Il bianco e l’oro degli stucchi serpottiani

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IL BIANCO E L’ORO DEGLI STUCCHI SERPOTTIANI Per chi volesse intraprendere un viaggio a Palermo lungo la via dello stucco … non potrà non visitare gli oratori serpottiani e di concerto leggere Retablo di Vincenzo Consolo, in cui il protagonista, il “sapiente plasticatore” Giacomo Serpotta è il trait d’union di diverse storie, attraverso la sua laicità, a-misticismo, sensualità, gioco. Come spesso accade alle persone di genio isolane, la trasmissione del suo stile non va oltre il suo unico allievo, il figlio naturale Procopio, e si accosta all’estetica tardobarocca, rococò e neoclassica in un unico ed originale concetto di molteplicità tra scultura-architettura e simboli millenari. Anche se il nostro viaggio si configura in una Palermo capitale del viceregno di Sicilia, dove la nobiltà feudale dell’Isola è divenuta aristocratica di corte e in Sicilia e da Roma giungono gli Ordini religiosi della Controriforma, non possiamo tralasciare un accenno che da Gaspare a Giovan Maria, attraversa due secoli di scultura: Gaspare Serpotta “il forzato”, Giuseppe Serpotta “il fedele fratello”, Giacomo Isidoro Niccolo’ Serpotta “il magister stuccator”, Procopio Serpotta “il figlio naturale”, Giovan Maria Serpotta “ il nipote”. In realtà i Serpotta iniziano l’attività da “marmorari” e soltanto con Giacomo lo stucco diviene artifizio essenziale: l’arte dello stuccare incomincia a diventare prodigio. Grezzo, appiccicoso, lattiginoso, difficile da plasmare, lo stucco sembra un artificio alchemico: in “fil di legno” si sostiene una struttura scultorea duratura e di esemplare maestria creativa che secolo dopo secolo sorride, racconta, si rattrista, gioca, soffre, si stupisce ... L’armatura viene studiata scientificamente per sostenere la malta di calce: calce spenta (grassello) da almeno due anni, con sabbia che deve essere di fiume e non di mare per evitare quelle reazioni a macchie di morbillo sulla superficie, causate dalle inflorescenze saline. La colatura finale, come una velatura sapiente, viene adagiata per alitare fiato e dare il soffio di vita. L’opera definitiva, contiene l’ultimo tocco di latte di calce e polvere di marmo: una meraviglia, l’allustratura di Giacomo a colpi di spatola calda, sapientemente calibrata nella pressione del polso, come un “buffetto” sulla guancia di un putto o una carezza sul viso di una donna. Bambini paffuti, fanciulle e virtù che offrono le loro grazie, giovani ignudi, donne sante e ineffabili lumeggiate d’oro negli attributi iconografici, teatrini di storie e di vita … e tanto bianco … puro, ombreggiato, miscelato, brillante, freddo, traslucido … pieno e vivo! Viaggiamo quindi dall’Oratorio di San Mercurio a quello di San Lorenzo in un teatro dell’immaginario ideologizzato che si erge dalle pareti, all’interno delle fabbriche. Sembra di udire la voce dei Serpotta, come in una drammatizzazione … familiare. “Stuccatori. Ecco cosa siamo: una famiglia di stuccatori. Una vita spesa a impastare e modellare un fragile composto di calce e polvere di marmo. Ma noi ci mettiamo anche il gesso ... ma questo è un segreto! Neanche in punto di morte lo diremmo: ogni artista ha la sua ricetta e tutti sappiamo che per modellare le forme, l’impasto non deve essere né troppo molle né troppo duro, non troppo umido ma nemmeno troppo asciutto … dipende dal momento e dallo stato d’animo.


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