La forza della fragilità, Marzo 2020

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N° 2

Anno XXXIII

FEBBRAIO - MARZO 2020

in università dal 1987

La forza della fragilità

TRENTENNALMENTE FRAGILI Una riflessione sul nostro Paese

MILANO CAPITALE... MA DI COSA? Ti spieghiamo la rigenerazione urbana COME CHICCHI DI GRANO... Memorie della convivenza di quest’anno


INDICE EDITORIALE

pag. 1

PAROLE DI VITA (Don Giuseppe Lotta)

pag. 2

POLITICA E SOCIETÀ (Leonardo Mancini)

pag. 4

LA FUCI PER IL SOCIALE

pag. 6

(Marta Magnani)

(Lucille Venturini) LA NOSTRA STORIA (Tindara Scirocco)

pag. 8

GIROVAGANDO PER IL MONDO (Sofia de Giorgi)

pag. 10

IL GIRADISCHI: EREDI - RHUMORNERO (Juri Mainardi)

pag. 11

GUARDA E IMPARA: VIA COL VENTO - FLEMING (Mattia Bizzozero)

pag. 12

IL PIACERE DELLA LETTURA: DIARIO DI SCUOLA - PENNAC (Francesca Bertuglia)

pag. 13

NEWS DAI GRUPPI FUCI DI MILANO (Gabriele Cavicchioli - Gloria Parone - Letizia Bigatti )

pag. 14

LA NOSTRA FEDERAZIONE (Ilaria Ravasi - Lorenzo Cattaneo )

pag. 20

LA MIA ESPERIENZA (Andrea Salvini - Clarissa Pezzola - Federico Vivaldelli)

pag. 25

REDAZIONE Mattia Bizzozero Chiara Magnani DIRETTORE RESPONSABILE Paolo Danuvola DIREZIONE, REDAZIONE via S. Antonio, 5 - 20122 Milano PROPRIETA’ Fondazione Ambrosiana Attività Pastorali Milano. Registrato presso il Tribunale di Milano, n. 113 del 16/02/1987 Stampato con il contributo dell’Università derivante dai fondi previsti per le attività culturali e sociali.

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO Francesca Bertuglia Letizia Bigatti Mattia Bizzozero Sofia de Giorgi Lorenzo Cattaneo Gabriele Cavicchioli Don Giuseppe Lotta Leonardo Mancini Juri Mainardi Marta Magnani Gloria Parone Ilaria Ravasi Tindara Scirocco Lucille Venturini GRAFICA & COPERTINA A CURA DI: Mattia Bizzozero


EDITORIALE

RICONOSCERSI FRAGILI La fragilità è quella dimensione della nostra esistenza più difficile da metabolizzare. Ammettere di essere finiti, vulnerabili, incapaci di gestire ciò che ci succede, è forse uno dei misteri più grandi con cui convivere. Può capitare di vivere dei momenti in cui tutto sembra sgretolarsi in mille pezzi, destabilizzando così l’ordine prefissato delle cose. In questi casi è complicato trovare dei pilastri che ci rendano saldi e sicuri, tanto dentro di noi quanto nella realtà che ci circonda. In una società che tende sempre più a demonizzare le imperfezioni e ad alzare l’asticella degli standard perfezionistici da seguire, c’è il rischio di credere che le nostre zone d’ombra e vulnerabilità siano solo dei difetti da trascurare e da non poter condividere con gli altri. Cadiamo nell’inganno di pensare che avere momenti di debolezza o essere fuori dal coro, siano indicativi di una non adeguatezza alla realtà in cui viviamo. Ogni tanto, quando sentiamo che tutto sta per crollare e non vediamo più la meta che stavamo rincorrendo, vorremmo chiedere il time-out a questa realtà frenetica e dirle “aspetta un attimo che ho perso un pezzo per strada”. Eppure, rallentare spesso non è consentito, quindi tanto vale evitare per l’ennesima volta quella zona d’ombra che forse mi stava suggerendo qualcosa e andare avanti senza pensarci.

E la cosa più incredibile è scoprire come ognuno, di fronte ai mille pezzi della propria vita, sia in grado di ri-assemblarli in maniera diversa e personale, come farebbe un artigiano. Trovare dunque il giusto tempo per ascoltare e ascoltarsi, non rimandare al domani le piccole cose che ci fanno stare bene, avere il coraggio di rallentare, potrebbero essere quei primi passi da compiere quando sentiamo che tutto sta per sgretolarsi. “Poi occorre un filo, leggero e quasi invisibile, per cucire le ferite e creare relazioni. Occorre un filo per tenere insieme i pezzi della nostra vita che sembrano separarsi. Occorre un filo per riprendere le cose della vita e rimetterle nel posto giusto. Occorrono però mani delicate che sappiano accarezzare e curare. Occorre la lentezza per capire come muoversi. Sì, la vita è legata a un filo che ci salva e che ci tiene insieme. Con forza e tenerezza!” (Don Tony Drazza)

MARTA MAGNANI Data Science and Economics

Per quanto vogliamo far sembrare le nostre vite impeccabili dall’esterno, non esiste filtro che possa ritoccare alla perfezione la vita di nessuno. Ognuno di noi porta nella propria storia dei momenti belli e altri più difficili. Ognuno di noi ogni tanto non trova più il filo che collega tutti i pezzi della propria vita. In questi momenti dovremmo riuscire a non sentirci diversi o strani, ma incredibilmente simili a tutti gli altri. È proprio quando ci sentiamo fragili e condividiamo questo nostra peculiarità con qualcuno che sappia ascoltarci, che scopriamo quanto in realtà la nostra fragilità sia comune a tutti.

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PAROLE DI VITA DON GIUSEPPE LOTTA Assistente Fuci Città Studi

FRAGILE COME UN UOMO Quando bisogna trasportare qualcosa di delicato e prezioso, sugli imballaggi compare a caratteri cubitali la scritta “fragile - maneggiare con cura”: è un segnale di allarme che serve a evitare che le convulse, violente e affrettate movimentazioni dei pacchi possano distruggere oggetti delicati. Oggi è come se questa scritta campeggiasse su molte persone, specialmente giovani, e spesso è vista come segno di debolezza, contrapposta a una presunta forza di adulti sicuri, corazzati contro le incertezze della vita. Posto che ci siano persone fragili nel senso di deboli, insicure, incapaci di affrontare la complessità della vita, vorrei qui mettere in risalto l’aspetto pienamente umano della fragilità.

come un semplice superamento di questa condizione.

Il Natale ci ha dato l’occasione di guardare agli inizi della nostra vita. Abbiamo nuovamente contemplato il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio: colui che tutto può nell’amore si presenta in una fragile condizione umana. Nel bambino Gesù celebriamo tutta la vita pienamente umana del Signore, che non si è sottratto ad alcuna delle dinamiche della nostra condizione, ma già nella sua nascita si può cogliere un aspetto importante del nostro discorso. “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). La fragilità di un neonato muove le migliori energie di chi è chiamato ad accoglierlo e a prendersene cura; in questo modo il Signore comincia l’opera di salvezza dell’umanità: si rende fragile e si affida ad altri uomini. Ogni uomo viene al mondo così, bisognoso di tutto e dipendente da altri: il rischio è di dimenticarsene o di vivere la crescita

Un terzo aspetto concerne il grande tema della libertà. L’approssimarsi di una qualsiasi scelta è sempre accompagnato da una trepidazione, da un sentirsi vulnerabili, da un senso di smarrimento per ciò che temiamo di perdere scegliendo una sola opzione tra le molte possibili.

Una seconda faccia di questo fragile diamante che è la nostra umanità è il tema dell’accettazione della propria condizione, della riconciliazione con i nostri personali “dati”: il corpo, il genere, la famiglia di origine con la sua condizione socioeconomica, il luogo di nascita/crescita con la propria cultura. Anche questo insieme di condizioni è spesso visto come sorgente di fragilità e ostacolo da superare per diventare pienamente sé stessi: se crescere è inteso solo come superamento di questa fragilità iniziale, l’esito inevitabile è una piatta omologazione a stereotipi e modelli socialmente condivisi.

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Ma la libertà esiste solo nel momento in cui viene esercitata: solo così diventa reale; l’idea di non scegliere per poter sempre scegliere è un’illusione di libertà, è una facoltà ma non realizza nessun cammino o progetto, non fa compiere alcun passo in avanti all’esistenza. Anche in questo caso la dimensione fragile della libertà, col suo esporsi al rischio del fallimento o dell’errore, con la necessità a volte di andare contro la mentalità corrente, è l’unica che consente di compiere passi reali nella realizzazione di un‘esistenza riuscita; la sua alternativa “forte”, la libertà sempre possibile perché non legata ad alcuna determinazione, appare come una prospettiva non autenticamente umana, pur essendo molto affascinante. C’è, infine, un’ultima dimensione di questa fragilità costitutiva: la nostra mortalità. Tutti i nostri progetti, i percorsi di crescita, gli affetti, devono confrontarsi con essa. Un’esistenza pienamente matura è in grado di vivere questa dimensione con fiducia, liberando l’impegno messo nelle scelte e il donarsi dell’amore dall’ottenimento di un risultato per sé. La persona matura e realizzata è capace di dono e scelte definitive perché sa di non avere in mano l’inizio e la fine della propria esistenza e quindi vive con pienezza la vita così come si pone davanti, prendendosi cura di chi condivide la medesima strada umana. Credo che la parola più adatta ad accompagnare questo tema della fragilità come dimensione intrinseca del nostro autentico vivere sia proprio questa: la cura. La scoperta e l’accettazione della fragilità ci rendono consapevoli di quanto per primi siamo oggetto di cura

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da parte di chi ci vuole bene, senza che questo sminuisca in alcun modo la nostra dignità. A nostra volta capiamo che il prendersi cura della fragilità diventa cura della coscienza nella sua intrinseca delicatezza. Questo evita due possibili derive: quella di considerare la fragilità una debolezza da superare con durezza e autodeterminazione, e quella di violentare la coscienza riempiendola di idee forti e verità indiscutibili. È per me fonte di meraviglia vedere tutta questa “debolezza” in giovani sensibili, attenti, in ricerca della verità per la loro vita, capaci di autentica profondità. Mi piace pensare che nel Vangelo si possa trovare in Gesù il modello di chi si prende autenticamente cura dell’uomo in tutte le sue fragili dimensioni.


POLITICA E SOCIETÀ

TRENTENNALMENTE FRAGILI: LA LUNGA ONDA DI INSTABILITA’ DEL SISTEMA POLITICO ITALIANO

LEONARDO MANCINI Politiche Pubbliche

Il 17 febbraio 1992 Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano, veniva arrestato mentre riceveva una tangente. Da questo fatto apparentemente secondario ha preso il via quella che sarà nota come la stagione di Tangentopoli: nel giro di un paio d’anni praticamente tutti i vertici dei partiti che per cinquant’anni avevano animato la vita politica italiana dalla fine del Fascismo sono stati raggiunti da avvisi di garanzia. Il risultato è stato la completa delegittimazione della classe politica dell’epoca, che nel giro di due anni avrebbe portato alla dissoluzione di quasi tutte le formazioni partitiche allora esistenti. Da lì in avanti la situazione politica dell’Italia è mutata radicalmente: il vuoto lasciato nell’arco parlamentare è stato riempito da partiti nuovi, che facevano ricorso ai mezzi di comunicazione di massa e alla spettacolarizzazione delle loro azioni e promuovevano figure simboliche di uomini politici che risolvessero i problemi del Paese: si pensi solo a Forza Italia, con la rapida ascesa di Silvio Berlusconi, che è riuscito in soli due mesi a portare il suo partito al Governo nel 1994. Poi la Lega Nord di Bossi, con le marce e cerimonie per l’indipendenza della Padania e i raduni di Pontida; si guardi, più recentemente, a Matteo Renzi e alla sua ascesa come politico nuovo, sull’onda della volontà di riforma e rottamazione del

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sistema esistente. In ultimo non si può non citare il Movimento 5 Stelle, che ha conquistato un consenso ampio e fulmineo alimentato dalla polemica anticasta e dalla richiesta di superamento delle dinamiche parlamentari in favore della democrazia diretta basata sulla rete.

Qualsiasi esempio si voglia considerare, è innegabile che dal 1994 in poi il sistema politico italiano è caratterizzato da continui sconvolgimenti: i partiti si fondono e si dissolvono, i parlamentari cambiano continuamente schieramento, le coalizioni di governo si creano e si disfano nel breve spazio di pochi giorni. Il dibattito pubblico è diventato intenso, polemico e a tratti


irrispettoso delle opinioni altrui, fino a scene che solo pochi anni fa sarebbero parse oltraggiose in un parlamento democratico. I cittadini, già disorientati da tale confusione, sono costretti ad assistere a parlamentari che espongono striscioni e cappi, vengono alle mani, addirittura sventolano fette di mortadella per festeggiare la caduta di un esecutivo.

attenzione le vicende politiche, da più parti si parla di crisi della democrazia e di deriva illiberale e si invocano reazioni. Come fucini e giovani membri attivi della nostra società non possiamo non interrogarci sul contributo che, con la nostra esperienza universitaria, possiamo fornire a tutto ciò. A mio avviso, il punto fondamentale della risposta che possiamo dare sta nell’accettazione della nostra diversità: nei nostri gruppi siamo tutti diversi, per provenienza, corso di studi, opinioni personali, eppure, con il metodo fucino che ci caratterizza, siamo in grado di costruire percorsi comuni e di arricchirci vicendevolmente. La nostra democraticità interna, che anima tutti i nostri processi decisionali, può essere un esempio di come si possa generare nella società un clima sereno, di rispetto e attenzione reciproci.

La situazione è stata resa ancora più pesante dalla crisi economica del 2008, che ha portato fragilità e precarietà anche nelle vite di milioni di italiani. Il prolungarsi della crisi e l’incapacità o impossibilità della politica di risolvere efficacemente la situazione hanno portato ad una crescente sfiducia nelle istituzioni, sia nazionali che soprattutto europee. Se a ciò si aggiunge la destabilizzante crescita delle ondate migratorie, specie a partire dal 2015, si comprende il successo in tutta Europa di movimenti populisti e sovranisti, che solo in quest’ultimo anno manifestano un arretramento, peraltro non uniforme, in tutti gli Stati europei. Di fronte a questo panorama, che genera sgomento in chi segue con

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LA FUCI PER IL SOCIALE

OGGI SI SOPRAVVIVE, DOMANI SI RICOMINCIA A VIVERE Io sono Lucille, una studentessa al secondo anno di Educazione Professionale. Il mio corso di laurea prevede un tirocinio per ogni anno accademico e quest’anno ho deciso di svolgerlo nell’ambito del disagio e della grave emarginazione. A metà novembre ho iniziato questo percorso a Casa di Gastone, una comunità di seconda accoglienza per senza fissa dimora, collocata all’interno della fondazione Don Guanella a Milano. Qui un ruolo fondamentale è svolto dalla Organizzazione di Volontariato “Amici di Gastone”.

Oggi a Milano sopravvivono numerose persone senza fissa dimora, persone che hanno bisogno di tutto, anche semplicemente di essere ascoltate, per riscoprire il loro valore, la loro dignità e trovare la forza per ricominciare una vita migliore. Ed è in questo che credono gli Amici di Gastone. Chi sono? Si tratta di un’associazione laica di volontariato senza fini di lucro. La loro storia parte dai binari della stazione Centrale di Milano. È lì che, nel 1988, hanno cominciato ad occuparsi dei senza dimora. Tra loro

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LUCILLE VENTURINI Educazione Professionale

c’era anche Gastone: per molti solo un malato psichico, mentre, per chi aveva voglia di ascoltarlo, un uomo capace di raccontare storie meravigliose. Lui è stato il primo ad insegnare che, attraverso l’ascolto di strada, era possibile costruire una amicizia, e trovare insieme la via per uscire da una situazione di emarginazione. Nel loro piccolo hanno dimostrato che questo è possibile. Essere “amici di Gastone” vuole dire andare in stazione una volta alla settimana per portare conforto a chi dorme sulle banchine. Ma soprattutto vuole dire passare una serata in compagnia, parlare, ascoltare, cercando di ridare dignità all’individuo, instaurare relazioni, le più normali e umane possibili. Vuole dire dare un piccolo aiuto che arricchisce di storie, emozioni, sentimenti, vita.

La Casa di Gastone, invece, è un Centro per chi vive ai margini. Grazie alla collaborazione con l’Istituto S. Gaetano, dell’Opera don Guanella,


è nata per approfondire il rapporto con chi si trova in difficoltà. Per dargli un punto di ritrovo diurno e un luogo di accoglienza notturna. Per toglierli dalla strada ed aiutarli a cominciare il percorso di integrazione sociale, trascorrendo il tempo costruttivamente, fino a raggiungere una vera e propria autonomia. È un ambito di cui si conosce poco, si tende a pensare unicamente alle persone che si vedono in stazione centrale a chiedere soldi o a “fare baccano”, oppure a quelle per strada.

Un giorno ero in comunità e stavo pensando a come continuare questo breve articolo, allora durante l’attività di laboratorio ho chiesto loro come vivessero questa loro condizione all’interno della struttura. Vi riporto alcune delle risposte: “Vedo la comunità come una pista di lancio verso un ritorno ad una quotidianità ormai persa” “Questo per me è un sostegno per non cadere”. “Vivere qui è difficile ma serve per rialzarsi cercando di non abbandonarsi alle difficoltà, lavorare su queste difficoltà, affrontarle e non evitarle”. “Per me è un luogo di confronto e sostegno reciproco, non solo in caso di difficoltà”. Trovo siano bellissime risposte, attinenti ai quattro punti cardine del progetto educativo: circondare di affetto, valorizzare, incoraggiare e accompagnare. Perché oggi si sopravvive ma domani si ricomincia a vivere.

Spesso non si pensa che sono persone con una storia, dei problemi e che vorrebbero solo essere aiutate ad uscire da un tunnel. Non tutti sono disposti ad uscire da questa condizione, sia chiaro, ma molti lo desiderano, ci provano. La figura del senzatetto si è evoluta: una volta la maggior parte avevano problemi psichici o di dipendenze, ora invece molti si trovano in questa condizione in seguito alla perdita del lavoro e, in alcuni casi, della famiglia. L’utenza con cui mi relaziono è composta da 15 persone e ha una fascia d’età che va dai 45 ai 75 anni. Non solo mi raccontano le loro storie, mi chiedono consigli, pareri, ma soprattutto mi raccontano i loro sogni per il futuro.

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LA NOSTRA STORIA TINDARA SCIROCCO Medicina e chirurgia

FRAGILI IN UNIVERSITÀ “Basta, mi ritiro”. Non negarlo, qualche volta lo hai pensato anche tu. Era solo la voce della stanchezza, quella che si abbatte su ciascuno studente universitario dopo infinite ore passate sulle sudate carte, quando ci si lascia accarezzare dall’idea di farla finita con la sessione, con l’ansia del non sapere mai abbastanza per quell’esame noioso che è già la seconda volta che provi. È un pensiero che da lucidi magari consideriamo stupido, ma la sessione, fatta di giornate grigie trascorse interamente alla scrivania tra libri ed evidenziatori, mette a dura prova i nervi di chiunque. Non è raro sentirsi fragili, sul punto di crollare e di piangersi addosso. E molti, davanti all’enorme peso degli studi, sono pronti a mettere in discussione tutte le proprie scelte, a partire da quella universitaria. L’Italia è uno dei Paesi con numero più alto di abbandoni universitari. Secondo dati Eurostat del 2016, sono stati circa 3 milioni gli studenti europei che hanno lasciato l’università prima di conseguire la laurea, 1/3 dei quali iscritti negli atenei francesi. Al secondo posto si trova l’Italia, con 524mila rinunce. Un dato allarmante, se si considera che nel nostro Paese solo il 50% dei giovani diplomati si iscrive all’università, e la percentuale di laureati nella fascia di età tra i 26 e i 34 anni è del 26,4%, tra le più basse in Europa. Le ragioni che spingono così tanti giovani a questa scelta sono le più svariate. Dal sondaggio si evince che circa il 38% degli intervistati italiani ha abbandonato il proprio percorso di studi per iniziare a lavorare, mentre ¼ degli ormai ex-studenti si è ritirato

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perché profondamente insoddisfatto dell’offerta formativa proposta in rapporto alle opportunità lavorative. Il 17% dei giovani parla di problemi familiari o di salute che hanno costretto alla rinuncia, un 10% confessa difficoltà (esami arretrati, problemi di studio, …), mentre il restante 8% indica come principale causa dell’abbandono le difficoltà economiche. Sul 50% di giovani maturandi che decidono di non immatricolarsi non si hanno dati precisi, ma ci fanno riflettere motivazioni quali il presupposto di fallire – legato a una personale scarsa propensione agli studi o a un’insufficiente preparazione ottenuta durante la scuola secondaria – e le questioni economiche. Infatti, per quanto il nostro sistema di diritto allo studio sia più funzionale di quello di altri Paesi, mandare un figlio all’università tra libri, tasse, trasporti e affitti obbligati risulta spesso un investimento troppo elevato per le famiglie.


L’analisi di questi dati ci mette davanti a una situazione che rivela l’enorme fragilità del nostro sistema universitario. Se da un lato emerge che gli atenei non preparano adeguatamente gli studenti al mondo professionale, dall’altro questi ultimi mostrano di vedere l’università sempre più come un luogo finalizzato

a preparare il lavoratore di domani. Questi elementi fanno sì che si crei un circolo vizioso: gli studenti, non essendo interessati alle materie, preferiscono preparare gli esami senza frequentare, affidandosi a manuali e appunti di seconda mano; spesso si tratta di una scelta obbligata in quanto le lezioni terminano a ridosso della sessione e si è costretti a scegliere tra arrivare pronti agli appelli o seguire i corsi. Nonostante i CFU, ideati come parametro obiettivo di ampiezza degli esami, ogni facoltà presenta i propri esami scoglio, spesso propedeutici a esami successivi: per affrontarli gli studenti sono costretti a lasciare materie indietro, che possono diventare responsabili di anni fuoricorso. In questo clima lo studio perde di significato e risulta faticoso, fonte di ansia e insoddisfazione. Diventa così facile scoraggiarsi e cercare altre strade, specie se nei corridoi delle facoltà serpeggiano frasi come “La laurea triennale non serve a nulla, devi

continuare con la magistrale, e poi con molta probabilità resterai disoccupato”. Quali soluzioni per questo quadro negativo? Credo si possa riassumere tutto con la necessità di un’offerta formativa diversa. Serve che l’Università guardi più alla concretezza, aiutando i giovani ad elaborare le skills fondamentali dal punto di vista lavorativo, ma al tempo stesso è necessario che essa riacquisisca il suo significato più intrinseco, quasi etico, di formazione della persona a tutto tondo. L’Università non è un esamificio, ma come diceva Paolo VI, un luogo di esplorazione “[..] seducente. Lo studente che si affaccia per la prima volta all’Università è come un romantico che s’appressa ad un castello meraviglioso.” E questa meraviglia, che accompagna i primi giorni, dovrebbe essere coltivata e rinnovata durante tutto il percorso. In questo la FUCI si è sempre mostrata uno strumento utile, che aiuta a riscoprire il senso profondo dello studio. Se è quello che stai cercando anche tu, vieni a trovarci! Ma soprattutto, non mollare!

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GIROVAGANDO PER IL MONDO

MILANO: CAPITALE DELLA RIGENERAZIONE URBANA Sei a Milano e sei stufo di visitare sempre piazza Duomo e il Castello Sforzesco? Stai cercando un percorso turistico originale e un po’ underground? Questo articolo fa proprio per te! Milano, conosciuta in tutto il mondo come la capitale della moda e del design, è stata in passato una grande città industriale, all’avanguardia rispetto alle altre città italiane ed europee. Forse non tutti sanno che la prima centrale elettrica in Europa fu costruita proprio a Milano, di fianco al Duomo, dove è situata oggi la Rinascente. Con il passare degli anni e col veloce e continuo rinnovarsi della città (chi va piano non è di Milano), l’attività industriale ha lasciato il posto ai servizi più avanzati, la finanza, la cultura, la moda e il design. Ma ancora oggi la città offre la possibilità di ammirare i luoghi storici dell’archeologia industriale, talvolta rigenerati e cambiati di destinazione d’uso. È il caso della Fabbrica del Vapore (un tempo sede di una ditta per la fabbricazione di materiale rotabile per ferrovie e poi dismessa), della fondazione Pirelli Hangar Bicocca (in cui sorgeva lo stabilimento industriale dapprima della società Ansaldo-Breda e, successivamente, della Pirelli) e della Fondazione Prada, ex distilleria storica di Milano. Da spazi industriali ormai dismessi, si sono ricavati dei centri culturali, che ospitano mostre ed esposizioni in un’atmosfera suggestiva, particolare e un po’ controcorrente. In linea con le direttive della Regione Lombardia, la città di Milano sta attuando una politica urbanistica, volta alla riqualificazione delle aree industriali dismesse per limitare il consumo di suolo verde. La riqualificazione e la

SOFIA DE GIORGI Ingegneria ambientale

bonifica delle aree in disuso offrono l’opportunità di rigenerare un’intera zona urbana. Per esempio, la costruzione di un centro commerciale o di un’università, in una zona un tempo adibita all’attività industriale, garantisce la rinascita sociale ed economica del territorio circostante: nuovi posti di lavoro, nuovi spazi residenziali, nuove attività commerciali come bar o ristoranti. Insomma, da un’area degradata e abbandonata prende vita lo sviluppo. I progetti di rigenerazione urbana più significativi in area milanese riguardano, per esempio, l’Università Bicocca, CityLife Shopping District e, soprattutto, la zona di Porta Nuova con la grande piazza Gae Aulenti, il Bosco Verticale e la Torre Unicredit. Questa piazza è diventata un centro di aggregazione sociale e giovanile, attirando turisti e decongestionando altre zone cittadine. Curando, dunque, le fragilità urbane, si valorizzano le periferie, si eliminano le zone degradate, si rinsalda il tessuto umano cittadino, a vantaggio del bene comune. E la città continua a rigenerarsi: nuovi progetti sono in cantiere (attortono a piazzale Loreto, a Lambrate, in zona Porta Romana...): #StayTuned!

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IL GIRADISCHI

JURI MAINARDI Relazioni internazionali

RHUMORNERO: EREDI Eredi dei Rhumornero viene pubblicato nel 2017, dopo 10 anni dallo scoppio della grande crisi, come fosse un riassunto di ciò che è successo da quell’estate in poi. Infatti l’album è un metaforico “nodo che viene al pettine”, a tratti fortemente critico verso la società attuale. La grande recessione è il fattore scatenante che ha messo in risalto le contraddizioni della società post-1989, la quale agli occhi dei compositori si sta progressivamente sfagliando. O forse, riportando le parole di Nel tuo Silenzio: “di un mondo che nel suo dissolversi si dà alla distruzione”, dove il manifestarsi del disfacimento dell’ordine sorto dopo la caduta del Muro di Berlino si accompagna alla pressante crisi ecologica. Pertanto Eredi può essere considerato un concept album che ruota attorno al tema del mondo che verrà ereditato dalle nuove generazioni. Dalla copertina traspare un alone di desolazione, amplificato dal brano di apertura ove il testo ironicamente sottolinea che questa società “è il massimo capolavoro che la terra abbia mai visto in tutti i mutamenti suoi lungo un miliardo d’anni di svariate evoluzioni”. Ma più che evoluzioni sembra sottintendersi una regressione culturale e sociale, evidenziata nella seconda canzone: “viviamo dentro allucinazioni, crediamo che i vicini siano sempre i peggiori”. Ciò che vuole essere sottolineato è il fatto che le relazioni sociali si stanno degradando, e il senso di comunità si sta sfaldando. Nel brano l’Equilibrio si sente la voce affermare, in un dialogo

con una controparte immaginaria, che quest’ultima “essendo un cinico, questo tempo lo hai capito più di me”. Non è facile mantenere “l’equilibrio tra sé stessi ed il cambiamento radicale”, ma la sensazione di smarrimento degenera nel testo de Nel tuo silenzio, dove la voce afferma che “vivo come spettatore del mondo che nel suo dissolversi si dà alla distruzione” lasciandola inerte e impotente perché “vivo senza più partecipare alle sventure e alle fortune che il mondo ci propone e vivo nel cercare quella pace che lo so non è possibile, e non è colpa di nessuno”. La traccia successiva Schiavi moderni riporta lo sguardo critico sulla società occidentale, per cui “siamo soltanto una forma moderna di schiavi legata al lavoro e devota al denaro e ad altre forme di sterilità”. L’apice di tutto l’album è contenuto nella traccia che dà il nome all’opera. Alla fine di Eredi la voce si chiede “che ne sarà di noi, i vostri silenziosi eredi?”. In conclusione, il disco evidenzia la fragilità della società che, offuscata dal culto dell’immagine, perde di vista il senso delle cose. Pare che il sentimento che va per la maggiore nell’ascoltare i testi sia un senso di smarrimento, dettato da un mondo che sta tramontando senza che si veda nel mentre un’alba di uno nuovo.

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GUARDA E IMPARA MATTIA BIZZOZERO Linguaggi dei media

VIA COL VENTO Siamo in Georgia, l’anno è il 1861. Rossella O’Hara (Vivien Leigh) è la giovane e bella figlia di un importante latifondista del sud. Lo scoppio della guerra di secessione porterà scompiglio nella sua vita e distruzione nella sua terra natia, ma la forza di volontà della ragazza le permetterà di sopravvivere a due mariti e diventare un’importante imprenditrice. Le storie che si intrecciano in questa pellicola sono tante ma tutte convergono su quella principale di Rossella. All’inizio del film alcuni soldati corteggiano la ragazza ma, poco dopo, intraprendono la strada della guerra convinti degli ideali sudisti. Le donzelle, rimaste a casa da sole, cercano di sopravvivere senza i fidanzati/mariti, e, unendosi alla causa, aiutano i soldati connazionali feriti: chi negli ospedali, chi nelle cucine e chi aprendo le porte di casa. In questo quadro di storia americana, il personaggio di Rossella viene inizialmente dipinto con due caratteristiche semplici ma fondamentali: la bellezza e la giovinezza. Questo permette allo spettatore di capire che lei ha una vita intera davanti. Dopo pochi minuti si comprende che non sarà un’esistenza semplice: Rossella è innamorata di un uomo, Ashley, promesso a una sua amica. Intanto il generale sudista Rhett (Clarke Gable) la corteggia in tutti i modi possibili, riuscendo alla fine a sposarla. Questa storia d’amore, profonda e complessa, e il racconto della guerra civile statunitense sono parallele per tutta la durata della pellicola e diventano complementari.

Quando i sudisti decidono di iniziare una battaglia contro gli Stati confederati, Rossella perde tutto: l’uomo che ama, la sua dimora, i suoi numerosi corteggiatori, i suoi genitori e parte della servitù. Inizierà un viaggio alla scoperta dell’anima di un paese devastato dalla fame e dalle malattie, un paese sconosciuto fino ad allora, con il quale prende confidenza lentamente. La voglia di riscatto di fronte alle angherie dei vincitori nordisti diventa il motore per avviare una nuova attività che sopperisca alle perdite dei beni famigliari. La forza di volontà di Rossella raggiunge il punto più alto nella scena in cui, dopo l’incursione di un disertore nordista nel fatiscente casolare degli O’Hara, abitato oramai da sole donne e anziani, Rossella sparandogli esclama: “Ho ucciso un uomo. Ma non ci voglio pensare ora, ci penserò domani” Il legame tra la ragazza e la sua terra ha radici così profonde che, sul piano morale, la morte di un uomo non incide più di tanto. Un bel film è capace di parlare a tutti in qualsiasi epoca storica. Via col Vento, uscito in America nel 1939, rientra nella categoria dei capolavori e, infatti, è tutt’oggi un esempio di resilienza a cui ispirarsi quando la vita viene sconvolta da un giorno all’altro. Possono servire anni per rimettere le cose a posto e abituarsi al cambiamento ma... la fortuna aiuta gli audaci.

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IL PIACERE DELLA LETTURA FRANCECSA BERTUGLIA Lettere Moderne

DIARIO DI SCUOLA PER UN’ALTRA PROSPETTIVA

E di che cosa era fatto il mio presente? Di una sensazione di inadeguatezza disperata dalla somma dei miei istanti passati. Ero negato a scuola e non ero stato mai altro che questo. Il tempo sarebbe passato, certo, e la crescita, e i casi della vita, certo, ma io avrei attraversato l’esistenza senza giungere ad alcun risultato. Era ben più di una certezza, ero io. Di ciò alcuni bambini si convincono molto presto e se non trovano nessuno che li faccia ricredere, siccome non si può vivere senza passione, in mancanza di meglio sviluppano la passione del fallimento. Parlare di fragilità nel mondo scolastico è una costante strana, a pensarci bene. Perché tutti sanno quanto sia importante parlarne eppure tutti vorrebbero farne a meno, occupandosi solo di ciò che ha a che fare con una scuola meritevole e senza problemi. Tutti noi, prima di essere studenti universitari, siamo stati studenti di una scuola superiore. E prima ancora semplici allievi di una scuola media ed elementare. Ripercorrendo a ritroso i nostri anni sui banchi di scuola, ci potremmo in effetti accorgere che ciò che abbiamo vissuto ha influito sul nostro modo di concepire lo studio, la didattica, una classe. In qualche modo gli insegnanti di ieri hanno condizionato il nostro essere studenti oggi, nel bene e nel male a seconda dei casi personali.

Pennac ci parla della scuola, dell’apprendimento e dell’insegnamento dal punto di vista di chi a scuola non è mai stato un allievo modello, anzi dalla parte di un somaro, chi aveva difficoltà per qualsivoglia motivo. Ma a un certo punto anche questo qualcuno ha incominciato a capire quello che prima non capiva, a vedere quello che prima non vedeva. Così ognuno può diventare un allievo finalmente compreso, e col proprio tempo, valorizzato per quello che è. Di questa “pedagogia conversazionale” di cui Pennac parla nel suo libro così vivace, Diario di scuola, la cui lezione rimane negli anni, e si adatta anche a noi, anche se ora viviamo nell’ambiente universitario. Pennac, tra simpatici aneddoti, porta il lettore a riflettere sul fatto che è solo affrontando ciò che ci fa più paura o che ci demotiva, a renderci più forti. «Paura della grammatica? Facciamo grammatica. Poca inclinazione per la letteratura? Leggiamo! Poiché, per quanto strano vi possa sembrare, o nostri allievi, voi siete impastati delle materie che vi insegniamo. Siete fatti di parole, tutti quanti voi, intessuti di grammatica, tutti, pieni di discorsi, anche i più silenziosi o i meno attrezzati di vocabolario, abitati dalle vostre rappresentazioni del mondo, pieni di letteratura, insomma, ognuno di voi, ve lo assicuro».

Anche chi oggi è uno studente in gamba e intraprendente, non è detto che in passato sia stato lo stesso. Tutti siamo stati fragili qualche volta, ma con le sollecitazioni giuste a un certo punto ci siamo alzati e abbiamo continuato le lezioni e la nostra vita tra quei banchi.

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IDEE DA... LEONARDO DA VINCI

GABRIELE CAVICCHIOLI Ingegneria fisica

TEMPO PER DIO TEMPO PER L’UOMO Dopo la conclusione dell’ultimo Congresso di Urbino, la FUCI è stata chiamata a riflettere su come noi impieghiamo il tempo che ci è concesso e su come all’interno di questo tempo noi viviamo il nostro rapporto con Dio. Possiamo subito notare che il nostro tempo è diviso fra il tempo dell’uomo, ovvero quello che è in qualche modo legato al rapporto con il prossimo, con le altre persone, e il tempo di Dio, in cui ci si confronta con l’Assoluto, per noi cristiani, con Dio. Per comprendere meglio il significato di questa divisione, prendiamo in prestito due termini che spesso usiamo durante le lectio: così il tempo dell’uomo può essere identificato con l’actio, ovvero la dimensione dell’azione dell’uomo, del lavoro, dello studio, delle amicizie, mentre il tempo di Dio va a legarsi alla preghiera, in particolare alla contemplatio, cioè “quel momento di distacco dall’incalzare delle cose, di riflessione, di valutazione alla luce della fede che è tanto necessario per non essere travolti dal vortice degli impegni quotidiani.” (C.M. La dimensione contemplativa della vita) Oggi spesso non c’è armonia fra questi due aspetti complementari delle nostre vite. Per noi universitari, ad esempio, la necessità di vivere entrambe queste esperienze cozza con i ritmi dell’università, come d’altronde avviene anche nel mondo del lavoro e in tanti altri ambienti. Tendiamo a seguire dei ritmi frenetici. Sentiamo la responsabilità di impiegare quanto più tempo possibile in qualcosa di produttivo, ci diciamo che

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lo facciamo per il nostro futuro. Questo atteggiamento finisce col prosciugare del tutto i momenti che dedichiamo al confronto con Dio. Per quale motivo è così importante prendersi del tempo dedicato al Signore? Perché il tempo di Dio ci dà il tempo di riflettere e soprattutto di ritrovare il senso delle nostre azioni che altrimenti rischiano di svuotarsi di significato.

Tuttavia, ricordiamoci che, quando si parla di dedicare del tempo a Dio, non dobbiamo soffermarci sulla quantità; al contrario sono la qualità e l’intenzione con cui noi viviamo i momenti di preghiera ad essere più importanti. Come ci dobbiamo comportare quindi? La risposta la possiamo ritrovare nei comandamenti, in particolare nel primo: “Non avrai altro Dio al di fuori di me, non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle


acque sotto la terra.”. La maggior parte delle volte che leggiamo questo passo pensiamo che sia sufficiente che il Signore sia l’unico Dio, tuttavia il suo significato non si limita a questo. Prendiamo una situazione comune alla maggior parte di noi: la messa della domenica. A tutti può capitare di metterla in secondo piano e di finire per trascurarla, spesso perché gli anteponiamo qualche altro impegno, magari anche importante: lo studio, aiutare la propria famiglia, il lavoro.

Ma così questi impegni non diventano forse a loro volta un idolo? Il primo comandamento, in effetti, ci ricorda di dare la giusta importanza al nostro rapporto con Dio, il quale non dovrebbe mai essere messo in secondo piano. Tuttavia, come già riportato sopra, non dobbiamo quantificare il tempo che dedichiamo a Dio. L’importanza che Egli riveste nelle nostre vite non si misura in ore. Ma questo tempo deve comunque essere presente in un modo o nell’altro. A maggior ragione, la preghiera, l’andare a Messa, la contemplazione non devono essere semplicemente una decorazione alla nostra vita, delle azioni fini a sé stesse, ma è

necessario integrarle con il resto dei nostri impegni, o almeno tentare. Se non lo facciamo, il rischio è che, per quanto possano essere buoni i nostri propositi, il tempo di Dio venga soffocato dal tempo dell’uomo. Come possiamo fare allora? La soluzione che il Cardinal Martini ci propone è la preghiera continua, che non va confusa con il passare tutto il nostro tempo a recitare preghiere e salmi. Il significato più profondo della parola preghiera è infatti “porsi in relazione con il Signore”. Allora la preghiera continua consiste nel mantenere vivo questo rapporto e di non instaurarlo unicamente nei pochi momenti di contemplazione che ognuno di noi si riserva, come se riponessimo il Signore in un cassetto e lo tirassimo

fuori quando ci fa comodo. Non è sicuramente una pratica semplice né immediata, ma grazie ad essa è possibile dare un senso alle nostre azioni. Un ultimo spunto: la preghiera, anche se può essere difficile da realizzare, è relazione, è ascoltare Dio. Questo implica che la preghiera non è tanto un’azione che noi compiamo, quanto un dono che riceviamo da Dio. È Lui che si rivela e ci fa questo dono, e noi dobbiamo unicamente metterci in ascolto.

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VOCI DAI CHIOSTRI: UNICATT GLORIA PARONE Filosofia

UN CUORE COMUNE

Nel celebre volume Cuore Edmondo De Amicis ci racconta la storia di Marco, un ragazzino genovese di tredici anni che intraprende un viaggio dall’Italia fino in Argentina alla ricerca di sua madre. Con qualche panno in una sacca e pochi scudi in tasca, Marco si imbarca su un piroscafo e attraversa l’oceano. Ha fegato da vendere il ragazzino, ma questo non sempre è sufficiente quando ti ritrovi a dover attraversare un Paese straniero dove le strade hanno nomi strani, affidandoti a mezzi di fortuna e raccogliendo informazioni lungo il cammino. Marco è preso dallo sconforto, sente fuggire il coraggio e si siede a terra con la testa fra le mani fino a quando lo desta una voce “Che cos’hai, ragazzetto?”. È il contadino lombardo che ha conosciuto sul piroscafo, e così lo segue fino a un’osteria dove racconta la sua storia a un gruppo di uomini seduti a un tavolo, non sono però uomini qualsiasi, sono italiani, emigranti, anche loro come lui si trovano un oceano lontano da casa. La storia di Marco li commuove, per

questo si stringono intorno a lui e gli donano qualche lira della loro sudata paga, così che possa proseguire il viaggio e ritrovare sua madre. Questo racconto ci è stato presentato durante uno degli incontri dell’officina delle idee che avevano come tema centrale quello della comunità.

Credo che le parole di De Amicis riescano a fornirci un’immagine di cosa significhi il senso di comunità molto più eloquente di qualunque spiegazione intellettuale. Abbiamo un gruppo di uomini che condividono le stesse radici, un passato simile, che hanno vissuto le stesse emozioni e hanno in comune le stesse speranze; ad un certo punto si trovano di fronte un estraneo, è spaventato, turbato e senza niente da offrire.

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È facile immaginare come molti di loro abbiano rivisto sé stessi negli occhi del piccolo ragazzino e come questo li abbia spinti a cercare di aiutarlo, anche se ciò ha significato togliere qualcosa dalle loro tasche già mezze vuote. La comunità è questo: riconoscersi come parte di una realtà più grande, solida e radicata, e - facendo leva su questo - essere capaci di accogliere chi ci sta davanti e che mostra di condividere quella stessa storia, quei valori, quel vissuto in cui ci riconosciamo. Ritorna un po’ in mente l’immagine di quelle prime comunità cristiane in cui l’accoglienza e la cura dei più deboli avevano un ruolo centrale.

Non serve un grande sforzo dell’immaginazione per rendersi conto che la storia del piccolo Marco è più vicina a noi di quanto sembri, soprattutto per noi giovani universitari. Infatti spesso noi ragazzi siamo portati a trasferirci molto lontano da casa per inseguire i nostri sogni, e ci ritroviamo in una città sconosciuta con persone nuove e abitudini diverse. Lontani dalla comfort-zone ci si sente esposti, vulnerabili: una giornata storta, un esame andato male possono pesare dieci volte di più se manca il sostegno di amici e familiari lontani. A chi non

ha vissuto questa esperienza in prima persona basta volgere per un momento lo sguardo ai propri vicini per rendersi conto che spesso dietro l’entusiasmo iniziale c’è anche tanta insicurezza.

Allora riscoprire il nostro senso di comunità, che possiamo benissimo intendere come l’insieme di noi giovani che ci ritroviamo a condividere l’esperienza dall’università, vuol dire prestare attenzione a chi ci sta accanto, essere capaci di accogliere l’altro con le sue incertezze e fragilità perché, in fondo, alle spalle abbiamo la stessa storia.

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LA VOCE DI MINERVA LETIZIA BIGATTI Lettere moderne

UN PENSIERO... PER I POSTERI

“Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?” Seguendo la mozione presentata all’Assemblea Nazionale della Fuci, il gruppo di Milano Statale ha deciso di inaugurare un percorso dedicato all’ambiente e alla posizione della Chiesa in merito ad un argomento tanto importante e delicato in questa fase storica. Il percorso dal titolo Madre Terra: una casa comune da difendere è stato suddiviso in cinque incontri tenuti da diversi relatori presso l’Università degli Studi di Milano.

Il primo intervento Ecologia integrale, Uomo e Ambiente, un destino incrociato, tenuto da Don Walter Magnoni,

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responsabile della Pastorale Sociale e del Lavoro della diocesi di Milano, si è focalizzato sulla Laudato Si’, l’enciclica scritta da Papa Francesco nel 2015. La Laudato Si’, infatti, affronta il tema ambientale che, tuttavia, è strettamente connesso al tema sociale. Il modello economico attuale, basato sulla cultura dello scarto, sul consumismo e il profitto, sembra ignorare le conseguenze sia ambientali che sociali. I cambiamenti climatici, l’inquinamento, la perdita della biodiversità mettono a rischio la Terra e il Creato a tal punto che “questo secolo potrebbe essere testimone di cambiamenti climatici inauditi e di una distruzione senza precedenti degli ecosistemi con gravi conseguenze per tutti noi”. Non dobbiamo però dimenticare altre conseguenze altrettanto importanti che riguardano le persone: il deterioramento della qualità della vita umana, la degradazione sociale, l’iniquità planetaria, il fenomeno delle migrazioni. Gli ultimi capitoli della Laudato Si’ invitano all’azione affinché la riflessione non sia fine a sé stessa, avanzando la proposta di un’Ecologia integrale, che riporti l’Uomo al centro dell’economia e non il profitto. Infatti, per Ecologia integrale si intende un nuovo modo di guardare la vita riconoscendo il valore delle persone, la cura nelle relazioni, il rispetto per gli ultimi, dove l’economia e la società siano davvero unificate. Durante il secondo intervento, dal titolo Punto di non ritorno è stata proposta la visione del documentario Before the Flood, realizzato nel 2016 e diretto da


Fisher Stevens con tema il cambiamento climatico. Il protagonista del documentario è Leonardo di Caprio, molto sensibile alla questione ambientale, che discute con le più importanti personalità, tra cui lo stesso Papa Francesco, sugli eventi climatici che stanno colpendo la Terra. Il terzo incontro ha visto la partecipazione, in qualità di relatori, di alcuni membri della Comunità Pachamama che hanno spiegato come sia possibile applicare l’Ecologia integrale nella vita di tutti i giorni. Questa esperienza nasce nel 2009 da un gruppo di persone che creano a Olgiate Olona (VA) una comunità che convive con altre due realtà comunitarie. La scelta del nome è significativa: la Pachamama è il simbolo di Madre Terra che genera la vita e lo fa attraverso le relazioni. Inizialmente non c’era un progetto ben preciso ma la comunità è nata da un desiderio di vivere insieme e di condividere esperienze, momenti di spiritualità e riflessione attraverso uno stile che sia sobrio, solidale e sostenibile. I membri della comunità riflettono anche sulla possibilità di cambiare alcune abitudini di vita, acquistando detersivi vegetali, riducendo il consumo di carne, scegliendo di comprare ciò che garantisca qualità del prodotto e rispetto per l’ambiente. Quando poi nel 2015 papa Francesco pubblica la Laudato Si’, essa diventa per la comunità una regola di vita, qualcosa a cui tendere. Successivamente abbiamo avuto l’occasione di riflettere assieme a padre Mauro Bossi, redattore presso la rivista Aggiornamenti Sociali, sul Sinodo dell’Amazzonia, tenutosi lo scorso novembre a Roma. Infatti, il quarto incontro Amazzonia: il respiro della Terra e il grido dell’Uomo ha avuto come obiettivo la comprensione di quanto emerso durante il Sinodo e i problemi ambientali connessi con l’Amazzonia, che in realtà riguardano tutti gli uomini. È necessaria quindi una conversione che sia pastorale, culturale, ecologica, sinodale.

L’ultima tappa del nostro percorso dal titolo Il cambiamento climatico: problema globale o locale? ci ha fatto riflettere sui cambiamenti reali della Terra negli ultimi anni, sia a livello globale con lo scioglimento dei ghiacci artici, l’estinzione di numerose specie, l’in-

nalzamento del livello dei mari, il surriscaldamento, gli incendi - sia a livello locale, quindi sul nostro territorio, dove il dissesto idrogeologico, lo scioglimento dei ghiacciai alpini e le inondazioni si sono fatti sempre più frequenti. La conferenza è stata tenuta dal Dottor. Enea Montoli, ricercatore presso la Fondazione Osservatorio Meteorologico di Milano, con il quale abbiamo percorso la storia climatica del nostro pianeta, analizzando i fattori principali dei fenomeni climatici in corso.

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LA NOSTRA FEDERAZIONE

ILARIA RAVASI Filosofia

VITA COMUNE 2019: “COME CHICCHI DI GRANO EROICAMENTE FRAGILI” Il mese di ottobre per la FUCI è tempo di accoglienza. Infatti, dal 21 al 26 ottobre i gruppi di Milano hanno fatto esperienza di vita comune in casa di Zaccheo, una scelta da coraggiosi in tempi fragili, come riporta il tema dell’anno federativo. Una ventina di fucini “come chicchi di grano: eroicamente fragili” hanno abitato il centro della città alternando momenti di preghiera e serate di riflessione sul tema della fragilità. Il tutto svolto all’interno della vita quotidiana, tra lezioni universitarie, la condivisione della preparazione dei pasti, degli spazi della casa, la riflessione e la preghiera. La figura biblica che ha segnato il cammino è stata Giobbe, uomo di Dio, pieno di difficoltà, abbandonato da tutti, fragile, ma tenace, capace di fidarsi di Dio. Il testimone della vita comune è stato Piergiorgio Frassati, un ragazzo di inizio 1900, pieno di energia e di passione, che ha vissuto la vita universitaria senza riuscire a concluderla, il quale da eroe umile ha deciso di vivere a pieno la propria vita nonostante le molte difficoltà. Proprio di lui è venuto a parlarci in una delle serate Mons. Vincenzo di Mauro, che ci ha rincuorato fin da subito dicendoci che per essere Santi non bisogna obbligatoriamente laurearsi in tempo. Ci ha detto che santi come Piergiorgio non hanno una vita o una famiglia perfetta e nemmeno le risposte giuste, ma hanno scelto, nonostante tutto, di essere giusti. La vita di Piergiorgio ci ricorda che siamo liberi di decidere che

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LORENZO CATTANEO Giurisprudenza

cosa fare e che non c’è alcun libro con scritto il nostro destino e le scelte che faremo. Un’altra serata è stata dedicata al dialogo con i ragazzi che da qualche anno hanno terminato il loro percorso in FUCI. Ci hanno raccontato delle loro difficoltà universitarie e quelle che, ora, vivono sul posto di lavoro. Hanno più volte sottolineato come la FUCI sia stata utile per sostenersi reciprocamente nel periodo universitario e come le piccole responsabilità prese in gruppo li abbiano aiutati ad inserirsi più facilmente nell’ambiente lavorativo. Siamo rimasti molto colpiti dall’amicizia che è nata tra di loro, che dopo anni ancora escono insieme e si scambiano pezzi di vita. All’interno di una società in cui siamo

tutti indipendenti è indispensabile avere una comunità di cui fidarsi ed un sostegno su cui contare.


In più, come ci ha insegnato la seratafilm, trovare qualcuno che ci dia una spinta, che ci sproni e creda in noi può fare la differenza, infatti The blind side racconta la storia vera di Michael Oher, un ragazzo destinato a diventare

giocatore professionista di football americano. Questi si trova a non avere i soldi nemmeno per permettersi un cambio di vestiti, ma per fortuna trova una donna disponibile a credere nelle sue capacità e ad agire concretamente per lui tanto da cambiargli e salvargli la vita.

e il talento di ciascuna persona, il dare sé stessi e in cambio ricevere tutti gli altri. Non mancano aspetti negativi del singolo, quali la rabbia le insicurezze e le parole che, se condivise, diventano occasione di crescita per sé e per il gruppo, infatti l’incontro con l’altro porta a trovare i propri limiti e le risposte alle proprie domande. La forza del gruppo sta, inoltre, nella capacità di accogliere le matricole, nell’abitare l’Università e nell’avere un punto di riferimento e amicizie all’interno dell’ateneo. La fragilità è la parola che caratterizza il nostro tempo. La FUCI, per usare un’immagine, è come il gioco del Jenga, una torre costituita da piccoli mattoncini, ognuno con la sua unicità e specificità, porta a tenere in equilibrio la costruzione. Bisogna fare attenzione a muovere i singoli mattoncini, se si sposta quello sbagliato, si perde l’equilibrio, si traballa, ma come chicchi di grano: eroicamente fragili, continuiamo ad abitare i luoghi universitari con la fiducia di innescare processi, anche piccoli, quotidianamente.

Dopo aver riflettuto sulle testimonianze degli ex fucini e sulla condizione di fragilità che ci accomuna, ci siamo interrogati sulla FUCI di oggi. Per questa occasione abbiamo invitato la nostra presidente nazionale, Martina, che ci ha provocato con la questione: fare o essere FUCI? Attraverso brainstorming e cartelloni, a gruppi, si è cercato di analizzare gli aspetti positivi della presenza in università dei gruppi FUCI. Le domande che hanno tenuto viva la riflessione sono state due. L’una relativa a cosa la singola persona porta al proprio gruppo FUCI e di conseguenza che cosa la persona riceve. L’altra di carattere più ampio relativa alla presenza dei gruppi FUCI in Università. Le parole chiave emerse dallo scambio individuo gruppo sono la disponibilità all’ascolto, la specificità

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IL FUORISEDE DISPERATO Gustose e veloci da preparare, le crêpes sono un piatto davvero versatile e adatto a ogni studente disperato che ha bisogno di un pasto semplice e veloce. Siamo abituati a mangiarle dolci, piene di Nutella e con tanto zucchero a velo, ma in questo numero vi proponiamo la versione salata che vi chiederà un pizzico di fantasia in più per farcirla. Ingredienti: • 130 g di farina • 300 ml di latte • 2 uova • 50 g di burro • 165 g di squacquerone o formaggio a scelta • 100 g di prosciutto crudo • Qualche ciuffo di rucola

POLLINO lo Chef Fucino

• Scaldate una padella, ungetela con il burro e distribuite poco per volta il composto, facendo roteare la padella in modo da distribuire in modo circolare l’impasto in uno strato sottile. • Quando si staccherà dal fondo, girate e cuocete ancora un minuto; procedete in questa maniera fino ad esaurire l’impasto. • Quando tutte le crêpes saranno pronte, lavate ed asciugate la rucola, poi distribuite parte dello squacquerone e qualche fettina di prosciutto crudo su ogni crêpe. • Distribuite sopra qualche ciuffo di rucola e piegate a metà, poi piegate nuovamente a metà ottenendo uno spicchio. • Servite le vostre crêpes salate guarnendo i piatti con ciuffi di rucola avanzati e qualche pomodorino. Le crepes salate possono essere condite in tantissimi modi diversi! Vi consigliamo di provare anche gli accostamenti: - prosciutto cotto, mozzarella, funghi - brie, zucchine grigliate e un filo d’olio - mozzarella, tonno, pomodoro e tanti altri ancora!

Preparazione: • Prendete una ciotola e rompeteci le uova, sbattetele e aggiungete a filo il latte mescolando bene. • Aggiungete, setacciandola, la farina e con l’aiuto di una frusta, amalgamate bene il composto fino a renderlo liscio ed omogeneo.

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ISTANTANEE DALLA CONVIVENZA

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I PROSSIMI APPUNTAMENTI... Università Cattolica:

- Incontri dell’officina dello spirito e dell’officina delle idee il mercoledì alle 17.30 presso la saletta Fuci, sotto la scala F, al pianterreno (Ingresso Gnomo, sede Gemelli).

Università Statale:

- Incontri una volta alla settimana presso il Centro Diocesano in via Sant’Antonio 5 (secondo piano)

Città Studi:

- Incontri una volta alla settimana presso l’oratorio San Pio X, vicino a piazza Leonardo da Vinci.

Appuntamenti diocesani:

- 14 marzo ore 15: Prolusione FUCI - MEIC su “Giovani, spiritualità e religiosità in Italia”, presso l’Università Cattolica - Dal 21 al 22 marzo: Ritiro Spirituale FUCI - MEIC su “I Salmi di Gesù II” presso Eremo S. Salvatore (Erba). - 8 aprile: Notte degli Ulivi FUCI - AC presso Eremo S. Salvatore (Erba). Per eventuali informazioni o modifiche a date, ore e luoghi consulta le pagine facebook Fuci Milano Statale, Fuci - Gruppo “G. Lazzati” UCSC, Fuci Milano Città Studi.

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LA MIA ESPERIENZA! Ciao! Sono Andrea, ho 23 anni e studio Food Engineering al Politecnico. Ho scoperto la FUCI attraverso un amico e così, iniziando a seguire i percorsi culturale e spirituale e andando sempre più spesso a studiare nella saletta in centro diocesano, mi sono trovato in un clima veramente piacevole. Un posto dove il rispetto delle idee è di casa, dove fare amicizia e condividere le fatiche dello studio, un luogo dove è importante riflettere su temi trasversali che riguardino la società, la politica, l’economia, e che vadano oltre il proprio piccolo campo di specializzazione. Ciao! Sono Clarissa. Ho iniziato a frequentare la FUCI lo scorso anno, senza grandi aspettative. Il bello è stato scoprire di quanto avessi bisogno di tutte queste cose nel momento in cui ho iniziato a viverle. Certe cose bisogna provarle sulla pelle, altrimenti non se ne afferra l’importanza. Quindi lasciatevi guidare da noi vostri coetanei, fidatevi! La condivisione delle piccole pene quotidiane, tra esami e lezioni, nell’ottica di un vivere quotidiano scandito non dalla banalità ma dalla Grazia che costantemente guida le nostre vite, è stato quanto di più bello la FUCI sia riuscita a darmi.

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Ciao! Sono Federico, frequento il primo anno di Giurisprudenza in Cattolica. Sono arrivato in Università con il desiderio di trovare un gruppo, un ambiente che potesse dare più sapore alla mia nuova vita da universitario, composta – giustamente – da studio e lezioni, ma che non volevo si esaurisse nelle aule della facoltà. Ho conosciuto la Fuci, o meglio, le persone che la compongono, e immediatamente fatto esperienza di una bella realtà, in cui posso essere me stesso e mettere a frutto i miei talenti, all’interno di una realtà accogliente e stimolante.


Siamo studenti universitari presenti in molte città d’Italia, che cercano di vivere al meglio un’esperienza formativa personale utile al loro futuro, secondo un particolare stile di fede, approfondimento e relazione. I percorsi che portiamo avanti a livello di gruppo riguardano il mondo universitario, socio-culturale e spirituale. Con impegno e costanza ci adoperiamo affinché nella nostra città la presenza in università sia la più costruttiva possibile. Tutto questo è la F.U.C.I. acronimo di Federazione Universitaria Cattolica Italiana. A Milano sono presenti tre gruppi, uno presso l’Università Statale, uno presso l’Università Cattolica e un altro presso Città Studi.

Come Contattarci FUCI CITTÀ STUDI Sofia: 339 6706264 fucimilano.cittastudi@gmail.com

Per ogni altra informazione: FUCI MILANO DIOCESI Marta: 340 5027673 fucimilano@gmail.com

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO Tindara: 371 1781174 fucimilanostatale@gmail.com UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE Lisa: 333 6844307 presidenzafuci.ucsc@gmail.com

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scrivi a: fuoriorario.fucimilano@gmail.com


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