n.63 OTTOBRE

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Mensile • Anno VII • N°63 Ottobre 2012 • Euro 3,50

Itinerari Montecarlo crocevia del gusto Ospitalità Cuore napoletano e internazionalità al Romeo Hotel

Davide Palluda

All’Enoteca semplicità e rigore

9 771971 763003

20063

Foto di Giuliano Revello

Tappi Le opportunità dal sughero all’alternativo

PER I PROFESSIONISTI E GLI APPASSIONATI

ISSN 1971-7636

Grappe Il mercato tiene per le etichette di qualità



EDITORIALE

Tempi moderni Barbara Amati amati@foodandbev.it

H

a chiuso l’officina, la latteria, la libreria, la lavanderia. Ha aperto un sushi, un bar, una gelateria, un negozio di antiquariato, uno di abiti da sera, uno di sofisticata carta da parati. Nel quartiere dove abito, nel centro di Milano, negozi chiudono e negozi aprono, in un avvicendarsi veloce che un po’ disorienta chi è abituato a servirsi sempre negli stessi esercizi. Ora sembra che s’inauguri il supermercato bio Natura Sì, mentre il negozio di alimenti biologici aperto qualche anno fa va alla grande. Di contro, pare che la Grande distribuzione non se la passi troppo bene, e questo a causa di un calo dei consumi del 3 per cento che ci sta riportando a metà degli anni ’90, all’epoca delle grandi stangate di finanza pubblica che oggi sta gravando sul portafoglio di ogni famiglia per 5 mila euro all’anno.

Siamo dunque più poveri ed è finita l’epoca della bulimia dell’acquisto, delle grandi confezioni, delle scorte stipate chissà come: si compra meno, e solo ciò che si consuma e, se si può, si acquista il necessario volta per volta. La consapevolezza del minor potere di acquisto va, magari forzatamente, verso un ridimensionamento dei consumi: i bisogni stanno tornando a essere più essenziali, ma di qualità, di riscoperta dei prodotti tradizionali e del territorio, di vicinanza alla naturalità. Se i piccoli negozi di alimentari faticano a rimanere aperti, è pur vero che il supermercato di quartiere, di dimensioni contenute, con aree dedicate a prodotti di qualità, spesso bio ed etnico, che stuzzicano la curiosità, e i banchi del fresco (carne, pesce, formaggi, salumi, pane e affini), rimane un punto di riferimento indispensabile. Ma, sia i negozi tradizionali sopravvissuti, sia Gli alimentari di i piccoli supermercati, devono avere la capacità di evolversi e di andare incontro quartiere faticano a alle nuove esigenze di un consumatore comunque curioso di conoscere prodotti rimanere aperti, ma, nuovi e di fare esperienze gustative diverse, facendo bene attenzione a proporre forse, è anche una cibi di qualità ineccepibile che si è disposti a pagare anche un po’ di più. Come la proposta di Eataly, che ha stimolato e accompagnato questa tendenza, questione di intercettare i bisogni del consumatore, ma anche come il milanese Excelsior, più glamorous. Ma corazzate siffatte non sono alla portata di molti imprenditori e anche questa idea, quella, cioè, del negozio curioso più di un tempo con ristorante o del ristorante con negozio, sta prendendo piede e, benché occorra di prodotti del territorio, molto coraggio a investire oggi in un’attività, è anche vero che mangiare è una di biologici e naturali, quelle abitudini alle quali proprio non si può rinunciare; quindi, se l’offerta riesce ma anche etnici a intercettare nuove aspettative, ecco che il successo sarà più probabile. Pur in tempi grami. Va dunque lodato il coraggio e l’audacia imprenditoriale di tre giovani milanesi (Monica Romanelli, Fulvio Losi e Roberto Calloni) che hanno da poco inaugurato a Milano una drogheria un po’ speciale: si chiama Drogheria Plinio, nell’omonima via alle spalle di Corso Buenos Aires, in una zona commerciale di negozi e uffici. Un locale non troppo ampio, semplice ma accogliente, con intere pareti ricoperte di scaffali con prodotti particolari (come la pasta al germe di grano, yogurt e gelati naturali) e uno spazio più appartato per alcuni tavoli per un lunch veloce o una cena, un aperitivo o una colazione; la cucina è espressa e il menu è fisso ma cambia ogni giorno: pochi piatti, ma di origine e qualità riconosciuta e non scontati. Con un servizio puntuale F B e corretto e il sorriso sulle labbra. Perché, almeno quello, è gratis.

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48 Food&Beverage vi dà appuntamento al 12 Novembre 2012 Direttore Editoriale Aureliano Amati direzione@foodandbev.it Direttore Responsabile Barbara Amati amati@foodandbev.it

Sommario

Collaboratori di Redazione Giulia Maria Basile, Federica Belvedere, Silvana Caminada, Irene Catarella, Stefano Masin, Bibi Monti, Simona Percivalle redazione@febeditoriale.com

EDITORIALE Tempi moderni

via Simone d’Orsenigo 5 - 20135 Milano tel. 02 47787220 - fax 02 47787237 segreteria@foodandbev.it

FRESCOBALDI Gli artisti raccontano il terroir

Collaboratori Adriano Baffelli, Francesca Barni, Nicola Dante Basile, Paolo Becarelli, Maria Cristina Beretta, Donatella Bernabò Silorata, Elena Bianco, Pietro Bongiorno, Jerry Bortolan, Luigi Caricato, Manuela Caspani, Francesco Colombera, Alberto Corrado, Beppe Francese, Laura Gambacorta, Luca Gardini, Marco Ghedini, Fabiano Guatteri, Rocco Lettieri, Alessandro Luongo, Giulia Marcucci, Beba Marsano, Monica Mazzanti, Gianna Melis, Betty Mezzina, Giorgio Montanari, Anna Pesenti, Arabella Pezza, Cesare Pillon, Paola Poli, Carlo Ravanello, Beatrice Rioda, Patrizia Romagnoli, Giulio Cesare Saviozzi, Roger Sesto, Gualtiero Spotti, Biagio Testa, Franco Tosca, Bianca Trao, Ezio Zigliani, Bianca Zille Foto: Patrizia Butturini Levis/SdG, Fototeca Trentino Spa, Philippe Laurent, Giuliano Revello, Renzo Schiratti, Studio RK Rudy Kutzky, Dylan Vaughan Photography Responsabile Amministrativo e Commerciale Aldo Ballestra ballestra@febeditoriale.com Pubblicità Italia F&B Editoriale tel. 02.47787220 Grafica e impaginazione Pigierre Srl - via Angelo Maj 12 20135 Milano Stampa Tiber Spa - via Volta 179 25124 Brescia Distributore esclusivo per l’Italia Press di Srl - Segrate (Mi) Editore F&B Editoriale Srl Sede legale p.zza San Camillo de Lellis 1 20124 Milano Reg. al Trib. di Milano n. 720 del 27/9/2005 Venerdì 12 Ottobre 2012 Euro 3,50

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Barbara Amati

Bibi Monti

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DEGUSTAZIONI I vini d’Abruzzo si promuovono Barbara Amati

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INIZIATIVE Gardini e i 50 migliori vini Paolo Becarelli

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CELIACHIA Montana Alimentari premia la ricerca Stefano Masin

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COVER STORY Rigore e semplicità per Davide Palluda Paolo Becarelli

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ROTARI AlpeRegis, regale Trentodoc Barbara Amati

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CREATIVITÀ Acquadichef con Ferrarelle Irene Catarella

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RISTORANTI Dedicato a Leopardi Laura Gambacorta

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CAVIT Bottega Vinai si rinnova Stefano Masin

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DISTILLATI Grappa, vince il made in Italy Roger Sesto

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FOOD&BEVERAGE online Siamo in internet al sito www.febeditoriale.com Food&Beverage è un prodotto F&B Editoriale srl Sede operativa via Simone d’Orsenigo 5 20135 Milano

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Recapiti Centralino Redazione Commerciale/Amministrazione Fax

F B

02 47787201 02 47787220 02 47787227 02 47787237

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ATTUALITÀ

VALPOLICELLA Eleva, una passione per l’Amarone Stefano Masin

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INCHIESTA C’è tappo e tappo... Nicola Dante Basile

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INNOVAZIONI Diamant, il tappo che sconfigge la crisi Nicola Dante Basile

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CROMOTERAPIA Mangiare il colore, l’energia dei cibi Irene Catarella

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RISTORANTI L’estro di Thomas Bühner Gualtiero Spotti

Uomini e Vigne Novità da stappare Food Valley Lodge & Spa Il mondo in pentola Cultura & Gusto

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RUBRICHE Scelte di gusto Spirit Barman Libri Pillole di storia Allo specchio

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ITINERARI Montecarlo, crocevia del gusto Gualtiero Spotti

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OSPITALITÀ Il Principe della Versilia Giulia Marcucci

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SFIZIOFOOD Un uovo per amico Monica Mazzanti

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MOSTRE La storia millenaria del tè Beba Marsano

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SPIRITPLACE Passione gourmet al Dadaumpa Manuela Caspani

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QUARTIERI ALTI Romeo, internazionalità napoletana Barbara Amati

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SCELTEDIGUSTO IL RISTORANTE PREFERITO, LA BEVANDA PIÙ AMATA, L’ABBINAMENTO PERFETTO: OGNI MESE FOOD&BEVERAGE DÀ VOCE AD ALCUNI IMPRENDITORI DEL NOSTRO SETTORE E A PERSONAGGI NOTI PER CONOSCERE LE LORO PREFERENZE GOURMET E SCOPRIRE GUSTI E ABBINAMENTI CHE TALVOLTA CI POSSONO SORPRENDERE

PROD RODUTTRICE VITIVINICOLA

Or Ornella Venica Buongustaia Bu innovativa Il rristorante del cuore Arnold Pucher dell’Hotel Wulfenia Arn (P (Pramollo, Austria) Il piatto della passione C Cuinciade, polenta con ricotta a affumicata e tartufo bianco di Nuzzana La bevanda preferita Pinot bianco Piatto e bicchiere mon amour Vellu Vellutata di asparagi con Sangria Drink preferito Americano A tavola con… gli amici

IMPRENDITORE

Renato Invernizzi Rigore e tradizione Il ristorante del cuore I due ladroni, Novara Il piatto della passione Penne al gorgonzola La bevanda preferita Acqua del rubinetto Piatto e bicchiere mon amour Ogni piatto lo accompagno all’acqua Drink preferito Acqua A tavola con… la famiglia

DIETOLOGO NUTRIZIONISTA

Mauro Febbrari Defendente Goloso raffinato Il ristorante del cuore Miramonti L’Altro, Concesio (Bs) Il piatto della passione Animelle La bevanda preferita Champagne Piatto e bicchiere mon amour Aringa affumicata e whisky torbato Drink preferito Stinger A tavola con… chi ama e interpreta la qualità e mastica lentamente

SHOWGIRL

Carolina Marconi Il piacere degli effetti speciali Il ristorante del cuore La Pergola, Roma Il piatto della passione Ravioli La bevanda preferita Capichera Piatto e bicchiere mon amour Formaggi e Passito di Pantelleria Drink preferito Cuba Libre A tavola con… l’uomo della mia passione

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UOMINIEVIGNE ANNATE

Cecchi: Coevo 2009 in tour È

partito il tour WE LOVE COEVO 2012 che nel corso del mese di ottobre si proporrà in una decina di ristoranti prestigiosi di tutt’Italia. Il secondo appuntamento-degustazione di Coevo 2009, il vino bandiera dell’azienda Cecchi di Castellina in Chianti, è stato al Vun del Park Hyatt di Milano dove la cucina di Andrea Aprea si è ben sposata ai vini della Casa toscana: il Vermentino Litorale, il Morellino di Scansano e Coevo. Coevo è uscito per la prima volta con la vendemmia 2006, alla quale è seguita il 2007, mentre nel 2008 non è stato prodotto perché le uve non sono state ritenute all’altezza del pregio del vino. Ottenuto con all al uve sangiovese al 50 per cento, cabernet sauvignon al 10, petit verdot al 30 e merlot sau 10, dopo una fermentazione in acciaio al 1 a ttemperatura controllata e successiva macerazione (da 2 a 3 settimane a seconm da del vitigno), è affinato per 18 mesi in d barrique e tonneau. L’affinamento in b bottiglia è di 12 mesi. “Coevo 2009 è un b vino ancora giovanissimo, che necessita di un lungo riposo per esprimere meglio la sua complessità organolettica al meg -spiega Andrea Cecchi, nella foto con il fratello Cesare- È diverso dalle due annate che lo hanno preceduto: le note di tabacco e cioccolato amaro si confondono ammorbidendosi con le prugne e i lamponi in un’esplosione di frutta matura e morbida. La freschezza del Sangiovese si completa con la struttura imponente del Cabernet sauvignon e con le note morbide e setose che arrivano dalla Maremma”. Un vino potente ed elegante che rappresenta la filosofia di Cesare ed Andrea Cecchi: il massimo della qualità per ogni annata.

LIBRI

VINI

Debutta il Marzemino bio di Cantina d’Isera

L

a Cantina d’Isera ha scelto un parterre di giovani e scatenate blogger all’Hotel The Hub di Milano per presentare il suo Marzemino Doc nato da agricoltura biologica con la vendemmia 2011. Ad accompagnarne il debutto, un menu a quattro mani realizzato dallo chef dell’hotel, Sandro Mesiti, e da Diego Rigotti, new entry alla guida delle cucine di Maso Franch, a Trento. Per Fausto Campostrini, direttore dell’azienda trentina che vanta un secolo di esperienza nella produzione del Marzemino, produrne uno bio è stata una sfida vinta: “Siamo sufficientemente soddisfatti, il lavoro di ricerca è stato lungo e impegnativo, perché il Marzemino ha un rapporto difficile con le riduzioni e l’uso dell’anidride solforosa e dell’ossigeno va dosato molto bene: è questa la cosa più difficile da gestire”. Il risultato è un vino elegante ed equilibrato, dal profumo intenso e delicato, con sentore di viola mammola, pieno e armonico al palato.

APPUNTAMENTI

Zu Zucca premia il g genere noir L’a L’attore Michele Riondino, personaggio spirito noir dell’anno per Zucca ha presp miato Maria Elena Corbucci quale vincim ttrice della prima edizione del concorso Premio Zucca spirito noir, dedicato ai P romanzi a “tinte nere”. L’evento si è svolto nell’ambito del festival letterario Macchine e animali e la premiazione è Roland. M avvenuta all’Assab One a Milano. Il racconto della Corbucci, L’ultima notte del boia, assieme ai quattro migliori testi in concorso, sarà pubblicato nel primo volume della raccolta Zucca spirito noir collection, edito da Salani e si potrà trovare nelle librerie da marzo 2013.

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Merano WineFestival sempre più ricco di eventi Dal 9 al 12 novembre torna Merano WineFestival, 21esima edizione della kermesse dedicata agli appassionati del vino e della gastronomia artigianale. Un appuntamento ricco di eventi, come la degustazione di grappe organizzata da Nonino e la Gourmetarena in cui si cimenteranno 13 famosi chef ispirandosi al tema dell’anno, l’ecosostenibilità. Si arricchisce di gustose proposte anche Culinaria, lo spazio dedicato agli artigiani del gusto, che sfonda il tetto delle 100 presenze con prodotti e tipicità provenienti da ogni parte d’Italia. Per gli amanti del vino, ci saranno degustazioni di vecchie annate.


MOSCA

L’

Con Bar.ba.ro. in assaggio i vini di Langa e Roero

artista toscano Alessio Gedda ha aperto le porte del suo loft milanese per l’evento A piedi nudi... a casa dell’artista, un’occasione speciale per presentare One Pieces-Masterpieces e Art_Apple, due progetti di respiro internazionale protagonisti della Design week di Mosca, dal 9 al 14 ottobre. Ancora una volta ad accompagnare l’artista è stata la maison Jacquesson, distribuita in eclusiva da Pellegrini. In occasione dell’evento si è potuto degustare quello che tuttora è considerato lo Champagne preferito da Napoleone, e il nuovo progetto, la cuvée numerata. Dal 2000, infatti, Jacquesson concentra le migliori uve nella produzione del miglior vino possibile dell’annata di riferimento. La 728 è la prima prodotta seguendo questa nuova metodologia, e oggi siamo alla cuvée 735, annata di riferimento 2007.

I produttori di Langa e Roero si riuniranno il 29 ottobre nel Palazzo del Senato a Milano per Bar. ba.ro., degustazione organizzata da Vinando e dedicata ai grandi piemontesi: Barbaresco, Barolo e Roero. Operatori e appassionati avranno la possibilità di incontrare personalmente i vignaioli e degustare una selezione dei vini che interpretano il territorio. Ogni produttore proporrà l’ultima annata in commercio, un’annata precedente e un terzo vino di sua scelta. La giornata si articolerà in due diversi momenti: dalle 15 l’ingresso sarà riservato ai professionisti accreditati, e dalle 17.30 la degustazione sarà aperta al pubblico. (info@vinando.com).

RICERCHE

Le vespe custodi del fungo del saccarosio

S

ono i vespidi, in particolare VESPULA VULGARIS (vespa comune europea) e Vespa crabro (calabrone), gli insetti responsabili della custodia e del trasporto sulle piante dei lieviti che determineranno la fermentazione dei mosti, i saccaromices cerevisiae, meglio conosciuti come fungo del saccarosio. Questo fungo è responsabile della trasformazione del mosto in vino grazie alla fermentazione dello zucchero in alcol. La scoperta si deve a un pool di ricercatori dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, Fondazione Edmund Mach, dell’Università di Firenze e del Centre national de la recherche scientifique, Institut de Génétique Moléculaire di Montpellier: fino ad oggi, la fermentazione veniva studiata dalla vigna al bicchiere, senza sapere dove il saccaromices cerevisiae risiedesse nei mesi invernali e primaverili. A quanto pare ci pensano vespe e calabroni.

CULTURA

Le Donne del Vino premiano Battistoni

A

DEGUSTAZIONI

Jacquesson e Gedda per la Design week

ndrea Battistoni è il più giovane direttore d’orchestra del mondo, nonché uomo dell’anno 2012 per l’Associazione nazionale Donne del Vino che anche quest’anno ha premiato un personaggio che si è distinto nel panorama artistico e culturale mondiale. Così, la presidente Elena Martusciello (nella foto con il maestro Battistoni) e il presidente dell’Umanitaria, Piero Amos Nannini hanno premiato il giovane musicista nel Salone degli Affreschi della Società Umanitaria, a Milano. Battistoni, figlio d’arte in quanto nipote di Armando Battistoni, famoso attore dialettale e di teatro, ha ricevuto in dono un prezioso vaso delle vetrerie Seguso di Murano e una bottiglia di grappa di tre litri con una chiave di violino, pezzo unico della Distilleria Bottega.

WHISKY

Il single malt protagonista a Milano Per gli amanti dello spirit più ù famoso di Scozia, il 10 e l’11 novembre torna il Milano whiisky festival, giunto ormai alla a settima edizione. Si continua quindi, a parlare di single malt in quella che ormai è vista come la manifestazione italiana di riferimento per il whisky. La location è sempre la sala Le Baron del Marriott Hotel, e anche il format rimane il medesise a mo: oltre 2.500 etichette messe disposizione da 40 espositori, masterclass per conoscere il mondo del whisky, accostamenti cibo-whisky e degustazioni libere, oltre a un angolo food dove acquistare prodotti tipici scozzesi. La vera novità, però, è il Best Whisky, un riconoscimento per i migliori single malt Scotch Whisky presenti sul mercato italiano e proposti in gara dai distributori.

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UOMINIEVIGNE EVENTI

CHAMPAGNE

Wine tasting a Londra per l’Istituto Grandi Marchi

Dom Pérignon seduce David Lynch

Grazie all’Istituto Grandi Marchi, associazione che riunisce 19 cantine simbolo del vino italiano nel mondo e rappresentative della produzione di ben 12 regioni, Lon Londra torna a essere la City C del tricolore enologico. L’Istituto, infatti, in i collaborazione con l’Institute l of Masters of Wine, ha organizzato W all’Ambasciata al italiana un tasting, riservato ai masters of wine e alla ma sta stampa inglese. Un’occasione sion per approfondire la cultura e le specificità del vino italiano dialogando direttamente con i titolari delle aziende vinicole. Al wine tasting è seguito un incontro tra produttori, operatori del trade e consumatori in collaborazione con l’autorevole rivista inglese Decanter.

R

PREMI

Alla designer Laura Ferrario Questione di Etichetta Laura Ferrario la DESIGNER vincitrice della IV edizione del Premio il Mosnel Questione di Etichetta, promosso dalla storica cantina della Franciacorta in collaborazione con l’Associazione Design Industriale. Sono suoi etichetta e packaging che vestono il Franciacorta Pas Dosé QdE Riserva 2006 de Il Mosnel, frutto di un’eccellente annata, affinato per ben 5 anni sui lieviti. Un vino da collezione, in edizione numerata: sono infatti 4 mila le bottiglie da 0,75 litri, 400 le magnum e 100 le jeroboam vestite ad arte con segni grafici originali e cromatismi in oro, che con dinamismo e movimento tratteggiano in un calice i contorni del lago d’Iseo. Così come il lago bagna le rive della Franciacorta, il Franciacorta bagna le pareti del calice con la potenza di una Riserva, il Pas Dosé QdE 2006.

È

CLUB

Vin al Vun, esclusività in chiave milanese Park Hyatt Milano e Fran- çois Mauss, presidente di Le grand jury europeen, Gje, hanno stretto una collaborazione da cui è nato un club decisamente esclusivo: Vin al Vun. Ai 32 membri di questo circolo sarà riservato il privilegio di partecipare a serate enogastronomiche nel ristorante Vun dell’hotel milanese dove lo cchef Andrea Aprea realizzerà p piatti esclusivi che saranno accompagnati acco da vini di particolare pregio. E come nei migliori clu club del mondo, i membri potranno stoccare permanentemente propri vini nella cantina a ip vista interna del ristorante. La v prima cena, a inizio ottobre, p ha avuto come tema Mosella e h Borgogna, due grandi regioni di vini d’eccellenza. Prossimo appuntamento, il 13 novembre. appunta

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egista, musicista, pittore, fotografo, attore, direttore artistico, David Lynch è un uomo poliedrico, un esploratore, un avanguardista, che ha la stoffa dei grandi creatori del Rinascimento. Chi meglio di lui, quindi, poteva realizzare le campagne di uno Champagne unico e ricercato come Dom Pérignon Millésime 2003 e Dom Pérignon Rosé Millésime 2000? Dopo aver fotografato le bottiglie nel 2011, Lynch ha donato loro un nuovo volto attraverso un’edizione limitata, Dom Pérignon by David Lynch. E in occasione della presentazione di questa limited edition, a Los Angeles, l’artista ha rivestito dieci jeroboam Dom Pérignon Millésime 2003 e dieci jeroboam Dom Pérignon Rosé 2000, tutti numerati, con un abito di metallo che potesse sublimare il gioco di ombre e luci che dà potenza, mistero e seduzione alle fotografie da lui stesso realizzate.

COMPETIZIONI

Martini Royal Contest 2012 è in rosa

V

anessa Vialardi, giovane BARMAN del Soho.23 di Torino ha vinto la prima edizione del Martini Royal Contest 2012. La competizione, che ha avuto luogo sia in Francia sia in Italia, ha coinvolto oltre 400 barman che hanno sottoposto la loro ricetta a una giuria altamente qualificata. Le 10 ricette selezionate sono state poi messe online e i cinque barman con la ricetta più v votata si sono sfidati nella finale del concorso alla Terrazza Martini a Milano. Vanessa Vialardi si è agg aggiudicata il premio Martini Barman Idol 2012 in una gara a due tempi durante la quale gli sfidanti un hanno realizzato il perfect serve del Martini Royaha le Bianco per poi lasciare spazio alla creatività nell’interpretazione del cocktail Martini Royale. n La barlady ha vinto grazie a un tocco esotico: L la polpa di due frutti della passione shakerati.


Grappa Gewürztraminer

Prima in tutti i sensi. Oro al Concorso Alambicco d’oro 2012

È così che le grappe e i distillati Psenner tornano a conquistare i palati più raffinati con gli intensi sapori di una terra ricca come l’Alto Adige. Un’attenta selezione delle materie prime, lavorate con tradizionali e sapienti metodi di distillazione, è garanzia di risultati vincenti per grappe e distillati di grande carattere. Scopri tutte le novità su

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CULTURA CONTINUANDO IN UN PERCORSO DI MECENATISMO CHE DURA DA 700 ANNI, L’AZIENDA TOSCANA PROMUOVE ARTISTI PER FRESCOBALDI, STIMOLANDO GIOVANI CREATIVI NELLA IDEAZIONE DI OPERE CHE RACCONTINO IL RAPPORTO TRA AZIENDA, VINI E TENUTE. IL PRIMO STEP È DEDICATO A CASTELGIOCONDO E PARTNER È LA FONDAZIONE STELLINE

Gli artisti raccontano il terroir di Frescobaldi Barbara Amati

G Tiziana Frescobaldi, a sinistra e Ludovico Pratesi, curatore del progetto, a destra, con gli artisti Elisa Sighicelli, Giovanni Ozzola e Rä di Martino

iovanni Ozzola, famoso per le creazioni su supporti fotografici, Elisa Sighicelli, conosciuta per le light-box oniriche, e Rä Di Martino, che indaga il contemporaneo con video-installazioni provocatorie: sono i tre artisti selezionati per la prima edizione di Artisti per Frescobaldi, progetto culturale ideato da Tiziana Frescobaldi, direttore artistico del Premio e consigliere di amministrazione di Marchesi de’ Frescobaldi. L’iniziativa promuove la creazione di opere finalizzate a raccontare il rapporto tra azienda, vini e tenute e sarà dedicata, in questo debutto, al territorio della Tenuta Castelgiocondo, dove nasce l’omonimo Brunello di Montalcino. “Con Artisti per Frescobaldi vogliamo scrivere un nuovo capitolo del rapporto tra la mia famiglia e l’arte che dura da 700 anni -ha spiegato Tiziana Frescobaldi alla presentazione alle Stelline di Milano- Per attualizzare la nostra antica tradizione legata al mecenatismo nostr abbiamo scelto di premiare alcuni artisti conabbia temporanei delle ultime generazioni particotemp larmente promettenti. Crediamo che i temi e larm i linguaggi lin dell’arte contemporanea aprano nuove prospettive e portino a comunicare nu con il palcoscenico mondiale”. co La Fondazione Stelline è partner del progetto che, come ha sottolineato il presidente Camilch lo Fornasieri, “recupera la grande tradizione

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italiana del mecenatismo e vede una storica azienda investire a lungo termine in un’ottica internazionale nell’arte e nella creatività giovanile, segnando questo periodo storico con un sigillo di speranza e fiducia molto importante”. Affidata al critico d’arte Ludovico Pratesi, curatore del progetto, la selezione dei tre artisti emergenti ai quali far interpretare il tema del rapporto tra vino e territorio, Ozzola, Sighicelli e Di Martino: “Ognuno di loro ha colto un aspetto diverso del genius loci di Castelgiocondo, privilegiandone la storia o la geografia, le tradizioni o il paesaggio, la produzione o la memoria dei proprietari, che hanno voluto condividere lo sguardo degli artisti con il pubblico, per trasformare la committenza in un processo creativo comune”. Le nuove opere saranno, infatti, esposte per la prima volta alla Fondazione Stelline per essere giudicate dal pubblico e la votazione di quella preferita avverrà tramite un apposito sito web dedicato al progetto Artisti per Frescobaldi. Infine, una giuria composta da nomi illustri del mondo dell’arte (tra cui Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, Marina Pugliese del Museo del Novecento di Milano e Tiziana Frescobaldi), decreterà, a febbraio, l’opera vincitrice. E, a partire dalla seconda edizione, Artisti per Frescobaldi si sposterà all’estero, confermando la vocazione internazionale di Marchesi de’ Frescobaldi e la sua attenzione per la cultura e l’arte di ogni Paese. F B


Diam è l’unico tappo di sughero che consente una perfetta omogeneità da una bottiglia all’altra cosi’ come diversi livelli di permeabilità e che, grazie al procedimento DIAMANT®, assicura al vino la neutralità sensoriale*. Preservandone gli aromi durante tutto il suo periodo di conservazione, Diam è il garante di una degustazione riuscita ad ogni occasione ! www.diam-cork.com

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Il momento della verità...


DEGUSTAZIONI MONTEPULCIANO, TREBBIANO, PECORINO E PASSERINA DI 34 PRODUTTORI HANNO STUPITO I CONSUMATORI MILANESI SVELANDO GRANDE QUALITÀ. UNA DUE GIORNI DI SUCCESSO, VOLUTA DAL CONSORZIO DI TUTELA, DAL MOVIMENTO TURISMO DEL VINO E DALLA REGIONE ABRUZZO PER FARE ASSAGGIARE E CONOSCERE LE SUE ETICHETTE

I vini d’Abruzzo si promuovono Barbara Amati

‘‘F Da sinistra, Mauro Febbo, assessore alle Politiche Agricole della Regione Abruzzo, Tonino Verna, presidente del Consorzio di Tutela Vini Abruzzo, lo chef bistellato Claudio Sadler e Nicola D’Auria, presidente Movimento Turismo del Vino Abruzzo

ar conoscere la nostra varietà di tipologie a un pubblico giovane e curioso, che può avvicinarsi ai vini di una regione che offre prodotti di qualità a prezzi accessibili, dai vini di annata, agli affinati, alle riserve”. Così, Così Marina Cvetic, titolare di Masciarelli, tra i nomi più prestigiosi dell’Abruzzo enologico, ha sintetizzato l’obiettivo della due giorni milanese che ha portato 34 produttori e 70 etichette in degustazione nelle belle sale del Museo dei Navigli, nel cuore di Brera. Un evento voluto dal Consorzio di Tutela dei Vini d’Abruzzo e dal Movimento del Turismo del Vino in collaborazione con la Regione Abruzzo. “Non mi aspettavo questo successo di pubblico, di operatori e di giornalisti in una Milano ricca di eventi”, si stupisce l’assessore alle Politiche Agricole della Regione Mauro Febbo- Evidentemente il lavoro fatto finora in termini di promozione del comparto vitivinicolo sta iniziando a dare i suoi frutti e l’Abruzzo inizia ad essere un punto di riferimento enologico a livello nazionale”. La degustazione riservata agli operatori è stata supportata dai piatti della cucina lombardo-milanese del bistellato Claudio Sadler, un matrimonio che si è rivelato esaltante per piatti e vini e che ha dimostrato l’estrema versatilità delle etichette abruzzesi. È indubbio che nella regione più verde d’Europa oggi la qualità non sia più di pertinenza solo delle aziende top, ma sia un dato oggettivo che le contraddistingue tutte. Persiste, però, il problema del posizionamento di prezzo, che non è ancora all’altezza della qualità proposta: “Queste operazioni servono a fare capire che l’Abruzzo ha la sua dignità di regione produttrice

pari a quella di altre più blasonate -commenta Tonino Verna, presidente del Consorzio di Tutela- Ma abbiamo un problema di comunicazione, che si lega alla cultura media del produttore e alle scarse risorse finanziarie, al quale stiamo cercando di porre rimedio”. Le degustazioni hanno svelato ottimi Montepulciano e Trebbiano di eccellente spessore, interessanti Pecorino e Passerina, autoctoni riscoperti e vinificati in purezza che hanno suscitato curiosità: “Con tante Doc si è ampliata l’offerta dell’Abruzzo e a un consumatore, sempre più attento e alla ricerca di nuovi prodotti, la nostra regione può offrire un’ampia gamma di proposte di qualità”, dice Alessandro Nicodemi, presidente del Consorzio Colline Teramane che rappresenta una goccia nel mare del vino abruzzese, solo 600 mila bottiglie, ma di riconosciuto pregio. “L’Abruzzo sta maturando perché c’è una nuova generazione di produttori giovani, che sa che occorre comunicare il territorio in maniera nuova e concreta. E questo, come produttore che ha vissuto gli ultimi 25 anni della vitivinicoltura abruzzese, mi conforta -riflette Rocco Pasetti, vicepresidente del Consorzio di Tutela e titolare di Contesa- Oggi possiamo contare su aziende dinamiche in grado di confrontarsi con altri territori, consapevoli che non abbiamo quel valore aggiunto di storia e di vissuto che altri possono vantare: ma la F B natura è dalla nostra parte”.



UOMINIEVIGNE SUCCESSI

SAN GIMIGNANO

Stappate 11 mila bottiglie al Festival del Franciacorta

Letizia Cesani riconfermata presidente del Consorzio

È proprio vero che nessuno può fermare le vere passioni, quelle che vengono da dentro. Infatti, nonostante il maltempo, la terza edizione del Festival Franciacorta in cantina ha registrato il tutto esaurito con oltre 20 mila partecipanti e 120 mila calici con cui si è brindato nei due giorni dell’evento. Molte le aziende che hanno offerto percorsi guidati nella degustazione delle varie tipologie di Franciacorta e proposto iniziative speciali, quali concerti, mostre d’arte e abbinamenti alle eccellenze della cucina italiana. Complessivamente sono state stappate oltre 11 mila bottiglie fra Brut, Extra Brut, Satèn o Rosé.

Letizia Cesani è stata confermata alla presidenza del Consorzio della Denominazione San Gimignano per altri tre anni. Una riconferma che è il riconoscimento dell’efficacia del lavoro svolto. “Non nascondo che sento anche l’onere del compito soprattutto in un momento di crisi come questo, ma le sfide rendono più forti ed è intenzione mia e del Consiglio di amministrazione affrontarle con risolutezza e ottimismo”, ha commentato la Cesani alla rielezione. Nei programmi della presidente, che ha al suo fiananco, in qualità di vicepresidente Ivaldo Volpini, i, la volontà di promuovere la Vernaccia di San n Gimignano nei mercati internazionali e l’attenenzione alla ricerca scientifica.

ACQUISIZIONI

A Tenimenti Angelini il 100% di Bertani Holding

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opo l’acquisizione della maggioranza delle quote nel dicembre 2011, Tenimenti Angelini è diventata proprietaria al 100 per cento di Bertani Holding, compresi 180 ettari di cui 54 vitati, e di Tenuta Novare con i prestigiosi marchi Villa Novare e Tenuta Novare. Un’acquisizione che è un importante passo avanti nell’attuazione del progetto strategico dei Tenimenti Angelini, che prevede lo sviluppo di forti sinergie produttive e commerciali con le altre cantine della società: l’Azienda agricola Val di Susa a Montalcino, la Tenuta Tre Rose a Montepulciano, la San Leonino a Castellina in Chianti, Puiatti di Romans in Collio e l’azienda Collepaglia nelle Marche. Nonostante la crisi, infatti, Bertani sta registrando un incremento del 9 per cento delle vendite, dopo la crescita del 15 per cento del 2011 che aveva portato il fatturato a 12 milioni di euro. A Gaetano Bertani va la proprietà di due rami d’azienda.

ARTE

Guerrieri Rizzardi premia Gianfreda

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opera scultorea LA VESTE di Alberto Gianfreda, diplomato all’Accademia di Brera, si aggiudica la III edizione del Concorso di Scultura Anton Antonio Canova, premio indetto dalla cantina veronese Guerrieri Rizza Rizzardi, che attraverso questa iniziativa intende promuovere giova giovani talenti di discipline plastiche segnalati dalle Accademie di B Belle Arti italiane. La motivazione della scelta, proclamata a Villa Rizzardi di Negrar (Vr), è stata determinata dalla “qualità e l’or l’originalità della sua ricerca, che unisce con grande sapienza co compositiva elementi e materiali diversi in un’opera di forte es espressività che racchiude in sé forza e leggerezza”. Oltre a u riconoscimento monetario, il vincitore potrà esporre il un p prossimo anno al Museo e Gipsoteca Antonio Canova con u una personale. Nella foto, Maria Cristina Rizzardi premia Alberto Gianfreda.

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EDUCATIONAL

In Valpolicella per capire il ruolo dei consorzi

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l Consorzio tutela vino Valpolicella ha ospitato una delegazione di giornalisti e importatori brasiliani e ha organizzato un educational per spiegare il sistema delle Doc e Docg e dei controlli in Italia in merito ai vini della Valpolicella. Un format, realizzato nell’ambito del progetto di valorizzazione dei vini all’estero, finanziato dall’Ocm Vino e dalla Regione Veneto dal titolo Venezia e i suoi vini, che ha coniugato formazione e informazione degli operatori esteri con la conoscenza diretta del territorio e dei produttori. Ciò ha permesso agli ospiti brasiliani di capire il ruolo dei consorzi di tutela secondo la normativa italiana, la tracciabilità e il sistema dei controlli, unici nel panorama enologico internazionale e quindi di difficile comprensione all’estero.


VENEZIA VINI E CINEMA DI GRAN CLASSE: UN BINOMIO CHE SI RIPETE PER LE AZIENDE DI ENRICO MARTELLOZZO CHE DA DIVERSI ANNI PROPONE PRESTIGIOSE ETICHETTE PER ACCOMPAGNARE LE CENE DI GALA ALLA MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA, DA LIDO 1932 DI BELLUSSI AL ROSSO DI MONTALCINO BELPOGGIO

Bellussi e Belpoggio protagonisti sul red carpet Carolina Natoli

L Di fianco al sommario, Enrico Martellozzo con la madrina Kasia Smutniak. Qui a destra, Marina Cicogna, Bruno Vespa con la moglie Augusta Iannini e Paolo Baratta, presidente della Biennale, con Enrico Martellozzo e Cherry Chen. Sotto, Matilde Brandi con il marito. In basso, i tavoli elegantemente preparati per la cena di gala e la brigata di cucina

uci puntate su Bellussi Valdobbiadene e Belpoggio protagonisti durante il gran gala di apertura e di chiusura della 69a Mostra internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Perché Bellussi ama il cinema. Ma non solo. Magia e romanticismo al Lido, eleganza ed internazionalità nella serata d’apertura della Biennale di Architettura, sul Canal Grande. Cena a lume di candela all’Hotel Excelsior offerta dagli organizzatori della Biennale con un grande menu caratterizzato da piatti di terra e di mare. Vini veneti e toscani in abbinamento. Per i bianchi Lido 1932 di Bellussi, che già due anni fa fu presentato per i 78 anni di storia della Mostra del Cinema, e poi Rosso di Montalcino Belpoggio Doc. Enrico Martellozzo, patron delle due aziende, per il quarto anno consecutivo ha firmato un contratto di collaborazione con la Fondazione F Biennale di Venezia quale fornitore ufficiale per i vini. “L’esperienza degli anni precedenti ufficia e il lavoro la svolto insieme hanno permesso delle sinergie di sicuro interesse -ha detto Martellozzosiner D’altra parte, da oltre dieci anni abbiamo scelto di D’al supportare le varie forme fo d’arte per comunicare i nostri comu brand”. Bellussi, fra l’altro, ha ottenuto un ssignificativo a apprezzamento d dal Premio Guggenheim Imprege sa & cultura. F B


NOVITÀDASTAPPARE CHAMPAGNE

L’eccellenza della Grande Dame 2004 D

a quarant’anni La Grande Dame simboleggia l’eccellenza dello stile Veuve Clicquot, con Cuvée prestigiose prodotte solo nelle annate del tutto eccezionali. Ecco perché la creazione di un nuovo mille millesimato La Grande Dame è sempre un avvenimento. E qu quest’anno la novità è La Grande Dame 2004, realizzata con il 61 per cento di Pinot Noir e il 39 per cento di Chardon donnay. Dal colore luminoso, bronzo rosato con brillanti striature ambrate, è uno Champagne dal perlage raffinato e str leggero. Al naso rivela una decisa base minerale, con frutti leg come pesca bianca e bergamotto e notevole intensità, co che c lascia spazio a un bouquet più ricco e voluttuoso. Al palato, il vino è corposo e sostanzioso con una texture p frizzante e setosa.

FRIULI VENEZIA GIULIA

Tenuta Villanova esalta il territorio

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a Ribolla Gialla Doc Collio 2011 è la nuova proposta di Tenuta Villanova, azienda di Farra d’Isonzo (Go) fondata nel 1499, che ne ha prodotte circa 10 mila bottiglie. Questa Ribolla Gialla, che arriva dal vigneto Monte Fortino, su un terreno marnoso-arenario, a un’altitudine di 105 metri, fa parte di una linea della Tenuta realizzata appositamente per rimarcare le peculiarità e l’importanza delle uve autoctone del territorio friulano. Vino con origini antiche nel Collio friulano, la Ribolla Gialla ha colore giallo paglierino con lievi riflessi verdolini; al naso è caratterizzata da un profumo lieve e floreale, con note di mela verde, mentre al palato ha un sapore asciutto e fragrante. Prodotta in 10 mila bottiglie nella vendemmia 2011, si sposa bene con antipasti freddi, piatti a base di pesce, al sushi, a minestre e primi con verdure.

FRANCIACORTA

Casa delle Colonne pregiata Riserva Brut

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a CASA DELLE COLONNE è l’antica villa della famiglia Berlucchi a Borgonato, in Franciacorta. Il nome deriva dalle colonne di arenaria grigia tipica della zona di Sarnico, poste in principio e alla fine dei viali orlati di cipressi. E proprio in onore di questa antica villa è nato Casa delle Colonne Brut Franciacorta riserva 2005 Fratelli Berlucchi. Prodotto dalle uve dei vigneti Mandola e Tre camini di Borgnonato e Torbiato questo Franciacorta è composto all’80 per cento da uve chardonnay e il rimanente 20 per cento di pinot nero. Il perlage, estremamente fine e persistente si sprigiona in questo vino cromatico con una forte carica di giallo. Al naso è ricco di note terziarie, molto variegato e complesso, mentre al palato è maturo, equilibrato e di buona ricchezza estrattiva, con una chiusura di spezie e mandorla tostata. Il Brut Riserva 2005, con i suoi 13 gradi, è perfetto come aperitivo e per il tutto pasto.

TRENTINO

GIN

LS Sforzellini Wines una linea per i fratelli chef

Beefeater celebra Londra con Inside London

Gli chef trentini Luigi e Luca Sforzellini, assieme alla storica cantina Monfort, di Lavis, di Lorenzo Simoni, hanno creato la loro Selezione di vini. La selezione firmata LS Sforzellini è composta da sei vini: Trentodoc, Pinot Grigio Ramato, Gewürztraminer, Teroldego Rotaliano, Sauvignon Blanc e una cuvée bianca, Miniera AG 47 Cuvée, un vino dedicato alle antiche miniere di argento del Trentino. Questi sei vini hanno una personalità piena e la capacità di accostarsi facilmente a varie situazioni gastronomiche. Le etichette hanno una forte connotazione vintage, riscontrabile sia nel monogramma LS che nella tipografia.

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Si chiama Inside London ed è la bottiglia con cui Beefeater, distribuito in Italia da Pernod Ricard, ha scelto di celebrare la capitale britannica. Inside London è un tributo allo spirito avventuroso, sofisticato e cosmopolita del London Dry Gin Beefeater, prodotto esclusivamente a Londra da quasi 200 anni e rimasto fedele alla sua ricetta originale. L’esclusiva limited edition di gin è un vero e proprio omaggio made in London che trae ispirazione e riflette il fervore e la vivacità di una città polisensoriale, vibrante e in continua trasformazione. Il design della bottiglia, dalla tonalità porpora simbolo del marchio, focalizza lo sguardo sulla silhouette trasparente.


POMMERY

ARMAGNAC

Les Clos Pompadour, omaggio a Madame

Jeanneau, tributo all’anno del dragone

L

es Clos Pompadour, creato dallo chef de cave della maison Pommery, Thierry Gasco, e nato per celebrare il 175esimo anno dalla fondazione, è diventata una vera e propria etichetta di culto, prodotta in pochissimi esemplari. Sono solo 240 le bottiglie dedicate agli estimatori italiani. Questo Champagne è un omaggio a clos esclusivi, situati all’interno delle mura che circondano i 55 ettari del domaine Pommery a Reims. Thierry Gasco con la sua creatività accompagna questo Champagne dalla vigna fino alla mis-en-bouteille, attraverso la sua conoscenza delle uve e la sua attività di accurata selezione. Les Clos Pompadour, omaggio a Madame Pompadour che segnò la storia dello Champagne e che rappresentò un’epoca di fasti in cui la celebrazione raggiunse la sua massima espressione, è realizzato solo nelle grandi annate e proposto esclusivamente in formato magnum.

FRANCIACORTA

La Riserva dei Consoli di Villa Crespia

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a Riserva dei Consoli è la nuova etichetta di Villa Crespia, un Franciacorta Docg Brut, messa a punto dalla governance dell’Arcipelago Muratori. È il risultato di una serie di degustazioni a cui hanno partecipato i consoli (un gruppo di professionisti tra enologi, enotecari, ristoratori e giornalisti) i quali, al termine di questo processo, hanno selezionato la cuvée a base chardonnay della vendemmia 2004 provenienti dal vigneto Rampaneto. La lavorazione prevede un affinamento in vasca su lieviti per cinque mesi, e per 6-12 mesi in legno di rovere per poi riposare per almeno 70 mesi con lieviti selezionati. La sboccatura, quindi, avviene ad almeno 80 mesi dalla vendemmia. La Riserva dei Consoli 2004 Brut è un vino capace di soddisfare il palato a tutto pasto, ma anche un fresco aperitivo.

TOSCANA

Donna Olimpia 1898 Doc a Bolgheri

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ai sessanta ettari della Tenuta Donna Olimpia, a Bolgheri, di Guido Folonari, nasce Bolgheri Donna Olimpia 1898 Doc. Questo bianco toscano è un blend di vermentino, viognier e petit manseng che, dopo la fermentazione, affina per 14 mesi sur lies, acquistando gradevolezza e longevità. Dal colore paglierino, ha profumi che ricordano gli agrumi, i fiori bianchi, la caramella e il miele, e al palato ha un gusto sapido e fresco. È un vino fine, da cui emerge il territorio, ma con una nota di modernità, godibile in tutte le occasioni conviviali. La Tenuta porta il nome della moglie di Gherardo della Gherardesca, principessa di Biserno, il quale volle renderle omaggio per il venticinquesimo anniversario delle nozze, un nome simbolico che affianca storia e innovazione. I vini dell’azienda sono distribuiti dalla Philarmonica di Brescia.

Janneau, la più antica delle grandi Case di Armagnac fondata da Pierre Etienne Janneau nel 1851, a Condom, ha voluto rendere omaggio alla Cina, da poco diventata il più grande mercato mondiale dell’Armagnac: ha così realizzato tre millesimati in onore dell’anno del dragone, il più fortunato dello zodiaco cinese, i Dragon vintage. Si tratta di tre millesimati, 1964, 1976 e 1988, con 12 anni di differenza di invecchiamento l’uno dall’altro e tutti risalenti, appunto, a un anno del dragone. Complice del successo di Janneau è anche il tipo di distillazione, che viene fatta con un alambicco discontinuo, sistema costoso e complesso, ma nel rispetto della tradizione. Oggi l’Armagnac Janneau è leader nel mondo ed è il marchio di riferimento anche in Italia, distribuito da Fratelli Rinaldi.

RICETTE

Cinzano Cocktail aperitivo tutto italiano Cinzano Cocktail Italiano nasce dalla miscelazione di infusi di erbe e aromi, grazie a una ricetta nuova e sorprendente, che associa leggerezza e sentori agrumati in un cocktail dal gusto già pronto e vivace. Un cocktail che risponde alle esigenze di chi vuole riproporre, vivere e condividere il momento aperitivo tra le mura domestiche, con un prodotto di qualità, poco alcolico, amabile nel gusto e semplice da servire. La confezione di Cinzano Cocktail Italiano si presenta in un cluster da tre bottigliette da 20 centilitri, la quantità ideale per un bicchiere.

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INIZIATIVE CON IL BEST ITALIAN WINE AWARDS IL SOMMELIER CAMPIONE DEL MONDO HA VOLUTO RIBADIRE QUALI SONO I MIGLIORI VINI ITALIANI SECONDO UNA GIURIA INTERNAZIONALE CHE NE HA SELEZIONATI

160. BATTENDO SUL TEMPO L’USCITA

DELLE GUIDE DEI VINI E VOLUTAMENTE TRALASCIANDO QUALCHE NOME BEN NOTO...

Luca Gardini premia i 50 migliori vini italiani Paolo Becarelli

I Luca Gardini con il giornalista Antonio Paolini e Matteo Torretta, chef del V Piano del Grand Visconti Palace, e la Pr Laura Grisi. A fianco, Gardini con i 50 produttori premiati

l Trebbiano d’Abruzzo 2007 di Valentini, il Barolo riserva Monprivato Ca’ d’ Morissio 2004 di Giuseppe Mascarello e figlio, il Bolgheri Sassicaia 2009 della Tenuta San Guido, il Barolo Riserva Monfortino 2004 di Giacomo Conterno, l’Amarone della Valpolicella 2003 di Giuseppe Quintarelli, il Barolo Le Rocche del Falletto 2007 di Bruno Giacosa, il Radici Taurasi riserva 2005 di Mastroberardino, il Vecchio Samperi ventennale di Marco De’ Bortoli, il Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 2001 di Ferrari e il Brunello di Montalcino Cerretalto 2006 di Casanova di Neri. Sono questi, nell’ordine, i primi 10 dei 50 vini “nominati” dal Best Italian Wine Awards, selezione elaborata da una giuria di esperti che hanno voluto indicare quali sono, almeno secondo loro, i 50 migliori vini d’Italia. I produttori sono stati premiati nel corso di una presentazione che si è tenuta il 24 settembre scorso al Visconti Palace di Milano. L’idea di fare una classifica, con le graduatorie ma senza punteggi, delle eccellenze enologiche italiane si deve a Luca Gardini (Miglior sommelier del mondo 2010) e ad Andrea Grignaffini (critico enogastronomico), i quali hanno domandato a cinque esperti del settore del calibro di Tim Atkin (Master of wine), Daniele Cernilli (giornalista fondatore del wine Gambero rosso), Pierluigi Gorgoni (docente di Gam enologia all’Alma di Colorno), Raoul Salama eno (docente alla Facoltà di Enologia di Bordeaux al (do Politecnico di Parigi) ed Enzo Vizzari (direttore Po delle guide de L’Espresso) quali fossero i 50 de migliori vini italiani. Ne è nato un elenco di m 160 etichette che, come ha spiegato Luca 1

Gardini, “sono stati poi degustati alla cieca da una giuria allargata ad altri sette professionisti ed esperti in un conclave durato due giorni. Si sono raccolti quindi i voti dei singoli degustatori e dalla somma aritmetica dei loro voti è nata appunto la lista dei migliori 50 vini”. Un risultato Best Italian Wine Awards l’ha raggiunto senza ombra di dubbio: far parlare di sé. Anzitutto perché ha battuto sul tempo l’uscita delle guide del vino 2013 e ha acceso il dibattito fra gli esperti del vino. Che quando si tratta di classifiche difficilmente sono d’accordo. E sono sempre pronti a trovare elementi di discussione anche perché, come ha fatto osservare qualcuno, dalla lista dei 50 best mancano alcuni nomi importanti del nostro firmamento enologico. F B



FOODVALLEY SOLIDARIETÀ

Emozioni solidali a Borgo San Felice A

ppuntamento “stellare” quello che si è tenuto nel suggestivo Borgo San Felice, dove l’executive chef dell’hotel Francesco Bracali, insieme a Valeria Piccinini del ristorante Caino di Montemerano, Gaetano Trovato dell’Arnolfo di Colle Val d’Elsa, e Vito Mollica del Four Seasons di Firenze, hanno dato con la loro presenza un forte messaggio di solidarietà F alla Fondazione del Gruppo Allianz Umana Mente che da 10 1 anni offre una prospettiva di vita migliore a chi soffre soff un disagio. I grandi chef, sensibili ai problemi sociali, soc si sono impegnati a fondo per creare una cena super ghiotta e stimolare così un’alta partecipazione su all’evento, all in modo da recuperare fondi da destinare alla al Fondazione che organizza, nel Borgo, anche attività filantropiche, come i due progetti “Impariamo nel Borgo” e “Il Borgo “Im felice”, vendemmiando e raccogliendo feli insieme. Si tratta di progetti sociali a in favore di persone svantaggiate che, fa a accompagnate dai propri educatori e da volontari, vengono ospitati p soggiorni strutturati nell’inper cantevole relais. Tra gli obiettivi: creare un’esperienza formativa e di autonomia al di fuori dell’abituale contesto a ragazzi con disabilità e dare la possibilità agli adolescenti di imparare un lavoro. Borgo San Felice, albergo a cinque stelle nel cuore del Chianti Classico, composto da suggestivi edifici in pietra, sapientemente restaurati, fa parte della prestigiosa catena internazionale Relais & Châteaux. (j.b.)

LOCALI

Drogheria Plinio convivialità moderna

T

ornano le drogherie. rie. A intrecciare tradidizione e modernità tà ci pensa la Droghe-ria Plinio, alle spal-le di corso Buenos Aires, a Milano. Un ambiente dall’ospitalità informale ma curato nei dettagli: i: valorizzazione degli spazi, spazi arredo, arredo colori e materiali pensati per mettere sempre a proprio agio il cliente. Innanzitutto, un ambiente centrale dove gustare la cucina, il cui menu cambia ogni giorno; servizio di caffetteria al mattino, ma anche pranzo, aperitivo o cena a prezzi più che ragionevoli. Inoltre, vi è l’area enoteca e l’area emporio e vige l’attenzione per la scelta dei prodotti, genuini, sempre di stagione e accuratamente selezionati. Tra questi, la pasta al germe di grano dell’Antico Pastificio Toscano Morelli e i formaggi e i gelati della lodigiana Cascina Biraga.

SENZA GLUTINE

EVENTI

DolceLieve, delizie per celiaci golosi

Milano Golosa con il Gastronauta

Il maestro pasticciere Iginio Massari firma la prima linea di alta pasticceria dietetica, senza glutine, senza uova, senza derivati del latte e frutta a guscio, per gli intolleranti golosi, ma anche per chi ha a cuore la propria salute. Il marchio DolceLieve è prodotto da Pandea Dietetica di Mattia Malgara, tra i leader dei prodotti per celiaci. Nascono, così, i biscotti Corolle alle scorzette di limoni di Sorrento e agrumi di Sicilia e i cracker Mignole alle olive taggiasche, profumate e leggere. Offerti in un pack raffinato in due formati, sono distribuiti nelle farmacie e nei reparti gourmet di selezionati department store italiani e internazionali.

Ideata da Davide Paolini, il Gastronauta, il 20 e il 21 ottobre si svolgerà al Grand Hotel Villa Torretta di Sesto San Giovanni (Mi), Milano Golosa, un happening ricco di laboratori, dibattiti, percorsi del gusto, incontri tenuti da artigiani e produttori, durante i quali il consumatore apprenderà come scegliere un prodotodot to, seguire il ritmo delle stagioni, conservare al meglio le derrate. Tra gli appuntamenti, le Officine del gusto, con corsi di cucina e degustazioni guidate da professionisti, e uno spazio, curato dal sommelier Luca Gardini, dedicato ai vini Best Price. Conoscere, fare, assaggiare, per non sprecare, è lo slogan di Milano Golosa (www.milanogolosa.it).

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I

EXTRAVERGINE

RICONOSCIMENTI

Il Secolare, l’olio fruttato del Consorzio Sapori di Murgia

Acqua Surgiva premia le delegazioni Ais

l Secolare è un fine olio extravergine di oliva prodotto dal Consorzio Sapori di Murgia, che raccoglie imprenditori agricoli pugliesi nel territorio fra l’altopiano della Murgia e le coste dell’Adriatico. Le olive sono di cultivar coratina e vengono raccolte a mano o con mezzi meccanici e molite mediante estrazione a freddo entro 24-48 ore. Il risultato è un olio dal gusto intenso e fruttato con retrogusto piccante, ricco di polifenoli e con acidità che non va al di là dello 0,3 per cento. È un olio longevo, che conserva intatte le caratteristiche organolettiche per un lungo periodo. L’ottimo rapporto qualità prezzo (6 euro al litro) fa di questo olio un prodotto unico. “Il Secolare si sposa perfettamente con la dieta mediterranea della quale ne è componente principe, particolarmente indicato per arrosti di carne, zuppe di legumi e bruschette”, spiega Vito La Monica, presidente del Consorzio (www.saporidimurgia.it).

Surgiva, acqua ufficiale dall’Associazione Italiana Sommeliers, promuove il Premio Surgiva con l’intento di valorizzare il ruolo di ambasciatori del bere di qualità da sempre svolto dai sommelier. Il Premio Surgiva sarà attribuito con cadenza annuale in occasione del Congresso dei sommelier a una delegazione territoriale dell’Ais che si sia distinta per attività innovative o particolarmente efficaci nella diffusione della cultura dell’acqua e del vino. Surgiva, del Gruppo Ferrari della famiglia Lunelli, è stata scelta dall’Associazione quale acqua ufficiale per la sua leggerezza e purezza, che le derivano dal fatto di sgorgare in alta quota nel cuore del Parco naturale Adamello Brenta.

RICERCHE

Carne tenera garantita da Eblex

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onostante l’Istat ci dica che i consumi siano in flessione dell’1,5 per cento e che la carne sia fra i prodotti più colpiti (-6 per cento) l’Italia importa 400 mila tonnellate di carne bovina, di cui circa 9 mila sono di manzo inglese. Ma gli italiani non conoscono appieno le attenzioni e i controlli che vengono effettuati Oltremanica per garantirne la qualità. E pochi conoscono la recente etichetta matured beef con cui si può risalire alla modalità di maturazione della carne e sapere quanto sarà tenera la bistecca appena acquistata. Per verificarne le potenzialità Eblex, l’ente inglese che promuove le carni rosse in Europa, ha commissionato alla Doxa una ricerca da cui emerge che la carne è considerata un alimento versatile e gustoso nonostante sia oggi meno acquistata di 7 anni fa .

COMPETIZIONI

De Santis è Master Bartender per Pilsner Urquell

È

Vincenzo De Santis, barman del Rock Island di Trevignano (Roma), il vincitore della finale italiana dell’International Master Bartender, la competizione organizzata da Pilsner Urquell, la birra originaria della Repubblica Ceca. La finale si è svolta al Dialogo nel buio, il ristorante al buio nel cuore di Milano gestito da non vedenti. Il brand, nato il 5 ottobre roll, 1842 dalla passione del mastro birraio Josef Groll, a e, festeggia proprio quest’anno 170 anni di storia on ora come allora, Pilsner Urquell è prodotta con ee ingredienti selezionati, con una ricetta speciale la un processo produttivo distintivo e immutato dalla nascita. Con questa competizione il marchio vuole e rendere omaggio a chi, in veste di ambasciatore e della birra, trasferisce al cliente l’esperienza ed il sapore autentico della Pilsner Urquell.

PRODOTTI

Con il mangostano il succo della salute Il mangostano è una pianta sempreverde tropicale originaria delle isole della Sonda e dell’arcipelago delle Molucche. Il frutto, commestibile, è di forma tondeggiante, con un diametro di circa 5-7 centimetri, la polpa è un arillo suddiviso in 4-8 spicchi fragranti e cremosi, di colore bianco latteo, dal vago sapore di pesca e litchi. Dal 2009 Xango Italty commercializza il succo di mangostano, ricco di proprietà antiossidanti e antiage, una vera cura per il benessere e la salute. Ma anche per la bellezza, perché oggi l’azienda produce anche una serie di prodotti a base di mangostano dedicati alla cura e del viso e del corpo: creme, fluidi di bellezza, oltre a una linea ispirata al benessere termale e a una gamma di prodotti per capelli.

FOOD&BEVERAGE OTTOBRE 2012 | 23


PREMI GIUNTO ALLA SESTA EDIZIONE, QUEST’ANNO IL PREMIO DI 150 MILA EURO È ANDATO A DUE GRUPPI DI GIOVANI RICERCATORI CHE HANNO PUNTATO SULLA

PREVENZIONE AI PROBLEMI CONNESSI ALLA CELIACHIA, UNA PATOLOGIA SEMPRE PIÙ DIFFUSA, LEGATA ALLA PRESENZA DI GLUTINE NEGLI ALIMENTI

Montana Alimentari investe nella ricerca sulla celiachia Stefano Masin

F Nelle foto, Claudia Cremonini con i giovani vincitori del Premio Montana per la ricerca alimentare

ughe di cervelli? Ricerca ferma? Finanziamenti inesistenti? Tutto vero, almeno in parte, ma in un’Italia dove le cose sembrano non cambiare mai, a ben vedere c’è anche chi crede e investe nei giovani ricercatori, perché ne conosce il valore e comprende l’importanza dell’essere competitivi anche aiutando gli altri. È il caso di Montana Alimentari, (Gruppo Cremonini), che dal 2006 ha istituito il Premio Montana alla ricerca alimentare. Un progetto vincente che anche quest’anno ha assegnato 150 mila euro a due proposte di ricerca selezionate tra una sessantina provenienti da tutta Italia. In questa edizione, la giuria ha premiato due progetti rivolti alla prevenzione dei problemi connessi alla celiachia, malattia autoimmune indotta dall’assunzione di glutine. Si tratta di una patologia in forte

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aume aumento(ne soffre 1 persona su 100 in nord Europa e nord America) che tra i suoi sintomi Euro prevede diarrea, carenze nella diffusione di prev nutrienti come le vitamine, atrofia dei villi e nut iperplasia delle cripte nel piccolo intestino. ipe Attualmente A il solo trattamento disponibile consiste nell’adozione di una rigorosa dieta co senza glutine, che permetta il recupero e se il mantenimento della funzionalità della mucosa intestinale. Si tratta dunque di un m problema di rilevanza non solo sanitaria

ma anche sociale, che ha portato molte aziende del food a uscire sul mercato con prodotti mirati per chi soffre di questa patologia. Il primo premio di 100 mila euro è stato assegnato per l’Alta qualità degli alimenti e salute a un gruppo di ricerca del Cnr di Lecce composto da Gianluca Bleve, Fabio Cimaglia e Giovanni Potente, per il progetto di ricerca destinato a realizzare un Immunosensore miniaturizzato basato su tecnologia di spettroscopia di impedenza elettrochimica per il rilevamento ultrasensibile di gliadina negli alimenti. Si tratta di un sistema che consentirà di testare rapidamente le materie prime nelle linee produttive industriali, così da tenere monitorata la contaminazione da glutine degli alimenti lungo tutto il processo produttivo. I 50 mila euro del secondo premio, assegnato per l’Area nutrizione e salute, sono andati al gruppo di lavoro del Dipartimento di Biochimica “G. Moruzzi” dell’Università di Bologna, costituito dai ricercatori Marco Malaguti, Cecilia Prata, Ilaria Marotti, Sara Bosi, Valeria Bregola, Raffaella Di Silvestro, Loredana Baffoni, e Irene Aloisio. Il gruppo ha proposto la ricerca Pane funzionale per la prevenzione delle malattie cronico-degenerative, un progetto che punta a interventi combinati per la messa a punto di un alimento che abbia un effetto positivo sulle malattie cronicodegenerative e sulla prevenzione della celiachia. F B


Da un territorio unico nel cuore della Valpolicella, dal 1883 la qualità è Bolla.


FOODVALLEY MILANO

INIZIATIVE

Mercati in cascina a kilometro 0

YouChef, rete d’impresa multicanale

Il C Consorzio Dam, Distretto agricoDis lo milanese, da fin fine settembre, pe per nove domen niche a rotazzione, fino a dicembre, apre al pubblico alcune cascine alc all’interno del Com Comune. L’occasione è Mercati in cascina a km 0, una serie di giornate dedicate alla vendita diretta dal produttore al consumatore. All’interno delle cascine sono organizzati anche momenti di intrattenimento, rivolti in particolar modo ai bambini, compresi laboratori didattici per spiegare le diverse lavorazioni. Un’occasione per avvicinare le persone al territorio, alla tradizione e al benessere dell’alimentazione (www.consorziodam.com).

U

PIATTI

Toscanità pronte con Casa di Caccia

I

ECCELLENZE

Salone del Gusto spazio ai territori Dal 25 al 29 ottobre a Torino, nel polo Lingotto Fiere e Oval, organizzato da Slow Food, si svolgerà il Salone del Gusto e Terra Madre. Per la prima volta, l’evento accoglie le comunità di Terra Madre con mille espositori da 100 Paesi. Nei tre padiglioni dedicati alle diversità gastronomiche delle regioni italiane sono circa 200 i prodotti dei presìdi Slow Food, oltre ai migliori microbirrifici e a centinaia di espositori storici insieme a interessanti novità, come le Cucine di strada. Inoltre, torna al Salone l’Alleanza tra i cuochi italiani e i presìdi Slow Food con due appuntamenti: la tradizionale Osteria dell’Alleanza e un nuovo progetto, la Piazza della pizza.

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n regalo che sintetizza l’eccellenza del made in uItaly? Sono appena arrivati sugli scaffali i 25 kit di YouChef, che racchiudono -variamente mixati fra loro-- i Franciacorta delle Tenute La Montina, le pentole di Risolì, le lame del Consorzio Premax, le paste e le e salse di Tradizioni Padane, le creme e i cosmetici di GirziLine: cinque aziende lombarde che hanno realizzato la prima rete d’impresa italiana multicanale. Quattro le linee: Prestige per cucinare sano, mangiare e bere italiano, anche avendo poco tempo a disposizione, Senza Glutine per cucinare in totale e sicurezza, Beauté ( prodotti per lui e per lei creati sfruttando le qualità dell’uva unite a quelle delle acque termali), Art&Craft (dedicati all’inventiva, alle capacità sartoriali, all’alto artigianato domestico). YouChef è in vendita nei canali specifici di ciascun partner (www.facebook.com/youchefonline).

n cinque minuti a tavola con un piatto della tradizione toscana, genuino e di qualità, come fatto in casa. Questa è l’idea dell’imprenditore Maurizio Baschi che col marchio Casa di Caccia ha dato nuova vita a gusti antichi. Il plus è che la toscanità diventa prêt à manger: piatti pronti preparati con prodotti biologici e senza conservanti, solo da scaldare, che rispondono al meglio alle esigenze di chi ha poco tempo per cucinare, ma che ama mangiar bene ogni giorno e non solo al ristorante. Le materie prime delle ricette sono coltivate, allevate e trasformate direttamente o attraverso aziende la cui filiera è rigorosamente controllata. La provenienza degli animali e dei prodotti agricoli è unicamente locale o nazionale (www.officinaalimentareitaliana.com).

SOLIDARIETÀ

Patatine San Carlo per la Fondazione Simoncelli

N

ei punti vendita di tutt’Italia sono state messe in vendita quattro milioni di confezioni di patatine San Carlo delle linee Classica e Dixi con uno speciale brand dedicato alla Fondazione Marco Simoncelli. Il tare claim è Super Message Sic ed è un invito a supportare ero la Fondazione attraverso l’invio di un sms al numero ato 488-3-888 con una dedica rivolta a Sic, indimenticato nte campione della MotoGP scomparso prematuramente elli in un incidente di gara. I formati disponibili sono quelli della linea Classica, 50 grammi Bar e 90 grammi,, e mi. quelli della linea Dixi da 40 grammi Bar e 55 grammi. Il ricavato dell’iniziativa andrà a sostegno della Fon-n dazione Marco Simoncelli per la costruzione di un centro per ragazzi diversamente abili a Sant’Andrea in Besangino a Coriano (Rn).


FOODVALLEY FIERE

APPUNTAMENTI

La filiera del caffè a TriestEspresso

La Bonissima rivive a Modena

Oltre 200 espositori e migliaia di visitaOlt tori t i sono attesi a Trieste dal 25 al 27 ottobre per la sesta edizione di TriestEspresso, la fiera dedicata interamente al mondo del caffè. L’evento, organizzato da Aires, Azienda speciale della camera di commercio di Trieste, coinvolge tutte le categorie della filiera del caffè: dai produttori di macchine da caffè, di macchinari per la torrefazione, di tazzine e packaging, agli importatori, distributori, spedizionieri e torrefattori. I visitatori potranno sfruttare anche il ricco calendario di eventi collaterali, in cui non mancheranno i momenti di formazione specialistica, per aggiornamenti incentrati sui trend e le dinamiche della filiera del caffè.

In Piazza Grande, a Modena, dal 19 al 21 ottobre ritorna La Bonissima, un’occasione per conoscere i fiori all’occhiello dell’enogastronomia modenese, favorendo l’incontro tra consumatore e produttore. L’appuntamento, alla sua terza edizione, si rifà alla leggenda di una nobildonna che sfamò in periodo di carestia i concittadini, per poi festeggiare con tutta la popolazione nel suo palazzo, cacciando solo quanti non l’avevano aiutata nella sua opera. Varie le iniziative: il corteo storico, lo spettacolo degli sbandieratori e i giochi di fuoco, l’elezione 2012 della madrina de La Bonissima, scelta fra le varie personalità che hanno nno svolto attività a favore di Modena (www.labonissima.it).

INIZIATIVE

Eccellenze emiliane in vista dell’Expo erano tutte le Dop locali, dai salumi piacentini alla mortadella di

C’ Bologna, a rappresentare l’Emilia Romagna lo scorso 22 settembre alla Corte Faggiola di Gariga di Podenzano, dove si è parlato di come la regione potrà dare un contributo all’Expo di Milano del 2015, ricevendone un ritorno sul territorio. A confrontarsi sul tema, fra gli altri, Roberto Arditti, responsabile comunicazione Expo 2015, Tiberio Rabboni, assessore all’Agricoltura dell’Emilia-Romagna, Alessandro Ghisoni, sindaco di Podenzano, la “capitale” del pomodoro e il padrone di casa, Roberto Belli, presidente de La Faggiola Srl (nella foto). Che si sono detti tutti d’accordo nel lavorare insieme per far diventare La Faggiola, un complesso del 1900 di 4 mila metri quadrati circondata da una tenuta agricola sperimentale e oggi sede di un ristorante didattico, una delle “porte” da cui i visitatori dell’esposizione potranno avvicinarsi alle eccellenze della regione.

PERUGINA

Un oblò di cioccolato che avvolge il palato

S

i chiama Tablò ed è il nuovo prodotto lanciato da Perugina, marchio storico oggi del Gruppo Nestlè. È una tavoletta di cioccolata dalla forma unica nel suo genere. Richiama, infatti, la forma di un oblò, così come suggerito dal nome, per regalare un piacere che nasce dal centro e avvolge il palato. Grazie alla forma innovativa, Tablò Perugina offre il sapore intenso di un cioccolatino, mantenendo la semplicità e la praticità di una tavoletta. Latte, fondente, bianco e gianduja sono i quattro gusti disponibili per questa nuova referenza. erenza. Un piacere avvolgente che invita i consumatotori a scoprire un nuovo modo di condividere e gustare il cioccolato Perugina anche se, per gli inguaribili romantici, nulla potrà mai sostituire gli intramontabili Baci Perugina.

SERATE

Chef a tre e stelle al Casinò di Campione

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al 25 al 27 ottobre il Casinò di Campione diventerà il più blasonato ristorante italiano …fuori dall’Italia. Nelle sue cucine si avvicenderanno ai fornelli, per i colori nazionali, i fratelli Cerea (ristorante Da Vittorio a Brusaporto, Bg), i fratelli Alajmo (Le Calandre di Rubano, Pd), oltre a un cuoco straniero. Tre international best chef per 200 ospiti a serata previsti, i quali avranno così modo di apprezzarne i piatti senza dover girare mezza Italia per andare nei loro ristoranti. L’idea di portare chef stellati con il massimo punteggio dalla guida Michelin a “casa” dei possibili clienti si concretizzerà nei mesi successivi a New York, Mosca, Shanghai, Dubai quindi a Zurigo o Andernatt. Se l’iniziativa avrà il successo sperato dagli organizzatori, si ripeterà anche l’anno prossimo coinvolgendo nuovi chef, sempre al vertice delle classifiche internazionali. Il costo di ciascuna cena del primo ciclo di serate è di 350 euro. FOOD&BEVERAGE OTTOBRE 2012 | 27


CHEF EVENTO CULTURAL-GASTRONOMICO, HA AVUTO COME TEMA L’ATTENZIONE DEL MONDO DELL’ENOGASTRONOMIA ROMANA VERSO IL TURISTA. ARGOMENTO MOLTO CARO A FRANCESCO APREDA, ARTEFICE DI CHEF SOTTO LE STELLE, CHE HA RIUNITO I CUOCHI ROMANI E STRANIERI CHE HANNO SCELTO ROMA PER VIVERE E LAVORARE

Sotto le stelle di Roma l’incontro tra due culture Jerry Bortolan

C Chef sotto le stelle è un evento all’insegna del buongusto e dell’ospitalità ideato da Francesco Apreda

HEF SOTTO LE STELLE,

l’iniziativa lanciata l’anno scorso da Francesco Apreda -chef stellato dell’Imàgo, il ristorante top dell’Hotel Hassler di Roma, affacciato sulla scalinata di Piazza di Spagna- che aveva chiamato a raccolta gli amici chef, stellati e non, per passare una serata insieme, ha avuto un tale successo da essere replicata quest’anno, il 17 settembre, con una seconda edizione. 80 reasons to love Rome, questo il claim della serata, ovvero una raccolta di 80 ragioni, ognuna suggerita da ciascuno dei cuochi, per amare la Capitale e il desiderio di condividere questo amore con tutti coloro che la visitano. Oltre a essere un evento cultural-gastronomico, questa nuova edizione ha avuto come tema l’attenzione del mondo dell’enogastronomia romana verso il turista, per incrementare qualitativamente lo

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sviluppo del turismo a Roma. Argomento molto caro a Francesco Apreda e a Roberto E. Wirth, promotore dell’evento sia in qualità di propriepro tario dell’Hassler sia di presidente dell’Assotar ciazione Piazza di Spagna e Trinità dei Monti. cia Quest’anno l’idea è stata di far scegliere a Q ognuno degli chef stellati partecipanti un o ccollega straniero che abbia eletto Roma ccome luogo di vita e di lavoro, per preparare insieme un piatto a 4 mani che simboleggiasse l’incontro di due diverse culture.

Con l’occasione, si è anche voluto sperimentare come si possono integrare ed esaltare piatti di culture gastronomiche diverse. Francesco Apreda, con il cuoco indiano Pareemjeet Sing del ristorante Jaipur, ha creato una zuppa tradizionale indiana, Lenticchie con polpettine di gamberi croccanti; Riccardo di Giacinto del ristorante All’Oro e il cuoco argentino Emiliano Lopez della Buca di Ripetta se la sono vista con l’Asado di manzo piemontese con salsa chimi-chumi; Cristina Bowerman del Glass Hostaria ha incrociato mani, idee e pentole, con l’etiope Kuky Tedese del Mesob per preparare Injera con hummus, (pane e passata di ceci e lenticchie) con manzo marinato al berberè e cipolla rossa in agrodolce, accompagnato da insalata di uva, rucola e saba; Andrea Fusco del Giuda Ballerino, insieme al cuoco Colombiano Roy Caceres del Metamorfosi, ha preparato un piatto a sorpresa… Tutti i cuochi si sono sentiti coinvolti a rappresentare la sinergia tra le diverse culture e a simboleggiare l’apertura della Capitale verso il mondo. Al punto che alcuni di loro hanno dedicato alla città un messaggio, come questo di Nazareno Menghini, cuoco de Le Jardin de Russie: “Amo Roma, perché qui cammini nella storia. Essa ti accoglie, ti coccola, ti ruba l’anima con la sua bellezza. Roma regala la vita, l’amore, la passione, il calore e non mi sentirò mai abbandonato. F B Ti amo Roma”. Un vero poeta.



LODGE&SPA LIVIGNO

Hotel Concordia, 50 anni di glamour N

el cuore delle montagne valtellinesi, Livigno è un paese unico nel suo genere. E proprio nel centro antico c’è il boutique hotel Concordia, un confortevole quattro stelle che proprio quest’anno festeggia cinquant’anni di attività. Si tratta di una struttura storica che ha saputo mantenere la propria identità alpina ma con uno sguardo rivolto al glamour, creando tre fashion room che colpiscono per la ricercatezza degli arredi e dedicate a tre icone del jet set del secolo scorso: alla classe perfetta di Jackie Kennedy, all’eleganza sobria di Grace Kelly e alla grazia senza tempo di Audrey Hepburn. L’hotel ha anche una piccola ma confortevole area benessere per rilassarsi dopo una giornata di sci. E per gli amanti della cucina, il ristorante propone ricette valtellinesi e una selezione di piatti della cucina mediterranea: da provare i tipici sciatt valtellinesi, da gustare nella suggestiva stube.

FIRENZE

Be.One, arte friendly

U

na DOLCE VITA proiettata in quel di Firenze? È possibile al Be.One, un hotel di charme con solo otto camere sulla centrale piazza della Repubblica. Be.One è un nome che racchiude un modo di essere, una filosofia, uno stile: essere unici come lo è un’opera d’arte. L’accoglienza è personalizzata; il leitmotiv è la ricerca di un’atmosfera sontuosa e allo stesso tempo friendly. L’ospite è alla scoperta di pezzi pregiati mimetizzati tra il mobilio e molti degli oggetti d’arredo si possono anche acquistare: dai quadri alle sculture, dai libri ai soprammobili, chi si innamora dell’arte la può portare con sé. Nella lobby, dove è a disposizione una biblioteca, si svolgono anche degustazioni di specialità tipiche, mentre la Penthouse ospita lezioni di cucina.

Four Seasons Pudong nella 21st Century Tower

A

ll’interno della mitica 21st Century Tower di Shangai, simbolo dello skyline della metropoli cinese, ha aperto il nuovo Four Seasons Hotel Pudong, dal design Decò della Golden en Age degli anni ‘30, 0, 187 camere e suite, e, una spa innovativa e due ristoranti eccel-lenti. Lo Shàng-xì, guidato dall’executive chef Weimar Gomez, offre una delle più sofisticate esperienze culinarie ulinarie dell’intera città, proponendo d il meglio li della cucina cantonese moderna e tradizionale. Al primo piano c’è invece Camelia, uno spazio affacciato all’esterno che sorprende con una splendida terrazza, luogo ideale in cui assaporare anche un tradizionale afternoon tea. I menu sono firmati, oltre che da Gomez, dallo chef Benjamin Brial, entrambi formatisi al ristorante 2 stelle Michelin del Four Seasons Hotel George V di Parigi.

ROMA RO

BENESSERE

A Visconti Palace Al è di scena la Campania

Viteterapia per i piedi con Tauleto Spa

Q Questo autunno, aperitivo campano al Visconti Palace Hotel di Roma. Da ottobre fino al 5 dicembre sono protagonisti i vini dell’Azienda Torre Varano situata nel territorio Docg Va Taburno e glii sfizi fi i gastronomici del territorio. Ogni tre mesi, infatti, in aggiunta alle proposte di tutto l’anno, il Visconti inserisce nella petite carte dei vini una specifica regione italiana. Si tratta di un vero e proprio giro d’Italia enologico, che di volta in volta presenta il meglio di una definita area geografica. I vini sono accompagnati da prodotti tipici come la frisellina campana con pomodoro San Marzano e la scamorza affumicata di bufala campana.

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SHANGAI

È tempo di vendemmia… anche per i nostri piedi. Tauleto Spa propone l’ultima frontiera in campo di viteterapia. Si chiama Happy eno feet la linea di prodotti dedicata al benessere dei piedi a base di polifenoli e resveratrolo, provenienti dalle uve dell’azienda Umberto Cesari a Castel San Pietro (Bo). Queste sostanze, già conosciute in formule per schiarire e illuminare la pelle del viso, sono potentissimi antiossidanti, aiutano la circolazione, rallentano l’invecchiamento e contrastano la formazione di radicali liberi. L’esclusivo trattamento prevede anche un massaggio plantare su grappoli d’uva, che ricorda la pigiatura vecchia maniera. Un rituale da provare.


TOSCANA

Solo suite al Castello di Casole

T

ra le colline del Chianti e di Montalcino, Timbers Resorts ha inaugurato l’Hotel Castello di Casole, trasformando un antico maniero del X secolo in un elegante hotel da cui godere un panorama di straordinaria bellezza su vigneti e uliveti. Le 41 suite sono caratterizzate da 5 stili diversi, in cui il design italiano si fonde con la sobrietà dei mobili toscani fatti a mano. L’hotel vanta il Ristorante Tosca, curato dall’executive chef Daniela Sera, con prelibatezze della tipica cucina toscana, la pizzeria Pazzia, con il tradizionale forno a legna, e il Bar Visconti, dedicato a Luchino Visconti, dove degustare le bottiglie d’annata della tenuta. Non manca, ovviamente, la Spa Essere per trattamenti ispirati a prodotti locali. Per l’autunno, il Castello di Casole propone un pacchetto di 3 giorni, caratterizzato da un’originale caccia al tartufo.

FIRENZE

Arte e modernità a Palazzo Vecchietti

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el cuore della città degli Uffizi, il celebre rinascimentale Palazzo Vecchietti, progettato dal Giambologna, ospita oggi 12 suite e 2 appartamenti di grande raffinatezza. Gli ambienti, disegnati e realizzati dall’architetto Michele Bonan, sono stati creati per trasmettere serenità e comfort, grazie all’utilizzo di vari materiali, come le essenze e di rovere chiaro in grandi listoni che si uniscono no al gioco dei numerosi specchi. La location n esclusiva nella Villa Strozzi viene resa ancora a più unica dalle camere in cui si respirano o gli echi dell’artista a cui sono dedicate. La camera intitolata a Michelangelo, ad esempio, richiama la grandiosità delle sue opere già nell’ariosità degli spazi.

CAPRI

Eventi personalizzati a Villa Marina

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ILLA MARINA CAPRI HOTEL & SPA è un 5 stelle di charme e benessere immerso in un riservato giardino, a pochi passi dalla Piazzetta, centro nevralgico dell’isola. Composto da 21 raffinate camere e suite, ognuna diversa dall’altra, l’albergo offre servizi di qualità personalizzati per un soggiorno esclusivo, grazie anche al ristorante Ziqù e alla Spa Stai. Ma ora Villa Marina propone la possibilità di personalizzare i propri eventi nel Roof, in un’ambientazione magica ed immersa nella natura. La serata inaugurale è stata dedicata all’inebriante atmosfera marocchina. Tra decorazioni floreali a tema e la calda luce delle candele, si sono potute gustare le proposte culinarie dello chef Nunzio Spagnuolo, come il cous cous con verdure e carne di vitello e altre deliziose specialità intonate al mood della serata.

BELLAGIO

A Villa Serbelloni si gusta la gastropizza L’autunno a Bellagio, sul lago di Como, crea con le sue tonalità un paesaggio unico al mondo che può essere goduto dai clienti seduti a La Goletta, letta, ristorante informale del Grand Hotel el Villa Serbelloni. L’ambiente, ispirato agli antichi battelli, viene esaltato dai piatti dello chef Ettore Bocchia che propone ogni giorno un menu ispirato alle ricettee tipiche di una regione italiana. Uno dei piatti di maggior successo è la gastropizza, modulata con l’impasto di un mix di farine biologiche, lievitato per tre volte in due giorni. La prolungata lievitazione rende la pizza particolarmente digeribile e croccante, mentre le farciture con ingredienti di ottima qualità ne esaltano il sapore.

MERANO

Nuovo benessere al luppolo e al malto Il centro Spa & Vital delle Terme di Merano rilancia una serie di trattamenti per attivare il benessere della pelle maschile. Gli ingredienti fondamentali di questi innovativi percorsi di bellezza sono luppolo, malto e pino mugo. Luppolo e malto, sapientemente mescolati con lievito e acqua, danno vita a una delle bevande più diffuse al mondo, la birra, ma utilizzati come base di un peeling, disintossicano e stimolano il metabolismo. Il pino mugo, invece, ha un effetto purificante e rivitalizzante sull’organismo ed è particolarmente indicato dopo l’attività sportiva per rinfrescare e rigenerare il corpo. Altra novità delle Terme di Merano è il romantico bagno alla birra per due, rilassante, nutriente e idratante.

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ILMONDOINPENTOLA

Moshik Roth inaugura &Samhoudplaces Amsterdam. Grande apertura, avvenuta i primi giorni di settembre, per il nuovo e atteso &Samhoudplaces, l’approdo del corpulento cuoco israeliano Moshik Roth nel cuore di Amsterdam, dopo la chiusura della sua bistellata casetta tra le dune fuori Harleem che a malapena offriva 25 coperti. Ora i posti sono più di cinquanta, a due passi dalla stazione centrale dei treni in uno dei quartieri hip della città in grande crescita. La cucina sorprendente di Moshik gioca la carta della filosofia di aggregazione. Tra persone, che a tavola si incontrano, parlano, discutono, semplicemente vivono. E i molti prodotti di grande qualità che compongono i suoi piatti? Di varia ispirazione, con richiami a uno stile tecno-emozionale, ma anche dalla provenienza e dalla memoria di diversa origine. Un po’ italiani e un po’ greci, un po’ fusion e un po’ etnici, un po’ naturali e un po’ “chimici”. Nella foto, Moshik Roth con il titolare del ristorante Jip Samhoud, a sinistra. (g.s.)

Partnership tra Bowerman e Roscioli Roma. La notizia golosa è che, a Roma, Cristina Bowerman, di Glass Hostaria, con stella Michelin, avvierà una nuova avventura gastronomica insieme al “forno di Roma”, quello di Roscioli, l’antica panetteria e famosissima “pizzicheria”, situata nel centro storico e considerata il tempio dei golosi nel quale approvvigionarsi di pane, salumi, formaggi e rarità di prodotti alimentari del mondo. Cristina Bowerman e Roscioli apriranno un nuovo ristorante che avrà lo scopo di allargare i confini dell’alimentazione e cercare di elevare la qualità del prodotto, senza esagerare nei costi, in modo da consentire a tutti di provarne le gioie. Il locale, che aprirà alla fine di ottobre nel quartiere Prati, in via Silla, avrà, all’interno, il ristorante, dove sperimentare la semplicità e il gusto di piatti ragionati e, sul davanti, il bancone, per i prodotti “sfornati”, tra cui il panino con foie gras, una vera eccellenza, insieme ad altre solide leccornie uscite dalle idee di Cristina, che viaggia come un treno ad alta velocità in giro per il mondo per raccontare le sue incursioni nel food e cercare nuove emozioni. (j.b.) 32 | FOOD&BEVERAGE OTTOBRE 2012

Oliver Piras dal Da Vittorio al Tivoli Cortina d’Ampezzo. Lo abbiaamo visto mille volte a fianco di Chicco e Bobo Cerea, nelle pre-sentazioni, agli eventi gourmett o ai convegni internazionali. Il sardo Oliver Piras, folletto tascabile già transitato per le cucine di Joël Robuchon e René Redzepi, oltre che a il triall’orobico Da Vittorio, lascia stellato ristorante per una nuova esperienza, questa volta tra le vette dolomitiche. Piras entra a far parte dello staff di cucina del Tivoli di Cortina d’Ampezzo, guidato da Graziano Prest. Un ristorante molto moderno e con un menu dal gusto internazionale. Con tanto di tartare di astice e tataki di tonno. (g.s.)

Beck esporta la sua cucina al Conrad Algarve Hotel Algarve. Chef in movimento e le pentole nelle cucine del mondo scottano come non mai in questo periodo dell’anno. Ai nostri grandi e più affermati chef non basta più il successo nei loro ristoranti. Ora si lanciano nelle cucine del pianeta per mettersi in gioco, affrontando gusti e palati di altri Paesi. Dopo aver conquistato Londra con la prestigiosa stella Michelin all’Apsleys, il ristorante del The Lanesbourgh Hotel, Heinz Beck è sbarcato nell’Algarve, la prestigiosa località di villeggiatura del Portogallo. Le cucine sono all’interno del lussuoso Conrad Algarve Hotel, nel resort Quinta do Lago, dove Beck ha portato la sua cucina “italiana” come gli spaghetti “cacio e pepe” con gamberi bianchi marinati al lime e i cannoli di trippa. Piatti che uniscono l’alta cucina alla tradizione. Niente baccalà, ma i gourmet apprezzeranno. (j.b.)

Konstantin Filippou apre il suo ristorante Vienna. La crisi internazionale attanaglia i ristoratori greci. A tutti i livelli, visto che Arnaud Bignon (che pure greco non è, ma lavorava ad Atene da Spondi, un relais gourmand) si è spostato a Londra chiudendo il suo ristorante sotto il Parte Partenone. Intanto, il giovane e talentuoso Konstantin Filippou, cuoco ellenico cresciuto a Vienna tra le cucine di Filipp risto ristoranti stellati, dopo la comparsata estiva al ristorante Omega del resort Costa Navarino (nel Peloponneso), Om alla corte del collega Doxis Bekris, sta per inaugurare suo locale nella capitale austriaca. Piatti ben definiti, il su contaminazioni light e sapori naturali sotto la semco plice insegna con il nome del cuoco, prevista per la pl fine dell’anno. (g.s.) fi



ALL’ENOTECA NEL SUO RISTORANTE NEL ROERO LO CHEF STELLATO PROPONE UNA CUCINA MISURATA, GIUDIZIOSA E GUSTOSA, CHE SA PARLARE DEL TERRITORIO, SENZA PER QUESTO RIMANERE IMPRIGIONATA NELLA RETORICA DELLA TRADIZIONE. NEI SUOI PIATTI DÀ AMPIO SPAZIO ALLE VERDURE E ALLA CARNE, SOPRATTUTTO POLLO, ANATRA E PICCIONE CHE PERMETTONO UN’INFINITÀ DI INTERPRETAZIONI

Rigore e semplicità Ecco le regole di Palluda Paolo Becarelli

N Davide Palluda è estremamente rigoroso perché, dice, un cuoco deve continuamente mediare, in un delicato gioco di sottrazioni e integrazioni. Proprio come nel piatto con moscardini, fave e cioccolato, in cui i toni acidi del cacao e delle fave uniti al sapore dolce e iodato dei molluschi creano un grande effetto armonico

el salottino dietro al bar dell’ENOTECA di Canale (Cn), a Davide Palluda squilla il cellulare: “Le pesche? Vanno bene a 1 e 40, ma mi raccomando, sempre la stessa qualità”, dice al suo interlocutore lo chef che, terminata la telefonata, si scusa per l’interruzione alla nostra intervista. E si affretta a spiegare che nel Roero le pesche sono un prodotto di eccellenza -addirittura a Canale le celebrano ogni luglio con un’affollatissima festa- e che sebbene si possano acquistare facilmente anche al di sotto di 1 euro al chilo, lui le paga volentieri un po’ di più del prezzo di mercato. “Le prendo da un contadino: sono piccole, selvatiche, proprio belle perché colte al giusto punto di maturazione. Me ne porta una cassetta tutte le mattine, puntualissimo. Credo che si debba retribuire degnamente chi suda in campagna ogni giorno per darti della materia prima di qualità, altrimenti nessuno vorrà più coltivare orti o frutteti e si creerà un drammatico gap generazionale delle conoscenze e delle professionalità legate alla terra”. Sono un chiarificante bagno di concretezza le parole di Palluda, utili a sgombrare subito il campo dal campionario di retorica a buon mercato a cui attingono tanti ristoratori abituati a declamare le virtù del territorio senza volerne pagare il prezzo della sostenibilità. Ma utili anche a spiegare il “passo” di Davide che, oggi (“domani non lo so”, aggiunge scherzando), ruota intorno a tre concetti: rigore, semplicità, continuità. “Rigore perché un cuoco deve continuamente mediare, in un delicato gioco di sottrazioni e integrazioni, fra quello che sa, ciò che ha appreso, quanto mette a disposizione il territorio e la predisposizione personale verso un certo tipo di cibo e di cucina. Semplicità perché non amo che nei miei piatti vi sia confusione di sapori, 3-4 ingredienti sono di solito più che sufficienti per dare spessore, riconoscibilità e armonia a una

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preparazione. Continuità perché uno chef dovrebbe sempre chiedersi se i piatti che elabora potrà poi proporli in tavola allo stesso livello. In altre parole, se potrà contare sempre sulla materia da cui originano e se sarà comunque in grado di replicarli”. Un esempio per tutti? La costata di manzo, midollo, pinoli e tatin di cipolla, un classico in carta nel ristorante di Palluda. Solo quattro ingredienti, ma fantastici. A cominciare dalla carne di fassone piemontese, che deve essere obbligatoriamente frollata al punto giusto ed esaltata da una cottura soft tramite il midollo


Servizio fotograďŹ co di Giuliano Revello


ALL’ENOTECA

All’Enoteca è stata aperta nel 1995 al primo piano dell’Enoteca regionale di Canale: è un austero edificio del XIX secolo nel quale gli spazi bianchi e quasi asettici del ristorante creano un raffinato e luminoso contrasto. Palluda è qui da 17 anni. Sotto, un goloso dessert con le fragoline di bosco

il quale, sciogliendosi, trasmette alla costata il gusto primario dell’osso; infine, i pinoli in purea e la tatin di cipolla che donano equilibrio e un tocco di eleganza. Ma piatti che non si dimenticano sono anche i fragolini (moscardini), fave e cioccolato, un piatto che gioca sui toni amaro acidi del cacao e delle fave: ingredienti che uniti al sapore dolce e iodato dei molluschi creano un grande effetto armonico; e il coniglio e insalata ghiacciata, tutto il meglio del coniglio in cotture e temperature diverse, condito con un leggero civet e rinfrescato con diverse insalate ghiacciate in acqua gasata. E che dire dei ravioli del plin al sugo d’arrosto leggero? “È la pasta ripiena più elegante della cucina di Langa e l’unico piatto in carta all’Enoteca fin dal primo giorno -ricorda Davide- Dopo tanti anni continuiamo a preparare farcia e ravioli con cura maniacale timorosi dei confronti con la memoria dei commensali che spesso collegano i ravioli a momenti o persone significative della loro infanzia”. Per mettere a punto la versione 2.0 della sua cucina e capire che questa doveva obbedire a sole tre parole d’ordine, Palluda ha impiegato 17 anni. Tutti passati All’enoteca, il suo ristorante al primo piano di quell’Enoteca regionale che i comuni del Roero avevano deciso di istituire nel 1992 nell’ex asilo Regina Margherita di Canale, un imponente quanto austero edificio del XIX secolo. Davide lo inaugura nel 1995 dopo una gavetta breve ma di prim’ordine: terminata la Scuola alberghiera a Barolo e con alcuni stage estivi in Alsazia e in Germania alle spalle, si fa infatti le ossa nelle cucine di due fra i ristoranti allora più blasonati fra Liguria e Piemonte, il Balzi Rossi di Ventimiglia (allora uno dei pochi 2 stelle Michelin d’Italia) e Felicin di Monforte d’Alba (una stella). Per cominciare l’avventura vuole al suo fianco la sorella Ivana, perfetta padrona di casa che sa come mettere a

uti proprio agio gli ospiti seduti e, ai tavoli nel grande salone, ti cui i toni chiari delle pareti a e dei tendaggi donano una rarefatta luminosità. “All’Enoteca era il mio primo ristorante. Quando l’ho aperto avevo la presunzione di saper fare tutto e avrei voluto costruire una carta ttesse omnicomprensiva, che riflettesse le ricette apprese girando per il mondo, le mie esperienze, i miei sogni e i miei piatti preferiti -ricorda lo chef- Ma quando mi sono trovato davanti un foglio bianco e dovevo riempirlo con delle proposte concrete per farlo diventare il ‘mio’ menu, non è stato semplice. Inoltre, dovevo organizzare tutto, dall’amministrazione alla gestione dei dipendenti, e all’inizio i problemi non sono stati pochi”. Palluda, per sua stessa ammissione, è però un tipo tosto, determinato. E anche di fronte alle difficoltà non si scoraggia: studia, approfondisce, sperimenta, qualche volta sbaglia, ma sa anche subito far tesoro dei suoi errori per affermare un personalissimo stile in cucina. Così, conquista prima i piccoli vignaioli del Roero che vi portano a pranzo i clienti più importanti, poi i palati più raffinati dei dirigenti delle vicine Ferrero e Miroglio o degli industriali albesi e di Torino. Ben presto la critica gastronomica comincia a marcarlo stretto e lo indica unanimamente come l’enfant prodige della ristorazione di inizio millennio. In pochi anni, Davide Palluda fa con la sua carriera ciò che non ha mai fatto con i suoi piatti: brucia le tappe, le abbrustolisce, le carbonizza. Giusto il tempo di “aggiustarsi”, come dicono in Piemonte, ai fornelli, e in meno di 5 anni (nel 2000) riceve la prima stella Michelin ed è anche giudicato miglior giovane cuoco dell’anno dalla Guida dei ristoranti d’Italia de L’Espresso. E passano solo


altri due anni quando il suo nome viene inserito fra i favoriti al titolo di Miglior cuoco dell’anno. “Credo che per me la svolta sia stata quella di lavorare per un progetto e di essermi specializzato in una cucina che sa parlare del territorio, senza per questo rimanere imprigionata nella retorica della tradizione”, dice ripensando a quegli anni. Anni che per il Roero furono di rinascimento enogastronomico. Tutta la zona iniziava infatti a mostrare una sua precisa identità e ad affrancarsi dalla centralità di Alba. Si cominciava allora ad apprezzare la selvaggia bellezza delle rocche roerine alternata agli umori del bosco o agli ordinatissimi versanti collinari della vite e del pesco, in contrapposizione con il paesaggio fortemente condizionato dalla vite delle Langhe. Nel mondo del vino Matteo Correggia si stava muovendo in modo pesante, mentre Bruno Giacosa aveva da qualche anno investito in Valmaggiore... E nella ristorazione locale cominciavano a fare i primi passi giovani chef che cercavano di dare nuovi orizzonti alla tradizione. In questo fermento Palluda trova la sua dimensione ideale e gli stimoli per intraprendere un percorso lineare che lo porta a realizzare una cucina sempre più misurata, giudiziosa e gustosa, attenta ai principi nutrizionali. Nei suoi piatti oggi trovano ad esempio ampio spazio le verdure, spesso proposte crude o comunque cotte molto velocemente. Per il mondo vegetale lo chef nutre addirittura un sentimento reverenziale perché, dice, “produce cose buone e di grande valore per tutto l’anno. Alle verdure dobbiamo un grande rispetto, e non è un caso che per coglierle ci si

debba inginocchiare, genuflettere”. Un altro grande amore di Palluda è la carne, e, specialmente quella degli animali da cortile.. Pollo, anatra, piccione sono gli atout del suo menu. “Non solo mi permettono un’infinità di interpretazioni -puntualizza- ma cucinarli mi dà vera gioia. Quando rosolo, friggo, arrostisco cosce e petti, mi sembra di ritornare in una dimensione primitiva dove il cuoco aveva il potere sciamanico di controllare il fuoco e di renderlo o uno strumento utile a trasformare gli alimenti. Oggi in cucina ci affidiamo troppo spesso a tecniche e cotture come il sottovuoto che facilitano il lavoro dello chef, ma quando sono abusate banalizzano le consistenze, sfibrano le carni, standardizzano il gusto”. Fondamentale nella formazione gastronomica di Davide Palluda è stato il padre Bruno. Rivenditore di camion della Mercedes, Bruno amava infatti portare a casa e poi assaggiare in famiglia i migliori prodotti che trovava in giro. “A tavola voleva sapere tutto di quello che aveva nel

Ivana Palluda, sorella di Davide, è al suo fianco nel ristorante: è sommelier e si occupa della sala e dei vini, mettendo a proprio agio gli ospiti. A sinistra, i ravioli del plin ai tre arrosti

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ALL’ENOTECA

Un grande amore di Davide è la carne, specialmente quella degli animali da cortile e di fassone piemontese che deve essere frollata al punto giusto ed esaltata da una cottura soft: qui sopra, i pinoli in purea e la tatin di cipolla donano al piatto equilibrio e un tocco di eleganza

piatto: chi aveva coltivato le patate, di chi erano i peperoni, da dove veniva il pollo che cuoceva nel forno… Tanto che mia madre, a volte esasperata dalle sue continue domande, gli rifilava un po’ di tutto”, celia lo chef. Che ammette: “Però mio padre, pur con tutte quelle domande che allora potevano sembrare noiose, mi ha fatto capire che in cucina ci vuole attenzione e che occorre mettere un pizzico di curiosità e di gioco in tutto quello che fai. Non so se avesse mai sentito parlare di Brillat-Savarin e del suo celebre aforisima Noi siamo quello che mangiamo, ma certo l’ha seguito nei fatti. E a suo modo ha anche anticipato la filosofia slow di Carlin Petrini e le sue considerazioni sul cibo”. Con materie prime d’eccellenza Palluda non dà solo spessore e vita ai suoi piatti, ma realizza anche una linea di sughi, conserve, antipasti e confetture che portano la sua firma. Si possono acquistare nell’Enoteca regionale, sotto il suo ristorante, e anche online sul sito www.davidepalluda.it. “Sono molto richiesti anche all’estero e in pochi anni sono diventati un business molto importante, complementare al ristorante. Quest’anno venderò 150 mila vasetti; fra questi il mio ragù classico, preparato a partire da verdure fresche e carne di maiale e vitello, è il più richiesto”. Un punto fermo, anzi fermissimo, di Palluda è la famiglia. Quando esce dall’Enoteca Davide dimentica di essere un cuoco e si cala completamente nei panni di marito di Annalisa e di padre di Francesco, il primogenito che oggi ha 11 anni, di Vittoria e Cecilia, la più piccola. Ma anche in famiglia, confessa, le sfide continuano. Come quella di cucinare per i suoi figli “che vogliono piatti easy, poco elaborati, ma allo stesso tempo sempre diversi e non banali.” E in questo senso sono i suoi critici più severi, oltretutto confortati da una cultura gastronomica che Davide cerca di trasmettere sia usando (e spiegando) materie prime di prim’ordine, sia portando con sé i figli anche quando va al ristorante affinché il loro palato si abitui

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da subito a capire ciò che è buono. Così, la famiglia Palluda è di casa al Duomo di Alba, alla Locanda del borgo antico di Barolo o All’arco antico di Savona, ma anche in trattorie come quella dei Bercau a Verduno o in agriturismi come la Cacina Vrona di Monteu Roero. La famiglia e le radici nel territorio spiegano anche perché Palluda sia rimasto fedele negli anni a Canale e non si sia mai fatto attrarre dalle lusinghe di aprire in luoghi dove la sua cucina avrebbe potuto avere più visibilità e riconoscimenti, anche economici. “Io qui sto bene e non vedo perché dovrei cambiare. Non mi passa neppure per la testa -afferma categorico- In famiglia ritrovo il mio equilibrio e il territorio oggi mi ripaga degli sforzi che ho fatto in passato regalandomi serenità. Mi nutre l’anima. E poi a me piace stare in cucina, lavorare ai fornelli. Essere bravi chef vuol dire anche stare dietro le quinte e sporcarsi le mani: io non riuscirei mai a dare il mio nome a ristoranti dove so che non potrei essere una presenza costante. E dire che proposte ne ho avute tante e ne ho tuttora…”. Tutto perfetto, una vita senza sbavature quella di Palluda, da ricominciare daccapo senza cambiare nemmeno una virgola? Sì, anzi no. “Se dovessi ricominciare da zero avendo però la consapevolezza di oggi, forse farei il nutrizionista -ammette- Mi piacerebbe spiegare alla gente come può scegliere e usare i prodotti migliori per fare una cucina semplice, buona, gustosa e non banale. Insomma, che può star bene mangiando perché noi siamo quello che mangiamo. È il messaggio che mi ha trasmesso mio padre e che è alla base della mia cucina. E, a mia volta, mi piaceF B rebbe trasmetterlo agli altri”. SCHEDA

All’Enoteca di Davide Palluda via Roma 57 12043 Canale (Cn) tel. 0173.95857 www.davidepalluda.it


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BATTESIMI UN VINO DAL NOME ALTISONANTE CHE È INDUBBIAMENTE UNA DELLE PIÙ ALTE ESPRESSIONI DELLA SPUMANTISTICA TRENTINA. INTENSO E PERSISTENTE, È UN MILLESIMATO EXTRA BRUT DA GUSTARE A TUTTO PASTO CHE CONFERMA LA DINAMICITÀ DELLA CANTINA ROTARI E LA SUA CAPACITÀ DI GUARDARE AL FUTURO

AlpeRegis, regale Trentodoc Barbara Amati

H Negli splendidi vigneti trentini nasce AlpeRegis, il nuovo millesimato della Cantina Rotari

a un nome altisonante all’altezza della sua personalità. È AlpeRegis, il nuovo Trentodoc millesimato della Cantina Rotari di Mezzocorona. Per presentarlo, il management dell’azienda trentina -il presidente del Gruppo Luca Rigotti e l’amministratore delegato Fabio Rizzoli- ha ospitato operatori, giornalisti e autorità, nelle suggestive sale dalle altissime capriate in legno e acciaio, per una cena a quattro mani che ha unito la cucina del territorio dello chef Marcello Franceschi del Forte Alto di Nago di Torbole (Tn) alle suggestioni culinarie orientali di Simona Bontà. AlpeRegis è un nome che si riallaccia alla storia stessa del territorio trentino: da un lato evoca la figura di Rotari, il grande Re longobardo famoso per il suo Editto e, dall’altro, richiama il territorio alpino che ha contribuito a renderlo leggendario fissando le sue gesta nella storia. Questo millesimato, prodotto nella vendemmia 2007, è a base esclusivamente di uve chardonnay, la varietà che ha trovato nell’area dolomitica, e sulle pendici più soleggiate, le condizioni ideali per una perfetta espressione del suo carattere. Terreni ricchi di minerali e un clima alpino caratterizzato da giornate calde, poco umide, e notti fresche, permettono una completa maturazione delle uve che alla raccolta risultano di grande ricchezza aromatica e naturale acidità. La vendemmia, condotta rigorosamente a mano, è svolta selezionando in vigna i grappoli migliori e lo spumante è ottenuto seguendo il tradizionale metodo Classico. Così, il vino base fermenta principalmente in acciaio e solo una piccola percentuale in legno, utilizzando barrique con tostature leggere, in modo da non coprire il frutto dello Chardonnay con note di legno troppo invasive. Grazie alla maturazione sui lieviti di oltre 48 mesi,

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AlpeRegis forma il suo carattere, generando fragranti aromi molto complessi. E la versione Extra Brut, con 4,5 grammi di zucchero per litro, è stata scelta proprio perché consente di esprimere al meglio il carattere del vitigno di origine e del territorio. AlpeRegis è un Trentodoc che esalta il fascino dello stile Rotari. Dal perlage elegante, omogeneo e persistente, ha colore giallo tenue con sfumature paglierine molto delicate, un profumo che colpisce per le note varietali intense ed eleganti di frutta matura, mela golden e ananas. Ricercate sfumature fruttate e aromi di crosta di pane date dal lungo affinamento in bottiglia completano l’importante bouquet aromatico. In bocca è intenso, fragrante ed equilibrato, con uno stile asciutto e minerale tipico di uno spumante di montagna e degno della migliore tradizione del Trentodoc. Il finale evidenzia note di frutta secca, noci e nocciole, ed è lungo e persistente. È indubbiamente una delle più alte espressioni della spumantistica trentina, per la sensazione di pienezza, fragranza e freschezza: persiste a lungo in bocca e vi entra potente, ricordando le migliori etichette d’Oltralpe: “È un Trentodoc che dimostra la dinamicità dell’azienda, la sua capacità di guardare al futuro e di garantire un’economia agricola di cui noi rappresentiamo il 40 per cento”, ha detto il presidente Rigotti alla stappatura della prima bottiglia di AlpeRegis. L’azienda ne produce 45 mila bottiglie e negli intenti si vorrebbe che questa etichetta diventasse la bandiera del territorio trentino, dalla connotazione sorprendentemente riconoscibile, in grado di competere alla pari con etichette di pregio di altre zone. È un prodotto importante che si accom-

pagna al pasto -una caratteristica che accomuna tutti i Trentodoc dell’azienda- non è dunque un vino da aperitivo, ed è adatto ad essere gustato con crudità di mare, scampi crudi e ostriche, con piatti a base di pesce, risotti e secondi piatti anche a base di carne. E, infatti, AlpeRegis ha dimostrato la sua versatilità e la sua capacità di reggere abbinamenti differenti e di soddisfare palati esigenti all’evento di presentazione che ha giocato appunto sulla cucina del territorio come su quella orientale: l’abbinamento con tutti i piatti è risultato particolarmente soddisfacente e questo dà credito al claim di AlpeRegis, un Trentodoc “unico, autentico, audace, contemporaneo, cosmopolita, regale”. Un prodotto distintivo anche nel packaging rinnovato, per sottolineare il carattere di esclusività di questo millesimato disponibile solo e, a nella migliore ristorazione e nelle enoteche, ato un prezzo intorno ai 25 euro, accompagnato da una oggettistica dedicata. F B

Dal packaging distintivo, che ne sottolinea il carattere di esclusività, AlpeRegis è disponibile nella migliore ristorazione e nelle enoteche, a un prezzo intorno ai 25 euro, accompagnato da una oggettistica dedicata. In alto, il presidente del Gruppo Mezzacorona Luca Rigotti stappa la prima bottiglia

ANNATE

Caveau Rotari, spazio prezioso o La presentazione di AlpeRegis è stata anche l’occasione per inaugurare il Caveau Rotari, uno spazio prezioso che custodisce le migliori annate del Trentodoc dell’azienda: attualmente accoglie 6 mila bottiglie. È un ambiente di grande eleganza, in bianco e grigio, a temperatura controllata, ata, curato dall’architetto Paolo Margoni, con annessa una saletta di degustazione (a temperatura ambiente) affacciata sulla cantina sottostante: lame di vetro consentono uno scambio tra il Caveau e la cantina così da potere godere del fascino evocativo del luogo anche dall’esterno. Pensato e realizzato come una biblioteca storica della Cantina Rotari, il Caveau ospita tutte le annate dal 1993 in avanti in nicchie appositamente studiate.

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SFIDE IL BRAND ITALIANO DELL’ACQUA EFFERVESCENTE NATURALE PREMIA SEI CUOCHI VINCITORI DEL CONCORSO IN CUI L’ELEMENTO DI BASE DELLE PREPARAZIONI È L’ACQUA. TUTTI HANNO DATO PROVA DI UNA GRANDE VIVACITÀ CREATIVA, SIA NELLA COMPOSIZIONE DELLE RICETTE CHE NELL’IMPOSTAZIONE DEI VIDEO

Con Acquadichef, Ferrarelle premia la creatività Irene Catarella

U I cuochi vincitori di Acquadichef, concorso online che ha coinvolto molti giovani professionisti

na sfida culinaria e creativa, quella della prima edizione di Acquadichef, il Water plate contest proposto da Ferrarelle e dal network multimediale Italia Squisita, alla quale hanno partecipato una cinquantina di cuochi che si sono impegnati e divertiti a creare, filmare e postare sul sito dedicato all’iniziativa (www.acquadichef.com) le loro video ricette. Il tema? L’acqua protagonista del piatto: e così, c’è chi ha usato l’acqua piovana, chi la neve, chi l’acqua di pomodoro o di mozzarella, chi il vapore acqueo del ferro da stiro... Sei i cuochi vincitori: tre premiati dalla giuria critica presieduta da Gennaro Esposito, dal sommelier campione del mondo Luca Gardini, dalla redazione di Italia Squisita, dal professore Massimo Bergami e da Michele Pontecorvo, responsabile ufficio stampa e relazioni esterne di Ferrarelle, e tre eletti dalla giuria popolare che ha votato online la ricetta preferita. Primo classificato per la giuria popolare, Giuseppe Iannotti del ristorante Kresios di Telese Terme (Bn) con Filetti di trota alla maniera svedese gravlax, trippa in infuso di erbe, guance con grattachecca di acqua sulfurea; secondo, Antonio Martuscelli de Il Panigaccio di Eboli (Sa), con il suo Acquarello di mare, che vede lo chef dipingere sulla tela di ceramica gli elementi del mare profumati con l’acqua marina stessa; terzo, Tano Simonato di Tano passami l’olio (Mi), con il Raviolo trasparente fatto di acqua scozzese e whisky, mousse di corallo, tartare di capesante e crema di pomodoro. Premiati dalla giuria tecnica, invece, per la migliore ricetta Alessandro Negrini, Fabio Pisani e Mario Peqini de Il Luogo di Aimo e Nadia (Mi) con la Crema bruciata d’ acqua di sorgente; per il miglior concept creativo Enrico Crippa del Piazza Duomo di Alba (Cn)

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per Calamaretti alla bouillabaisse, patate novelle, alga nori, untuosità di zafferano e tapioca; per il miglior video Andrea Mainardi de L’officina cucina di Brescia con il Ghiac-a ciolo di liquirizia, limone, vodka e acqua di ostriche. e, “Una grande soddisfazione, sta perché inaspettata, per questa h f prima edizione di Acquadichef. L’avevamo immaginata come un modo per dare a Ferrarelle una maggiore visibilità, ma c’è stata una tale partecipazione di cuochi che si sono ingegnati, divertititi, hanno ideato ricette sorprendenti e girato video bellissimi, che davvero ci ha sorpreso”: Michele Pontecorvo, responsabile pubbliche relazioni di Ferrarelle, l’impresa di famiglia, è raggiante, non si aspettava un simile successo per un premio lanciato un po’ in sordina che, però, già partiva con il piede giusto grazie alla collaborazione di un cuoco come Gennaro Esposito, già testimonial dell’azienda. Agli chef partecipanti Ferrarelle non ha dato grandi linee guida, ha chiesto solo che la ricetta dovesse essere in grado di esaltare l’acqua come elemento naturale alla base della buona cucina. C’è stato un grande entusiasmo da parte dei cuochi stimolati dalla creatività di Gennaro Esposito che ha registrato il video di una divertentissima zuppa di sassi di spiaggia. “Scegliere è stato difficile, ma molto stimolante -ribadisce Pontecorvo- Per noi questo è stato un modo di lanciare un segnale alla ristorazione di eccellenza che oggi lamenta il fatto di non avere più un’azienda di riferimento specifica per l’acqua. Ferrarelle è un’azienda totalmente italiana e, per quanto l’export

sia importante, sicuramente il cuore del nostro business è in Italia, ep puntiamo a essere considerati l’acqua d’eccellenza della ristol’ rrazione stellata italiana”. D’altra parte, la bollicina di Ferrarelle è p molto raffinata: “Il suo diametro è uguale a quello della bollicina dello Champampagne -ricorda l’imprenditore- quindi uindi è una bollicina b lli i naturale, t molto delicata, che accarezza il palato e lo solletica stimolando ndo il desiderio di assaggiare molti piatti; inoltre, tre, è un’acqua che per la sua composizione ne organolettica e chimica ben si sposa con on tutta una serie di cibi, dai più classici della la nostra tradizione, come il formaggio o la a pizza, alle preparazioni più elaborate. È un’acqua che ha soprattutto una proprietà à funzionale particolare: stimola moltissimo la digestione, infatti è una delle acque con il più alto contenuto di bicarbonato di sodio. Quindi, bere Ferrarelle durante il pasto, aiuta ad affrontare al meglio anche i momenti più impegnativi a tavola”. “Sicuramente -aggiunge Michele Pontecorvoorvo l’anno prossimo investiremo maggiori risorse, in termini di lavoro, per rendere più importante Acquadichef, così da avere un più ampio ritorno d’immagine e visibilità. Inoltre, oltre a continuare a dare il nostro appoggio a Festa a Vico, stiamo valutando altre collaborazioni legate soprattutto ai cuochi emergenti, perché in Italia ce ne sono tanti e sono giovani validissimi che meritano maggiore visibilità, e in questo vogliamo F B essere al loro fianco”.

Gennaro Esposito e Massimo Spigaroli: due cuochi “fuori concorso” che hanno offerto sfiziose golosità per festeggiare i vincitori

Michele Pontecorvo, responsabile pubbliche relazioni di Ferrarelle, l’azienda di famiglia intenzionata a dare visibilità agli chef emergenti

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RISTORANTI ALLE FALDE DEL VESUVIO, CARMINE MAZZA HA RICHIAMATO NEL NOME DEL SUO RISTORANTE, IL POETA VESUVIANO, I TRASCORSI DELL’AUTORE DE LA GINESTRA A TORRE DEL GRECO. QUI SI GUSTA UN’ECCELLENTE CUCINA CREATIVA DAI SAPORI MEDITERRANEI E CON PRODOTTI RIGOROSAMENTE DEL TERRITORIO

Dedicato a Leopardi Laura Gambacorta

D Lo chef Carmelo Mazza e la moglie Amalia: un amore coltivato con la passione per la cucina

ue cuori e un ristorante. Così si potrebbe riassumere in modo molto sintetico la storia di Carmine Mazza e Amalia Guida, coppia ventisettenne al timone, dalla fine del 2007, del ristorante Il Poeta Vesuviano di Torre del Greco (Na), cittadina alle falde del Vesuvio famosa per la lavorazione del corallo. Il colpo di fulmine per la cucina arriva a Carmine ad appena 12 anni. Un grande amore coltivato con passione e arricchito da esperienze in cucine importanti. Negli anni in cui frequenta l’istituto alberghiero di Vico Equense, durante l’estate si sottopone alla dura, ma molto formativa, palestra dei ristoranti specializzati nella banchettistica. Arriva poi l’esperienza a Palinuro in un hotel a 4 stelle che gli regala l’incontro con Amalia, sua compagna di vita e di lavoro, che al Poeta Vesuviano cura con garbo il servizio in sala e che per amore ha lasciato il Cilento. Sono, però, le due esperienze successive a formare in modo determinante la personalità di Carmine come chef: prima sull’isola di Tiberio al Capri Palace nella brigata del bistellato teutonico Oliver Glowig e poi in Penisola sorrentina al prestigioso Don Alfonso 1890 di Sant’Agata sui due Golfi. Dell’esperienza alla corte degli Iaccarino, scuola che ha formato gran parte dei migliori cuochi campani e non solo, Mazza dice: “Al Don Alfonso ho imparato ad avere grande rispetto per la materia prima che deve essere sempre di altissima qualità ed essere sottoposta a cotture leggere che consentano il più possibile di preservarne le qualità organolettiche”. Terminata l’esperienza al Don Alfonso, Carmine avverte l’esigenza di esprimere tutta la propria creatività in un locale di sua proprietà. Nasce così Il Poeta Vesuviano, in riferimento a Leopardi

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che visse negli ultimi anni della sua vita a Torre del Greco, a Villa Ferrigni, una delle residenze del famoso Miglio d’Oro, dove compose La Ginestra. La scelta del nome del ristorante si deve a un fortuito ritrovamento da parte di Carmine di una cartellina di appunti scolastici su Leopardi, proprio nel periodo in cui stava decidendo come nominare il locale. Che al testardo Mazza piacciano le sfide difficili è evidente. Lo dimostra la scelta della “sua” Torre del Greco per proporre una cucina creativa che avrebbe avuto sicuramente vita più facile nella vicina Penisola sorrentina, già da tempo meta abituale di gourmet. Carmine e Amalia dimostrano una maturità di gestione ben superiore alla loro età anagrafica. In un mondo della ristorazione, purtroppo, caratterizzato molto spesso da locali faraonici privi di anima e di logica, aperti, solo per investimento, da ricchi imprenditori che non hanno la minima idea di come si gestisca un’attività del genere, è bello vedere un ristorante come Il Poeta Vesuviano in cui in ogni dettaglio si ritrova tutto il cuore dei titolari. In questi quasi cinque anni di vita del locale tutto si è trasformato lentamente, con i giusti tempi, seguendo di pari passo la crescita professionale della giovane coppia: tutto ciò che occorre per il buon funzionamento del ristorante viene acquistato un po’ alla volta, via via che l’attività si espande. Anche per la cantina è accaduta la stessa cosa. Con un pizzico di orgoglio lo chef torrese racconta di essere partito con appena quindici etichette in carta per arrivare alle attuali 150 tra cui primeggiano le produzioni del vesuviano accompagnate da quelle più rappresentative di altri territori. Sorprende favorevolmente la presenza, inconsueta per un locale ancora in crescita, di una carta delle acque che con sei tipologie riesce a coprire quasi l’intera gamma di possibili abbinamenti. Appena ventotto i coperti distribuiti in una sala piuttosto spaziosa per poter dedicare l’adeguata attenzione a ogni cliente. Il menu cambia quattro volte l’anno assecondando la stagionalità dei prodotti, ma alcuni must come gli gnocchetti al limone con vongole e

calamaretti, presenti in carta sin dal primo giorno di apertura del locale, si trovano sempre. Nei piatti di Mazza si riscoprono i sapori del mediterraneo interpretati con la giusta dose di creatività. Freschissime e di qualità le materie prime. Il pescato viene acquistato da fidati pescatori locali; gli ortaggi, la frutta, le erbe aromatiche e i pomodorini del piennolo, poi, sono “a metri zero” perché arrivano da un terreno poco distante dal ristornate curato direttamente dal papà di Carmine. Per l’olio extravergine di oliva, la mozzarella di bufala e le alici di menaica, si ricorre al Cilento o al casertano, rispettivamente pettivamente terra di origine e di adozione di Amalia. Pane, pasta fresca, dolci e cioccolato sono rigorosamente mente fatti in casa e FF B F B preparati ogni giorno. SCHEDA

Il Poeta vesuviano viale Europa 42 80059 Torre del Greco (Na)) tel. 081.8832673 www.ilpoetavesuviano.it chiuso domenica sera e lunedì nedì

Un locale arioso e ben curato: Il Poeta Vesuviano propone con creatività i sapori mediterranei. Carmelo Mazza dedica grande attenzione alla stagionalità dei prodotti e il menu cambia quattro volte all’anno


RILANCI UN TEAM CAPITANATO DALL’ENOLOGO ANSELMO MARTINI CON LA COLLABORAZIONE DI GIORGIO GRAI HA LAVORATO PER DARE NUOVA LINFA A UNA SERIE DI VINI TRENTINI BIANCHI E ROSSI REALIZZATI DA CAVIT, RAPPRESENTATIVI DELL’ECCELLENZA TERRITORIALE E RISERVATI A RISTORANTI ED ENOTECHE DI TUTTA ITALIA

Bottega Vinai esalta le eccellenze del Trentino Stefano Masin

I Bottega Vinai è una collezione pregiata di vini che esprime il meglio della produzione enologica trentina, offrendo la qualità e l’eleganza proprie di questa regione

l Trentino è sempre stato il luogo di provenienza di prodotti straordinari, come formaggi, frutta, salumi e, ovviamente,… vino. È proprio per questo motivo che Cavit, cooperativa che riunisce undici cantine sociali trentine e che annovera tra i suoi associati più di 4.500 viticoltori per un totale di 5.500 ettari pari al 60 per cento della produzione trentina, ha deciso di far risaltare le tipicità del territorio rinnovando i prodotti firmati Bottega Vinai. Questa linea raccoglie un vasto assortimento di vini Doc rossi, bianchi e rosati, riservati alla ristorazione e alle enoteche. Per dare nuova linfa a Bottega Vinai è stato realizzato un progetto partito dalla cantina con un team di enologi Cavit guidati da Anselmo Martini e supportati dalla collaborazione di Giorgio suppo Grai. I lavori sono iniziati con ricerche qualitative e degustazioni comparate qual attraverso cui sono state stabilite le linee attra guida da seguire. Sono stati, quindi, gui rivisitati i vini con l’obiettivo di tipicizrivi

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zare ciascuno di essi esaltando le caratteristiche del vitigno di provenienza dal punto di vista organolettico, puntando sui caratteri aromatici e di freschezza dei bianchi e sull’eleganza e la finezza dei rossi. Sono stati rivisti, inoltre, packaging ed etichette, così da poter individuare tipologie differenti di bottiglie in funzione del vino. Tutto questo è stato realizzato con lo scopo ultimo di avvicinarsi ai gusti dei consumatori. Un equilibrato connubio di tradizione e innovazione scientifica ha storicamente rappresentato la direzione verso cui l’azienda si è orientata per raggiungere sempre più alti livelli qualitativi. È partendo da queste sinergie che Bottega Vinai ha rinnovato vini rossi, come il Trentino Doc Marzemino, dai sentori di viola mammola, moderata acidità ed equilibrata tannicità, particolarmente armonico e rotondo, e il Teroldego Rotaliano Doc, con profumi di lampone e frutti di bosco, stoffa piena, corposo e austero, e bianchi, come il Trentino Doc Nosiola, dalle spiccate note floreali con sottofondo leggermente aromatico e note fruttate, un sapore elegante, ma discreto, e il Trentino Doc Müller Thurgau, dal profumo complesso che unisce le note aromatiche del cedro e del bergamotto alle note più delicate dei fiori di sambuco e acacia. A completare la gamma, troviamo altri vini tipici del territorio come Lagrein Dunkel, Gewürztraminer e Schiava gentile, oltre ai vitigni internazionali. F B



FOCUS A FRONTE DI VOLUMI GENERALI DI VENDITA IN CALO, LA GRAPPA TIENE, MA NEL FUORICASA VA ORMAI SOLO SE DI ALTA QUALITÀ. LE GIALLE INVECCHIATE E LE MORBIDE AROMATICHE FUNZIONANO, MA SONO APPREZZATE ANCOR PIÙ LE BIANCHE SECCHE E AUSTERE. DONNE E TRENTENNI I SEGMENTI IN ASCESA

Grappa: tra i distillati vince il made in Italy Roger Sesto

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arlare di distillati in questa fase storica non è semplice. Tra ventate neo proibizionistiche e (pseudo) salutistiche, normative -a tutti i livelli- sempre più severe, a cominciare da quelle fiscali e del Codice Stradale, una crisi economica ormai stagnante, disquisire di grappe potrebbe sembrare un ulteriore modo per farci del male, correndo il rischio di imbattersi in considerazioni e numeri apocalittici. Ebbene, nonostante tutto, così non è. Secondo l’Istituto Nazionale Grappa la produzione di questo distillato nel 2011 è stata di circa 80 mila ettolitri, con una contrazione dell’11 per cento rispetto al 2010, a fronte di un dato di vendita che sostanzialmente conferma una buona tenuta del comparto, 80.300 ettolitri, pari a -5,9 per cento rispetto all’anno precedente. Interessante anche la quota di export, che rappresenta il 23 per cento del venduto, per lo più assorbita dalla Germania, seguita a distanza da Svizzera, Canada e Stati Uniti. Quanto all’offerta, naturalmente è concentrata nelle regioni settentrionali, Veneto in testa. Più innovativo è il dato relativo alla domanda di grappa: se anni fa la si consumava prettamente dove la si produceva, oggi gli amanti di questo distillato sono distribuiti su tutta la penisola, a testimonianza che ormai si può parlare di questa acquavite come di un prodotto bandiera del Belpaese. “Il mercato della grappa continua a evolvere nella direzione di un consumo di ordine qualitativo -spiega Elvio Bonollo, presidente dell’Istituto Nazionale Grappa- Le quantità -inutile negarlo- mostrano negli ultimi anni una contrazione, sebbene assai più contenuta di quella di tutti


È aumentata la cultura di chi consuma grappa, che si orienta via via verso prodotti di sempre maggior livello. Si ricercano etichette di elevata caratterizzazione organolettica, capaci di offrire una vera esperienza edonistica

gli altri superalcolici, ma in compenso è aumentata nettamente la cultura di chi consuma grappa, che si orienta via via verso prodotti di sempre maggior livello. In altre parole, i fruitori ricercano oggi grappe di elevata caratterizzazione organolettica, capaci di offrire una vera esperienza edonistica”.

Il monovitigno è un must Chiarito che i numeri mostrano delle criticità non drammatiche, vediamo quale direzione stanno prendendo le preferenze gustative dell’attuale consumatore di grappa. “A parte le torbate, il monovitigno ormai è quasi un must; mentre l’affinamento in barrique va visto come possibile mezzo e non come fine -afferma Luigi Odello, presidente del Centro Studi Assaggiatori- Se è vero che il consumatore identifica il tipo di grappa dal colore, e che le tonalità paglierino-ambrate sono sinonimo di elevazione in legno, tipologia tuttora in crescita, le grappe oggi di successo hanno in realtà due caratteristiche che le accomunano: hanno un nome suggestivo (ad esempio Amarone) e sono suadenti. Ma di una morbidezza non falsa, ossia zuccherina, ma autentica, ovvero generata da materie prime di qualità e da maestria di produzione; una rotondità accresciuta da eventuali note fruttate e floreali: ecco perché, dopo le invecchiate, sono gradite le aromatiche (Moscato, Malvasia, Müller thurgau, Sauvignon...)”. Ma si può segmentare il mercato dei consumatori di grappa? “Non esiste una precisa correlazione fra tipologia di grappa e caratteristiche del consumatore -risponde Odello- ma pos-

siamo dire che oggi la grappa si stia consolidando nella seconda a fascia della giovinezza -dai 30 aii 40 anni- e che le donne vogliono o bere quella dei loro compagni e non una versione ‘in rosa’. I più iù giovani e i più anziani, invece, graradiscono di più i liquori, magari ri a base di grappa”. Esistono dei legami fra terroir-grappa-consumatore, ossia è possibile produrre una grappa identitaria e percepita in questo senso dall’appassionato di questo distillato? “Purtroppo il legame di un tempo tra grappa e territorio si sta affievolendo, proprio quando la normativa -con l’istituzione delle Indicazioni geografiche- lo dovrebbe rafforzare -continua l’esperto- Non molto tempo fa il Trentino produceva grappa con il bagnomaria e il Piemonte con il bagnomaria di stile piemontese o con le caldaiette. Oggi l’alambicco incide molto sulla scultura del profilo della grappa: con il tempo c’è stata una contaminazione che ha portato al successo del bagnomaria di stile trentino, capace di dare, appunto, grappe più morbide. Certo, la base ampelografica regionale ha ancora un ruolo rilevante che, per certi versi, salva l’identità. Ma è soprattutto il mastro distillatore che scolpisce il profilo dell’acquavite. E il ruolo del vitigno rimane importante nel definire i tratti organolettici di una grappa, cioè quando sintetizza molecole capaci di trasferirsi nel distillato. Il resto è soprattutto una questione di marketing”. Per quanto

L’XO, extra old della piemontese Distilleria Sibona, è un prodotto particolare ottenuto dalla distillazione di una cuvée dei migliori vitigni di Langa e Roero: Barbera e Nebbiolo elevati per oltre sei anni in tonneau

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FOCUS

La ricchezza alcolica della grappa non si può ridurre più di tanto: quando nasce, reca nel suo Dna la gradazione più opportuna affinché sia appagante per chi l’assaggia

Nota, del Gruppo Mezzacorona, è una linea composta da grappe a base di vinacce trentine monovitigno: punta su aromaticità, delicatezza, fragranza gusto-olfattiva

riguarda la gradazione, nella grappa la ricchezza alcolica non si può ridurre più di tanto, afferma Odello: in ogni caso, ogni grappa, quando nasce, reca nel suo Dna la gradazione più opportuna affinché sia appagante per l’utente finale.

Giovani o invecchiate, sempre vincenti E le aziende, come si muovono? Luigi Barbero, direttore marketing della Distilleria Sibona di Piobesi d’Alba (Cn) afferma che cresce la fama della grappa all’estero: infatti, l’80 per cento della produzione aziendale è venduta in Germania, Svizzera e Austria, a dimostrazione che il mercato della Austr grappa non è più solo appannaggio dei grap ristoranti italiani. Il prodotto si è affinato risto e, quindi, q anche all’estero è consumato da bevitori sempre più di alto profilo e di elevata competenza nella scelta tra le varie tipologie proposte sul mercato internazionale. E, infatti, la storica distilleria ha deciso di puntare su d una novità assoluta nel mondo u della Grappa, proponendo l’XO (eXtra Old), uscito a fine 2011. Un prodotto particolare ottenuto U dalla distillazione di una cuvée dei migliori vitigni Langa e R Roero: Barbera e Nebbiolo, elevati per di L oltre 6 anni in tonneau. Per “extra old” si intendono infatti quei distillati selezioni, atti a invecchiare in legno per almeno 72 mesi. In questo senso andando a inserirsi in quello spazio di mercato che apprezza le grappe invecchiate. Diversa -opposta- è la strategia di mercato del Gruppo Mezzacorona. Con la linea Nota, composta da grappe a base di vinacce trentine monovitigno, si punta su aromaticità, delicatezza, fragranza gusto-olfattiva, per un palato morbido e pulito.

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Con la Grappa di Traminer e di Moscato Giallo, si va a cogliere quello spazio di mercato identificato da Odello, che viaggia di pari passo con quello delle gialle invecchiate, un segmento che gode di una relativa prosperità. Quella di Teroldego, più decisa e complessa, bianca a base di uve rosse, nasce da un vitigno principe. Ma i numeri sono contenuti, è un raffinato complemento di gamma proposta alla migliore ristorazione e alla enoteche. Premiata con medaglia d’oro al 30° Concorso nazionale Alambicco d’Oro, la Grappa Gewürztraminer può essere considerata la più identitaria fra quelle prodotte dalla Distilleria Psenner di Termeno (Bz). Distillata a bagnomaria con metodo discontinuo, è una grappa giovane di 43 gradi: a colpire è il suo aroma, di una freschezza inebriante data dalla dominanza degli aromi agrumati, con punte di buccia di arancia, pompelmo, mandarino, percepite unitamente ai profumi floreali dell’acacia, del giacinto, della camomilla, in una freschezza tipica delle grappe altoatesine. Rotonda e intensa al naso, in bocca è nettamente morbida e lievemente dolce. Ma per la Distilleria Psenner il


2012 si è complessivamente tradotto in un altro anno d’oro, vista la grande quantità di medaglie che l’azienda ha collezionato nei due più importanti concorsi promossi dall’Associazione nazionale assaggiatori grappa (Anag): l’Alambicco d’Oro, che ha premiato con la Medaglia d’oro la Grappa dell’Alto Adige Selezione, la Müller Thurgau, la Gewürztraminer e la Barrique, e l’Acquaviti d’Oro, che ha premiato la Grappa dell’Alto Adige Müller Thurgau e la Barrique con la medaglia d’oro, e la Gewürztraminer con la medaglia d’argento. Per la costantemente pluripremiata distilleria Psenner l’impegno dei Mastri distillatori si riflette in una ricercata eccellenza apprezzata oltre i confini nazionali.

Al ristorante un target variegato Candolini, del Gruppo Branca, ha optato per un’accorta strategia di diversificazione, declinando i suoi distillati, comunque morbidi e stilizzati, in più tipologie; un’operazione che ha concesso al marchio una più ampia penetrazione di mercato, consentendogli nel 2008 di raggiungere una posizione di leadership di settore in Italia. Queste le versioni prodotte, capaci di andare a cogliere quasi ogni nicchia di domanda: Candolini Bianca, con aroma e gusto equilibrato e particolarmente delicato; Classica, dal gusto ampio e articolato, affinata in botti di legno e leggermente ambrata; Riserva (distribuita solo nel canale horeca), per gli estimatori di un gusto intenso e maturo; ambrata, affina oltre 18 mesi in botti di rovere; Ruta, aromatizzata con un infuso dell’omonima pianta.Infine, la Gran Miele -novità 2012- leggermente ambrata e rotonda al gusto grazie alla presenza del miele, si abbina alla piccola pasticceria. Oltre a queste versioni, Candolini ha in gamma una linea monovitigno, la Sensea, a base di Chardonnay, Moscato,Prosecco, Pinot. Ma, infine, come è vissuta la grappa al ristorante?

“Da noi i consumatori di questo grande distillato sono il 5 per cento dei nostri clienti, pur restando la grappa il superalcolico comunque più richiesto -afferma Luciano Terraneo, patron de La Scaletta di Cantù (Co)- La maggioranza richiede un prodotto bianco, morbido; le versioni più secche e ancor più quelle affinate in legno sono di appannaggio di una piccolissima nicchia di mercato. Si tratta, comunque, di persone mature e di un certo spessore culturale”. Ma, precisa Terraneo, nel contesto di serate a tema il discorso cambia: “In quel caso, la richiesta di distillati si fa molto più consueta; forse perché psicologicamente il commensale sa di aver già travalicato i limiti imposti dall’etilometro e a quel punto non si fa più scrupolo di centellinare anche una buona grappa”. Ma la clientela che tipo di richiesta fa, quando vuole chiudere la cena con un distillato? “Si limita a chiedere una grappa morbida o secca o barricata. Non ne domanda la provenienza o il vitigno impiegato o altro. Siamo noi che a volte proponiamo una tipologia piuttosto che un’altra. Incidentalmente, trattandosi di prodotti più morbidi, i monovitigno di Moscato e di Traminer sono quelli che vanno per la mag-

Il marchio storico e un suggestivo scorcio della nuova Distilleria Psenner, abituata a fare incetta di premi ai concorsi più importanti

La Grappa di Gewürztraminer, affascina per gli aromi agrumati e le note floreali: insieme a quella di Müller Thurgau è protagonista con la medaglia d’oro al 30° Concorso Alambicco d’Oro

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MOSTRE

Candolini e Mastromatteo per A Liquid Vision

Al ristorante la grappa è il distillato più richiesto: il suo target è variegato, ma prevalgono i giovani e le signore e sono vincenti i prodotti più morbidi

Il Gruppo Branca opta per un’accorta strategia di diversificazione declinando i suoi distillati in più tipologie: Candolini Bianca ha aroma e gusto equilibrato e delicato

giore. Più in generale, ci sentiamo di suggerire distillati veneti (di Bassano), friulani e soprattutto trentini. Va piuttosto bene la grappa di Amarone. In ogni caso oggi tutti i consumi al ristorante sono in contrazione, per ragioni economiche e normative”. Paola Bertinotti, del Pinocchio di Borgomanero (No), fornisce un altro spaccato di realtà. “Certamente le normative del Codice Stradale penalizzano il consumo di tutti gli alcolici, a maggior ragione di grappe e distillati; però, da noi, i grandi prodotti vanno ancora, sebbene in quantità assai più limitate. Un 30 per cento dei nostri habitué si può dire ami ancora terminare una cena con un’ottima grappa. Noi puntiamo molto su quelle del territorio, di Gattinara in particolare: da vinacce di Nebbiolo, limpide, secche, bianche e molto alcoliche, più vicine ai 50 gradi che ai 40. Le nostre grappe sono molto austere, come classica e matura è la clientela che le domanda; difficilmente ci vengono richiesti distillati morbidi, aromatici e ‘leggeri’, a parte un po’ di monovitigno Moscato; lo stile piemontese in fatto di grappe (e non solo) è completamente diverso da quello del Triveneto: più difficile, ricercato e meno commerciale”. Per promuovere l’impiego di questi grandi prodotti, avete provato proposte alternative? “Sui piatti, ogni tipo di acquavite risulta troppo impegnativo; però usiamo spesso i distillati in cucina, ad esempio per sfumare la trippa, riprendendo un’antica tradizione di famiglia. Una piccola curiosità: la vecchia tradizione di servire la bottiglia di grappa accanto alla tazzina di caffè da noi è rimasta, così da lasciare la possibilità di versarsi un goccio a chicchera vuota e calda...”. Al Villa Maiella di Guardiagrele (Ch), il sommelier Nicola Boschetti suona un ulteriore spartito: “Da un

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Grappa Candolini è partner di A Liquid Vision, una mostra che ha aperto i battenti lo scorso 2 ottobre alla Fondazione Forma per la Fotografia, a Milano, e che costituisce un percorso tra i sensi e la sensualità, tra liquidità e trasparenza, purezza ed essenzialità, che riprende e fa convivere una selezione tra le opere delle ultime personali dell’artista Giuseppe Mastromatteo. La consonanza fra il marchio del Gruppo Branca e il lavoro di Mastromatteo espresso in A Liquid Vision balza subito agli occhi: trasparenza, sensualità, essenzialità delle forme sono alcuni dei tratti distintivi tanto dei distillati Candolini quanto delle opere dell’artista. Al termine dell’esposizione alla Fondazione Forma, da fine ottobre la mostra continuerà alla Collezione Branca, a Milano.

anno a questa parte stiamo assistendo a un ritorno al made in Itay, a tutti i livelli, tanto nel food quanto nel beverage. Non fanno eccezione -sebbene con grande parsimonia nei consumi- i distillati: scende il rum, sale la grappa. Del 40 per cento della nostra clientela che a fine pasto chiede un superalcolico, il 25 per cento vuole un prodotto tricolore, per lo più grappa. Ed è un target giovane, molti trentenni, e molto declinato al femminile: oltre il 50 per cento. Spesso sono proprio le signore le più esigenti, richiedendoci grappe bianche secche, non aromatiche, o gialle invecchiate. Magari l’uomo con il dolce prende un passito; la donna è più pronta a giocare, ad esempio abbinando una grappa adeguata a un dessert al cioccolato. In ogni caso nessuno beve più la grappa tanto per berla, ma vi è molta attenzione alla qualità; paradossalmente si è quasi più guardinghi nei confronti del prezzo dei vini che di quello dei distillati”. Un target curioso... in genere si è soliti a pensare alla grappa come a un prodotto maturo, richiesto dai meno giovani: “Da noi non è così. Anzi, il sessantenne -vuoi per motivi di salute, vuoi perché per arrivare da noi occorre percorrere anche molti chilometri, vuoi per il timore dell’etilometrospesso rinuncia al gran finale. Il trentenne invece si ferma di più a cena, si rilassa e prima di riprendere la via del ritorno fa la serata da noi, in modo conviviale, prendendosi anche il tempo per smaltire eventuali eccessi alcolici”. Ma che tipo di richiesta vi arriva nei confronti della grappa? “In genere ci domandano un gialla invecchiata importante, oppure una bianca secca a base di uve rosse, spesso Nebbiolo o Barbera; il resto lo decidiamo noi, partendo da questo input”. F B


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VALPOLICELLA RAFFAELLA VEROLI E DAVIDE GAETA DA ALCUNI ANNI GESTISCONO CON GRANDE RIGORE ED ESPERIENZA L’AZIENDA ELEVA, UN TEMPO LA PALA, SITUATA NELLA CONCA D’ORO, UNA DELLE ZONE PIÙ VOCATE NELLA VALPOLICELLA CLASSICA. UNA PICCOLA REALTÀ CAPACE DI PRODURRE UN GRANDE E RAFFINATO AMARONE

Eleva, amore e passione nella terra dell’Amarone Stefano Masin

‘‘P Raffaella Veroli, accanto al titolo e, sotto, con il prof. Davide Gaeta: insieme conducono Eleva, una tenuta di sei ettari dove nascono grandi vini e un pregiato Amarone

enso di fare il lavoro più bello del mondo. Amo tutto del mondo del vino, ma il momento più bello, per me, è sempre lo stesso: la vendemmia, con i suoi colori e i suoi profumi”. Se è vero che le cose fatte con amore sono le migliori, i vini della Società agricola Eleva (www.vinieleva.it) andrebbero comprati solo per le parole con cui l’enologa Raffaella Veroli descrive il proprio lavoro, soprattutto se si pensa alla fatica e ai sacrifici che comporta gestire un’azienda vitivinicola. L’azienda Eleva si trova nel comune di Sant’Ambrogio (Vr), all’interno della famosa conca d’oro, una delle zone più vocate nella Valpolicella Classica, terra di Amarone e Recioto. Per gli addetti ai lavori, tuttavia, Eleva può sembrare un nome poco conosciuto. Nasce, infatti, nel 2011, ma il team, le vigne e i vini sono gli stessi da molti anni. Sì, perché non è altro cche l’azienda La Pala di Sant’Ambrogio che, a causa di un cavillo burocratico, ha dovuto cambiare il nome. E quel nome è dovu Eleva, così come sono elevate le colline Elev su cui c crescono i filari, 300 metri sul livello del mare, e l’elevage che riceve l’Amarone Piovesole, ch quattro anni in botti grandi di qu rovere e nove-dodici mesi in ro

bottiglia prima di essere commercializzato. La Pala, ora Eleva, fu acquistata e ristrutturata da Franca Maculan, grande e rispettata signora del vino, scomparsa prematuramente passando il testimone, appunto, a Raffaella Veroli e Davide Gaeta, docente di Politica vitivinicola all’Università di Verona, rispettivamente il braccio e la mente dell’azienda. Raffaella, infatti, con una laurea in Scienze naturali e una in Enologia, segue con energia e impegno il lavoro in vigna e in cantina, con il supporto del tecnico agronomo Francesco Tezza, mentre il prof. Gaeta si occupa di marketing aziendale. Una squadra affiatata che dai tre ettari vitati sui sei totali dell’azienda produce ogni anno circa 14 mila bottiglie di Amarone Piovesole e un migliaio di Recioto Tomo XIV, oltre al Valpolicella Fralibri. “Al Piovesole, di cui quest’anno è stato commercializzato il 2005, abbiamo voluto dare dei caratteri distintivi -spiega Raffaella Veroli- Infatti, alle uve classiche, corvina corvinone e rondinella, abbiamo aggiunto un 15 per cento composto da teroldego, merlot, oseleta e croatina”. Un Amarone che rispetta uve e terroir, ma che si distingue grazie a piccoli accorgimenti che lo rendono grande tra i grandi, elegante, raffinato, con quel giusto tocco di potenza e una peculiare mineralità, prodotto da chi vive questo mestiere con preparazione, rigore e passione. F B



INCHIESTA PER MOLTI IL SUGHERO È E CONTINUERÀ A ESSERE IL PERFETTO COMPAGNO DEL VIAGGIO IN BOTTIGLIA, PUR A DISCAPITO DEL TERRIBILE TCA. PER OVVIARE ALL’INCONVENIENTE SI MOLTIPLICANO I TIPI DI CHIUSURA, DAL SILICONE AL VETRO, E I PRODUTTORI INTELLIGENTEMENTE COLGONO LE DIVERSE OPPORTUNITÀ

C’è tappo e tappo… Nicola Dante Basile

invece capsule”. Punto e a capo? Non proprio. Anche perché è da almeno tre decenni che si assiste a un crescendo del dibattito in materia di tappi. Un tema che coinvolge un numero incalcolabile di imprese agricole, di trasformazione di produttori di vino e, appunto, di tappi che macinano fatturati in miliardi di euro o di dollari. Per averne un’idea, basti dire che talune fonti stimano prudenzialmente in 13-14 miliardi le bottiglie di vino che ogni anno vengono confezionate e immesse nei circuiti commerciali internazionali. Altre, invece, si spingono fino a 17-18 miliardi. Il che significa che nell’accezione massima si tratta di un numero di bottiglie, da 0,75 centilitri, capaci di contenere appena la metà del totale vino prodotto nel mondo (260 milioni di ettolitri, la media dell’ultima decade). Cifre importanti che valgono anche per i tappi di ogni foggia e tipo di materiale utilizzato, dal sughero al sintetico, dal metallo al vetro o altro ancora. Questo spiega l’attenzione con cui i protagonisti dell’impresa enologica, nazionale e non, affrontano la questione e che vede in pole position l’offerta del prodotto di sughero che accredita circa i due terzi del vino imbottigliato, mentre un altro 15 per cento è in capo ai prodotti di 56 | FOOD&BEVERAGE OTTOBRE 2012

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hi conosce Angelo Gaja sa che è vignaiolo esuberante e tiene molto ai distinguo. Per cui, se gli si chiede un’opinione sull’uso dei tappi, la risposta non lascia spazio a dubbi già nella definizione dell’oggetto. Sostenendo che “come il vino è fatto di uva, così i tappi sono prodotti naturali ottenuti dalla lavorazione del sughero. Tutte le altre chiusure disponibili e utilizzate per imbottigliare sono


plastica e il restante 22 per cento va alla capsula a vite in alluminio. Ora, come ogni questione che appassiona il pubblico, anche il dibattito sui tappi sta diventando sempre più di stringente attualità. Se non altro per via della carenza di disponibilità che da alcuni decenni colpisce, a livello mondiale e in modo irreversibile, le piantagioni di querce da sughero. Un fenomeno che paventa scenari tragici per l’ecosistema ambientale, soprattutto di quei Paesi dove le foreste da sughero garantiscono, da sempre, ritorni economici non indifferenti. Si stima che tali piantagioni si estendano su una superficie globale di 2,2 milioni di ettari, per buona parte circoscritta ai Paesi rivieraschi il bacino del Mediterraneo che assicurano una produzione di 300 mila tonnellate annue di materia prima.

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Carenza di materia prima Secondo i dati forniti dal Gruppo Sughero di Assoimballaggi, leader incontrastato è il Portogallo con il 52,5 per cento del totale prodotto, seguito dalla Spagna con il 29,5 per cento. L’Italia si colloca in terza fila con un discreto 5,5 per cento, pari a 17 mila tonnellate di sughero, con la Sardegna che da sola incide per il 70 per cento, seguita a distanza da Sicilia, Calabria, Lazio, Toscana e Campania. In totale sono quasi 200 le aziende italiane che trasformano il sughero, con una produzione non sufficiente a coprire

l’intera domanda di tappi di sughero, stimata in circa 2 miliardi di pezzi. È in un simile contesto che la questione, ancorché di pubblico interesse, resta di massima pertinenza degli addetti ai lavori, desiderosi come sono di appropriarsi delle informazioni sui margini di utilità ottenibili. Per cui a favore del sughero pendono millenni di storia, che si riducono ad “appena” due secoli e passa di esperienza da quando, sul finire del XVIII secolo, il monaco benedettino Dom Pérignon, cellario nell’abbazia di Hautvillers, nei pressi di Epernay, imbrigliò il tappo di sughero al collo della bottiglia di vetro, salvaguardando l’eterea effervescenza dello Champagne e garantendo successo imperituro al tappo di sughero. Per contro vi è il potenziale tallone d’Achille che era e rimane il disgustoso “sapore di tappo” causato dalla presenza di molecole di Tricloroanisolo (Tca) nella quercia da sughero. Problema che, invece, non incombe sull’utilizzo di capsule a vite e prodotti sintetici in genere che, uni-

Il tappo in sughero oggi copre i due terzi del vino imbottigliato, mentre quelli di plastica rappresentano il 15 per cento e il restante 22 per cento va alla capsula a vite in alluminio. Ma la carenza di disponibilità di querce da sughero mette a dura prova la materia prima, il cui maggior produttore è il Portogallo, seguito da Spagna e Italia

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INCHIESTA PRODUTTORI

Nomacorc, l’alternativa al sughero

In Italia, l’utilizzo di prodotti sintetici tarda a diventare un mercato maturo, ma Nomacorc, leader mondiale del settore, ha recentemente presentato una gamma di tappi sintetici ispirata a una tecnologia innovativa, NomaSense

tamente a costi contenuti, hanno han l’apparente vantaggio di disporre disp di maggiori chance di successo. succ Ma in Italia è un mercato che tarda a diventare maturo, catoc a causa di fattori di segno tutt’altro che benigni, quali carenza di scambio di ossigeno, impossibilità di affinamento, facilità di ossidazione del vino. E, ultimo ma non minore, per l’impatto negativo sul consumatore, il cui immaginario resta fortemente ancorato al fascino che scaturisce dall’arcaica e coinvolgente azione del tire-bouchon. Questo spiega la determinazione di Gaja nel chiamare per nome le cose di cui si parla. Ma chi si aspetta che il produttore di Darmagi, Sperss o Gaja&Rey, vini rossi

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e bianchi che hanno anticipato di qualche decennio il rinascimento enologico italiano, sposi tout court la teoria del sughero, finisce per restare spiazzato. Poiché se è vero che “i tappi di sughero -sostiene- sono insostituibili per i vini importanti che necessitano di affinamento e lungo invecchiamento”, è altrettanto vero che “il futuro dell’imbottigliamento penda per il 70-80 per cento a favore dei tappi, pardon delle capsule a vite. Mentre sulle altre proposte continuo ad avere molte riserve”.

Gli alternativi Le considerazioni di Gaja trovano consonanza con quelle di altri protagonisti dell’enologia nazionale. Tra questi vi è Giancarlo Moretti Polegato, titolare di Villa Sandi e de La Gioiosa, nel trevigiano, che, se da un lato, sposa in pieno l’uso del sughero per i vini di fascia alta (tra cui il Prosecco Cartizze la Rivetta, reduce dal ricevere i “tre bicchieri” per il terzo anno consecutivo), dall’altro, fa già ampio uso di tappi alternativi. Tra i quali predilige la capsula a vite “che -spiega- oggi utilizziamo per i vini di fascia media, mentre in diversi altri Paesi è d’uso comune utilizzarli anche per vini di qualità”. E sulla stessa lunghezza d’onda si schiera il responsabile delle attività enologiche del Gruppo Italiano Vini, Christian Scrinzi che, a proposito dello Starvin (idioma internazionale che identifica la capsula a vite) assicura di avere massimo rispetto, in quanto “garantisce integrità del prodotto, evita le ossidazioni e non ha contaminazioni dovute al Tca”. Una scelta di campo che non rinnega il tappo

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Nomacorc, sede centrale a Zebulon in North Carolina, 500 dipendenti in tutto il mondo e impianti di produzione in Belgio e Cina, oltre agli Stati Uniti, è il secondo produttore al mondo di tappi per vini fermi. Ma la particolarità di quest’azienda è che i tappi prodotti sono alternativi al sughero. Hanno una consistenza e un aspetto del tutto simile a quelli di sughero naturale dei quali replicano i principi di elasticità e permeabilità all’ossigeno, ma senza averne i difetti. Le chiusure brevettate da Nomacorc, infatti, utilizzano un processo definito di co-estrusione. Sono formati da un nucleo espanso che garantisce una permeabilità costante e omogenea, e da una guaina esterna elastica che evita colature o perdite durante l’imbottigliamento e lo stoccaggio. Ma i vantaggi dei tappi Nomacorc vanno visti anche in chiave economica, nel senso che su 12 miliardi di bottiglie di vino chiuse ogni anno con i tappi di sughero, il 3 per cento una volta stappate risulta avere sapore di tappo, il che pp rappresenta un danno dal punto di vista monetario. Il problema problem non si pone, ovviamente, con i tappi Nomacorc che, inoltre, in sono prodotti in mono materiale, per questo facilmente facilm riciclabili. Ma il lavoro di Nomacorc non si ferma alla produzione di tappi: la collaborazione con istituti istitu di ricerca sul vino e sulla gestione dell’ossigeno d durante l’affinamento in bottiglia hanno portato, infa infatti, alla realizzazione del NomaSense (nella foto), uno strumento che grazie all’oxoluminescenza è in gra di misurare l’ossigeno presente nella bottiglia grado att attraverso il vetro, quindi senza bisogno di aprire il co contenitore lasciando intatta la possibilità di ripete le misurazioni nel tempo. Il tappo Nomacorc è tere u prodotto in grado di mantenere i vantaggi del un s sughero, senza i rischi che comporta utilizzare i ttappi pp naturali. In dieci anni, l’azienda ha commercializzato oltre 10 m miliardi di tappi, e negli ulti 3 anni, nonostante la ultimi produzione sia aumentata considerevolmente, ha r ridotto dell’8 per cento il p proprio consumo energetico e l’impronta di CO2 per co, ta tappo è scesa a 3,6 grammi.


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di sughero, visto che Giv ne fa ampio uso (68 per cento nelle sue varie proposte) e che in chiave prospettica qualcosa vorrà pur dire. Se non altro perché, come sostiene Dominique Tourneix, direttore generale della Diam Bouchage, azienda ben nota in tutto il mondo “il tappo a vite trova credito tra i produttori di vini di medio prezzo ed è molto sostenuto dalle catene della Gdo e della distribuzione moderna”. Non tutti però si dicono allineati. Il titolare della Oremplast, Giancarlo Pagani, in occasione di un convegno ebbe a dire che “i tappi sintetici fino a qualche anno fa erano percepiti come prodotti di qualità inferiore rispetto al sughero, adatti alla conservazione di vini di bassa qualità”. Ebbene, questo modo di pensare “ha distorto la valenza della proposta, causando non pochi danni all’industria del settore”. Ma c’è chi non si perde d’animo. Anzi, rilancia l’azione, come fa Nomacorc, specialista e leader mondiale di tappi sintetici che, non più tardi di qualche settimana fa, ha presentato a Milano una nuova gamma di prodotti che il direttore commerciale per Italia, Grecia e Turchia, Filippo Pieroni ha definito essere “coestrusi in polietilene espanso in grado di gestire lo scambio di ossigeno nella fase successiva all’imbottigliamento”. Dunque una tecnologia assai innovativa, destinata a sovvertire le considerazioni sui tappi sintetici fin qui note. Nell’attesa che i responsabili di cantine esprimano le loro valutazioni sul nuovo prodotto di Nomacorc, c’è chi, come l’azienda vinicola Donnafugata, tra le prime in Italia ad avere adottato per alcune linee di

prodotti il tappo di silicone, ha fatto nel el frattempo marcia indietro. “Una scelta a -racconta Antonio Rallo, responsabile della a produzione dell’azienda siciliana- che abbiamo dovuto fare per ovviare ad alcuni problemi causati da quel tipo di tappo e che abbiamo risolto adottando un nuovo prodotto che combina l’azione di due rondelle, di sughero e di materiale sintetico, etico, oltremodo efficaci nel proteggere il decorso orso del vino vino.

Il sughero, sempre competitivo Una soluzione, quella di Donnafugata che in qualche modo trova conferma nella tesi sostenuta da Carlos Santos, amministratore delegato di Amorim Corc Italia, controllata dell’omonimo Gruppo portoghese leader mondiale nella produzione di tappi di sughero. Dice Santos: “Per quanto oggi l’offerta di tappi sul mercato sia così ampia e presenti una miriade di soluzioni, di fatto non esiste una risposta univoca che metta fine a ogni problema. Sappiamo che i tappi in plastica sono permeabili al passaggio dell’ossigeno; siamo al corrente che vi sono tappi a vite di ultima gene-

Il volume “Il sughero: manuale tecnico per il corretto utilizzo dei tappi” promosso dalla Campagna di promozione del Sughero, è uno strumento pratico e facile da consultare per fornire le linee guida per un corretto utilizzo dei tappi in sughero in cantina

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INCHIESTA

L’immaginario del consumatore resta ancora fortemente ancorato al fascino che scaturisce dall’arcaica e coinvolgente azione del tire-bouchon, anche se spesso il sapore di tappo, di cui sono responsabili le molecole di Tricloroanisolo (Tca), convince i produttori a cercare strade alternative

razione che facilitano una leggera permeabilità e che i tappi in vetro rappresentano un fenomeno che si sta estinguendo da solo per l’eccessivo costo e la bassa performance. Tutto questo ci spinge a credere sempre di più nel futuro del tappo di sughero, l’unico

prodotto naturale che resta competitivo in tutti i sensi e garantisce al vino in bottiglia il massimo della qualità possibile”. Insomma, per Amorim, il tappo di sughero è il passato, è il presente, è il futuro del vino: il non plus ultra come compagno di viaggio in bottiglia. F B

CHIUSURE

C’è tappo e tappo. O meglio, ci sono i prodotti ottenuti dal sughero e quelli che hanno altre origini, come i tappi sintetici, ma anche derivanti dalla lavorazione di altre materie prime. In genere i tappi alternativi al sughero fanno parte della voce capsule. Qui di seguito riportiamo un elenco di prodotti di maggiore diffusione. Tappi di sughero Monopezzo: è composto da un unico pezzo di sughero, ha elevate caratteristiche di elasticità e, per questo, è considerato il non plus ultra per imbottigliare vini tranquilli di pregio, soprattutto a lunga conservazione. Multi pezzo: è composto da due o più pezzi di sughero incollati tra loro ed è indicato per grandi formati di bottiglie. Non si addice ai vini da lungo invecchiamento. Vini mossi: è formato da agglomerati di granuli di sughero e da una o più rondelle di sughero naturale poste alla base del tappo a contatto con il vino. È indicato per vini frizzanti, spumante, Champagne. Tecnici: generalmente è composto da una parte centrale di agglomerato e da rondelle di sughero poste su entrambe le estremità. È indicato per vini da consumarsi giovani. Incapsulato: è formato da due parti: quella a contatto con il vino è sughero naturale, mentre la parte superiore è una rondella generalmente di legno, ma può essere anche di Pvc, porcellana, metallo, vetro e altro. È un prodotto di servizio indicato per bottiglie contenenti liquori e superalcolici. Capsule Sintetico: ottenuto dalla lavorazione di polimeri, comunemente definito di plastica, nel gergo tecnico è conosciuto come tappo di silicone. Si tratta di un prodotto frutto dell’innovazione tecnologica ed è indicato per un’ampia fascia di vini bianchi e rossi che, però, non necessitano di affinamento e lungo invecchiamento. A fungo: è un pezzo unico ottenuto da polietilene, plastica, ed è stato uno dei primi prodotti alternativi al tappo di sughero, usato per vini frizzanti. Oggi è in via di abbandono. A corona: All’esterno è in metallo e ha la caratteristica forma della corona. All’interno, invece, vi è una guarnizione di plastica per usi alimentari (in passato anche una sottile rondella di sughero) a contatto con il vino. È molto usato per vini di basso prezzo e, grazie a una tenuta perfetta, nella preparazione del vino base spumante destinato alla rifermentazione. A vite: costituito da una lega in alluminio che forma il corpo con all’interno una ghiera per l’avvitamento, nonché di guarnizioni di plastica a contatto con il vino che garantiscano la buona tenuta della chiusura. A strappo: Copertura in alluminio con all’interno una guarnizione di materiale plastico, dotata di una linguetta esterna funzionale allo strappo laterale e quindi all’apertura del contenitore. È utilizzato per recipienti di grandi dimensioni, come le damigiane.

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Tappi per tutti i tipi


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INNOVAZIONI NEL 2011 DIAM BOUCHAGE HA TRASFORMATO 18 MILA TONNELLATE DI SUGHERO, IL DOPPIO RISPETTO A QUALCHE ANNO FA. UN RISULTATO OTTENUTO GRAZIE ALLA RICERCA TECNOLOGICA CHE HA PORTATO A UNA CHIUSURA IN GRANULATO DI SUGHERO, CHE EVITA IL PROBLEMA DEL GUSTO DI TAPPO

Diamant, il tappo che sconfigge la crisi Nicola Dante Basile

I Diamant è il tappo di sughero innovativo di Diam Bouchage, distribuita in Italia da Araldo

l torpedone ha tutto per essere comodo, ma il viaggio da Madrid a Cáceres non è veloce come si vorrebbe. Soprattutto se la meta va oltre la bella, antica e nobile città fortificata in Estremadura, al confine con il Portogallo. Eppure è questo il mezzo migliore da prendere per sentire il sottile profumo che emana la terra nera e secca di un pezzo di Spagna erroneamente fuori dai grandi flussi turistici. Il paesaggio donchisciottesco che si attraversa merita invece molta più attenzione, con le case coloniche in calce bianca all’apparenza disabitate e solitarie sulle colline stondate che si perdono in lontananza nella foschia, mentre campi di ortaggi si alternano a colture di cereali e pascoli, prima di lasciare spazio a piantagioni di querce da sughero che s’infittiscono sempre più, a mano a mano che la corriera corre, solitaria, sulla provinciale verso San Vincente de Alcantara. Poco più di un villaggio adagiato sul fianco di un colle sotto il sole di mezzogiorno, San Vincente non ha nulla per intrigare il turista. Diversa l’attenzione di chi vi arriva perché attratto dall’attività che fa di quest’angolo di terra uno dei distretti più importanti al mondo per la produzione di tappi di sughero. Le distese di sugherete lasciano intuire questo primato. E la conferma arriva non appena si giunge in prossimità del piccolo borgo: un centinaio di case a uno-due piani, un bar-caffè che all’occorrenza fa anche da locanda, un meccanico che aspetta lavoro seduto nella penombra dell’officina e un susseguirsi di segherie di piccole e medie dimensioni, con le loro immancabili cataste più o meno importanti di cortecce di sughero lasciate a stagionare al sole. Non è un caso che proprio qui abbia messo radici la Diam Bouchage, insegna ben nota a livello internazionale i cui tappi di sughero non sembrano conoscere crisi. Al punto che nei due stabilimenti di proprietà (oltre a San Vincente c’è quello di Céret , in Francia), lo scorso anno si è arrivati a trasformare qualcosa come 18 mila tonnellate di sughero di varia provenienza.

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Un risultato che in azienda riferiscono essere quasi il doppio rispetto a una manciata di anni fa. Se questo è avvenuto, la risposta sta nella ricerca tecnologica che Diam promuove e che ha permesso di mettere a punto un nuovo tappo per bottiglie di vino definito “rivoluzionario”. Di che cosa si tratta lo spiega il direttore generale, Dominique Tourneix, che parla di un tappo capace di annullare l’azione micidiale del Tricloroanisolo (Tca), la molecola presente nel legno di quercia che, a contatto con una qualsiasi bevanda, rende la stessa irritante e disgustosa. Per i meno esperti, si tratta del tristemente famoso “gusto di tappo” tanto temuto da produttori, ristoratori e consumatori. Una vera e propria jattura che ogni anno rende imbevibili da 300 a 500 milioni di bottiglie di vino nel mondo, su un consumo apparente di 17-18 miliardi di bottiglie. Il tappo Diamant è il risultato di un processo durato anni di ricerche -è la sintesi di Tourneix- che prevede una serie di operazioni, a cominciare dalla trasformazione in granulato della materia prima del sughero, vale a dire corteccia di quercia opportunamente stagionata, ma anche resti di sughero provenienti da altre lavorazioni. Il granulato viene poi rilavorato con un legante di poliuretano, di cui Diam ha l’esclusiva. L’impasto ottenuto, una volta compatto e omogeneo nella struttura, diventa inattaccabile da agenti esterni e soprattutto dal Tca. Il processo prevede l’uso di anidride carbonica “supercritica” (CO2 che a temperature particolari raggiunge uno stato intermedio tra il liquido e il gassoso), grazie alla quale si riesce a estrarre dal prodotto ottenuto le molecole di Tca responsabili, appunto, del funesto “gusto di tappo”. L’azienda di San Vincente de Alcantara, controllata del Gruppo francese Oeneo -153 milioni

di euro di consolidato nel 2011, quotata alla Borsa di Parigi e titolare della tonnellerie Seguin Moreau - non è certo l’unica a essere impegnata sul fronte Tricloroanisolo. Tecnologie diverse vengono applicate da altri produttori, a cominciare dal leader mondiale di mercato, la portoghese Amorim. È però un fatto che da quando i tappi di nuova generazione della Diam sono stati lanciati sul mercato, nel 2005, le vendite sono aumentate, arrivando a un miliardo di pezzi nel 2011. Di questi, 200 milioni sono stati commercializzati dall’importatore piemontese Araldo, che ne ha l’esclusiva per l’Italia (www. paoloaraldo.com). Sono indicatori che rivelano lo stato di buona salute di un’azienda che, grazie alla ricerca, cresce in fatturato e crea nuova occupazione: nello stabilimento di San Vincente de Alcantara oggi lavorano 150 addetti e con i nuovi investimenti a regime altri ne arriveranno. E di questi tempi... F B

A San Vincente de Alcantara, in Spagna, il Gruppo francese estrae la corteccia dalle querce e, una volta stagionata, trasforma il sughero in granulato: lavorandolo successivamente con un legante di poliuretano, lo rende inattaccabile dagli agenti esterni e, soprattutto, dal Tca, responsabile del sapore di tappo nel vino

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CROMOTERAPIA I COLORI DEI CIBI NON SODDISFANO SOLO IL SENSO DELLA VISTA. COME NELL’ANTICHITÀ, ANCHE OGGI È FONDAMENTALE AVERE NEL PIATTO IL GIUSTO ACCOSTAMENTO CROMATICO, ABILITÀ CREATIVA CHE RENDE GLI CHEF DEI VERI E PROPRI PITTORI DELLA TAVOLA E TERAPEUTI DEL NOSTRO BENESSERE PSICOFISICO

Mangiare il colore l’energia dei cibi Irene Catarella

C

hi potrebbe immaginare che, mangiando un pomodoro dall’intenso colore rosso, stia ingerendo una vibrazione energetica pari a quella che emana un cristallo come il rubino, che racchiude in sé tutta la potenza del fuoco e della terra (convenzionalmente associata al rosso e al nero)? Invece è proprio così, la persona in oggetto sta rinforzando la sua grinta, la sua determinazione e la sua stabilità, perché il rosso è anche il colore del primo chakra, ossia del primo centro energetico -ormai riconosciuto pure in fisica- che si trova nel perineo, alla base del nostro corpo. I colori dei cibi non sono solo puro appagamento dell’ideale visivo di bellezza, ma anche fonti energetiche a cui possiamo attingere per assumere ciò che ci necessita in quel momento. Al ristorante ordiniamo dei piatti perché attratti da un determinato cibo, ma può capitare che quando il cameriere li porta in tavola non “ci piacciano alla vista”, come si suol dire, proprio perché prima si mangia con gli occhi e poi con il palato. Perché mangiare è frutto di un gioco cromoterapico che dovrebbe condurci a stare meglio e a colmare i deficit energetici e, di conseguenza, a stare in armonia con noi stessi. Tutti avranno sentito parlare delle vicende di Bertoldo, villano di grande intelligenza, sul cui epitaffio fu scritto “È morto per non avere mangiato fagioli”: infatti, avuta la sorte di entrare a corte, gli veniva offerta dal re qualunque cosa fosse considerata allora leccornia e gli fu impedito di mangiare i suoi amati legumi dal colore del terreno, il marrone, simbolo del legno, elemento naturale che si modula e si fa plasmare, proprio come la testa sopraffina di Bertoldo. E che dire

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Ogni colore ha il suo significato e può donare serenità ed energia: in particolare il rosso (ciliegie, lamponi, ribes, fragole) sprona alla vita, aumenta l’adrenalina, stimola il coraggio. Il viola favorisce invece un sapiente approccio spirituale

dei frutti rossi, come ciliegie e frutti di bosco (mirtilli, ribes, lamponi, more e fragole), che sono ricchi di polifenoli, ossia di quelle sostanze antiossidanti che riducono l’invecchiamento cellulare perché contrastano la formazione dei radicali liberi, molecole di scarto responsabili della degenerazione dei mattoni fondamentali del nostro stro corpo? Le ciliegie, i lamponi, i ribes e le fragole non sono altro che macchie materializzate di sfumature di rosso; i lamponi hanno ottime virtù ù toniche, mentre i ribes contengono o potassio, utile per er mantenere i muscoli oli scattanti: si tratta a di proprietà che sembrano attivare l’energia vitale nell’indiviiduo proprio perché richiamano ill colore rosso del sangue ossigenato, simbolo di vita e privo di materiali di scarto (infatti le ciliegie hanno il potere di bloccare l’accumulo di depositi lipidici nelle arterie). Il vampiro Dracula era caratterizzato da un colorito plumbeo ed d è proprio per questo che si nutriva del sangue ue umano, umano per poter acquisire energia; così noi, se vogliamo strutturare la nostra forza energetica, dobbiamo assumere cibi dal colore rosso. La scelta di assumere cibi di questa tinta può essere fatta consapevolmente da chi ricerca uno sprone

alla vita, un impeto di forte passione, da chi vuole aumentare l’adrenalina, attivare il fegato, stimolare il sistema nervoso centrale, il coraggio, l’energia e la vitalità. Il rosso, inoltre, è un potente eccitante. Non per niente nell’immaginario collettivo e nei libri e film erotici, fragole e ciliegie la fanno da padr padrone per accendere i sensi. Uno chef che, oltre a deliziare i palati, volesse trasmettere p ai propri clienti una sensazione di benesser in questo caso basato su una spinta sere, en energeticamente potente, può costruire de piatti in cui la dominante sia il rosso, dei sp spaziando, ad esempio, dal pomodoro a pezzi al peperone o, semplicemente, a aggiungendo il succo del ciliegino fresco. Anche sui dolci può sbizzarrirsi con una salsa di frutti rrossi su una panna cotta, il cu cui bianco, che ha in sé la potenzialità di tutti i colori, visto che li rimanda, p amplificare il valore può e energetico del vermiglio. E i mirtilli che hanno sf sfumature violacee? Si ric ricordi che il viola è forma dall’unione del rosmato so, simbolo della carnalità, de blu, simbolo del cielo, e del quin rappresenta il più alto quindi livell di coscienza che passa livello dalla materia per assurgere allo spirito. È il colore dei chakra più alti: alcuni dicono del cosiddetto “terzo occhio”, quello della sapienza, altri dell’ultimo, ossia del chakra che ci apre all’energia universale. Grazie al loro colore, i mirtilli sono ricchi di sali minerali FOOD&BEVERAGE OTTOBRE 2012 | 65


CROMOTERAPIA

Le tonalità rosate infondono armonia e gentilezza. L’arancione trasmette ottimismo, allegria e voglia di socializzazione

e migliorano la vista e la circolazione. Il viola è il colore dell’ametista, pietra indossata in genere dagli uomini meditativi o di chiesa, cioè da persone legate in modo particolare al mondo dello spirito sia per ruolo che per indole. Quindi, si è visto come il rosso, il marrone, il bianco, il viola si ritrovino nei cibi creando corrispondenze tali da far comprendere come noi diventiamo ciò che mangiamo e che carichino i cuochi della responsabilità non solo artistica che deriva dalla ricerca continua e puntuale dell’appagamento del senso del gusto, ma anche del ruolo di “terapeuti” garanti e fautori del benessere psicofisico dei propri clienti. Persino un piatto che abbia come base un lago di nero di seppia, su cui ondeggiano dei ravioli dalla sfoglia leggerissima che faccia intrave intravedere ripieni colorati, mentre lo gustiamo può pu trascinarci in un viaggio nel fascino d del mistero, dell’eleganza e delle profon profondità dell’essere: non per niente il ne nero è il colore con cui si vestono tutti i grandi Maestri (l’altro colore tut è il bianco, ma con un’accezione diversa) ed è la tinta preferita per d

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gli abiti da sera più chic. Già nell’antichità il colore aveva il compito di arricchire la tavola, tanto che modificava l’aspetto naturale degli alimenti. Ancora oggi, nelle cucine orientali, quali quelle cinesi e giapponesi ad esempio, è fondamentale la presentazione coreografica frutto dell’accostamento cromatico dei cibi. E chi è che non si rilassa di fronte a una tartare di tonno dalle tonalità rosate e dal sapore fresco o davanti a un aperitivo a base di succo di anguria e Martini bianco. Mangiare e bere il rosa significa nutrirsi di armonia e gentilezza, della sensazione avvolgente della tenerezza incondizionata, visto che è il colore legato al quarto chakra, quello del cuore. Mentre già bevendo un semplice succo di arancia l’ottimismo, l’allegria e la voglia di relazionarsi crescono grazie al potere di espansione che donano gli alimenti arancioni. Non per niente tale tinta è legata al terzo chakra, che presiede alla fecondità, poiché si trova sotto l’ombelico. Un cuoco che volesse imprimere ai cliente una nota di benessere, inteso come apertura alla creatività e al rapporto gioviale con gli altri, potrà benissimo concludere le portate di un pranzo offrendo una bavarese alla clementina, frutto tra tr i più calibrati nel suo sapore agrumato che si integra integr con una nota dolce più dei suoi simili. Creando piatti in cui i diversi colori si accostano tra Cre loro o si compenetrano, i cuochi riescono a indurre nel cliente armonie variegate che sicuramente lo aiuteranno, aiu almeno in quel momento, a sentirsi meglio. m Perché una crêpe, ad esempio, risulta un cibo molto attraente nelle sue varianti dolce o salata? Perché il suo colore giallo è simbolo s della luce che tutti vorremmo possed interiormente e percepire nell’ambiente sedere che ci circonda. Proprio per questo motivo, i cuochi


Creando piatti i cui diversi colori si accostano tra loro o si compenetrano, i cuochi riescono a indurre nel cliente armonie variegate che sicuramente lo aiuteranno, almeno in quel momento, a sentirsi meglio

possono proporre alla loro clientela tutta una gamma di piatti in cui il giallo domina e attiva il buon umore e un’ottima digestione, rendendo ognuno più presente a se stesso, visto che la sua luminosità sità richiama una sensazione di chiarezza zza a tutto tondo. Di contro, per persone ansiose eo agitate è consigliabile assumere cibi bi che richiamano il blu, colore non n presente in natura in modo netto o come gli altri colori, ma riscontrabile in abbinamento come nel cavolo detto viola che, soprattutto cotto, presenta note bluastre. Vengono considerate tendenti a questa tinta anche le melanzane, in particolar modo quelle dalla buccia scura che sembra blu notte, e alcune varietà di prugne. Ovviamente, nelle melanzane alla parmigiana, il rosso dell sugo di pomodoro e il chiaro dell formaggio, creano un effetto di piacevolezza che, però, dona un n cenno energetico all’effetto pacifificante dell’alimento base del piatto. tto. Se il cuoco vuole indurre nel clienente un effetto di serenità che si fonda sull’equilibrio ma che mantiene iene un’energia vigile e non straripante, ante, potrà avvalersi dei cibi dalle tinte verdi o costruire una portata in cui queste ueste siano quantitativamente più presenti. Sul verde, legato anch’esso al chakra del cuore ma con la sfumatura della ricerca dello spazio vitale e personale

per esprimersi, gli artisti della cucina possono davvero sbizzarrirsi. Già la natura fornisce innumerevoli varietà di verdure e ortaggi di questo colore che non solo possono essere protagonisti protago di piatti unici, ma si possono sposare spo con innumerevoli p pietanze crude o cotte. Si direbbe quasi che Madre Natura ci offra la p possibilità di equilibrarc interiormente senza ci p perdere di vista l’attenzio ai diversi gusti che zione car caratterizzano la poliedrica um umanità dei palati, senza cioè omologare gli individui es in esistenze stereotipate, ma rispe rispettandone le particolarità di essere e di essenza. Grazie s allo studio comparato dei cibi e dei coloc ri, i cromoterapisti battezzano i cuochi come com degli artisti alla stregua dei pittori. La L differenza sta nel fatto che la loro tavolozza tav non è formata da tinte più o meno me pastose, ma da cibi che hanno una un consistenza che può passare da stadi st di materia diversificata a seconda dell’utilizzo. d Non si tratta di compiere r semplici pennellate, ma di essere artefici di quell’arte culinaria che sembra mettere insieme le cromie d della pittura con la volumetria della cre scultura per creare capolavori. Finalmente, si può affermare che il senso del gusto ha trovato la sua dimensione di fautore di benessere e bellezza, perché la cucina ne rappresenta la sua forma d’arte. F B FOOD&BEVERAGE OTTOBRE 2012 | 67


CUOCHI NEL SUO RISTORANTE DI OSNABRÜCK, NEL CUORE DELLA WESTFALIA, IL CUOCO TEDESCO CREA PERCORSI, MENU E SENSAZIONI SEMPRE ARMONICI NEL PIATTO. CON RISULTATI ESTETICI DI ALTISSIMO LIVELLO E PREPARAZIONI ESSENZIALI. GRANDE CARTA DEI VINI E SERVIZIO IMPECCABILE, COME È GIUSTO CHE SIA

Estro e perfezione stilistica per Bühner a La Vie Gualtiero Spotti

N Grande ristorazione da Thomas Bühner, cuoco de La Vie, con la moglie Thayarni Kanagaratnam

ella profonda Westfalia si nascondono ristoranti che sono delle autentiche scoperte in termini di eleganza e di discrezione. Sono indirizzi che stupiscono, non tanto per il rigore teutonico che sembra naturale aspettarsi a queste latitudini, e che si evidenzia tanto nel profilo gastronomico quanto nell’ambiente, ma per la volontà di rappresentare in un colpo solo classicità e modernità. Per questa ragione, uno dei luoghi da non perdere è il ristorante La Vie a Osnabrück, dove si incontra l’estro e la perfezione stilistica di uno dei cavalli di razza della cucina tedesca, Thomas Bühner. Il ristorante si trova nel centro della città, nella splendida Casa Tenge, in un edificio del 18° secolo tutelato dalle Belle Arti e posizionato di fronte al municipio, sede della Pace Wesfalica, ed è arredato con toni caldi e sobri, accentuati dalla presenza del legno scuro e di elementi decorativi contemporanei di gran pregio. L’atmosfera è arricchita anche da un grande Buddha e da una stufa in maiolica che ha oltre un secolo di vita, due elementi di contrasto i quali sono probabilmente un’ottima rappresentazione delle due anime che convivono sotto le volte antiche del La Vie, quelle del cuoco e della moglie di origini cingalesi (e dal nome quasi impronunciabile) Thayarni Kanagaratnam. Ma andiamo per ordine. Ricostruendo il percorso lavorativo di Thomas Bühner ben si comprende molto di come la sua vita professionale abbia avuto una svolta decisiva alla fine degli anni Ottanta nell’incontro con Harald Wohlfahrt, alla Schwarzwaldstube di Baiersbronn. Prima il cuoco, nativo di Riesenbeck (nel 1962), figlio di una casalinga e di un impiegato, aveva seguito con giudizio il solco della grande tradizione tedesca senza troppi sussulti, in un training in diversi ristoranti di buona fattura e la necessaria esperienza sul campo all’Hilton di Dusseldorf, al Grand Cru di Lippstadt e al Jörg Müller di Westerland, tra gli altri. Ma solo con l’incarico di chef de partie da Wohlfarht riesce a entrare in un ambiente di lavoro di altissimo profilo, di


Thomas Bühner impegnato nella decorazione di un piatto e, accanto, la sobria sala del suo ristorante. Sotto, la zuppa di zucca e la variazione di agnello

spessore internazionale, dove regnano la costanza e la disciplina, dove ogni aspetto del ristorante, dal lavoro in cucina a quello in sala, è curato in ogni minimo particolare. Una serietà che, unita alla visione di una cucina capace a distanza di anni di essere d’esempio in Germania per tutti i cuochi di nuova generazione, allarga gli orizzonti di Bühner rendendolo più consapevole del proprio calibro. Il primo banco di prova per lui è, nel 1991, la posizione di chef a La Table di Dortmund, un ristorante che nel 1996 ottiene la prima stella Michelin, e nel 1998 la seconda. Anche se per il cuoco l’anno magico rimane sicuramente il 2000, quando a La Table diventa direttrice di sala Thayarni, che diventerà la sua compagna lavorativa e di vita. Thayarni è in qualche modo l’alter ego di Bühner (e nel 2003 Maître dell’anno per Gault Millau) è lei la vera padrona della sala e l’angelo premuroso che accoglie gli ospiti preoccupandosi che tutto funzioni alla perfezione. La svolta per i due, verso un progetto comune, è del 2006 con l’inaugurazione de La Vie. Qui, un anno dopo la proclamazione di Thomas Bühner di Cuoco dell’anno da parte di Gault Millau, parte una nuova avventura, che arriva ai giorni nostri carica di soddisfazioni ddisfazioni e di riconoscimenti (e le partecipazioni a festival importanti come quelli di Sankt Moritz e di Vila Joya in Algarve), ma anche di duro lavoro e di un’impronta ben determinata nella cucina capace di riscuotere consensi. La cucina, appunto. Che riserva notevoli intuizioni, a partire dalla grande e importanza data agli aromi. Il cuoco è da sempre convinto della necessità di dover rappresentare l’essenza di ogni ni

prodotto, magari aiutandosi con qualche e tecnica moderna, ma sempre con il fine di esaltarne l’anima. Un esempio è stato il suo o “Pur Reh”, ovvero “solo capriolo”, con la creazione ione di un composto fatto solo di succo della carne di capriolo. Un processo di preparazione complesso, che passa attraverso il trito (grossolano) di carne, il suo riscaldamento, il passaggio in sottovuoto e il bagnomaria. gnomaria. Il succo fuoriuscito viene poi ridotto nell’evaporal’evaporatore sottovuoto e l’essenza ricavata accompagna mpagna il capriolo in forma di salsa, senza l’aggiunta di aromi, spezie e tostature. Thomas Bühner è anche un appassionato sostenitore delle cotture a bassa a temperatura, come accade per il suo pesce in padella il cui filetto subisce un trattamento di pochi minuti a 55°C, e di quelle a vapore, soprattutto per carne e verdure. E un’altra caratteristica del suo stile è nell’idea di creare percorsi, menu e sensazioni sempre armonici nel el piatto, senza alti e bassi che disturbano l’equilibrio brio di un pasto. Con risultati estetici di altissimo livello e preparazioni che risultano essere delle vere opere d’arte. Grande carta dei vini e servizio impeccabile, come è giusto che sia per un ristorante cche dal 2009 è anche un Relais Châteaux e dal 2010 è membro & Châ Tables du Monde”. F B delle Grandes G

Un dessert invitante e divertente di Bühner: i marshmallow al miele

SCHEDA SCH

La Vie Kra Krahnstrasse 1-2 49074 Osnabrück 490 tel. +49 (0)541331150 www.restaurant-lavie.de ww info@restaurant-lavie.de in

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ITINERARI L’INFLUENZA DELLA CUCINA D’OLTRALPE LA FA DA PADRONE, MA DA TEMPO QUALCHE NOME NOTO ITALIANO HA INIZIATO AD AFFACCIARSI ALLE TAVOLE CHE

PRINCIPATO DI MONACO. COME PAOLO SARI LA CUI CUCINA GIOCA TRA L’ESALTAZIONE DEI SAPORI NATURALI E UN MIX DI TRADIZIONE-INNOVAZIONE CONTANO DEL

Montecarlo crocevia del gusto

Gualtiero Spotti

U La vista di Montecarlo dalla terrazza del ristorante Grill dell’Hotel de Paris

n po’ Francia e un po’ Italia, un mondo a parte che vive di lusso e di bella vita, e sul quale si accendono i riflettori per una serie di eventi che, in ogni stagione, rendono il Principato monegasco un luogo mitico, sempre circondato dal quel fascino inimitabile che avvolge l’intera Costa Azzurra. Montecarlo è, come è ben noto, distribuita su un territorio minuscolo, ma quasi tutto quello che avviene nei suoi pochi chilometri quadrati diventa sempre leggenda. Dal Gran Premio di Automobilismo al seguitissimo Torneo Atp di tennis, dalle tormentate vicende della famiglia regnante alla presenza costante di un numero talmente considerevole di Vip che ha pochi eguali al mondo. In un ambiente del genere non potevano che nascere una serie di ristoranti e alberghi di assoluto pregio, con lo stile e la raffinatezza

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insiti nel proprio Dna. E con un incrocio italo-francese, inevitabile visti i vicini confini, che si avverte ancor di più nella ristorazione. Che qui pesca a piene mani nei prodotti d’eccellenza, spesso della vicina riviera ligure così come dal suo entroterra, per arrivare sino in Piemonte. Anche qualche nome noto della cucina italiana da qualche tempo a questa parte inizia ad affacciarsi alle tavole che contano del Principato e a farsi notare con uno stile che si contrappone piacevolmente a quello d’Oltralpe, che a Montecarlo, bisogna dirlo, la fa ancora da padrone. Ma andiamo per ordine e vediamo quali sono gli indirizzi da tenere a mente o da segnare sul taccuino per un weekend goloso. Prima ancora di entrare a Monaco, se si arriva dalla strada costiera di Mentone, il primo ristorante nel quale vale la pena fare una sosta si trova, curiosamente, nel territorio francese di Roquebrune-Cap Martin, ma appartiene a tutti gli effetti all’universo alberghiero del vicinissimo Montecarlo Bay Resort. È il ristorante Elsa del Montecarlo Beach, appendice marina (e con spiaggia) del Bay Resort e una delle icone glamour della riviera, anche per la sua location

appartata e la squisita architettura d’antan ricreata dalla designer India Mahdavi. La sua ampia facciata di terracotta occupa un’ansa della baia e, nell’edificio, nasconde quaranta ricercatissime camere; per una sosta d’altri tempi, ci si può immergere nello charme delle decorazioni che riprendono con gusto Matisse e Cocteau, e il Mediterraneo come unico orizzonte. La magia del luogo continua alla tavola del ristorante grazie alle brillanti preparazioni del nuovo vo cuoco, l’italiano Paolo Sari, arrivato a prendersi si cura di tutta la ristorazione del Beach dall’aprile e di quest’anno. Con trascorsi in molti ristoranti nti internazionali e il dinamismo proprio della giovane età, Sari già nei primi giorni del suo arrivo al timone dell’Elsa (a proposito, il nome è un omaggio alla scrittrice americana e organizzatrice di serate mondane Elsa Maxwell che, pare, sia colei che nel 1957 presentò Maria Callas ad Aristotele Onassis), ha dimostrato di avere le idee chiare. La cucina gioca su due punti impre-

Le cupole e la piazza Liberty del Casinò. In basso, il Montecarlo Beach e la sala del suo ristorante Elsa guidato dal giovane chef italiano Paolo Sari


ITINERARI INDIRIZZI GOURMET

Ristoranti e hotel Restaurant Elsa al Montecarlo Beach Avenue Princess Grace Roquebrune- Cap Martin tel. +334.93286666 bh@sbm.mc www.montecarloresort.com Restaurant Blue Bay al Montecarlo Bay ay Avenue Princess Grace 40 Montecarlo tel. +377.98060360 reservation-mcbay@montecarlobay.mc www.montecarlobay.com Restaurant Le Louis XV all’Hotel de Paris Place du Casino tel. +377.98068864 lelouisxv@alain-ducasse.com www.alain-ducasse.com Café de Paris Place du Casino tel. +377.98067623 brasseriecp@sbm.mc www.montecarloresort.com Restaurant Vistamar all’Hotel Hermitage Place Beaumarchais tel. +377.98069898 www.montecarloresort.com

scindibili: l’esaltazione dei sapori naturali e un mix di tradizione-innovazione, come dimostrano piatti quali il delicato branzino marinato agli agrumi, i ravioli all’anatra (con parmigiano) su foie gras e magret, e la millefoglie calda alle mandorle con crema di latte, accompagnata da frutta a dai sorbetti. In alto, il cuoco creolo Marcel Ravin, la sala del Blue Bay e il suo piatto di merluzzo e ravioli. In basso, Franck Cerutti, chef del Louis XV e i suoi gamberoni di Sanremo con gelatina di pesce e caviale

Per altre e nuove sens sazioni, poi, ci si sposta di cinquecento metri, si entra in Montecarlo e ssubito si incontra il Montecarlo Bay. Qui l’executive te chef è il simpatico Marcel ch Ravin, di origini creole e con Ravi un rece recente passato belga al Méridien n di Brux Bruxelles, dove ha conosciuto il general manager italiano Sergio Mangini, ilgeneralmanage ora arrivato a prendersi cura del Bay Resort. Con la curiosità istintiva del cuoco giramondo abituato a mescolare i sapori e a creare incroci originali nel piatto (oltre all’ambizione di ottenere a breve una stella Michelin…), Marcel Ravin si diverte a stupire gli ospiti del ristorante gourmet Blue Bay in un viaggio internazio-


nale nel quale i prodotti biologici hanno un peso biolo importante nel menu. imp Al ristorante, r con una bella cucina a vista, si be assaggiano il merluzzo as di Bretagna con cuori di palma freschi, il San Pietro in tempuS ra con marmellata di limone candito e patata dolce all’olio p di zenzero, l’agne l’agnello laccato al miele di fiori con fave e ceci accompagnato da una pastilla (preparazione tipica marocchina) di spalla brasata, oppure il risotto Carnaroli con piselli e stracciatella o il pollo bio al vapore di alghe, con risotto alle carote e kumquat. Istinto e curiosità in porzioni sempre generose: questa è la cucina di Marcel Ravin, che si può incontrare anche al più informale Orange Vert, il ristorante presente nella hall dell’albergo. Un ristorante, a dire il vero, senza una propria identità (ci sono dalle Bento box per i bambini ai piatti tipici italiani, dall’“angolo” creolo ai cheeseburger), ma che ha nella semplicità e nella cucina pronta e diretta il suo vero punto di forza. Ma il cuore del Principato non può che essere la famosa piazza del Casinò, dove si staglia la figura dell’Hotel de Paris. Qui proprio quest’anno si celebrano i venticinque anni della

cucina di Alain Ducasse al Louis XV, interpretata dalla mano sapiente del fido cuoco Franck Cerutti, con la complicità di Dominique Lory. Un’esperienza quasi mistica, a tavola, tra un bicchiere di Dom Pérignon 2002 che introduce i gamberoni di Sanremo con una gelatina di pesci di roccia e caviale, fino ad arrivare sazi e contenti (prima del conto, ovviamente) al sontuoso soufflé caldo alle nocciole del Piemonte, vero e proprio tripudio e incrocio franco italico che, non a caso, si accompagna a un Brachetto 2007 di Forteto Pian dei Sogni. I più curiosi, e amanti della viste panoramiche, possono spingersi sino all’ultimo piano dell’albergo per la cucina non meno importante, ma certo un po’ meno carica di eleganza, del Grill, ristorante con una stella sempre a firma di Ducasse. Chi invece non vuole subire a piene mani il fascino cino avvolgente dell’Hotel de Paris, può vivere appieno

A sinistra, JeanClaude Brugel, un grande della cucina classica d’Oltralpe, guida il Café de Paris; accanto, la bella sala Liberty del ristorante. In basso, il cuoco Joël Garault del Vistamar e la sua mini palla di Roquefort con chutney di pera e salsa d’ibisco

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ITINERARI

L’imponente facciata dell’Hotel Hermitage e il suo favoloso giardino d’inverno firmato da Eiffel: i suoi richiami Liberty attirano una clientela aristocratica internazionale

L’ampia piscina del Montecarlo Bay Resort, tra le icone glamour della riviera per la sua squisita architettura d’antan ricreata dalla designer India Mahdavi

il multiforme ambiente monegasco nelle affollate salette (o nella bella stagione all’aperto, con vista sul Casinò) del Café de Paris. È un tuffo nella storia ultracentenaria di una struttura che ha vissuto la Belle Époque e questo si avverte chiaramente nello stile dell’arte decorativa che ancora oggi, dopo la grande ristrutturazione risalente al 1988, permette di immergersi in un mondo a parte, pronti ad assaporare un robusto filet de boeuf (filetto di manzo) o uno dei piatti canaille come l’andouillette (salsiccia di trippa) con patatine fritte o la tête de veau (testina lessata di vitello). A guidare una cucina che da mattina a sera sforna piatti a ripetizione, sempre di ottima qualità, è il solido Jean-Claude Brugel, miglior artigiano di Francia nel 1996 e, qualche stagione prima, vincitore del Premio Escoffier del 1991. Come dire, una certezza per la rappresentazione della cucina classica d’Oltralpe. Ma capace di districarsi con successo anche tra penne, spaghetti e lasagne, che non mancano in carta e riscuotono un discreto successo nella clientela internazionale del Café de Paris. Forse la vera sorpresa della ristorazione monegasca

dell’ultimo biennio è però rappresentata dal ristorante Vistamar, ospitato all’interno dell’Hotel Hermitage. È un gioiello di architettura e decoro, perfettamente integrato con la storia dell’albergo e con il menu quasi interamente giocato sul pesce. Un ristorante luminoso e con morbidi toni pastello in un’atmosfera unica e chic, anche per un light lunch con vista sul mare, come ricorda il nome del ristorante. Qui il simpatico e pacioso cuoco Joël Garault ogni mattina attende con trepidazione l’arrivo di Gerard Rinaldi, quarta generazione di pescatori a Monaco (ma la famiglia è originaria di Vicenza) che, accompagnato dalla moglie Marika, porta il pescato fresco per la tavola del Vistamar. Una esaltazione del Mar Mediterraneo per una splendida bouillabaisse o un viaggio nei sapori marini con la triglia arrosto su galletta di spugnole con puré di zucchine aromatizzato alla verbena, con il granchio in ravioloni trasparenti alla carbonara, con il filetto di rombo arrosto al sale affumicato, composta di finocchi giovani e fricassea di kumquat. Sono tutti piatti che entrano a far parte della filosofia “un pesce, una verdura, una cottura”, che spicca nel vivace menu del Vistamar preparato da Garault. E l’ospitalità? Per chi vuole vivere con maggior riservatezza la sua sosta a Montecarlo, il Bay Resort situato ai confini con Roquebrune garantisce la raffinatezza di un ambiente cosmopolita e dinamico, grazie al frequentato lounge bar e alla preziosa spa Cinq Mondes (da non perdere i rituali per il corpo, gommage e massaggi), oltre a camere di grande comfort e un giardino esotico con piscine nel quale è divertente perdersi. Al contrario, l’Hotel Hermitage è situato nel cuore pulsante della città, ha dalla sua 112 anni di gloriosa storia, un giardino d’inverno favoloso e la classe naturale degli alberghi di un tempo con i suoi richiami Liberty e le frequentazioni più aristocratiche di chi si lascia avvolgere quotidianamente dall’art de vivre. F B


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QUARTIERIALTI UN HOTEL TUTTO VETRO, ACCIAIO E LEGNO, IMMERSO NEL VERDE DELLA PINETA DI FORTE DEI MARMI, OFFRE UNA VARIEGATA PROPOSTA GASTRONOMICA

CHE SALDA TRADIZIONE E CONTEMPORANEITÀ CON PRODOTTI DEL TERRITORIO DI TERRA E DI MARE. SOLO VENTOTTO CAMERE CON VISTA SULLE ALPI APUANE

Un nuovo Principe in Versilia Giulia Marcucci

N Quattro piani luminosi rendono il Principe un hotel fuori dagli schemi

EW ENTRY nel panorama dell’HOTELLERIE versiliese, il Principe Forte dei Marmi spicca per stile,

per altezza e per la variegata proposta gastronomica. Hotel 5 stelle del gruppo The Leading Hotels of the World, si trova nel Quartiere Roma di Forte dei Marmi (Lu) ed è immerso nel verde della pineta sullo sfondo delle Alpi Apuane e a pochi metri dalla spiaggia. Il giusto mix tra quiete, intimità, riservatezza, comfort, servizio impeccabile e qualità enogastronomica è uno dei segreti di questo intrigante boutique hotel. Ventotto camere, ognuna arricchita da una vera sale de bain (nota speciale: courtesy kit con prodotti del prestigioso marchio londinese Molton Brown); sia le stanze private che gli spazi comuni sono caratterizzati da un arredamento contemporaneo minimal chic, lineare e piuttosto sofisticato. L’altezza è certo uno dei particolari che distingue il Principe: quattro piani dove gli elementi distintivi sono vetro, acciaio, profili essenziali, forme nitide, marmo e onice, che ne fanno una struttura “fuori dagli schemi”. Il bianco, che fa da padrone, si evolve nelle nuance del beige e dei marroni, contrastando il legno wengè delle aree comuni e i parquet in rovere naturale delle camere. Poi le scenografiche finestre che diffondono negli ambienti giochi di luce e, attraverso vetrate a tutta parete, anche all’ingresso, creano un continuum tra interno -accueil, zona ristorante e ricevimento- ed esterno, l’incantevole giardino e la piscina sul retro. Oltre alla straordinaria posizione e all’interior design d’eccezione, è doveroso approfondire il mondo gastronomico offerto dal Principe Forte dei Marmi. Chef executive è Valentino Cassanelli, modenese d’origine, che a soli 28 anni vanta esperienze con cuochi importanti, quali Carlo Cracco, Nobuyuki Matsuhisa, Andrea Berton, Giorgio Locatelli. Il concept culinario qui proposto si concentra sulla ricerca del gusto attraverso materie prime e ricette locali, poi rielaborate in chiave contemporanea, dando vita a piatti sia di mare che di terra. “Per me la cosa più importante -dice Valentino Cassanelli- è la valutazione del territorio.


Lo chef Valentino Cassanelli propone al Lux Lucis una cucina dagli accostamenti inediti. A destra, l’elegante Beachclub Marechiaro, la spiaggia privata dell’hotel

Ciò che ch voglio è creare accostamenti che traducano duca in contemporaneità i prodotti tipici della zona, come, ad esempio, la palamita tipica tipic del Tirreno, la bottarga di Orbetello o il prosciutto pro di Cinta Senese... Ricette in grado di saldare s tradizione e innovazione”. In sala sal il sommelier Daniele Arcangeli, terzo classificato cla al concorso Miglior Sommelier d’Italia d 2011, suggerisce i migliori vini da abbinare a ai piatti scelti, raccontando il i perché dell’abbinamento in modo appassionante. Tre le location a disposizione per godere un’esperienza u indimenticabile per il palato: il Ristorante Lux Lucis al piano terra, il 67 sulla terrazza all’ultimo piano e la Trattoria del Bagno Marechiaro. La 67 Sky Lounge ha una vista mozzafiato sul mare e sulle Alpi Apuane. 67, oltre a essere il numero civico dell’hotel, è anche il numero di blend che si possono gustare in questo luogo suggestivo, dove lo spazio interno si integra con l’esterno attraverso le ampie vetrate e la grande terrazza. L’ambiente, talvolta si anima all’ora dell’aperitivo con musica dal vivo o dj set. Una novità degli ultimi mesi è la divisione virtuale di 67: la zona che ha come sfondo le Alpi Apuane si trasforma all’insegna del Raw & Grill: qui lo chef Cassanelli propone assaggi finger food sia di pesce crudo, servito secondo la tradizione italiana, sia di carne, carn verdure, pesce alla griglia. Al piano p terra si trova, invece, Lux Lucis, un ristorante circondato da ampie vetrate dove

la luce è protagonista. Elegante, ma non pretenzioso, tutto giocato sui toni caldi del beige, è ideale per cene raffinate e intime. Menu curioso, di mare e di terra, sia tradizionale sia creativo. Tra gli antipasti spiccano la panzanella di mare, crudo di capasanta, mandorle tostate e polline d’api ma anche l’insalata di galletto rosso con agretti, rapanelli e friggitelli. Tra i primi: risotto in insalata, paccheri con ragout al prosciutto di Parma, avocado e coriandolo. Tra i secondi notevole l’astice al naturale con tocchi di carota, arancia e limone; per chi preferisce la carne, da non perdere il controfiletto di vitello arrostito con patata al carbone, carciofi e cipollotto. Dal ristorante si accede alla piscina, qui si trova un Pool Bar che serve ottimi frozen, granite, frullati di frutta fresca, ma anche insalate. Il bar principale è situato nella hall ed è il punto d’incontro e luogo ideale per iniziare o terminare la giornata; selezione delle migliori miscele di caffè, tè e tisane, vetrina di liquori e vini pregiati. L’ultima opzione enogastronomica del Principe Forte dei Marmi è vicino al mare. A soli 5 minuti a piedi e di fianco alla celebre Capannina, c’è la spiaggia dell’hotel, il Beachclub Marechiaro, famoso anche per essere stato set del mitico film Sapore di mare. Fiore all’occhiello di questo bagno è il ristorante Marechiaro, per un lunch in spiaggia o una cena in riva al mare. Qui sono protagoniste le specialità di mare che raccontano la tradizione toscana in modo autentico e mai pesante, con tocchi raffinati: esemplari gli spaghetti alle telline. F B SCHEDA

Principe Forte dei Marmi viale Amm. Morin 67 55042 Forte di Marmi (Lu) tel. 0584.783636 www.principefortedeimarmi.com

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SFIZIOFOOD NESSUN ALTRO ALIMENTO PUÒ COMPETERE CON L’ECLETTICO UOVO, CIBO POVERO, MA RICCHISSIMO DI RISORSE. COSTA POCHI CENTESIMI, MA HA GRANDE VERSATILITÀ. CHE SIA INGREDIENTE PRINCIPALE O FUNGA DA SOSTANZA TECNICA (È ADDENSANTE, SCHIUMOGENO, EMULSIONANTE ECC.) È UN PROTAGONISTA ASSOLUTO DELLA CUCINA

Un uovo per amico Monica Mazzanti

S

consolata è la sera, vuoto il frigorifero… è ora di cena. Ma niente paura, c’è lui -l’amico uovo- che anche questa volta saprà sfamarti. A chi non è mai capitato di ripiegare su quel sobrio uovo al tegamino? Quel piatto semplice e veloce che, come consuetudine vuole, è alla portata anche del single più incallito. All’altro estremo della scala di destrezza culinaria, un elaborato soufflé, esclusivo banco di prova di chi, per magia, sa farlo lievitare a regola d’arte, senza che si afflosci miserevolmente. Quale altro alimento è così straordinariamente versatile, presente in una gamma sconfinata di ricette, dalle più semplici alle più sofisticate? Che si tratti di antipasti, salse, creme, pasta, secondi o dessert, l’onnipresente uovo è un ingrediente indispensabile delle nostre cucine. Un vero gioiello da pochi centesimi, un cibo povero che sa regalare grandi sorprese, non solo come piatto da portata, ma anche come ingrediente chiave dalle molteplici proprietà tecniche. Con l’uovo rapprende il polpettone, si permette la panatura, si emulsiona l’olio, si chiarifica il brodo. Ma non tutte le uova sono uguali, il tipo di allevamento e il mangime fanno la differenza. Nell’allevamento intensivo in gabbia, la povera ovaiola è stipata insieme alle sue compagne: 25 galline per metro quadrato, vale a dire, 15 centimetri per gallina, ben meno di una scatola di scarpe (categoria 3). Si migliora, ma di poco, con gli allevamenti a terra, 7 galline per metro quadrato su terreno di paglia o sabbia in capannoni coperti (categoria 2); si continua con l’allevamento all’aperto, una gallina per 2,5 metri quadrati di terreno con vegetazione (categoria 1) e si finisce con la clas-

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sificazione all’aperto di tipo estensivo, che prevede che una gallina possa razzolare in 10 metri quadrati con vegetazione (categoria 0-uovo biologico). Le uova di categoria inferiore costano ovviamente meno ma, quando la differenza è di pochi centesimi, spendere un po’ di più si traduce in un investimento che tutti possono permettersi a vantaggio non solo della qualità, ma anche di un etico comportamento animal friendly. Leggere un’etichetta, e la sfilza di numeri e lettere riportati sul guscio, non è cosa semplice. Il primo numero che appare si riferisce al tipo di allevamento (vedi sopra), la sigla che segue al Paese, viene quindi riportato il comune di allevamento e la provincia di appartenenza (cinque tra lettere e cifre), infine, l’allevamento di deposizione. Solo le uova di categoria A sono destinate al consumo diretto, quelle classifi-

cate come B e C sono per esclusivo uso industriale. Di norma sono confezionate entro un paio di giorni dalla deposizione, quello A extra lo stesso giorno. E così ogni regione, da nord a sud, ha la sua ricetta a base di uova come tradizione comanda. C’è l’acquacotta maremmana, zuppa di tipica origine contadina, fatta con ingredienti poveri col tocco finale dell’uovo; la stracciatella romana, a base di brodo di carne in cui viene cotto l’uovo sbattuto con parmigiano grattugiato e noce moscata, rivisitata anche in altre regioni, come nelle Marche, dove è profumata con scorza di limone; la busecca matta lombarda, che fa il verso alla trippa perché trippa sembra, condita allo stesso modo, fatta di listarelle sottili ottenute da una frittata, riproposta anche in Lazio con il più ovvio nome di uova in trippa. Ma, senza scomodare elaborate ricette,

Paolo Parisi, allevatore e gourmet, e le sue galline livornesi che danno uova dal tuorlo più molle, grasso e leggero, dalla struttura proteica fuori dal comune. La maggior parte dei grandi cuochi utilizza le sue uova

ALLEVATORI

Paolo Parisi, l’uomo dell’uovo Allevatore, pastore, gourmet, inventore e uomo simbolo di una qualità quasi perduta, Paolo Parisi è l’uomo dell’uovo di altissima qualità, come lo è delle carni e dei salumi di cinta senese prodotte nella sua azienda agricola a Usigliano di Lari (Pisa). I suoi prodotti, e le sue uova in particolare, sono richieste dai cuochi più noti che, di citare in menu “uovo di Paolo Parisi”, si fanno un vanto. La loro caratteristica è di essere fresche come se fossero state appena fatte dalla gallina. Tutto ciò è possibile grazie al lavoro organizzato e appassionato di Paolo Parisi. “Non esistono uova come le mie sul mercato, in quanto le uniche concorrenti potrebbero essere quelle del contadino, che però sono illegali. In ogni caso, se uno volesse dal contadino in tre minuti delle uova fresche, non le potrebbe avere neanche se le pagasse 3 miliardi”. Parisi, invece, garantisce un uovo in “piena regola” certificato dalla Cee. Le sue uova di gallina livornese sono particolari: hanno un tuorlo più grasso e leggero, che ha una struttura proteica fuori dal comune; infatti, se molle, gras montato, ha la capacità di incorporare anche tre volte l’aria di un tuorlo qualmontat siasi siasi. La caratteristica maggiore è la leggerezza che passa ai prodotti di cui è in ingrediente, come lo zabaione, la maionese, le creme, ma anche la pasta fressca, che risulta più digeribile e gradevole. “Queste uova sono il frutto di u un’originale modalità di alimentazione che ho ideato io -spiega Parisi- Si tratta di aggiungere ogni giorno al loro pasto di cereali una tazza di latte prodotta dalle sue 70 capre, munte ogni mattina”.

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Si parla e si scrive tanto di materia prima e averne una di eccellenza, quando si tratta di uova, è fondamentale: il risultato, nel piatto, avrà un sapore pieno, ancora più evidente se la ricetta prevede un uovo quasi crudo e al naturale. In alto a destra, l’Uovo in piedi di Piero Bertinotti del Pinocchio di Borgomanero

basta pensare alle semplici uova sode che si mangiano nelle osterie venete insieme all’ombra (di vino) o nelle osmize della campagna triestina con vini, salumi, formaggi. Dalla tradizione all’alta cucina il passo è breve. Ogni cuoco ha la sua originale ricetta, ed ecco che prendono vita inimmaginabili abbinamenti, degni di tanta maestria. Davide Oldani presenta l’Uovo affogato, asparagi e nocciola setata, in cui un uovo in camicia viene servito su una salsa di purè di 80 | FOOD&BEVERAGE OTTOBRE 2012

nocciole, latte e maizena con l’aggiunta di asparagi rossi, bianchi e verdi e un’abbondante sbriciolata di bottarga. Pierre Gagnaire propone i Cristalli di vento sulla base delle scoperte del fisico Hervè This: un solo albume, sbattuto energicamente, al quale si aggiunga sufficiente acqua, permetterebbe di ottenere più di un metro cubo di albume a neve… ed ecco levarsi meringhe ultraleggere. Davide Scabin ci stupisce col suo Cyber egg, una vera esperienza sensoriale, che accoppia ingredienti classici (caviale, tuorlo, pepe, scalogno e vodka) in una veste davvero inedita. Il tuorlo non è più contenuto nel guscio, ma in una sorta di caramella, avvolta in un pellicola di plastica trasparente da incidere con tanto di bisturi per assaporarne il contenuto. Non solo effetto visivo e intrigante coinvolgimento, ma un impatto esplosivo nel palato a sconvolgere la delicatezza dell’intera operazione: non si annusa, non si tocca, tutto succede solo in bocca. E cosa dire delle Gocce d’uovo di Grant Achatz, che prevede di friggere i tuorli con l’aiuto di una siringa per formarne piccole sfere. Ma anche la semplicità risulta vincente quando è tra le mani di uno chef come René Redzepi che, con il suo L’uovo e la gallina, insegna allo stesso cliente come cucinare un uovo, presentandogli un tegamino bollente sul quale aprirlo e cuocerlo, condendolo, al momento giusto, con foglioline di spinacio, una selezione di erbe selvatiche raccolte personalmente nel bosco e una particolare salsa. Che sia dunque sodo, alla coque o bazzotto; all’occhio di bue; strapazzato, in camicia, in cocotte o al tegamimo; che sia frittata, omelette o crespella; maionese o crema; che sia ripieno o faccia il ripieno; che si trasformi in pasta frolla o sfoglia, l’amico uovo rimane l’unico e fedele complice di cuochi provetti o semplici pivelli. F B

© Marco Mayer - Fotolia.com - andriigorulko - Fotolia.com

SFIZIOFOOD



MOSTRE DIPINTI A INCHIOSTRO SU SETA E SU CARTA, PICCOLE SCULTURE, DOCUMENTI D’EPOCA, MANUFATTI IMPERIALI A SMALTI POLICROMI, TEIERE IN GRÈS, PORCELLANA O ARGENTO RACCONTANO L’AFFASCINANTE STORIA DEL TÈ AL MUSEO DELLE ARTI ASIATICHE GUIMET, A PARIGI, FINO AL 7 GENNAIO 2013

Un tè per dimenticare il frastuono del mondo Beba Marsano

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Maurice Ravel, il compositore francese celebre per il Bolero, ha ispirato un balletto, Five o’clock. A George Gershwin la famosa colonna sonora di Tea for Two. A Cat Stevens il suo quarto album, Tea for the Tillerman. A Bernardo Bertolucci un film cult con John Malkovich e Debra Winger ambientato nelle torride vastità del deserto del Sahara. È il tè, la bevanda più consumata al mondo dopo l’acqua (tre miliardi di tazze al giorno) e anche la più idealizzata. Viene servito 332 volte solo nell’opera di Tolstoj e la sua fragranza discreta attraversa pagine letterarie sublimi, da Dostoevskij a Cechov, da Proust a Maupassant, da Oscar Wilde a D’Annunzio. La piccola gioia quotidiana di una tazza fumante si ritrova nella poesia di Verlaine, nei dipinti di Chardin e Renoir, nelle abitudini di personaggi come la regina Vittoria e lo zar Nicola II, Richard Wagner e i Beatles, oltre che in quelle raffinatissime porcellane, il cui segreto di

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lavorazione la Cina ha gelosamente custodito fino al XVIII secolo. Oggi questa magia si rinnova in una mostra, Il Tè. Storie di una bevanda millenaria, messa in scena con rara raffinatezza nel tempio delle arti asiatiche più importante al mondo, dal 3 ottobre al 7 gennaio 2013: il museo Guimet di Parigi, nato nel 1889 per ospitare la collezione dell’industriale lionese Émile Guimet (tel. 0033 1 56525300, www.guimet.fr). In un percorso tematico e cronologico intriso di sottili emozioni estetiche, oggetti fragili e bellissimi, prestito di blasonati musei (come il National Palace Museum di Taipei) e di inaccessibili collezioni private, raccontano storia e curiosità dell’infuso di camellia sinensis, dal momento in cui un venticello capriccioso fece cadere alcune foglioline nella tazza dell’imperatore Shen-Nung, che trovò ottimo quell’infuso improvvisato. Da allora, e sono passati quattromila anni, la fortuna dell’ambrata bevanda non ha mai conosciuto flessioni. Un successo che Okakura Kakuz , in un volumetto diventato un classico, Il libro del tè (1906), spiega così: “Il tè non ha nulla dell’inebriante arroganza del vino, né del supponente individualismo del caffè e neppure dell’affettata innocenza del cacao, ma un gusto sottile,, particolarmente adatto a esseree lsublimato”. Nella Francia dell’Ilto luminismo l’Encyclopédie, sotto la voce Tè, metteva in guardia dal bbe berne a piacimento, poiché sarebbe ne”. risultato “molto difficile privarsene”. inti Negli spazi del Guimet, dipinti a inchiostro su seta e su carta, picpoca, cole sculture, documenti d’epoca,

manufatti imperiali a smalti policromi, teiere in grès, porcellana o argento parlano del tè come medicina naturale, espressione culturale, pratica cerimoniale attraverso le tre fasi cruciali della sua evoluzione: l’età del tè bollito sotto i Tang (618-907), del tè battuto sotto i Song (960-1279), del tè come infuso sotto i Ming (1368-1644). La prima fase è quella in cui il tè cessa di essere considerato una bevanda dalle virtù terapeutiche per diventare un’esperienza del gusto di natura

“En préparant le thé”, opera risalente all’epoca Ming. Nella prima pagina, “Lu Tong infusant le thé”, attribuito a Qian Xuan, fine epoca Ming, e una brocca d’argento cesellata

TRADIZIONI

Dove fermarsi per l’atfernoon tea Tea Time in Paris è il pacchetto che il Gruppo Mandarin Oriental, main sponsor dell’evento, offre agli ospiti del suo hotel di Parigi (www.mandarinoriental.com/paris) in occasione della mostra sul tè al Museo delle Arti Asiatiche Guimet. L’offerta parte da 967 euro per due persone e include un pernottamento con prima colazione a buffet; il tè pomeridiano al ristorante Camélia, accompagnato dalle delizie d dello chef pâtissier e da una flûte di Champagne; i biglietti biglie prioritari per la mostra e le collezioni permanenti; il catalogo della rassegna. catalo E per un afternoon tea memorabile, degno della migliore tradizione dizio inglese, non bisogna mancare man quello dell’Hotel Meurice (www.meuricehoMeu tel.com), tel.c servito con impareg reggiabile eleganza allo scoccare sco delle cinque di og giorno sotto la granogni de cupola a vetri del Jardin d d’Hiver stile Art Nouv veau, già meta eletta di mostri sacri quali Pablo Picasso e Salvador Dalí.

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MOSTRE

In alto, tre figurine femminili che preparano il tè: terracotta cinese della prima metà del VII secolo. A destra, brocca, teiera, tazza e sottotazza in porcellana dorata dell’epoca Qing. Qui sopra, “Moudre le thé”, dipinto su seta di Liu Songnian dell’epoca Song

quasi mistica. Nei circoli dei monaci buddisti e dei letterati confuciani è consumato con latte o burro e l’aggiunta di spezie. Una preparazione oggi in via d’estinzione, che sopravvive in Paesi lamaisti come Tibet e Mongolia. L’età del tè battuto ne segna l’apogeo, con l’apertura di case da tè in tutta la Cina e lo scrittore Wu Zimu lo annovera tra gli otto bisogni quotidiani, insieme al riso e alla salsa di soia. È l’epoca di quelle sofisticate creazioni in candida porcellana azzurrata che mettono in risalto la voluttuosa schiuma duiyun jixue, “di nubi e di neve”, che corona la nobile bevanda grazie al movimento di un frustino. Tramite i monasteri buddisti arriva in Giappone che, con il chanoyu o cerimonia del tè, eleva la pratica rituale al rango di una liturgia permeata dei principi della filosofia zen: purezza, armonia, pace interiore. L’età del tè come infuso nasce da un decreto datato

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1391 dell’imperatore Hongwu, che impone il ritorno all’autenticità del sapore con l’adozione di una preparazione naturale che esalti le delicate fragranze sprigionate dalle foglioline immerse nell’acqua bollente. Ed è questo il modo in cui ancora oggi lo gustiamo. “In Cina si dice che ‘l’acqua è il corpo del tè e il tè lo spirito dell’acqua’; se questa è pura, leggera, poco minerale, permette al tè di rivelarsi, di esprimere al massimo le sue qualità -dice Tseng Yu Hui, la sola donna al mondo maestra del tè. Ogni degustazione invita a sospendere i nostri pensieri, a frenare la corsa del tempo, ad accettare di raccogliere qualche goccia di silenzio. Attraverso la scoperta delle sue fragranze, noi ci ascoltiamo. Nella interpretazione cinese il tè ci rivela a noi stessi”. Tra i pezzi da non perdere, le sontuose porcellane bianche e blu e a guscio d’uovo uscite dalla manifattura imperiale di Jingdezhen in epoca Ming e Qing, affiancate ad alcuni esemplari concepiti in seno alla Città Proibita sotto il diretto controllo imperiale, e l’originale di un celeberrimo manoscritto del X secolo, il Chajiu lun, dialogo satirico che contrappone il tè al vino: uno porta alla lucidità, l’altro all’ebbrezza. A sanare la disputa ci pensa alla fine un terzo personaggio, l’acqua. Alla rassegna si affianca un articolato calendario di eventi, che alterna conferenze e letture poetiche, film e documentari, spettacoli e concerti. E, naturalmente, degustazioni e cerimonie del tè nella cornice del Pavillon de thé, fascinoso chiosco in legno nel cuore di un giardino d’ispirazione giapponese. Per l’occasione Le Palais des Thés, vera e propria griffe d’eccellenza, ha creato Guimet, una miscela esclusiva e raffinata, mélange fresco e fiorito di tè verdi dai sentori di ciliegie e di agrumi con note di mirtillo. A ogni visitatore ne viene offerta una tazza per dimenticare, come diceva il saggio T’ien Yiheng, “il frastuono del mondo”. F B



SPIRITBARMAN BRUNO IACONIS, ALL’ORIENTAL BAR DEL METROPOL VENEZIA, HA UN TALENTO NATURALE PER IL BAR E PER IDEARE COCKTAIL CHE AIUTINO A CREARE ATMOSFERE AVVOLGENTI PER FARE STARE BENE I CLIENTI. DETERMINATO A CRESCERE E A IMPARARE, HA AVUTO TRA I SUOI MAESTRI TONY MICELOTTA

Ogni drink ha un’anima e io cerco la sua gemella Manuela Caspani

V Secondo Bruno Iaconis per diventare un grande barman l’occhio è fondamentale: osservare e apprendere da quelli più bravi, ma serve anche un pizzico di furbizia nel “rubare” il mestiere

iene dalla provincia di Brescia Bruno Iaconis. Famiglia solida, valori tradizionali, spirito di sacrificio e pochi grilli per la testa. Una mentalità che vedeva nel “posto fisso” un domani sicuro e orizzonti che non si allontanavano da casa. Bruno, invece, fin da piccolo, ha guardato lontano, molto lontano, curioso di viaggiare e desideroso di iniziare presto a lavorare, “facendo le stagioni sul Garda”: “Quando sono tornato a Brescia l’ho fatto per stare vicino a mia mamma, alla quale sono legatissimo -racconta- ma ho continuato a seguire la mia strada”. Del resto, il mestiere del barman l’aveva nel sangue se, pur senza esperienza e senza percorsi formativi nel settore, è riuscito subito ad approdare a strutture di livello: “La determinazione fa la differenza. Per me è stato così, insieme a un pizzico di furbizia nel rubare il mestiere. Per diventare un grande barman l’occhio è fondamentale: osservare e apprendere da quelli più bravi. Ho avuto fortuna, ma c’è voluto intuito, capire cosa volevo fare nella vita”. A distinguerlo c’è un’innata eleganza, una tranquillità nei movimenti che sembrano nascere direttamente dal banco bar come se, semplicemente, fosse nato per stare dove sta. Un talento naturale che non è sfuggito a un prestigioso cliente che l’ha portato in Inghilterra a gestire, a soli 23 anni, il bar di un hotel. Rientrato in Italia ha contribuito al successo del Matilda, discoteca di Brescia dove, dice, ha lasciato un pezzo di cuore ma, quando si aprono porte, bisogna saper fare i bagagli. Tony Micelotta lo vuole all’Excelsior Lido di Venezia ed è una chiamata che non si può rifiutare. Ma, a ventisette anni, di esperienze da fare ce ne sono; così eccolo accettare la proposta dell’Hotel Metropol, una struttura che definisce “intensa” e descrive con amore e un pizzico di poesia.

IL COCKTAIL

Lady Venice 5 foglie di menta fresca Liquore alla violetta (spruzzato sul ghiaccio con un atomizzatore) 1/2 Liquore St. Germain 1/2 Gin Hendrick’s Top up con Champagne Pommery

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Del resto, chi volesse andare a trovarlo all’Oriental Bar non potrebbe che restare affascinato dallo stile, dalle atmosfere avvolgenti, da certi silenzi che caratterizzano gli spazi rendendoli particolari e un po’ misteriosi. “Per chi entra nell’hotel è impossibile non sentire il richiamo del bar -dice Bruno- Il banco non è grande, ma è un vero palco: tu vedi tutti e tutti vedono quello che fai. Per me capire lo spirito del cliente e seguirlo è fondamentale. Ogni drink ha un’anima, si tratta di trovarne la gemella. Il drink è metà della mela il cliente l’altra metà. Se un cliente non ha già trovato la sua anima, lo incuriosisco per aiutarlo a trovarla!”. La carta, del resto, è ricca, unendo i classici a proposte veramente originali. Pezzi rari accanto ai “modaioli” F B e 36 diversi Spritz.



SPIRITPLACE UN WORK IN PROGRESS, QUELLO DI MASSIMO PAPA CHE A PARMA, ALLA FINE DEGLI ANNI ’80, CONCRETIZZA IL SOGNO DI UN LOCALE RAFFINATO E ALLEGRO, UNENDO UNA RISTORAZIONE MOLTO CURATA ALLA DISCOTECA E ALLA MUSICA DAL VIVO.

UN CONNUBIO PREMIATO DAI CLIENTI CHE APPREZZANO IL SAPIENTE MIX

Passione gourmet, disco e musica live al Dadaumpa Manuela Caspani

P

arma, città cameo della cultura storico artistica italiana, ha dato i natali a illustri artisti nazionali ed è stata ammirata e celebrata da quelli stranieri, primi fra gli altri Stendhal e Proust. Qui il fascino della provincia, a cavallo tra “operosità” nordica, un poco austera e conservatrice, e anima godereccia della vicina costa romagnola, si sposa con un respiro internazionale che non è sfuggito ai letterati del passato. Sensibile al retaggio della città, Massimo Papa decide, sul finire degli anni ’80 di concretizzare un sogno creando un locale innovativo, il Dadaumpa. Fin dall’inizio il progetto si rivela un working in progress che non teme di cambiare e mettersi in discussione. Del resto anche i sogni, per concretizzarsi, devono concedere qualcosa alla realtà. Stanco del mondo delle discoteche, Papa decide di dire basta a formule ormai consolidate e a un mondo dove la trasgressione sembrava ormai l’unica scappatoia alla noia: “Ho deciso di provare a dare spazio al mio amore per la cucina; volevo sposare la mia passione gourmet con l’intrattenimento tenime serale -spiega- Cercavo un equilibrio equ nel divertimento da proporre propo a un pubblico che cercasse ca raffinatezza e allegria, eleganza e

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movimento”. Come ricorda, venne anticipato dal Paradiso di Rimini dove Gianni Fabbri, nello stesso periodo, unì la ristorazione alla discoteca, rinnovando una formula serale in via d’estinzione. Nel frattempo Papa iniziava la ristrutturazione di una casa colonica che agli inizi degli anni ’90 sarebbe diventato il nucleo della struttura unendo con il tempo tre ambienti: Dadaumpa, Fuori le Mura e Porfirio Rubirosa. Un’attenzione precisa per i particolari che si traduce anche in scelte impegnative come l’invio di cuochi e collaboratori in Francia, in particolar modo per specializzarsi nella cucina di pesce. Obiettivo finale, un live club con cucina di alto livello. Il club ottiene subito consensi ma è necessario cambiare qualcosa: “Mi resi conto che una ristorazione troppo sofisticata non era la scelta più adatta. Non ho rinunciato del tutto al mio sogno, la ristorazione resta per noi importante e curata, ma l’abbiamo ridimensionata”, ammette Papa. Così, le scelte artistiche e la musica live diventano il richiamo principale del Dadaumpa dove un sapiente mix decreta il successo del locale. Gruppi italiani e stranieri si avvicendano e dalla metà degli anni Novanta, con l’apertura della zona estiva, anche la discoteca “classica” ritrova spazio. “È stato giusto anche adeguarsi alla richiesta della città, ai gusti, alla cultura del luogo. Inoltre, l’alta ristorazione richiede una dedizione continua, difficile da unire ad altro. Il Dadaumpa, invece, mi ha permesso di conciliare lavoro e famiglia, tanto che oggi anche mio figlio lavora con me”. Parma è una cittadina vivace che premia chi le è fedele , non è “modaiola” a tutti i costi. La gente sa quel che vuole e ama sentirsi considerata. Cosa che ha permesso al Dadaumpa di far breccia e restare sulla cresta. Anche perché l’offerta è molto varia: ottima ristorazione, live club, discoteca… e, a completare l’opera, qualche anno fa è arrivato anche Porfirio Rubirosa, un locale a parte e nello stesso tempo

collegato, proprio accanto a discoteca e ristorante. Oggi è un passaggio obbligato per l’aperitivo, ma, volendo, anche per il resto della serata. Semplicemente, si può passare da un ambiente all’altro, o restare a trascorrere la serata in uno qualsiasi dei tre. Nessun problema, dunque, anche solo per gustare un drink come si deve e godere di buona musica, anche perché, per usare le parole di Massimo, “al Porfirio è impossibile stare fermi”. Ancora una volta il successo di un locale è decretato dalla lungimiranza di chi sta dietro: l’attenzione per la cucina, che è prioritaria per il titolare, si traduce nell’offerta di rilievo, sia per il food che per il beverage. Si privilegiano piccoli produttori locali che garantiscono forniture di pregio in omaggio al territorio, ricco di prodotti invidiati nel mondo, dal Parmigiano al culatello. Allo stesso modo la carta dei vini sa rispondere a palati di intenditori e solleticare quelli di semplici amatori o neofiti. “Ho sempre viaggiato molto, anche per tenermi aggiornato -dice Papa- All’estero osservo, imparo. Oggi è difficile inventare qualcosa di nuovo, si tratta piuttosto di raccogliere stimoli diversi e poi ognuno deve saperli adeguare alla propria città e al suo pubblico”. Per questo la cucina strizza l’occhio anche a portate dal gusto internazionale ma coniugate ai sapori locali, che a Parma restano imprescindibili. Gli orari infine sono quelli che Papa definisce “spagnoli”, si cena piuttosto tardi e fino a tardi senza problemi; chi va chi viene chi torna... per tutti un intrattenimento sano e solare e una tale varietà da richiamare una F B clientela eterogenea, dai trent’anni in su.

Ospitato in una casa colonica dal fascino antico, il Dadaumpa offre divertimento a un pubblico che cerca raffinatezza e allegria, eleganza e movimento. La cucina strizza l’occhio a portate dal gusto internazionale ma coniugate ai sapori locali, che a Parma restano imprescindibili

SCHEDA

Dadaumpa disco & restaurant via Emilio Lepido 48 43100 Parma tel. 0521.483813 direzione@dadaumpa.com

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QUARTIERIALTI IL ROMEO HOTEL DI NAPOLI CONTINUA A STUPIRE: INNOVATIVO IL CENTRO BENESSERE, LA DOGANA DEL SALE, DI FRESCA NOMINA LO CHEF, SALVATORE BIANCO, CHE PROPONE UNA CUCINA DELLA TRADIZIONE NAPOLETANA E CAMPANA UNITA AI SAPORI D’ORIENTE. COSÌ COME È NELLA NATURA DI QUESTO ART GALLERY HOTEL

Stile internazionale cuore napoletano Barbara Amati

I La luminosa ed elegante hall del Romeo Hotel, un albergo che è anche galleria d’arte

l ROMEO HOTEL NAPOLI non cessa di stupire nella sua inventiva volta a creare comfort e benessere sempre più raffinati. L’ultima proposta è la Dogana del Sale, il nuovo centro benessere che si distingue per l’esclusività dei materiali utilizzati, la dotazione tecnologica, come la sauna a infrarossi, e l’offerta di programmi personalizzati. Il nome di questa prima luxury Spa di Napoli deriva dallo storico omonimo edificio, adiacente all’albergo: un esempio raro di architettura cinquecentesca e una delle ultime testimonianze dell’antico quartiere del porto. Attualmente in restauro, la struttura, un tempo adibita a dogana, ospiterà le suite benessere del Romeo, direttamente collegate alla Spa. La Dogana del Sale rimanda alle virtù proprie dei vari tipi di sale che vengono utilizzati in diversi trattamenti del centro benessere: dal sale del Mediterraneo, particolarmente indicato per l’effetto abrasivo dolce e indispensabile per il ringiovanimento cellulare, al sale rosa dell’Himalaya, purificatore del tessuto iperlipidico grazie alla sua capacità di assorbire le impurità, al sale rosso delle Hawai, ricco di argilla vulcanica e ottimo anti-age. Vanto del centro benessere è una stanza le cui pareti, pavimenti e soffitto sono rivestiti di sale purissimo: è dedicata all’haloterapia (da halos, sale in greco), un trattamento naturale che, grazie a un generatore di areosol, diffonde particelle di sale micronizzato che vengono inspirate con grandi effetti benefici, battericidi e miglioratori dell’apparato immunologico. Ma, a parte la nuovissima Dogana del Sale, il Romeo è un albergo sorprendente sotto diversi punti di vista. Innanzitutto, è stato concepito come art gallery hotel, cioè come una sorta di albergo-galleria d’arte: alcuni dei più grandi nomi della scena artistica contemporanea hanno realizzato interventi site-specific in esclusiva per l’albergo, che in tutti gli spazi ospita prestigiose opere d’arte, di design e di antiquariato. Non mancano le donazioni di capolavori personali, come tre opere del maestro della Pop art italiana Mario Schifano. “La collezione è in continua implementazione, grazie a

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Il raffinato Sushi Bar & Restaurant e il ristorante gourmet Il Comandante, al decimo piano dell’hotel, impreziosito da opere di artisti contemporanei. Lo chef è Salvatore Bianco che nei suoi piatti dà la priorità ai prodotti del territorio

costanti acquisti sempre all’insegna dell’eccellenza -precisa il direttore dell’hotel Stefano PetrucelliEsempio d’arte sono anche la collezione fotografica, il cui progetto espositivo è stato curato da Mariella Barone, e che riguarda costumi e luoghi caratteristici di Napoli, e la collezione antiquaria, che vanta pezzi provenienti da tutto il mondo, comprese due poltrone pieghevoli da viaggio della Dinastia Ching e due antiche armature giapponesi”. Aspetti che si ricollegano alla struttura stessa dell’hotel, disegnato dallo Studio Kenzo Tange e Associati di Tokio: una sintesi perfetta di architettura contemporanea, di nuovo e sofisticato design e di installazioni e oggetti d’arte che pp nel Salotto dei giochi, la nuova non mancano neppure lounge dedicata al di divertimento come alla lettura, con il biliardo bilia Millennium, in legno laccato nero, il biliardino Gold Teckell, in cristallo extrachiaro, la scacchiera iin alabastro e una libreria a parete ccon un’ampia selezione di volumi su Napoli, l’arte e il design. “Stiamo mettendo a punto un con concept da replicare in Italia e all’estero (a breve si aprirà anche Romeo Hot Hotel Roma) che punta da un lato su a arte e arredi di design e, dall’altro, su un servizio ineccepibile per offr offrire un prodotto bello, innovativo e poco scontato -continua il direttoreStiamo mettendo a

punto un mix di tradizione e di hotellerie con un pizzico di innovazione senza dimenticare e l’eccellenza, perché siamo un n cinque stelle lusso e quindi lavoriamo moltissimo sui servizi e sull’organizzazione interna, intercettando giovani professionisti napoletani che hanno viaggiato per er il mondo facendo esperienze importanti i t ti e diamo di loro un’opportunità per rientrare a Napoli, con un bagaglio di conoscenze internazionali all’altezza del nostro progetto”. Mix internazionale e cuore napoletano, insomma, non essere mai approssimativi, né superficiali: questa è la filosofia che guida ogni scelta della proprietà (Alfredo Romeo) e del management. L’albergo ospita per l’80 per cento clienti stranieri, dalla sensibilità e dal gusto particolare che qui trovano un ambiente all’altezza delle loro aspettative. Ma anche i napoletani lo frequentano, attirati dall’innovativo centro benessere come dai tre ristoranti: Sushi Bar & Restaurant, in cui si possono degustare i sapori d’Oriente in un ambiente dall’arredo estremamente raffinato e innovativo, Beluga Skybar, dove si servono colazioni, lunch e aperitivi, ma aperto ad eventi e a cene private, visto la posizione d’eccezione, al nono piano, aperto sulla terrazza e sulla piscina con una strepitosa vista del golfo di Napoli e il Vesuvio, e il risto ristorante gourmet Il Comandante, al decimo piano, aper aperto tutti i giorni. È il ristorante d’eccellenza in città: rece recentemente rinnovato, vi accoglie all’ingresso con un’e un’elegante enoteca in cabina refrigerata con 2 mila bott bottiglie (in carta ci sono 700 etichette), raffinati tavoli su u una pedana rialzata così da avere una splendida vis vista sul mare, un’accogliente cigar room con una fin finestra sulla cucina dello chef. E lo chef è, da diversi m mesi, il giovane Salvatore Bianco, 32 anni, di FOOD&BEVERAGE OTTOBRE 2012 | 91


QUARTIERIALTI

La Dogana del Sale è l’innovativa Spa del Romeo che rimanda alle virtù proprie dei vari tipi di sale utilizzati nei trattamenti grazie ai benefici dell’haloterapia. A destra, il Salotto dei giochi, la nuova lounge dedicata al divertimento come alla lettura

Torre del Greco, fresco sposo di Carmela. sp Bianco ha alle spalle una Bi lunga esperienza nelle lu migliori cucine e negli m ultimi quattro anni è stato u executive chef all’Hostaria dell’Orso di Gualtiero Marchesi, March a Roma. Si esprime in cucina attraverso piatti di rara eleganza, costruiti con materie prime di grande qualità, lavorate al minimo per non alterare sapori e valori nutrizionali, con la perizia di un cesellatore. Ha la responsabilità di tutta la ristorazione del Romeo, un lavoro che lo impegna 16-18 ore al giorno per gestire dalle colazioni del mattino, al bar, al Beluga, al Comandante dove la sua creatività si esprime al meglio. “Non è facile coniugare il buon cibo alla gestione dei costi, ma sono favorito da aziende produttrici di eccellenze napoletane e campane che mi consentono una spesa a Km O e quindi meno onerosa. È un grande impegno, ma lo faccio con molta passione e con gioia, perché amo molto il mio lavoro -spiega Bianco che ha al suo fianco una brigata di 11 giovani napoletani, un gruppo capace e coeso- Nella selezione dei prodotti do la priorità a quelli del territorio, dalla mozzarella di bufala campana ai pomodorini del piennolo, riallacciandomi alla tradizione, ai gusti del passato e dell’infanzia. Provengo da una famiglia ricca di tradizioni e molti dei miei piatti riproducono il ricordo della memoria, dei profumi e dei sapori conosciuti da bambino, ma combinandoli con i sapori d’Oriente: come la genovese, stracotto di bue con cipolla fondente che unisco a un tonno kazubushi, essicato e fermentato. Una fusione fra tradizione napoletana e cucina orientale che si riallaccia al filo conduttore dell’hotel”. Una cucina semplice ma concettuale che dà verti-

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calità ai piatti, grazie a una grande padronanza delle tecniche di cottura più innovative: il cuoco ama giocare sul filo dell’ironia, ma il suo obiettivo è fare una buona cucina e farla capire al cliente: “Quando va via contento ho realizzato la mia serata -ammette Bianco- E sono molti i napoletani, e anche i campani, che vengono a cena e questo mi ha sorpreso: pongono grande attenzione in ciò che gustano e hanno voglia di scoprire una cucina pensata. Come il mio uovo (di Paolo Parisi) che rappresenta il mio stile di cucina: cotto poco al tegame e servito su cagliata di latte di capra (che richiama l’alimentazione della gallina) appoggiato su una crosta di pane cafone campano miscelato con nero di seppia che dà l’idea del terriccio; sull’uovo, sale affumicato, erbe aromatiche e fiori eduli, in un gioco di equilibri e contrasti tra il dolce, l’affumicato, l’amarognolo e la grassezza del tuorlo”. Oltre al menu à la carte, che presenta piatti come risotto con provola di Agerola al fumo con liquirizia e salsiccia, merluzzo nero su salsa di anice stellato radice ed erbe aromatiche, baccalà confit con crema di cannellini gelatina al tabasco e frittelle di mare, Il Comandante propone due menu degustazione, uno a base di pesce e uno caratterizzato dall’utilizzo dei prodotti del territorio, nonché un percorso di degustazione di sette portate, a cura dello chef, che cambia con le stagioni e con quello che offrono gli F B orti campani e il pescato del giorno. SCHEDA

Romeo Hotel Napoli via Cristoforo Colombo 45 80133 Napoli tel. 0039 081.0175001 fax 0039 081.0175999 www.romeohotel.it welcome@romeohotel.it


Me si e • nno VI • N 2 S t emb e 2012 • uro 3 50

Focus Vini rossi identità del territorio

PER I PROFESSION S I E GLI APPASS ONATI

Emergenti Nuova Zelanda enologia rampante

Ospitalità La Suite raffinato rifugio procidano Tecnologie Il futuro irrompe in cucina

Mensile • Anno V I • N°63 Ottob e 2012 • Eu o 3 50

Grappe Il mercato tiene per le etichette di qualità

Itinerari Montecarlo crocevia del gusto Ospitalità Cuore napoletano e internazionalità al Romeo Hotel

Foto d G u ano Reve o

Tappi Le opportunità dal sughero all’alternativo

Davide Palluda

Lorenzo Cogo

All’Enoteca Giovani galletti semplicità crescono a El Coq

ISSN 1971-7636

9 771971 763003

20063

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CULTURA&GUSTO UNA GRANDE MOSTRA DI RESPIRO INTERNAZIONALE RACCONTA L’EVOLUZIONE DEL RITRATTO NELLA PITTURA. SGUARDI E FIGURE DAL QUATTROCENTO AL NOVECENTO, ATTRAVERSO LE DIVERSE INTERPRETAZIONI DEGLI ARTISTI. A OSPITARLA, FINO AL 20 GENNAIO 2013, LA SUGGESTIVA BASILICA PALLADIANA DI VICENZA

Da Raffaello a Picasso il trionfo dei ritratti Adriano Baffelli

U

na novantina di quadri, in cui sono ritratte figure di particolare rilevanza e interesse che hanno attraversato con classe ed eleganza oltre cinquecento anni di storia. È l’intrigante sintesi della mostra Raffaello verso Picasso, ospitata dalla rinnovata Basilica Palladiana di Vicenza sino al 20 gennaio 2013. Un’attesa riapertura al pubblico dopo i profondi restauri che l’hanno interessata per un intero lustro. Quelle ritratte dai maggiori interpreti della pittura italiana e internazionale, dal Quattrocento sino alla fine del Novecento, sono figure scelte dal curatore, Marco Goldin, per raccontare un suo punto di vista della ritrattistica. Ma la mostra Raffaello verso Picasso non è né vuole essere una storia completa dell’arte del ritratto. È un’affascinante e ben circostanziata

La mostra “Raffaello verso Picasso” esalta secoli di arte attraverso i ritratti di figure di particolare rilevanza storica. Qui a fianco, un dipinto di Raffaello 94 | FOOD&BEVERAGE OTTOBRE 2012

sequenza di opere-capolavoro scelte da Goldin per raccontare una sua interpretazione di questo fondamentale ambito della pittura, proponendo non un percorso di successione cronologica ma, come gli è consueto, uno stimolante gioco di confronti, rimandi, assonanze tra artisti e soggetti, tra epoche e scuole. Sono opere di grande pregio e interesse provenienti dai musei di tutto il mondo e da collezioni private europee e americane. Per la critica, esse “raccontano la più grande storia che la pittura ricordi, quella dedicata al ritratto e alla figura. E non a caso il titolo scelto è Raffaello verso Picasso, cioè il lungo percorso che dal senso di una perfezione delle forme giunge fino alla rottura di quella stessa forma, con la ricerca cubista novecentesca. Sviluppata in quattro ampie sezioni tematiche (il sentimento religioso; la nobiltà del ritratto; il ritratto quotidiano; il Novecento: lo sguardo inquieto), la mostra racconta di volti e di corpi proposti in modi assai diversi lungo l’arco temporale iniziato con l’armonia rinascimentale e chiusosi con “l’inquietudine del XX secolo”. Si possono ammirare i ritratti di Fra’ Angelico, Botticelli, Mantegna, Bellini, Giorgione, Raffaello, Tiziano, Veronese, Dürer, Cra-


Dai ritratti rinascimentali a quelli dai colli allungati di Modigliani, agli indecifrabili picassiani, la pittura affascina attraverso gli sguardi

nach, Pontormo e, tra gli altri, di Rubens, Caravaggio, Van Dyck, Rembrandt, Velázquez, El Greco, Goya, Tiepolo. Una carrellata di volti, colori ed espressioni che contempla anche opere degli impressionisti, da Manet a Van Gogh, da Renoir a Gauguin, da Cézanne a Monet, così come dei grandi pittori del XX secolo, da Munch, Picasso, Matisse, Modigliani e Bonnard fino a Giacometti, Balthus, Bacon e Freud. Una sorta di “museo dei musei”. Una curiosità: solo due settimane dopo la chiusura della rassegna vicentina, con un titolo modificato, la mostra riaprirà a Verona, al Palazzo della Gran Guardia. “Il cuore dell’esposizione resterà lo stesso -spiegano gli organizzatori- le opere saranno sempre un centinaio. E se alcune rientreranno nei musei di provenienza, altre, bellissime, giungeranno a sostituirle. Tanto che si può con certezza dire come la mostra a Verona potrà essere visitata da chi non l’avesse fatto a Vicenza, ma anche da chi volesse rivederla con l’ingresso di altri capolavori” Con l’apertura della mostra vicentina promossa e sostenuta dalla Città di Vicenza e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona, i visitatori potranno entrare in Basilica dal salone degli Zavatteri, ora che sono terminati F B i lavori di ristrutturazione.

IL RISTORANTE

Al Bersagliere il gusto della tradizione Nel cuore di Vicenza, Maria Teresa Trentin propone all’Antica Osteria Al Bersagliere prodotti e piatti fortemente legati alle stagioni e con una particolare attenzione agli ingredienti sapientemente trasformati. L’ambiente e il clima sono quelli delle vecchie osterie e i posti sono trentacinque, suddivisi tra nu una sala da pranzo e il soppalco. Il menu si apre con una scelta di antipasti, fra cui il baccalà mantecato servito con foglie di mais croccanti, lo sformatino di zucchine con crema di bruscandoli o funghi e guanciale croccante o la selezione del Bersagliere. Tra i primi piatti, rigorosamente fatti in casa come il pane, da assaggiare i bigoli con ragù d’anatra, gli gnocchi con finferli, fiori di zucca e zucchine e i tortelli con taleggio ci Tra i secondi padellati con tartufo nero dei Colli Berici. secondi, imperdibili sono il baccalà alla vicentina con polenta gialla di mais di Marano, il tris di polenta, funghi e Asiago (uno stravecchio di malga), da gustare anche le costolette di agnello in crosta di nocciole, oltre naturalmente ai piatti di pesce, a quelli vegetariani e ai formaggi. Antica Osteria Al Bersagliere, Contrà Pescaria 11, Vicenza, tel. 0444.323507

L’ALBERGO

Antico e moderno s’incontrano all’Hotel Palladio L’Hotel Palladio si trova in un antico palazzo del XV secolo completamente restaurato con grande gusto nel 2007 a due passi dalla Basilica Palladiana e dal Teatro Olimpico. L’atmosfera è raffinata e rilassante, mentre antico e moderno si fondono per consentire un soggiorno all’altezza di qualsiasi esigenza. Dotato di ogni comfort, l’albergo si avvale di uno staff internazionale, gentile e professionale. Disponibile una sala conferenze con una capienza di trenta persone, un servizio automobile con autista e -a richiesta- persino per le composizioni floreali. In un ambiente riservato e tranquillo è possibile gustare ogni mattina un ricco e gustoso buffet. L’hotel vanta anche un confortevole Snack Bar. Hotel Palladio, Contrada Oratorio dei Servi 25, Vicenza, tel. 0444.325347, www.hotel-palladio.it

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BUONALETTURA a cura di Simona Percivalle

Bollicine Celebrare il Prosecco Andrea Zanfi prosegue il percorso di ricerca e valorizzazione celebrando in Conegliano e Valdobbiadene Prosecco Superiore, ultima opera della giovane collana “Protagonisti in cucina”, un vino assolutamente italiano, noto e apprezzato in tutto il mondo, capace di esprimere la cura e la grande artigianalità del nostro saper fare. Il volume contiene oltre 60 ricette-interpretazioni del Prosecco in cucina, frutto della partecipazione di altrettanti cuochi italiani e stranieri, a testimonianza della versatilità ed ecletticità del Prosecco Superiore nel sapersi abbinare, combinare e diventare ingrediente dei piatti, vero attore di un mondo, quello enogastronomico, poliedrico e itinerante. Alla creatività dei contenuti si lega anche un importante apparato iconografico a cura di Francesco Orini. Disponibile anche in inglese e in tedesco, è edito da Salvietti e Barabuffi e costa 20 euro.

Manuali Come gestire i ristoranti

Cuochi Cucina di gusto per i celiaci

Restaurant Management è l’ultima fatica di Giancarlo Pastore, formatore, consulente ed esperto internazionale nel comparto Alberghiero Ristorativo & Strategy. Un testo pensato per i futuri manager del dipartimento F&B che offre le linee guida per ottimizzare il business. Lo sforzo è quello di rendere un materiale impegnativo accessibile, ponendo l’accento sul saper far di conto per giungere a un corretto controllo di gestione. Il volume si focalizza in particolare sul budget per la ristorazione, con indicazioni di gestione finanziaria ed economica, con analisi approfondite per assicurarsi il successo commerciale in una fase come quella attuale, densa di turbative e di processi di cambiamento. Edito da Press Grafica, costa 50 euro.

Olga Francesca Scalisi ed Emanuela Ghinazzi firmano Senza glutine, un libro che conferma la loro filosofia: quella di alimentarsi in modo vario e salutare. Note al pubblico del web con gli pseudonimi di Felix e Cappera, le due caparbie autrici, entrambe celiache, sperimentano, osano e si intestardiscono con farine giudicate impossibili e capricciose, ottenendo risultati sorprendenti che mettono a disposizione del lettore con un ricettario goloso e completo, che spazia dall’antipasto al dolce. Non esistono, insomma, preparazioni off limits per i celiaci, perché tutto si può preparare in totale sicurezza. Basta utilizzare gli ingredienti giusti. E molti sono i consigli per l’acquisto e l’uso di farine naturali senza glutine. Edito da Aliberti, costa 15,90 euro.

Botanica Esuberanza naturalistica

Guide Un orto tutto nostro

Solo se si stringe un patto leale con la natura, solo se la proteggiamo essa ci ricompenserà generosamente, come accade nella tenuta della Fattoria Nittardi, una delle tante realtà della magnifica terra situata nel cuore della Toscana che è il Chianti. Alla scoperta del mondo botanico di Nittardi è uno speciale manuale nato dall’appassionato e meticoloso lavoro della botanica Isolde Hagemann che, insieme al marito Roland, ha studiato e fotografato più volte Nittardi e il territorio del Chianti, una piccola guida che parla della esuberanza naturalistica che circonda la Fattoria: arbusti, piante, spezie, fiori e frutti, condizioni climatiche e specificità del territorio sono descritti con accuratezza contribuendo a spiegarci il motivo per cui da più di 800 anni a Nittardi si produce vino con grande passione (info@stefania-canali.de).

È possibile coltivare da sé frutta e verdura per soddisfare il sempre più diffuso desiderio di cibi freschi e a chilometro zero? Lo si può fare anche grazie al supporto di questa guida rapida Frutta e verdura nell’orto di casa, che mette a disposizione schede tecniche relative ai singoli frutti e ortaggi, informazioni preziose sulla semina, la coltivazione, la raccolta, la lotta ai parassiti e alle malattie, oltre a suggerire indicazioni per la scelta del luogo adatto (anche in spazi ridotti), degli attrezzi e del tipo di suolo. Potremo, così, cimentarci con alcune piante dalla crescita immediata per la creazione del nostro orto domestico che prenderà forma rallegrandoci al solo pensiero di riuscire ad abbinare sapore e freschezza. Edito da Ian Cooke, costa 12 euro.

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PILLOLEDISTORIA

Crostacei da gourmet Nicoletta Negri

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el Paleolitico non era un sogno trovare sulla spiaggia una vongola di oltre cinque chili. Le dimensioni e le varietà di questi crostacei erano strabilianti. Con una vongola si poteva sfamare un’intera famiglia e, con il guscio, nascevano attrezzi e utensili. L’unico inconveniente con questo cibo delicato era la sua conservazione, soprattutto nelle zone più calde. Le prime tecniche usate per mantenere freschi e trasportabili i molluschi furono le stesse applicate alle carni, salagione e affumicatura. Ci vollero molti anni prima che si arrivasse alla piscicoltura. Il Proconsole romano Sergio, detto “l’Orata”, e nonno di Catilina, fu uno degli antesignani e sicuramente il più famoso tra i creatori di questa attività. Aveva inizialmente creato un piccolo allevamento di ostriche per nutrire i suoi pesci preferiti nel Lago di

Lucrino e, essendosi accorto che vendendo le eccedenze di molluschi otteneva notevoli entrate, decise di allargare in tal senso l’attività. La Gallia fece dell’ostricoltura, dopo la conquista romana, una delle sue più grandi risorse. Dell’ostrica, in particolare, ne cantarono e scrissero poeti e storici. In Francia venivano equiparate, per importanza, ai loro già decantati vini. Romani, Galli e Greci Anche i Greci erano ghiotti consumatori di ostriche, ma anche di cozze, ricci, granchi. In un menu poetico, Filossene di Citera parla delle cozze fritte, piatto che anerano estimatori di vari cora oggi si serve nei ristorantini del Pireo (“aperte che ancora friggevano perché tipi di crostacei che usciti dall’olio dorato in cui erano cotti”). Gli Ateniesi preferivano le aragomangiavano fritti, o cotti appena ste anche se apprezzavano ostriche, gamberoni e ricci… che cuocevano nel miele nel miele con prezzemolo con prezzemolo e menta. e menta. E fu Dumas a Per i Romani l’aragosta, che spesso confondevano con il granchio, era cibo afrodiinsegnare a gustare le siaco e i loro cuochi avevano un bel daffare a reperire il prodotto migliore: questo li costringeva spesso a viaggiare per partecipare alle aste dei mercati più riforniti. ostriche al naturale Ad Apicio (25 a.C.), dobbiamo la famosa ricetta chiamata poi da Dumas “aragosta all’americana”, ed erroneamente attribuita alla cucina bretone. Fu Dumas, invece, a insegnare come gustare le ostriche al naturale: “I veri esperti non aggiungono nulla all’ostrica e la mangiano cruda. Senza aceto. Senza limone. Senza pepe”. Anche le cozze venivano mangiate crude e, nel XVI secolo, il naturista Pierre Belon fa una dichiarazione quanto meno azzardata: “Le cozze sono buone per gli affetti da idropsia, per purgare le donne, per i malati di gotta e per l’itterizia”. l itterizia . Oggi sappiamo bene che spesso le cozze crude sono invece proprio causa di epatite e itterizia. terizia. F B

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ALLOSPECCHIO

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Vino, positiva la crescita nella Gdo Adriano Baffelli

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on è facile il rapporto tra produttori vitivinicoli e Grande distribuzione per cause arcinote e intuibili anche dai non addetti ai lavori. Basti pensare ai timori diffusi tra i produttori di vini di fascia media e alta rispetto alla presenza delle loro bottiglie nei supermercati: perdita del controllo commerciale; pricing indebolito e conseguentemente immagine globale penalizzata; difficile equilibrio nel rapporto con l’horeca.

Resta il fatto che, al di là delle dichiarazioni d’intenti e delle riserve più o meno palesi, la Grande distribuzione organizzata (Gdo) offre sempre più una tavolozza pressoché completa dell’articolato “vigneto Italia”. Fascia d’alta gamma compresa. Ne troviamo conferma in recenti indagini sulle dinamiche del settore, secondo le quali nel 2011 nella Gdo gli italiani hanno acquistato 571 milioni di litri di vino, per un valore di 1,44 miliardi di euro. Un dato che Nel 2011 gli italiani conferma un trend costante da oltre hanno acquistato nella un decennio: si beve in totale meno Grande distribuzione ma sempre meglio. Il consumatore, più preparato e cosciente, 571 milioni di litri di sempre capisce che in funzione della garanvino, soprattutto nella zia di un incremento della qualità fascia di prezzo sopra una maggiore spesa è giustificata. i 5 euro a bottiglia Infatti, nel 2011, il migliore risultato l’ha conseguito il vino della fascia di prezzo posta sopra i 5 euro a bottiglia, con un incremento del 2,5 per cento in valore e del 2,9 in volume. Sono dati che in maniera chiara dimostrano la progressiva e costante crescita del vino di qualità sugli scaffali della Gdo con il conseguente positivo recepimento da parte dei consumatori. Il tutto aiutato da politiche attente e dall’allestimento di efficaci wine corner tra le corsie dei supermercati. Vendite in deciso aumento quando tra le bottiglie e i potenziali consumatori s’interpongono addetti competenti e/o sommelier in grado di raccontare le peculiarità dei prodotti e dei territori dai quali nascono. Anche dalla positiva sinergia tra il mondo del vino e la Gdo possono derivare buoni risultati per uno tra i principali F B settori della nostra economia e cultura.




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