Fuori Orario marzo-aprile 2019

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N° 3

Anno XXXII

FEBBRAIO - MARZO 2019

in università dal 1987

L’ACQUA DEL FUTURO: Come faremo quando l’acqua dolce sparirà?

IL MIGLIORE AMICO DELL’UOMO: Fidatevi, non è il cane! Capodanno a Camaldoli!: Il Casentino nel mirino!

SOSTEN(IAMOCI)... AMBIENT(IAMOCI)


INDICE EDITORIALE

pag. 1

PAROLE DI VITA (Don Luigi Galli)

pag. 2

INSOSTENIBILITÀ AMBIENTALE, ECONOMICA E SOCIALE (Marta Magnani - Andrea Salvini)

pag. 4

L’ACQUA DEL FUTURO (Sofia de Giorgi)

pag. 6

IL GIARDINO È IL MIGLIORE AMICO DELL’UOMO (Andrea Scelsa)

pag. 8

(Lorenzo Cattaneo)

IL PIACERE DELLA LETTURA: IL SENTIERO DEI PROFUMI (Monica Agnelli)

pag. 10

GUARDA E IMPARA: I FIGLI DEGLI UOMINI (Mattia Bizzozero)

pag. 11

IL GIRADISCHI: BIG YELLOW TAXI (Chiara Magnani)

pag. 12

VOCI DAI CHIOSTRI: UNICATT (Pietro Signò)

pag. 16

LA VOCE DI MINERVA: UNIMI (Juri Mainardi)

pag. 18

LA NOSTRA FEDERAZIONE (Laura Fazzone)

pag. 20

NOTIZIE DAI RAF (Lucilla Incarbone)

pag. 22

GIROVAGANDO PER IL MONDO (Francesca Bertuglia)

pag. 24

REDAZIONE Mattia Bizzozero Marco Demo Chiara Magnani DIRETTORE RESPONSABILE Paolo Danuvola DIREZIONE, REDAZIONE via S. Antonio, 5 - 20122 Milano PROPRIETA’ Fondazione Ambrosiana Attività Pastorali Milano. Registrato presso il Tribunale di Milano, n. 113 del 16/02/1987 Stampato con il contributo dell’Università derivante dai fondi previsti per le attività culturali e sociali.

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO Monica Agnelli Francesca Bertuglia Mattia Bizzozero Lorenzo Cattaneo Laura Fazzone Sofia de Giorgi Don Luigi Galli Lucilla Incarbone Chiara Magnani Marta Magnani Juri Mainardi Pietro Signò Andrea Salvini Andrea Scelsa

GRAFICA & COPERTINA A CURA DI: Mattia Bizzozero


EDITORIALE

ESSERE SEMPREVERDI! Caro lettore, in questo numero abbiamo deciso di dedicarci alla tematica ambientale. Credo che anche tu abbia visto e sia rimasto colpito dalle immagini di mari ricoperti di rifiuti, animali intrappolati nella plastica oppure frane causate dall’incoscienza umana. Queste pagine vogliono essere un modo per sensibilizzarti sul tema e per riflettere insieme. “La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile ed integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare. Il Creatore non ci abbandona, non fa mai marcia indietro nel suo progetto di amore, non si pente di averci creato. L’umanità ha ancora a capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune”. Papa Francesco - n. 13, Laudato Si’ I dati della Commission on Pollution Health del Lancet, rivista scientifica attiva dal 1823, sono preoccupanti. Nove milioni di morti e spese per migliaia di miliardi di dollari all’anno. Si estinguono 20-30 specie di viventi ogni giorno, ad un ritmo diecimila volte più grande di quello naturale. Ogni anno scompaiono 100.000 kmq di foreste, ecosistemi ricchissimi di biodiversità, e l’anidride carbonica nell’atmosfera terrestre aumenta di 3 ppm. La Terra mette dei limiti all’uomo ed è necessario riconoscerli ed accettarli. La parola limite deriva da due termini latini: limes e limen. Il primo si traduce con linea di demarcazione, confine, termine ed il secondo con ingresso, principio, soglia. L’agire umano deve essere improntato quindi da una “giusta misura”, necessaria affinché le persone possano vivere in armonia con sé stesse e con il Pianeta che abitano. Martin Luther King disse: “La mia libertà finisce dove comincia la vostra”. Superare questa soglia vuol dire sprofondare nell’egoismo e ledere la libertà altrui. Penso che un esempio eclatante sia quello delle guerre idriche: la Banca Mondiale

conta 507 conflitti per il controllo di questa risorsa. Le Nazioni Unite prevedono che nel 2030 il 47% della popolazione mondiale vivrà in zone ad elevato stress idrico. In questo caso, l’egoismo di alcune nazioni porta a ledere il diritto alla vita.“L’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme, e per affrontare il degrado ambientale dobbiamo prestare attenzione alle cause che hanno attinenza con il degrado umano e sociale. Oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri”. Papa Francesco – nn. 48, 49, Laudato Si’ È importante quindi tenere in considerazione anche lo spazio in cui si svolge la vita di ciascuno. Gli ambienti che abitiamo influiscono sul nostro modo di agire e di sentire, al tempo stesso ciascuno adatta a sé il luogo in cui vive. Dobbiamo quindi rispettare sia lo spazio che le persone che lo abitano, questo porterà anche noi stessi a stare meglio. LORENZO CATTANEO Giurisprudenza

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PAROLE DI VITA

DON LUIGI GALLI Assistente fuci Cattolica

PRENDERSI CURA DI TUTTO IL CREATO “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen. 2,15). In questo modo si esprime la Bibbia quando Dio crea l’uomo e lo pone nel giardino che egli aveva piantato. I due termini fondamentali sono: coltivazione e cura. Coltivare è lo stesso termine che indica il culto da rendere a Dio e fa immediato riferimento alla cultura; dobbiamo perciò dedurre che il cambiamento e la manipolazione del Creato fa parte degli impegni che Dio ha affidato alla libertà dell’uomo. Ma questa coltivazione-cultura ha un senso solo se diventa amorosa cura per tutta la realtà posta, come dono, nelle mani dell’uomo. Oggi la coltivazione e la cura del Creato hanno preso una accelerazione del tutto nuova rispetto al passato. Questa novità assoluta richiede un profondo rinnovamento morale altrettanto straordinario. Due cose si possono ricordare nella brevità di queste note. La prima: la cura del Creato non può che essere totale e integrale; non può esistere una vera cura del Creato senza una fraternità che leghi insieme i custodi del nostro bel giardino. La seconda è, appunto, l’impegno per una nuova cultura fatta di rispetto, di attenzione, di sobrietà che si esprimano nei mille atti quotidiani con i quali ciascuno di noi si fa responsabile della trasformazione del nostro giardino. Le parole che possono esprime questo tipo di nuova cultura sono: finezza e nobiltà. Per quanto possano suonare strane esse vogliono mettere al bando ogni volgarità, passione smodata di possesso, mancanza di pulizia interiore ed esteriore, mancanza di attenzione e rispetto verso ogni essere

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(pietre, piante, animali e uomini) che il Creatore amorosamente ha posto nel suo giardino.


Ed esso è bello, raggiante e con grande splendore: esso simboleggia Te, Altissimo. Sii lodato, o mio Signore, per sorella luna e le stelle; le hai create in cielo, chiare, preziose e belle. Sii lodato, o mio Signore, per fratello vento e per l’aria serena e nuvolosa e ogni tempo, grazie al quale dai il nutrimento alle tue creature. Sii lodato, o mio Signore, per sorella acqua, la quale è molto utile, umile, preziosa e pura. Sii lodato, o mio Signore, per fratello fuoco, grazie al quale illumini la notte: ed esso è bello e gioioso, vigoroso e forte. Sii lodato, o mio Signore, per nostra sorella madre terra, che ci sostiene e nutre, e produce diversi frutti con fiori colorati ed erba. Sii lodato, o mio Signore, per quelli che perdonano per il tuo amore e sopportano malattie e tribolazioni. Beati quelli che sopporteranno questo in pace, poiché saranno incoronati da te, Altissimo. Sii lodato, o mio Signore, per nostra sorella la morte del corpo, dalla quale nessun uomo mortale può sfuggire: guai a quelli che moriranno in peccato mortale; beati quelli che essa troverà nella Tua santissima volontà, poiché la seconda morte non farà loro male. Lodate e benedite il mio Signore e ringraziatelo, e servitelo con grande umiltà.

Altissimo, onnipotente, buon Signore, tue sono le lodi, la gloria, l’onore e ogni benedizione. Solo a Te, Altissimo, si addicono, e nessun uomo è degno di menzionarti. Sii lodato, o mio Signore, con tutte le tue creature, specialmente messer fratello sole, che è giorno e attraverso il quale ci illumini.

(Cantico delle creature)

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POLITICA E SOCIETÀ

MARTA MAGNANI Economia e Management

INSOSTENIBILITA’ AMBIENTALE, ECONOMICA E SOCIALE: LA RISPOSTA DELL’ONU Sono ormai diversi anni che leggiamo articoli contenenti parole come sostenibilità e surriscaldamento, o facciamo da spettatori a documentari strazianti che riprendono lo scioglimento di ghiacciai millenari, incantevoli animali estinguersi prima del dovuto o soffocati da trappole di plastica galleggianti. Non mancano poi problemi di disuguaglianza, intesa non solo come disparità di ricchezza, ma anche di genere, di istruzione, di sanità. La lista delle difficoltà che ostacolano il nostro pianeta è molto lunga e viene spontaneo domandarsi: “io cosa posso fare per migliorare le cose?’”

La risposta non è immediata, soprattutto di fronte a ciò che sembra essere più grande di noi. Tuttavia un fondamentale punto di partenza è la consapevolezza dell’esistenza di questi problemi e cercare di approfondirne le cause. Questa fase è importante perché consente di capire che molti dei fenomeni che si verificano,

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ANDREA SALVINI Ingegneria

dal surriscaldamento all’accumulo di oceani di plastica, non sono eventi totalmente a sé stanti e casuali. Invece sono spesso l’effetto collaterale di quella società liquida che, come scriveva Zygmunt Bauman, si fonda su un forte individualismo e consumismo, due entità non consapevoli delle conseguenze delle proprie azioni, salvo quelle che possono andare a favore del loro interesse. Lo stesso Papa Francesco nel libro Dio è giovane si appella alle nostre coscienze affinché si aprano gli occhi e si agisca per migliorare questa “società degli esclusi” che mette da parte i più deboli, danneggia l’ambiente e crea gravi disparità. Negli ultimi tempi, una soluzione intrapresa da individui e organizzazioni internazionali è stata porsi come obiettivo delle proprie scelte la sostenibilità nel medio-lungo periodo. Ma cosa significa sostenibilità? Nelle scienze ambientali ed economiche, s’intende la condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente, senza compromettere la possibilità di quelle future di realizzare i propri. È un concetto che dovrebbe fare da guida per il modello socio-economico che vogliamo perseguire. Per troppi anni è stato alimentato, e lo è tutt’ora, un sistema incentrato sul consumismo, sui posti di lavori precari e sullo sfruttamento minorile nei paesi in via di sviluppo. Un modello che pensa più al profitto che ai costi futuri in termini di benessere sociale ed eco-sostenibilità. Il 25 settembre 2015 è stato espresso un chiaro giudizio sull’insostenibilità dell’attuale modello


di sviluppo e l’Organizzazione delle Nazioni Unite, dopo lunghe ricerche e conferenze internazionali, è riuscita a riassumere nei 17 Sustainable Development Goals i gravi problemi che stanno caratterizzando questo millennio e che noi, Stati e individui, dobbiamo cercare di risolvere. Il documento approvato nel 2015 si chiama “Agenda2030” e raccoglie problemi di natura sociale, economica e ambientale al di sotto del medesimo concetto di sostenibilità. Così facendo, l’Agenda ha assunto un carattere fortemente innovativo

Pianeta”. Il rendersi estranei e non ritenersi responsabili per ciò che accade è un atto di vigliaccheria in grado di danneggiare l’intera società! È necessario ripartire da essenziali valori umani, quali il rispetto e la solidarietà. L’insegnamento di questi può essere celato ma difficilmente dimenticato, un Uomo è riuscito a riassumerli nel più bello dei comandamenti: “Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi”. Nella prima parte di questa frase c’è il rispetto nei confronti del prossimo, ma nella seconda non c’è solo l’amore che Gesù provava per i suoi discepoli, ma per tutta la storia della salvezza, dalla creazione in poi. Non dobbiamo avere paura di trasmettere questi valori ai nostri figli, nelle famiglie, nelle scuole, nei gruppi sportivi, nelle parrocchie. Una società che non si mantiene salda sui propri principi presto li dimenticherà, o li sostituirà con altri. Per questo bisogna riconoscere il merito alle Nazioni Unite di aver ribadito con decisione ciò che è così importante per il futuro dell’umanità.

perché ha superato definitivamente l’idea che la sostenibilità sia unicamente una questione ambientale. La definizione di sostenibilità è fondamentale perché spinge l’uomo, per quanto piccolo possa sentirsi nel mondo, a rendersi conto che le sue azioni, apparentemente trascurabili, possono influenzare irrimediabilmente il corso della storia. Si fa spesso il fatidico errore di incolpare per ciò che non funziona il “potente” di turno: politici, banchieri, multinazionali. Questa tendenza a puntare il dito sembra essere una sorta di giustificazione delle nostre cattive abitudini e la contraddizione emerge quando si getta ogni sorta di oggetto per terra e in mare, con l’alibi che “tanto non sarà il mio piccolo contributo a salvare o distruggere il

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SCIENZA E TECNOLOGIA

SOFIA DE GIORGI Ingegneria per l’ambiente e il territorio

L’ACQUA DEL FUTURO L’acqua dolce costituisce solo il 6% della quantità totale presente sulla Terra. È raccolta in falde acquifere, ghiacciai e nevai, laghi e fiumi, nel suolo e nell’atmosfera. L’acqua rappresenta un bene primario per la vita dell’uomo, anche per l’uso delle risorse idriche in ambito agricolo, industriale e domestico. Anche Papa Francesco nella Laudato si’ segnala la gravità del problema collegato alla carenza dell’acqua e alla sua potabilità (nn. 27-31), anche in relazione ai più ampi problemi ecologici e di giustizia. In questa sede mi soffermo sull’aspetto della ricerca scientifica: un ambito, peraltro, seguito nel Politecnico di Milano. La disponibilità delle risorse idriche sulla Terra sta diventando sempre più critica: molte falde si stanno prosciugando in diverse aree del pianeta, soprattutto per uno sfruttamento esagerato e irresponsabile da parte dell’uomo. Un esempio rilevante è ciò che è accaduto al lago d’Aral, sul confine tra Uzbekistan e Kazakistan. Interessato fortemente dal fenomeno dell’evaporazione e dell’abuso dei prelievi d’acqua dai fiumi immissari per usi agricoli, il lago non è riuscito ad autosostenere la sua capacità ed è quasi scomparso. La medesima sorte potrebbe toccare al Mar Caspio, ampiamente sfruttato per attività antropiche, soprattutto agricole e industriali. Per fronteggiare il problema della scarsità di acqua dolce, molti Paesi attuano politiche di risparmio e di uso responsabile delle risorse naturali e inoltre incentivano la ricerca e lo sviluppo scientifico per trovare nuove tecnologie più pulite, più efficienti e più sostenibili. Primo fra tutti è Israele, che si trova spesso ad affrontare ingenti problemi di gestione delle risorse idriche. Per un lungo decennio molti Paesi del Medio Oriente, quali Iran, Iraq,

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Giordania, Siria e Israele, sono stati soggetti a una tremenda siccità, che ha portato a una crisi ambientale, economica e politica. Solo lo Stato d’Israele è riuscito a risollevarsi con successo. Oggi il settore idrico israeliano è il migliore al mondo per quanto riguarda il riciclo di acqua: infatti oltre l’85% delle acque di scarico viene trattato e depurato per essere poi riutilizzato per l’irrigazione in agricoltura. È interessante notare che la Spagna, il secondo Paese al mondo in questo campo, ne ricicla solamente il 19%! Ma neanche questo è bastato a soddisfare il fabbisogno idrico di tutto il Paese. Si sono sviluppati quindi gli impianti di desalinizzazione dell’acqua marina, che hanno rappresentato la svolta e l’uscita dalla crisi. Oggi sono presenti tre grandi impianti di desalinizzazione a Sorek, Hadera e Ashkelon (in ordine di maggior capacità produttiva), che forniscono il 55% dell’acqua dolce usata dagli abitanti. Gli impianti sono costituiti da enormi vasche contenenti acqua, proveniente dal mar Mediterraneo, e sabbia, che garantisce una filtrazione iniziale. Successivamente l’acqua viene fatta scorrere ad alta pressione dentro


cilindri che contengono fogli di membrana di plastica con pori di diametro sufficientemente piccolo da bloccare il sale e far passare

lo stoccaggio di anidride carbonica, idrogeno e metano. A causa dell’eccessivo e presuntuoso uso delle risorse naturali da parte dell’essere umano, l’acqua dolce nelle falde acquifere si sta esaurendo, si verificano sempre più spesso catastrofi naturali, la temperatura sul nostro pianeta sta aumentando e molte specie animali e vegetali stanno scomparendo. Però negli ultimi decenni l’umanità sta acquisendo sempre maggiore coscienza delle proprie azioni e delle proprie responsabilità e si sta attivando per riparare ai danni. Solo dall’azione concorde di ricerca scientifica, volontà politica e consapevolezza ambientale nei comportamenti di ciascuno sarà possibile rispondere positivamente a questa sfida.

l’acqua. Il sale residuo viene quindi riscaricato in mare e l’acqua potabilizzata e distribuita a tutta la popolazione. Gli studi più recenti indicano una nuova risorsa per ottenere acqua dolce: l’atmosfera. La nuova tecnologia è ancora in fase di sperimentazione (negli Usa e in Svizzera), ma risulta essere già molto efficace. I dispositivi sono in grado di estrarre acqua dall’aria, anche in condizioni ambientali molto critiche, in cui l’umidità è solo il 20%. Viene utilizzato un materiale particolare: MOF (metal-organic framework), costituito da strutture di elementi metallici, quali alluminio e magnesio, e molecole organiche. Il materiale risulta poroso e, quindi, capace di catturare e trattenere gas e liquidi sulla sua superficie. L’energia solare riscalda poi le molecole d’acqua, le quali si condensano e le gocce vengono accumulate in un collettore. Successivamente l’acqua viene filtrata, depurata e ri-mineralizzata, in modo da essere resa potabile. Il sistema funziona come un deumidificatore dell’aria, alimentato da celle solari, energia eolica e altre fonti di energia rinnovabile. Questo metodo è già in uso per

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LA NOSTRA STORIA

IL GIARDINO E’ IL MIGLIORE AMICO DELL’UOMO Sebbene in molti credano che sia il cane oppure il cavallo a ricoprire questo ruolo, il giardino ha di gran lunga un primato indiscusso a riguardo. Ma andiamo per step, prima di tutto bisogna domandarsi: quando sono nati i giardini? Il concetto in sé è atemporale, ovvero nasce e cambia con l’evolversi dell’uomo lungo i secoli. Basta pensare alla Genesi, dove si parla di Giardino dell’Eden, oppure i Campi Elisi, luoghi ameni e bucolici in cui soggiornano le anime virtuose dopo la morte. Esiodo: “vivevano come Dèi, ben lungi da affanni (…) spontaneamente la terra feconda copioso e facile frutto recava.” Il nesso tra uomo e giardino era ed è tutt’ora un legame completo che condiziona ogni aspetto umano, dal sentimento alla ricerca intellettuale. È luogo comune, sin dai filosofi più antichi, lasciarsi ispirare dalla quiete e dall’armonia di un giardino nella conoscenza della verità. È inoltre palco di storie e racconti i cui sentimenti umani esibiscono tutta la loro arte. A riguardo non basta citare artisti come Shakespeare o Ariosto, in quanto sul concetto di giardino sono nate, soprattutto in Europa, vere e proprie correnti artistiche il cui esempio più rilevante è il Romanticismo. Il giardino così come lo conosciamo, ovvero espressione della bellezza naturale, nasce con il Rinascimento Italiano, è proprio in questo periodo che si sviluppano le prime forme di estetismo botanico ed è così che le corti europee si riempiono di stravaganti ed eccentrici giochi naturali, dai labirinti alle piante esotiche; un variopinto carnevale di profumi e colori travolge l’Europa del 1400 e nei tre secoli successivi troverà massimo

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ANDREA SCELSA Giurisprudenza

splendore. Solo alla fine del ’700 prende piede una nuova forma d’arte botanica, stiamo parlando dei giardini all’inglese. Se prima del XVIII secolo il giardino è stato mezzo per ostentare prestigio e ricchezza, successivamente cambia il registro espressivo, la natura comincia a predominare sull’arte, ad una ricercatezza di forme e colori ben organizzata si sostituisce una bellezza più selvaggia, sebbene anche quest’ultima sia soggetta a rigide etichette. Teresina di Lisieux dice: “Ma Gesù mi ha istruita a riguardo di questo mistero. Mi ha messo dinnanzi agli occhi il libro della natura, ed ho capito che tutti i fiori della creazione sono belli.”


Per una comprensione più profonda del ruolo del giardino e quindi della natura si può partire da ciò che dice Teresina di Lisieux. Ella ci introduce alla meraviglia e allo stupore, di come ogni singolo fiore o foglia concorra ad offrire quel senso di magnificenza che rende felice l’essere umano. È qui che il giardino trova il suo autentico significato: ricondurre l’uomo a sé stesso. È nella meraviglia del creato che l’uomo ritorna al senso delle cose importanti ed è qui che riscopre la felicità. Ma un giardino non deve per forza essere bello per adempiere al suo scopo: mi riferisco in particolare alle ambientazioni gotiche, lugubri, come quelle descritte in Jane Eyre di Charlotte Brontë. Il romanzo in

limitatezza dà un senso di sicurezza e protezione a chi si intrattiene al suo interno. Non solo, ma è lì che l’uomo trova ispirazione, dai fiori e dalla natura riscopre quelle leggi naturali del vivere bene e sano, ritrova un equilibrio tra il benessere fisico e spirituale, un ordine ed una filosofia di vita. Converrete dunque con me nel dedurre che non vi è miglior compagno di un giardino, anche più di un cane o un cavallo o un coniglio oppure un pesciolino rosso che possono certamente essere parte del giardino stesso. A voi il piacere di farne esperienza e di rimanere affascinati dalla straordinaria bellezza del creato. “E sai cos’è un’altra cosa che mi piace tanto? Andare nella brughiera quando piove, starmene seduto accanto a un cespuglio e ascoltare le gocce di pioggia che cadono sulle foglie (…) allora c’è un profumo così fresco nell’aria (…) e anche una bellissima musica con tutte quelle gocce.” (Il Gardino Segreto), Frances Hodgson Burnett

apparenza sembra oscuro nei toni e nelle ambientazioni, la stessa Thornfield Hall nelle sue stanze e nei suoi giardini trasuda un senso di desolazione e abbandono, ma è proprio in questo contesto appassito che Jane e Mr. Rochester riscoprono l’autenticità di ciò che conta davvero, i loro sentimenti trascendono da meri canoni estetici. Il Giardino è una realtà limitata, ha dei confini, ma questi, il più delle volte, non sono percepiti in senso negativo, la sua

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IL PIACERE DELLA LETTURA

IL SENTIERO DEI PROFUMI

Il libro Il sentiero dei profumi di Cristina Caboni, sin dalle prime pagine è capace di affascinare per via, oltre che della profondità con cui vengono delineati i rapporti affettivi dei personaggi, dell’intensità con cui l’autrice descrive i luoghi in cui il libro si ambienta; colpiscono la freschezza e la passione con cui vengono descritte le città, quali Firenze e Parigi, e i paesaggi naturali come le lunghe distese di campi della Provenza. Nel romanzo i luoghi sembrano prendere vita, sono testimoni di ciò che avviene e di ciò che i personaggi provano, dipingendo così un forte senso di romanticismo e donando ai luoghi un fascino particolare. La protagonista del libro, Elena, appartiene ad una lunga discendenza di donne che nella vita sono state profumiere, dopo la narrazione di alcuni fatti che l’hanno allontana da quel mestiere, pian piano scopriamo che, assieme alla migliore amica con cui si è trasferita a Parigi, ritorna ad appassionarsi ai profumi. Difatti, dopo un periodo di lavoro come commessa all’interno di una profumeria Parigina, la donna decide di aprire in proprio un negozio di profumi composti da lei. Nel frattempo si innamora e intraprende una relazione con Cail, il suo vicino di casa; insieme coltivano ancora di più questa passione per i profumi, che li porta a visitare un castello dove pare sia vissuta la capostipite della sua famiglia, nel lontano ‘600, e dove quest’antenata ha composto un profumo soprannominato “Il profumo perfetto”. Un momento importante, considerando che la ricetta di questo miscuglio non è mai stata trovata e l’unica testimonianza della psua presenza si trova nel diario personale,

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MONICA AGNELLI Lettere moderne

tramandato di generazione in generazione. Nel romanzo, le vicende vengono contornate da una descrizione dei luoghi così potente da essere capace di farceli “sentire”, di farcene innamorare. Nel corso delle vicende, i luoghi riescono sempre a trovare un loro spazio, non limitandosi a essere relegati come semplice cornice della storia, bensì diventando essi stessi parte della storia, influenzati dall’emotività dei personaggi e dalla sfera romantica che accompagna la trama. Pregnante è anche l’intensità dalla descrizione olfattiva, che nel racconto assume un ruolo di “canale emotivo”, attraverso il quale l’autrice s’affaccia sulle diverse vicende della sua vita, e che costituisce il mezzo con cui Elena esprime la sua emotività. La conclusione che si può trarre è che l’ambiente che ci circonda, che sia naturale o cittadino, non solo è capace di trasmetterci sensazioni, ma è anche testimone silenzioso di quello che ci succede, delle emozioni che proviamo. Un luogo in cui abbiamo provato emozioni positive rimarrà sempre dentro di noi, un angolo che, al solo ricordo, sarà in grado di restituirci l’intensità delle emozioni provate in quell’istante.


GUARDA E IMPARA MATTIA BIZZOZERO Linguaggi dei media

Quando pedaliamo verso la luna insieme ad Elliott ed E.T., entriamo nella fabbrica di cioccolato per esplorarne ogni dettaglio, saliamo sui grattacieli di Gotham City o ci abbandoniamo ad una “piacevole” vacanza a bordo del Titanic non stiamo semplicemente guardando un film: lo stiamo sentendo. Le casse sono alte, siamo seduti in terza fila al cinema. Una graziosa colonna sonora accompagna il dialogo tra i personaggi di una commedia romantica, iniziamo a sprofondare nella poltrona e questa ci avvolge a sua volta in un candido tepore, lo stesso che stanno provando i due innamorati che dialogano al di là dello schermo. Prendiamo il punto di vista di uno dei due personaggi. Iniziamo a prevedere ciò che risponderemo: a lui o a lei. Facciamo parte del film. Quando Alfonso Cuarón ha girato I figli degli uomini sicuramente voleva imprimere in qualunque spettatore un’esperienza come quella immaginata poco fa. Questo film non è una commedia romantica, né un film d’avventura, un musical o un thriller, bensì una storia apocalittica. Veniamo catapultati, fin dai primi minuti, in un vortice di follia, violenza, odio e distruzione. Il protagonista, Theo (Clive Owen), è un burocrate londinese che viene contattato dalla sua ex moglie affinché la aiuti a salvare l’ultima donna rimasta sul pianeta in grado di avere figli. Theo inizia un viaggio attraverso l’Inghilterra più selvaggia che il cinema ci abbia mai mostrato. Campi profughi per isolare i cittadini stranieri, borghi affollati, distrutti da una guerra che sembra non avere fine, abitanti sporchi vestiti di stracci e giacche scucite. È un

I FIGLI DEGLI UOMINI mondo immaginario, specchio di un futuro non troppo lontano. Il luogo che Cuarón costruisce rispecchia la sua visione del mondo, in cui l’odio prevale sulla gioia e tutto cade a pezzi: sia l’uomo, consumato dall’egoismo, sia l’ambiente che lo circonda, squallido e mortifero. Mostrando la sua idea di “futuro”, il regista pone allo spettatore un interrogativo: è questo il mondo in cui vogliamo vivere? La risposta parte dall’uomo, dalla sua capacità di intraprendere un viaggio, prima dentro di sé e poi agendo al di fuori, proprio come Theo. Magari la meta del viaggio non porterà la risoluzione dei problemi attuali, non ricostruirà le case, non ridarà vigore ai corsi d’acqua, non pulirà il pianeta dall’immondizia. L’unica cosa che si può conquistare alla fine dell’avventura è il coraggio di iniziare un nuovo viaggio, per costruire giorno dopo giorno la scenografia del mondo che vogliamo vedere domani, e nel quale vogliamo vivere. Facendo attenzione ai dettagli, senza badare a spese, ignorando i numerosi collaboratori rimasti lontani dalle loro famiglie per settimane pur di aiutarlo nelle riprese, Cuarón ha girato un film ricco di simbolismo, ambientale ma anche antropologico. Quando l’inferno sembra aver preso possesso del mondo, è l’ora del riscatto, in cui diventare protagonisti del cambiamento e cambiare di segno la realtà.

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IL GIRADISCHI

CHIARA MAGNANI Giurisprudenza

BIG YELLOW TAXI La lotta per la salvaguardia dell’ambiente è stata combattuta anche a ritmo di musica, in particolare dagli anni ’60 del secolo scorso in poi, con la delicatezza mista a potenza di cui solo le strofe di una canzone sono capaci. Ne è un esempio Big Yellow Taxi, un brano del 1970, scritto dalla cantautrice canadese Joni Mitchell, poi ripreso da altri artisti. La canzone è nota per essere stata una fra le prime ad avere contenuti ambientalisti e notevole è l’abilità di racchiudere in poche parole chiave alcuni paradossi dei giorni nostri. Dipinge infatti una realtà in cui all’incanto e alla spontaneità che la natura ci offre sin dall’inizio dei tempi, l’uomo ha preferito l’artificiosità di un “hotel rosa, una boutique / e un locale alla moda”. Come la cantautrice ha raccontato in un’intervista, le è venuta in mente l’idea del brano durante un viaggio alle Hawaii, quando guardando fuori dalla finestra del suo albergo, la sua attenzione è stata catturata dal paesaggio dell’Oceano Pacifico che, contrapposto al parcheggio sottostante all’albergo, ha reso evidente la discrepanza tra la freschezza della natura e l’aridità di un progresso fatto di edifici e di cemento. Immagine che ha poi trasportato nei versi della canzone con un tono di amarezza: “hanno asfaltato il paradiso / per costruirci un’area parcheggio”. Ribadisce il suo senso di estraneità con un riferimento ironico al giardino botanico forestale di Honolulu, in cui si trovano delle specie di piante rare o in via di estinzione, difatti “hanno tolto tutti gli alberi, li hanno messi in un museo degli alberi / E chiedono alla gente un dollaro e mezzo solo per vederli”. È un’allusione all’illegal

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logging, il fenomeno del disboscamento illegale, che coinvolge oltre 70 Paesi, mosso dalla crescente domanda di carta, carne, soia, olio di palma e legname, e che ha come conseguenze siccità, frane, inondazioni, nonché mancanza di risorse per le comunità che vivono vicino a quelle foreste. Un altro richiamo significativo è al DDT, quando la cantante si rivolge a un contadino esortandolo “metti subito via il DDT / Dammi pure le macchie sulle mie mele / ma lasciami gli uccelli e le api”. Si tratta di un pesticida utilizzato per l’agricoltura a partire dalla metà del XX secolo, di cui è stata successivamente riconosciuta la dannosità in quanto veleno per l’ambiente e di conseguenza minaccia per la salute umana, fino alla sua abolizione negli anni ’70. Ad accompagnare questi riferimenti, la domanda ricorrente della cantautrice è “Non ti sembra che finisca sempre / che non sai quel che hai finché non lo hai perso?”. Un interrogativo che conclude questa riflessione tanto semplice quanto profonda la quale, per quanto intrisa di malinconia, forse altro non vuole che mettere l’ascoltatore davanti a una realtà che ha tanti comfort quanti sono i sacrifici che ne derivano, nonché invitarlo, nel suo piccolo, a onorare e prendersi cura di ciò che ancora ha, prima che vada perduto.


IL FUORISEDE DISPERATO

TORTA AL MICROONDE

POLLINO lo Chef Fucino

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2 UOVA ACQUA 100 ML FARINA 130 GR ITO 1 CUCCHIAINO DI LIEV GR 0 ZUCCHERO 17 CACAO AMARO 20 GR

1. In una ciotola sbattete le uova con lo zucchero semolato e aggiun gete l’acqua. o ro, il lievit a m a o a c a, il ca re un ad ottene te la farin e o g n n fi iu g ra g o 2. A te anc e mescola senza grumi. i lc o d r e p oe omogene composto

3. Imburrate e infarinate una teglia adatta al microonde e vers atevi il composto . a massima

de all in microon te a rn fo 4. In ti. er sei minu p a z n te o p

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Settimana dell’UniversitĂ

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VOCI DAI CHIOSTRI: UNICATT

UNA GIORNATA... TEOLOGICA! Centro pulsante del dialogo tra la teologia e i saperi è la giornata teologica, proposta dall’Università Cattolica e organizzata dal Gruppo FUCI “Giuseppe Lazzati. Questo evento rappresenta un momento interessante per mettere a confronto il mondo dello studio e dell’università con la nostra fede e teologia cattolica. Quest’anno la conferenza è stata improntata sulla spiegazione di come la religione si rapporta oggigiorno con altre branche della conoscenza umana, attraverso un approfondimento trasversale, proposto da due relatori: il prof. Gianni Sibilla, docente di mercati e media musicali in UCSC, e mons. Marco Frisina, direttore del coro della diocesi di Roma, nonché compositore di celebri brani liturgici. Come potete intuire il tema era proprio la musica, argomento che riguarda tutti da vicino, nel quotidiano, elemento fondamentale della nostra vita, capace di coinvolgerci, emozionarci e accompagnarci nel nostro cammino a tutte le età.

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PIETRO SIGNÒ Economcs and Management

L’evento è iniziato con l’introduzione di Marco Casetti, presidente del gruppo FUCI dell’Università Cattolica, e moderatore per questo incontro. Dapprima è intervenuto il prof. Sibilla con un approfondimento volto a definire meglio i fenomeni musicali contemporanei, musica pop, ma soprattutto i generi rap e trap. Queste correnti musicali hanno riscontrato un recente successo, specialmente tra i giovani, il che fa discutere, soprattutto dopo gli avvenimenti di Ancona. Gli artisti trap giocano molto sulla loro immagine, raccontando nei loro testi una presunta vita sfrenata, ricca di eccessi e trasgressioni. Questo attira l’attenzione degli adolescenti, desiderosi di evadere dalla monotonia di scuola e famiglia, ma bisogna considerare che in realtà, rassicura il professore, gran parte di queste smodate attività non corrisponde al vero. Questi artisti infatti, scrivendo i loro brani, disegnano una vita interessante da raccontare e da sentire, ma che non rispecchia la realtà. Inoltre, la musica gioca molto sulle emozioni, forse la vera ragione per cui la ascoltiamo, e nel caso del rap e della trap, spesso le sensazioni evocate sono la rabbia verso un sistema sbagliato e un desiderio di trasgressione. Ed è su quest’ultimo punto che mons. Frisina si è inserito nel dibattito con un filo di criticità. Egli, molto informato sull’argomento, dichiara che questa emotività, che di per sé, se usata correttamente, può portare a risultati molto positivi, rischia di essere


strumentalizzata a fini di mercato che non tengono conto della corretta crescita dei giovani. La musica, a detta di Frisina, è stata da sempre mezzo per guidare le masse verso uno scopo di unione. Solo la musica permette a migliaia di persone di muoversi in sincronia ad un concerto. La musica e in particolare, per Frisina, la musica classica, permette all’uomo di andare incontro alle sue più profonde paure, superare i propri limiti, ritrovare in sé la scintilla divina propria di ogni uomo, quella traccia che Dio ha lasciato in noi. Nella sua complessità, la musica classica, a differenza del rap e della trap che evocano in noi sensazioni immediate ma effimere, è composta da una complicata successione di pensieri nei quali possiamo immedesimarci e commuoverci, e che restano nel tempo, tanto che ancora oggi si ascoltano grandi compositori dei secoli passati.

E in noi, invece, cosa succede quando la musica ci cattura? Siamo capaci di incanalarla per esprimere la nostra interiorità e affrontare le nostre paure? Siamo in grado di ritrovarci nei complessi pensieri della quinta sinfonia di Beethoven o ci basta il loop delle canzoni moderne? Abbiamo trovato due buoni punti di partenza per rispondere a questi interrogativi: la messa e il concerto conclusivo della giornata, svoltisi nella cappella del Sacro Cuore. Ognuno dei partecipanti ha portato nel cuore queste riflessioni e le ha offerte durante messa, per poi approfondirle nel concerto. L’ensemble musicale dell’Università Note d’Inchiostro ci ha regalato l’esecuzione di un incantevole repertorio di Natale che ha variato dalla musica di importanti compositori di secoli diversi a grandi classici di Natale anche di genere jazz. Probabilmente non ci sarebbe stato modo migliore di questo per interiorizzare ciò che è stato illustrato durante la conferenza e sperimentare personalmente l’effetto della musica in noi.

Questa conferenza apre molti dibatti e ci lascia con diversi interrogativi. È vero che oggi, nella musica, il bisogno di pensieri è più forte di quello di sensazioni?

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VOCI DAI CHIOSTRI: UNIMI

LA STORIA DI RAMON: PESCATORE GALIZIANO Ramon Sampedro è un pescatore galiziano costretto a letto da un incidente che lo ha reso tetraplegico. Passa il tempo componendo poesie ed ha un solo desiderio: morire. Ma non ne è in grado, in quanto paralizzato dal collo in giù. Necessita un aiuto, ma la legge del suo paese, la Spagna, non ammette l’eutanasia. Inizia così una battaglia legale con l’ordinamento del proprio paese, perché non può tollerare di non avere il diritto di poter morire. Il caso raggiunge presto l’opinione pubblica, dando il via, come spesso accade, ad un acceso dibattito. La notizia arriva anche a Padre Francisco, un sacerdote cattolico anch’egli tetraplegico. Quest’ultimo matura in sé il desiderio di voler incontrare Ramon per potergli parlare e farlo desistere dal suo desiderio suicida. All’incontro tra i due, il prete su una sedia a rotelle e il pescatore poeta a letto, la discussione si evolve fino ad uno scambio di frasi che rappresentano l’apice drammatico dello scontro verbale. Difatti mentre il sacerdote asserisce che “una libertà che elimina una vita non è libertà”, Ramon prontamente ribatte al contrario che “una vita che elimina una libertà non è nemmeno vita”. Infatti il sogno di libertà ricorrente nella mente del pescatore è lo spiccare il volo dal suo letto, liberandosi dall’immobilità e volteggiare in aria sopra i prati e la spiaggia lungo il mare. La vicenda appena descritta è tratta da Mare dentro, un film spagnolo del 2004 girato da Alejandro Amenabar, vincitore 18

JURI MAINARDI Relazioni internazionali

dell’Oscar per migliore pellicola straniera del 2005. Ma la vicenda in oggetto non è immaginaria: è la trasposizione cinematografica della storia del vero Ramon Sampedro, e della sua battaglia legale per il riconoscimento del diritto all’eutanasia.

La differenza abissale tra i due personaggi della scena precedentemente richiamata ricorda due dichiarazioni pronunciate da importanti protagonisti del secolo appena passato. La prima frase è di Martin Luther King Jr, pastore battista afroamericano protagonista della battaglia per i diritti civili negli USA durante gli anni 60’, il quale ha asserito che “La mia libertà finisce dove comincia la vostra”. Queste parole possono essere collegate al discorso di Padre Francisco dopo un opportuno percorso interpretativo. I soggetti della frase, in tal caso, non sono due persone, bensì il libero


arbitrio dell’essere e la vita. Quest’ultima, secondo il principio a cui il prete si appella, è un dono di Dio. La vita, in quanto dono divino, è l’origine di tutto, anche del libero arbitrio che l’essere utilizza. Perciò una libertà in grado di distruggere ciò da cui essa stessa trae la sua ragion d’essere (la vita stessa) non può essere considerata libertà. Essa, pertanto, non ha a disposizione la vita, perché da quest’ultima dipende. Cancellata la vita, la libertà perde di significato. La seconda citazione invece appartiene ad Erich Fromm, filosofo, sociologo e psicoanalista tedesco, e recita “Morire è tremendo, ma l’idea di morire senza aver vissuto è insopportabile”. Queste parole richiamano quelle del pescatore galiziano, costretto a letto da quasi tre decenni in una condizione che egli sente come “non vita”. Come Padre Francisco, anche Ramon considera la vita come il bene più prezioso. Infatti ciò che per lui è causa di profondo dolore non è il fatto di dover morire, ma quello di ritrovarsi nella condizione di “non essere in grado di vivere”. Il prete e il pescatore hanno in comune l’idea di preziosità della vita, anche

se successivamente le loro esperienze li porteranno su due percorsi interpretativi differenti. Il primo si fa portavoce della vita come misura e limite di tutte le cose, il secondo richiama l’importanza di vivere. Sorge il dubbio: allora chi dei due ha ragione? A questo punto la scelta diviene molto pesante, perché le due visioni risultano complementari. La loro eventuale scissione comporterebbe la perdita di significato della vita stessa. Quindi, dopotutto, ha ancora senso domandarsi chi dei due abbia ragione? Ringrazio Michael per la supervisione di questo e del precedente articolo “I Care”

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LAURA FAZZONE Medicina

CAPODANNO A... CAMALDOLI!!! Da dove partire? Queste giornate di fine anno, che alcuni tra noi fucini hanno deciso di trascorrere a Camaldoli, sono state estremamente sorprendenti, al punto che per molti hanno segnato un nuovo inizio. La magia di Camaldoli consiste nel fatto che in un contesto tanto insolito quanto accogliente ci si ritrova a riflettere su sé stessi, sulle proprie necessità, sulle proprie ambizioni, sui propri desideri. Il che non è scontato: nella frenesia della quotidianità, talvolta soffermarsi su noi stessi diventa difficile, quasi impossibile. Presi da mille impegni, mille problemi, non siamo sempre nella condizione di fermarci e guardarci dentro. Ecco, quello che ha fatto Camaldoli è stato costringerci a dire un sì a noi stessi e non al mondo che ci sta intorno. Le parole di uno psicanalista, dr. Stoppa, di un filosofo morale, il dr. Bianco, e di una biblista sono stati il punto da cui siamo partiti. I loro interventi hanno suscitato la voglia di riflettere non solo su quello che siamo, ma anche su quello che vorremmo essere e come vorremmo essere in rapporto agli altri. Che tipo di amore doniamo agli altri”?

Proprio questa parola il Dott. Stoppa ha ripetuto tante volte! Quando le

persone entrano nella nostra vita e ci donano il loro amore legandoci a loro, ci trasformiamo fino a non riuscire più ad identificarci in quello che eravamo prima che le incontrassimo. Noi siamo il frutto dei legami che abbiamo creato, dell’amore etico che ci impone di lottare contro la nostra continua e disperata ricerca dell’omeostasi. Siamo stati creati con una profonda contraddizione intrinseca nell’essere: vivere in equilibrio con noi stessi e contemporaneamente aprirci agli altri Ma soprattutto, che tipo di amore che, essendo diversi e uguali a noi, riserviamo per noi stessi? Riusciamo possono farci soffrire, alimentando la a bilanciare l’amore narcisistico che ci nostra fragilità interiore. porta a raggiungere l’omeostasi che tanto ricerchiamo? O questo impedisce agli altri di entrare nella nostra vita e “trasformarci”? Sì! “Trasformarci”! 20


Quindi, come affrontare la dicotomia del nostro essere? Come ci ha ribadito Stefano Biancu, il passo giusto per iniziare sarebbe accettare noi stessi, per quanto questo risulti difficile, cercando di amare i nostri “peccati”, e non facendoci divorare dal senso di colpa. La prima regola è sentirci speciali: non più degli altri e neppure meno. Non mettere le loro aspettative prima di noi e chiedersi quali sono i nostri desideri. Bisogna imparare ad aprire relazioni equilibrate, non di dipendenza né di indipendenza ma di interdipendenza. Noi, infatti, non dipendiamo da nessuno perché i nostri sentimenti, le nostre emozioni e ferite, risiedono unicamente in noi e nessuno potrà mai appropriarsene o cercare di curarle. Allo stesso tempo non siamo esseri destinati alla solitudine, qualcosa che ci spaventa e ci fa soffrire. Viviamo sentendo il bisogno degli altri e, anche se questo suonerà strano, dobbiamo imparare ad essere frangibili e a farci ferire da loro. Questo per due motivi: le nostre ferite sono quasi sempre motivo di crescita e, in secondo luogo, dobbiamo riscoprire l’umanità dell’altro, la sua capacità di fallire, di non corrispondere totalmente alle nostre aspettative e accogliere quello che ci può offrire. Camaldoli è anche questo: relazione. I workshop che ci sono stati proposti hanno permesso di confrontarci. Abbiamo condiviso quello che ognuno di noi era disposto a condividere di sé ed è proprio qui la grandezza di questo luogo sperduto e di quello che si vive al suo interno. Persone diverse con storie diverse decidono di condividere eventi della

loro vita, emozioni che spesso, nella vita di ogni giorno, per i tanti impegni, non riescono a condividere neanche con le persone più care. Da qui, da queste semplici discussioni,

da una parola di conforto, nascono legami forti tra persone, magari molto diverse, che potrebbero anche non rincontrarsi più, eppure, anche se per un istante, hanno lasciato un segno indelebile nella vita di ciascuno. Oppure possono sfociare in amicizie destinate a durare per sempre. Quindi che dire, le giornate di fine anno sono state un’occasione per crescere, condividere, divertirsi, ma soprattutto per passare un capodanno fuori dagli schemi. Forse qualcuno di voi potrebbe pensare “un capodanno fuori dal mondo”, ma chi ha detto che fuori dal mondo non possa significare meraviglioso?

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NOTIZIE DAI RAF

IL CONSIGLIO CENTRALE Se ti capita di fare un viaggio nella Città Eterna, ti ritroverai sicuramente a passeggiare sulle rive del Tevere fino ad incontrare con lo sguardo un imponente castello: Castel S. Angelo. Ecco, fermati lì davanti e, dopo aver ammirato la bellezza di Ponte S. Angelo e del panorama che il canale disegna sempre più in lontananza, volgi lo sguardo verso Via della Conciliazione. Proprio da lì, all’inizio del lato sinistro della strada, scorgerai un edificio con una finestra che si affaccia sulla piazza: vedrai le grate a balconcino che ne delimitano il davanzale e i portabandiera, che per la maggior parte del tempo non ospiteranno nessuno stendardo. Ecco, quella è una delle sale della sede nazionale della FUCI, a Roma. La sala, in particolare, dove due volte all’anno si svolge il Consiglio Centrale . La prima volta che sono entrata in quella stanza, la mia bocca si è subito spalancata per lo stupore: la vista era magnifica, sarebbe stato un sogno poter lavorare lì. E così è stato, ogni volta la stessa emozione. Per una patita della fotografia come me, era inevitabile fermarsi a fare milioni di foto, anche se, alla fine, sapevo sarebbero uscite tutte uguali. Ma torniamo a noi: Consiglio Centrale, ho detto. Ebbene sì, anche la FUCI, come tutte le associazioni, ha un organo che si occupa di affiancare la Presidenza Nazionale nelle decisioni più significative, nonché di discutere di materie di interesse della federazione

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LUCILLA INCARBONE Politiche pubblche-Most

(tesseramento, organizzazione degli eventi nazionali …) e di rappresentare la voce di tutti i fucini attraverso i RAF e gli incaricati regionali. Durante lo svolgimento del Consiglio Centrale, che può durare dai due ai tre giorni, c’è solitamente un momento dedicato anche alla formazione, in cui i consiglieri si impegnano e si mettono in gioco per crescere nel proprio ruolo di responsabilità. Penserai ‘che noia, un’altra riunione’. E invece no, il Consiglio Centrale è molto più di questo: è condivisione di pensieri, di modi di fare che viaggiano attraverso le affascinanti regioni d’Italia. Sono i momenti dei pranzi


e delle serate che rivelano legami destinati a rimanere impressi nel cuore. È lì che ho conosciuto fucini di tutta Italia e che ho scoperto quanto può essere bello, faticoso ma bello, ragionare e lavorare insieme per costruire tutti lo stesso sogno. Quando accettatai di candidarmi per questo incarico, avevo un po’ paura di come sarebbe stato partecipare al mio primo Consiglio: sembrava qualcosa di estremamente importante e maestoso, non pensavo di esserne all’altezza. Invece è stata una sorpresa sapere che è probabilmente una delle scelte migliori che io abbia mai preso, una delle decisioni più coraggiose per me stessa Quando si crede in un progetto, si fa di tutto per migliorarlo e per portarlo avanti. Fino a quel momento, la Fuci che avevo vissuto era soltanto la bellezza e la quotidianità degli incontri di gruppo e qualche appuntamento regionale e nazionale.

Quindi mi stupii nel sentirmi a mio agio lavorando insieme ad altri fucini, con uno sguardo più grande di quello del gruppo e della regione. È questa una delle magie della Fuci: è una palestra di vita. Capiterà a tutti di sperimentarsi in contesti nuovi, più ampi del proprio ombelico, villaggio o città. Ed è proprio lì che si impara che esiste altro, che esiste di più, e che condividere, discutere e appassionarsi è uno dei modi migliori per spendere il proprio tempo e le proprie energie. Quindi ecco il mio consiglio: buttati, spenditi per gli altri, fatti in quattro se puoi perché raramente capita di ricevere regali belli come poter prendere parte a un progetto così, ad ogni livello. Ci saranno arrabbiature, discussioni animate, divergenze di opinioni e sensazioni di aver sprecato del tempo. Ma non sarà mai sprecato il tempo impiegato per coltivare progetti che fanno crescere.

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GIROVAGANDO PER IL MONDO Giusto perché le citazioni letterarie hanno sempre un che di affascinante, Baudelaire sul viaggiare diceva: “Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre “Andiamo”, e non sanno perché. I loro desideri hanno le forme delle nuvole”. Perché il viaggio anima lo spirito, porta beneficio alla mente, tempra il fisico e fa tenere in allenamento le scarpe. Ma viaggiare per se stessi a volte non basta, se non conosciamo a fondo l’ambiente intorno, che spesso viene sottovalutato, maltrattato e inquinato. Proprio chi viaggia è anche responsabile del trattamento dell’ambiente, della sua cura e salvaguardia. La branca del turismo sostenibile si occupa proprio di questo. Su definizione dell’Organizzazione Mondiale del Turismo, quello sostenibile è un “turismo capace di soddisfare le esigenze dei turisti di oggi e delle regioni ospitanti prevedendo e accrescendo le opportunità per il futuro. Tutte le risorse dovrebbero essere gestite in modo tale che le esigenze economiche, sociali ed estetiche possano essere soddisfatte mantenendo l’integrità culturale, i processi ecologici essenziali, la diversità biologica, i sistemi di vita dell’area in questione I prodotti turistici sostenibili sono quelli che agiscono in armonia con l’ambiente, la comunità e le culture locali, in modo che essi siano i beneficiari e non le vittime dello sviluppo turistico”. Chi decide di essere un viaggiatore attento a questi fattori, non necessariamente è un turista che rinuncia ad ogni tipo di comfort, che si muove esclusivamente con

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FRANCESCA BERTUGLIA Lettere moderne

lo zaino. La sfida del turismo sostenibile è che ogni scelta e modalità di viaggio può essere sostenibile. Questo nell’ottica del rispetto della cultura straniera con cui si è a contatto, del comprendere che i turisti sono solo di passaggio, dell’intuire che è dai piccoli gesti come il non gettare rifiuti per terra che qualcosa può cambiare. È vero che tutto ciò vale anche stando a casa, ma è anche vero che viaggiando le occasioni di contravvenire a determinate regole o abitudini si moltiplicano. Il turismo sostenibile è anche responsabile, poiché attento ai principi di giustizia sociale ed economica nel rispetto generale dell’ambiente. È centrale il concetto della comunità ospitante, del luogo che accoglie i turisti. Pensare alla responsabilità, infatti, significa pensare all’inquinamento e al degrado cui diversi beni del nostro patrimonio culturale non sono immuni. “Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare”. Andy Warhol ci lascia in eredità questo pensiero. In effetti, sarebbe importante per tutti noi se questo fosse vero, se quest’attenzione per i nostri luoghi non ci sfuggisse mai. Il turismo oggi è una delle risorse economiche maggiori, è un fenomeno che cresce esponenzialmente. Facciamo in modo, dunque, che anche la nostra coscienza e le nostre scelte in merito a questo migliorino e accrescano. In fondo, il viaggio ci è insito, e l’ambiente non smetterà mai di circondarci. E se come diceva Warhol, aver cura della terra è una forma d’arte, allora l’uomo dovrebbe essere destinato a divenir il miglior artista.


LA MIA ESPERIENZA! Ciao sono Miriam, ex studentessa di Giurisprudenza della Statale di Milano. La FUCI, conosciuta un po’ per caso, è stata forse l’esperienza migliore che ho vissuto all’interno delle mura universitarie, anche e soprattutto perché ho avuto l’onore/onere di essere responsabile del gruppo della Statale per due anni. L’università è un ambiente complesso, che può talvolta disorientare e, se presa nel modo sbagliato, isolarti nell’ansia di dare esami sempre al massimo. La FUCI è stata una straordinaria possibilità di vivere quel periodo a 360°, permettendomi di crescere non solo come studentessa, ma anche e soprattutto come persona, affrontando con naturalezza e positività quello strano passaggio tra il mondo dei ragazzi e quello degli adulti. Insomma, che dire, alla FUCI non si può che dare 5 stelle Tripadivisor … Assolutamente consigliata, venitela a provare!!! Sono Giovanna, ho 25 anni e ho studiato lettere classiche in Università Cattolica. Sono entrata nella Fuci durante il primo anno di università e ci sono rimasta fino all’ultimo, sei anni dopo. Quando ho cominciato l’università mi sentivo confusa e non sapevo come impostare il mio nuovo percorso, dopo aver lasciato il porto sicuro, anche se impegnativo, del liceo. Cosa ho fatto allora? Ho cercato un luogo che mi accogliesse, con le mie domande di senso, alla ricerca di amicizia, di spiritualità, di una guida, di approfondimento della realtà. Ed ho trovato la Fuci, che mi ha offerto tutto questo, insieme a molte esperienze e al dono di crescere tramite la cura per gli altri e qualche piccola responsabilità. Matricole, cogliete ogni opportunità di questi anni universitari e non abbiate timore di cercare le risposte alle vostre domande e ai vostri desideri: troverete tanti compagni di viaggio! 25


Siamo studenti universitari presenti in molte città d’Italia, che cercano di vivere al meglio un’esperienza formativa personale utile al loro futuro, secondo un particolare stile di fede, approfondimento e relazione. I percorsi che portiamo avanti a livello di gruppo riguardano il mondo universitario, socio-culturale e spirituale. Con impegno e costanza ci adoperiamo affinché nella nostra città la presenza in università sia la più costruttiva possibile. Tutto questo è la F.U.C.I. acronimo di Federazione Universitaria Cattolica Italiana. A Milano sono presenti due gruppi, uno presso l’Università Statale e l’altro presso l’Università Cattolica.

Come Contattarci FUCI MILANO DIOCESI Lorenzo: 334 3998854 fucimilano@gmail.com UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO Francesca: 346 8801832 fucimilanostatale@gmail.com UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE Marco: 3425536041 presidenzafuci.ucsc@gmail.com

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