GIORNALE D'ISTITUTO - n.1 DICEMBRE 2023

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IL CANNOCCHIALE PERCHÉ L’ARCO CE L’ABBIAMO NOI!!! I BUONI CONSIGLI... Ci rendono insicure e fanno in modo che non ci sia un’alleanza fra di noi, ma solo invidia e disprezzo. Ci strappano i nostri diritti, rendendoci impotenti contro le ingiustizie che siamo costrette ad affrontare ogni giorno. Contate fino a dieci e chiedetevi: È un tempo sufficiente per poter dire di avere subito una violenza? Incredibilmente per il Tribunale di

Roma dieci secondi non sono abbastanza per condannare un bidello di 67 anni che ha palpeggiato una studentessa della scuola in cui lavora.

Il primo consiglio è quindi: “Gente! Approfittate di noi, ma non superate mai i 10 secondi se volete farla franca!”

stare sempre sotto i dieci secondi e fare finta di organizzarsi male. Rebecca Profeta Di Benedetto 4^B

Un’altra ragazza vittima di violenza è stata Giulia Cecchetin, il suo assassino la farà franca, non sarà condannato all’ergastolo, in quanto la giurisprudenza abbia coniato un altro concetto per deresponsabilizzare un assassino reo confesso. Ciò che gli permetterà di rimanere impunito è la prova della preordinazione. Essa è differente dalla premeditazione perché “manca una completa e rafforzata volontà dell’autore del crimine nel proposito che si è prefissato”, in parole povere l’avvocato sostiene che non essendosi l’assassino organizzato “abbastanza bene” per farla franca (non si è portato abbastanza acqua, in questo caso specifico) non è nemmeno possibile condannarlo con il massimo della pena. Quindi se volete farla franca basta

ESSERE O NON ESSERE NE ABBIAMO IL DIRITTO? Ci siamo mai chiesti chi o che cosa dia ad Israele il diritto di difendersi o di “vendicarsi” ? Chi dia ad Israele il diritto di bombardare scuole, ospedali, centri abitati, in uno dei luoghi più densamente popolati al mondo? È possibile, poi, che Israele abbia il diritto di venire meno ad accordi e risoluzioni stanziate dell’ONU più e più volte ? È possibile che Israele tolga il diritto ad una vita dignitosa ad un’intera popolazione, senza che nessuno possa interferire ? Tutto ciò sembra assurdo, ma non lo è.

Questo è quello che accade da oltre 75 anni in Palestina, la cosiddetta “Terra Santa”, dove però, sembra non esserci alcun Dio. Ci si potrebbe chiedere in tutti questi anni dove sia andata a soccombere la comunità internazionale. Prendiamo ad esempio l’ONU (Organizzazione Nazioni Unite), un’organizzazione internazionale universale nata nel 1945, per promuovere la pace e la sicurezza internazionale attraverso un sistema di sicurezza collettivo. I presunti potenti si mascherano dietro questa organizzazione per mettere in scena un teatrino pietoso, facendo credere di star agendo per la salvaguardia dei diritti di tutti, quando in realtà solo 5 dei 193 stati ha diritto di veto, “il diritto di contare”.

L’unica opzione possibile che rimane, è il Dio Denaro, che garantisce loro l’impunità totale. Questo è un gioco vecchio come il mondo in cui, i ricchi e potenti hanno diritti e i poveri sono solo strumenti per accrescere il proprio capitale. Rebecca Profeta Di Benedetto 4^B

Alla luce di questi fatti quindi rimane un solo dubbio, quello iniziale. L’impunità di Israele. È possibile che sia un potere proveniente dall’alto? Potrebbe anche essere Dio stesso che si prende cura del proprio “popolo eletto”, ma lasciando indietro la sfera religiosa e spirituale. Pagina 3

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IL CANNOCCHIALE È CULT! LA PARITÀ DI GENERE CONTRO IL PATRIARCATO 1522: un numero che esiste per aiutare donne in difficoltà. Per aiutare donne che subiscono violenze fisiche, psicologiche, mentali e chi più ne ha più ne metta. Viviamo in una realtà dove l’uomo, solo perché più forte fisicamente, si sente in diritto di fare commenti sulla donna e di trattarla diversamente. Sarebbe bello poter affermare che questo ragionamento vale solo per alcuni, ma purtroppo questa non è la realtà. La verità è che molte persone tendono a considerare la donna in modo differente, sul lavoro e nella vita in generale. Come paese l’Italia porta ancora sulle spalle il peso del patriarcato, sostenuto nella storia partendo dagli antichi greci in poi. Molte società nel mondo hanno uno stampo patriarcale, ed altre ancora uno matriarcale, ma qual è il significato di questi termini, vi sono differenze tra di loro? Patriarcato vuol dire letteralmente “la legge del padre” e viene dal greco πατριάρχης (patriarkhēs), “padre di una razza” o “capo di una razza, patriarca”, che è composto da πατριά (patria), “stirpe, discendenza” (da πατήρ patēr, “padre”) e ἄρχω (arkhō), “comando”. ( Patriarcato (sociologia) - Wikipedia). Dunque è un tipo di sistema autocratico, dove l’uomo detiene il potere assoluto. In Italia non è esattamente questa la situazione, poiché vi sono stati progressi sulla concessione dei diritti alle donne, ma bisogna ancora lavorare per raggiungere la parità di genere. Si pensi all’abrogazione del delitto d’onore, solo nel vicino 1981. “un delitto commesso per difendere il proprio onore o quello della propria famiglia, in uno stato d’ira derivante da una relazione carnale illegittima da parte di moglie, figlia o sorella, prevedeva una riduzione della pena” (La storia del delitto d’onore e del matrimonio riparatore - de Quo). Oppure ancora, al diritto all’aborto emanato il 22 maggio del 1978, e al fatto che, nonostante questo, in Italia secondo dati risalenti al 2020 “ la quota di ginecologi obiettori:oltre il 60% invoca il diritto a non eseguire aborti” (Aborto, in Italia un tasso tra i più bassi al mondo: tutti i numeri - sky tg 24) . Di riflesso “Una società matriarcale è una comunità di persone basata sulla centralità della figura femminile, dove permangono i fenomeni della matrilinearità e della matrilocalità.” (fanpage.it - Quando comanda “mammà”: tre società matriarcali nel mondo) L’etimologia del termine “matriarcato” ha Pagina 4

un significato simile a quello maschile. “Dal latino mater (madre) e dal greco άρχης, derivato di ἄρχω (“essere a capo”, “comandare”)” (Matriarcato - Wikipedia). Ergo i due sostantivi hanno in parte la stessa radice, ἄρχω, quella che presuppone il comando, l’essere primo. A parer mio, ciò che sarebbe giusto è che tutti avessero gli stessi diritti e pari opportunità. Ma cosa è stato fatto in Italia a favore della parità di genere? È stata promulgata la legge sulla parità di genere, sono stati istituiti organi per i diritti delle donne e c’è stata la promozione di politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia. Ciò è molto utile ma non è ancora abbastanza. Per arrivare alla meta bisogna sensibilizzare tutti sulle disuguaglianze di genere. Ed è proprio questo l’obiettivo del movimento femminista: rendere la società egualitaria. Senza che nessun genere abbia più importanza dell’altro, o comandi. Oltre i progressi già fatti, non mancano però i casi di cronaca che raccontano delle terribili esperienze di ragazze stalkerate, manipolate e addirittura uccise solo perché donne. Il più eclatante è quello di Giulia Cecchettin, il caso di una giovane universitaria uccisa dal ragazzo, che già precedente-

l’assoggettamento fisico o psicologico della donna in quanto tale, fino alla schiavitù o alla morte” (femminicidio - Wikipedia). Cosa si può fare allora per rimediare a questi casi di violenza? Innanzi tutto, come è stato già fatto da alcuni telegiornali, bisogna parlarne. La prima mossa per estirpare un problema è renderlo reale, accettare che esiste e parlarne. Il passo successivo è quello di cercare di prevenire. Come? Tra le generazioni passate e i giovani attuali, le situazioni sono cambiate così come la società stessa. Infatti, dove prima lo stereotipo dell’uomo e della donna erano forti, ora vanno sempre di più ad indebolirsi. Questa è una cosa positiva ma va trattata cautamente. L’indebolimento della caratterizzazione dei generi va preso con le pinze, perché smettere di etichettare quello che era e cominciare ad esplorare nuovi orizzonti è spaventoso per una società. Cambiare quello che si conosceva e metterlo a confronto con una nuova realtà che si sta sviluppando di giorno in giorno: questo è progresso. Alcuni psicologi definiscono i ragazzi di oggi come fragili, ed effettivamente è vero. Continua nella pagina successiva →

mente aveva mostrato segni di possessività nei suoi confronti. Viene utilizzato volutamente il termine “femminicidio” appunto per indicare il genere della vittima. Infatti, la definizione di questo termine è: “qualsiasi forma di violenza esercitata in maniera sistematica sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuare la subordinazione di genere e di annientare l’identità attraverso Volume 1, Numero 1


IL CANNOCCHIALE È CULT! Sono più delicati da tutti i punti di vista ma anche più consapevoli. Forse è proprio per questo che sono diventati così: perché il sapere porta ai dubbi, le domande ad incertezze. E se si parte dal presupposto che i giovani sono insicuri, questo va ad aggravare ancora di più su di loro. Ciò non significa però che non sono resilienti. Possono comunque combattere per la causa comune. Una cosa molto utile che si potrebbe fare è inserire corsi di autoconsapevolezza emotiva. Poiché molti, a prescindere dall’età, non sono in grado di descrivere il proprio stato d’animo, e non essere in grado di comunicarlo porta ad isolarsi e nel tempo, a stare male. Questa consapevolezza dovrebbe nascere e svilupparsi in tutti fin da bambini, e i genitori dovrebbero essere dei maestri, dovrebbero inse-

gnare l’arte dei sentimenti. Molti procreatori non hanno loro stessi la maturità emotiva di esprimere come si sentono, di conseguenza, non hanno la possibilità di trasmettere una capacità che non possiedono. Dove quindi l’educazione dei genitori va a mancare per un qualsiasi motivo, dovrebbe andare a supplire il sistema scolastico, che porterebbe così a sviluppare cittadini civili e consapevoli. Parlando invece solamente di persone già nell’età adulta, quello che si potrebbe fare è rivolgersi ad uno psicologo o psicoterapeuta, che possa aiutare l’individuo a scavare in se stesso e capire cosa c’è che non va. Dunque come si deve agire? Bisogna diffondere consapevolezza e stare attenti ai piccoli gesti che si fanno nella vita quotidiana. Sarebbe anche meglio poi, che si desse priorità alla

comunicazione e all’ascolto dei nostri sentimenti in generale con tutti. Non si può pretendere che bisogni e limiti vengano rispettati senza che siano espressi chiaramente. Azzurra Nardone 4^B

“C’È ANCORA DOMANI”: LA NASCITA DELLA GERWIG ITALIANA È con questo titolo che Paola Cortellesi debutta come regista sullo schermo italiano, riempiendo le sale cinematografiche in pochissimo tempo e incassando in meno di un mese oltre 20 milioni di euro. Un fenomeno molto simile alla “barbieficazione” avvenuta quest’estate, ma in una scala molto ridotta, soprattutto perché la Cortellesi non rappresenta proprio una bambola di plastica e bionda. La storia in bianco e nero di Delia. Nell’ottobre del 2023, attraverso una pellicola “quasi” neorealista, la Cortellesi prende le vesti di Delia. Lei è una casalinga di una Roma appena uscita dalla guerra, immersa nel dogma del postfascismo e nella miseria. Delia ha imparato a mantenere pulita la casa, a servire la colazione puntualmente alle 8 di mattina a suo marito Ivano che non sorride mai, al criminale ritirato di suo suocero e ai suoi tre figli. Serve, esce, svolge qualche lavoretto sottopagato, compra frutta fresca dalla sua unica amica Marisa, interpretata dall’iconica Emanuela Fanelli, che le ricorda che deve scappare da Ivano. “Ma lui è così perchè ha fatto due guerre’’ e non ha torto. Torna a casa, litiga con la vicina, prepara il pranzo e si prepara alle punizioni di Ivano, ma si è abituata Pagina 5

talmente tanto che gli schiaffi diventano i passi di un valzer. Secondo suo suocero, il problema è che lei parla troppo. Intanto sua figlia, Marcella, si sta per sposare con un “bravo ragazzo” proveniente da una famiglia più ricca della loro e promette alla ragazza il mondo, racchiuso in un anello di fidanzamento, ma il sogno verrà presto infranto e il matrimonio “salta in aria”. Le cose cominciano a cambiare dentro Delia, come dice Brunori Sas. Riceve lettere che nasconderà nel cassetto dell’intimo insieme ai risparmi destinati all’istruzione di Marcella. Soprattutto, nasce in lei un nuovo desiderio che sembra avere il profumo di libertà. Che ne pensano gli utenti? Ogni spettatore ha visto un film diverso; c’è chi, per esempio, ricorderà come il rapporto tra Delia e Marcella incarna quello con la propria madre, verso la quale si matura una crudeltà agghiacciante e si attua un rimprovero degno dei metodi di Cadorna. “Io mi ammazzo piuttosto che diventare come te”, le dice Marcella. Non sapeva ancora di essere nel torto. Il film lo ha visto anche chi ha esperienziato violenza domestica, o i figli delle

madri rimaste vittime che, magari, hanno proiettato in Ivano e nella sua divinalegge del contrappasso il quietismo e la furia di loro padre. “Marcella, porta i ragazzi di là”, ma i muri sembrano essere fatti di carta vetrata. Per le stesse ragioni, molti hanno definito la pellicola della Cortellesi come un vaso riempito fino all’orlo di clichè e buonismo perché, ormai, si vede e si sente dappertutto di donne abusate, di madri e figlie uccise e di ‘’uomini” violenti. Bisogna cambiare il nastro alla videocassetta, dai. Secondo altri ancora, non è un film adatto a tutti per via dei temi strettamente “femminili”; che ne sanno gli uomini? Le opinioni sono tutte valide, ma tutte relative. Nessuno dice cosa c’è ancora domani. Continua nella pagina successiva →

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IL CANNOCCHIALE È CULT! “Stringete le schede elettorali come lettere d’amore.’’ Paola Cortellesi ha immortalato il suo film su una corrispondenza biunivoca "spettatore-protagonista". La regista, perché da oggi è anche una regista, ha condotto un filo visivo mantenendo sempre lo stesso ritmo, dove chi guardava era dipendente dalle azioni di Delia o da cosa le succedeva. Anche in sala, si sentiva questa onda di emozioni: tutti ridevano quando Delia insulta in romanaccio il suocero, tutti hanno stampato sul volto un sorriso colmo di nostalgia quando Delia e Marisa condividono una sigaretta e, nel mentre, nascondono i loro sogni, e tutti sospendono il fiato quando Delia viene girata e rigirata tra le mani di Ivano con in sottofondo “Perdoniamoci’’ di Achille Togliani. Questo rapporto tra la sala e Delia si interrompe solo alla fine, quando la Cortellesi rivela di aver preso in giro per tutto il film il suo pubblico, convinto che la storia finisse con un’infedeltà date le lettere che Delia teneva nascoste. Ma erano lettere d’amore per la propria persona; Delia era stata invitata a scegliere tra monarchia e repubblica il 2 e il 3 giugno del 1946. Lo spettatore viene lasciato nello stereotipo della figura di una madre oppressa, un luogo comune per chi è nato nell’epoca delle immagini. Il 2 giugno, però, deve attendere un funerale che le impedisce di raggiungere la destinazione delle lettere. Lei pronuncia, allora, sopra al corpo dello sfortunato, le fatidiche parole. ‘’C’è ancora domani.’’ Il film trapassa, a questo punto, in un’nter“Per attirare l'attenzione del lettore, inserire qui una citazione o una frase tratta dal testo.”

pretazione del dato storico che sceglie come testimone la vicenda di un personaggio verosimile. Il silenzio delle donne, i loro sguardi segreti e i rossetti sbavati all’interno del seggio elettorale sono tutti componenti della Storia, ma lo sono, anche, i massacri e disagi all’interno del nucleo familiare oppure le discontinuità accentuate tra le varie classi sociali che riducono i rapporti umani a bilanci economici. Delia si accorge di ciò quando parla con un soldato americano, che aveva tutt’altra visione della realtà. ‘’Nice to meet you Devoannà!’’. Questa Barbie va a votare! Insomma, ‘’C’è ancora domani” nel repertorio cinematografico italiano incarna il privilegio. È una rappresentazione delicata e contemporanea, a molti tratti ricorda anche le tecniche usate in Fleabag (2016), della storia della rivendicazione dell’indipendenza femminile. La Cortellesi sa bene che quest’ultima deve andare a pari con gli affetti delle ragazze e donne che l’hanno vissuta direttamente, con i loro fiocchi, tacchi, vestiti e i loro amori tumultuosi. Lo sapeva meglio Greta Gerwig quando scrisse il copione di Piccole donne (2019) o Sophia Coppola quando mise in atto le pagine di Priscilla (2023). Non tutte le donne del mondo hanno avuto la possibilità di rivedersi in un film che parla di loro, e, forse, è questo l’impatto più grande di questo film, ma Paola Cortellesi è riuscita in 118 minuti a raccontare un pezzo delle memorie delle donne italiane avvolgendolo con l’ironia e con un po’ di conformismo come si fa con i regali quan-

do la scatola è troppo brutta. Ciò che ne viene fuori, l’infallibile umorismo, il senso civico, l’atteggiamento anti-nostalgico e la rabbia, sono tutti suoi, senza paragoni o rimandi. ‘’Se nasci donna fai già parte di un movimento‘’. Benedeta Kamberaj 5^D

LA BELLA ESTATE DI CESARE PAVESE Un po’ malinconicamente ci guarda, un po’, alla fine, l’estate non è mai come vogliamo. La Bella Estate di Cesare Pavese, Einaudi 1949, è la raccolta di tre romanzi brevi che varrà allo scrittore italiano il Premio Strega del 1950. Le tre composizioni (La Bella Estate, Il diavolo sulle colline, Tra donne sole) risultano indipendenti l’una dall’altra, eppure tutte e tre condividono la spensieratezza e la noia, la delusione e l’allegria che condurranno i giovani protagonisti attraverso il passaggio dall’adolescenza alla maturità. Il tutto, entro il breve attimo che può essere una sola estate. Così come il protagonista de Il diavolo sulle colline, insieme a Oreste e Pieretto, non sa che farsene del dormire e impazien-

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temente attende di far qualcosa ogni notte, anche Ginia ne La Bella Estate spera che, dopo aver fatto festa ed esser tornata stanca morta, succeda ancora qualcosa e “si possa continuare a camminare fino ai prati e fin dietro le colline”. La città, dove tutto “è sempre acceso, sempre giorno”, è il luogo ideale per l’esplorazione di sé. Il paesaggio urbano,

infatti, è dominante nell’opera, nonostante sia concesso ampio spazio anche a quello rurale. Questi due mondi, però, si scontrano: la “nitida e favolosa campagna” di Pavese è sede del buoncostume e di una rigida ma tranquilla scansione biologica, mentre la città è trasgressione, eccesso e sregolatezza. L’esplorazione di tale mondo porterà, prima o poi, ad un’inevitabile disillusione nei sogni e nelle aspirazioni dei nostri giovani beniamini. Come Clelia nell’ultimo racconto, è dura misurarsi con la realtà, molto spesso dagli epiloghi tragici. Pavese, in questo, non rende al lettore vita facile e anzi, →

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IL CANNOCCHIALE È CULT! la realizzazione della sconfitta e della delusione ricade più pesantemente sempre sul personaggio ‘debole’, più giovane e ingenuo. Attraverso uno stile fortemente descrittivo, la narrazione accompagna violentemente il lettore nel vortice di emozioni, passioni e tentazioni dei protagonisti. L’ingenuità dei primi soli di giugno rapidamente si trasforma in disincanto e il disincanto in esperienza e maturità nei tramonti di ago-

sto, toccando nostalgia ma soprattutto consapevolezza. Senza mai cadere nell’introspezione psicologica dei personaggi, Cesare Pavese dà delle risposte agli interrogativi che trattengono il lettore fino alla fine, “Saranno abbastanza all’altezza, i tre protagonisti, di mettere una pietra sopra i loro sogni di una bella estate? Ce la faranno a divincolarsi da un sistema che li tiene attaccati alle proprie aspettative?”. E ci riesce brillantemente.

Letizia Primante 4^B

GALILEI’S THEORY CI VUOLE UN ATTOSECODO PER VINCERE IL NOBEL:O QUASI Ci sono alcuni movimenti che sono troppo veloci per essere captati dall’occhio umano. Nel 1878, Muybridge l’aveva intuito e aveva cercato di rappresentare la dinamica di un cavallo durante una corsa attraverso degli scatti fotografici che confermarono che l’anatomia di un animale da corsa in movimento era diversa da quella rappresentata dagli artisti fino ad allora. Ad oggi, però, si ha la possibilità di calcolare il tempo che questi animali impiegano

per compiere i movimenti di Muybridge, la durata di un battito cardiaco o il tempo di movenza di un elettrone nei suoi orbitali. Tutto ciò grazie ad Anne L’Huillier, Pierre Agostini e Ferenc Krausz. Ma chi sono? Anne L’Huillier nasce a Parigi e studia fra Goteborg e Los Angeles. Nel 1992 partecipa all’esperimento per individuare impulsi a femtosecondi a Lund, all’Università dalla quale le verrà assegnata una cattedra. Nel 2003, con il suo gruppo di ricerca, batte il record del mondo per aver prodotto il più piccolo impulso laser di 170 attosecondi. C’è ancora molto da dire ma basta citare che nel 2021 vince L’Optical Society Of America per il lavoro nella scienza del laser ultraveloce e nella fisica degli attosecondi. Pagina 7

Nel 2023 vince il Premio Nobel per la Fisica ‘’per i metodi sperimentali che generano impulsi di luce ad attosecondi per lo studio della dinamica degli elettroni nella materia.’’

Pierre Agostini nasce a Tunisi, ottiene il dottorato nel 1968 e diventa professore Dell’Università statale dell’Ohio dal 2005. Nel 2008 viene eletto Fellow dell’Optical Society of America dopo lo studio condotto sulla dinamica della risposta non lineare di atomi e molecole sottoposti a impulsi laser a infrarossi. Nel 2023 vince il Premio Nobel per la Fisica ‘’per i metodi sperimentali che generano impulsi di luce ad attosecondi per lo studio della dinamica degli elettroni nella materia.’’ Ferenc Krausz, invece, nasce a Mòr in Ungheria e studia fisica teorica e ingegneria elettrica fra Eotvos Lorand e Budapest. Nel 2004 diventa presidente di fisica sperimentale all’Università Ludwig Maximilian di Monaco. Nel 2022 vince insieme ad Anne il premio Wolf per la fisica. Nel 2023, anche lui, vince il Premio Nobel per la Fisica ‘’per i metodi sperimentali che generano impulsi di luce ad attosecondi per lo studio della dinamica degli elettroni nella materia.’’ Cosa hanno fatto?

Sembra che le loro vite siano collegate da un filo invisibile, come dice Taylor Swift, ed è stato così. Tutti e tre hanno contribuito in tempi e modi diversi a chiarire l’oscurità dell’elettrone. L’idea è di Anne che nel 1987 ha mostrato che trasmettendo un fascio di luce laser a infrarossi attraverso un gas nobile, si ottengono diversi sovratoni della luce. Queste ultime sono onde luminose generate dall’interazione della luce laser con gli atomi del gas, che forniscono un’energia supplementare agli elettroni che, a loro volta, la riemettono come luce. Pierre Agostini è partito dai qui per produrre nel 2001 una serie di impulsi di luce consecutivi dove ogni impulso durava solo 250 attosecondi. Sempre nel 2001, Krausz lavorava a un esperimento che permetteva di isolare un singolo impulso di luce della durata di 650 attosecondi. Gli studi durano da decenni, a dimostrazione che non ci vuole un attosecondo per vincere il Nobel. Cos’è l’attosecondo (as)? Il nome deriva dal prefisso danese atten (diciotto) che esprime la sua potenza in base 10 come sottomultiplo del secondo. Un atto secondo sta a un secondo come un secondo sta all’età dell’universo. Praticamente, è un secondo diviso 6 volte per mille, risultando un tempo così breve, non solo da applicare praticamente, ma anche solo da immaginare. Il paradosso sta che è il tempo del movimento degli elettroni e risponde a domande fisiche principali che partono dall’industria dei semiconduttori, Volume 1, Numero 1


IL CANNOCCHIALE GALILEI’S THEORY per la possibilità di aumentare su tempi scala dei femtosecondi la conduttività di un materiale dielettrico sviluppando sistemi elettronici ultraveloci, fino alla ricerca medica dove la fisica degli attosecondi consentirebbe, una volta esposto un campione di sangue a luce infrarossa, di sviluppare tecniche per diagnosticare un cancro in una fase molto precoce. Da questa enorme scoperta, nasce, poi, un nuovo ramo della scienza: l’attochimica, talmente nuova che non ha ancora la pagina su Wikipedia. ‘’Occhio ad Heisenberg.’’ Seguire, però, il moto degli elettroni di un materiale non significa sapere dove si trova l’elettrone precisamente in ogni atto secondo perché si violerebbe uno dei principi cardini della meccanica quantistica, quello di indeterminazione di Heisenberg per cui non si possono misurare allo stesso tempo tutte le proprietà delle particelle, intese sia come crepuscoli che come onde, ma solamente la probabilità che questa proprietà sia verificata.

E allora? È tutto sbagliato? Risponde la stessa L’Huillier, in collegamento telefonico con Stoccolma, tra una lezione e l’altro: «Non stiamo violando il principio di Heisenberg, ma possiamo dire ad esempio se l’elettrone si trova in un lato o nell’altro della molecola. Non è come seguire una particella attorno ad un atomo, ma consente comunque di ottenere molte informazioni. Fra gli obiettivi di questa tecnica, ad esempio, c’è quello di poter vedere esattamente com’è distribuita la carica in una molecola. Un elettrone è più che altro un’onda attorno alla molecola, e quello che possiamo misurare è la dinamica dell’elettrone, quanto ci mette a muoversi». A concludere è lei, ancora: «Questo premio significa davvero molto per me, è il premio più prestigioso che si possa ricevere e non ci sono molte donne che l’hanno ottenuto. È incredibile. È importante anche perché dimostra e aiuta a comprendere come una scienza fondamentale come la fisica possa trovare applica-

zioni pratiche nell’industria o nella medicina. Ci vuole molto tempo ed è un processo difficile, ma penso che siamo arrivati a un punto in cui possiamo vedere i primi frutti, e questo è molto importante». Kamberaj Benedeta 5^D

CHE FINE HA FATTO IL BUCO NELL’OZONO? Negli anni ‘80, ‘90 e 2000 tutti parlavano del buco dell’ozono perché era un problema davvero importante, fondamentale, ma con il passare del tempo e con l’aumentare di problemi ambientali si è finiti per dimenticarlo. Ora l’ONU ha dichiarato che forse entro 2040 esso potrebbe finalmente chiudersi. A questo punto, però, sorgono spontanee delle domande domande: ● ma quindi stiamo davvero facendo qualcosa di buono? ● c’entra qualcosa con il cambiamento climatico? ● perché allora in televisione non ne hanno più parlato? Per rispondere a tutti questi dubbi bisogna sapere bene cosa sia veramente il buco dell’ozono -in realtà non è veramente un buco- e spiegare perché si stia richiudendo; partiamo da quello che è successo: è stato pubblicato un report delle Nazioni Unite secondo cui lo strato di ozono Pagina 8

che circonda il nostro pianeta dovrebbe, nel giro di vent’anni, tornare ai livelli del 1980, portando alla chiusura dei buchi che si erano creati sopra gran parte della Terra. Ci vorrà, invece, un po’ più di tempo per chiudere invece quelli sopra l’Antartide e l’Artico, poiché queste aree sono le più colpite da questo fenomeno. Bisogna immaginare, dunque, l’atmosfera attorno al nostro pianeta e com’è composta da diversi strati: uno di questi è proprio l’ozonosfera, che è l’area dove si concentra di più tale gas con una funzione più particolare poiché è uno dei gas serra che ha la capacità di assorbire i raggi solari, rendendoli più innocui, e di trattenerli regolando la temperatura del nostro pianeta. L’effetto serra di per sé non è un gas nocivo, ma ciò che l’uomo ha dannosamente fatto ha ampliato i suoi effetti. I raggi UV, infatti, se non filtrati dai gas serra, provocherebbe-

ro gravi problemi all’ecosistema e alla vita. Continua nella pagina successiva→

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IL CANNOCCHIALE GALILEI’S THEORY Gli scienziati, conducendo allora delle indagini, si sono accorti che in alcune zone si crearono dei grandi squarci di questo strato, la cui causa fu individuata

nei CFC: dei composti chimici prodotti da vecchi elettrodomestici che appena raggiungono i raggi di sole reagiscono e liberano nell’aria molecole di cloro, le quali reagiscono a loro volta con quelle di

ozono, scomponendolo in ossigeno e in nuovo cloro, creando, così, una grande reazione a catena con risultati drastici. La preoccupazione generale dilagò e la popolazione iniziò a chiedere ai governi di fare qualcosa, richiesta che portò alla nascita del “protocollo di Montreal” (1987), in cui tutti gli stati firmatari si impegnarono a intraprendere azioni volte a eliminare il 99% delle sostanze chimiche responsabili del buco dell’ozono, portando all’attuazione di oltre 7000 progetti per cui si spesero 3.2 miliardi di dollari ma che portarono all’eliminazione di 463 mila tonnellate di queste sostanze. I primi risultati arrivarono già nei primi anni 2000, momento in cui gli scienziati iniziarono a rilevare aumenti di ozono e i buchi iniziarono, dunque, a rimpicciolirsi.

Questa buona notizia deve solo aiutare a capire che si può risolvere il cambiamento climatico, operando insieme affinché una situazione tanto disastrosa non si ripresenti. Romeo Verì 2^B

WHEN IN ROME DO AS THE ROMANS DO THE EXPERIENCE OF A FINNISH GIRL IN ITALY On the 30th of November some Finnish students came to Lanciano for an ERASMUS project. They were hosted by a few students of our school who, in return, will be hosted in Finland by them in April. During

their stay they visited our area and tasted our local food. But most of all they had the opportunity to discover a new culture, share experiences and meet new people. We interviewed one of them to find out about her experience in Italy. This is what she answered: What’s your name? Maya Where are you from? I’m from Finland Pagina 9

Which was the activity you liked the most? I don’t know, it’s a hard question but I’ve enjoyed every day and every activity really much. I’ve had plenty of fun here in Italy and above all I’ve met amazing people. What are the differences between your school in Finland and our school in Italy? My school in Finland is smaller than yours. Are Finnish boys better looking than italians? No, no, they absolutely aren’t. Cappuccino or Spritz? Spritz Which one did you like the most? Fossacesia or Guardiagrele? Why? I liked both of them, but my favourite one was Guardiagrele. I loved the views of the Majella Mountain and the old town with its narrow streets and its Cathedral. But my favourite part of the day was visiting the blacksmith workshops making handmade decorations. What would you like to show the Italian students when they go to Finland? I will show them the saunas and also Finland’s nature and its amazing landscapes. They spent a week in Lanciano but

they had to leave on the 5th of December. We all want to wish them good luck, and we hope the Italian students will have fun in Finland! Chiara Ciccocioppo 5^D

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IL CANNOCCHIALE WHAT HAPPENS IN L.S. STAYS IN L.S. MARE MATEMATICO: LA STORIA SECONDO PIERGIORGIO ODIFREDDI L’importanza della storia della Matematica è sottovalutata dal sistema istruttivo italiano e Piergiorgio Odifreddi (matematico e saggista) ne fa da portavoce: in occasione dell’incontro, organizzato dalla prof.ssa De Titta, lo scorso 18 Ottobre presso il Teatro “Fenaroli” di Lanciano, il logico italiano svela l’origine di alcune asettiche leggi matematiche, mostrando come siano nate per esigenze pratiche e, soprattutto, non da “profeti o supereroi”. La Grecia Antica: la vera patria del sapere assoluto? La credenza comune riguardo alla cultura ellenica riconosce a questa il primato conoscitivo, la identifica come la casa dell’erudizione, della filosofia e della matematica. Questa concezione cade, secondo Odifreddi, con l’avvento dello studio di culture differenti: l’emblema dell’Antico Egitto è la piramide, frutto di procedimenti matematici che hanno garantito l’esattezza del volume, dell’inclinazione e della base da adottare, mostrando come a poliedri diversi si associano angoli diversi. Il limite di tali metodi di pensiero e costruzione, tuttavia, è l’omissione di un qualsiasi tipo di dimostrazione. La figura di Talete di Mileto risolse tale difficoltà partendo dalla misurazione dell’altezza di un obelisco, messa in proporzione con l’altezza di un uomo comune - poiché considerato un “poligono simile” - e rilevare la loro ombra. Per la misurazione dell’altezza di una piramide questo procedimento risulta inefficace, in quanto l’ombra dell’altezza ricade all’interno di questa: gli egizi progettarono tali costruzioni funebri in modo che i raggi del sole a mezzogiorno fossero paralleli a due facce dell’intero solido. L’epoca d’oro del rettangolo aureo Il viaggio condotto da Odifreddi approda a Crotone dove Pitagora, autore del più celebre teorema Pagina 10

matematico della storia, creò il Tetraktys, la successione aritmetica dei primi quattro numeri naturali che geometricamente si configura come un quadrato equilatero di lato quattro. Sulla base di questa attenzione ai numeri da parte del filosofo, il teorema di Pitagora viene spiegato ai presenti in diversi modi: l’inserimento di diversi poligoni all’interno di quadrati equivalenti. Con questi esempi viene mostrato che tali figure formano il cosiddetto rettangolo aureo, le cui proporzioni sono basate sulla proporzione aurea, il numero (phi) di valore 1,6: tracciando un arco di cerchio che abbia raggio uguale al lato minore si ottengono due figure, un quadrato e un rettangolo, anch’esso aureo, e

matematico, definendolo come un “poliedro con venti facce e quindici vertici”, la cui esistenza venne dimostrata da Teeteto con il primo teorema di classificazione. E

quindi? Il percorso del matematico si conclude con significativo riferimento ad “uno dei più influenti romanzi della letteratura occidentale”, Guerra e Pace di Lev Tolstoj: il capolavoro, infatti, termina con una celata riflessione sulla matematica, in cui l’inno ad essa si basa sul suo ruolo di sviluppo della logica, impattante sulla storia e sulla filosofia. Nicole Presenza 5^D

questo ripetuto all’infinito, un concetto trattato per la prima volta da Pitagora. Il risultato sarà una spirale che, riportando l’esempio del matematico, si trova in natura nelle conchiglie. La matematica nell’arte Nel corso della storia la matematica ha camminato di pari passo con l’arte, celando le regole oscure delle rappresentazioni pittoriche. Il genio rinascimentale pone le sue basi su rigorose norme geometriche, da Leonardo Da Vinci a Piero Della Francesca; quest’ultimo nella sua “Flagellazione” struttura la scena seguendo le sezioni del rettangolo aureo, nel quadrato l’episodio biblico e nel “nuovo” rettangolo quello contemporaneo. Facendo, invece, riferimento a figure geometriche come il dodecaedro, Odifreddi illustra “L’ultima cena” di Salvador Dalì, in cui la finestra che fa da sfondo si costruisce come tale poliedro. Con questo pretesto l’ospite del Galilei approfondisce questo tema Volume 1, Numero 1


IL CANNOCCHIALE WHAT HAPPENS IN L.S. STAYS IN L.S. LA NOSTRA TRADIZIONE Le tradizioni lancianesi sono particolarmente note e accompagnano la vita della città per tutto l’anno. Tra le tante una in particolare è la Squilla, simbolo di pace, amore e riconciliazione. Tutti l’hanno sentita nominare almeno una volta nella loro vita, ed è la tradizione che segna l’inizio delle festività natalizie. Essa è identificata come una delle più belle e sentite di tutte le festività, non solo perché si tratta di un rito unico, celebrato

soltanto a Lanciano, ma anche perché è ricca di tradizioni e abitudini secolari. Dal quarto secolo infatti, per ogni lancianese che rispetti una tradizione, il 23 dicembre, uno dei giorni più importanti dell’anno, quasi tutte le famiglie iniziano già a festeggiare il Natale da due giorni prima. Tale consuetudine inizia ufficialmente alle 15:00 nella nuova chiesa del cimitero, dove l’arcivescovo Emidio Cipollone, celebra la messa di rito. Successivamente ci si ritrova in piazza Plebiscito alle ore 16:00, dove i più tradizionalisti, con le fiaccole in mano, si avviano in processione verso la chiesa di Santa Maria dell’Iconicella, quartiere a circa tre chilometri dal centro storico, cuore della tradizione, dove si svolgerà

poi una cerimonia religiosa. Un pellegrinaggio, voluto nel 1589 dall’arcivescovo Paolo Tasso, che ricorda quello di Maria e Giuseppe da Nazareth a Betlemme. Giunti al termine del percorso, alle 17:00 circa, il vescovo, accompagnato dai saluti del sindaco, pronuncerà un messaggio prima di fare ritorno in piazza, e, poco prima delle 18:00, dopo il suono della campana, simbolo di riconciliazione, perdono, fede e speranza, nota proprio come “Squilla”, si scateneranno auguri e abbracci. Le vie si riempiono di un’insolita animazione, i negozi abbassano le saracinesche, e arrivate le 19:00, ognuno torna nella propria casa e dà il via alla tradizione familiare con il baciamano, gesto molto simbolico posto al più anziano della famiglia dietro una finestra. Ad accompagnarli si uniscono tutte le chiese cittadine, come immagine religiosa, che iniziano a far suonare le proprie campane, accompagnando così gli auguri di tutti e il rientro a casa. Tra auguri e commozioni arriva il momento di scambiarsi i regali di Natale, in anticipo di due giorni, spostando poi questa felicità in una lunga cena a base di carne e, per i più fedeli alla tradizione, di testine d’agnello. Attorno alla tavola oltre al tipico pasto principale si aggiunge una varietà di portate, dove il capo famiglia, avrà l’onore di riscaldare i propri affetti accendendo il camino, ponendo sul focolare il “tecchio”, una radice di ulivo centenario, che durerà fino al giorno della Befana. Questa cerimonia domestica dunque si svolge in un clima di affettuoso rispetto, andando oltre le piccole incomprensioni e i semplici contrasti quotidiani. Le origini della Squilla sono antichissime: dal 1588 l’arcivescovo di Lanciano, Paolo Tasso, partì dal suo palazzo, secondo

alcune versioni a piedi scalzi, per andare in pellegrinaggio all’Iconicella proprio la sera del 23 dicembre, come penitenza, ma anche come ricordo del viaggio dei pastori e di Maria e Giuseppe verso la grotta di Betlemme, in cerca di una sistemazione per la notte. Con il passare del tempo molti fedeli iniziarono a seguirlo per ascoltare le sue prediche di pace pronunciate durante il cammino, ed è così che, anche se a distanza di 435 anni, i cittadini continuano a onorare questo grande gesto riproponendolo anno per anno, senza far perdere per quella stessa strada percorsa, questa grande tradizione. Nonostante la città di Lanciano regala diversi eventi commoventi, presepi e manifestazioni varie, il segno di pace più simbolico e antico che rinnova la tradizione ogni anno lo si ritrova proprio in questa manifestazione. Niente e nessuno riesce ad unire con del semplice amore tutto il popolo cristiano, e soprattutto chi nasce e vive nella nostra città ha l’occasione di ritrovarsi e rinnovare i vincoli di amicizia, rivolgendo inoltre un pensiero anche a chi è andato via dalla sua terra natia, Lanciano, e sente ancora di più la nostalgia della propria città. La storia della Squilla si definisce quindi come la festa della famiglia, che apre i festeggiamenti natalizi, periodo dell’anno che più di tutti rafforza i legami familiari. Alisia D'Angelo 3^E

UNA NUOVA BIBLIOTECA PER IL GALILEI Probabilmente molti, soprattutto i nuovi arrivati, si chiederanno se esiste davvero una biblioteca nell’istituto: la risposta è sì, e, soprattutto, è molto fornita: manuali che spaziano dalla scienza alla letteratura, dalla matematica alla filosofia; eppure lo stato in cui dilagava questa risorsa del liceo rendeva inaccessibile, motivo per cui la prof.ssa Pagina 11

Bianco, sotto la delega della dirigente scolastica, si è prodigata per “ri-inaugurare” la biblioteca del Galilei. Il progetto è già avviato e di seguito si riportano le parole della referente. Gentile professoressa, noi redattori del Giornale d'istituto siamo venuti a conoscenza della sua volontà

di ripristinare il servizio della biblioteca scolastica. È una bellissima idea e sicuramente tutti gli alunni del Galilei potranno beneficiarne. Ci può illustrare il progetto a cui ha pensato? Certamente, la scuola porta avanti quest’idea da un po’ di tempo e ha individuato me come referente. → L’anno scorso, infatti, ho seguito un Volume 1, Numero 1


IL CANNOCCHIALE WHAT HAPPENS IN L.S. STAYS IN L.S. che esiste già da tempo una biblioteca del liceo scientifico Galilei di Lanciano ed è anche molto fornita, dato che contiene circa duemila volumi. Per portare avanti questo progetto ho chiesto la preziosa collaborazione delle prof.sse Altobelli e Tano che attraverso la loro esperienza e il loro entusiasmo daranno una grande mano nel poter organizzare nel migliore dei modi la biblioteca scolastica. Un miglioramento sarà possibile, ad esempio, con un riammodernamento

dell’arredamento a cui abbiamo già pensato, cercando di conservare laddove possibile la già presente scaffalatura. Inoltre,

sarebbe utile affidarci a una piattaforma online per curare l’archivio digitalmente. Chiedo la collaborazione di tutta la scuola affinché si possa realizzare qualcosa di bello e utile. La biblioteca sarà di tutti. È stata pensata come uno spazio comune dove ognuno potrà sentirsi a proprio agio. Può già dirci, approssimativamente, in che periodo la biblioteca sarà aperta a tutti gli alunni? Mi piacerebbe aprire la biblioteca scolastica nel mese di aprile. Sarà posizionata nell’aula magna, in particolare dietro il tendone verde. Tuttavia, tutto dipende dai lavori che sta svolgendo la nostra scuola per costruire la nuova classe. Ha in mente anche altri progetti collegati all’inaugurazione della nuova Biblioteca scolastica? Sì, stavo pensando ad alcune iniziative interessanti. Ad esempio, tutto l’istituto potrebbe essere coinvolto nella giornata del “Dona Libro”. Chi desidera potrà portare un libro che ha già letto e donarlo alla scuola per arricchire la Biblioteca del Galilei. Le parole della prof.ssa Bianco avranno sicuramente fatto riemergere questo

“tesoro nascosto”, il quale sarà sicuramente prezioso per tutti gli studenti, dai più grandi ai più piccoli. Benedetta Di Matteo 5^A

IL GALILEI PROTESTA Novembre 2023, per il liceo scientifico, si è chiuso col botto. Il 29 novembre 2023, infatti studenti da tutte le classi, si sono radunati per sollecitare la provincia e le istituzioni scolastiche a migliorare le condizioni della struttura, riempiendo l'ingresso della scuola con cartelloni e promesse amplificati dalle casse ‘’mobili'’. L'obiettivo principale della manifestazione era cercare di animare le coscienze collettive riguardo alle problematiche fisiche della scuola prima che un pezzo di soffitto cadesse sulla testa di qualche sfortunato. Infatti, ciò che i rappresentanti hanno voluto riaffermare è che lo stato attuale della scuola non è proprio ideale. L'intero istituto, è formato da mura piene di muffa che cadono a pezzi, si verificano infiltrazioni ogni volta che piove Pagina 12

e il tetto della palestra presenta le possibilità di crollare da un momento all'altro. Un altro dei motivi che ha portato ‘’le masse'’ a partecipare, è il fatto che mancando delle classi, ci sono studenti costretti a spostarsi di continuo settimanalmente facendo il giro della scuola per trovare un'aula che possa ospitare le loro lezioni; il cosiddetto, caso 5F. La goccia che ha fatto traboccare il vaso, però è stato un problema riscontrato con la caldaia la quale nelle ultime settimane aveva cominciato ad emanare in molte classi forti odori e che ,da quando è stata montata, nel 1995, non è più stata cambiata o controllata. Queste informazioni arrivano da un rappresentante della provincia, che durante lo sciopero è arrivato a parlare con gli studenti e dar loro spiegazioni.

E' stato esposto ,infatti, che la provincia ha preso atto della la ristrutturazione della scuola la quale sarà presto oggetto di una progettazione ministeriale, ma ha ribadito orgogliosamente che gli studenti hanno pienamente il diritto di lamentarsi in quanto la scuola rappresenta una seconda casa ed è loro diritto di difendere e curarla, porgendo dei complimenti per l'inclinazione pacifista del dibattito. A rendere questo giorno memorabile, è stato l'arrivo dei reporter di Telemax che hanno fatto risuonare tutti i motivi della protesta e le decise parole di Sara su tutta la regione. Giorgia Azzarà, 3^B

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IL CANNOCCHIALE LA NOSTRA PARTE CREATIVA LA TREGUA DI NATALE L’albore delle prime luci del mattino illuminava il candido suolo coperto di fiocchi. Gli scheletri di corteccia e le croci di trincea, rappresentavano gli unici ornamenti del gelido paesaggio. Il profondo silenzio che avvolgeva i campi venne improvvisamente interrotto da un richiamo lontano. Io, insieme ai miei compagni soldati, aprii i miei occhi. Mi accorsi con grande sgomento che quello non era il solito grido di guerra, ma si trattava di qualcosa di più speciale, caloroso, capace di riportare l’anima al dolce focolare domestico, in grado di solleticare quella gioia remota, ormai da tempo sepolta. Gli sguardi dei soldati si illuminarono e si rincorrevano curiosi nel tentativo di scorgere nel compagno la consapevolezza di cosa stesse accadendo, nella speranza che quella tregua non fosse un sogno che stava per spezzarsi o un desiderio ancora lontano. Anche io, nelle prime ore di quella mattina di Natale, mi risvegliavo sorpresa, incredula di poter concedere riposo alle mie stanche gambe. Mi aggiravo su quel terreno impregnato dal sangue dei caduti Tedeschi, Inglesi e Francesi, calpestato da soldati ancora impegnati nel loro compito mortale. Ma quello non era un giorno come gli altri: era il venticinque dicembre 1914. Mentre il mio sguardo esaminava chirurgicamente tutto ciò che mi circondava, improvvisamente i miei occhi incontrarono un veromiracolo, che non avrei mai dimenticato. Durante la mia lunga vita erano state tante le stranezze che avevo incrociato sul mio cammino, ma nessuna aveva suscitato in me cotanta commozio-

ne. Mi sedetti sulla gelida roccia e ammirai l’effimera bellezza che avevo dinanzi. Gli avversari, con le membra aggrinzite dal freddo e dal timore, con timidezza si avvicinarono lenti alla terra di nessuno e in silenzio si fronteggiarono. Nella quiete, interrotta talvolta da folate di vento, rimbombò l’annuncio di pace di un’arma caduta. Uno dopo l’altro gli strumenti di sterminio raggiungevano il suolo e i soldati, unendosi in calorosi abbracci e strette di mano, illuminavano il buio nei loro sguardi con lacrime di gioia e si auguravano il buon natale. Anch’io mi unii a quel pianto liberatorio e incredulo, osservando i giovani colti da inventiva e spirito di iniziativa, realizzare una palla di stracci e due rudimentali porte formate da semplici rami conficcati nel terreno. Iniziò così la partita di calcio. Mi sorpresi a ridere di gusto nel vedere anche i comandanti più seriosi e crudeli abbandonare la loro ineccepibile professionalità, dilettandosi nel gioco come bambini. Quella spensieratezza creava una bolla di protezione attorno a quei soldati, la cui vita percorreva il sottile filo di un equilibrista cercando di non cadere nell’oblio. Scorsi in lontananza gli angelici volti di mogli e figli ritratti in

fotografie da tempo sbiadite e giallastre, strette al cuore degli sventurati soldati, coloro che da acerrimi nemici formarono legami di amicizia, fondati in quel dolore condiviso. Io, invece, ipnotizzata e smarrita nella mia contemplazione, avevo perduto la percezione dello scorrere del tempo. Il dolore angosciante si impadronì nuovamente di me, e mi accorsi che il sole stava tramontando. Istantaneamente, vidi le tenebre annebbiare i volti dei soldati e compresi che l’ora era giunta. Un ultimo saluto e le amicizie appena nate, cosi presto si abbandonarono per sempre. Mi alzai, con il cuore in gola ricominciai il mio cammino, rimuginando nei miei sensi di colpa. Come potevo falciare tale gioia di vivere che, animava i soldati che avevo fino ad allora osservato. Cercai di non pensarci, in fondo quante vite avevo visto spegnersi tra le mie braccia. Chi se lo aspetterebbe mai da me, la più temuta, la nascita di tali vergogne e ripensamenti? Eppure anche nei più forti, nell’anima armata di falce, si celano grandi insicurezze. A tutti capita di barcollare, persino a me, la morte. Giulia Colantuono e Sara Di Marcangelo 3^C

LA NEVE Cade dal cielo cristallizzata Danzando volteggia col vento graziosamente la vedi poggiata dove posto per se trova a stento. Bianca risplende col suo candore che le fu donato in modo tale da riflettere anche la luce minore, per accecarti in un modo fatale. Giocan gioiosi grandi e piccini: piccoli angeli e pupazzi di neve decorati con rami e bottoncini che prima o poi dovranno cadere.

Oriana Tuku 1^M

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IL CANNOCCHIALE LA NOSTRA PARTE CREATIVA INNO DEL PERDERSI

2001 - “A volte mi sento invisibile, che temo che la gente possa vedere oltre me, oltre il mio cuore”. Le sue labbra abbracciavano per la millesima volta quella sigaretta, ormai finita, in una stretta ormai stanca ma salda, per paura che la nicotina smettesse quasi di fare il suo effetto. Labbra dalle pellicine mangiucchiate abbinate alle unghie divorate dal nervosismo; dava l’aria di un ragazzino. Guardava la realtà di fronte a sé, un po’ spezzata e annebbiata dal fumo della sigaretta, con uno sguardo da far paura: decadente, perso. Non guardava davvero. Pascal, non guardava affatto. I suoi occhi sembravano incapaci di focalizzarsi su qualcosa che non fossero pensieri e memorie, proiettati incessantemente nella sua mente, occhi incapaci di concentrarsi sulla realtà di quel momento. I suoni di tempo fa si mischiavano con i cani che abbaiavano nel cortile della vicina, con le macchine che sferzavano di fronte casa sua, delle frasi senza senso dei bambini che giocavano da lontano nel parchetto; la voce di sua madre che lo richiamava e gli dava dello stupido, ora sembrava fondersi nel cinguettio delle rondini; il tonfo dello schiaffo di suo padre sulle guance già rosse pareva una sigaretta che veniva accesa; le urla della sorella non erano altro che la melodia del cellulare di uno sconosciuto che entrava in un cafè. Non connetteva, Pascal. Come fosse un sogno, non ci pensava più di tanto; come nulla fosse mai successo davvero. Da un bel po’ aveva avuto questo suo dubbio esistenziale, se la sua realtà era una realtà valida per tutti, se quei fiori che vedeva la mattina fossero rossi per tutti, se la sua vicina si chiamasse davvero Margot come diceva, se i suoi amicii lo avessero davvero piantato in asso anni fa. Al pensiero, gli venne d’istinto mangiarsi un altro pezzo di labbro. Il gusto ferroso del sangue mischiato a quello del tabacco era il suo preferito. Strizzò gli occhi un paio di volte, prima di fare un altro tiro, buttare la sigaretta a terra e spegnerla con la scarpa. La guardò, un po’ di sbieco, prima di andarsene da quel posto; sospirò all’idea di dover ricomprare un altro pacchetto di sigarette. Pagina 14

Pascal, non aveva una destinazione precisa. Pascal non aveva alcuna destinazione. Vagava come un cane randagio per la cittadina dove abitava, in cerca di qualcosa, o in fuga da qualcosa. Magari da se stesso. 2001, Novembre - “Mi guardavo allo specchio e non riuscivo a vederci se non un pagliaccio dal rossetto sbavato, quasi avessi baciato me stesso prima di deridermi ancora”. Il rumore elettrostatico della televisione pareva una melodia se si faceva attenzione; una melodia depressiva. Casa di Pascal, di solito, d’inver-

no sembrava un vero e proprio mortorio (non che d’estate fosse messa meglio). Pareva non ci abitasse nessuno. I coinquilini di Pascal erano i fantasmi dei peccati che fece in passato, la muffa negli angoli, e un gatto di nome Maruzza, una bestia storpia, con un occhio bucato e cieco; aveva le zampe un poco storte e la coda tutta spellata. Faceva un po’ ridere se si pensava che quel gatto fosse proprio suo. L’appartamento di Pascal era letteralmente un buco. D’inverno diventava una sala delle torture. In quella stanza ci moriva sì e no, dieci volte al giorno. Il soffitto era tutto giallastro e rovinato dal tabacco fumato, e il pavimento pieno di polvere e di residui di bestia. A Pascal non importava. In quella stanza, fumava, si minacciava, prendeva a calci la bestia per poi chiederle scusa, per poi dichiarargli amore, per poi fumare ancora, e ancora, e ancora, e andare a dormire con una voglia di piangere non soddisfatta. Diventava d’improvviso invisibile. Se non stava a casa, allora non stava nemmeno fuori. C’erano giorni in cui Pascal non si trovava da nessuna parte, altri in cui

diventava tutt’uno con il Mondo, in cui diventava i fiori rossi dei campi, il marito di Margot, la suoneria del cellulare di qualche signora che passava di lì per caso, gli schiamazzi dei bambini che giocavano a nascondino. Passavano i giorni e si consumava la bestia. 2002 - “In fin dei conti sono niente...in fin dei conti sono tutto”. Pascal non esisteva, o almeno, non che gli paresse. Si è sempre trovato in situazioni divertenti; non era mai il protagonista di niente. Nemmeno della sua stessa realtà. Furono sempre gli altri a rubare l’istante di attenzione, merito pubblico. E seppur tale fece ingoiare e sputare lacrime, reprimere aspettative, Pascal ne ritraeva comunque vantaggio; nuotava ora nell’ombra. Usciva con la chiazza di caffè sullo smoking, le scarpe slacciate; portava calzini spaiati e maglie al contrario; stava il giorno intero con gli angoli della bocca ancora sporchi di marmellata. Non fu Margot, né la signora che vende crisantemi al cimitero di San Paolo, ancora meno il piccolo borghese che siede al cafè sotto casa sua, a rivolgergli la parola, a notarlo proprio. Come un cane spellato, un po’ come la sua Maruzza, non era bello abbastanza da suscitare pietà. E se per assurdo veniva notato, stiamo pur certi che nessuno - nemmeno il barbone di San Paolo, nemmeno il mendicante a tre passi dal cafè, gli avrebbero detto qualcosa a quell’asino cafone. Perché Pascal non esisteva. Pascal non esisteva abbastanza. Continua nella pagina successiva→

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IL CANNOCCHIALE LA NOSTRA PARTE CREATIVA LA TREGUA DI NATALE 2002 - “Novembre puzzava, e puzzava di morte”: Incasinato e affaticato, Pascal fumava via i pensieri. In poche settimane aveva speso tutti i suoi risparmi in tabacco e francobolli, per lettere che non avrebbe mai scritto. (Chissà poi a chi fossero indirizzate). Novembre non faceva che ricordargli la piccola Germana, le botte prese, le parole di scoraggiamento da parte di madre e padre. L’Autunno rovinava le giornate a Pascal. Spesso, c’era il dubbio se il peso della terra fosse quanto l’angoscia dell’animo suo, che non toccava e veniva toccato da tempo assai e che veniva arso ed espirato altrove. Pure la Maruzza sembrava più cieca del solito, più goffa e stanca. Pascal si ritrovava spesso a conversare con i lampioni delle strade, con le macchine bianche parcheggiate, con le selvagge indaffarate. E dunque, parlò del vestito di Odette, degli amici delle medie, di come sua madre non gli preparava mai la merenda. Parlò finché i risparmi si sarebbero dovuti considerare “debiti”, finché i panni appena lavati di Margot non mascheravano la puzza di morte, e la Luna dava spazio al Sole, e le stelle sparivano dal cielo e lui smetteva di coricarsi piangendo. Parlò finché non c’era più niente da dire. 2002 - “Vivere di Conseguenza” Insieme a chi? Tu già mi agiti Immergersi Non provi un che Dove sei? Non correre ai ripari [...] 2002 – “Pensai fosse finito il mondo ma era solo Odette” Conobbe Odette per puro caso; il Destino si era giocato tutto. In quel periodo Pascal aveva iniziato a non camminare più al lato sinistro del marciapiede. Ora calpestava, con prepotenza disarmante, l’estremo destro del cornicione di cemento coi stivali zuppi di fango, perché pioveva. Pioveva già da un po’ in realtà; aveva finito la nicotina quantizzata già da un po’...in realtà. E Pascal era fuori di sé (o dentro di sé). Ora, sicuramente era fuori strada. Si rigirava, nervoso, i pollici, NON perché Pagina 15

il silenzio gli toglieva quella certezza (seppur lieve) di star vegetando, quella consapevolezza di essere Creatura anche lui (che in parte ammalava l’animo suo), ma perché Odette lo stava osservando. Odette lo stava osservando particolarmente, con occhi fissi, penetranti, tale che l’intensità del loro intonaco avrebbe potuto metamorfosarsi in burro d’arachidi spalmabile sul pane; che la grandezza loro lo avrebbe potuto inghiottire completamente, in un attentato crudele di vorarefilia; che le ciglia nere avrebbero potuto trascinarlo altrove, come forche da giardinaggio (rapimento). E Pascal era fuori di sé (o per sé). Ora, sicuramente era fuori orbita. Su, sveglia Ci vuole un gin Altro sarai Se capiti qui Più di un mostro E non ciò che vuoi Vivi e non basta [...] Fluiva a passo veloce, Pascal. Pascal, era attualmente un aggravato di scetticismo, misto a un non so che di incredulità e voglia di isolamento. La Primavera gli faceva proprio schifo; lo nauseava. Al suo pensiero, i suoi nervi si stendevano - tanto da rischiare di strapparsi, e nello stomaco suo, ribolliva furente un senso di rabbia e vergogna, accompagnato da una sensazione incessante di morte. Era in quei momenti, quando si accorgeva di essere stato “avvistato”, che non aveva più timore dell’infinito spazio che lo circondava, dell’incessante Assoluto in espansione. In momenti come quello, desiderava, anzi, bramava, con ardente passione, che una catastrofe si palesasse; chessò...un’apocalisse? Lo spegnersi improvviso del Sole? la fine dell’Universo? Pascal non aveva preferenze. L’unica a terrorizzarlo pareva rimanere Odette; Odette era un tumore. Pascal non voleva parlarle perché Odette l’avrebbe ascoltato; non voleva incontrarla per strada perché non era giusto sostituirla con la nicotina; non voleva starle vicino perché odorava di albicocca. Sentiva un forte senso di scontentezza, di estraneità. Pascal non conosceva bontà. A

forza di impersonificare il passato, era diventato niente meno che un camaleonte dei peccati suoi. È panico restio E cambio umore anch’io yeeh Ma se ti rialzerai Di nuovo, si, vedrai yeeh [...] Il giorno in cui incontrò Odette, fu il giorno in cui Pascal morì. Ormai era la fine del mondo. 2002 - “Odette era un tumore...Un docile tumore”. Col tempo corrodeva gli organi interni del disgraziato senza accennare alcuna tregua. La donna armeggiava con la cassa toracica del ragazzo come fosse candido quarzo, boicottando la barca di impulsi al centro del suo cuore, cuore che pulsava...e pulsava. Pascal si trovava in difficoltà; si sentiva “visto”. Seppure le ossa sue si consumavano sotto il tocco di Odette, seppur la sua pelle pareva sgretolarsi sotto il palmo della donna, la frizione tra le due autocoscienze sembrò generare Calore. E quel Calore lo bruciava. Portava arsure su tutto l’animo; con orrore; con disgusto; con compiacimento; con un misero accenno di letizia. Le dita di Odette sfioravano le sue cicatrici intravenose e quelle ancora in fase di chiusura; quelle embrionali; quelle violettogiallastre; ustionandole come olio bollente. E facevano un male cane. 2004 - “Cane bastardo!” Pascal non conosceva bontà. È vero. Un meticcio avrebbe ripudiato le bestie creatrici, sconsacrandole. Avrebbe morso ogni palmo gli si avvicinasse per accarezzarlo. Continua nella pagina successiva→

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IL CANNOCCHIALE LA NOSTRA PARTE CREATIVA Avrebbe ignorato i tramonti, il pianto del fiume, chiudendosi nel proprio Io. Ma non era il caso. Pascal non era un meticcio, ma figlio della cattiveria; coniuge di un funesto languore. Aveva le radici animalesche metamorfosate nelle sue vene; il sangue che gli scorreva dentro non era che veleno, non era che ricordanza di non poterlo candeggiare. E lui sembrava accoglierlo. Mai diede la colpa ad alcuno, nemmeno a sé stesso.

Sapeva che qualcosa di brutto gli sarebbe successo. Lo riconosceva. Eppure non sapeva raccontarlo nel dettaglio; non sapeva individuarne le cause. La sua realtà non era la sua, ma delle sue bestie. E come un Tristo Randagio viveva di funghi porcini. [...] Diana Enescu 5^L

CRONACHE D’AsportO REGOLA N.1 DEL FIGHT CLUB: IMPARA A PERDERE O qualcosa del genere. Molto spesso si è convinti che ogni storia che valga la pena di essere ascoltata debba essere gloriosa o che debba far fiorire negli ascoltatori il sentimento ottimistico di cui parlano le canzoni di Armstrong. La realtà, purtroppo, non riflette bene questa dialettica e il calcio ha un repertorio vastissimo di racconti senza vincitori, ma impressi nella memoria collettiva perché, in fondo, insegnano una lezione diversa da quella predicata sui libri di scuola. Storie di abbandoni, sconfitte o pareggi; questa è una di quelle. Benedeta Kamberaj 5^D Il viaggio della speranza. Era una domenica e ci siamo dovuti svegliare alle 6:00. Alle 6:30 c'era il ritrovo al campo. Pronti per partire per Avezzano; il viaggio è lunghissimo, di 3 ore. Sull'autobus abbiamo riso e scherzato; alcuni perfino dormivano. Arrivati al campo il panorama era immenso,quasi dispersivo. Quel campo era enorme! Una partita fantastica! Il mister detta la formazione e tutti si preparano. Noi cominciamo a fare riscaldamento. Il clima era qualcosa di indecifrabile come la tensione letta sul volto dei ragazzi. E finalmente si parte. Gli avversari si avviano con uno schema strano; dal calcio di inizio la buttano sul fondo per, poi, andare subito in posizione. I successivi 30 minuti vanno di bottaPagina 16

risposta di goal. Siamo 2 a 2. Ed ecco qua: punizione nostra dal centro campo. C'era molto vento e il nostro difensore prese una lunga rincorsa. Sapevamo che voleva tirare. Il mister lascia stare, lo fa provare. Tiro potentissimo a giro e ,subito, gol sotto l'incrocio. Nulla da fare per il portiere. Si va a riposo. Il mister dà le ultime indicazioni. Il primo tempo è, ormai, terminato. Un secondo tempo da favola... Noi correvamo più di loro, avevamo un passo molto più veloce e sembrava quasi che fosse il primo tempo perché eravamo freschi. Dopo un tiro a campanile degli avversari, che il nostro portiere non ha visto, perché accecato dal sole, hanno segnato il 3-3. Negli ultimi 10 minuti entra una riserva che si chiamava Jacopo. Il nostro capitano ormai stremato ci prova fino all’ultimo e prova un’incursione. Un giocatore avversario provoca fallo. Jacopo batte la punizione con papera del portiere ed è goal. 4-3 per noi. Se non fosse che per un errore su calcio d’angolo del nostro difensore all’ultimo momento subiamo il 4-4. Finita la partita e rientrati nello spogliatoio, il mister si commuove dicendo testuali parole: “Se fossimo stati più attenti ce l’avremmo fatta e chissà dove saremmo potuti arrivare”. Un finale da urlo? Dopo ogni buona partita c’è il “terzo tempo” nel quale si mangia a palate e ci si diverte. Nel viaggio di ritorno eravamo tutti giù di morale ripensando alle parole del mister e agli errori che avevamo fatto.

Kevin Cianci 2^I

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IL CANNOCCHIALE LE PREDIZIONI DEL GALILEI L’OROSCOPO

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Volume 1, Numero 1


IL CANNOCCHIALE LE PREDIZIONI DEL GALILEI L’OROSCOPO

Alessia Ciarla 3H e Maria Biondi 3H

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