda è diventata chiacchieratissima, e non sono mancati dubbi sulla veridicità o meno dei documenti medici presentati dal giocatore, sulla coerenza di quest’ultimo, dato che nei giorni in cui dichiara di essere stato positivo appare in due eventi avvenuti in diverse parti del mondo; si contesta anche l’aver d i ff u s o q u e s t a p o t e n z i a l e giustificazione in ritardo, insomma una marea di confusione, il tutto in attesa della decisione finale del Ministro, che alla fine ribalta nuovamente la sentenza precedente rispedendo il tennista a casa. Cosa rimane dopo tutta questa bufera mediatica? A nostro parere, di tennisti appassionati ed agonisti, il campione serbo ha davvero rischiato molto se in possesso di false certificazioni o rilasciando false dichiarazioni.

Un gran polverone per poi non ottenere nulla, anzi solo un grosso danno di immagine ed economico. E’ difficile pensare a tante azioni dettate da ingenuità, proprio lui che è seguito dai migliori avvocati e manager esistenti.

L’unica posizione possibile è quella di affidarci alla competenza del Governo australiano e della sua sbandierata volontà di tutelare i propri cittadini provati fortemente da tanti mesi di restrizioni e lockdown. Chissà se la vicenda può ritenersi conclusa… e chissa’ se la diffusione del virus si attenuerà nell’atmosfera della calda estate australiana, caratterizzata da temperature elevate. Per ora un saluto e buon Australian open a tutti!!

Il fiore del deserto Marika Morabito 5^F Il deserto è solo una distesa di sabbia. Si scorge appena una gura lontana, enigmatica, ignota. Attraversa con pazienza e perseveranza l’arido cammino della vita, abbassa il capo e osserva.

Scorge alcune crepe sotto i propri piedi, ma procede a passo lento e costante...

“Solo et pensoso”, lo descriverebbe Petrarca.

Non c’è altro.

Si ferma solo per un attimo e si accorge di una piccola macchia pallida, che spunta da una delle crepe. “Forse c’è vita anche nel deserto”, pensa il viandante. Si stro na gli occhi con le dita e cerca di capire cosa sia... Si tratta della ginestra, piccolo ore con la forza di una quercia s e c o l a re . L a g i n e s t r a osserva, annota, ricorda.

Rinasce dalle ceneri infeconde, come l’Araba Fenice fa con le proprie.

Senza paura riparte da zero, non si cura di ciò che la circonda. Cresce traendo nutrimento anche dal negativo, trova il bene nel male.

Questo “fior gentile”, definito tale da Leopardi, è l’allegoria dell’umanità, la quale si affanna costantemente a cercare qualcosa che non avrà mai totalmente. Il poeta le dedica una canzone libera, collocata nella raccolta dei “Canti” e più in particolare nella terza fase della sua produzione poetica (dal 1831 al 1837).

Il componimento si apre con l’invocazione alla ginestra, presentata come un piccolo fiore spuntato sulle pendici del Vesuvio.

Leopardi le chiede di spargere i cespugli solitari per abbellire lo scenario desolato. Finalmente la rinascita si fa spazio nella distruzione, il “fiore del deserto” si adagia nel dolore ed emana un profumo consolatore. Distrugge la superbia e cerca di rendere l’uomo più consapevole dei propri limiti. La natura è indifferente e non si accorge delle sorti dell’umanità (“non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. [...] se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei.”, Dialogo della Natura e di un Islandese, G. Leopardi).

Il “Secol superbo e sciocco”, abbandonando la ragione, si è adagiato sul conforto delle illusioni e si è condannato alla sofferenza eterna.

L’uomo deve agire come la ginestra, la quale non si sottrae alla propria sorte e vive dignitosamente. È un messaggio di solidarietà, da seguire con impegno e dedizione.

Ormai è buio. La figura ignota ha sollevato il capo, come la ginestra. Ha superato le sue paure, le sue incertezze. Guarda il cielo stellato e scorge la luna. E probabilmente il viandante assomiglia un po’ al pastore errante, che nel frattempo (da qualche parte nel mondo) si sta interrogando sul senso della vita e sul destino dell’uomo... “Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai Silenziosa luna?”.

E mentre la ginestra si prepara alla distruzione imminente, l’uomo deve trovare il coraggio di distruggere le illusioni e agire con razionalità.

L’Universo non è stato creato per l’uomo, all’uomo nulla è dovuto. In fondo, è solo un granello di sabbia nel deserto.

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Assembramento di fake-news Martina Rullo 2^D

Nel 2021 anche in Italia è arrivata la connessione 5G grazie agli smartphone di ultima generazione. Un contributo importante è stato dato anche dai vaccini anti-covid... o meglio, questo è ciò che riferiscono le inconsapevoli vittime di fake news. Le false notizie non si sono mai diffuse tanto come negli ultimi anni ma un vero e proprio putiferio c’è stato con le manifestazioni no-vax.

Il 14 gennaio 2022 si sono recati 5 mila romani in piazza San Giovanni, per esprimere la disapprovazione al vaccino anti-covid. Le loro motivazioni sono tutte radicate nelle fake-news. La piazza traboccava di cartelloni contro un vaccino che modifica il DNA, fatale, connesso alla rete 5G. Dalle 16 di sabato, si è verificato un assembramento di persone prive di mascherina ma piene di fake news. Nessuna di loro riconoscerebbe di essere vittima di false notizie.

Bufale su bufale stanno consumando la società, e con i social network questo fenomeno è diventato inarrestabile.

I no-vax la paura l’hanno trovata tra le righe di un post di Facebook firmato a nome di un dottore che non esiste, o di un nutrizionista che ha avuto troppo diritto di parola. E ancora, alcuni medici hanno screditato la scienza stessa. Ma non hanno fatto altro che usare un linguaggio specifico per abbindolare i quattro ascoltatori della diretta Instagram. E questi, a loro volta, hanno diffuso notizie ancora più false, tralasciando particolari e inventandone altri. Forse non sanno che ora quei medici sono stati radiati dall’albo. Per non parlare degli infermieri che fingevano di somministrare il vaccino in cambio di soldi mentre tante persone avrebbero atteso molto tempo per vaccinarsi a causa delle dosi sprecate. E’ in questo modo che le fake news creano vittime.

Chi le sottovaluta non ipotizza la reazione che potrebbero avere sulle persone. Specialmente parlando di Covid-19, chiunque si lascerebbe andare ad un minimo di angoscia. E a quel punto ci si dimentica di documentarsi, e istintivamente ci si rivolge alle persone più vicine e fidate. Se in preda al panico o alla rabbia l’amico, disinformato anche lui, aggiunge carne alla brace, la situazione si aggrava.

In piazza, chi era convinto della dannosità del vaccino si è voluto fidare di chi lo riteneva radioattivo, e insieme hanno dato vita al vaccino dei film fantascientifici.

Eppure a tanti di loro non è mancata la preparazione scolastica o l’accessibilità alle fonti veritiere.

Le false notizie circolano in tutta la società, e rendono vittime anche le menti più brillanti.

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La speranza in una stanza Marta Caporrella 3^I

17/03/2021

Quasi un anno dopo

Era un venerdì di Febbraio, mi ritrovai da quel momento per ben 13 giorni chiusa dentro la mia camera, senza veder nessuno se non in videochiamata tramite telefono. Mi è mancato tutto e tutti, anche le minime cose che prima per me erano scontate. Niente più famiglia, niente più amici, niente sport preferito, il nuoto un vero trauma! Grazie alla tecnologia, passavo l’intera giornata dal computer al telefono e dal telefono al computer, era l’unica cosa possibile in alternativa al girarmi i pollici. Quelle piccole azioni che erano scontatissime erano venute a mancare, come per esempio cenare con la mia famiglia, farmi coccolare, discutere con mio fratello. ‘Eravamo felici e non lo sapevamo’: questa frase mi rimbombava nella testa. Già, perché quando tutto sembrava normale, non si apprezzava ed ora era proprio quella normalità che mi mancava da morire.

Fortunatamente quella mia leggera positività al Covid-19 si trasformava giorno per giorno in una più marcata positività alla vita.

Mia mamma da dietro la porta formulava la solita frase: ‘Marta come stai? Il naso è chiuso? Le gambe ti fanno male?’ Io mi sentivo bene e forte. Avevo il mio bagno personale, il mio balconcino dove prendevo il sole quando era possibile e la mia stanza nel pomeriggio si trasformava in una palestra.

Quindi il computer e il telefono dopo soli due giorni erano buttati sulla scrivania. In quei giorni, ho riflettuto molto sul mio sport e non ho mai mollato gettando la spugna a terra. La mia mente azionava le mie braccia, le mie gambe e quello sforzo fisico mi dava sempre più adrenalina nel continuare il mio allenamento. Quella vasca piena di cloro era sostituita dalle gocce del sudore che uscivano dalla mia pelle. Questa solitudine improvvisamente mi rendeva più forte e sicura nell’affrontare le difficoltà che la vita ci riserva.

Dalle grandi ferite si vien fuori più vincenti...sempre!

E’ passato un anno da quando ho scritto questo testo. Oggi forse non sarei capace di trasmettere quei sentimenti. Lì è venuta fuori la mia vena poetica...Era tutto così incerto, tutto così strano, perché nessuno sapeva cosa stesse davvero accadendo. Oggi, invece, siamo diventati tutti “esperti”: vaccini, tamponi, green pass... Tutti virologi. Dopo un anno quella speranza, quell’emozione e quel coraggio si sono trasformati in rabbia, delusione, amarezza e angoscia. Nonostante i vaccini e i green pass, le nostre giornate sono ancora troppo dominate da questa brutta “bestia”.

Al terzo anno di liceo ho ancora timore ad avvicinarmi al mio compagno di banco.

Ho scelto quest’indirizzo (sportivo) perché dovevano esserci tanti progetti (nuoto, tennis, settimana bianca), ho dovuto “lottare” con i miei genitori per convincerli che non li avrei delusi e che stavo facendo la scelta giusta. E invece, col senno di poi... Noi siamo stati i più penalizzati, perché quelle attività prevedono il contatto e così sono rimasta chiusa, ahimè, nel cassetto dei desideri. Oggi prego Dio di concedermi la forza ed il coraggio di poter ancora sperare in un mondo “migliore” e di essere POSITIVA (questa volta) per tutto il resto della mia vita!

“La camera di Vincent ad Arles”

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IL CORONAVIRUS E I VIDEOGIOCHI: COSA E’ CAMBIATO? Giovanni Mubake 3^F

Il coronavirus e le limitazioni a esso collegate stanno cambiando, tanto e in fretta, anche il settore dell’intrattenimento. Si va da contesti evidentemente negativi (i cinema chiusi) a settori e aziende che, almeno per ora, stanno beneficiando del fatto che tantissime persone stanno a casa più tempo del solito. Un settore dell’intrattenimento che sta di certo beneficiando molto delle restrizioni dovute al coronavirus è quello dei videogiochi.

Ne ha parlato di recente l’analista e investitore Matthew Ball, molto apprezzato nel settore e già da tempo particolarmente attento a raccontare quel che succede nel settore dei videogiochi.

1.La crescita dei videogiochi Il primo punto dell’analisi di Ball riguarda, semplicemente, la notevole crescita che l’industria dei videogiochi ha avuto negli ultimi anni. Per dargli una misura, basta qualche dato: è stato calcolato che nel 2019 siano stati spesi in videogiochi circa 120 miliardi di dollari, quasi quattro volte più rispetto a 15 anni fa, e quasi il triplo degli incassi che nel 2019 hanno avuto i cinema di tutto il mondo.

Diversi giochi, soprattutto quelli online come Fortnite, sono vicini ai 100 milioni di utenti che ci giocano almeno una volta al mese e ai miliardi di ore complessive spese ogni anno ai videogiochi vanno aggiunte le tantissime ore – tra i 100 e i 400 milioni di ore – passate dagli utenti a guardare qualcun altro giocare online (su YouTube o su altre piattaforme fatte apposta).

Tutto questo, scrive Ball, senza che il cinema o la televisione abbiano ancora saputo sfruttare bene la cosa: esistono videogiochi legati a film e film sui videogiochi, ma «Hollywood per ora non ha elaborato una chiara strategia per entrare nel settore dei videogiochi».

Diversi dati, di diversa provenienza e riferiti a diversi paesi mostrano che nelle settimane di quarantena c’è stato un considerevole aumento del tempo e del traffico internet dedicati ai videogiochi, negli Stati Uniti ma anche in Italia. Secondo Ball i vantaggi dei videogiochi sono soprattutto due: non c’è un limite massimo di ore possibili passate a giocare a molti videogiochi (una serie tv, invece, prima o poi finisce) e i videogiochi online permettono di cooperare o comunque interagire con altri: oltre a far passare il tempo, colmano anche l’assenza o la scarsità di interazioni sociali. A tutto questo va aggiunto il fatto che i settori tradizionalmente in competizione con quello dei videogiochi stanno risentendo molto delle conseguenze del coronavirus. Per i videogiochi quindi, ci potrebbero essere più utenti, con più tempo e con ancora meno alternative per il loro intrattenimento. «Il coronavirus», ha scritto Ball «non farà altro che aumentare la crescita di un settore che era già in marcia verso il trono».

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2. Nuove piattaforme di gioco Per anni, per giocare ai videogiochi servivano apposite piattaforme o console come il GameBoy o la PlayStation. Un ostacolo non da poco, anche perché creava differenze e barriere tra i giocatori di una console e quelli di un’altra (e a volte anche i giochi erano diversi): come se chi ha un iPhone non potesse chiamare chi ha uno smartphone Android. Negli anni Dieci di questo secolo le cose sono cambiate, grazie anche a un rilevante contributo in tal senso da parte dei giochi per smartphone, che quasi sempre potevano essere giocati su qualsiasi sistema operativo.

Fortnite torna comodo come esempio, perché può essere giocato sia con uno smartphone che con una PlayStation, senza che l’esperienza di gioco cambi granché.

In più, le difficoltà da superare per giocarci sono bassissime. «Gioca gratis ora», scrive il sito del gioco: se decideste ora di smettere di leggere questo articolo e giocare a Fortnite, potreste ritrovarvi a farlo in pochissimi minuti. Fino a qualche anno fa per giocare a un videogioco avreste dovuto andare a cercare un negozio fisico per comprarlo.

Semplificando molto, i giochi (come Fortnite) sono quindi diventati molto più importanti delle piattaforme usate per accedervi. Secondo Ball l’aumento di giocatori delle ultime settimane e, con ogni probabilità, dei prossimi mesi, non farà altro che accelerare questo fenomeno. La spiega così: «Un giocatore che usa Xbox Live non smetterà di giocare a un gioco solo perché il server di Xbox smette di funzionare [magari per via dei troppi utenti collegati]. Semplicemente, prenderà il suo iPad, il Nintendo Switch o il PC 3. Gli eSport Sebbene finiscano poco nei radar e nei discorsi di quelli che non se ne occupano, i videogiochi giocati a livello professionistico – con tornei, premi, idoli, contratti e spettatori – sono un fenomeno sempre più rilevante. «Nonostante molte false partenze, alcuni singhiozzi e grandi aspettative non sempre mantenute», scrive Ball, «gli eSport continuano a crescere». Nel 2019 hanno avuto entrate per oltre un miliardo di dollari, i premi dei tornei più importanti sfioravano i 35 milioni di dollari, e la Coppa del Mondo di Fortnite è stata vista online da più di due milioni di spettatori.

Non ci vuole molto per intuire che mentre crescono i videogiochi e mentre praticamente non ci sono più veri eventi sportivi, gli eSport sono destinati a crescere ancora, perché sebbene fossero diventati addirittura un evento da seguire dal vivo davanti a decine di migliaia di tifosi, possono comunque svolgersi anche solo online.

Al punto che anche i veri sport stanno già provando a salire sul carro: la NASCAR ha trasmesso in diretta tv una gara simulata (con 35 piloti seduti dentro i simulatori, che praticamente si sfidavano in un videogioco) e cose simili le stanno facendo anche la Formula 1 e persino il ciclismo, che tradizionalmente non è il più innovativo degli sport.

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Non ci vuole molto per intuire che mentre crescono i videogiochi e mentre praticamente non ci sono più veri eventi sportivi, gli eSport sono destinati a crescere ancora, perché sebbene fossero diventati addirittura un evento da seguire dal vivo davanti a decine di migliaia di tifosi, possono comunque svolgersi anche solo online. Al punto che anche i veri sport stanno già provando a salire sul carro: la NASCAR ha trasmesso in diretta tv una gara simulata (con 35 piloti seduti dentro i simulatori, che praticamente si sfidavano in un videogioco) e cose simili le stanno facendo anche la Formula 1 e persino il ciclismo, che tradizionalmente non è il più innovativo degli sport.

Ball suggerisce che altri mesi senza sport o con poco sport non farebbero altro che aprire sempre più spazi agli eSport e ai sostituti digitali dei veri sport, finendo per legittimare sempre più questo settore. Tra l’altro, già prima del coronavirus, diverse leghe e squadre di diversi sport, europei e americani (soprattutto americani), avevano dimostrato qualche interesse negli eSport. E molto interesse verso gli eSport lo stanno dimostrando anche gli scommettitori, ora che non ci sono più veri sport su cui scommettere.

Bisogna comunque tenere conto di alcune differenze: mentre una gara digitale di Formula 1 può essere graficamente molto appagante e facile da capire (ha le stesse regole e dinamiche di una gara di Formula 1), non si può dire lo stesso per una partita di un videogioco complicato come League of Legends. Dall’altra parte, mentre la Formula 1 digitale deve competere con la Formula 1 reale, non esiste la versione reale di League of Legends.

4. I videogiochi comprati online Qui la questione è piuttosto semplice. Così come per molti altri settori, già da più di un decennio i videogiochi stanno passando dalle copie siche, comprate nei negozi, ai download digitali che non richiedono di uscire di casa.

Steam, la famosa piattaforma per acquistare e scaricare giochi da internet, esiste dal 2003, e ovviamente sono digitali tutti i giochi degli smartphone, che nel 2019 hanno portato ricavi per oltre 64 miliardi di euro (più della metà dell’intero settore dei videogiochi). Ma le copie siche sono comunque molte più di quelle che tanti potrebbero pensare: nel 2019, per esempio, circa un gioco su due per PlayStation è stato venduto su un disco, non scaricato tramite internet.

Sebbene non ci siano dati, è evidente che il coronavirus porterà molte persone a comprare su internet quello che no a qualche mese fa continuavano a comprare in un negozio. Secondo Ball, «il 2020 incentiverà questa transizione portando le percentuali a livelli che invece erano attesi per il 2022 o addirittura il 2023». Non è una buona notizia per i negozi di videogiochi.

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5. I giochi che non sono solo giochi Storicamente, i videogiochi sono stati un’attività prevalentemente solitaria. Si poteva andare in sala giochi con gli amici e si poteva giocare a Fifa con i propri cugini, ma molti giochi erano fatti per essere giocati da soli.

Anche qui le cose stanno cambiando da qualche anno e tanti videogiochi sono diventati ormai piattaforme che stimolano l’incontro e la collaborazione tra utenti: «L’obiettivo di Fortnite: Battle Royale può anche essere di uccidere tutti i rivali» scrive Ball, «ma chi ci gioca lo fa per passare del tempo con gli amici». Diversi videogiochi sono ormai diventati degli spazi che possono contenere e comprendere attività ed esperienze tra loro molto diverse e dentro ai videogiochi ci sono stati concerti, sono stati proiettati film e sono stati creati casinò. E anche senza socializzare dentro a un videogioco si può per esempio farlo seguendo altri videogiocatori su piattaforme come Twitch.

Le prospettive per sfruttare i videogiochi e chi ci gioca per produrre e offrire svariate altre attività sono tante, ma si può dire, semplicemente, che anche da questo punto di vista il coronavirus probabilmente finirà per velocizzare un processo già in atto, che non ha a che fare solo con i videogiochi ma anche con le svariate possibilità di replicare o quantomeno provare a ricreare online attività ed esperienze reali: una riunione di lavoro, un concerto o una cerimonia di laurea.

6. I videogiochi possono adattarsi Una forza dei videogiochi e delle serie di videogiochi degli ultimi anni è la loro capacità di adattarsi ed evolversi in base alle diverse piattaforme, in risposta alle nuove e più potenti tecnologie e, soprattutto, per evitare di restare sempre uguali finendo con l’annoiare chi ci gioca. Il coronavirus sta rendendo e renderà la vita difficile anche a chi programma videogiochi, ma Ball spiega che, almeno finora, un gioco come Fortnite – che è fatto di stagioni e continui aggiornamenti – è riuscito a continuare a cambiare, a rendersi ogni volta un po’ diverso dalla volta prima. È presto per dire se e come potranno uscire nuovi videogiochi se in gran parte del mondo resteranno in vigore le attuali restrizioni, ma si può dire che i videogiochi sono un prodotto che si presta meglio a essere modificato anche in un contesto come quello attuale. La casa di carta, una delle più popolari serie tv di Netflix, una volta girata e messa online, è finita; per fare una nuova stagione servono mobilitazioni diverse di quelle necessarie a fare una nuova stagione di Fortnite, che si può teoricamente fare anche con programmatori che lavorano tutti o quasi da remoto.

E comunque, spiega Ball, l’aumento degli utenti che stanno provando o proveranno certi videogiochi farà sì che, quando nel mondo le cose torneranno più o meno alla normalità, diverse società di videogiochi si troveranno con molti soldi da investire e una base di utenti probabilmente accresciuta.

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7. Lo spazio per i più piccoli Generalmente, chi si avvicina a una piattaforma nuova o a un nuovo settore lo fa provando qualcosa di importante e noto. Nel caso dei videogiochi, chi inizia da zero o riprende dopo anni, tenderà quindi a provare titoli famosi e di successo: perché portato a pensare che, se ci giocano in tanto, sono i migliori e perché, banalmente, sono i soli che conosce.

Ball spiega però che ci sono motivi di credere che anche i videogiochi più piccoli e “indipendenti” potranno trovare il loro spazio. Questo perché, spiega sempre Ball, già da prima del coronavirus alcuni giochi venivano ormai venduti a pacchetto (non si compra un solo gioco, se ne comprano diversi tutti insieme) e un po’ perché – di nuovo – più tempo si ha a disposizione e più tempo ci sarà perché, almeno qualcuno, butti l’occhio a qualche novità o a qualche gioco magari meno famoso. E potrebbe capitare quindi che qualche gioco meno famoso possa trovare più spazio del solito, facendo magari la fortuna di qualche azienda.

Infine...

A tutte queste considerazioni ne vanno aggiunte altre, molto basilari, sul fatto che così come gran parte dell’intrattenimento anche i videogiochi sono uno svago, un’attività extra. Finché ci sono soldi, ce li si può permettere. Quando, magari per via di una recessione causata dal coronavirus, i soldi dovessero essere meno, non tutti vorrebbero e potrebbero dedicare tempo e soldi ai videogiochi. E se è vero che molti videogiochi possono essere gratuiti è anche vero che, come altri prodotti dell’intrattenimento, meglio sta una società e più ci sono spazio, tempo e risorse perché tante persone abbiano tempo e voglia di dedicarsi a cose come i videogiochi.

Christian Gaeta 4A

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Ritratto di una solitudine pandemica Martina Ciancetta 5^D

È stato un po’ come cadere nel baratro, in In sostanza però, cosa ci ha insegnato un abisso lungo due anni e chissà quanto questo perdere le persone? Ci ha ancora. È stato un momento di mutismo, consegnato tra le mani unicamente la determinato con forza da mascherine sui paura della solitudine o ha messo nel visi e schermi di computer. In due anni pacchetto regalo anche un briciolo di possono cambiare tante cose, se poi ci consapevolezza di quanto siano in realtà aggiungiamo quarantene varie e situazioni fondamentali i rapporti umani? Perché di cui avremmo potuto leggere nei migliori siamo sempre tutti spaventati dalla romanzi distopici o post-apocalittici, è solitudine, poi però viviamo abbandonati a inevitabile un completo ribaltamento noi stessi, troppo immersi nella nostra dell’umanità, soprattutto di ciò che ci rende misantropia per ammettere che abbiamo umani e che, da sempre, si evolve più di bisogno degli altri per essere vivi. ogni altra cosa: i rapporti interpersonali e Senza gli altri cosa ci rimarrebbe oggi? Un pacchetto di mascherine e un flacone di con il mondo intero. gel disinfettante per le mani. La Ci siamo ritrovati chiusi in pandemia ci ha lasciato tante piccole bolle isolate e quest’amara eredità, e non è paradossalmente unite da detto che non possa fili tanto sottili da essere prendere altro, quindi serve talvolta impercettibili, un po’ di coraggio, per abbiamo perso il contatto risanare le crepe dei rapporti, visivo, quello puro, e il per rafforzare i fili tra le bolle, contatto fisico, quello che ci per chiamarci più spesso, per rende veri, reali. sentire la voce ovattata e un Siamo stati sbalzati in una po’ metallica al di là dei realtà a cui di reale era telefoni, la voce che per mesi rimasto ben poco e siamo è stata l’ultima briciola rimasti intrappolati in Illustrazione di Sandy @sancarts rimasta di vita vecchia, di rapporti virtuali che amicizia. potevamo arbitrariamente È arrivato il momento di scegliere di troncare premendo pochi tasti, perché tanto rendersi conto di quanto sia importante la comunicazione faccia a faccia, occhi negli eravamo già spariti per metà.

Ecco cos’eravamo, mezzi corpi, busti fatti occhi, perché ci è stata rubata per così di pixel, bloccati in una terra virtuale in cui tanto tempo che ora sappiamo comunicare era naturale vivere la propria vita nel solo se nascosti, solo se protetti. perimetro di quattro mura, e fare shopping È necessario tornare ad essere vivi, ma da lì, mangiare da lì, lavorare e andare a non dipende solo dal mondo, dai governi e dalle varianti del virus, dipende soprattutto scuola da lì, andare al cinema e fare sport da noi. da lì.

Della vecchia vita erano rimaste fuori solo Travolti dai cambiamenti, siamo cambiati le altre persone, la parte più importante, anche noi. quella che determina il nostro esistere nel È arrivato il tempo di riprendere per mano mondo, tramite il meccanismo di reciproco gli altri, per salvare quel poco che resta di noi, abbandonato in piccole razioni riconoscimento, sconnesse, lasciate lontane dal cuore. come le autocoscienze hegeliane.

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COVID 19: prove generali sui diritti Quanto il virus ha influenzato le nostre vite Scardapane Denyse, Marco D’Addario 5^F Come una vera e propria lente d’ingrandimento la situazione d’emergenza che stiamo vivendo nel settore sanitario e non solo, ha messo in luce alcune contraddizioni relative al rapporto tra i modelli di sviluppo e la vita concreta della popolazione mondiale.

Una via di uscita va cercata ancora una volta nella tutela e difesa dei diritti umani, nella salvaguardia dell’ambiente e dei beni comuni, nel sostegno alla ricerca scientifica.

Che sia questa la strada da percorrere lo conferma una recente ricerca promossa dalla società “Bird's Eye Review", che riporta la volontà radicata negli italiani di riprogettare

un paese che investa sull'economia sostenibile, incentivando i settori trasformativi come l'energia e la tecnologia a basse emissioni di carbonio.

Nessuno può assicurare che una tale prospettiva si realizzi di fatto nel postpandemia, ma è certo che gli italiani manifestano una grande voglia di cambiare profondamente i paradigmi dello sviluppo.

Tuttavia, ad oggi, possiamo affermare che la pandemia Covid-19 sta determinando un netto rallentamento verso l’attuazione degli obiettivi dell’Agenda 2030.

Da un'indagine condotta dalla Fondazione Eni Enrico Mattei è emerso come i Goal più impattati dall’emergenza siano l’1, “Povertà zero”, il 4, “Istruzione di qualità” e, soprattutto, il Goal 8, “Lavoro dignitoso e crescita economica”.

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Questo, a riprova di come la pandemia non abbia colpito solo l'ambito sanitario (Goal 3), ma soprattutto il campo economicosociale. Esiste però, in questo momento così drammatico, l’opportunità di “fare un passo indietro”, indirizzando il pianeta verso una nuova coesione sociale nell'ottica di una sostenibilità integrata.

Questi aspetti sono quelli che più toccano noi adolescenti, esposti in prima fila alle

ripercussioni umane ed etiche che la pandemia ha portato con sé.

Siamo stati privati della possibilità di vedere il mondo cambiare e crescere con esso, siamo stati privati del contatto e della quotidianità, dei rapporti, delle esperienze, della condivisione ma soprattutto il Covid-19 ci ha trattenuti con la forza su una sedia e costretti ad imparare in solitudine, con l’unica prospettiva davanti ai nostri occhi dello schermo di un computer. La realtà è che quando abbiamo avuto il coraggio di alzare lo sguardo dalla ormai consueta postazione di studio, ci siamo resi conto di quanto siano stati violati i nostri diritti di uomini e cittadini del mondo.

Viaggio nel mondo delle biotecnologie Marika Morabito 5^F

Il 27 dicembre 1822, in un piccolo paesino della Francia, nasce Louis Pasteur. All’età di circa trentacinque anni descrive i meccanismi che si trovano alla base della lievitazione e della fermentazione, ottenendo (qualche anno più tardi) la denominazione di “padre delle biotecnologie”. Ma ...

Cosa sono le biotecnologie?

Esse comprendono tutte le applicazioni tecnologiche che utilizzano sistemi biologici per realizzare prodotti e processi per usi specifici, che hanno come fine il miglioramento della società. Sebbene possano sembrare attuali, in realtà affondano le proprie radici nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo, in quanto utilizzano le ricerche sull’ereditarietà di Gregor Mendel e la scoperta della struttura del DNA ad opera di Watson e Crick. La scoperta più recente (risalente al 1973) è l’ingegneria genetica, la quale utilizza le innovative tecniche di editing genomico. La tecnologia che si occupa di questo aspetto è la CRISPR-Cas9, scoperta nel 2012 da E. Charpentier e J. A. Doudna, due ricercatrici francesi che nel 2020 hanno vinto il Nobel per la Chimica.

Questa tecnica si basa sul principio di complementarietà delle basi e sull’utilizzo dei geni Cas, i quali codificano enzimi che tagliano il DNA, svolgendo la funzione di “forbici molecolari”. Le biotecnologie sono divise in categorie in base ai numerosi campi di applicazione.

Le biotecnologie rosse: il futuro della “medicina di precisione” Le più importanti sono quelle rosse, che si riferiscono all’ambito medico, farmaceutico e veterinario. In particolare vengono utilizzate per curare le malattie genetiche mediante la terapia genica, che consiste nella sostituzione del gene che causa la malattia con un gene sano, inserendolo nei cromosomi mediante il capside di un virus. Uno degli esempi più attuali è il vaccino Pfizer contro il Sars-CoV-2, sviluppato in tempi rapidissimi grazie al costante sviluppo delle biotecnologie. Attualmente la ricerca si sta occupando della cura di malattie genetiche rare e dei tumori. Le biotecnologie permettono di ricorrere a una medicina di precisione, che viene “personalizzata” in base all’analisi genomica del malato. Quest’ultima può essere ottenuta in modo molto rapido, utilizzando sequenziatori automatici che, sfruttando la proprietà dell’appaiamento delle basi, restituiscono il filamento complementare permettendo di risalire a quello originale. Si tratta della tecnica della PCR, una sorta di “fotocopiatrice genica” ideata da Mullis nel 1983.

Un’ altra applicazione interessante è la batteriofago-terapia, che potrebbe permettere di superare l’antibiotico resistenza.

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Dal vaccino alle terapie oncologiche… prove d’orchestra?

Per quanto riguarda le terapie oncologiche, gli aspetti da esaminare sono molto estesi, dunque è molto più difficile trovare una soluzione che possa adattarsi alle varie tipologie e alle esigenze di ogni individuo. Attualmente è in sperimentazione un vaccino contro il cancro, che sarebbe fondamentale per prevenire e curare i tumori. Un frammento del gene del tumore viene inserito nella cellula prelevata dal paziente, il cui sistema immunitario provvederà alla produzione di anticorpi specifici che attaccheranno soltanto le cellule tumorali. Questo aspetto è stato illustrato da Giovanni Maga, direttore del Laboratorio di Virologia Molecolare presso l’Istituto di Genetica Molecolare del CNR, durante una videoconferenza con gli studenti del nostro liceo, dal titolo “Come le biotecnologie riscrivono il libro della vita”. Nel suo libro “Batteri spazzini e virus che curano” Maga sottolinea l’importanza della ricerca e presenta il tema molto discusso delle cellule staminali. Tra i diversi tipi di staminali, quelle embrionali sono le più indifferenziate, ma sono anche quelle che causano più problematiche etiche. Per eliminare questo problema, i ricercatori hanno creato le cellule iPS (staminali pluripotenti indotte), che danno la possibilità di utilizzare una qualsiasi cellula per ottenere cellule staminali. Il problema è sempre lo stesso, ovvero il passaggio al letto del paziente. La ricerca deve superare la cosiddetta “valle della morte”, prima di raggiungere la sperimentazione clinica.

Il corpo umano è tanto complesso quanto affascinante. Circa il 50% del nostro DNA è di origine virale, ma non mancano elementi di origine batterica. Infatti i geni che codificano per alcune proteine mitocondriali provengono dai batteri. Questo processo è avvenuto gradualmente grazie allo scambio di geni tra i batteri, che avviene sia verticalmente (tra la cellula madre e la cellula figlia) che orizzontalmente (tra specie diverse). Essi inoltre si servono dei plasmidi, piccole molecole di DNA circolare che vengono utilizzate come “vettori” per il clonaggio dei geni. L’informazione genetica, inserita nel plasmide, passa all’interno di un batterio in seguito ad una sorta di elettroshock. L’origine virale del DNA umano dimostra che in fondo siamo tutti degli OGM!

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Le biotecnologie verdi: gli OGM A questo proposito, ci si può immediatamente collegare alle biotecnologie verdi, che riguardano le applicazioni nell’agricoltura. Con queste tecniche si può ottenere il mais Bt, in cui viene inserito il Bacillus thuringiensis che lo rende resistente ad un particolare tipo di batterio. Attualmente viene utilizzato soltanto per la produzione di mangimi, dato che in Italia non si può coltivare. Le polemiche su questo tema sono numerose, soprattutto se si considerano le applicazioni in campo alimentare. Basti pensare che in realtà anche l’attuale mais, partendo dal teosinte (una pianta erbacea tipica del Messico), ha subito mutazioni geniche nel corso dei secoli.

“Curare” l’ambiente con le biotecnologie Un ruolo fondamentale è attribuito alle biotecnologie grigie, per l’ambiente e lo sviluppo sostenibile. I batteri contengono dei trasposoni che presentano dei canali che assorbono i metalli pesanti. Essi, se fissati su una matrice, formano dei biofiltri che possono essere utilizzati per purificare le acque. Inoltre, aggiungendo un gene che li rende fluorescenti, essi vengono individuati molto più facilmente.

In conclusione ...

Le biotecnologie hanno moltissimi pregi, ma hanno anche degli aspetti negativi.

Esse potrebbero essere utilizzate per creare armi biologiche e rischiano di aumentare il divario tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Tuttavia bisogna riconoscere che rivestono un ruolo di fondamentale importanza per il miglioramento delle coltivazioni, per aumentare la biodiversità, per creare farmaci “su misura” e per studiare biocomputer in grado di combattere i tumori. È importante che il loro utilizzo venga regolamentato e controllato e che vengano organizzate campagne di sensibilizzazione per quanto riguarda questi temi. Molto spesso si parla di argomenti sui quali non si è abbastanza informati e si rischia di prendere decisioni sbagliate.

La disinformazione causa inconsapevolezza, l’informazione ci rende liberi.

BIBLIOGRAFIA: G. MAGA, Batteri spazzini e virus che curano, Zanichelli, Bologna, 2016 G. MAGA, Occhio ai virus (seconda edizione), Zanichelli, Bologna, 2021

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Benvenuti sui social network Klaudja Kamberaj 2^D

“Siamo tutti collegati a Internet, come i neuroni in un cervello gigante”. E’ un’affermazione di Stephen Hawking, cosmologo, astrofisico e matematico britannico scomparso nel 2018.

Viviamo da sempre in una società o meglio, per definizione, in un insieme organizzato di individui che condividono degli interessi.

E come meglio vengono condivisi questi interessi se non attraverso i social network?

A partire dagli anni Settanta, le tecnologie dell’informazione hanno fortemente condizionato gli aspetti caratteriali della nostra società. Oggigiorno infatti i social network sono parte della vita di tutti, o quasi, e non solo dei giovani ma anche delle generazioni adulte.

Quel signore anziano che vi critica per strada perché state sul cellulare? Ebbene sì, molto probabilmente quel signore ha un iPhone di ultima generazione e manda foto dei suoi nipotini ai suoi amici di briscola, oppure le carica su Facebook.

Il problema non è più tra essere o non essere, né tra essere o apparire, ma tra connettersi e non connettersi e soprattutto come connettersi. Ai nostri giorni quindi, cinicamente, si misura il tempo in connessioni, in status, hashtag e tweet.

Realtà alquanto triste, ma veritiera.

Si pensa, quindi, che per far parte della società in cui viviamo non serva altro che caricare video su Tik Tok o fare programmi televisivi come “Al passo con i Kardashian” oppure la sua brutta copia “The Ferragnez”. Pertanto si è privi di originalità e nello stesso tempo inglobati in questa specie di “diario anarchico” dove ognuno comunica la propria opinione senza limiti.

L’abuso dei social comporta delle conseguenze però, come l’ansia sociale, la dipendenza, il cyberbullismo, il furto di identità, la perdita della personalità e le fake news che possono nuocere a un individuo sia fisicamente che mentalmente. Problemi riscontrati soprattutto nelle generazioni più giovani poiché prive della supervisione dei genitori, occupati a guardare, magari, “C’è posta per te”.

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Non si può negare certo il fatto che i social network sono stati molto utili negli ultimi tempi di pandemia in cui il contatto fisico era addirittura illegale, e non possiamo nemmeno dimenticare la loro capacità di farci comunicare in modo più veloce. Si è riusciti a rimanere in rapporto con i propri cari, a svolgere le attività, scolastiche o lavorative, e anche ad informarsi su avvenimenti “importantissimi” come “L’uomo più ricco del mondo vuole andare sulla Luna.” oppure “No vax in centro.” o addirittura “Ma Billie Eilish è razzista?”, e tutto questo grazie alla semplicità d’uso dei social.

La comune nostalgia dei vecchi tempi della “disconnessione” serve a poco e niente e sembra quasi un’ ipocrisia poiché non si può negare il presente ma si può decidere come viverlo, e a quanto pare abbiamo scelto tutti di andare a vedere i post di Kendall Jenner su Instagram.

Questi sono i social network, un mondo virtuale tutto per voi. Buon proseguimento allora e “lasciate ogni speranza,voi ch’entrate”.

Lia Della Penna 2^E

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James Webb space telescope: una finestra sugli albori universo Tommaso d’Angelo 5^B

Il 25 dicembre 2021, dallo spazioporto di Arianespace a Kourou nella Guiana Francese, è stato lanciato nello spazio il telescopio James Webb. Arrivato a destinazione il 24 gennaio 2022, a circa 1,5 milioni di chilometri dalla Terra, sarà pronto per le prime osservazioni tra circa 160 giorni. Grandi aspettative vengono riposte sul più grande e sofisticato telescopio di tutti i tempi che consentirà di fare un salto quasi incredibile nel tempo e osservare, oggi, l'origine della vita, dei pianeti, delle stelle, dei buchi neri e delle galassie.

Il cielo, fin dagli albori dell’umanità, è stato oggetto di desiderio e di timore, un’entità fissa, immutabile e imperscrutabile che per millenni è rimasta al di fuori dell’umana comprensione. Il desiderio di conoscenza, indissolubilmente legato al terrore dell’ignoto, ha alimentato la ricerca e lo studio della natura.

Il più grande limite che per millenni ha ostacolato uno studio approfondito della volta celeste è stata la mancanza di uno strumento capace di andare oltre la nostra vista che per molto tempo è stato l’unico mezzo per poter osservare gli astri. La mancanza degli strumenti e di una mentalità scientifica ha portato l’investigazione celeste a cercare inconsapevolmente un legame tra cielo e terra, ma anche tra dio (in cielo) e uomo.

Sicuramente i tre strumenti fondamentali che hanno consentito delle vere e proprie rivoluzioni nella ricerca astronomica sono state il cannocchiale volto al cielo da Galilei, il telescopio Hubble negli anni ’90 e il James Webb costruito ai limiti delle possibilità tecnologiche attuali.

La rivoluzione astronomica, iniziata con Copernico, non sarebbe potuta avvenire senza l’uso che Galileo Galilei fece del cannocchiale (Fig.1). Questo già di per sé è una manifestazione dell’importanza assunta dagli strumenti di osservazione nel corso della rivoluzione scientifica. Tali strumenti si rivelarono subito decisivi non solo per l’osservazione, ma anche per il loro valore sperimentale e saranno la base della ricerca scientifica e delle osservazioni spaziali del futuro.

Andando avanti nel tempo le osservazioni spaziali hanno cercato di guardare sempre più lontano, ma hanno incontrato, oltre agli ostacoli tecnologici, quello insormontabile, dell’atmosfera.

Quindi per ovviare a questo problema prima sono stati lanciati satelliti con palloni areostatici nelle zone alte dell’atmosfera, poi i telescopi sono stati portati nell’orbita terreste bassa ovvero “un'orbita attorno alla Terra di altitudine compresa tra l'atmosfera e le fasce di van Allen”.

Il telescopio spaziale più importante fino al 25 dicembre del 2021 è stato il telescopio Hubble lanciato in orbita nel 1990 ed è ancora dopo 30 anni operativo. Nonostante questo non sia stato il primo telescopio spaziale mai lanciato, è stato uno dei più grandi e versatili. Questo telescopio ha uno specchio di 2,4 metri di diametro e cinque strumenti principali che osservano la radiazione vicino l’ultravioletto, nel visibile e nel vicino infrarosso. L’orbita in cui è stato posizionato lo pone al di fuori della distorsione dell’atmosfera terrestre e questa

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caratteristica gli permette di ottenere immagini a risoluzione estremamente elevata di corpi celesti distanti addirittura oltre 12 miliardi di anni luce (Fig. 2).

Cosa ci riserva invece il James Webb telescope?

Gli scienziati che lo hanno progettato e realizzato hanno come obiettivo quello di “osservare la prima luce dell’universo, l’evoluzione delle prime galassie e la nascita di stelle e pianeti”. Grazie a questo telescopio potremo osservare corpi celesti lontanissimi dalla Terra. Questo ci dà la possibilità di poter acquisire informazioni sulle origini dell’universo perché i raggi luminosi che giungono al telescopio sono stati emessi miliardi di anni fa e, essendo la velocità luce finita, osserviamo tali corpi come erano alle origini.

Le innovazioni rispetto ad Hubble sono innumerevoli la prima è la dimensione dello specchio primario di 6,5 metri che offre la possibilità di studiare lunghezze d’onda nella banda infrarossa. C’è, poi, anche la presenza di un ampio scudo termico per il mantenimento di una temperatura molto bassa, per bloccare le interferenze da sorgenti di calore come il Sole.

Lo specchio primario, però a differenza di Hubble è costituito da 18 specchi esagonali (Fig. 3) che si dispiegheranno dopo il lancio formando un'unica e grande superfice di raccolta. Si consideri che questo telescopio è più grande del razzo che lo ha lanciato quindi l’escamotage tecnologico è stato fondamentale per la sua messa in orbita. Un punto importantissimo è che il James Webb possa osservare la radiazione infrarossa. Perché è stato costruito un telescopio ad infrarossi?

Studiare i raggi infrarossi consente lo studio di oggetti e di regioni dello spazio altrimenti oscurate dai gas e dalle polveri nello spettro visibile. La polvere cosmica e i gas delle nubi interstellari sono, infatti, un limite per i telescopi ottici spaziali. Inoltre, essendo l’universo stesso in espansione i corpi celesti si allontanano, e questo fa sì che la frequenza della luce emessa tra tali corpi arrivi a noi ridotta (in gergo red shift).

Le nubi molecolari feconde di formazioni stellari, i dischi proto-planetari e i nuclei delle galassie attive sono relativamente freddi quindi emettono radiazioni prevalentemente nell’infrarosso e studiabili solo attraverso un telescopio sensibile a queste frequenze della luce.

Le aspettative sono entusiasmanti, ma la riuscita di questi grandi progetti spaziali non è scontata. Speriamo che tutto andrà al meglio e che il James Webb telescope possa inviarci delle immagini spettacolari e che la ricerca sul nostro universo possa essere feconda.

Importanti pagine di libri verranno ri-scritte... aspettiamo trepidanti.

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Microchip: l’effetto domino sul mondo intero Jessica Di Sciullo 5^F

Ultimamente stiamo assistendo ad una crisi mondiale di microchip. Anche molte aziende del nostro territorio ne sono state travolte subendo un blocco produttivo per carenza dei microchip, materia prima indispensabile per le componenti elettroniche di smartphone, tablet, computer, automobili e altri mezzi di locomozione, elettrodomestici, televisori, forni, lavatrici, sistemi di domotica, robot, sistemi missilistici. Insomma, praticamente qualsiasi oggetto prodotto recentemente che contenga dell'elettronica funziona grazie ai microchip.

La Foxconn, la più grande azienda al mondo per la produzione di apparecchi tecnologici che lavora per giganti come Apple, Samsung, Microsoft, ha già stimato un calo produttivo di almeno 10% nell'ultima parte del 2021.

Ma cosa si intende per microchip e a cosa servono?

Microchip è il termine generico con cui si identificano i cosiddetti circuiti integrati. Si tratta di circuiti elettronici miniaturizzati composti da poche unità fino a centinaia di milioni di componenti elettronici come transistor, diodi, condensatori, posizionati su un supporto, una piastrina, con tecniche e sistemi super avanzati. Sono i costituenti base dell'elettronica di vario tipo, spesso indicati dai media come semiconduttori: sia i componenti di circuiti integrati sia le piastrine, praticamente i supporti, sono realizzati con materiali semiconduttori, ossia materiali con una conducibilità elettrica inferiore a quella dei materiali conduttori ma superiore a quella dei materiali isolanti. Il silicio, spesso opportunamente drogato, è il semiconduttore largamente più famoso e più usato nell'industria elettronica.

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Geopolitica dei microchip Quando parliamo di silicio non possiamo non menzionare la Silicon Valley (Valle del silicio), situata in California. La conosciamo perché è stata, e in parte è ancora, sede di alcune delle più grandi aziende multinazionali del mondo. Ma la sua fortuna è dovuta proprio al fatto che, a partire dagli anni 60, nacquero e si svilupparono nella zona un grande numero di aziende dedite alla lavorazione di semiconduttori, alla produzione di microchip, da cui nacquero tutte le altre aziende e multinazionali successive. A quei tempi 1/3 dei microchip del mondo veniva prodotto nella Silicon Valley oggi, invece, come abbiamo detto il primato spetta aTaiwan. Anche se quest’ultima ha una quota di mercato decisamente più rilevante, rivali di Taiwan, ci sono la Corea del Sud e soprattutto Samsung Electronics l'unica, insieme al gigante taiwanese, capace di produrre su larga scala microchip inferiori a 5 nanometri. In misura minore, sia in termini di quantità che qualità, troviamo la Cina.

Ma perché si è verificata questa crisi?

Questa mancanza di microchip è dovuta a diversi fattori. Innanzitutto, è stata sbagliata una stima sui volumi di vendita di automobili e sistemi elettronici.

Con la pandemia però, e qui ricordiamo Dad, smartworking, la richiesta è aumentata notevolmente. Inoltre, il rispetto delle norme di sicurezza ha sicuramente rallentato la produzione.

Altra causa è la siccità degli ultimi decenni. L’acqua ha un ruolo fondamentale perché viene utilizzata in tutto il processo di realizzazione dei chip. Cambi climatici, richiesta di materie prime, maggiori garanzie sui luoghi di lavoro e il Covid-19 hanno messo in crisi un sistema di produzione globale che, forse, ci chiede di rivedere i modelli di sviluppo troppo poco attenti ai diritti del pianeta e degli uomini finora portati avanti e che apparivano inoppugnabili.

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Studiare la letteratura con Dante UN VIAGGIO TRA REALTÀ & TRASCENDENZA Mariacristina D’Orisio 3^H Attualmente, soprattutto tra i banchi di scuola, si discute molto riguardo all’attualità ed al messaggio che i grandi poeti classici e medievali continuano a trasmettere ancora oggi grazie alle loro opere.

In occasione del settecentesimo anniversario di morte del celebre poeta Dante Alighieri, il Ministero dei beni culturali ha istituito un anno dantesco per rendere omaggio al sommo poeta e, allo stesso tempo, per avvicinare i giovani alla lettura dei suoi capolavori. Leggendo le sue opere e ripercorrendo la sua vita, possiamo rivivere parte della nostra storia italiana, dei nostri valori e della nostra attuale lingua.

Il settecentenario si è concluso per i licei G.Galilei e Vittorio Emanuele II di Lanciano, con l’intervento del professor Gianni Oliva, docente universitario e filologo della letteratura italiana, il quale afferma che Dante è un poeta “difficile” e complesso per dei ragazzi così giovani dati sia la differenza che intercorre tra la nostra lingua odierna (l’italiano) ed il volgare fiorentino usato dal poeta in molti suoi componimenti, sia l’ampio spazio temporale che si frappone tra un'epoca caratterizzata da gravi crisi sociali ed economiche, come il Trecento, e l’età contemporanea, che rendono sicuramente meno attuale o comunque non alla portata di tutti le sue opere.

Per questo occorre avere un approccio diretto con la realtà in cui viveva il poeta ed accostarci a lui come uomini del Medioevo.

Seppur ispirata da una visione negativa della realtà dovuta alle varie crisi che in quel momento affliggevano la città di Firenze, Dante scrive per il rinnovamento del mondo da compiere attraverso un viaggio trasversale ed allegorico nel quale inserisce fatti e personaggi storici in un disegno provvidenziale.

Facendo riferimento ad una situazione personale, ma che al tempo stesso riguarda l’intera umanità, Dante comincia la sua opera esprimendo una condizione di smarrimento ed infelicità dalla quale sembra non trovare via d’uscita.

Grazie all’utilizzo di analogie, al metodo anagogico ed all’attenta introspezione dei personaggi, il poeta riesce a donare all’opera sensi e significati più profondi travolgendo il lettore in una prospettiva a trecentosessanta gradi nella realtà storica e morale di quei tempi.

Un ultimo aspetto importante da considerare della vita di Dante è il suo legame che ha con la lingua italiana.

Nelle sue opere, infatti, rivendica l’importanza, la bellezza e l’autorità della lingua volgare innalzandola ad uno stile sublime adatto a trattare argomenti elevati ed importanti.

Per questo egli è considerato il padre della lingua italiana.

Il famoso poeta, seppur nato nella lontana Firenze nel 1265, grazie all’immensa passione per la poesia e alla sua “italianità”, conserva ancora attualità e fama in tutto il mondo ma soprattutto un posto nel cuore di chi legge le sue opere.

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Canto I Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura!

Tant’è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.

Io non so ben ridir com’i’ v’intrai, tant’era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai.

Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto, là dove terminava quella valle che m’avea di paura il cor compunto, guardai in alto, e vidi le sue spalle vestite già de’ raggi del pianeta che mena dritto altrui per ogne calle.

“Waiting for Singapore”: incontro con Domitilla Mandatori Sara Fioriti 4^G

Il giorno 25 novembre 2021 presso il Liceo Scientifico “G. Galilei” di Lanciano, insieme ad altre classi abbiamo partecipato all’incontro online con la Dott.ssa Domitilla Mandatori, ricercatrice all'Università D’Annunzio di Chieti, nell’ambito del progetto “Le frontiere della scienza tra innovazione e formazione”.

Il titolo dell’incontro “Waiting for Singapore” è dato dal viaggio, rimandato a causa delle restrizioni dovute alla pandemia da SARSCOV2, che la dottoressa Mandatori dovrà effettuare a scopo di ricerca e formazione presso il laboratorio di cellule staminali e di ingegneria tessutale della National University of Singapore per confermare la validità dei suoi studi sul riutilizzo del lenticolo corneale come biomateriale per veicolare un farmaco a livello oculare.

Domitilla Mandatori, abruzzese della provincia di L’Aquila, ricercatrice presso il dipartimento di Scienze dell’Invecchiamento e Medicina Traslazionale dell’Università di Chieti, ci ha raccontato di aver conseguito dapprima la Laurea Triennale in Biotecnologie presso l’Università Degli Studi di L’Aquila sullo studio del tessuto osseo e successivamente la Laurea Magistrale in Biotecnologie Mediche sull’analisi / esame delle cellule staminali. Dopo la Magistrale ha conseguito il Dottorato di Ricerca, fondendo così le sue due passioni nel valutare se le cellule staminali non differenziate, trattate con la vitamina K2, siano in grado di differenziarsi in cellule del tessuto osseo.

Successivamente ci ha spiegato di aver approfondito in laboratorio lo studio del lenticolo corneale ottenuto da operazioni di chirurgia refrattiva. Questo tessuto è infatti un tessuto di scarto che, combinato con particelle di NGF, può essere riutilizzato come terapia per trattare patologie dell’occhio prive di cura.

La grandiosità stessa di tale scoperta sta nel fatto che di consueto, il lenticolo corneale, essendo un tessuto di scarto, andrebbe eliminato, invece, in questo modo, viene impiegato in un’operazione nella quale non potrebbe essere sostituito da nessun altro biomateriale.

La giovane ricercatrice afferma: “Per me la cosa più bella della vita di laboratorio è che a volte, anche se rarissime volte, quando scopri effettivamente qualcosa, quella è la notte della scoperta, quando sei a letto e sei l’unica persona al mondo a sapere che c’è una nuova verità”.

E’ questa, quindi, un’ulteriore e forte testimonianza della possibilità per la donna di ricoprire ruoli fondamentali anche nel mondo della Scienza e della Ricerca.

Le parole della Dott.ssa Mandatori sono state per me fonte di ricchezza e ispirazione: io “come ragazza” ho rivisto in lei la donna che potrei diventare se coltiverò con passione e tenacia i miei sogni. Personalmente ho visto in lei la determinazione e la risolutezza che contraddistingue il genere femminile, per il quale è sicuramente riservato un posto nella Scienza.

Sicuramente è stata di incoraggiamento per tutti noi studenti dicendo che, se anche le “sconfitte” rappresenteranno il 90% del nostro cammino, le gioie e le soddisfazioni che caratterizzeranno il nostro percorso saranno in grado di ripagare tutti i nostri sacrifici.

NGF:Il fattore di crescita nervoso (FCN), o in inglese nerve growth factor (NGF), è una piccola proteina coinvolta nello sviluppo del sistema nervoso nei vertebrati, ed è composta da due unità di 118 aminoacidi.

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Come per una cane da caccia il tartufo Lorenza Sauro 3^E

Sarebbe indicato partire da “Ciò che Inferno non è”, un libro scritto da Alessandro D’Avenia e contenente una storia vera, quella del diciassettenne palermitano Federico il quale, appena terminata la scuola, nel pieno di una crisi emotiva, si presta ad aiutare 3P, il prete Don Pino Puglisi, nella sua parrocchia a Brancaccio: tale quartiere sarà fondamentale per il giovane poiché costituirà il luogo in cui egli incontrerà Lucia, ragazza della quale si innamorerà, ma al contempo in cui farà anche i conti con gli effetti che la mafia provoca quotidianamente in una realtà a lui, però, fino ad allora, rimasta sconosciuta. Viene, dunque, trattata con estrema attenzione la storia di un adolescente che, tentando di abbattere evidenti muri sociali, lotterà e combatterà per e con le persone a cui tiene di più, al fine di garantire loro, ma in primis anche a sé stesso, una vita migliore.

Il libro si concluderà con la crescita personale di Federico ed altri personaggi e con la morte di Don Pino, di un mafioso che aveva contribuito all’uccisione di quest’ultimo e di un bambino.

C’è da chiedersi, però, oltre all’aspetto formale ed alla trama, cos’è che rende questo libro così attuale e rilevante nella realtà in cui viviamo tutti i giorni.

Ovviamente i chiari riferimenti alla mafia, uno dei temi fondamentali sui quali l’autore si concentra: essa è, infatti, una questione molto discussa al giorno d’oggi e sulla quale si rincorrono opinioni assai differenti. Innanzitutto, dato oggettivo è che con tale termine si denota un’organizzazione criminale nata nei secoli precedenti in Sicilia e successivamente estesa al resto del mondo: oggi, probabilmente, tale istituzione è meno pericolosa di allora, ma non è da escludere la sua costante esistenza, date le conseguenze visibili a chiunque che essa provoca quotidianamente, soprattutto in zone come quella della città di Palermo, in particolare nel quartiere Brancaccio, quello citato nel libro. È evidente come tale fenomeno necessiti di essere combattuto ed abbattuto: spacci di droga, prostituzione e molti altri giri nei quali nessuno dovrebbe entrare, in particolar modo i bambini, sono loop, tunnel dei quali si conosce l’entrata ma non l’uscita, ammesso che ne esista una.

Non è facile per tutti opporsi a ciò, ma è necessario almeno provarci, seguire l’esempio e dare onore a martiri come Falcone e Borsellino che hanno lottato proprio per donare alle generazioni future il privilegio di non assistere a tale degrado sociale: persone come loro, infatti, sono state private della facoltà di decidere come morire, proprio perché avevano prontamente deciso come NON farlo, non con l’omertà, non con la corruzione, ma con la coscienza pulita e con la consapevolezza di aver fatto ciò che di giusto si poteva fare.

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Nonostante le vicissitudini, però, poi, come tutti ben sanno, non siano terminate positivamente, è stato fondamentale per tutti gli uomini quel grido, quell’urlo da parte di coloro che stufi erano di tutta la corruzione e la mala vita a cui assistevano quotidianamente. È necessario sottolineare, inoltre, come tale grido sia paragonabile ad un vero e proprio granello di sabbia: uno, infatti, non è sufficiente a creare un’intera spiaggia, ma se vi si aggiunge un secondo, un terzo e così via, se ognuno mettesse del suo e si impegnasse nel cambiare, allora si assisterebbe ad un enorme progresso.

C’è da analizzare, però, anche l’altra faccia della medaglia: e quelli che si trovano del giro? È facile per loro? Assolutamente no! I mafiosi, soprattutto i capi, sanno come agire, come muoversi: ricattano, feriscono e minacciano le loro prede e chiunque quest’ultime abbiano accanto, amino.

Basti pensare alle ragazze che, come Maria nel libro, si prostituiscono per mandare avanti la propria famiglia, a bambini ingenui alla ricerca di futili ricompense e a tutti quei padri che, magari, per proteggere la vita dei loro cari, vendono la propria anima: è necessario mettersi anche nei loro panni e cercare un metodo per aiutare tali persone, obbligate a vendersi poiché sprovviste di senso di protezione, di un’ autorità pronta a difenderli e battersi per loro, anche a costo di perdere la vita. Spesso, infatti, i primi ad essere corrotti ed inaffidabili sono gli stessi che, al contrario, dovrebbero garantire la sicurezza, a partire dagli enti minori allo Stato.

La ribellione, il cambiamento sono desideri e probabili soluzioni che nascono dal cuore e la mente di molti al fine di non rendere vani sacrifici come quelli del 23 maggio e 19 luglio 1992: inutile è, infatti, legarsi a Dio, al Fato e pregare che il giorno successivo sia migliore del precedente se, però, non si fa niente per rendere ciò che si vuole reale. Nulla cambia se gli uomini non sono i primi a volerlo e ad impegnarvisi: Dio non può fare miracoli, non ha la facoltà di penetrare nella mente di ognuno e plasmare le idee che vi trova all’interno. Bisogna avere fede, sì, ma negli uomini e in ciò che il proprio buon senso permette loro di fare.

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Come afferma anche Democrito, infatti, un filosofo appartenente al V/VI sec. A.C. (molto lontano, quindi, dal 2022), la figura di Dio nasce esclusivamente dalla paura dell’uomo di essere punito se non si comporta bene, timore che lo rende dunque, totalmente assoggettato a tale ideale e privo della capacità di trovare, autonomamente, la propria strada. Ognuno deve, infatti, tentando di non seguire tale logica, sapere come comportarsi per il proprio bene e quello degli altri non perchè mosso dalla paura ma utilizzando esclusivamente la propria ragione, mettendo in evidenza la propria interiorità senza, però, sfociare negli eccessi.

Ecco: la mafia nasce proprio dall’incapacità dell’uomo di riconoscere la presenza di tale eccesso ed evitarlo.

Un ruolo fondamentale in questo processo è ricoperto dalla cultura: a scuola, a casa, infatti, dovrebbe essere spontaneo discutere di ciò che accade quotidianamente nella propria e in altre realtà e, di conseguenza, sensibilizzare sin da piccoli i bambini e le bambine facendoli crescere, quindi, già da subito, con la consapevolezza di ciò che è giusto o meno fare, di quali situazioni evitare e non, di quali persone potersi fidare e da quali scappare. Un ragazzo informato, infatti, è molto più soggetto, rispetto ad un altro che non lo è, ad allontanarsi da situazioni potenzialmente pericolose ed avere il coraggio e la forza di confidarsi ed aprirsi con qualcuno, chiedere aiuto in caso ce ne fosse bisogno.

Inoltre, come scrive D’Avenia nel suo libro “nella città degli uomini smalti e macerie si sovrappongono, come paradiso e inferno. E mentre una madre dà una carezza a un bambino e uno sposo dà un bacio alla sua sposa, altri massacrano i volti, le schiene, le vite”: nelle città tutto ciò si ripete come un clichè. Tale citazione permette di comprendere come non si conosce affatto chiunque si abbia vicino ed, al contempo, anche quanta indifferenza ed ignoranza circolino nella società.

Nel libro stesso, tratto da una storia vera (e già questo fa riflettere), il protagonista è Federico, un diciassettenne palermitano il quale, una volta entrato CASUALMENTE a Brancaccio, non vuole più uscirne poiché catturato da tale realtà che, molte volte, illude: egli, infatti, è sempre stato chiuso nella sua bolla, dedito esclusivamente alla propria vita, privo di empatia confronti degli altri. Ognuno dovrebbe prendere tale personaggio come paradigma per sé stesso, soprattutto i più potenti che, ad esempio, potrebbero preoccuparsi di aiutare coloro che sono in difficoltà anziché aumentare la differenza di status presente già in ingente quantità nella società.

I mafiosi giocano proprio su questo: amplificano le debolezze di ognuno finchè la vittima non ne può più e rinuncia alla speranza di quel piccolo spiraglio di luce che magari l’avrebbe condotta ad una vita libera e migliore, lasciandosi completamente andare e cadendo negli inganni che le vengono prospettati ripetutamente. Bisogna, però, sebbene sia molto difficile, non cadere nelle trappole appoggiandosi alle gioie della propria vita, all’ideale di condurre un’esistenza onesta ed autentica: l’unica cosa che, dunque, può preservare dall’entrare in giri loschi è l’amore, per sé stessi innanzitutto, ma anche per coloro che si hanno intorno.

“C’è più amore nel rimettere insieme i frammenti che nel dare per scontata l’integrità di un vaso che, riparato, acquista un’inspiegabile bellezza, più simile alla vita”: l’unico modo, pertanto, di non finire frantumati come il vaso, è quello di curare le proprie ferite attraverso buone azioni e sentimenti che, oltre a riparare l’animo, permettono anche di mantenerlo integro e saldo ai propri valori. I mafiosi, infatti, sono come dei cani: fiutano le emozioni e le studiano, per loro la paura è come per un cane da caccia il tartufo e sta solo al proprietario di queste sensazioni non farsi trovare e divorare.

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Intervista ai nostri atleti di 3^I Marta Caporrella 3^I indirizzo sportivo

Ciao ragazzi, sono Marta Caporrella di 3°I e oggi siamo qui per intervistare i miei compagni di classe: Lorenzo Candeloro, nuotatore, che l'anno scorso è riuscito a vincere un titolo italiano e si è piazzato due volte secondo, sempre ai campionati italiani e Mattia Braccia giocatore del Pescara Calcio. Ma non dilunghiamoci troppo e parliamo con loro.

"Ciao ragazzi, parlateci un po' di voi e di cosa fate nella vita."

L-"Ciao a tutti, allora io nella vita principalmente sono uno studente, però accompagno il nuoto alla scuola. Iniziai a nuotare sin da piccolo perché avevo paura dell'acqua, poi crescendo decisi di provare a gareggiare e iniziai a capire che era lo sport giusto per me. Ultimamente il livello si sta alzando ed essendo un atleta determinato non voglio perdere. Giorno dopo giorno cerco di migliorarmi per vincere.”

M- “Salve a tutti, nella mia vita studio e pratico sport a livello professionistico.

Gioco a calcio dall’età di 6 anni, è una passione che è sempre stata dentro di me.

Sono nel Pescara Calcio dall’età di 9 anni: mi sono trovato molto bene in questo ambiente che mi ha aiutato a crescere molto, sia a livello fisico che psicologico.”

"Ci avete detto che lo sport ha un ruolo importante nella vostra vita: spiegateci perché."

L-"Sì, come ho detto prima lo sport è molto importante per me, perché occupa gran parte della mia vita da ormai 11 anni e poi mi dà molte soddisfazioni. Inoltre, facendo sport ho conosciuto persone fantastiche che mi hanno fatto diventare la persona e l'atleta che sono oggi".

M- “Lo sport nella mia vita ha un ruolo fondamentale perché mi ha portato ad una corretta formazione personale. Insegna ad avere uno stile di vita sano a 360 gradi, ad avere una mentalità competitiva e a superare gli ostacoli, analizzando le sconfitte per capire dove si può migliorare.”

"Quali sono le vostre paure?"

L-"La mia più grande paura, ovviamente in ambito sportivo, è quella di dover smettere un giorno contro la mia volontà e non poter mai più nuotare o praticare sport per motivi di salute".

M- “La mia paura in ambito sportivo è quello dell’infortunio, di dover smettere per un po’ di tempo a causa di problemi fisici. Ovviamente anche l’ansia da gara spesso si presenta prima di una partita, ma è uno stimolo fisiologico, che non ostacola, ma anzi spesso aiuta.”

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"Secondo voi, cosa serve per ambire a grandi traguardi?

L-"Sicuramente bisogna essere disposti a fare dei sacri ci e delle rinunce, come ad esempio non poter uscire con gli amici tutte le volte che si vuole, poi bisogna essere costanti e avere un giusto equilibrio emotivo, in ne è importante avere l'appoggio della propria famiglia che nel mio caso è stata determinante’’.

M- “La componente mentale e quella motivazionale sono fondamentali al raggiungimento di grandi obiettivi, al mantenimento di una concentrazione e di un focus costante e al superamento di quegli ostacoli che potrebbero presentarsi nella carriera di ogni sportivo. Per ambire a grandi traguardi dunque il sacri co, la voglia, la costanza e una sana alimentazione sono tutti ingredienti di cui non si può far a meno. Ma poi che soddisfazioni!

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Intervista alla classe 1^C Sara Di Marcangelo 1^C

1- Perché avete scelto questa scuola? Quali sono le vostre aspettative per il futuro? Cosa vorreste diventare?

La maggior parte degli alunni della classe 1 C sceglie il nostro liceo, spinti dalla voglia di approfondire le materie scientifiche. Nonostante ciò, dal sondaggio emerge che i ragazzi non hanno delle aspettative precise per il futuro. Fatta eccezione per il 2% della classe, che sogna di diventare medico o ingegnere meccanico, tutti gli altri non hanno un’idea chiara, sebbene sia opinione comune che questa scuola possa offrire scelte diversificate di studi universitari.

2- Il livello di difficoltà fino ad oggi incontrato rientra nelle aspettative passate? Vi sembra arduo mantenere un ritmo di studio adeguato? Pensate di riuscire a raggiungere gli obiettivi scolastici desiderati?

Il 70% degli intervistati si dice essere stato consapevole del livello di difficoltà di questa scuola, già nell’atto d’iscrizione. La restante parte, invece, manifesta il proprio stupore per l’impegno e la costanza richiesta da tutte le attività didattiche proposte. Il ritmo da mantenere può risultare pesante e per abituarsi è necessaria una organizzazione strutturata. L’intera classe riconosce che le insufficienze sono conseguenza dello scarso impegno o di uno studio superficiale. La consapevolezza della necessità di uno studio costante porta gli intervistati a concludere che le insufficienze collezionate possono essere recuperabili, riorganizzando le priorità di studio. Il 20% della classe ritiene di lavorare adeguatamente e una parte di questi ammette di essere spinto, non dalla voglia di raggiungere i propri obbiettivi di apprendimento, bensì dalla paura di fallire.

3- Nella nuova scuola vi sentite inclusi? Pensate di essere favorevoli al dialogo con gli altri? Vi sentite liberi di esprimervi o le vostre azioni sono influenzate dalla paura di essere derisi da altri?

La quasi totalità della classe si sente già parte integrante del nuovo ambiente liceale e frequenta volentieri la scuola. Nonostante ciò, un piccolo gruppo fatica ancora ad integrarsi, ammettendo di avere un carattere tendenzialmente chiuso e l’impatto con la nuova realtà ha suscitato in loro il “disagio dell’ultimo arrivato”.

Dalla domanda proposta emerge che tutti gli alunni affrontano favorevolmente e positivamente il dialogo con gli insegnanti, poiché sono coscienti che sia un’opportunità di crescita socioculturale, oltre che un atto inevitabile. Il dialogo tra coetanei, per il 20% della classe risulta, invece, frenato dalla paura di dare una cattiva immagine di sé; fortunatamente, l’esserne consapevoli li porterà nel tempo a superare le proprie barriere emotive.

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4- In cosa pensate che la scuola possa aiutarvi a favorire la socializzazione con gli altri?

La totalità della classe ammette di aver bisogno della scuola per avere occasioni di incontro con persone anche di età diversa con le quali confrontarsi e socializzare. Alcuni ragazzi vorrebbero promuovere l’organizzazione di laboratori didattici innovativi che creino come effetto secondario aggregazione con gruppi di altre classi. È doveroso riportare anche la risposta del 10%, che, sebbene sia consapevole dell’aiuto che possa fornire la scuola alla socializzazione, si ritiene a disagio a causa di ciò che percepisce come difetti personali fisici o caratteriali: qualcuno non si accetta fisicamente, qualcun altro ha timore di essere deriso per ciò che pensa... ciò influenza inevitabilmente le proprie azioni in contesti sociali.

5- Se si dovesse tornare in DAD, come cambierebbe la vostra scuola? Quanto pensate il Covid- 19 abbia limitato la vostra libertà?

La 1 C concorda sul fatto che un eventuale ritorno in DAD avrebbe delle ripercussioni negative a breve e lungo termine sul rendimento didattico, oltre che sulla socialità. Tutti gli alunni affermano che nell’immediato si azzererebbero i contatti con i compagni di altre classi; le attività scolastiche sarebbero “depurate” da tutti i momenti di spensieratezza, quali la ricreazione, il cambio dell’ora, l’ingresso e l’uscita. Coloro che hanno un carattere più timido e introverso, rischierebbero di amplificare i meccanismi di chiusura verso gli altri. La mancata condivisione con il proprio compagno dell’ansia precompito, alla lunga provocherebbe un’alterazione della percezione dell’importanza della prova stessa: si percepirebbe meno quella sana competizione che ci spinge a dare di più. Alcuni, addirittura, ammettono che si rischia di approcciarsi allo studio con meno serietà.

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Intervista alla nostra Dirigente scolastica prof.ssa Monica De Rosa Gli alunni della classe 1^E

Noi ragazzi della I E abbiamo pensato di rivolgere alcune domande alla Dirigente scolastica Monica De Rosa che, come noi, è arrivata quest’anno nel nostro Liceo, per conoscere il suo punto di vista sulla nuova realtà che si è trovata ad affrontare. La Dirigente è stata disposta a venire nella nostra aula e, nonostante gran parte della classe fosse in DAD e qualche difficoltà di connessione, siamo ugualmente riusciti a condurre l’intervista.

Visto che questo è il primo anno sia per noi che per lei, vorremmo chiederle come si è trovata in questa scuola e se è come se la aspettava.

"Non è come me la aspettavo perché non mi aspettavo nulla! Non pensavo ci fosse un posto disponibile in un Liceo scientifico, credevo di andare a dirigere una scuola media o elementare! E comunque mi sono trovata molto bene, perché la nostra scuola è grande, è prestigiosa, con un corpo docente molto valido e tante intelligenze brillanti tra i ragazzi. È una scuola dove si lavora particolarmente bene.

Alcuni aspetti vanno un po’ rivisti, però è davvero un’ottima scuola.”

Quale disciplina insegnava prima di diventare Dirigente?

Io ho insegnato in una scuola elementare per dieci anni e il mio ultimo incarico di docenza l’ho avuto in un Liceo, ho insegnato, infatti, fino allo scorso anno Lingua e letteratura inglese al Liceo Pantini-Pudente di Vasto. Ho ricoperto anche incarichi di docenza all’Università di lingue e letterature straniere a Pescara, presso l’Università ‘d’Annunzio’, in cui ho anche sviluppato le mie attività di ricerca nell’ambito dell’Italianistica.

Com’è stato il passaggio da docente a Dirigente?

“Avete presente una trottola? Ecco, il passaggio da docente a Dirigente è esattamente quello. Ti senti come una trottola in un vortice incredibile di lavoro, diverso rispetto a quello che si fa solo con gli studenti; tante novità da affrontare, da conoscere, da organizzare, da gestire, quindi per i primi due/tre mesi…sì, ti senti come dentro ad un frullatore! E ti rendi anche poco conto di quello che ti succede intorno. Poi cominci a prenderci la mano, a realizzare l’importanza del nuovo ruolo e a gestirne la complessità. Anche da questo punto di vista sono stata fortunata a dirigere una scuola che funziona, perché chi sta attorno a te sa già cosa deve fare e ti aiuta proprio a trovare il giusto equilibrio”.

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Cosa pensa della Dad e della didattica mista?

“A livello centrale bisognava capire che esistono tre tipi di insegnamento diversi: in presenza, a distanza e la didattica mista, che è un’attività del tutto nuova.

Bisognava approfittare dei due anni trascorsi per creare dei modelli da utilizzare e trovare metodologie didattiche adatte alla nuova realtà. Per la didattica a distanza esistono dei modelli ben collaudati. La mista non è conosciuta e quindi sarebbe stato meglio, in questo periodo, lavorare a distanza e, nel frattempo, rivedere le metodologie di insegnamento che sono diverse da quelle in presenza.”

Cosa pensa dei rappresentanti di Istituto e in generale dei giovani ?

“Inizierò parlando della mia opinione sui giovani: io li adoro, rappresentano il futuro e amo i giovani perché in fondo penso che anche quando si cresce si rimanga sempre giovani. Bisogna dare loro l’opportunità di crescere, di relazionarsi. Se si riesce a farli impegnare riescono certamente a creare qualcosa di positivo perché hanno innocenza, forza, voglia di fare e molta energia, che deve, però, essere indirizzata nel modo giusto. E’ importante che abbiano buoni punti di riferimento negli adulti perché è pericoloso quando il rapporto giovani-adulti si deteriora e i ragazzi si abbandonano a loro stessi, in quanto quell’ energia che li caratterizza può incanalarsi in percorsi sbagliati.

Infine, i rappresentanti di Istituto sono dei bravissimi ragazzi che si stanno impegnando seriamente per la scuola e vengono spesso a riferirmi le loro idee anche in questo difficile momento.”

Con quest’ultima riflessione sui giovani, si è conclusa la nostra chiacchierata con la Dirigente, noi siamo stati felici di ospitarla nella nostra aula, l’abbiamo percepita come ‘una di noi’. In fondo quest’anno abbiamo intrapreso insieme un nuovo percorso in questo Liceo e ci auguriamo di poter collaborare con Lei nel realizzare tutti suoi progetti che riflettono, in fondo, anche i nostri sogni.

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BIG CARS, BIG RINGS, BIG DREAMS To all the youngsters without dreams Solima Nasuti 4^G

“Can I ask you a question, Jack? Why do you want to be a movie star?”

As a child, you are asked what job you would like to do as an adult. There are many answers: doctor, singer, actor, astronaut, and engineer, whatever they do.

Years later, the same people will ask you the same question expecting you to come up with a brand-new answer (which might even happen).

At this moment, they really feel free to suggest some appropriate, tailor-made jobs right for you! So, you are a real chatterbox, “You could be a hairdresser, maybe”. Or “you are stubborn, you will become a good lawyer!”; you are good at drawing, “Definitely not a painter, you need to earn money, what about an architect?”.

What kind of job do these people do?

It is so true when teachers, parents, movies and books constantly remind us to follow our dreams, but once you have found them, and you are not 9 anymore, someone pops out reminding you to think like an adult!

“Pick up something that will make you rich and happy at the same time”.

All those confusing ideas revolve around your head, making you stay up at night and wake up with a headache.

You start hating people that already know what university they will be attending or what will their job be. How did they choose? They made their own choices, they are talented, gifted, simply perfect for their future job, what about you!?

They will say: “Do whatever you want”, what do I want?

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I am ashamed of what I like. I am embarrassed about telling other people what my dream job is. Why this? Because we live in a society where we all show ourselves as open- minded people who do not judge. Yet, everyone knows that is not true.

What is the purpose of making us believe that nothing is impossible and only later spilling the truth? Nothing is impossible, but that is not your case.

“My mom and dad, my school teachers...Everyone told me I was lucky I was good looking. And I knew what they meant: that was all I had got for me. I just want to do something big; you know? Prove that I can be somebody in this world. Do something it matters.”

“So, movies...You think they matter?”

Many do not fully comprehend that everyone has a different perspective of the importance of stuff. That depends on little things like where we grow up or the desk where we sit during lessons.

The world is enjoyable because nothing is stable. It is full of diversity.

I hate that all those ideas are starting to merge, creating a boring place to live.

Why do we need to criticize others’ dreams? Do we feel so powerless that we want them to fail? Only to not blame ourselves for not achieving what we wanted.

“You kidding? I know they do. When you walk into your life it is easy to feel like you go through the motions, right? Like it does not really mean anything. But when I was a kid, I grew up on a farm in Missouri, so you had to drive half hour to get in the picture show.

And when I looked up at that enormous screen, I suddenly knew what life was supposed to feel like. What being alive was supposed to me. It was like there was something somewhere out there waiting for me. That is what being alive was supposed to me.”

It is hard to find out what is good for you; insecurities become bigger and bigger; you feel exhausted. You only want to lay in your bed ad sob on your pillow.

I am tired of feeling like this, tired of the same days. Every day on repeats. When will it stop?

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Questo lungo processo di inclusione e di integrazione si traduce oggi, però, in scarse percentuali di impiego femminile nelle forze armate che, esemplificate, si attestano al 7% arruolato nel corpo dell’Esercito, 5,73% impiegato nel corpo della Marina Militare, 4,12% nell’Arma dei Carabinieri e solo il 3,69% nell’Aeronautica.

L’oppressione vissuta dalle donne per secoli, ha comportato una vera e propria assuefazione a questa condizione di vita, tanto da diffondere un complesso di inferiorità, che porta la maggioranza delle donne ad escludere la carriera militare dal ventaglio delle possibili professioni da esercitare.

Un altro aspetto da sottolineare è quello legato alla considerazione che la donna ha di sé: solo ponendosi dei traguardi da raggiungere, impegnandosi nella loro conquista e valutando le proprie doti psicoattitudinali, la donna può realmente confrontarsi con se stessa e capire se possa essere adatta ad intraprendere una vita di sacrifici, con regole ferree da rispettare, disciplina, intransigenza, di grande responsabilità e di distacco dalla propria famiglia di origine. Solo avendo una profonda conoscenza di se stessi si può arrivare all’ambita conquista della libertà individuale.

La strada verso la parità di genere è stata lunga e tortuosa, ma lo sarà ancora fino a quando sopravviveranno tutti i pregiudizi che considerano la donna inferiore all’uomo in termini di forza, prestanza fisica, autorevolezza, resilienza, attitudine e tenacia. Ma è realmente questa la verità? Io credo di no. Perché si, anche a me, come a molte altre donne, piacerebbe intraprendere la carriera militare.

Sto già affrontando una lunga preparazione atletica per superare le ardue prove fisiche che dovrò sostenere e, vi posso assicurare, che il grado di impegno, sacrificio e fatica da me profuso in questo percorso di preparazione è identico a quello maschile.

Il preconcetto dell’inferiorità della donna, che la vede sminuita nelle sue potenzialità è, quindi, da sfatare completamente perché nella figura femminile sono concentrate fragilità, sensibilità, dolcezza, ma anche coraggio, fermezza, perseveranza e una spiccata resilienza: “neanche spezzate ci fermiamo”.

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Canterò la libertà ancora e ancora...

Cronostoria secolare della situazione delle donne afghane: dalla regina femminista del 1921, al ritorno dei talebani nel 2021 Libera Simone 4^ G

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David Sassoli ed il futuro dell’Europa attraverso le sue stesse parole Valentino Stampone 4^A

L’improvvisa scomparsa di David Sassoli ha sconvolto l’Europa e l’Italia. Sarebbe stato banale raccontarlo attraverso un semplice articolo, ha prevalso l’idea che debba essere lui stesso, da giornalista qual è stato, a raccontarsi, per mezzo di dichiarazioni pronunciate nell’arco della sua vita professionale e politica, per ripercorrere al meglio le sue qualità umane ed i suoi ideali.

Toscano ma romano di adozione, nei primi anni Duemila era diventato volto noto agli italiani per la conduzione del TG1, ancor prima dell’impegno in politica attiva. Un suo messaggio irrompe nelle case di milioni di italiani in un pomeriggio di fine estate: “Ci sono persone salve per miracolo, altre che piangono i propri familiari”. È l’annuncio dell’attentato alle Torri Gemelle del 2001. Ed è la prima volta che Sassoli ci mette la faccia. In questo caso, ovviamente, nell’interpretazione più letterale del detto, cioè presentandosi davanti alle telecamere ad annunciare la tragedia, ma durante la sua carriera politica lo farà anche in maniera più metaforica, non risparmiando mai affermazioni inconvenienti, verso qualcosa o qualcuno, sempre in nome della verità e della trasparenza.

“Dedicherò alla politica il resto della mia vita” disse, nella sua prima intervista appena annunciata la candidatura all’Europarlamento.

Era il 2009, la sua prima promessa fu questa, ed è riuscito effettivamente a mantenerla: è venuto a mancare una settimana prima della fine del suo mandato da Presidente, dopo il passo indietro ed il rifiuto ad una sua ricandidatura, all’apice della sua carriera politica e della sua popolarità, nonostante non avesse mai occupato lo scranno più alto di Strasburgo per mettersi in mostra o rilanciarsi verso ruoli più importanti.

Durante tutto il suo mandato si è lasciato guidare unicamente dal dovere istituzionale e ha sempre parlato a nome di ciò che rappresentava, i cittadini europei, quelli italiani o l’istituzione legislativa da lui presieduta, come le parole pronunciate nel suo discorso di insediamento, il 3 luglio 2019:

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“Non siamo un incidente della Storia, ma i figli e i nipoti di coloro che sono riusciti a trovare l’antidoto a quella degenerazione nazionalista che ha avvelenato la nostra storia”, in totale difesa dell’Unione che ha permesso decenni di collaborazione, unità politica ed economica, e soprattutto pace, preceduti da conflitti sanguinosi, nei quali i Paesi europei uscivano sempre come i più martoriati.

Nei suoi discorsi da Presidente del Parlamento europeo, ha sempre visto l’istituzione da lui servita come il mezzo attraverso il quale aspirare alla democrazia ed alla libertà. Se ne ricordano due, in una delle prime uscite pubbliche, nell’agosto 2019 a Rimini: “L’Europa garantisce la convivenza tra popoli e la libertà di ognuno di loro” ed in una delle ultime, nel settembre 2021 ad Atene, culla della democrazia: “Perché la democrazia funzioni dev’essere difesa, si deve sviluppare, proteggendo l’Unione Europea, garantendo ai cittadini partecipazione e coinvolgimento” Con la frase “La speranza siamo noi quando non chiudiamo gli occhi davanti a chi ha bisogno”, si conclude il suo ultimo video messaggio, pubblicato sui canali ufficiali tre giorni prima del ricovero. È proprio la speranza, quella di cui si è munito nella sua vita e che non ha mai perso, anche quando l’UE era attaccata da più fronti, interni o esterni, ritenendola sempre come il punto di partenza dal quale risolvere problemi politici, e mai la causa. È lo stesso sentimento di speranza che i giovani devono avere nella cura e nel progresso dell’Europa, non dimenticando mai le ragioni e le cause dell’Europa unita, il carisma e l’audacia di persone che battendosi hanno permesso o permettono la continuazione di questo importante fenomeno, che sta a significare unità, pace e cooperazione. Persone come David Sassoli.

Elezioni presidenziali 2022: corsa al Quirinale Giorgia Azzarrà, Mario Nicoló Cicchetti 1^B

Nuovi arrivi a Palazzo del Quirinale.

Gli ultimi aggiornamenti più recenti per iniziare la giornata Alle 15:00 di lunedì 24 Gennaio ’22 si sono riuniti i senatori e i deputati con i 68 delegati regionali, così da formare un collegio di 1000 elettori che hanno votato per l’elezione del successore presidente (uscente) Sergio Mattarella, in Quirinale. Si vociferano già dei primi nomi per dei possibili candidati che prenderanno posto a palazzo del Quirinale. Uno dei primi nomi in lista è stato quello di Silvio Berlusconi (leader di Forza Italia) che però nelle ultime ore ha ritirato le candidature da presidente: “Ho i numeri ma, io rinuncio. Draghi resti a palazzo Chigi” Un altro è l’attuale presidente del consiglio dei ministri Mario Draghi, per quanto riguarda Draghi, infatti c’è da dire che è uno degli altri nomi più noti tanto da essere voluto anche da Mattarella stesso.

Altri nomi, sono stati quelli di possibili candidate donne di Centro-destra, cosa insolita dato che il ruolo di presidente della repubblica è stato sempre ricoperto da uomini, queste nuove candidature hanno creato infatti voci tra l’opinione pubblica, molte delle quali favorevoli alla presenza di una donna allo stato e altre discriminatorie come a sottovalutare la determinazione di quest’ultima la quale (secondo alcuni) non potrebbe essere in grado di esercitare a pieno e in maniera corretta i relativi poteri.

Ricapitolando, Il presidente della Repubblica, a Roma, ha una serie di poteri elencati dalla Costituzione (autorizzazione e promulgazione delle leggi, eventuale scioglimento delle Camere, comando delle Forze armate, ecc) e poteri non espressamente elencati che dipendono dalle circostanze e/o dall’interventismo del presidente, come per esempio nell’emergenza COVID-19.

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Mattarella: il presidente più amato di sempre Matteo Colacioppo 5^F

Sergio Mattarella il 29 Gennaio 2022 è stato rieletto Presidente della Repubblica, la carica più importante e onorevole all’interno dello Stato italiano, con ben 759 voti, un numero che supera di gran lunga i 505 minimi del quorum.

Una dimostrazione di a etto e ducia da parte della camera e del popolo italiano, i quali sembrano essersi ormai innamorati perdutamente della compostezza, del rigore e della calma che rendono Mattarella un personaggio così tanto carismatico.

Ma da dove deriva questo a etto? Quando è nato? Come mai tutti quanti adorano Mattarella?

Bisogna intanto speci care che il Presidente della Repubblica, al contrario del Presidente del Consiglio, è molto spesso un personaggio poco controverso e molto a dabile, proprio per la natura del ruolo, motivo per cui la rielezione non era per nulla inaspettata; tuttavia stupisce come colui che se l’aspettava di meno era proprio Mattarella stesso, il quale sembrava ormai pronto a voltare pagina, come testimoniato dal fatto che durante lo spoglio dei voti era nel mezzo di un trasloco dalla propria casa di Palermo a Roma; per potersi godere uno stile di vita più disinvolto.

Penso che questo sia proprio uno dei punti cardine del personaggio che lo rendono così popolare: nonostante sia la persona con maggiore autorità nello stato Italiano mantiene sempre un pro lo basso, in ogni sua apparizione comunica sempre una certa umiltà, come quella di qualcuno che non si sente adatto al proprio ruolo, ma che lo adempie per puro senso di dovere e che proprio per questo darà sempre il massimo, per paura di non essere abbastanza.

Mattarella rappresenta per ognuno di noi ciò che vorremmo essere e ciò che vorremmo l’italiano medio fosse, ma non è. È inoltre impossibile non parlare dell’elefante nella stanza, l’argomento che ormai ha monopolizzato ogni avvenimento negli scorsi due anni: il Covid.

“Il valore di un idea sta nel metterla in pratica” (Thomas A. Edison) In un periodo estremo di pandemia come il nostro è stato possibile vedere quali idee hanno retto lo stress e quali sono crollate sotto il peso delle aspettative e il nostro presidente, nonostante le grandi aspettative, non è crollato.

Ogni italiano da marzo del 2020 si è trovato in di coltà, chi emotiva, chi economica, chi scolastica, ogni aspetto della società sembrava cadere a pezzi, ed è proprio in un momento di tale caos che S.M. appare in Diretta Uni cata su tutti i canali della Rai (5 marzo 2020) e si dimostra calmo, sorridente, e come un padre che incoraggia il proprio glio, ci ha detto chiaro e tondo quale fosse la situazione e come questa sia a rontabile con un po’ di responsabilità personale.

Il suo discorso dovrebbe essere stato inutile: non ha presentato nessuna informazione nuova, non ha speci cato in maniera nuova come a rontare il problema; eppure; l’e cacia è stata enorme, le persone sole, o depresse, anche solo per tre minuti, hanno avuto nella loro vita qualcuno che le incoraggiava in maniera sincera come si addice ad una gura paterna.

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In viaggio nei luoghi “della memoria” Martina Ciancetta 5^D

In occasione della Giornata della Memoria, che si celebra ogni 27 gennaio, il Liceo Scientifico Galileo Galilei ha organizzato, sotto la coordinazione della Professoressa Marongiu e con la collaborazione attiva dei Rappresentanti d’Istituto, di alcuni studenti e di figure esterne, una manifestazione finalizzata alla sensibilizzazione sul tema che ci porta in tutti, o meglio nei più rilevanti luoghi della memoria della città, che spesso non tutti conoscono. La manifestazione, tenutasi nella mattinata di giovedì 3 febbraio 2022, è stata condivisa sul profilo Instagram ufficiale del Liceo.

Noi ci siamo presi il compito di porre ai Rappresentanti alcune domande riguardanti questo evento che ha portato il Liceo, in data 5 febbraio 2022, sulle pagine del Centro.

Innanzitutto abbiamo chiesto ai Rappresentanti cosa li avesse spinti ad accettare la proposta di organizzare in breve tempo un evento così impegnativo.

“Sicuramente l’aver percepito la proposta più come un dovere che come una richiesta ci ha portato a farci carico dell’organizzazione. Effettivamente i tempi sono stati molto ristretti, e non è stato facile pianificare tutto così in fretta, ma l’impegno per un argomento così delicato è dovuto, non potevamo tirarci indietro, per rispetto del dolore che le persone che abbiamo ricordato hanno provato e sopportato. Accettare questo incarico era il minimo che si potesse fare” ci risponde così, a nome di tutti i coinvolti, Federica D’Alterio.

-“Ci sembra chiaro quindi che troviate che il mondo necessiti ancora di essere adeguatamente sensibilizzato sul tema della Shoah”.

-“Certo- risponde ancora Federica- Prima di tutto l’orrore, definizione anche riduttiva, della Shoah deve continuare ad essere ricordato per mantenere viva la consapevolezza delle azioni che l’uomo arriva a compiere, senza scrupoli, con una crudeltà che definiremmo impensabile se non fosse già successo. In secondo luogo, come ho già detto, è un nostro dovere morale rievocare la sofferenza che le vittime dell’Olocausto hanno dovuto sopportare. Un altro motivo è sicuramente quello di evitare che possa riaccadere qualcosa di simile grazie alla memoria. Il mondo è pieno di cattiveria, che si esprime in mille modi, ricordare eventi come questo è il modo migliore per sensibilizzare l’umanità intera”.

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-“L’inizio della manifestazione si è svolto nel luogo dove sorgono le pietre d’inciampo, poste anch’esse dal nostro Liceo. Com’è stato trovarsi davanti quei nomi con addosso la consapevolezza che quelle persone che posarono i piedi lì dove li avete posati voi abbiano avuto un destino tanto terribile?”

Continua a parlare Federica: “É stato commovente. L’atmosfera che si era creata ha maggiormente stimolato la riflessione sul luogo in cui ci trovavamo. La domanda che penso si possa porre è piuttosto “perché?”. Perché delle comuni persone che abitavano nella nostra città, tra le nostre case, hanno dovuto vivere questo orrore. Sapere i loro nomi, conoscere e vedere la loro abitazione ha avuto un impatto emotivo molto forte e significativo. Ancor più devastante è stata l’emozione che ho provato leggendo le date di nascita e morte dei due bambini, e soprattutto immaginarli essere arrestati da così piccoli proprio lì dov’eravamo noi, per andare ad affrontare un destino orribile”.

-“Gli intermezzi musicali sono stati di grande impatto, gli strumenti accompagnavano le parole in modo delicato ma potente. La scelta delle canzoni da cosa è stata dettata?”

A risponderci questa volta è stato Raffaello Delle Donne, che ci dice : “La scelta di accompagnare tutta la manifestazione con la musica, è stata fatta soprattutto per far arrivare nel m odo più effi cace possibil e il messaggio che si voleva trasmettere, anche perché alcune volte la musica riesce ad arrivare di più rispetto alle sole parole, senza una melodia di sottofondo.

Inoltre le canzoni scelte sono tutte melodie realizzate in memoria di questa giornata, a partire da “ad Auschwitz c’era la neve” di Guccini fino ad arrivare al “Carmelo di Echt” di Battiato, quest’ultima proprio in onore del racconto esposto dalla Professoressa Marongiu su Edith Stein, figura di grande rilevanza per questa giornata. Per concludere, gli strumenti scelti, ovvero flauto, violini e chitarra classica, non potevano essere più appropriati per rendere queste melodie, che hanno un andamento del tutto malinconico, più intense ed emozionanti possibile”.

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La partecipazione si estende quindi alla figura di uno storico lancianese, Gianni Orecchioni, che viene intervistato dai nostri Rappresentanti in relazione al suo ultimo libro Dietro il Sipario.

Abbiamo quindi chiesto ai nostri Rappresentanti com’è stato intervistare qualcuno che si è dedicato pienamente alla ricostruzione delle dinamiche degli anni ’44-’45.

“Interessante- a rispondere è Francesco Vinciguerra- soprattutto perché le ricerche del Professore Orecchioni sul libro ‘’L’internata n.6’’ hanno approfondito alcuni aspetti nei quali molto spesso viene riposta poca attenzione. L’ intervista ha dato la possibilità agli studenti del Liceo di conoscere una realtà a molti poco nota, come quella dei campi di internamento, inoltre è stata un’occasione per approfondire la vita quotidiana delle vittime della dittatura fascista”.

-“Le letture tratte dai libri sono state sicuramente l’arma più efficiente per catturare l’attenzione e mostrare una parte di quella dura realtà. Cosa vi hanno lasciato quelle letture? Hanno, in qualche modo, avuto un valore morale anche per voi che eravate pienamente coinvolti nella manifestazione?”

Sempre Francesco ci risponde così: “La nostra presenza fisica alla manifestazione non ha potuto che favorire il coinvolgimento emotivo, le struggenti letture accompagnate dalla musica in sottofondo hanno offerto a noi presenti un’opportunità di riflessione di grande intimità e intensità. Sicuramente l’insegnamento più importante che questo momento ci ha lasciato è la consapevolezza che le tragedie consumate durante gli anni della dittatura fascista non sono state conseguenze di un singolo atto, ma sono la degenerazione di un processo lento e lungo che ha avuto inizio originariamente con delle limitazioni alla libertà dei cittadini”.

Al termine della manifestazione il Liceo Scientifico si ritira in un’atmosfera di consapevolezza, impregnata delle parole di chi ha potuto raccontare la propria esperienza come ebreo in Europa negli anni quaranta del secolo scorso, come Primo Levi, Anna Frank, Andra e Tatiana Bucci, Maria Eisenstein.

Proprio Primo Levi diceva che "tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo”. Alla luce di ciò impegniamoci affinché ogni anno le vittime possano essere ricordate con dignità e consapevolezza, come un promemoria costante che ci ricorda la crudeltà di cui l’uomo è capace e che ci mostra quanto la cattiveria sia il peggiore dei mali del mondo.

“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre” (Primo Levi)

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Marco D’Addario 5^F

“Quando non coincide più l'immagine che hai di te, con quello che realmente sei, e incominci a detestare i processi meccanici e i tuoi comportamenti.

E poi le pene che sorpassano la gioia di vivere, coi dispiaceri che ci porta l'esistente.

Ti viene voglia di cercare spazi sconosciuti, per allenare la tua mente a nuovi stati di coscienza.

Franco Battiato

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Rubrica: Bastian contrari!

La nostra perfettissima scuola Renata Trivilino 2^D

Quanto è bella la frase ad effetto “noi siamo il futuro” posta all’inizio del proprio lavoro di Educazione Civica? Con un sorriso a 32 denti facciamo felice la prof.

Eppure siamo tutti così pigri. Siamo in grado di “salvare il nostro pianeta”?

Non siamo capaci di gestire un giornale d’istituto autonomamente ma “noi siamo il futuro”.

Scriviamo quella paginetta per compiacere l’insegnante e il lavoro è fatto.

Mi sono dilettata nel leggere alcuni articoli dei vecchi giornali del nostro Liceo (risalenti al 1970, 1972 e 1974).

Vi basta sbirciare qualche titolo per comprendere il salto di qualità da una generazione all’altra. Sì, un salto, ma in caduta libera. I più recenti giornali sono privi di anima. Di personalità.

Siamo i ragazzi perfetti: non qualcosa da ridire sul professore; niente tempo perso in alcuna frivolezza; solo approfondimenti e ricerche.

Siamo la generazione robot. Senza emozioni. E’ questo che vogliamo far pensare di noi ai nostri posteri?

I classici articoli sono certamente ben scritti ma, pur essendone le fondamenta, non possono da soli costruire un giornale memorabile.

La goliardia con cui spesso erano affrontati la scuola, i docenti, i collaboratori, è andata perduta.

La maggior parte di noi è schietta, vivace o si definisce “ribelle” e non ha niente da dire sul nostro, a quanto pare amatissimo e perfetto, Liceo.

Non avrete mica paura?

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Giornale del Liceo Scienti co "G. Galilei" di Lanciano - n.1 - febbraio 2022

Il giornalino degli studenti ®