F&B77 APRILE 2014

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Mensile • Anno IX • N°77 Aprile 2014 • Euro 3,50

Prosecco Lo spumante che conquista il mondo

Chef Daniel Canzian interpreta l’Italian fusion Delhi Alla scoperta dello spirito del cibo

Foto di Barbara Campassi

Carne Al ristorante la rivincita dei tagli poveri

PER I PROFESSIONISTI E GLI APPASSIONATI

Mimma Posca

...e Pommery creò il Brut



editoriale

Giocare in casa Barbara Amati amati@foodandbev.it

C

he l’esportazione rappresenti per le aziende vitivinicole italiane ciò che ha permesso di restare

sul mercato raggiungendo buoni fatturati è cosa nota. È, infatti, grazie al successo internazionale che la maggior parte di esse ha continuato a crescere, tanto che nel 2013 si sono raggiunti i 5 miliardi di euro di export, segnando un +7,3 per cento sul 2012, con il 70-80 per cento delle etichette delle cantine indirizzate all’estero (dati Istat). Una crescita importante, tanto più se si considera la diminuzione di quasi un milione di ettolitri dei volumi esportati: siamo scesi dai 21,3 milioni del 2012 ai 20,4 milioni del 2013 e l’incremento del valore medio unitario è passato da 2,20 a 2,47 euro al litro, con un +12,3 per cento. Dunque, il vino italiano spunta prezzi migliori e questo è un gran bel segnale, indice di un’accresciuta

considerazione e di un maggiore apprezzamento sui mercati internazionali. Una soddisfazione per i produttori, che premia il loro impegno, la loro fatica e la loro passione, sicuramente frutto anche di una crescita qualitativa e dell’equilibrio prezzo-qualità. E premia l’Italian style, che è sempre più di tendenza in ogni settore. Ma se quello dell’esportazione è diventato un segmento di vendita prioritario, la diminuzione dei volumi esportati deve comunque far pensare. Perché, se è logico che, a fronte del calo dei consumi interni di vino, passati dai 55 litri pro capite del 1997 agli attuali 37, le aziende abbiano cercato altrove dove posizionare i propri prodotti e l’abbiano fatto con grande perizia, deve essere anche ben chiaro che il primo Paese nel quale le imprese devono costruire il proprio mercato e la propria immagine è quello di casa nostra. E un Vinitaly sold out è indubbio che rappresenti anche un indicatore Il mercato italiano è preciso della consapevolezza dell’importanza di una rassegna che sempre più si fondamentale per il nostro consolida come un indispensabile Italian wine show al quale non si può mancare. sistema vino che non Occorre esserci, per farsi conoscere agli operatori italiani, come a quelli esteri, sui si può basare solo sul quali Veronafiere quest’anno punta in maniera decisa. Il ruolo del mercato interno come vetrina per gli acquirenti internazionali è e resta fondamentale, perché è successo internazionale. difficile che un importatore straniero acquisti un prodotto se questo non è ben Ed è difficile che gli presente nel mercato d’origine. Anche perché, in Italia, rimangono comunque 20 importatori acquistino milioni di ettolitri di vino e sono quelli che garantiscono quella visibilità dell’imun prodotto non presente magine aziendale poi necessaria per proporsi nel mondo. nel Paese d’origine A ben guardare, se è una realtà che la spesa alimentare delle famiglie è in calo, è però vero che il vino rimane la bevanda alcolica di riferimento e i margini di crescita non mancano. Certamente, occorre lavorare sul proprio marchio con investimenti mirati, una più stretta collaborazione con gli operatori commerciali e una più incisiva alleanza con la ristorazione e il mondo horeca: un dialogo che va ravvivato costantemente, cavalcando la grande attenzione mediatica verso gli chef, le nuove star del nostro tempo. A loro si deve parlare, a loro si devono far conoscere i nuovi vini risultato dell’impegno e della passione dei produttori. Che non si fermano mai, sempre alla ricerca di qualche cosa F&B di innovativo da proporre. Per suscitare interesse, per suscitare emozione.

Food&Beverage è al Vinitaly di Verona, dal 6 al 9 Aprile, Galleria 4-5 Stand 5 Food&Beverage è al Cibus di Parma, dal 5 al 8 maggio, Padiglione 3 stand F079 Food&Beverage aprile 2014 | 3


Food&Beverage vi dà appuntamento al 2 Maggio 2014 Direttore Editoriale Aureliano Amati direzione@foodandbev.it Direttore Responsabile Barbara Amati amati@foodandbev.it Coordinatore di Redazione Jenny Maggioni redazione@foodandbev.it Collaboratori di Redazione Federica Belvedere, Silvana Caminada, Irene Catarella, Francesca Farina, Stefano Masin, Bibi Monti, Simona Percivalle via Simone d’Orsenigo 5 - 20135 Milano tel. 02 47787220 - fax 02 47787237 segreteria@foodandbev.it Collaboratori Clara Aliborange, Giovanni Angelucci, Francesca Barni, Nicola Dante Basile, Paolo Becarelli, Enza Bettelli, Donatella Bernabò Silorata, Elena Bianco, Pietro Bongiorno, Jerry Bortolan, Germana Cabrelle, Luigi Caricato, Manuela Caspani, Francesco Colombera, Alberto Corrado, Massimo Di Cintio, Alessandro Franceschino, Beppe Francese, Laura Gambacorta, Luca Gardini, Marco Ghedini, Gerardo Giorgi, Fabiano Guatteri, Rocco Lettieri, Gianluca Luppi, Giulia Marcucci, Beba Marsano, Monica Mazzanti, Gianna Melis, Gianni Mercatali, Betty Mezzina, Giorgio Montanari, Antonio Paolini, Frida Parise, Paolo Pellegrini, Anna Pesenti, Cesare Pillon, Erica Re, Beatrice Rioda, Giulio Cesare Saviozzi, Roger Sesto, Gualtiero Spotti, Marina Tagliaferri, Irma Tannino, Biagio Testa, Franco Tosca, Bianca Trao, Bianca Zille Foto Barbara Campassi, Henri Cartier-Bresson, Châteaux du Bosc, Consorzio tutela del vino Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore, Costa Croup, Fondation Claude Monet Giverny, Fundació Gala-Salvador Dalí, Federico Martini, Office de Tourisme Cagnes sur Mer, Canio Romanelli, Salento Vip, Sarah Scaparone Responsabile Amministrativo e Commerciale Aldo Ballestra ballestra@febeditoriale.com Pubblicità Italia F&B Editoriale tel. 02.47787220 Grafica e impaginazione Pigierre Srl - via Angelo Maj 12 20135 Milano Stampa Tiber Spa - via Volta 179 25124 Brescia Distributore esclusivo per l’Italia Press di Srl - Segrate (Mi) Editore F&B Editoriale Srl Sede legale p.zza San Camillo de Lellis 1 20124 Milano Reg. al Trib. di Milano n. 720 del 27/9/2005 Venerdì 4 Aprile 2014 Euro 3,50 4 | Food&Beverage aprile 2014

62 Sommario Editoriale Giocare in casa Barbara Amati

pag. 3

Valle dell’Acate Il Cerasuolo di Vittoria Docg Barbara Amati

pag. 11

santa sofia Gioè, gioia per il palato Federica Belvedere

pag. 12

amari Con prugna ma sempre Unicum Barbara Amati

pag. 15

30

zenato Il Lugana nel cuore Frida Parise

pag. 16

ricerche Verso il caffè perfetto Marco Ghedini

pag. 21

coverstory … e Pommery creò il Brut Barbara Amati pag. 30

chef L’Italian fusion di Daniel Canzian Barbara Amati

pag. 36

Santa Margherita Ecosostenibilità a 360° Barbara Amati

pag. 40

taste Il gusto passa da Firenze Barbara Amati

pag. 42

Distribuzione La cucina di Vissani pret-à-manger Barbara Amati

pag. 46

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FOOD&BEVERAGE online www.febeditoriale.com www.foodandbev.it FOOD&BEVERAGE online Siamo in internet al sito www.febeditoriale.com

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attualità

Umberto Cesari L’eccellenza del Sangiovese Barbara Amati

pag. 48

carni Diamoci un... taglio Jenny Maggioni

pag. 52

Contest Fast Food di qualità Barbara Amati

pag. 56

La Delizia Il valore del territorio

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Jenny Maggioni

pag. 58

speciale Prosecco style Paolo Becarelli

Uomini e Vigne pag. 8 Novità da stappare pag. 14 Food Valley pag. 18 Lodge & Spa pag. 22 Business News pag. 24 Il mondo in pentola pag. 26 Cultura & Gusto pag. 94

rubriche Scelte di gusto Chez... Sfiziofood Spiritbarman Buona lettura Pillole di storia Stelle a tavola

pag. 6 pag. 28 pag. 86 pag. 90 pag. 96 pag. 97 pag. 98

pag. 62

ristoranti La nouvelle vague del Degusto Giovanni Angelucci

pag. 68

concept Cucina Torcicoda, per buongustai Frida Parise

8

pag. 70

aziende Quartiglia, l’alleato degli chef Giovanni Angelucci

pag. 72

itinerari Delhi, lo spirito del cibo Elena Bianco

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pag. 74

Cultura Cucine d’artista Beba Marsano

pag. 80

Quartieri Alti Suggestioni montane al Pilier d’Angle Elena Bianco

pag. 92

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scelteDIGUSTO Il ristorante preferito, la bevanda più amata, l’abbinamento perfetto: ogni mese Food&Beverage dà voce ad alcuni imprenditori del nostro settore e a personaggi noti per conoscere le loro preferenze gourmet e scoprire gusti e abbinamenti che talvolta ci possono sorprendere

Amministratore delegato Warsteiner Italia

Luca Giardiello Decisi abbinamenti

Il ristorante del cuore Trattoria de Toni, Grado (Go) Il piatto della passione Baccalà mantecato La bevanda preferita Warsteiner Pils Premium Verum Piatto e bicchiere mon amour Ossobuco e birra Konig Ludwig Dunkel Drink preferito Martini secco A tavola con… Papa Francesco

titolare

Maria Teresa Branca Amore per le radici Il ristorante del cuore Just Cavalli Hollywood, Milano Il piatto della passione Pasta al pesto La bevanda preferita Chianti Classico Villa Branca Piatto e bicchiere mon amour Cotoletta alla milanese con Chianti Drink preferito Negroni con Carpano Classico A tavola con… Carlo Cracco

imprenditrice della comunicazione

Attore

Il ristorante del cuore Open Colonna, Roma Il piatto della passione Spaghetti con pomodoro fresco e basilico La bevanda preferita Coca-Cola Piatto e bicchiere mon amour Mozzarella e pomodori con vino rosso Drink preferito Cocktail di frutta mista A tavola con… mio marito Giulio e i miei figli Cristiana, Vittorio e Valerio

Il ristorante del cuore Trattoria Della Barchetta dal 1924 Roma Il piatto della passione Cotoletta La bevanda preferita Villa Sparina Gavi Docg Piatto e bicchiere mon amour Polpette e vino rosso Drink preferito Mojito A tavola con… gli amici

Tiziana Rocca Elegante semplicità

Diego Abatantuono Gusti veraci

FOOD&BEVERAGE È ANCHE ONLINE www.febeditoriale.com, www.foodandbev.it

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uominievigne progetti

Télos, nel rispetto della natura T

élos, in greco antico, significa “scopo”. Ed è questo il nome scelto dai fratelli

Castagnedi (Armando, Tiziano, Massimo e Paolo) per identificare i vini della Tenuta Sant’Antonio a Colognola ai Colli (Vr), in una zona ventilata di collina, a 350 metri sul livello del mare, con terreni molto calcarei. La loro è stata una sfida nata dalla scelta di sviluppare un progetto innovativo nel metodo e nell’iter produttivo: i vini nascono da una viticoltura integrata e il processo di vinificazione è attivato esclusivamente con prodotti di origine organica, con grande attenzione, dunque, alla gestione delle temperature e l’utilizzo di soli gas inerti per evitare l’ossidazione del vino. “Lo scopo, appunto, è quello di offrire al consumatore un vino salutare, prodotto nel pieno rispetto della natura, mantenendo, allo stesso tempo, piacevolezza al gusto e al palato e garanzia di longevità. Il che significa produrre vini senza solfiti aggiunti, e senza neanche l’utilizzo del solfato di rame”, come ha ben spiegato Tiziano Castagnedi nell’incontro al Cafè Trussardi Lounge di Milano proponendo in degustazione tre annate del suo Télos Bianco, 2011, 2012 e 2013, oltre al Valpolicella e all’Amarone. “Con Télos Bianco si vuole dare un’identità nuova al Soave. È prodotto con l’80 per cento di garganega (le uve allevate a tendone hanno più di 60 anni) e il 20 per cento di chardonnay. Se l’annata 2013, appena imbottigliata, deve ancora esprimersi al meglio, il 2012 presenta una decisa mineralità, con note di marna e una sapidità marcata, profumi di erbe medicamentose, salvia, rosmarino, timo, e leggere note di agrumi con un finale di mandorle amare, caratteristiche maggiormente evidenti nel 2011, dal sapore fresco e persistente, in continua evoluzione via via che si apre”. Télos Rosso, un Valpolicella 2011 con note di ciliegia, frutta rossa, liquirizia e grafite, in bocca è abbastanza morbido, fresco e sapido, mentre Télos Amarone della Valpolicella Docg 2010 è intenso e complesso, con note floreali e di frutta rossa, speziato, secco e caldo al palato, equilibrato e persistente.

Veuve Clicquot

Helena Rizzo eletta Best Female Chef

H

Rizzo del ristorante Maní di San Paolo, in Brasile, è stata nominata Veuve Clicquot World’s Best Female Chef 2014 e sarà premiata a Londra il 28 aprile ai World’s 50 Best Restaurants Awards. Già vincitrice del Veuve Clicquot Latin America’s Best Female Chef Award 2013, la chef di origine brasiliana ha voltato le spalle a una carriera da fotomodella per dedicarsi a tempo pieno alla sua passione per la gastronomia. Ed è proprio donne così che il Veuve Clicquot World’s Best Female Chef Award vuole premiare, ossia donne la cui eccellenza in cucina è capace di suscitare l’interesse dei critici più severi e degli chef più rinomati. La maison di Reims è nota da tempo per il fatto di conferire potere a donne audaci e innovative, così come fece Madame Clicquot quando assunse il controllo dell’azienda di famiglia nel 1805, rendendola un brand di fama mondiale.

elena

prosecco

manifestazioni

Le bollicine di Villa Sandi protagoniste a Londra

Vitignoitalia a Napoli dall’8 al 10 giugno

Le bollicine di Villa Sandi sono state protagoniste a Londra all’Intercontinental Park Lane con la cucina dello chef stellato Theo Randall in un incontro di sapori tutti italiani. Il Prosecco Doc, il Valdobbiadene Docg, il Metodo Classico Opere Trevigiane hanno suscitato l’apprezzamento dei degustatori che hanno seguito con attenzione la preparazione del risotto al radicchio tardivo di Treviso accompagnato dal Cartizze Vigna La Rivetta: una vera cooking class che ha unito due eccellenze del territorio trevigiano. Le peculiarità degli spumanti di Villa Sandi e l’unicità delle colline del Prosecco sono state raccontate dal wine maker dell’azienda di Crocetta del Montello.

Da dieci anni Vitignoitalia porta a Napoli, ogni anno, oltre 200 aziende vitivinicole per quello che ormai è diventato l’evento enologico di riferimento dell’Italia centro meridionale: 3 giorni di workshop, esposizione e degustazioni a Castel dell’Ovo, monumento simbolo del lungomare partenopeo. Questa decima edizione si svolgerà dall’8 al 10 giugno mantenendo il medesimo format, ossia l’apertura al pubblico dalle 14 alle 21 e le mattine dedicate agli operatori esteri e alle contrattazioni one to one. Tra le novità, l’applicazione mobile Smartwine, un’App completa di servizio Qr-Code che permetterà di avere informazioni sui vini e le aziende.

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lazise

Il successo di Bardolino e Custoza

B

ardolino e Custoza stanno vivendo una stagione felice, visto come è andato positivamente il 2013 e il successo dell’anteprima dei due vini che si è svolta a metà marzo a Lazise. Le due Denominazioni che, insieme, costituiscono la quarta area vinicola del Veneto, con 4.500 ettari di vigneto, vendono più di 40 milioni di bottiglie l’anno, con un fatturato di 100 milioni di euro. Come dimensione, nel Veneto il Bardolino viene dopo soltanto il sistema Prosecco, la Valpolicella e il Soave: nel 2013 sono stati raggiunti i 28,5 milioni di bottiglie segnando un incremento produttivo del 4 per cento sull’anno precedente. Per quanto riguarda le vendite, sono salite del 5,8 per cento arrivando a 20,3 milioni di bottiglie, mentre la tipologia Chiaretto si colloca stabilmente oltre gli 8 milioni. Il Custoza rappresenta la quinta area produttiva fra le Doc venete e nel 2013 la produzione è cresciuta del 10,2 per cento, superando i 12 milioni di bottiglie.

ricerche

Come e perché si consuma il vino

L

e motivazioni che spingono o allontanano il consumatore verso gli acquisti di vino aiutano le imprese a capire il posizionamento del marchio e quello dei loro prodotti sul mercato. “Comprenderne le motivazioni è fondamentale per affrontare la contrazione dei consumi che sta caratterizzando il vino sul mercato italiano”, spiega Lorenzo Biscontin, direttore generale di Bosco Viticultori che ha commissionato a Squadrati, società di ricerche di mercato, un’analisi sugli atteggiamenti di consumo del vino. La ricerca sarà presentata a Vinitaly lunedì 7 aprile alle ore 11 all’Auditorium del Centro Congressi Palexpo.

stati uniti

In America piacciono i toscani

È

tutto toscano il terzetto che guida i marchi e i vini italiani più popolari sul mercato della ristorazione americana: Banfi (con il Brunello di Montalcino e il Toscana Pinot Grigio San Angelo), Ruffino (con il Chianti Classico Riserva Ducale Gold ed il Toscana Modus Sangiovese), Antinori (con il Tignanello e il Chianti Classico Villa Antinori). La notizia viene da un’indagine dell’autorevole magazine Wine & Spirits tra i sommelier dei più importanti ristoranti d’America. I top brand italiani, secondo l’indagine, pesano per il 17,3 per cento sul totale delle vendite fuoricasa di vino di alta gamma. Guardando alle tipologie di vino più vendute, nel 2013, il primato spetta a Barolo e Barbaresco (il 5,9 per cento delle vendite di grandi vini italiani al ristorante), seguito da Chianti Classico (5,7 per cento) e Brunello di Montalcino (4 per cento).

partnership

Yannick Alleno cucina per Moët & Chandon Moët & Chandon ha avviato una collaborazione con Yannick Alleno, lo chef francese 3 stelle Michelin appassionato perfezionista culinario dalla grande creatività. Per celebrare la partnership Alleno ha creato ricette esclusive e raffinate che saranno proposte online per essere condivise con il mondo. Pensate per poter essere elaborate da principianti quanto da grandi professionisti, le ricette esalteranno gli Champagne Moët & Chandon per creare un’inedita food&wine experience. Inoltre, la maison svela LE & by Moët & Chandon: protagonisti il Grand Vintage e la grande cucina stellata, dal 9 giugno al 9 luglio, a L’Orangerie, a Epernay, nella sede della maison.

annate

Barolo, Barbaresco e Roero in anteprima ad Alba Dall’11 al 16 maggio ad Alba (Cn), si rinnova l’appuntamento con le nuove annate dei tre vini piemontesi Barolo, Barbaresco e Roero, organizzato da Albeisa, l’azienda che produce e dà il nome alla bottiglia utilizzata per questi prodotti. L’anteprima delle nuove annate, giunta alla quinta edizione, si terrà al Palazzo Mostre e Congressi di Alba. Barolo 2010 e Riserva 2008, Barbaresco 2011 e Riserva 2009, Roero 2011 e Riserva 2010 saranno i protagonisti; presenti oltre 230 aziende di Langa e Roero per un totale di quasi 500 vini a base nebbiolo. L’evento si articolerà in cinque giornate, con una formula rinnovata, che si propone di assecondare le diverse esigenze dei partecipanti.

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uominievigne aste

Eventi

I vini di Ornellaia investimento sicuro

Eccellenze maremmane in scena a Grosseto

I vini italiani sono sempre più apprezzati a livello mondiale, tanto da performare meglio dei francesi nelle più importanti aste internazionali. In questo contesto, Ornellaia risulta essere un investimento più sicuro di beni rifugio quali oro o commodity come il petrolio. Secondo Liv-ex, la borsa internazionale del vino che monitora le performance e i prezzi di oltre mille vini nel mondo, l’azienda fondata nel 1984 a Castagneto Carducci (Li) è, quella con i vini di eccellenza che ha i rendimenti in crescita più costanti nel tempo, il cui apice è La Salmanazar di Ornellaia 2010, con etichetta creata dall’artista Michelangelo Pistoletto, battuta da Sotheby’s a Londra per 105 mila euro.

La Maremma si racconterà dal 16 al 18 maggio con un grande salotto open air lungo le vie e le piazze più suggestive di Grosseto. È Passione Maremma wine & food shire, la prestigiosa vetrina dei vini, delle eccellenze agroalimentari, ma anche della cultura maremmana e del suo artigianato artistico, ideata da Giovanni Lamioni, maremmano Doc e presidente dalla Camera di commercio di Grosseto. La manifestazione, per il secondo anno, porta dunque in scena la Maremma toscana coi propri prodotti e produttori (oltre 100), ma soprattutto mostra uno stile di vita dall’identità forte con degustazioni, showcooking, classi del gusto e molto altro.

competizioni

Luca Supremo domina il Challenge on Ice

L

uca Supremo del Bar

Crastan di La Spezia, Francesca Mannis del Sunrise Cocktail Bar di Falerna Marina (Cz) e Bruno Vanzan del Planet One di Milano sono i vincitori dell’11a edizione del Challenge on Ice, la manifestazione dedicata ai cocktail e riservata ai fiduciari e consiglieri Aibes, l’associazione ufficiale dei barman italiani. L’evento prevede una gara tra barman e barlady di grande esperienza, che si sono distinti nella loro professione portando in alto i valori della tradizione e della professionalità nell’ospitalità italiana nel mondo. Regole sempre più rigide, molti giovani ambiziosi tra cui tre donne, di cui una, appunto, classificatasi al secondo posto, e ultimo, ma non meno importante, una location esclusiva nella suggestiva riviera ligure: l’Excelsior Palace Hotel di Rapallo (Ge), sono la dimostrazione che quella del barman è una professione che cresce e che può essere uno sbocco per le nuove generazioni.

sughero

Tappi Diam Bouchage, qualità e tecnologia

D

uecentocinquanta milioni di tappi in circolazione nel 2013, con un incremento del 18 per cento rispetto al 2012, e una stima su base decennale che arriva a circa un miliardo di tappi immessi sul mercato. Questi i numeri che ha presentato in un evento riservato ai sommelier della capitale, Diam Bouchage, leader mondiale nella produzione di tappi tecnici in sughero, presente sul mercato italiano dal 2003 grazie alla Paolo Araldo di Calamandrana (At). Un incontro con l’obiettivo di fornire informazioni sul procedimento, le caratteristiche di neutralità sensoriale e omogeneità del brevetto Diamant. Ogni vino ha esigenze particolari e perciò Diam Bouchage ha declinato la gamma Diam in diversi livelli di permeabilità e di durata di invecchiamento.

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accordi

Valdo distribuisce Champagne Feuillatte

V

aldo è il distributore esclusivo di Nicolas Feuillatte, il primo Champagne in Francia, il terzo nelle classifiche mondiali, con 9,9 milioni di bottiglie vendute nel 2012. Fondato nel 1976, è un marchio giovane, ma che è riuscito a diventare leader di mercato grazie a una qualità universalmente apprezzata. La storica azienda di Valdobbiadene (Tv), farà conoscere al pubblico italiano tutta la collezione, composta da 14 vini, da Les Indispensables a Palmes d’Or Champagne, dalle preziose cuvée ai grand cru ai millésimé. “Ci sono alcune caratteristiche comuni che hanno portato a questo accordo -commenta Massimo Poloni, managing director Valdo- In primis la leadership dei due marchi sui rispettivi mercati domestici. Se in Francia Nicolas Feuillatte è lo Champagne più venduto, Valdo è il numero uno nel mercato del Prosecco di qualità con oltre 5 milioni di bottiglie vendute in Italia”.


valle dell’Acate Il vino di punta dell’azienda siciliana è il risultato di un lungo percorso di zonazione, alla scoperta delle sette terre del feudo Bidini. L’impegnativo lavoro in vigna e in cantina e la passione di Gaetana Jacono hanno condotto a un prodotto dal carattere non tipico, ma che rispecchia il territorio

Cerasuolo di Vittoria Docg pregiato figlio della terra rossa Barbara Amati

C Gaetana Jacono ha lasciato alle spalle una laurea in Farmacia per dedicarsi ai suoi vini dal carattere distintivo, come il suo Cerasuolo di Vittoria Docg, morbido e vellutato dai profumi di frutti rossi e accenni di spezie

onvinta di avere tra le mani un patrimonio che andava valorizzato puntando sull’unicità di un

territorio come quello della Valle dell’Acate, in provincia di Ragusa, Gaetana Jacono, sesta generazione di una famiglia da sempre coinvolta nella terra, ha preso in mano le redini dell’azienda. Era il 1993 e, lasciandosi alle spalle una laurea in Farmacia, ha avviato con il contributo di Alberto Zaccone, docente di Analisi sensoriale all’Università Cattolica di Piacenza, uno studio sui propri terreni (100 ettari) scoprendo di avere 7 microzone diverse: “Un’impegnativa opera di microzonazione che ci ha condotto a selezionare per ogni vino il terreno giusto che caratterizza la vigna e dà al prodotto una particolare espressione”, spiega la produttrice siciliana. Nelle sette terre che compongono il feudo Bidini di Valle dell’Acate (epicentro della zona Classica per il Cesasuolo di Vittoria) in cui nascono sette vini differenti, è racchiusa l’essenza della Sicilia: la gialla, la bianca, la nera con ciottoli bianchi, la rossa, la nera, la rossa arancio e l’ocra. Ed è nella terra rossa che ha origine il Cerasuolo di Vittoria, “un vino antico, rinato con la Docg ottenuta nel 2005”, ricorda la Jacono. L’uvaggio attuale è figlio di sperimentazioni che hanno portato a quel blend che oggi ha consentito di ottenere un vino di grande equilibrio -60 per cento nero d’Avola e 40 per cento frappato- e che è la punta di diamante dell’azienda: rosso ciliegia intenso, dai profumi di frutti rossi e accenni di spezie, come liquirizia e cacao; in bocca è morbido, pieno e vellutato, con tannini molto equilibrati. Per dimostrare l’evoluzione del suo Cerasuolo la produttrice ne ha proposto in degustazione alcune

annate al ristorante milanese Daniel. Dal 1996, lontano dall’attuale stile aziendale, “più una curiosità storica”, al 2000, 2006, 2007, 2009 e 2010. Se nell’annata 2000 risulta evidente che il lavoro intrapreso in vigna e in cantina aveva cominciato a dare risultati interessanti (con la percentuale di nero d’Avola salita dal 50 al 60 per cento, la raccolta anticipata per il frappato, il controllo delle temperature durante la vinificazione), è però nel 2006 che si percepisce il cambio di passo: qui il nero d’Avola è maturato in barrique e il frappato affinato in acciaio. Nel 2007, ancora un po’ chiuso, la maturazione avviene non più in barrique ma in tonneau, più idoneo all’ossigenazione del vino. Il 2009 ha una bella mineralità ed è un prodotto che si distingue, ma poco riconoscibile come “siciliano”: “Il nostro Cerasuolo ha una minore identità di territorio, ma ne guadagna in equilibrio ed eleganza: è austero, ma con una grande freschezza che gli è data dal frappato e la struttura piena del nero d’Avola”. È un vino che ha bisogno del rispetto dei tempi, come dimostra il 2010, in bottiglia da 4 mesi, il cui blend deve ancora fondersi al meglio. “Il 2009 ha avuto un grande successo di vendita ma non di critica -ammette Gaetana- Eravamo lontani dall’identità del Cerasuolo, ma stiamo guadagnando terreno: non ne soffriamo, perché è più forte il brand. Inoltre, è un vino che ha una grande facilità di abbinamento e anche questa è la sua forza”. F&B Food&Beverage aprile 2014 | 11


santa sofia La

Pedemonte di Valpolicella festeggia il 50° di uno dei suoi vini più celebri: l’Amarone della Valpolicella Doc Classico Gioè, creato da Giancarlo Begnoni nel 1964 e realizzato in sole 17 vendemmie strepitose: come l’ultima, la 2007 storica cantina di

Gioè, gioia per il palato Federica Belvedere

I L’Amarone Gioè rappresenta la storia in azienda dell’enologo Giancarlo Begnoni, nella foto con i figli Patrizia e Luciano, e la sua filosofia vitivinicola: produrre vini di qualità realmente superiori

l diciassette è un numero fortunato per Santa Sofia, storica azienda fondata nel

1811 a Pedemonte di Valpolicella (Vr), e, in particolare, per il suo Gioè Amarone della Valpolicella Doc Classico. Un vino unico nel suo genere e nella sua storia, nato cinquant’anni fa dalla volontà e dalla passione dell’enologo Giancarlo Begnoni: “Nel 1964 ho avuto l’idea di produrre un vino di qualità realmente superiore, che abbinasse a una stoffa poderosa i profumi più eleganti e morbidezza del gusto -racconta- Da allora, solo diciassette volte si sono ripetute le condizioni stagionali e microclimatiche indispensabili alla maturazione delle uve che danno vita al Gioè, qualitativamente superiori, sia per le caratteristiche del terreno, sia per la continua esposizione solare della parte superiore del colle Monte Gradella, indicata appunto come Gioè. Un vino che rappresenta la mia storia in azienda, interamente dedicata a produrre etichette di qualità, che sappiano infondere piacere”. Le parole si sono trasformate in vini e in annate strepitose come l’ultima, la 2007: “Ho scelto di produrlo solo nelle annate migliori e la 2007 è speciale, quella che si dice un’ottima annata: uve sane, con acini pieni, appassimento ben riuscito, maturazione lenta per due anni in botti di rovere di Slavonia e per 18 mesi in botti di rovere francese di primo e secondo passaggio, nelle quali è maturato il Recioto della Valpolicella -continua

12 | Food&Beverage aprile 2014

Giancarlo Begnoni- E poi un lungo affinamento in bottiglia, per circa due anni, nella quiete delle nostre cantine storiche”. Il risultato è un vino (prodotto con 70 per cento di corvina e corvinone, 25 di rondinella e 5 per cento di molinara, appassite per circa 100 giorni) dal colore rosso rubino intenso, tendente nel tempo al granato; dal caratteristico profumo speziato, con leggeri sentori di vaniglia e liquirizia e sapore pieno, caldo, vellutato e leggermente tostato nel finale. Prodotto in solo 14.779 bottiglie, Gioè 2007 celebra l’importante avvenimento per Santa Sofia anche con un’etichetta speciale: “Osservandola in controluce si possono leggere tutte le diciassette annate prodotte di questo vino -spiega Luciano Begnoni, che presidia l’area commerciale e marketing- La disposizione richiama le colonne della villa palladiana dove ha sede la nostra azienda, mentre il logo del cinquantenario richiama un particolare del fregio della copertina dei Quattro libri dell’architettura di Andrea Palladio, ripreso nelle etichette dei nostri F&B vini più pregiati”.


Cantina Tramin sinfonie olfattive dalla culla del Gew端rztraminer Termeno | Alto Adige S端dtirol | Italia

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Novitàdastappare veneto

L’Amarone di Palazzo Maffei I

Cottini producono vino da quasi un secolo: le zone sono quelle del Bardolino e del Valpolicella, nel veronese, a cui si è aggiunto recentemente anche il territorio sardo; la famiglia è arrivata oggi alla quarta generazione, con risultati economici e di prodotto di grande prestigio (100 ettari di vigneto di proprietà e 140 in gestione diretta, una produzione di circa 3 milioni di bottiglie l’anno per i tre brand: Monte Zovo, Palazzo Maffei e Villa Annaberta. In particolare, Palazzo Maffei è il marchio dedicato al canale horeca e alla ristorazione di alto livello il cui brand ambassador è l’Amarone della Valpolicella Doc. Equilibrato, elegante e ricco di sfumature, è il frutto di una selezione di vigneto nel podere in località Zovolo. Ha un carattere aristocratico, ricco di sfumature e note di frutta sotto spirito, con un buon bilanciamento alcolico.

emilia romagna

Malvasia di Candia aromatico e sostenibile

C

antina di Vicobarone, la prima cantina sociale fondata in Val Tidone nei

primi anni ’60 per iniziativa di un gruppo di viticoltori delle colline tra i Colli Piacentini e l’Oltrepò Pavese, da sempre attenta alla sostenibilità ambientale, ha aderito al progetto Viva Sustainable Wine con i due suoi vini Doc più rappresentativi, il Gutturnio e la Malvasia di Candia aromatica. Bianco frizzante dal colore giallo paglierino scarico, la Malvasia Bianca aromatica di Candia 2013 è un vino dal profumo intenso, aromatico e floreale, completato da note di pesca bianca e sambuco. Al sapore è fresco, invitante e sapido, con lungo retrogusto fruttato. Prodotta in 6 mila bottiglie all’anno, si abbina perfettamente ai salumi, in particolari quelli Dop del territorio, a risotti, primi di pasta ripiena di magro e carni bianche.

basilicata

Primitivo in purezza per Taverna

T

averna, azienda di Nova Siri, in

provincia di Matera, forte di una storia imprenditoriale nata agli inizi degli anni ’50 e di un’esperienza in viticoltura quasi trentennale, presenta il Primitivo Igt Basilicata 2012 in purezza, frutto di una selezione delle vigne più vecchie. Le uve sono raccolte a mano, in cassette, dopo un lieve appassimento direttamente sulla pianta. Fermentato i tini di acciaio, passa 9 mesi in barrique di rovere francese di secondo e terzo passaggio. Si ottiene un vino dal colore rosso rubino con riflessi violacei; di gran corpo, morbido e ricco di tannini nobili, ha un finale che regala note di frutta e profumi di prugna e amarena. “Il Primitivo è un vino che completa la gamma dei nostri territoriali e si affianca all’altra etichetta I Sassi (blend di primitivo, cabernet e merlot), dedicata a Matera”, spiega Pasquale Lunati, ceo di Taverna.

champagne

vodka

Jacquart Rosé elegante e vivace

Norvik triple distilled gusto ricco e deciso

Espressione rosata del Brut Mosaïque, Jacquart Rosé nel suo assemblaggio poggia sulla medesima struttura. La raffinatezza dello Chardonnay (35-40 per cento della cuvée) è completata dalla pienezza del Pinot meunier (25-30 per cento) e dalla struttura del Pinot noir (3035 per cento). L’aggiunta del 15-18 per cento di vino rosso ottenuto dal Pinot noir, unita a un dosaggio molto leggero, lo rende un vino vivace e fruttato. Al naso, gli aromi di frutti di bosco virano verso ricordi di prugna. La bocca è rinfrescante e ampia e il finale è seducente, grazie a note di pesca e di albicocca. Presentato in una confezione prestigiosa, è distribuito dalla Fratelli Rinaldi Importatori di Bologna.

Five Senses by Mavi Drink, produttore e distributore nazionale di alcolici e spirit, punto di riferimento nel settore del beverage per l’horeca, ha presentato la nuova versione premium triple distilled della Vodka Norvik. Rielaborata con un processo di tripla distillazione che garantisce un elevato grado di limpidezza, e successivamente diluita con acqua purissima microfiltrata per togliere ogni residuo di impurità, è un prodotto di qualità, incolore, brillante e trasparente, morbido, dal corpo leggero e ricco di note di cereali e agrumi, con una gradazione alcolica di 38°. Ideale in miscelazione per drink dal gusto ricco e deciso, è ottima anche liscia o con ghiaccio.

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amari Alle 40 erbe che compongono la segretissima ricetta dell’amaro Unicum si sono aggiunte le prugne, dando vita a un nuovo prodotto dal gusto morbido e vellutato: Unicum Prugna, da degustare solo o in fantasiosi cocktail e long drink, si sta già rivelando un prodotto di successo

Con la prugna ma sempre Unicum Barbara Amati

I Izabella Zwack è la sesta generazione a portare avanti la tradizione di famiglia: Unicum è nato nel 1790. A destra, la novità Unicum Prugna, perfetto anche per intriganti drink come Plum Negroni e Unicum Ginger

zabella Zwack ha lunghi capelli chiari, occhi azzurri e una verve con accento

leggermente toscano (è cresciuta a Bolgheri) che forse le viene dal piacere di raccontare il suo Unicum, l’amaro ungherese alle erbe (ne entrano ben 40) battezzato niente meno che da Giuseppe II Imperatore d’Asburgo e Re d’Ungheria, che nell’assaggiarlo esclamò: “Das ist ein unicum!” (è unico). Nato nel lontano 1790 per mano di József Zwack, medico erborista di corte, questo amaro ha avuto un percorso produttivo piuttosto travagliato: la distilleria bombardata durante la guerra; la fuga in America di Jànos Zwack nel ’48 che portò ovviamente con sé la ricetta tenuta gelosamente segreta; il ritorno del figlio nel ’72, in Italia, dove la produzione riprese in Toscana fino al 1987 quando rientrò definitivamente nella natìa Ungheria e ricomprò l’azienda ricominciando a produrre Unicum nel luogo in cui era nato. Oggi come allora è sempre la famiglia Zwack, alla sesta generazione, con Izabella e Sandor, a portare avanti la tradizione e a rinnovarne il gusto o, meglio, a proporre un secondo Unicum, alla Prugna, che, lanciato due anni fa, sta riscuotendo un successo quasi paragonabile al suo predecessore: di Unicum si producono 6 milioni di bottiglie, di cui due sono dell’amaro alla prugna: “In Ungheria in un solo anno ne abbiamo vendute un milione di bottiglie e ci sono 10 milioni di abitanti”, ride Izabella. Distribuito in oltre 30 Paesi, Unicum, distribuito da Diageo che sta

lanciando ora Unicum Prugna, si è ben posizionato in Italia con quasi 500 mila bottiglie. Unicum Prugna ha una gradazione alcolica inferiore (35 per cento rispetto al 40 per cento dell’originale) e un gusto più morbido. Questo perché al tradizionale processo di lavorazione di Unicum viene aggiunto un nuovo elemento: un letto di prugne essiccate sul quale il liquido riposa durante l’invecchiamento in botti di quercia. “Abbiamo sperimentato diversi tipi di frutta -afferma Izabella Zwack- e abbiamo scoperto che le prugne si sposano perfettamente a Unicum creando un liquore dal gusto rotondo, fruttato, vellutato, perfettamente armonico”. Un prodotto indirizzato per il 70 per cento all’horeca, come Unicum, e che si presta molto bene alla mixology, utilizzato come ingrediente in cocktail e long drink, grazie a una precisa tendenza e alla riscoperta degli amari nella miscelazione. Una dimostrazione la si è avuta alla Fonderia Napoleonica Eugenia di Milano dove, in un ambiente dal fascino post industriale, i barman hanno creato con Unicum Prugna tre cocktail dal gusto intrigante: Unicum Ginger, con Ginger ale e succo di limone, Plum & Soda, con Soda water e succo di lime, e Plum Negroni, con Tanqueray e vermouth rosso. F&B Food&Beverage aprile 2014 | 15


vite L’azienda, fondata nel 1960 a Peschiera del Garda da Sergio Zenato, tra i primi a credere nel vitigno Trebbiano di Lugana, presenta il Lugana Doc Pas Dosé Metodo Classico 2007, inaspettata interpretazione del terroir, e promuove la mostra “Vite” che celebra il lavoro in vigna

Zenato, cuore del Lugana anima della Valpolicella Frida Parise

‘‘N Accanto al titolo, il Lugana Doc Pas Dosé Metodo Classico 2007, dal bouquet fruttato e dal carattere pieno, con una forte mineralità. Sotto, alcune immagini della mostra “Vite. Il mondo del vino in scena”, promossa da Zenato alla Gran Guardia di Verona nei giorni del Vinitaly

el Lugana, Zenato ha il suo cuore antico”, esordisce semplicemente Nadia Zenato,

responsabile commerciale e marketing dell’azienda di famiglia a Peschiera del Garda (Vr), che porta avanti con il fratello Alberto, a capo della produzione, e la madre Carla. Poche parole che racchiudono un mondo e una storia vitivinicola iniziata nel 1960 da Sergio Zenato: “Mio padre ha sempre investito sui vitigni autoctoni della zona, scommettendo in particolare, quando ancora nessuno ci credeva, sul Trebbiano di Lugana”, continua Nadia Zenato. Una sfida vinta a tutti gli effetti, visto che, grazie alla lungimiranza di quest’uomo che per primo ne ha intuito le potenzialità, oggi il Lugana è un grande bianco amato e apprezzato in tutto il mondo. La dichiarazione d’amore della famiglia Zenato per questo vitigno si è concretizzata quest’anno nel nuovo Lugana Doc Pas Dosé Metodo Classico 2007. Nato da una diversa interpretazione di quest’uva lasciata riposare per circa 6 anni sui lieviti, è un vino dal perlage fine e persistente, di un vivace e luminoso color giallo paglierino; al naso il bouquet è delicato e fruttato, con sensazioni di ananas maturo e frutti esotici, mandorla e crosta di pane; in bocca esprime un terroir di carattere, pieno, spesso e con una forte mineralità. “Il lungo riposo sui lieviti ha donato questa fragranza inaspettata -spiega Alberto Zenato- Lasciarlo pas dosé ci ha dato la certezza che ognuno possa immaginare l’espressione reale del

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terroir che, come nelle grandi riserve, rivela il suo aspetto con il tempo”. Zenato oggi non significa solo Lugana, ma anche grandi rossi nella Valpolicella Classica, primo fra tutti l’Amarone. Per raccontare questi vini frutto di terre dalla millenaria tradizione enologica, l’azienda ha promosso Vite. Il mondo del vino in scena, una mostra, curata dal critico d’arte Daniele De Luigi, che dal 29 marzo al 13 aprile, in concomitanza con Vinitaly, al Palazzo della Gran Guardia di Verona cattura la natura teatrale e splendida del lavoro collettivo in vigna accostandovi foto del territorio veronese e di Verona. Questo grazie all’obiettivo di 13 studenti del 3° anno della Scuola di fotografia Fondazione Studio Marangoni di Firenze, guidati dal fotografo Edoardo Delille. “Nei miei numerosi viaggi in tutto il mondo riscontro sempre un autentico stupore di chi entra in contatto con la nostra storia, il nostro territorio e i valori che ci identificano -rileva Nadia Zenato- Il mondo del vino esercita un incredibile carisma e con questa mostra Zenato vuole continuare a regalare stupore a tutti coloro che vengono a Verona”. F&B



foodvalley salina

Lo Spazio di Romito a Capofaro D

al primo maggio, e per tutta la stagione estiva, il Capofaro Malvasia & Resort di Salina (Me) ospiterà il progetto Spazio Ristorante Laboratorio della Niko Romito Formazione di Castel di Sangro (Aq). La cucina di Capofaro diventerà così un laboratorio gastronomico aperto non solo agli ospiti del resort, ma a tutti i curiosi che intendono riscoprire, con leggerezza, creatività e tecnica, i sapori della tradizione siciliana. I piatti verranno realizzati con l’utilizzo essenziale dei prodotti del territorio seguendo antiche ricette e personali interpretazioni di cui i giovani cuochi della Niko Romito Formazione saranno i protagonisti affiancati da un team di professionisti guidati da Enrico Camelio, una collaborazione con Capofaro che dura ormai da cinque anni. “Dopo la tappa romana dello scorso anno, sono affascinato dall’idea di portare il progetto Spazio nel cuore del Mediterraneo, in un ambiente che non consente distrazioni, ma che genera costanti spunti creativi, a contatto con la natura forte e ancora integra, un po’ come quella che conosco nelle mie montagne d’Abruzzo -spiega il tristellato Romito- Credo che per gli allievi di Spazio questa sia un’esperienza unica, così come sarà molto coinvolgente per gli ospiti del resort che vivranno un rapporto diretto con chi prepara i loro piatti”. La nuova stagione di Capofaro si annuncia quindi ricca di una sofisticata e “naturale” evoluzione nello stile di accoglienza della famiglia Tasca d’Almerita che ha creato nell’ isola delle Eolie, Patrimonio Unesco dal 1981, un “ritiro isolano” dal carattere particolare: “Ammiro Niko Romito per la sua ‘sincerità visionaria’ e la semplicità applicata alla cucina, l’attaccamento alle radici e per aver pensato a un luogo-progetto come Spazio, fuori dalle logiche correnti di un settore molto ‘ego-centrato’ come la ristorazione”, commenta Alberto Tasca d’Almerita.

distribuzione

Non solo pasta per Verrigni

I

l pastificio Verrigni di Roseto

degli Abruzzi (Te), famoso per trafilare la pasta in oro, si è lanciato in una nuova avventura con Non solo pasta: una serie di prodotti d’eccellenza realizzati in collaborazione con aziende italiane che esulano dal mondo della pasta, tutti contraddistinti dal divertente e distintivo packaging di Verrigni. Ecco dunque l’olio Solagnone dell’azienda agricola Petrei Castelli; la passata, i pelati, i fagioli e i ceci dell’azienda agricola Fabio Belfiore; le piattine da Td grissini; con Almond nascono due birre: Birrolo, dal sentore di pompelmo rosa, e Safran, con stimmi di zafferano; il miele e il burro aromatizzati allo zafferano, in collaborazione con l’azienda agricola Croco e Smilace e, addirittura, un profumo di pasta, realizzato con Pro Fvmvm Roma, dal nome Zero zero oro. Valore aggiunto del progetto è il concetto di collaborazione, che si vede dal marchio dei produttori sulle confezioni accanto a quello di Verrigni, a dimostrazione che non si tratta di una semplice produzione conto terzi.

torte

fiere

Martarè, trionfo di cioccolato

Cibus, a Parma dal 5 all’8 maggio

È una vera ghiottoneria la torta di cioccolato Martarè, non per niente tra i prodotti di punta della linea d’autore Villa Marta dell’Osteria de L’Ortolano, azienda nata nel 1962 a Firenze. Martarè è prodotta con 4 cioccolati fondenti diversi, mediamente al 75 per cento di cacao. Tutti gli ingredienti sono di qualità: dal burro, allo zucchero semolato, dalle uova, alla crema di latte, al rum agricolo dei Caraibi. Martarè è declinata anche in altri gusti: al Caffè Nepal Monte Everest, all’Aceto Balsamico di Modena Igp, al Tè Lapsang Souchong, tè nero cinese affumicato. Confezionata sotto vuoto, si mantiene per 10 mesi.

Dal 5 all’8 maggio si terrà a Fiere di Parma la 17ª edizione di Cibus, evoluto quest’anno dal tradizionale salone internazionale in una fiera multicanale. Vedrà, infatti, le grandi aziende alimentari a fianco delle piccole imprese, le catene distributive assieme al commercio al dettaglio e ai duty free, i noti brand made in Italy vicino alle nicchie, come il biologico e il gluten free, la ristorazione tradizionale accanto a quella organizzata. Tra le novità, Cibus Bollicine, realizzato con Luca Maroni e Cibus Land. “Saranno presenti i distributori e i retailer dei principali mercati per sviluppare le relazioni di business con il made in Italy”, spiega Elda Ghiretti, Cibus brand manager.

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partnership

collaborazioni

Obikà si allea con Slow Food

Poretti ci mette la birra Alma le ricette

S

low Food, Obikà

Mozzarella Bar e il Gruppo Norda-Gaudianello hanno organizzato una serie di serate nei locali Obikà di Milano, Roma e Firenze, per promuovere la “cultura” della pizza con degustazioni guidate da esperti e specialisti del settore. Gli eventi sono stati anche l’occasione per presentare il progetto Alleanza tra i cuochi e i Presìdi Slow Food: una grande rete solidale nella quale i ristoratori italiani stringono un patto con i produttori dei Presìdi impegnandosi a cucinare valorizzandone i prodotti. Un impegno sottoscritto anche da molte pizzerie tra cui Obikà Mozzarella Bar che per la preparazione delle sue pizze ha selezionato le farine artigianali di Molino Quaglia, il pomodoro biologico La Motticella e la Mozzarella di bufala campana Dop.

pasqua

Loison, colombe d’autore

C

ollezioni Oriente ed Emozione sono due colombe dal packaging ricercato, realizzate dalla Dolciaria Loison, che trasportano in atmosfere lontane. Con la prima si viaggia verso l’Oriente dove le ricche stoffe impreziosiscono ambienti esotici. Con la seconda si torna indietro nel tempo, verso le pasticcerie dei primi del Novecento con le loro scatole da dolci, scrigni ricchi di profumi e sogni. All’interno della Collezione Oriente, la Colomba Classica, anche nella variante senza canditi e al limone, in quella Emozione, la Colomba Classica e senza canditi oltre a quelle farcite al cioccolato e al limone. Immancabile, nella proposta di Loison la profumata Colomba al Mandarino Tardivo di Ciaculli che, insieme a latte, panna e burro freschissimi, vaniglia naturale del Madagascar, dà origine a un prodotto soffice, delicato e inconfondibile.

pasta

Lo spaghetto turanico di Mancini

L’

Azienda agricola Mancini di Monte San Pietrangeli (Fm) nell’ultimo anno si è dedicata a mettere a punto metodologie e strumenti di pastificazione per interpretare al meglio la ricchezza dei grani Turanici, una specie di grano duro la cui esatta classificazione è Triticum Turgidum, originario della regione del Khorasan (nord est dell’Iran). Da questo studio è nata una ricetta di essiccazione specifica ed è stata costruita una nuova trafila in bronzo che permettesse di esprimere il potenziale del semolato macinato a pietra di Prometeo (azienda partner di Mancini in questo progetto). È nato così lo spaghetto turanico di Pasta Mancini, dal colore della terra e dallo spiccato odore di grano in cottura. Il risultato è una pasta dalla personalità decisa, dal sapore di cereali e dalla masticabilità morbida e carnosa.

È nata una partnership tra il Birrificio Angelo Poretti e Alma, la Scuola internazionale di cucina all’insegna della tradizione gastronomica, dell’esaltazione dei gusti tipici e della creatività: un ricco e inedito ricettario che testimonia il ruolo centrale che la birra sempre di più ricopre sulla nostra tavola, mostrandosi come la perfetta compagna di piatti d’autore. I mastri birrai di Poretti si sono infatti confrontati con gli chef di Alma per ideare e offrire agli appassionati matrimoni d’eccellenza tra la birra italiana di qualità e le raffinatezze culinarie che esaltano le tipicità Dop, Igp e i Presidi Slow Food. Sono nate così oltre cento ricette (www.birrificioporetti.it), esaltate da un abbinamento speciale con una delle sei birre di Angelo Poretti: 3 Luppoli, 4 Luppoli Originale, 5 Luppoli Bock Chiara, 6 Luppoli Bock Rossa e la 7 Luppoli Non Filtrata.

appuntamenti

La frittura golosa invade Ascoli Piceno Fritto Misto compie 10 anni e festeggia ad Ascoli Piceno con un’edizione più lunga e con tante stuzzicanti novità per regalare a tutti una gustosa esperienza enogastronomica. La kermesse torna dal 25 aprile al 4 maggio con un programma ricco di appuntamenti per celebrare la tecnica della frittura di alta qualità in ogni sua declinazione. I Menù 10 da 10 e lode saranno la novità di quest’anno. Si tratta di quattro cene a tema preparate da altrettanti chef, fra i più famosi delle Marche: dallo stellato Moreno Cedroni a Enrico Lazzaroni, da Aurelio Damiani a Errico Recanati. Ma il momento più alto sarà, come sempre, il Palafritto di piazza Arringo, un percorso culinario dove sarà possibile provare 40 ricette nazionali e internazionali a base di fritto.

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foodvalley eventi

A maggio Fish & Chef stelle per il pesce di lago Dall’1 al 6 maggio torna Fish & Chef, l’appuntamento che riunisce cuochi stellati sul Lago di Garda in nome del pesce di lago. L’evento quest’anno esce da Malcesine (Vr) per abbracciare tutta la riva veronese. Protagoniste le oltre 40 varietà di pesci del Garda e i prodotti del territorio. Si parte da Malcesine con Luigi Taglienti. Poi tappa a Garda con Alberto Tonizzo; a Malcesine con Felice Lo Basso; a Cavaion Veronese con Anthony Genovese, a Bardolino con Mauro Uliassi. Serata finale a Peschiera con 6 chef stellati della zona: Leandro Luppi, Giuseppe D’Aquino, Stefano Baiocco, Gionata Bignotti, Paolo Cappuccio e Andrea Costantini.

Cioccolato

La Perla, l’arte del tartufo Tra le golosità più apprezzate di La Perla, storica cioccolateria torinese da tre generazioni, c’è La Perla Nera: il tartufo dolce pralinato creato dal patron Sergio Arzilli. Compatto, di forma irregolare e leggermente velato da una polvere di cacao, ha una consistenza unica dovuta alla ricetta originale, in cui la morbidezza dell’impasto di zucchero, nocciole del Piemonte, cacao e burro di cacao si fonde con la croccantezza della granella di nocciole pralinate e di torrone. “L’intuizione di mio padre è stata quella di aggiungere le nocciole zuccherate, tostate e tritate nell’impasto -spiega Valentina Arzilli- Il risultato è un tartufo che ‘scricchiola’ in bocca e che sorprende per questa sua inattesa componente croccante”.

inaugurazioni

Trattoria Sole, omaggio a De Sica

A

Milano, a Città Studi, ha aperto un nuovo ristorante: Trattoria Sole, in omaggio a una scena del film di Vittorio De Sica Miracolo a Milano, girata proprio dove si trova oggi il locale. I due chef e proprietari, Lodovico Gambara e Andrea Negrelli, propongono una cucina italiana casalinga, realizzata sulla base delle ricette di famiglia, ma anche piatti innovativi, con qualche incursione nella gastronomia francese. Il ristorante offre a pranzo un servizio veloce ed economico e alla sera un menu più elaborato, sempre a prezzi contenuti. A mezzogiorno si sceglie dalla carta e si paga subito in cassa, dove viene consegnato un dischetto cercapersone che s’illumina quando il piatto è pronto. A quel punto il cliente può ritirare la pietanza direttamente dal passavivande che comunica con la cucina. Alla sera, invece, il servizio è al tavolo in un’atmosfera tranquilla.

foodservice

Fini acquisisce Greci

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aladin Capital Partners Group, azionista di maggioranza del Gruppo Fini, ha acquisito il 100 per cento di Greci Industria Alimentare, azienda del settore della ristorazione professionale con due stabilimenti di produzione a Ravadese (Pr) e a Malaga, in Spagna, per sviluppare importanti sinergie nel settore del foodservice. Greci vanta, infatti, oltre 20 mila clienti nella ristorazione tradizionale e una significativa presenza nella moderna ristorazione organizzata, con oltre 80 milioni di euro di fatturato e una rete vendita commerciale di 200 unità. “Per Greci abbiamo concordato un piano di consolidamento a tre anni, sia dal punto di vista degli standard di eccellenza, sia da quello commerciale”, dice Andrea Ghia (nella foto), amministratore delegato del Gruppo Fini e di Greci.

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birre

Heineken lancia tre Radler

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orte del successo nel 2013 di Dreher Lemon Radler, Heineken ha deciso di investire sulla categoria lanciando in Italia 3 nuove Radler, ognuna per soddisfare una specifica esigenza. Birra Moretti Radler è la prima Radler con limoni 100 per cento italiani: una bevanda nella quale il corpo e il carattere allegro della birra (45 per cento) si uniscono al gusto fresco del succo di limone per dare vita a un sapore armonico, con appena 2 gradi di volume alcolico. Ichnusa, la birra sarda per eccellenza, lancia invece Ichnusa Limone Radler, “il primo limone che sa di Sardegna”: birra Ichnusa e succo di limone insieme per una bevanda leggera e rinfrescante. Infine, attenta al bere responsabile, Dreher Lemon Radler 0.0 per cento, la Radler ideale per ogni momento della giornata in cui non si possono consumare alcolici.


ricerche Più forte, più resistente a malattie e cambiamenti climatici, più profumato, più buono; queste sono solo alcune delle caratteristiche che potrebbe assumere la qualità Arabica in seguito alla scoperta del suo genoma. Un risultato ottenuto grazie all’impegno di illy e Lavazza

Verso il super caffè Marco Ghedini

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Lo studio italiano per la prima volta ha sequenziato il genoma della Coffea Arabica. Sotto, il professor Giorgio Graziosi. In basso, Giuseppe Lavazza e Andrea Illy

lly e Lavazza alleati in nome della ricerca. Le due aziende, leader nel settore del caffè, hanno

sponsorizzato un’importante ricerca che ha portato alla decodificazione del Dna della specie Arabica. Grazie a questo studio, condotto dalle Università di Padova, Trieste e dall’Istituto di Genomica applicata di Udine, con il coordinamento del professor Giorgio Graziosi di Dna Analytica, spin off dell’Università di Trieste, è stato individuato il genoma di Coffea arabica. Il lavoro ha richiesto alcuni anni e diversi milioni di euro di investimento, esempio virtuoso di collaborazione tra pubblico e privato, e il risultato ha permesso per la prima volta di decodificare la base genetica di questa specie di caffè (che rappresenta il 70 per cento della produzione mondiale) e di organizzare sistematicamente i risultati ottenuti, rendendoli disponibili per possibili applicazioni agronomiche e industriali. Semplificando, attraverso l’identificazione del Dna del caffè qualità arabica sarà possibile “intervenire” su alcuni aspetti riguardanti la pianta in modo da migliorarne lo sviluppo. Uno su tutti, come ha spiegato Graziosi, “l’adattamento alle condizioni climatiche e al riscaldamento globale che rappresenta uno dei principali ‘nemici’ della crescita della pianta”. Stesso discorso per quanto riguarda la resistenza alle malattie e alle infezioni, oltre alla sincronizzazione della maturazione dei frutti, ma non solo. Altre possibili ricadute di questa scoperta potrebbero riguardare i valori di caffeina contenuti nel frutto o l’aumento di specifici aromi fino a un vero e proprio miglioramento della qualità nella tazzina.

“Il caffè sta vivendo una stagione positiva -ha affermato Andrea Illy, presidente e amministratore delegato di illycaffè- ma dobbiamo attrezzarci per affrontare le sfide del futuro: la necessità di incrementare la produzione migliorando continuamente la qualità, anche perché il consumo del caffè sta aumentando del 2,5 per cento all’anno, in tutti i Paesi. I risultati della ricerca saranno indispensabili e porteranno vantaggi a tutti gli attori della filiera”. Questa “carta di identità” lunga 140 centimetri e dunque molto complessa, composta da oltre 2,6 miliardi di “mattoncini”, pare quindi poter dare ulteriore slancio a un settore tra i più rappresentativi del Paese. “Il sequenziamento del genoma del caffè permetterà di ‘leggere’ la pianta e di identificarne perfettamente le origini: sarà così possibile offrire agli appassionati del caffè una qualità superiore, basata su criteri oggettivi”, ha ribadito Giuseppe Lavazza, vicepresidente di Lavazza. Che ha aggiunto: “Credo nel ruolo e nel dovere fondamentale di mecenate da parte dell’industria italiana per sostenere la ricerca. Risorse e idee non possono essere alimentate solo attraverso fondi pubblici, ma dovrebbero essere sostenute in gran parte dai privati”. F&B Food&Beverage aprile 2014 | 21


LODGE&SPA lecce

Soggiorni da re a Mantatelurè M

antatelurè (che in dialetto salentino significa coperta del re) è un’antica dimora del Cinquecento, situata in una piccola via nel cuore di Lecce, in cui, grazie a un sapiente recupero, i proprietari Marco Cimmino e Palma Fonzecache accolgono gli ospiti in una dimensione senza tempo, composta da un’atmosfera raccolta, dalle tonalità neutre degli arredi e dalla musica diffusa negli ambienti. Le camere (due deluxe, due junior suite e due suite), con volta a stella e in pietra leccese, si caratterizzano per materiali, colori e forme, ma sono accomunate dallo stile shabby chic, così come nei due appartamenti annessi alla struttura e pet friendly. La corte custodisce un giardino con calle, ortensie, alberi di agrumi, lavanda e sapori tipicamente mediterranei e una Jacuzzi “a sfioro”. Multifunzionale la cantina, con volte a botte, in cui partecipare a degustazioni.

umbria

L’ospitalità nella natura al Valle di Assisi

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l Consorzio Umbria Benessere si allarga e accoglie una nuova struttura di alto livello: il Best Western Valle di Assisi. Situato nell’omonima cittadina, alle pendici del Monte Subasio, unisce esclusività e tradizione, in un’area silenziosa e riservata di 70 ettari. È un complesso in perfetta simbiosi con la natura, caratterizzata da vigneti e ulivi secolari, con 42 camere dallo stile sobrio ed elegante, ma anche 18 appartamenti in 6 differenti casolari e la Villa del Fattore, a pochi passi dalla piscina. Al Best Western Valle di Assisi non si dimenticano i piaceri della tavola, grazie al Ristorante Recanto in cui gustare la tipica cucina umbra. E per il benessere di corpo e mente c’è Assisi Cantico Spa.

vulcano

Therasia Resort rifugio arabeggiante

I

ncastonato come una gemma preziosa nel contesto magico di Vulcano, la perla delle Isole Eolie, il cinque stelle Therasia Resort è un’oasi dove la natura selvaggia incontra le linee morbide ed eleganti della struttura, contraddistinta da uno stile arabeggiante. Novantasette le camere, alcune con terrazza corredata di piscina idromassaggio privata. Due i ristoranti: l’elegante e raffinato L’Arcipelago, con grande terrazza panoramica, in cui gustare la migliore tradizione gastronomica siciliana, e il più informale Il Cappero che offre un’ampia varietà di specialità alla griglia e verdure. Per un drink guardando il mare si può scegliere il bar Il Faraglione, con terrazza che domina uno dei panorami più belli della Sicilia, o Il Gazebo, adiacente alla piscina, con meravigliosa vista sui faraglioni di Lipari. Grande attenzione anche al benessere nel Therasia Wellness Centre.

alto adige

taiwan

Montagna a 360° al Cyprianerhof

Mandarin Oriental apre a Taipei

Circondato da dolci pendii, prati e boschi, l’Hotel Cyprianerhof, 4 stelle superior di Tires, piccolo comune in provincia di Bolzano, membro del Consorzio Vitalpina Hotels, offre un ambiente accogliente e confortevole, perfettamente in armonia con il paesaggio delle Dolomiti. Il filo conduttore della struttura è la natura, dall’arredamento di camere e suite, alla cucina, con piatti genuini e locali come la Schutze, un impasto di farina, uova, zucchero e marmellata, e le zuppe e i ravioli con erbe della zona, al centro benessere, in cui provare il massaggio con tamponi caldi alle erbe o l’Arnica montana & iperico, un bagno curativo per sciogliere tensioni e stress.

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Nel cuore di Taipei apre un nuovo lussuoso Mandarin Oriental. Dal design ricercato, ha 256 camere e 47 suite, d’ispirazione classica con qualche tocco di contemporaneità. L’albergo è anche un tempio per i buongustai con i suoi diversi ristoranti: da Coco, con i piatti tipici delle brasserie francesi accanto a una selezione di proposte internazionali, a Ya Ge, raffinato ristorante cantonese, all’italiano Bencotto, con lo chef stellato Mario Cittadini. Nel Mandarin Cake Shop si assaggiano torte e praline del World chocolate master, Frank Haasnoot. Il M.O Bar offre un’ampia varietà di cocktail e Champagne, mentre nel Jade Lounge si gusta il rinomato tea del Mandarin Oriental.


salento

Benessere eco-friendly alla Tenuta Moreno

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lla Tenuta Moreno Masseria & Spa, dimora del 1700 a Mesagne (Br), nell’alto Salento, tutto ruota attorno alla filosofia del chilometro zero, sia in tavola sia nella spa. Circondata da 12 ettari di uliveto e da una coltivazione con oltre 40 varietà di fichi, un orto biodinamico, in cui prendere un aperitivo, oppure raccogliere la verdura e le uova dal vicino pollaio, farsele cucinare dallo chef Vincenzo Elia e gustarle nel ristorante o davanti all’aranceto. La natura è anche il fulcro dei trattamenti di bellezza nel centro wellness, con vista sul verde, in cui sono stati messi a punto alcuni trattamenti signature, le cosiddette Moreno Experience, a base di erbe aromatiche, mousse di fico, lavanda, olio extravergine, noccioli di sansa e altri prodotti locali.

perugia

Segreti da chef all’Hotel Le Silve

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230 ettari, 700 metri di quota e 20 chilometri di sentieri per immergersi tra i boschi e i profumi della tenuta del Romantik Hotel Le Silve ad Armenzano (Pg). Situato nel Parco del Monte Subasio, questo resort quattro stelle, rinato da un antico fabbricato, è il regno dello chef Giorgio Valiani con il ristorante Armentum: attento alle materie prime che provengono dall’orto e dall’azienda agricola, insegna agli aspiranti cuochi e a semplici appassionati i suoi segreti culinari. Si può scegliere tra corsi di cucina umbra tradizionale, moderna e last minute, imparando a preparare, ad esempio, la deliziosa torta al testo, il cestino di Parmigiano con rucola e pollo profumato al lardo, la passatina di ceci con quadrucci, o apprendendo l’arte del pane fatto in casa.

n parco di

sciacca

Al Verdura Golf & Spa con Pierangelini

I

deato dall’architetto

Flavio Albanese, il Verdura Golf & Spa Resort, del Gruppo Rocco Forte Hotels, è un albergo 5 stelle che si adagia, integrandosi armonicamente, nel paesaggio di Sciacca (Ag). Ecosostenibile, l’hotel si estende su 230 ettari di terreno, con circa 2 chilometri di costa privata; con 203 camere, vanta quattro ristoranti guidati dal celebre head chef Fulvio Pierangelini, 5 bar, la Luxury Station di Champagne Pommery, una spa di 4 mila metri quadrati e un centro congressi con uno scenografico anfiteatro per 500 persone. Gli amanti del golf hanno inoltre a disposizione tre campi internazionali, tra piante di ulivi e aranci, disegnati dall’architetto californiano Kyle Phillips. La piscina dai contorni sfumati ricorda il ristagno del mare sulla spiaggia dopo una burrasca.

Copenaghen

Hotel SP34, atmosfera nel quartiere latino Ad aprile, la catena alberghiera Brøchner Hotels inaugura un esclusivo albergo nel quartiere latino di Copenaghen. L’odierno Hotel Fox rinasce con il nome di Hotel SP34, abbreviazione dell’indirizzo, Sankt Peders Stræde 34, un 4 stelle con sala congressi e un proprio cinema da 25 posti. Sottoposto a una ristrutturazione che comprende l’estensione di due nuovi palazzi, il nuovo Hotel SP34 ha 118 camere, una sala congressi, due ristoranti, due bar e una palestra. E, mentre l’Hotel Fox si rivolgeva principalmente a turisti dallo spiccato senso artistico, per il suo décor e per l’arredamento, il nuovo albergo rispecchia invece l’atmosfera del quartiere latino con suite-attico con bagni con lucernario e balconi con vista sulla capitale.

Mauritius

Il Shanti Maurice inaugura la rhumerie All’interno del boutique hotel Shanti Maurice a Mauritius, del Gruppo Nira Hotels & Resorts, è stato inaugurato Rum Shed. Costruito nello stile delle tradizionali rhumerie presenti sull’isola, Rum Shed offre un’autentica esperienza mauriziana, in un ambiente rilassato e conviviale. Punto di incontro per un drink e aperto anche a chi non risiede al resort, il bar, arredato in stile shabby chic con decorazioni old school e materiali di recupero locali, offre la più grande collezione di rum di Mauritius, gelosamente custodita in armadi d’epoca. Oltre 180 distillati provenienti da 36 Paesi che possono essere apprezzati al naturale o in una vasta selezione di cocktail sapientemente creati dai mixologist della rhumerie.

Food&Beverage aprile 2014 | 23


Businessnews italia

Ospitalità, settore che regge la crisi I

l turismo si conferma un settore di punta per la nostra economia, con due

milioni e duecentomila addetti, il 10% della forza lavoro nazionale, che produce 130 miliardi di euro, il 12% del Prodotto interno lordo del nostro Paese. Un settore, dunque, che, nonostante la crisi, riesce ancora a reggere alla concorrenza internazionale, tanto che nel 2013 l’Italia è stata la quinta meta turistica mondiale, dopo la Francia, saldamente al primo posto, gli Stati Uniti, la Cina e la Spagna. Secondo i dati di Confesercenti-Ref, presentati in occasione di Tirreno CT, la fiera dell’ospitalità a Massa (Ms), il maggior numero di visitatori internazionali si è avuto nelle province di Roma, Milano e Venezia, e questa non è una sorpresa. Firenze, però, risulta soltanto ottava, preceduta da Varese, Imperia, Trieste e Como. Chiudono la classifica delle prime dieci Bolzano e Verona. Ma non solo: l’indice di gradimento degli ospiti stranieri è molto alto, raggiungendo il valore medio di 8,25 su 10. A livello regionale, risulta prima la Toscana, con un punteggio di 8,57, seguita da Valle d’Aosta e Umbria: tutte regioni a forte vocazione turistica e con un grande patrimonio storico e artistico. In questo contesto il mestiere dell’ospitalità diventa sempre più articolato e complesso, dovendo soddisfare esigenze sempre maggiori da parte di una clientela internazionale. Cambia così, ad esempio, l’approccio di ristoratori e albergatori con i fornitori, che hanno dovuto adeguare le strutture alle sempre crescenti richieste di disponibilità di prodotti, rapidità di consegna, ampiezza di gamma, e che vedono nei nuovi cash & carry un’efficiente soluzione, consentendo di “fare poco magazzino”.

bilancI

Alce Nero, crescono fatturato ed export

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ttimi risultati per Alce Nero e Mielizia, il

Gruppo di Monterenzio (Bo) che riunisce più di mille agricoltori biologici, apicoltori e produttori Fairtrade. Nel 2013 sono state positive le performance su tutti i canali di vendita e per il 2014 si stima di consolidare il trend di crescita con un obiettivo di budget che dovrebbe superare i 55 milioni di fatturato. “Il fatturato ha registrato un aumento dell’11% sul 2012, attestando il risultato a 50,7 milioni -spiegano il presidente Lucio Cavazzoni e l’amministratore delegato Massimo Monti- In particolare il brand Alce Nero, con 29 milioni di fatturato (+18,5%), rappresenta il 57% di quello globale”. Rilevanti sono stati i risultati nella Gdo (+21,5%), grazie all’introduzione della linea baby food e alle zuppe biologiche pronte. L’export è cresciuto del 29% rispetto al 2012 trainato da Giappone, Far East e Russia. Soddisfacenti anche le vendite nei canali tradizionali che incrementano del 7%.

prosecco

aziende

Valdo in ascesa in Italia e all’estero

Sanpellegrino produce ricchezza e lavoro

Valdo ha chiuso il 2013 con una crescita del fatturato del 15%, pari a 45 milioni di euro, numeri che confermano come il Prosecco sia lo spumante più venduto nel mondo. Il successo dell’azienda fondata nel 1926 a Valdobbiadene (Tv) che produce oltre l’8% del Prosecco Docg, è consolidato sia all’estero, dove si concentra il 45% delle vendite con una crescita del 20% e un giro di affari di 20 milioni di euro, sia in Italia, dove il 2013 ha fatto segnare un +5% di fatturato, salito a 25 milioni di euro. “I numeri del mercato premiano la grande attenzione alla qualità che dedichiamo al prodotto e all’efficienza produttiva”, sottolinea il presidente Pierluigi Bolla.

24 | Food&Beverage aprile 2014

Sanpellegrino sottolinea il proprio ruolo strategico come acceleratore del sistema economico e dell’occupazione in Italia. Il valore creato nel 2012 è di 1,1 miliardi di euro, pari allo 0,10% della produzione industriale nazionale e a 2,4 volte il fatturato stesso dell’azienda solo in Italia, pari a 465 milioni di euro; fatturato che complessivamente ha raggiunto 766 milioni di euro. Tutta la filiera coinvolge 4.550 imprese che, nel 2012, hanno portato lavoro a 7 mila persone nel nostro Paese, pari allo 0,17% degli impiegati nell’industria. I dipendenti diretti sono 1.600. Nella foto, Stefano Agostini, amministratore delegato del Gruppo Sanpellegrino.


fatturati

Masi, ricavi 2013 per 69 milioni di euro

I

l Gruppo vitivinicolo veronese Masi archivia il 2013 con ricavi per 69.2 milioni di euro (1% circa in meno sul 2012). Il 92% del giro d’affari deriva dai vini di pregio delle Venezie, trainati dal prestigio dell’Amarone della Valpolicella, a fronte di una produzione che supera i 12 milioni di bottiglie. L’esercizio è stato influenzato negativamente dal valore dell’euro che ha creato problemi di competitività sui mercati extra Cee. Ha influito sulla redditività la più elevata quotazione dei vini di riferimento conseguente a due vendemmie deficitarie. Ma ancora una volta l’export è al 92%. “Uno sforzo commerciale particolare è stato messo in atto in Italia e con soddisfazione, in quanto, nonostante le difficoltà del settore horeca, il fatturato è stato mantenuto e il mix addirittura migliorato”, spiega il presidente Sandro Boscaini, nella foto con i figli Alessandra e Raffaele.

birre

Gruppo Peroni cresce e investe in Italia

I

l Gruppo Birra Peroni, uno dei player principali nel settore dell’industria

birraria, parte della multinazionale SabMiller, investirà quasi 18 milioni di euro per l’innovazione e l’adeguamento degli stabilimenti produttivi italiani: 9,6 milioni di euro per l’impianto di Bari, 3,7 milioni per quello di Padova e ben 4,199 milioni di euro per lo stabilimento di Roma. L’azienda è in crescita, in termini economici e occupazionali, con più di 19 mila posti di lavoro generati su tutta la filiera, 4,6 milioni di ettolitri di birra prodotti nel 2013 e 441,78 milioni di euro ricavati, 1.500 aziende agricole italiane che coltivano orzo e mais per Peroni. ‘’Nastro Azzurro è il brand di punta sui mercati internazionali -dice Federico Sannella, direttore relazioni esterne di Birra Peroni- Presente in 60 Paesi traina l’export di tutto il comparto delle birre italiane della categoria premium”.

Ricavi

Campari, cambi e oneri pesano sull’utile

C

ampari lo ha definito un anno “di transizione”:

il Gruppo di alcolici archivia, infatti, il 2013 con ricavi per 1.524,1 milioni (+1,7% a parità di perimetro e +13,7% con acquisita Lascelles de Mercado) risentendo negativamente dell’effetto cambi, grazie ai buoni risultati nelle Americhe e in Russia, che hanno compensato una performance più debole in Germania e Australia. In Italia le vendite (-3,8%) sono invece considerate soddisfacenti. L’utile del Gruppo è sceso a 149,8 milioni (-4,4%) e il dividendo proposto è di 8 centesimi (+14,3%). Il risultato risente negativamente dell’andamento sfavorevole dei cambi. Pesano anche gli oneri di ristrutturazione organizzativa in Italia e Giamaica per 10,3 milioni. L’amministratore delegato, Bob Kunze-Concewitz, ha indicato per il 2014 un Ebit margin in linea con quello del 2013, una sorpresa negativa per il mercato che ha punito il titolo in borsa mandandolo in asta di volatilità al ribasso.

ACQUISIZIONI

A Prada l’80% della Pasticceria Marchesi Prada Spa ha acquisito l’80% di Angelo Marchesi Srl, proprietario della storica pasticceria milanese di Corso Magenta, fondata nel 1824 e famosa soprattutto per il suo panettone. L’acquisizione ha come obiettivo la valorizzazione e il rafforzamento strategico del marchio nell’ambito di futuri progetti di sviluppo sia a Milano, nei nuovi spazi di Prada in Galleria Vittorio Emanuele II, sia a livello internazionale. Angelo Giovanni Marchesi continuerà a essere coinvolto nella gestione della società in qualità di amministratore delegato per assicurarne la continuità e il corretto processo di integrazione con Prada. La pasticceria Marchesi rappresenta un simbolo storico dell’eccellenza milanese.

fusIONI

Chiquita e Fyffes inseme nel colosso della banane L’azienda internazionale Chiquita e l’irlandese Fyffes si sono fuse nella società ChiquitaFyffes: il nuovo Gruppo si prepara ad assumere 32 mila dipendenti. Un vero e proprio gigante del settore, con un fatturato pari a 4,6 miliardi di dollari, circa 3,3 miliardi di euro, 32 mila dipendenti in oltre 70 Paesi e un valore di mercato superiore al miliardo di dollari. La “fetta” di mercato garantita è pari al 14%, sfruttando l’egemonia dell’irlandese Fyffes in Europa, dove domina con il 16% delle azioni, e ampliando l’area di influenza nordamericana di Chiquita, che può quindi acquisire un notevole vantaggio nella competizione con altri colossi del settore come Del Monte e Dole, con le quali attualmente detiene il 50% delle esportazioni di banane nel mondo.

Food&Beverage aprile 2014 | 25


ILmondoINpentolA

La cucina sartoriale di Torretta Milano. Al 9° piano di The Brian &Barry Building|Sanbabila, appena inaugurato a Milano, c’è una nuova meta gourmet: Asola cucina sartoriale, regno di Matteo Torretta, chef che interpreta la grande cucina italiana in chiave contemporanea e internazionale, con la medesima cura sartoriale che si dedica a un abito su misura. Asola è il primo ristorante in Italia in cui si realizza un’interazione vera fra ospite e chef: al centro della sala c’è una grande cucina a vista e completamente aperta dalla quale lo chef interagisce con i commensali seduti attorno all’ampio bancone in noce nazionale per assistere live alla preparazione dei loro piatti. Torretta (che aveva già lasciato Al V Piano del Visconti Palace, sempre a Milano), propone una cucina leggera, ma gustosa, che parla al cuore e non al cervello: piatti semplici, concreti, dai gusti rotondi e ben distinti, non solo made in Italy, ma anche con divagazioni ed escursioni dal nord al sul del mondo.

Massimo Bebber morde la Grande Mela New York. Massimo Bebber è il nuovo executive chef di Sirio Ristorante, meta ambita per i gourmet di tutto il mondo. Creato da Sirio Maccioni, colui che ha portato la cucina italiana a New York, si trova all’interno dell’hotel The Pierre di Manhattan, il 5 stelle lusso di Taj Hotels Resorts and Palaces, uno dei più importanti Gruppi alberghieri in Asia, di proprietà del Gruppo Tata, tra le società più influenti di tutta l’India. Nativo di Roncegno (Tn), figlio di un padre cuoco per passione e fratello minore di un cuoco per professione, Bebber porta al Sirio Ristorante la più autentica cucina italiana della tradizione, con quel twist ricercato, ma sempre genuino, che sa rispondere ai gusti di una clientela esigente e internazionale.

Una nuova avventura per Ferran Adrià

Un bistrot per l’uovo di Batavia

Barcellona. A tre anni dalla chiusura del celebre elBulli, Ferran Adrià, inventore della cucina destrutturata, sta per dare il via alla sua nuova avventura: il primo centro culinario d’innovazione e sviluppo al mondo per la promozione della cultura gastronomica e la formazione di alto livello che nascerà nel 2015 nella Cala Montjoi di Roses, nei pressi di Barcellona. Sarà suddiviso in tre segmenti tematici principali: Il primo, elBulli 1846, dedicato alla storia della gastronomia; il secondo, elBulli Dna, sarà invece un vero e proprio laboratorio di innovazione e sperimentazione culinaria, mentre il terzo sarà il cuore pulsante di un’iniziativa dedicata al web. “Quaranta persone provenienti da tutto il mondo, come cuochi, designer e architetti lavoreranno nel laboratorio elBulli Dna puntando verso una maggiore efficienza e innovazione”, spiega Adrià. Ma non solo: un mese all’anno, proporrà gratis ricette stellari a fortunati mortali selezionati a sorte in una lotteria su internet.

Fabio Baldassarre al Carlyle Brera Hotel

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Torino. The Egg, semplice come un uovo. Questo il nome del bistrot che l’eclettico chef Nicola Batavia, che ha meritato e poi rifiutato la stella Michelin, ha aperto all’interno del Birichin di Torino. Con questo progetto il 47 enne chef olimpico, che ha cucinato in “Casa Nike” a Torino 2006, Pechino 2008 e Londra 2012, inizia una nuova vita. Tutto il locale, dall’estetica alla proposta del menu, richiama l’uovo e la sua semplicità, uno dei piatti simbolo di Nicola Batavia, come l’Uovo caramellato nel carciofo, l’Uovo in camicia e le Uova al palet. Ma la carta è anche un mix di cucina mediterranea con un forte richiamo al Piemonte e con ricette come Ricotta di bufala, gambero crudo, zenzero candito e sale rosa, Spaghettoni Felicetti con l’intero granchio, Caprese calda di provola.

Milano. Lo chef Fabio Baldassarre, che lo scorso febbraio ha lasciato il ristorante Unico di Milano, all’ultimo piano del grattacielo Wic, a cui aveva fatto guadagnare la prima stella Michelin, ha inaugurato all’interno del Carlyle Brera Hotel, quattro stelle, nel cuore del centro storico di Milano, il ristorante che porta il suo nome. Qui Baldassarre propone le ricette che ripercorrono il suo stile di cucina solido e legato alle varie esperienze vissute in Italia e all’estero. Il locale verrà completamente rinnovato durante l’estate con un progetto che prevede un accesso diretto al ristorante attraverso una scala di cristallo che congiungerà la galleria al primo piano. “Dopo tre anni magnifici trascorsi da Unico ho deciso di creare un ristorante tutto mio”, dice Fabio Baldassarre.


Food&Beverage aprile 2014 | 27


chez... Ci stupiscono, ci emozionano, ci fanno scoprire sapori nuovi e inaspettati, dando vita ad abbinamenti creativi o rivisitando piatti della tradizione. Ma gli chef cosa mangiano? Quali segreti nascondono? Quindici domande per scoprire non le “pubbliche virtù”, ma i “vizi privati” dei grandi cuochi

...Chef

Alfonso Caputo Taverna del Capitano Massa Lubrense (Na)

...Chef

Claudio Sadler Sadler, Milano

A casa tua chi cucina? Io Il tuo piatto preferito? Spaghetti al pomodoro La ricetta che ami di più cucinare? Pesce con patate e porri Una cenetta in pace: cosa ti prepari? Spaghetti al pomodoro e scorfano con capperi e olive La ricetta per conquistare è... Un raviolo ripieno al pesce con frutti di mare La tua cucina in una parola... Semplicità Il piatto che ti ha sorpreso di più? Il maiale cucinato a basse temperature con patate cotte nel latte Qual è il ristorante dove ti rifugi quando non vuoi cucinare? Pizzeria La Notizia, Napoli Da quale collega vorresti andare a cena? Carlo Cracco Per quale collega ti emozionerebbe cucinare? Davide Scabin Con chi faresti uno scambio di ristoranti? Con nessuno Per quale personaggio reale o di fantasia ti piacerebbe cucinare? Walt Disney Se non avessi fatto il cuoco... Avrei fatto il pescatore Hai un budget illimitato: un ristorante a... Sempre qui a Massa Lubrense Il guanto della sfida a chi lo lanceresti? A Massimo Bottura

A casa tua chi cucina? Io, quando ci sono Il tuo piatto preferito? Pizza Margherita La ricetta che ami di più cucinare? I risotti Una cenetta in pace: cosa ti prepari? Salmone marinato, ostriche e spumante La ricetta per conquistare è... Crudo di pesce La tua cucina in una parola... Evolutiva Il piatto che ti ha sorpreso di più? Linguine di Gragnano ai calamaretti spillo e salsa al pane di Coimo di Antonino Cannavacciuolo Qual è il ristorante dove ti rifugi quando non vuoi cucinare? Battipalo di Lesa (No) Da quale collega vorresti andare a cena? Niko Romito Per quale collega ti emozionerebbe cucinare? Aimo Moroni Con chi faresti uno scambio di ristoranti? Giancarlo Morelli Per quale personaggio reale o di fantasia ti piacerebbe cucinare? Matteo Renzi Se non avessi fatto il cuoco... Sarei diventato chirurgo Hai un budget illimitato: un ristorante a... Tokyo Il guanto della sfida a chi lo lanceresti? A Giancarlo Vissani

Leggete le interviste ad altri chef su www.foodandbev.it



Foto di Barbara Campassi Hair stylist Rosangela Bosio 30 | Food&Beverage aprile 2014


Coverstory Centoquarant’anni fa Louise Pommery creò il primo Champagne brut della storia, dando l’avvio a uno stile che ancora oggi è un punto di riferimento per ogni Maison. Per celebrarlo, Mimma Posca, amministratore delegato di Vranken Pommery Italia, lancia una serie di iniziative e di partnership d’eccezione legate alla ristorazione, puntando sulle cuvée de prestige

… e Pommery creò il Brut Barbara Amati

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Mimma Posca, manager appassionata, inseguendo le orme di Madame Louise ha saputo dare una svolta al marchio, portando Champagne Pommery nell’alta ristorazione e all’attenzione dei consumatori di tutto il mondo. A destra, il Brut Apanage Prestige e, in alto, le confezioni del Rosé Apanage e della Cuvée Louise 2002

on imitare nessuno, nemmeno se stessi”. È una delle celebri frasi di Louise

Pommery che ne svelano l’originalità e l’unicità, una di quelle che, sicuramente, nel 1874, nutrirono l’idea, che si rivelò geniale, di creare uno Champagne secco, leggero ed elegante. Uno Champagne che il suo chef de cave, Victor Lambert, trasformò nel primo brut millesimato della storia: il Pommery Nature. L’intuizione di Louise Pommery diede l’avvio a un nuovo stile che incontrò l’apprezzamento di una clientela che stava cambiando gusti e, appunto, chiedeva “un vino più secco possibile, ma al tempo stesso morbido... amabile, vellutato e armonico”. “Curate innanzitutto la finezza”, le suggerivano i collaboratori che recepivano le richieste e gli umori di chi acquistava i suoi vini. Oggi, 140 anni dopo, l’idea di uno Champagne secco che, allora, apparì quantomeno originale e che invece si tradusse in un successo senza precedenti, divenne lo stile di riferimento per ogni Maison. Così, nel 2014 Vranken Pommery celebra in tutto il mondo quest’anniversario con festeggiamenti che da Reims, in maggio, si moltiplicheranno per un anno, fino all’apertura dell’Expo di Milano. “Louise Pommery era intuitiva, dinamica, generosa, un’imprenditrice che conosceva il mercato e sapeva come affrontarlo, ma, sicuramente, ha lottato molto per vincere i pregiudizi dell’epoca e imporre la propria filosofia produttiva -sottolinea Mimma Posca, amministratore delegato della filiale italiana di Vranken Pommery- Nella storia dello Champagne nessuno, dopo Louise Pommery, ha avuto un’idea con una forza maggiore: quella di togliere lo zucchero fu una rivoluzione e favorì l’apertura di nuovi mercati, come quello anglosassone e quello americano che prima di altri Madame aveva individuato, dopo quello francese, e che ancora oggi sono i primi due mercati di

importazione dello Champagne”. Una rivoluzione del gusto, che si univa a una sensibilità particolare e a una precisa ingegneria commerciale, la cui primogenitura, a distanza di 140 anni, è rivendicata con forza e con un senso di orgoglio nel conferire valore al fatto che, se oggi il gusto dello Champagne che svetta su tutti gli altri è quello del brut, lo si deve a Pommery. Ne è più che consapevole, e lo sottolinea con decisione, Mimma Posca, manager passionale e appassionata che ha saputo dare una svolta al marchio abbracciando il mondo gourmand per imporlo nella migliore ristorazione e negli alberghi di lusso di tutt’Italia, instaurando partnership con collaboratori d’eccellenza che condividono la visione di Pommery. La bella sede milanese di piazza Pio XI su cui si affaccia la Pinacoteca Ambrosiana, un quartier generale che, con l’ampliamento al piano inferiore dello stabile, con una bella terrazza affacciata sulla piazza dove si ammira la suggestiva installazione dell’archistar statunitense Daniel Food&Beverage aprile 2014 | 31


coverstory

Paul-François e Nathalie Vranken oltre al vino coltivano la passione per l’arte che sostengono ospitando originali mostre nelle cave del Domaine Pommery a Reims: 18 chilometri di gallerie a 30 metri sotto terra. A destra, le bottiglie da 0,20 litri di Champagne Diamant e Demoiselle Rosé si abbinano ai panini di Chic & Go di via Montenapoleone a Milano, per una pausa raffinata e golosa

Libeskind, raddoppia gli spazi con uno showroom, un ambiente polifunzionale che sarà aperto a showcooking, eventi, manifestazioni promozionali per iniziative o prodotti di aziende anche di settori diversi da quelli dell’enogastronomia. E, per i festeggiamenti dei 140 anni, l’idea è quella di creare un set che ricordi la saga della nascita del Brut Nature, con istallazioni e video che raccontano la storia di Pommery. L’inaugurazione avverrà in più step con diversi eventi per dare maggior importanza al progetto. “È un’iniziativa unica per la nostra giovane filiale milanese per la quale non a caso è stata scelta una location legata all’arte e alla cultura che, associata all’art de bien vivre e all’arte gastronomica, è un contesto in cui questi elementi entrano in simbiosi -spiega Mimma Posca- In Pommery l’arte dello Champagne e l’arte della cucina si incontrano e si

armonizzano, tanto che, ad esempio -e questa è una bella novità- il ristorante Lucas Carton, un indirizzo prestigioso dell’alta cucina francese, in piazza della Madeleine, a Parigi, è diventato di proprietà della famiglia Vranken: è un locale del 1732, in stile art déco, da sempre frequentato dal bel mondo parigino e internazionale. D’altra parte, la ristorazione fa parte del nostro Dna: lo vediamo nel momento gastronomico con Cuvée Louise e Apanage Prestige, le nostre cuvée di maggior pregio, ovviamente brut, ma anche al momento dell’aperitivo, che resta uno dei nostri percorsi per promuovere la mescita al bicchiere”. Cuvée Louise, 65 per cento Chardonnay e 35 per cento Pinot noir, che nascono in tre Grand Cru, Avize, Cramant e Ay, matura sui lieviti dieci anni, è un vino di grande finezza ed eleganza; Apanage Prestige è l’ultimo nato e ricopre il segmento di maggior pregio, quello che più di tutti ricorda lo stile di Louise Pommery: è frutto di una selezione degli stessi tre Grand Cru, con un assemblaggio che privilegia lo Chardonnay e una maturazione sui lieviti di 42 mesi. A parte il Brut Royal, che proviene da un blend di 40 selezioni di Grand Cru, tutti gli altri Champagne sono nobilitati dal fatto che le selezioni diventano molto più rare, sono frutto delle uve di una particolare vigna e di una particolare vendemmia, e l’unicità di Apanage Prestige e di Apanage Rosé (nel cui blend allo Chardonnay si unisce il Pinot noir di Bouzy) è che sono Champagne di ultima generazione che mantengono lo stile di leggerezza e raffinatezza che contraddistingue la Maison e hanno una vocazione molto mirata alla ristorazione, costituendo, così, il trait d’union tra Pommery tradizionale e la Cuvée Louise. Perché in questi 140 anni, da quando è partita la “rivoluzione brut”, Pommery ha mantenuto inalterato uno standing di classe e distinzione, di attenzione e di ricerca coltivando altri interessi al di fuori del business dello Champagne legati al lifestyle, al benessere.


“Dalla famiglia Pommery, ai Polignac, ai Vranken, tutti hanno sempre avuto una visione illuminata calandosi nell’attualità del loro tempo e sottolineando l’unicità del marchio legandolo a progetti che andavano al di là della vendita del prodotto -ricorda Mimma Posca- E Pommery è stata anche tra le prime a promuovere l’accoglienza in cantina per far conoscere la storia della Maison e l’arte di produrre Champagne attraverso i suoi successi. E proprio l’arte è un filo conduttore che lega Pommery alla costruzione stessa del Domaine di Reims, avvenuta dal 1856 al 1876, quando Madame Louise ebbe l’intuizione di creare un sito dove stoccare lo Champagne che non fosse, però, un semplice magazzino, bensì anche un luogo di accoglienza e di comunicazione, caratterizzandolo di tutti quegli elementi che lo differenziassero dagli altri. Il fatto stesso di circondarsi di giovani artisti dell’epoca che potessero esprimere la propria creatività dando loro ospitalità in cambio di un abbellimento delle cantine fu rivoluzionario per l’epoca e rimane a tutt’oggi uno dei più importanti esempi di mecenatismo imprenditoriale che Nathalie Vranken ha maggiormente enfatizzato con l’Expérience Pommery, grazie alla quale le opere di artisti emergenti e di talento prendono vita nelle cave: un evento che ogni anno stupisce per il livello artistico che raggiunge. L’arte, dunque, intesa come rappresentazione della vita legata a una forma di espressione alta dell’art de bien vivre e dell’arte di produrre Champagne, simbolo della gioia, dell’allegria e della convivialità”. Da Madame Louise a Nathalie Vranken a Mimma Posca: un filo rosso unisce queste donne di carattere e dalla grande personalità che sono riuscite a portare Champagne Pommery all’attenzione dei consumatori di tutto il mondo rendendolo un marchio

prestigioso e dinamico, unito all’arte e alla gastronomia, legami che rimangono fondamentali punti di forza per la comunicazione e la diffusione del brand. Se Madame Louise è senza discussione una delle grandi dame della Champagne, Nathalie Vranken è colei che ha continuato una tradizione di arte elevata grazie a una rara sensibilità e a una capacità organizzativa e comunicativa d’eccezione, e Mimma Posca, legatissima alla Casa madre, grazie a un preciso fiuto commerciale e a una capacità innata di coinvolgere nei suoi progetti tutti coloro che incontra, appassionandoli a Pommery, è la persona che è riuscita a farne uno degli Champagne di maggior successo nel nostro Paese. Nata e cresciuta a Zurigo, studi in Giurisprudenza, un percorso di lavoro che si è subito orientato al mondo del vino passando dal Monferrato alle Langhe, dall’Oltrepò Pavese alla Valpolicella, al fianco di prestigiose aziende vitivinicole, ha sviluppato una passione per il pinot nero e la spumantizzazione. Dal Moscato, al Pinot nero, allo Champagne, non è stato un passo breve, ma certamente la determinazione, la passione, le competenze di Mimma Posca l’hanno portata a rivestire un ruolo sempre più importante, fino ad approdare alla filiale italiana di Vranken Pommery, prima come direttore commerciale e da febbraio 2013 come amministratore delegato,

Vranken Pommery ha festeggiato i 60 anni di Relais & Châteaux Italia partecipando con i suoi Champagne al Gourmet Festival, un virtuale viaggio gastronomico nei più prestigiosi locali d’Italia: in alto, Fabio Iacovone dell’Hotel Bellevue & Spa e Christian Cattozzo del Gallia Palace. Sotto, Annie Feolde dell’Enoteca Pinchiorri

Food&Beverage aprile 2014 | 33


coverstory

A destra, lo chef de cave Thierry Gasco controlla la maturazione delle uve appena raccolte. Sopra, la bottiglia dei 140 anni del Pommery Nature: nel 1874 Madame Louise ebbe l’intuizione di creare uno Champagne secco dando vita alla “rivoluzione brut”, uno stile seguito da tutte le Maison

sfondando il famoso “soffitto di cristallo” grazie a un grandissimo lavoro sul posizionamento commerciale e d’immagine del marchio che le è stato riconosciuto dalla Maison che l’ha voluta alla guida di una delle realtà più importanti nel mondo dello Champagne in un Paese che è considerato il primo per prestigio, dopo la Francia, per l’export di Pommery. E su quella poltrona non è certo arrivata per caso. Ambiziosa, tenace e generosa, ama lavorare in squadra e crede molto nella meritocrazia: la sua determinazione l’ha avuta vinta e, oggi, Mimma Posca sorride ricordando la lunga gavetta di cui ha fatto tesoro e che l’ha fatta crescere scontrandosi spesso con la mentalità maschilista del mondo vinicolo. “Pommery è un universo affascinante con le idee ben chiare su dove vuole andare, puntando sull’esaltazione dell’arte di vivere e sulla conoscenza dell’arte dello Champagne: è un percorso educativo che la Maison porta avanti per fare cultura all’insegna della gioia e della convivialità, dello stare bene e del vivere meglio. Ogni iniziativa ha questo obiettivo: la partnership con i Jeunes Restaurateurs d’Europe come quella con la delegazione italiana dei Relais & Châteaux, che festeggia 60 anni con il Gourmet Festival, una serie di eventi in alberghi di lusso in cui Champagne Pommery è protagonista. Di forte impatto il progetto delle Luxury Station nei migliori hotel internazionali: quest’anno arriveremo a otto con tre nuove aperture, al Verdura Golf & Spa Resort, del Gruppo Forte, all’Argentario Golf & Spa Resort, al Grand Hotel Tremezzo, sul Lago di Como. Le Lounge Pommery sono il trait d’union tra il mondo gourmand e il mondo del lifestyle e del benessere. Un nuovo progetto a cui

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Pommery ha aderito, al fianco di Viaggiatore Gourmet, è indirizzato al consumatore finale: noi siamo abituati a passare attraverso il ristoratore, ma qui abbiamo fatto il contrario, comunicando direttamente con chi può avvicinarsi a Champagne Pommery. Poi abbracceremo il cinema, partecipando al Taormina Film Festival, le auto d’epoca, con la Bmw Class, e lo sport, con il Golf Challenge Condé Nast. Tra i progetti, anche l’apertura di un nuovo concept al Terminal 3 dell’Aeroporto di Fiumicino: la Champagneria Santé, in collaborazione con il Gruppo Cremonini”. Oggi Mimma Posca si è circondata di collaboratrici giovani e capaci (il team è quasi tutto al femminile): “Ho voluto dare spazio ai giovani, hanno una grande creatività e aprono la porta alla modernità. Così, Pommery Italia sarà la piattaforma di tutte le altre filiali Pommery nel mondo web e social con Twitter, Instagram, e tutto partirà dall’Italia. Il motore principale è la curiosità, che porta a interrogarsi, e l’energia e la creatività nella squadra diventano fonte di scambio reciproco di idee”, commenta. Una vita essenzialmente di lavoro, la sua, e di viaggi per promuovere il brand: è poco il tempo lasciato libero dagli impegni, tutto dedicato alla figlia Giada, di 17 anni, con la quale le piace visitare le città d’arte. Ama la lettura (sul comodino ha il Libro delle religioni), la storia, la filosofia, le piace l’ermeneutica (in filosofia è la metodologia dell’interpretazione del pensiero). “Gli studi classici mi hanno aiutato nella visione d’insieme, quelli di legge, invece, nell’organizzazione del pensiero, del tempo, nel metodo e nell’analisi delle situazioni”. Quando riesce a “staccare” dal lavoro si rifugia con Giada in qualche luogo incantevole dove godere di un buon carpaccio di pesce e di un calice di Champagne Millesimato. Purché sia Pommery... F&B


Direttamente dai pascoli Scozzese, la carne rossa dal sapore vero!

Per informazioni potete chiamare l’Ufficio Italiano Carne Scozzese Tel 051 6569014 o mandare una mail a info@gsgitaly.it

Campagna finanziata con il patrocinio dell’Unione Europea. Food&Beverage aprile 2014 | 35

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La carne bovina Scozzese e la carne di agnello Scozzese godono del riconoscimento IGP in quanto provengono da animali che sono nati e che hanno trascorso tutta la loro vita in Scozia, nel massimo rispetto sia dell’ambiente che dell’ animale; sono stati allevati in grandi pascoli verdi seguendo i metodi più tradizionali ma anche gli schemi di produzione rigorosi, che riguardano tutta la filiera, per garantire la massima bontà e la massima sicurezza!


Chef Il giovane cuoco veneto, allievo di Gualtiero Marchesi, nel suo nuovo ristorante milanese Daniel avvicina le nuove generazioni alle ricette della nostra storia con una cucina italiana contemporanea e idee innovative, dagli chef che servono al tavolo al diritto di tappo

L’Italian fusion di Daniel Canzian Barbara Amati

T

radizione e innovazione. Sono le parole che gli chef usano più spesso

per descrivere la loro cucina, definendola di impronta italiana, ma alleggerita e modernizzata. Poi c’è chi questi concetti li ha resi brillantemente reali. Cucina italiana contemporanea è, infatti, il motto di Daniel, il nuovo ristorante milanese di Daniel Canzian e della moglie Chiara Gaetani, o Italian fusion come la chiamano scherzosamente lui e la sua giovane brigata. “Oggi il rapporto con la cucina è profondamente cambiato -racconta Canzian- I giovani conoscono piatti e

Da Daniel si respira un’atmosfera rilassata grazie alla cucina più che a vista, separata solo da una struttura di vetro, agli arredi di Giò Ponti, alle tovaglie in tweed spigato, alle pennellate di giallo e carta da zucchero e alle suggestioni vintage 36 | Food&Beverage aprile 2014


sapori di culture lontane, ma hanno perso il gusto, ad esempio, del fegato alla veneziana o dello gnocco alla finanziera. Ecco dunque la sfida: riproporre ricette di 10, 20 e 30 anni fa semplicemente in maniera più colta e raffinata, alleggerendole e rendendole contemporanee, senza doverle rivisitare e senza perdere quel gusto che è la matrice di tutto”. D’altronde Canzian non avrebbe potuto fare niente altro di diverso che cucina italiana con un maestro come Gualtiero Marchesi: “Marchesi mi ha insegnato tutto, lui ha creato la cucina. È stato e rimane il mio maestro e la mia icona. I 7 anni al Marchesino sono stati meravigliosi”. Oltre che con le parole, Canzian esprime la gratitudine, l’affetto e il rispetto per Marchesi nel modo più congeniale a un cuoco: con un piatto. “Un minestrone alla milanese. Nato come personale riconoscimento, è oggi il piatto simbolo del ristorante e ne sono felice anche perché è ‘solidale’: per ogni minestrone servito doniamo due euro ai City Angels di Milano. E poi per me è l’incarnazione dell’italianità: se da nord a sud della Penisola le ricette cambiano, il minestrone lo cucinano in tutte le regioni, superando confini, culture, religioni e intolleranze alimentari”. Ma nel menu di Canzian c’è anche un altro omaggio culinario, quello a Milano, città che a lui, veneto Doc, sta dando molto, con i tradizionalissimi Risotto allo zafferano, Ossobuco di vitello in gremolata con risotto allo zafferano e L’importante costoletta di vitello alla milanese e insalata di stagione. Ma scorrendo il menu si trovano altre ricette tipicamente italiane che trasmettono i canoni di una potente tradizione attraverso gli occhi di questo giovane chef: dagli Scampi dorati in saor, al Risotto cacio e pepe al mandarino, dagli Gnocchi di patate alla finanziera al Coregone e carciofi alla saltimbocca. “Sono piatti

della tradizione, ma liberi da tutto il superfluo, come salse e decorazioni -spiega Canzian- Sono decisi, definiti, piacevoli e comprensibili”. La cucina di Canzian non lascia nulla al caso: “Oltre agli ingredienti e alla stagionalità, stiamo attenti al trend del momento, al rapporto nutrizionale, con una carta di mezzogiorno appositamente studiata, e ai consigli e suggerimenti dei nostri commensali”. Ed è proprio intorno al cliente o, meglio, all’ospite, come lo definisce Canzian, che è costruito tutto il ristorante a partire dalla cucina più che a vista, separata solo da una bassa struttura di vetro e vero cuore del locale: “Il rapporto che instauri con i commensali oggi, in cui la qualità ha raggiunto un livello generale alto, può fare davvero la differenza”, racconta. E la differenza da Daniel la si percepisce davvero, non solo per l’atmosfera di grande relax che vi si respira, ma anche grazie a un’idea semplice quanto brillante: il cuoco in sala. Al Daniel non ci sono, infatti, i camerieri, ma tutti gli chef, persino il secondo di Canzian, Anton Blaas, a turno servono a tavola e Daniel stesso è spesso in sala a conversare con i suoi ospiti: “La cena deve essere il momento in cui i cuochi devono far riassaporare l’importanza del servizio di sala -spiega Canzian- Sono loro a ridare ciò che hanno tolto. Perché il nostro obiettivo non è solo dare da mangiare,

I piatti di Daniel Canzian, veneto Doc, sono ricette della tradizione, ma libere da tutto il superfluo, come salse e decorazioni. Nulla è lasciato al caso, ponendo attenzione agli ingredienti, alla stagionalità e alle tendenze del momento

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Chef

Per Daniel Canzian il rapporto con il cliente è fondamentale, così al suo ristorante non ha voluto i camerieri: sono gli chef, a turno, a servire a tavola. Sotto, il Minestrone alla milanese, omaggio al maestro Gualtiero Marchesi, è oggi il piatto di punta del locale e fa anche del bene sostenendo i City Angels

ma coccolare i nostri ospiti a 360 gradi. Inoltre, in questo modo, anche i miei giovani chef imparano che il ristorante è una vera e propria azienda da gestire in equilibrio tra imprenditorialità e creatività”. Aperto a ottobre 2013, in un momento economicamente non particolarmente felice, Daniel ha compiuto un passo guidato “da una giusta dose d’incoscienza, un bel po’ di coraggio e spirito d’iniziativa” per creare il proprio spazio in cui potersi esprimere: “Iniziare un percorso imprenditoriale in un periodo del genere diventa uno stimolo a pensare cosa fare di diverso e di meglio per i tuoi ospiti, che li faccia stare bene e li induca a ritornare”, riflette lo chef. Alla base di tutto questo c’è anche una squadra formidabile e molto unita, in cui Daniel crede molto. Proveniente da una famiglia di ristoratori di Lignano Sabbiadoro (Ud), il giovane cuoco (ha 34 anni) rispecchia appieno il suo segno: è un Acquario, creativo e molto preciso, sognatore e rigoroso. Ad ancorarlo a terra ci pensano la moglie Chiara (segno: Capricorno) e Anton Blaas, concreto e razionale, che è al suo fianco dal 2007 e con il quale l’intesa è perfetta. Così, da Daniel ci si sente davvero a casa, l’ambiente è piacevole e rilassante, tra mobili di Giò Ponti, tovaglie in tweed spigato, pennellate di giallo e carta da zucchero e suggestioni vintage: “Vogliamo 38 | Food&Beverage aprile 2014

che qui le persone si sentano libere, non ci arrabbiamo per un ritardo perché da noi ‘non si timbra il cartellino’”, afferma Canzian. Un senso per la convivialità della tavola che si esprime anche nel “diritto di tappo”: “Ognuno può portarsi il vino da casa. Anzi, se ci dicono prima quale sceglieranno, prepariamo un menu ad hoc”. Una trovata intelligente che piace e diverte, vicina alla mentalità libera ed easy delle nuove generazioni, che trovano da Daniel un luogo in cui l’alta cucina è alla portata di tutti. Un esempio ne è anche la carta dei vini tutta italiana (a parte una piccola sezione dedicata agli Champagne di Michel Troisgros, maestro di vita per Canzian) e non più divisa per regioni: “Abbiamo voluto una carta snella con 150 vini e facile da consultare perché organizzata per abbinamenti”. Tante innovazioni, dunque, attraverso le quali il giovane Canzian insegna che la tradizione è sempre di moda e una dimostrazione che il “mondo di frutta candita”, come la moglie Chiara definisce i sogni del marito, ogni tanto diventa possibile anche nella realtà. F&B scheda

Daniel via Castelfidardo 7 20121 Milano tel. +39 02.63793837 www.danielcanzian.it


Pal azzo Gran Guardia

Aperto dal 29 Marzo al 13 Aprile O p e n f r o m M a r c h 2 9 th t o A p r i l 1 3 th

c o n t a t t i : zen at o @ zen at o .i t


santa margherita Per comunicare il suo essere totalmente green, il Gruppo Vinicolo lancia il primo vino che, dal vigneto allo scaffale, annulla l’impatto della CO2. Lo fa sul mercato canadese con il Pinot Grigio finanziando progetti verdi. Un’operazione che sarà ampliata anche ad altri Paesi

Carbon neutral ecosostenibilità a 360° Barbara Amati

S Ettore Nicoletto, amministratore delegato di Santa Margherita Gruppo Vinicolo, e il Pinot Grigio carbon neutral

arà il primo prodotto carbon neutral, dal vigneto allo scaffale, quello che Santa Margherita

Gruppo Vinicolo lancia in aprile sul mercato canadese. Un vino, il Pinot Grigio Santa Margherita, per cui i livelli di CO2 sono completamente compensati. “Abbiamo fatto quello che si chiama Life cycle analysis, calcolando quanta CO2 il nostro vino immetteva nel sistema -spiega Ettore Nicoletto, amministratore delegato del Gruppo di Fossalta di Portogruaro (Ve)- Ovviamente, il 50 per cento dell’emissione è imputabile alla cantina e al trasporto, ma poiché siamo un’azienda verde, abbattiamo totalmente l’impatto e siamo altamente al di sotto della media del settore dal punto di vita della CO2 espressa in chilogrammi liberata nell’atmosfera. Il nostro vino, certificato carbon neutral, grazie all’analisi di un istituto terzo straniero di alta reputazione (Carbonzero), comunicherà questa nostra sensibilità nei confronti dell’ambiente a un mercato come quello canadese dove commercializziamo volumi rilevanti e nel quale abbiamo un partner importante come il Monopolio che ha, tra i suoi molteplici obiettivi, la salvaguardia dell’ambiente e che ha sposato felicemente questo progetto di cui siamo molto orgogliosi. È difficile comunicare un’ecosostenibilità a 360° come la nostra (fotovoltaico, bio masse, vetro, integrazione verticale e chilometro zero), ma con una sola definizione lanciamo un messaggio chiaro. Abbiamo finanziato tre progetti verdi in diverse province canadesi, così, durante la promozione di lancio, che durerà un mese e mezzo, doneremo 50 centesimi del ricavato della vendita di ogni bottiglia di Pinot Grigio Santa Margherita, che costa 17,99 dollari, a un’associazione che provvederà a piantare alberi. È un’operazione che interesserà un milione e mezzo di bottiglie. Partiamo dal Canada, ma l’obiettivo è esportare in tutto il mondo questo modo di produrre vino, anche sul mercato interno. È un’operazione costosa (un centinaio di migliaia di dollari), ma il messaggio, chiaro, è


che il Pinot Grigio Santa Margherita non ha il minimo impatto di CO2 sull’ambiente”. Per il Gruppo il 2013 è stato un anno eccezionale: “Abbiamo superato i cento milioni di euro di fatturato, il 65 per cento proveniente dall’export: il miglior bilancio della nostra storia”, sorride Nicoletto, sottolineando i punti di forza dell’azienda: “In primis il nostro modello di business, il felice equilibrio tra la produzione di uva nei nostri vigneti di proprietà e l’acquisto di vino e uva che nel tempo è risultato vincente; la nostra propensione all’esportazione, senza mai perdere di vista il mercato interno; la scelta di posizionare i nostri prodotti nella fascia alta del mercato, rivolgendoci a una clientela che premia la ricerca e l’investimento nella qualità, ma anche l’impegno a educare e comunicare non solo il marchio, ma il vino in generale, e l’esperienza vino-cibo, che ci sta ripagando degli sforzi fatti. Da sempre creiamo, infatti, eventi legati agli chef, animando i locali dei nostri clienti, raccontando il vino, il territorio dove nasce e come viene prodotto, ma anche come deve essere fruito, non come consumo fine a se stesso, ma come catalizzatore dell’esperienza enogastronomica”. Un successo che è conseguenza anche dei consistenti investimenti dell’ultimo decennio (80 milioni di euro) per accrescere la qualità dei vini (acquisto di nuovi vigneti, ristrutturazione di quelli esistenti, tecnologie d’avanguardia in cantina), ma anche nella distribuzione, nel rafforzamento delle reti vendita, nel capitale umano, nel presidio dei mercati in modo più diretto e penetrante. Complessivamente le etichette del Gruppo sono indirizzate per il 60 per cento al canale tradizionale, ma si stanno avvicinando maggiormente alla Grande distribuzione (si punta al 50 e 50), perché il consumatore si sta spostando verso l’esperienza retail, un fenomeno che ultimamente ha subito un’accelerazione. Naturalmente, brand come Kettmeir, Ca’ del Bosco e Lamole di Lamole mantengono la loro

vocazione all’horeca. Ecco perché tra i nuovi progetti c’è anche la partnership che mira a far rinascere le grandi stazioni, fino a ieri vissute come luoghi di grande passaggio scarsamente attraenti, ma che oggi si stanno animando con grandi store e locali di consumo di qualità: uno di questi è VyTA Santa Margherita, un progetto in collaborazione con Retail Group, in cui gustare ottimi spuntini veloci con verdure, salumi e pane cotto al momento, abbinati ai vini del Gruppo. Ne sono già stati aperti alla Stazione Centrale di Milano, a Roma Termini, a Napoli e a Torino; seguiranno Firenze, Bologna e Venezia. Dai nuovi progetti, ai nuovi vini. L’ultimo, in scena al Vinitaly, è il Müller Thurgau-Glera Brut Santa Margherita, uvaggio dei due vitigni, in cui il primo è preponderante: da un lato è un vino innovativo, dall’altro è ricco di storia e tradizione. Il müller thurgau proviene, infatti, da vigneti posti sulle pendici delle Dolomiti tra i 400 e i 600 metri di altezza, la glera dalle colline della Marca Trevigiana. Le uve sono vinificate in bianco, separatamente, con spremitura soffice. Prodotto con il metodo Charmat, ha profumi floreali e agrumati, ravvivati da piacevoli note di erbe di campo e officinali; la sensazione gustativa è croccante, con un’evidente freschezza che prolunga nel finale le note aromatiche. La bottiglia ha un formato originale e il packaging è moderno e accattivante, dedicato a un pubblico giovane, che si affianca ai monovitigno dell’azienda costituendo un’interessante integrazione F&B all’offerta Santa Margherita.

Da sempre l’azienda ha come obiettivo la salvaguardia dell’ambiente, unita alla produzione di vini di qualità che regalino esperienze gourmet come al VyTA Santa Margherita (sopra), brand per le grandi stazioni. Sotto, il nuovo e innovativo Müller ThurgauGlera Brut

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eventi Quindicimila partecipanti, 4.600 buyer di cui 300 esteri, 300 aziende presenti e più di 23 mila prodotti venduti, oltre a incontri, tavole rotonde, un centinaio di appuntamenti fuori salone e tanto altro. Tutto questo nei tre giorni di Taste, nel regno del food lifestyle

Il gusto passa da Firenze Barbara Amati

I Il leitmotif di Taste 2014 è stato la Fabbrica del gusto, un omaggio ai cibi artigianali

l ruolo di Firenze come città d’arte è indiscutibile da sempre, ma, qualora ce ne fosse ancora

bisogno, con la nona edizione di Taste è diventata anche polo del gusto. Il salone, organizzato da Pitti Immagine da un’idea del Gastronauta Davide Paolini e ospitato alla stazione Leopolda, ha messo a segno quest’anno grandi numeri, sia come presenze, sia come qualità dei prodotti e degli eventi presentati. I visitatori gourmet, curiosi di assaggiare, annusare e toccare salumi, cioccolato, pasta, olio e prelibatezze varie sono stati 15 mila, ma il dato più gratificante per una simile manifestazione è stato quello riguardante i buyer che in tre giorni sono stati circa 4.600 con un incremento del 30 per cento per quanto riguarda gli operatori italiani e addirittura il 43 per cento per gli stranieri, provenienti da 40 Paesi, i cui feedback sono stati più che positivi. I grandi buyer, come Dino Borra di Eataly, Takafumi Mishima di Mishimaya Co in Giappone, Fabrice Marcotullio di Lewis & Cooper in Gran Bretagna fino ad Anna Malafeeva, direttore generale di Vittoria Gourmet in Russia, hanno definito questa edizione di Taste completa, ben organizzata, professionale, di alto livello in cui si vede l’esperienza di Pitti Immagine nell’organizzazione fieristica; per alcuni addirittura al di sopra delle aspettative. Taste si conferma, quindi, il salotto italiano del mangiare e del bere di

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qualità, il luogo dove (tra cibi, vini, oggetti e idee) si danno appuntamento i migliori operatori internazionali dell’alta gastronomia, ma anche il sempre più appassionato pubblico dei foodie che, in questa edizione, hanno potuto apprezzare i prodotti di oltre 300 aziende selezionate tra le produzioni di nicchia e d’eccellenza provenienti da quasi tutte le regioni d’Italia. Una tre giorni, da sabato a lunedì, in cui fiorentini e non solo hanno affollato gli spazi tra due “ali” di produttori rendendo a volte problematica la

“viabilità”. Ma tant’è, l’entusiasmo era tanto e tangibile, segno che il cibo e il vino (anche se i produttori vitivinicoli erano una presenza volutamente scarsa e dispersa tra l’alimentare) rimangono un argomento trainante per gli appassionati e i curiosi, coloro che amano andare alla scoperta delle sfiziosità più diverse. Non per niente, leitmotif di questa edizione è stata la Fabbrica del gusto, un omaggio ai cibi che nascono per mano di artigiani alimentari che dedicano studio, tempo e passione per realizzare prodotti

Soddisfatti i buyer internazionali che hanno definito questa edizione completa, ben organizzata, professionale e di alto livello

innovazioni

Con il Pastificio Gentile e Nino Di Costanzo la pasta diventa riso Uno storico opificio artigianale fondato nel 1800 può ancora stupire con prodotti mai visti sul mercato? Sì, se si parla del Pastificio Gentile di Gragnano (Na). La famiglia Zampino, in collaborazione con il bistellato Nino Di Costanzo del Il Mosaico, ristorante del Terme Manzi Hotel & Spa di Ischia (Na), ha infatti lanciato il Riso di Grano Duro, una pasta che unisce la bontà del grano duro Senatore Cappelli con la versatilità del formato del riso. “È un omaggio a mio padre Natale, uno dei più antichi pastai gragnanesi che ha portato avanti con rispetto e tenacia la tradizione, senza trascurare l’innovazione -spiega Alberto Zampino- L’idea è nata dalla linea per i bambini, dai semini, e dal desiderio di poter realizzare un risotto con la semola di grano duro, da cuocere seguendo gli stessi passaggi: si prepara il soffritto, si tosta, si allunga con brodo, si manteca, si spadella, si condisce esattamente come un risotto”. Cosa che ha fatto anche Di Costanzo, in occasione della cena di lancio del nuovo prodotto nel Fuori di Taste, nelle cucine del Il Borro Tuscan Bistro, il locale sul Lungarno della famiglia Ferragamo, realizzando con il Riso di Grano Duro un eccellente e colorato piatto con la crema di piselli in cui il gusto dello scampo si armonizzava alla forte impronta acida, al tocco fumé e alla consistenza del riso di pasta. Lo chef de Il Borro, invece, Andrea Campani, ha proposto la sua interpretazione di uno dei formati speciali del Pastificio Gentile, i conchiglioni. I piatti sono stai accompagnati dai vini della Tenuta Il Borro della famiglia Ferragamo, e dalle bollicine delle Cantine Ferrari. Una serata all’insegna dell’innovazione e della tradizione, con Ferruccio e Salvatore Ferragamo, Maurizio Marinella, il sarto delle note cravatte, e Alberto Zampino con il papà Natale, in prima fila per assaggiare la gustosa novità di famiglia.

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eventi

Spazio anche al dibattito con incontri culturalgastronomici in cui i protagonisti del mondo del food si sono confrontati sui temi più curiosi o scottanti legati al mondo della tavola

gastronomici di qualità. E accanto al Taste Tour, il percorso di degustazione, ecco il Taste Tool, per gli “attrezzi del mestiere”, ovvero gli strumenti di food & kitchen design non solo per gli chef, ma anche per chi semplicemente ama stare ai fornelli. Infine, il paradiso per gli acquisti, il Taste Shop, il negozio con oltre 1.700 prodotti dove comprare a ragion veduta, cioè a degustazione avvenuta alle “postazioni” dei produttori, ricavato giusto giusto alla fine del percorso di assaggi. Ma, a Taste si è nutrita anche la mente, perché ampio spazio è stato

dedicato al dibattito, attraverso una serie di incontri cultural-gastronomici dove i protagonisti del mondo del food si sono confrontati sui temi più curiosi legati alla tavola contemporanea, al cibo e al gusto, interpretando il momento attuale e anticipando le tendenze future. Tra i protagonisti, Davide Paolini, il “padrone di casa”, che si è confrontato con chef, produttori ed esperti su diversi argomenti: dall’italian sounding (danno o/e opportunità?) alle nuove forme di comunicazione e condivisione attraverso le piattaforme digitali e di come esse possano trasformarsi in occasioni per le nostre tradizioni regionali. Si è

frantoio di santa tea

O’live, una cena a prova di critico Di solito giudicano i piatti, non li cucinano. Ma per una volta e per una buona causa (a supporto del Progetto giovani ricercatori dell’Ospedale pediatrico Meyer di Firenze), Oscar Farinetti, Enzo Vizzari, Paolo Marchi, Davide Paolini e Leonardo Romanelli hanno sottoposto le loro ricette al giudizio di giornalisti e addetti al settore. È successo alla serata O’live (gioco di parole che richiama le drupe degli ulivi, ma anche la vita) organizzata da Serena Gonnelli (nella foto durante un’intervista), la cui famiglia è proprietaria dello storico Frantoio di Santa Tea che dal 1585 si dedica alla produzione di dodici diverse tipologie di olio, dal pescato d’altura Schooner e da Eataly Firenze, con il suo nuovo Ristorante Leonardo Da Vinci. Protagonisti del menu, dunque, l’extravergine di oliva del Frantoio di Santa Tea, declinato in diverse varianti, quelle più accattivanti per gli chef, e il baccalà di Schooner. Nelle sale della scuola di cucina di Eataly, con l’assistenza dello chef Enrico Panero, la cena è stata aperta da Leonardo Romanelli, giornalista e sommelier, con un antipasto di Alghe marine e baccalà mantecato di Schooner, zucca, mandorle tostate il tutto esaltato dall’olio extravergine Rocca di Cervaia. A seguire, Oscar Farinetti con il Carpaccio di baccalà su insalatina di cece nano toscano, cicoria e capperi fritti con olio extravergine Raccolta Olive Nere. Enzo Vizzari ha preparato La Panissa autentica di Vercelli, completata a fine con una “C” di olio extravergine Toscano Piazza del Palio, mentre Paolo Marchi si è dedicato al secondo: Polpo sardo grigliato di Schooner, schiacciatina di patate, bietole, timo e limone con l’extravergine Laudemio Frantoio di Santa Tea Limited Edition. Dulcis in fundo, il dessert di Davide Paolini: Gelato all’olio extravergine Bio Frantoio di Santa Tea al cucchiaio e caffè in forchetta, che si è aggiudicato la simbolica vittoria ex aequo con il risotto di Vizzari.

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parlato di pasta madre, sempre più rilevante nella richiesta da parte dei consumatori, e di grano, la cui produzione nel nostro Paese è notoriamente insufficiente a coprire il fabbisogno dei pastifici nazionali; di catering, con uno sguardo alle cucine internazionali e con l’elezione del vincitore della quarta edizione di King of Catering, l’unico premio che giudica le migliori aziende di catering e banqueting in Italia (vedi box). Uno degli appuntamenti più importanti si è confermato il Fuori di Taste, il programma off del salone, il calendario di eventi enogastronomici che ha coinvolto Firenze durante le giornate di Taste, e che ha visto

protagonisti ristoranti, gastronomie, boutique, gallerie d’arte, teatri e musei della città. Un calendario che ha acceso il capoluogo toscano con cene e degustazioni a tema, spettacoli e performance, eventi e modi nuovi di presentare il cibo di qualità. Un vero e proprio evento nell’evento, con più di cento appuntamenti dedicati al gusto e alla gastronomia nelle loro varie declinazioni. Un successo meritato, quindi, quello di Taste, che in questa nona edizione ha sbancato, facendo registrare record nei numeri e nei giudizi positivi. F&B

Uno degli appuntamenti più importanti si è confermato il Fuori di Taste, il programma off del salone con eventi che hanno coinvolto la città

premiazioni

Le Gourmet è il King of Catering 2014 Matrimoni del gusto: i catering italiani sposano la cucina internazionale delle grandi occasioni. Questo è stato il tema sul quale le migliori aziende di catering si sono sfidate in occasione della quarta edizione di King of Catering, l’unico premio dedicato alle società di catering e banqueting, targato Bisol. Ad aggiudicarsi il King of Catering Platinum Plus/Ferrarelle e il titolo di re dei banchetti 2014 è stato Le Gourmet di Sumirago (Va). Secondo posto, con la medaglia d’oro, per Sire Ricevimenti di Napoli; argento per la trevigiana Santi Catering e bronzo per il Caffè Scala di Milano, premiati da Gianluca Bisol e dai conduttori radiofonici di Decanter Radio 2, Fede & Tinto. Al Four Seasons Hotel Firenze i quattro finalisti hanno presentato un menu ispirato ai grandi piatti delle tradizioni culinarie di Azerbaijan, Cina, Emirati Arabi e India, cimentandosi in allestimenti e presentazioni reinterpretate secondo il gusto italiano. Un compito complesso, ma che rappresenta una tendenza sempre più diffusa a livello mondiale, in cui l’esperienza e l’attenta analisi delle diverse culture ha permesso ai concorrenti di portare una sapiente rivisitazione del tema, sia dal punto di vista culinario, sia scenografico. Oltre ai quattro riconoscimenti, sono stati assegnati altri premi di categoria: King of Impossible a Frank Food di Milano; King of Menù a Papillon Ricevimenti di Milano; King of Service Top Automotive a La Fenice di Ravenna; King of Mise en place ad Assaporando di Udine; King of Style & Food Design a Casamanu Catering di Bologna; King of Tradition & Innovation Rcr a Aliante Catering di Firenze e King of Glamour-Venchi a Design & Food House di Roma.

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Distribuzione Gastronomia Toscana, storica azienda alimentare di Prato, e lo chef stellato Gianfranco Vissani firmano sette piatti pronti freschi, preparati senza coloranti né conservanti. In vendita nella Grande distribuzione da maggio: la confezione da 300 grammi costa da 3,80 a 4,50 euro

La cucina di Vissani prêt-à-manger Barbara Amati

S Andrea Tempestini, titolare di Gastronomia Toscana, e lo chef Gianfranco Vissani: insieme hanno ideato piatti di alta cucina che uniscono prodotti tipici italiani a sapori esotici

e, come si dice, la qualità della vita si misura a tavola, oggi, nonostante l’effetto MasterChef, tra

crisi e il poco tempo a disposizione da spendere in cucina, la situazione è grigia per molti. Come conciliare l’attenzione al portafogli e la fretta a un’alimentazione sana e gustosa? La soluzione arriva da Gastronomia Toscana, storica azienda alimentare di Prato che, in collaborazione con lo chef stellato Gianfranco Vissani, ha lanciato Piccoli Lussi Quotidiani (www.piccolilussiquotidiani.it). “Piatti pronti freschi, non surgelati, preparati senza coloranti né conservanti”, spiega Andrea Tempestini, amministratore delegato di Gastronomia Toscana, specializzata nella produzione di piatti pronti e condimenti freschi per negozi e supermercati. Sette ricette (ma si arriverà a 15-20 piatti entro fine anno) studiate dallo chef umbro e presentate alla Coop di Novoli in occasione di Taste a Firenze che, pronte in due minuti, stuzzicano il palato e la curiosità: dal Risotto alla certosina con gamberetti, sogliola e curry, al risotto al Black Velvet con salsa di cipolle e groviera, dalla Zuppa rustica alle patate e funghi, a quella di topinambur al caffè, dalla Crespella toscana al cavolo nero con salsa di banane al curry rosso, alla Lasagna ai carciofi e salsa di pistacchi, a quelle all’astice. Piccoli lussi sì, ma attenti all’economia del recupero: “Oggi il 90 per cento dei

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piatti che si mangiano a casa e al ristorante sono freddi, ottenuti da prodotti surgelati, passati all’abbattitore di temperatura e cotti a bassa temperatura -polemizza Vissani- Con Piccoli Lussi Quotidiani di Gastronomia Toscana si uniscono qualità e gusto in ricette per tutti i palati”. Il piatto, una volta preparato, è messo nella vaschetta e conservato in atmosfera di azoto e anidride carbonica: così, si mantiene perfettamente per 60 giorni, conservandolo in frigorifero. Una sfida, quella alle preparazioni prêt-à-manger, che prima di Vissani aveva tentato anche Gualtiero Marchesi, con una linea di piatti surgelati di qualità, ma probabilmente allora i tempi non erano maturi: “L’idea è nata dopo un lungo periodo di analisi, studio della concorrenza e delle esigenze dei consumatori -continua Tempestini- Nel mercato della distribuzione mancava un’offerta di alta gamma. Quindi abbiamo deciso di accogliere la sfida e portare l’alta cucina sulla tavola degli italiani”. Piccoli lussi a 360 gradi, proposti a un prezzo da 3,80 a 4,50 euro per la confezione da 300 grammi, da maggio in vendita nei banchi frigo dei supermercati di tutt’Italia. F&B


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umberto cesari Guidata dal sommelier Luca Gardini, Gianmaria Cesari ha proposto una verticale delle sue etichette più rappresentative, Liano e Tauleto. Un evento, al ristorante Vun del Park Hyatt di Milano, per ribadire che la Romagna è una terra in cui si può produrre alta qualità

L’eccellenza del Sangiovese Barbara Amati

N Gianmaria Cesari, con Luca Gardini e lo chef Andrea Aprea, ha messo in luce le peculiarità dei suoi vini

on poteva che essere un romagnolo come Luca Gardini a portare a Milano per una degusta-

zione d’eccezione i vini di un altro grande romagnolo, Umberto Cesari. Perché la migliore Romagna del vino continua a rimanere, ai più, un universo non sufficientemente conosciuto. Questa terra, che dà i natali a un vitigno nobile come il sangiovese, protagonista di etichette apprezzate e super premiate, sconta ancora un’immagine di produzione di quantità più che di qualità. Non è un caso, dunque, che Umberto Cesari, con meravigliosi vigneti sulle colline di Castel San Pietro (Bo), curati come giardini, esporti oltre all’80 per cento della propria produzione e si collochi da anni al primo posto in molti dei più titolati concorsi internazionali con etichette come il Tauleto e il Liano, appunto, a base di sangiovese (non ultime, nel 2013, la Medaglia d’oro al Tauleto 2007 all’Hong Kong International Wine & Spirit Competition, la Medaglia d’oro al Liano 2010 all’International Weinpramierung, in Svizzera, e la Medaglia d’argento alla Sélections Mondiales des vins, in Canada, la Medaglia d’oro al Tauleto 2006 al Sommelier Wine Awards, in Gran Bretagna). Così, Gianmaria Cesari, che viaggia nel mondo per far conoscere e promuovere i suoi vini, ha ricordato come Canada, Stati Uniti, Germania e Giappone ripaghino gli sforzi, grazie alla mancanza di pregiudizi, a un’apertura mentale, a canali più ricettivi e a una carta vincente che è il rapporto qualità-prezzo. Ma per sfatare una frase celebre, nemo propheta in patria,

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Gianmaria Cesari, insieme a Luca Gardini, ha deciso di proporre per la prima volta in Italia una verticale delle sue etichette più rappresentative, Liano e Tauleto; un evento che si è svolto al ristorante Vun del Park Hyatt di Milano. “La nostra è una regione che dal punto di vista vitivinicolo non ha saputo spiegare le proprie potenzialità e quanto di buono la nostra terra e le nostre uve possono dare -ha precisato Gianmaria Cesari- La Romagna in Italia è ancora considerata a livello dei grandi produttori della regione, il secondo serbatoio di vino dopo la Puglia, dove si punta a produrre alte rese. Noi, qui, facciamo invece qualcosa di diverso. La nostra filosofia e la nostra visione è stata differente e abbiamo ribaltato il concetto riducendo le rese in vigneto e guardando ai parametri qualitativi delle uve, lavorando in campagna per l’ottenimento di una materia prima eccellente”. L’anno prossimo l’azienda festeggerà la 50a vendemmia: già cinquant’anni fa Umberto Cesari capì che il vino si faceva nel vigneto e partì dall’acquisto delle vigne (oggi vanta quasi 170 ettari di proprietà) e già negli anni ’70-’80 l’azienda proponeva al mercato un Sangiovese di qualità che costava quattro volte più degli altri: “A chi si domanda chi siamo e cosa facciamo, suggeriamo di venire in vigna e in cantina per vedere come produciamo il vino”, ha sottolineato Cesari. “C’è questa idea che i vini della Romagna siano da bersi giovani, ma non è solo così e per me poter raccontare l’assaggio di Sangiovese di questa levatura è una grande soddisfazione, e lo dico da romagnolo e da degustatore -ha aggiunto Luca Gardini- Il Sangiovese di Romagna ha una precisa personalità e si differenzia da quello toscano (per il clima diverso, la vicinanza del Mar Adriatico, i terreni differenti) per una certa rusticità che si unisce a una grande eleganza. Sono vini molto netti e puliti. Un’alternativa ai soliti rossi, uno stimolo a provare qualcosa di diverso rispetto a Toscana, Sicilia, Piemonte, scoprendo etichette di

grande carattere, potenti e di lunga vita”. Ed ecco nei calici diverse annate di due rossi importanti e di struttura. Liano, un’etichetta che l’azienda produce dai primi anni ’60, all’inizio era frutto di soli vitigni autoctoni, ma negli anni si è compreso che avrebbe tratto vantaggio dal matrimonio con il cabernet sauvignon, che lo completa e lo equilibra: oggi è un blend con il 70 per cento di sangiovese e il 30 per cento di cabernet sauvignon, matura per 6 mesi in botti da 30 ettolitri e almeno un anno in botti di legno di Allier da 5 ettolitri; infine, affina 6 mesi in bottiglia; ha una capacità di invecchiamento di almeno 8-10 anni. Il nome proviene dal borgo con una casa, un ristorante e una chiesa, circondato dai vigneti dell’azienda, a 400 metri di altitudine. Se ne producono 700 mila bottiglie e attualmente sul mercato c’è l’annata 2011. Del Liano sono stati degustati il 1998, 1999, 2005 e il 2006. “Il 1998, frutto di una bell’annata, ha colore denso e una nota terrosa tipica del terreno che conferisce al vino sapidità, mineralità e grande longevità -ha spiegato Luca Gardini- Si avvertono netti profumi di visciola e prugna esaltati dal tocco selvatico del cabernet (alloro e canfora). In bocca si sente un frutto ancora acido che ricorda la nespola e una grande freschezza, notevoli in un vino di 15 anni”. Il 1999 è figlio di un’annata luminosa che ha fatto di freschezza e acidità il suo punto di forza; è molto elegante, al naso evidenzia un frutto più compatto che ricorda ribes, cassis e una grande nota mentolata. In bocca è meno sapido e più acido del ’98 con un tannino più fuso; un vino molto pulito. Il 2005 è ancora molto

In degustazione diverse annate di due rossi importanti e di struttura: Liano, un’etichetta che l’azienda produce dal 1964, blend di sangiovese (70 per cento) e cabernet sauvignon (30 per cento), e Tauleto, prodotto con sangiovese grosso al 90 per cento più il 10 per cento di uva Longanesi


Umberto cesari

Cinquant’anni fa Umberto Cesari capì che il vino si faceva nel vigneto e partì dall’acquisto delle vigne (oggi vanta quasi 170 ettari di proprietà) e già negli anni ‘70-’80 l’azienda proponeva al mercato un Sangiovese di qualità

giovane, con note di buccia di banana matura e un naso più spesso; emerge più il cabernet che il sangiovese, si avverte la nota vegetale, ma non è acerbo; e poi sfumature di tabasco e peperone. Dice Gardini: “Il 2005 è stata un’annata eccellente per i vitigni varietali come merlot e cabernet. Il 2005 è più giovane del 2006, che ha una nota di rovo più dolce: il Sangiovese tira fuori in maturazione dolcezza e fragranza, salinità e sapidità; è un vino che ha minore acidità degli altri”. Il secondo vino, il Tauleto, è prodotto con sangiovese grosso al 90 per cento più il 10 per cento di uva Longanesi; la vinificazione avviene in tini di rovere di Slavonia con una lunga macerazione a temperatura controllata; affina per 24 mesi in barrique e tonneau da 225 e 500 litri in legno di Allier, Tronçais e rovere americano. È un vino di grande struttura e longevità, prodotto solo nelle annate migliori e solo in 25 mila bottiglie; in commercio è l’annata 2008. “Tauleto è un’ espressione dialettale che usavano i contadini per identificare i terreni ricchi di acqua: questa zona era ricca di falde acquifere che, ritirandosi, hanno lasciato 30 centimetri di humus fertile. Sono 7 ettari esposti a una luce strepitosa e con qualità del terreno importanti”, ha precisato Cesari. Del Tauleto è stato degustato il

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1999, 2000, 2001, 2004. Ha spiegato Gardini: “Il 1999 evidenzia note di ciliegia sotto spirito e di terra bagnata e in particolare di muschio. È un vino spesso, di grande finezza”. “Nei suoi Sangiovese Umberto Cesari ricerca l’autenticità, vuole ricordare certi Sangiovese della zona di Predappio (Fc) che erano veramente tipici -ha aggiunto Gianmaria Cesari- A distanza di 15 anni questo ’99 porta avanti la tipicità della regione”. L’annata 2000 è più giovane del ’99 ed è ancora chiusa; ha un bel tannino acido, che asciuga e fa salivare e viene voglia di riberne. Il 2001 al naso ha profumi di viola mammola, è più floreale che fruttato, più aperto del 2000 e più pronto, con note di agrumi e tamarindo. Il 2004 si contraddistingue per la grandissima bevibilità: al palato ricorda il mallo della noce; ha bei tannini e un’acidità sostenuta. L’azienda di Castel San Pietro produce anche un Liano Bianco, blend di chardonnay (70 per cento), e sauvignon blanc affinato per 3 mesi in tonneau da 5,5 ettolitri di Allier francese e 3 mesi in bottiglia. Un vino morbido, armonioso, dal gusto molto persistente che si è perfettamente abbinato alla Battuta di fassona, carote, olive nere, nocciola di Andrea Aprea, mentre il Liano 2010 ha accompagnato i Tortelli, stufato di manzo, radice di soncino, pioppini, foglie di senape e il Tauleto 2008 il Cappello del prete, scorzonera, cardoncello, pepe nero. Con la torta alla vaniglia, datteri e mandarino si è degustata la straordinaria Albana di Romagna Passito 2007 Colle del Re: a nostro parere uno dei migliori vini da dessert prodotti in Italia. F&B


LA PRIMA FIERA SUL VINO DEDICATA ESCLUSIVAMENTE AL B2B

12 – 14 NOVEMBRE 2014 FIERA DI ROMA

VINÒFORUM TRADE E’ UN INTERNATIONAL BUYER MEETING CHE VEDRÀ LA PARTECIPAZIONE MIRATA DI 300 AZIENDE DEL SETTORE. Il momento congiunturale attuale sta spingendo le aziende a cercare costantemente di ampliare i propri canali distributivi e a rivolgere sempre più attenzione ai mercati esteri, alla ricerca di nuove opportunità e di sempre più varie relazioni commerciali. Per rispondere a questa esigenza Vinòforum, brand che sostiene e promuove l’enogastronomia, e Fiera Roma, la società che rappresenta uno tra i più importanti poli espositivi d’Europa, lanciano Vinòforum Trade, il nuovo format fieristico esclusivamente B2B dedicato al vino. Il cuore della Fiera è centrato sull’incontro tra espositori e buyer nazionali ed internazionali selezionati in numero proporzionale al valore dei mercati di provenienza. Un’agenda personalizzata permetterà ad ogni azienda di pianificare un minimo di 21 incontri con i buyer profilati provenienti dai mercati internazionali più attivi; in questo modo, Vinòforum Trade garantirà un significativo ed efficace numero di appuntamenti operativi con l’obiettivo di facilitare l’incontro tra domanda e offerta.

UN’ AGENDA PERSONALIZZATA:

21APPUNTAMENTI PER OGNI AZIENDA

REGNO UNITO STATI UNITI GERMANIA CINA GIAPPONE RUSSIA

100

HOSTED BUYER INTERNAZIONALI EUROPA DELL’EST SUD AMERICA CANADA FAR EAST AUSTRALIA PAESI SCANDINAVI Infatti, punto di forza di Vinòforum Trade sarà l’individuazione e la selezione di 100 buyer internazionali invitati e ospitati dall’organizzazione, che potranno confrontarsi con gli espositori su qualità dei prodotti e opportunità offerte dai mercati. Di principale importanza è il posizionamento geograficamente strategico di Vinòforum Trade che, tenendosi a Roma, permetterà alle aziende partecipanti non solo di presidiare uno snodo commerciale di particolare rilevanza che rappresenta un punto di incontro delle eccellenze dell’enogastronomia italiana ed internazionale, ma anche di godere di tutti quei benefici legati all’agilità dei servizi e alle comodità logistiche. A Vinòforum Trade si affiancherà la Roma Wine Week, un fuori salone che coinvolgerà gli appassionati dell’enogastronomia in un tour cittadino di Roma dal 10 al 15 novembre, prolungando al contempo le occasioni di networking per gli operatori in un contesto informale e dinamico, e dove saranno protagoniste le cantine presenti a Vinòforum Trade, che avranno in questo modo l’ opportunità di essere valorizzate ulteriormente nel corso di un evento diffuso. Per info www.vinoforumtrade.com


carni Dalla

cotoletta di

al cubo di finanziera di

Marchesi,

dalle

Bottura: i tagli di carne della tradizione tornano in auge per l’eccellente rapporto tra qualità e prezzo, grazie anche alla maestria di macellai come Bruno Bassetto polpette di

Sironi

Morelli

al brasato di

Diamoci… un taglio Jenny Maggioni

‘‘S

enza grasso per i bambini, ma mista per il mari-

to”: una volta c’era un rapporto privilegiato con il macellaio di fiducia che conosceva per filo e per segno tutti i gusti della famiglia e al quale ci si affidava anche per ricette e consigli. Purtroppo, oggi, il nostro rapporto con la carne spesso non va al di là del cartellino e dell’offerta al banco. Anche perché, come dimostrano le ricerche, la carne sta via via scomparendo dalle tavole degli italiani per colpa della crisi. E, con essa, anche i sontuosi arrosti, bolliti, brasati, fritti e stufati della nostra tradizione culinaria. Ma una soluzione a tutto questo ci sarebbe: fare cultura, come suggerisce Bruno Bassetto, tra i maestri indiscussi della carne. Nato a San Cipriano di Roncade (Tv) nel 1948, Bassetto ha da sempre come obiettivo quello di insegnare a mangiare meglio spendendo meno, riscoprendo antichi sapori: “Nei miei 50 anni di professione mi sono sentito un consumatore al fianco dei miei consumatori, un vero consigliere per mantenere aperta la strada che porta alla vera macelleria e non alla bisteccheria”, spiega. E la vera macelleria -insegna- non sono solo i tagli nobili, ma anche, ad esempio, il “quinto quarto”, vale a dire le frattaglie. “È proprio sulla valorizzazione di tutti i tagli e delle frattaglie nella cucina, e quindi su una rivalutazione complessiva del prodotto carne, che Bassetto raggiunge un risultato eccezionale: coniuga la ricchezza delle ricette, spesso ‘piatti poveri’ dei nostri trisavoli, con la moderna tendenza del mangiar sano, in modo sempre più sostenibile, salvaguardano integralmente le più antiche tradizioni locali della cucina italiana”, afferma Luigi Cremonini, presidente del Gruppo Cremonini e

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Bruno Bassetto è tra i maestri indiscussi della carne. Il suo obiettivo è fare cultura e insegnare che la vera macelleria non sono solo i tagli nobili. Una filosofia che stanno abbracciando anche gli chef come Giancarlo Morelli che nel suo menu ha da sempre la Cotoletta alla milanese. Sotto, il libro di Bassetto “Fra tagli d’Italia dalle corna alla coda”

di Inalca, leader europeo del commercio della carne: un profondo conoscitore di ogni tipo di carne che alla sua fettina non rinuncia mai. Ed è proprio questa la marcia in più di Bassetto: non solo conosce i tagli della carne, ma, soprattutto, sa come utilizzarli in cucina. Un sapere immane e prezioso che ha deciso di condividere, grazie al suo ultimo libro, Fra tagli d’Italia dalle corna alla coda, con ristoratori e consumatori. “Non solo un bellissimo libro di ricette, ma anche la storia della carne, primo alimento dell’uomo -scrive nella prefazione Arrigo Cipriani del celebre Harry’s bar di Venezia- Un documento prezioso per ricordare l’aristocrazia di un’arte”. Così, il macellaio scrittore che ha fermato il tempo aiuta chef e gente comune a riappropriarsi di quel pizzico di consapevolezza per acquistare, cucinare e gustare la carne: “La fretta, la mancanza di tempo, il lavaggio del cervello pubblicitario ci stanno allontanando dal mio motto ‘Si può spendere meno, mangiando meglio’ -spiega Bassetto- Vorrei, inoltre, che le persone abbandonino la ‘mentalità del filetto’ che riduce in stato comatoso le nostre pupille gustative”. “Speed costs money, la fretta costa denaro”, conferma lo chef scaligero Giorgio Gioco: conoscere i tagli di carne è fondamentale quanto informarsi sulle caratteristiche dei vini, a casa come al ristorante. “La voglia di conoscere a dovere le caratteristiche dei tagli della carne non è un vizio gratuito che qualcuno può regalarsi per sfizio o mania di originalità -continua Bassetto- Al contrario, questo tipo di sapere deve diventare un patrimonio inestimabile di tutti, da

utilizzare prima in macelleria, al momento degli acquisti, poi in cucina quando si accendono i fornelli. Sapere la qualità di ogni singolo taglio può far scegliere con la giusta cognizione e, soprattutto, far valutare la migliore soluzione qualità-prezzo. In cucina, invece, la corretta conoscenza serve a mettere in evidenza i pregi del taglio per esaltarne il gusto e sbizzarrire la propria creatività”.

Spazio alla tradizione Una sapienza che dalla storia e dal nostro patrimonio culinario sta tornando in auge più che mai, sulle tavole casalinghe, per l’esigenza di “non gettare soldi e tempo, bensì regalarsi un ‘pasto da re’”, come sottolinea Bassetto, e al ristorante, dove, accanto alle sperimentazione, alla creatività e all’innovazione più spinte, la tradizione si ritaglia sempre uno spazio importante. Sarà per tutti i problemi e le preoccupazioni del nostro tempo, tra crisi economica, disoccupazione e paura di non riuscire a gettare le basi per un futuro roseo, tant’è che oggi sono in molti a chiedere agli chef di regalare un tuffo nei sapori e nei profumi di casa e dell’infanzia. E, così, bolliti, spezzatini, brasati, polpette e polpettoni della nonna, accompagnati dai tradizionali contorni, come polenta, patate, arrosto o in purè, e mostarda, entrano a buon diritto nelle carte dei ristoranti più blasonati, collocandosi tra i piatti più amati. Ne sono golosi esempi la cotoletta alla milanese di Giancarlo Morelli del Pomiroeu di Seregno (Mb); le Polpettine di carne di vitello scottate in padella e finite nel forno a legna, accompagnate da pomodoro, purè di patate e una bruschetta di formaggio, di Elio Sironi del Ceresio 7 di Milano, il Bollito non bollito di Massimo Bottura dell’Osteria Francescana di Modena, il Cubo di finanziera di Gualtiero Marchesi e i Gnocchetti, salsa alla finanziera, crestine di pollo di Daniel Canzian del Daniel di Milano. Il ritorno della tradizione sulle tavole del ristorante Food&Beverage aprile 2014 | 53


carni

Se fino a qualche anno fa al ristorante si prediligevano fiorentine e filetti, oggi c’è una riscoperta dei tagli poveri non solo per la loro bontà nel piatto, ma anche per il risparmio. Sotto, il Cubo di finanziera di Gualtiero Marchesi

è confermato anche da Simone Fracassi, soprannominato il re della Chianina, che con la sua omonima macelleria a Castel Focognano (Ar) fornisce celebri chef, da Filippo La Mantia a Gianni D’Amato, a Joseph Ghapios: “Se fino a qualche anno fa era una lotta per fornire fiorentine e filetti, oggi c’è una riscoperta dei tagli poveri non solo per la loro bontà nel piatto, ma anche per il guadagno. Anche perché c’è sempre di più la consapevolezza che, se la qualità è alta, anche tutti i tagli lo sono, dalla coda alla testa. A differenza della Francia, in Italia non abbiamo gli chef boucher, i maestri macellai, all’interno dei ristoranti, quindi si instaura un rapporto diretto tra cuochi e macellai ai quali chiedono tagli specifici, quasi monoporzione”.

Impara l’arte... “Un tempo quarto anteriore e posteriore, frattaglie, testa, coda si trasformavano in porzioni buone per cento pietanze -spiega il sociologo Ulderico BernardiArrosti, lessi, costate, spezzatino, trippe, fegato, cuore, animelle, cervella, lingua, nervéti da ostaria, sécoe da risotti sopraffini. Nelle mani dell’artigiano macellaio, consigliere gastronomico fidato, tutto finiva in gloria per la mensa familiare. O in polpette. Cosa ben diversa dall’hamburger ereditato dall’America”. Ma quali sono i tagli più gustosi

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e con un buon rapporto qualità-prezzo, sia per le tasche dei consumatori, sia per quelle dei ristoratori, pronti a servire il meglio della nostra storia culinaria? “È buona la carne magra della bestia grassa”, afferma Bassetto. Così, ecco i tagli più interessanti e versatili secondo l’esperto. Collo: definito da alcuni intenditori anche “boccone del cuoco”, ha un’alta percentuale di tessuto connettivo, arricchito da piccole porzioni di grasso e ricco di muscoli, che lo rendono particolarmente pregiato. Nonostante sia molto gustoso, non è tra i tagli più costosi e può essere preparato in diversi modi: in umido, brasato, stracotto, bollito, hamburger, macinato per ripieni, polpette, goulash e ragù. Con altri tagli può servire per preparare il brodo. Copertina di sotto: occupa tutta la superficie interna della scapola ed è un “taglio non taglio” non particolarmente conosciuto. Può essere utilizzata per un ottimo arrosto tradizionale, legato con lo spago da cucina, passato nella farina e rosolato in olio o burro. Costata reale: è la buona braciola anteriore da condire con sale, pepe, alloro e rosmarino e da cuocere sotto la brace avvolta in carta d’alluminio. Punta di petto: corrisponde alla parte alta del petto e presenta vari muscoli intersecati da abbondanti venature di grasso. Richiede una cottura un po’ più lenta rispetto agli altri tagli utilizzati nel bollito. La punta di petto, debitamente sgrassata, è il bollito o il brodo per eccellenza, ma con il manzo più giovane si può utilizzare anche per gli arrosti e, disossato e arrotolato con sedano e carote, diventa un importante brasato cotto unito al vino rosso. È un taglio indispensabile al ristorante per garantire menu ricchi e completi. Asado: il taglio del biancostato, oltre a garantire degli ottimi bolliti e spezzatini e delle succulente polpette, è l’ingrediente principale del tipico piatto argentino Asado. Per la sua buona riuscita in cottura, la carne deve essere venata e con il grasso.


Un tempo i tagli meno nobili si trasformavano in porzioni buone per cento pietanze, prime fra tutte le polpette. A destra, quelle di carne di vitello di Elio Sironi

Lombata: si ricava partendo dal limite dello scamone lungo una linea parallela alla colonna vertebrale fino all’ottava costola nel taglio tradizionale e fino alla quinta nel taglio industriale. Per un’ottima fiorentina si consiglia un taglio da 800 grammi -1 chilo circa, ricoperto di grasso e con una frollatura di almeno 30 giorni. Se disossata, la lombata diventa roast beef, bistecche da fare alla griglia, in padella o al forno. Filetto: è la parte più nobile del bovino per la sua

carne tenerissima. Si cuoce alla griglia, condito con svariate salse, al forno lardellato, in crosta, o per la tartare. Noce: ha come base anatomica ossea il femore per tutta la sua lunghezza e la rotula in posizione distale; è molto pregiata, perfetta per le bistecche. Può essere divisa in due parti: quella più compatta dalla quale ricavare roast beaf all’inglese, carpaccio e involtini e quella più morbida per un buon arrosto al forno. F&B

Hamburger

Dall’America con furore L’hamburger, la famosa polpetta di carne bovina macinata, ha da tempo allargato i suoi orizzonti, passando da simbolo made in Usa a piatto tra i più conosciuti e amati al mondo, grazie a catene di fast food presenti ovunque come McDonald. Un vero e proprio trend culinario sfociato anche in Italia in ristoranti a tema, le famose hamburgerie, e arrivando persino nelle carte di prestigiosi cuochi, come Andrea Berton o Joseph Ghapios. E questa nuova passione per l’hamburger ha permesso agli italiani di imparare a gustare le carni alla griglia più apprezzate come l’angus, la chianina toscana e il bovino. Ma dove è nato l’hamburger? Per ritrovarne l’origine bisogna andare molto indietro nel tempo: la pratica di macinare la carne risale alla cultura bovina delle steppe euroasiatiche; nel Medioevo, i Tartari mangiavano carne cruda macinata con sale, pepe e succo di cipolla, oggi conosciuta come steak-tartar, ricetta che successivamente i mercanti tedeschi hanno portato ad Amburgo. Nel XVIII secolo Amburgo diventò il porto più importante d’Europa e uno dei principali collegamenti con l’America e New York. I marinai che si spostavano lungo i porti europei e americani si scambiavano ricette e sapori. L’hamburg steak, la bistecca alla maniera di Amburgo, divenne ben presto uno dei piatti più richiesti dai marinai tedeschi in trasferta. E fu proprio un ristorante di New York il primo che, nel 1826, inserì l’hamburger nel menu: Delmonico’s. Ma, secondo lo storico Frank X. Tolbert, la versione americana dell’hamburger è di origine texana, essendo opera di Fletcher Davis di Athens, il quale vendeva burger nel suo caffè, al 115 di Tyler Street, sul finire de 19° secolo. Nel 1904 Davis partecipò alla St. Louise World’s Fair, dove i suoi hamburger ebbero uno strepitoso successo perché venivano cucinati rapidamente e potevano essere mangiati passeggiando e senza l’uso di posate. Gli abitanti di Hamburg, nello stato di New York che ha preso il nome dall’ omonima città tedesca, attribuiscono invece l’invenzione dell’hamburger a Franck e Charles Menches: si racconta che i fratelli Menches, quando alla Erie County Fair (chiamata poi Buffalo Fair) nel 1885 finirono la salsiccia, iniziarono a usare carne di manzo. Ma la versione più accreditata attribuisce la nascita dell’hamburger a Oscar Weber Bilby di Tulsa, Oklahoma, nel 1891: in occasione del Forth of July di quell’anno offriva la carne in mezzo a un panino al latte sfornato dalla moglie. Al di là dell’origine controversa, oggi l’hamburger si è elevato da street food economico e, spesso, troppo calorico, a piatto gourmet, declinato in molteplici varianti, ma con una denominazione comune: la carne più pregiata e ingredienti di qualità.

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contest Il Quality Meat Scotland ha organizzato una serata divertente in cui trenta blogger si sono sfidate nella realizzazione di un hamburger speciale. Protagonista la carne scozzese che, grazie alle sue ferree regole garantite dal marchio Igp, è un prodotto d’eccellenza

Fast food di qualità Barbara Amati

C’ Le giovani blogger hanno elaborato il burger di Carne Scozzese Igp in ricette creative e accattivanti

è carne e carne. E ora l’hanno ben imparato anche una trentina di blogger vivaci e chiacchierine

che hanno partecipato a una lezione di cucina dello chef mediatico Sergio Barzetti (ogni giorno è al fianco di Antonella Clerici alla Prova del cuoco) all’Istituto professionale per la ristorazione Isp Mazzini di Cinisello Balsamo (Mi). Protagonista è stata la carne scozzese Igp, trattata dallo chef che l’ha utilizzata per preparare un burger poi replicato con fantasia dalle ospiti che avevano a disposizione una mistery box ricca di ingredienti, dai salumi ai formaggi, dalle salse allo yogurt, dalle verdure alla frutta esotica. Un’intensa sessione di cucina che ha fatto toccare con il palato il sapore di questa tenera carne anche a chi non aveva mai fatto questa esperienza gastronomica. “Ci siamo avvicinati ai nuovi media dedicando loro un evento per offrire la possibilità di sperimentare la cottura della carne scozzese -spiega Rita Piva, responsabile in Italia dell’Ufficio Carne Scozzese- È importante far capire che le carni non sono tutte uguali. Quella scozzese viene da animali che crescono all’aperto tutto l’anno, in pascoli incontaminati e con una grande varietà di erbe e fiori, nutrendosi di ciò che la natura offre. Ed è questo che fa la differenza nel sapore e nella qualità delle loro carni. Il clima è costante, senza picchi estivi o invernali, e sono pochi capi allevati in grandi estensioni. Gli allevatori seguono schemi di produzione molto rigorosi dettati dal governo scozzese: questa è stata, infatti, la prima carne al mondo a ottenere la certificazione Igp, un riconoscimento importante che garantisce l’origine del prodotto.


A sinistra, Rita Piva, responsabile in Italia dell’Ufficio Carne Scozzese, e lo chef Sergio Barzetti premiano Francesca Riva, vincitrice con il suo Twin Burger, sotto, preparato con uova di quaglia, cipolla rossa, pomodori ramati maturi, pancetta, formaggio caprino, Tabasco, aceto balsamico, zucchero e concentrato di pomodoro

E c’è un grande rispetto per gli animali e la loro vita: i vitellini vivono con la madre per 9 mesi nutrendosi del latte materno e sono macellati dopo 24-36 mesi”. Gli allevatori hanno, infatti, la pazienza di seguire le tradizioni aprendosi anche a una visione moderna e si prendono tutto il tempo necessario per ottenere la qualità che cercano per le loro carni. Per la Carne scozzese Igp l’Italia è un mercato importante, il terzo per l’esportazione. Da parte della ristorazione italiana di alta qualità c’è, infatti, una forte richiesta di carne scozzese, perché è garanzia di qualità e il suo sapore piace molto: “Il ristoratore sceglie la carne scozzese perché è più gustosa -semplifica Rita Piva- ed è una delle poche a esserlo in maniera costante, questo perché gli schemi imposti dal governo a cui il 99 per cento degli allevatori aderisce sono molto rigidi proprio per garantire qualità costante. I ristoranti usano soprattutto roast beef, costata, filetto, guanciale, ma anche tagli un po’ più economici, come le frattaglie, la lingua, e per i burger usano il reale. Per qualificare il ristorante è molto importante anche indicare nel menu l’origine Scozia Igp della carne: noi lo suggeriamo sempre, perché così si informa il cliente, lo si fidelizza e si fa cultura; inoltre, è un elemento di rassicurazione per il consumatore che è sempre più attento alla provenienza dei prodotti”. La Carne scozzese Igp è presente anche nella Grande distribuzione: qui il taglio più utilizzato, anche per il burger, è la fesa, che costa un po’ meno. Carrefour ha addirittura creato alcuni tagli di carne a marca privata Selezione Carrefour con la Carne scozzese Igp. In generale, comunque, i supermercati puntano sul prodotto premium di origine italiana: “È difficile convincere il buyer a sposare la carne scozzese: la tengono più come specialità, anche perché ha un costo elevato

-considera Rita Piva- L’evento è stato focalizzato sul burger proprio perché oggi è di moda creare burger con carne di qualità arricchita con ingredienti sempre più particolari e innovativi. Soprattutto il target 20-35 anni è appassionato di burger e anche in Italia stanno aprendo hamburgherie di qualità, in cui l’hamburger di carne scozzese non può mancare”. Ora Quality Meat Scotland ha lanciato un progetto insieme a Marr del Gruppo Cremonini per proporre ai propri clienti il burger di qualità con Carne bovina scozzese Igp, scelta dopo aver provato campioni di carne da diversi produttori del mondo. A onor di cronaca segnaliamo che il burger che è piaciuto di più a Sergio Barzetti e ad Angelo Principe, docente all’Istituto alberghiero che ha progettato la scuola di Cinisello Balsamo, è stato quello di Francesca Riva (www. creazionifusionorconfusion.it). Il suo Twin Burger è stato preparato con uova di quaglia, cipolla rossa, pomodori ramati maturi, pancetta, formaggio caprino, qualche goccia di Tabasco, un cucchiaio di aceto balsamico, zucchero e concentrato di pomodoro. F&B Food&Beverage aprile 2014 | 57


friuli La Cantina cooperativa di Casarsa della Delizia ha presentato due nuove linee per il canale horeca: Sass Ter, per i rossi e i bianchi top di gamma, e Naonis per gli spumanti che valorizzano un’area vocata come quella delle Grave. Rinnovato il packaging di tutte le etichette

Il valore dell’identità nei vini La Delizia Jenny Maggioni

‘‘A La cantina conta 500 viticoltori. Sotto, il Friulano e il Refosco dal Peduncolo Rosso della nuova linea Sass Ter

bbiamo un patrimonio di cultura e tradizioni senza pari e un mercato potenzialmente sconfinato”,

afferma, con sincero ottimismo e cognizione di causa, Denis Ius, presidente della Cantina Vini La Delizia, cooperativa di Casarsa della Delizia, in provincia di Pordenone, che conta 500 vinicoltori associati, oltre 2 mila ettari di vigneti nella zona delle Doc Friuli Grave e del Prosecco e ha raggiunto nel 2013 un fatturato di 26 milioni di euro con un incremento del 12 per cento. Cultura e tradizioni che per La Delizia sono sinonimo di buon vino e buon cibo. Per esaltare ancora di più questo legame, la cantina ha lanciato due nuove linee per l’horeca e l’alta ristorazione, che rappresentano il 35 per cento del fatturato complessivo dell’azienda (il 65 per cento, invece, è indirizzato alla Grande distribuzione organizzata): Sass Ter e Naonis. Sono vini profumati ed eleganti che valorizzano le Grave ed esprimono il carattere e l’anima del territorio friulano, già a partire dal nome: Sass Ter (dall’impasto sassoso dei terreni), si declina nei fermi Doc Friuli Grave, top di gamma, con i bianchi Chardonnay, Friulano e Pinot Grigio e i rossi Refosco dal Peduncolo Rosso e Merlot, e Naonis (dal toponimo con cui era chiamata anticamente la città di Pordenone) per gli spumanti come il Moscato Dolce, la Ribolla Gialla brut, il Prosecco Doc extra dry, il Rosé extra dry e il tradizionale Spumante brut Il Nostro. Per questo nuovo progetto sono una cinquantina gli ettari coltivati e selezionati dai soci viticoltori della cantina cooperativa di Casarsa: vigneti situati nell’alta pianura friulana, nella zona del Friuli Doc Grave, un lembo di terra compreso tra

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Pordenone e i fiumi Meduna, Cellina e Tagliamento, che godono di un microclima favorevole, mitigato dal mare e al riparo dai venti freddi provenienti da nord, grazie alla vicinanza delle montagne, e di un particolare terreno di origine alluvionale che ha depositato nel corso degli anni una buona concentrazione di materiale calcareo-dolomitico: un ambiente che, assicurando una forte escursione termica alle uve, regala ai vini profumi e aromi. “La cantina cooperativa è da sempre legata ad aspetti concreti: la terra, le stagioni, le vigne, e le nuove linee rispecchiano fortemente questa specifica identità territoriale”, spiega Pietro Biscontin, direttore generale e commerciale dell’azienda. Valori che sono trasmessi anche attraverso il packaging scelto per Sass Ter e Naonis: etichette dai colori chiari, capaci di conferire leggerezza, semplicità e freschezza, come i vini che rappresentano, raffiguranti sagome di animali, simboli di natura e bellezza, emblemi e custodi di questi territori. “Il packaging è riconosciuto come un elemento decisivo nel processo di acquisto del consumatore -aggiunge il presidente Ius- Per questo investiamo nella creazione e nel consolidamento della nostra immagine associandola ai forti valori di identità del nostro territorio”. Su ciò si basa anche il restyling della linea La Delizia: a esaltare la qualità del vino, il colore oro che caratterizza tutta la gamma; al centro foglie e tralci di vite stilizzate sottolineano lo stretto legame con i vitigni autoctoni della zona Doc Friuli Grave, come lo Chardonnay, il Cabernet Sauvignon, il Merlot, il Pinot Bianco, il Pinot Grigio, il Refosco dal Peduncolo Rosso, il Sauvignon e il Friulano. L’amore e l’impegno per la salvaguardia dell’ambiente della Cantina Vini La Delizia si vede anche nell’azienda agricola sperimentale di Pantianicco, dove in un vigneto pilota di circa 100 ettari piantati

con glera, pinot grigio e altri vitigni tradizionali, si svolge un’intensa attività di ricerca messa in campo in collaborazione con la Regione Friuli e prestigiosi enti universitari e di sperimentazione vitivinicola. “Con l’obiettivo di identificare sistemi e soluzioni per il miglioramento del patrimonio vitivinicolo, utilizziamo pratiche colturali d’avanguardia, metodi di irrigazione e forme di potatura sempre più compatibili con la tutela dell’ambiente”, sottolinea Ius. Perché, come hanno capito bene i viticoltori di La Delizia, che dal 1931 hanno unito le forze in nome di una produzione di qualità, il vino, come l’arte e la gastronomia, nasce da uno stretto legame con il territorio di cui diventa espressione. Un made in Friuli da far conoscere nel mondo: “L’export ricopre il 55 per cento dei nostri volumi, con Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Germania, Belgio e Cina come mercati di riferimento -aggiunge BiscontinInoltre, la Russia rappresenta una piazza economica in forte crescita con 300 mila bottiglie di vino, di cui il 20 per cento di Prosecco, vendute ogni anno”. E, proprio per soddisfare le crescenti richieste dei mercati, garantendo però sempre l’eccellenza del prodotto e la sicurezza dei consumatori, la Cantina ha recentemente acquistato un nuovo impianto di imbottigliamento che consente di aumentare la capacità produttiva arrivando a 10 mila bottiglie di spumante e 14 mila di vini fermi realizzate F&B all’ora.

L’obiettivo della cantina è valorizzare le zone della Doc Friuli Grave e del Prosecco, con vini di qualità e investimenti attenti alla salvaguardia dell’ambiente. Sopra, il presidente Denis Ius (a sinistra) e il direttore generale e commerciale, Pietro Biscontin. Qui a fianco, il Prosecco Doc extra dry e la Ribolla Gialla Brut della nuova linea Naonis dedicata agli spumanti

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degustazioni La

tradizionale bevanda fermentata di riso, come insegna l’ente semi-

Japan External Trade Organization, oggi non si serve a fine pasto ma, come fanno i giapponesi, anche fredda, così

governativo solo calda

da accompagnarsi a ingredienti e ricette dal sapore mediterraneo

Lungo la via del sake Jenny Maggioni

D Derivato da una complessa fusione tra riso e acqua, oggi il sake è prodotto in 1.300 stabilimenti. Perfetto con i piatti nipponici a base di tonno, tagliata e pollo, si abbina anche alla cucina italiana

(o presunti tali) e spesso rifiutato perché “troppo forte”. Sul sake ci sono tanti miti da sfatare che si legano a un altro grande pregiudizio e cioè che la cultura alimentare giapponese (washoku) “sia solo sushi” e non quel mix di essenzialità, salute ed estetica che gli è valso l’entrata nel 2013 nel Patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. Poi di sake non ce n’è solo uno, perché, come il vino, racchiude in sé una storia millenaria, fatta di riti e tradizioni, infarcite di religione e arte. Derivato da una complessa fusione tra riso e acqua, oggi il sake è prodotto in 1.300 stabilimenti, in cui si ottiene grazie a un processo che si sviluppa in diversi mesi: “Dal riso raffinato, cotto a vapore e lasciato fermentare per 2-3 settimane, si ottiene un liquido che i solito viene offerto a fine pasto nei ristoranti giapponesi

viene pastorizzato e lasciato nuovamente riposare fino al momento in cui verrà imbottigliato -spiega Marco Massarotto, presidente dell’associazione culturale La via del sake- A seconda del grado di raffinazione del riso e della quantità di acqua se ne ottengono vari tipi”. E se sono diversi, diverse saranno le modalità di degustazione e gli abbinamenti: “Molti pensano che il sake lo si debba bere caldo a fine pasto -continua Massarotto- Ma in Giappone lo sorseggiano anche fresco a tutto pasto”. Già, perché abbinare il sake, oltre che ai piatti nipponici, alla cucina italiana, è possibile. Basta saper scegliere, come insegna

l’ente semi-governativo Jetro (Japan External Trade Organization). Così, l’elegante e morbido Yamato Shizuku Junmai Ginjou di Akita Seishu, per il suo gusto asciutto e croccante che sgrassa il palato, si sposa a insalate di mare, pesce fresco e omelette; l’Hatuhinode Ginjo di Haneda Shuzo, prodotto dal riso Iwai della zona di Kyoto, per il suo sapore profondo, è ideale con piatti dal gusto naturale come sashimi di pesce palla, rombo e orata, carpacci, tartare e porcini; l’Iwate no Jizake di Suisen Shuzo pulisce la bocca e accompagna i formaggi molli e persino la focaccia genovese; ancora più versatile il Munemasa di Munemasa Shuzo, preparato con il riso della prefettura di Saga, che va bene con qualsiasi ricetta. Per gli amanti del sushi, è perfetto il Sasaya Mozaemonn di Hakuryu, secco ed elegante; ma se l’intento è sposare il sakè con i sapori mediterranei, come mozzarella e pomodoro, meglio il Suzukagawa Junmai Daiginjo di Shimizu Seizaburo. Quando il Giappone incontra la Francia nasce invece il Junmai Daiginjo Special di Masuda, affinato in barrique bordolesi. E per stupire con una delicata nota di colore c’è anche il Kozaemon Junmai Umeshu di Nakashima, realizzato con la pregiata prugna Ume. F&B


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speciale Da vino semplice a prodotto di qualità elevata, ricercata e valorizzata grazie a un intelligente approccio produttivo che l’ha riposizionato a livello di immagine e ne ha trainato i consumi. Tanto che, oggi, queste bollicine hanno raggiunto i 307 milioni di bottiglie vendute nel mondo

Prosecco style Paolo Becarelli

C La dolcezza delle colline del Prosecco, un territorio vocato alla qualità

seduce chi si avvicina alle bollicine anche solo occasionalmente, come i giovani e le donne. Non delude neppure i consumatori più esigenti perché oggi tante etichette eccellenti sono in grado di soddisfare wine lover e intenditori. In più, ha dalla sua una grande versatilità: entra in cocktail “moderni”, come il richiestissimo Spritz o i più classici Bellini e Rossini, e si può spesso abbinare, senza sbagliare più di tanto, dall’antipasto al dolce. Senza contare che, rispetto alle bollicine più blasonate, ha ancora un costo tutto sommato contenuto: e, in tempi on il suo gusto vagamente abboccato

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di crisi, questo è un fattore da non sottovalutare. Sono alcuni dei motivi per cui il Prosecco piace e si è posizionato al top del borsino delle preferenze, tanto da essere diventato, almeno per gli stranieri, sinonimo di bollicine italiane. Non sorprende, dunque, che sia da tempo lo spumante italiano più venduto: due bottiglie stappate su tre lo scorso anno, ossia 307 milioni, sono di Prosecco. E, anche se il confronto non è del tutto appropriato, vista la profonda diversità produttiva e di immagine che lo separa dallo Champagne, fa riflettere che, secondo le stime dell’Ovse (Osservatorio vini spumanti effervescenti), quest’anno abbia scavalcato le vendite nel mondo (304 milioni di bottiglie) del cugino d’Oltralpe, raggiungendo un risultato che va oltre il suo mero valore numerico. Vino prodotto nelle campagne del trevigiano, umile e semplice agli occhi di molti, è diventato in pochi anni un successo planetario grazie a un intelligente approccio produttivo e al riposizionamento della sua immagine. Accanto a caratteristiche positive come

la facilità di consumo, il contenuto tenore alcolico, il prezzo competitivo, la grande disponibilità, in passato il Prosecco doveva, infatti, confrontarsi con un vissuto di vino dalle origini indistinte, vagamente italiane, e questo dava adito a imitazioni e storpiature del nome (quante volte è stato usato “Prosecchino” per indicare uno spumante di scarsa qualità!). Per combattere la distorsione è stato cambiato il nome delle uve, che era di per sé una contraddizione: Prosecco fa, infatti, pensare a un vino tendenzialmente secco, senza poi esserlo effettivamente. La confusione partiva dal nome dell’uva di riferimento di questo vino, prosecco appunto, nome che dal 2009, per legge, è ritornato all’“antico” glera. Il secondo passo è stato quello di creare una grande Doc, allargando la base della piramide produttiva, sebbene a detta di alcuni resti ancora un po’ di confusione al vertice dove l’istituzione di due distinte Docg, vicine territorialmente (sono separate da una manciata di

Il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg è la sintesi della vocazione naturale delle colline di Conegliano Valdobbiadene, del sapere dell’uomo e della storia, con la fondazione nel 1876 della prima Scuola enologica d’Italia

appuntamenti

Vino in Villa esalta il territorio Il 18 maggio al Castello di San Salvatore di Susegana (Tv) si svolgerà Vino in Villa, festival internazionale del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg. L’evento offrirà una full immersion nel mondo di queste bollicine e sarà l’occasione per conoscere di persona i produttori e la loro filosofia con la possibilità di degustare circa 300 etichette di realtà diverse, dalla grande Casa spumantistica alla piccola azienda. L’area svelerà anche il suo lato gourmet grazie ai Menu di Vino in Villa, proposti nei ristoranti che aderiranno all’iniziativa, studiando l’abbinamento perfetto tra le bollicine della Denominazione e i prodotti tipici della cucina veneta. Inoltre, si potranno anche conoscere i paesaggi in cui nasce il vino attraverso itinerari mirati a scoprire le colline di Conegliano Valdobbiadene, candidate a Patrimonio Unesco.

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speciale col vetoraz

Valdobbiadene Docg Millesimato Dry gentile dalla struttura rotonda Dai vigneti favorevolmente esposti della zona di Valdobbiadene nasce Valdobbiadene Docg Millesimato Dry di Col Vetoraz, azienda fondata dalla famiglia Miotto nel 1838: un vino elegante, intenso, fruttato con note floreali. Al gusto si presenta aromatico e di struttura rotonda. All’olfatto richiama note di rosa, agrumi, acacia e frutti come pesca bianca, pera e mela. Al palato è elegante, aromatico e morbido. Adatto a ogni momento della giornata, il Valdobbiadene Docg Millesimato Dry è protagonista ideale per momenti di consumo conviviali. Il particolare territorio in cui nascono queste uve è quello dell’omonima collina di fianco al Monte di Cartizze a Santo Stefano di Valdobbiadene, dove si adagia protetto dai venti di settentrione dalle montagne che lo sovrastano, configurandosi come un immenso anfiteatro. La geologia del terreno e le profonde stratificazioni, ricordo di antichi mari scomparsi, sono all’origine di questi vini “gentili”.

Il fenomeno Prosecco è frutto dell’immenso lavoro delle aziende che ha portato al miglioramento produttivo e d’immagine puntando anche sulla valorizzazione del territorio

chilometri), ma distanti culturalmente, non va nella direzione di dare un’immagine omogenea di questo vino agli occhi del consumatore. Tanto più che nelle due Docg, quella di Conegliano Valdobbiadene Docg (con le due espressioni territoriali del Superiore di Cartizze e delle Rive) e della vicina Asolo, anch’essa promossa a Docg, il nome Prosecco non viene più esplicitamente menzionato. Ciononostante, come ha già avuto modo di puntualizzare Innocente Nardi, presidente del Consorzio di tutela del vino Conegliano Valdobbiadene

ruggeri

Quartese Prosecco Superiore un Brut Docg con un tocco in più Entro i confini della Docg, sulle pendici dei primi contrafforti dolomitici nella parte nord della provincia di Treviso, nascono le uve che danno origine al Quartese Prosecco Superiore Docg Brut di Ruggeri, cantina fondata nel 1950 da Giustino Bisol, la cui famiglia vanta una secolare tradizione nonché profonde radici nella cultura vitivinicola del territorio di Valdobbiadene, oggi guidata da Paolo Bisol, affiancato dai figli Giustino e Isabella. Tra le sue peculiarità la presenza di piccole quantità di uve verdiso e perera accostate alla glera. Dal colore verdolino, brillante, solcato da un perlage minuto e persistente, è un vino secco, fresco e snello, morbido e ben equilibrato, con buona persistenza aromatica e finale piacevolmente fruttato. Il bouquet è intenso, molto fine e fruttato con chiari sentori di mela Golden su fondo floreale. Ottimo come aperitivo, si adatta bene anche ad antipasti di pesce, crostacei e molluschi.

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Prosecco Superiore Docg, “oggi il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore è sinonimo dello stile italiano apprezzato in tutto il mondo. Il nostro vino è la sintesi di tre fattori: la vocazione naturale delle colline di Conegliano Valdobbiadene, il sapere dell’uomo, che nei secoli ha ricamato di vigneti le pendici, creando un paesaggio straordinario, oggi candidato dall’Unesco a Patrimonio dell’Umanità, la storia, infine, cominciata nel 1876 con la fondazione della prima Scuola enologica d’Italia. La sfida per il futuro è fare conoscere sempre più al mercato l’identità del nostro vino, indissolubilmente legata al territorio”. Già, il territorio. Perché per valorizzare al massimo la Docg del Prosecco, si deve passare proprio da qui. Ne è convinto anche Aldo Franchi, direttore di Val d’Oca, secondo il quale “le leve che possono far crescere ancora il fenomeno Prosecco nel mondo non possono prescindere dalla valorizzazione del territorio, unitamente alla sua sostenibilità e alla qualità del lavoro in vigna. Almeno per il Prosecco Superiore, cioè quello Docg, mentre per la Doc il prezzo rimane un fattore determinante”. “I consumatori vogliono avvicinarsi a un vino che racconti una storia e che sia riconducibile a un territorio preciso -concorda Giancarlo Moretti Polegato, presidente di Villa Sandi- L’area del Prosecco, sia Doc Treviso, sia Valdobbiadene Docg,


santa margherita

Rive di Refrontolo brut avvolgente e fresco Ottant’anni di storia enologica e oltre due secoli di presenza imprenditoriale: questa è la forza di Santa Margherita Gruppo Vinicolo, storica azienda di Fossalta di Portogruaro (Ve) che, dal 1935, anno in cui la fondò il conte Gaetano Marzotto, regala vini distintivi, come il Prosecco Superiore Rive di Refrontolo Brut Valdobbiadene Docg. Prodotto nella zona di Refrontolo (Tv), è un vino dal colore giallo paglierino brillante con riflessi verdognoli che fa da preludio a un naso dai profumi di fiori di pesco e di acacia e di frutta a polpa bianca, in particolare mela renetta e pesca. Al palato risulta tonico e fresco, scintillante e avvolgente, con un perlage di estrema finezza che prolunga nel tempo e nello spazio la ricchezza delle sensazioni gustative e aromatiche. Ottimo vino da aperitivo, il Rive di Refrontolo Brut Valdobbiadene Docg si sposa idealmente con antipasti sfiziosi, ma accompagna perfettamente anche piatti di crostacei e pesci pregiati.

risponde a questa esigenza di identificazione territoriale. In particolare la storica area delle colline di Valdobbiadene e Conegliano, dove la viticoltura è un’arte antica che accompagna da secoli la vita degli abitanti, è sempre più meta di un turismo enogastronomico”. Fondamentale, dunque, puntare sulla comunicazione territoriale, aggiunge Paolo De Bortoli, agronomo e socio di Col Vetoraz: “Dobbiamo fare capire il territorio non come la visione di un ‘panorama’, ma come struttura agropedoclimatica che ha avuto un’evoluzione perché chi ci ha preceduto credeva, e tuttora noi crediamo, nel concetto di qualità con una visione a 360 gradi”. “Una comunicazione che trasferisca al consumatore l’unicità del territorio per quanto riguarda la Docg e le peculiarità del prodotto Prosecco sono necessarie per combattere il pericolo della banalizzazione -sottolinea l’amministratore delegato di Santa Margherita Gruppo Vinicolo, Ettore Nicoletto- La guerra al ribasso sui prezzi di cessione ha, infatti, portato il Prosecco Doc a essere paragonato a un qualsiasi Charmat generico e la grande diffusione del bere miscelato favorisce spesso un uso alternativo e indifferenziato di spumanti non Prosecco”. È quindi importante istruire i consumatori perché se, come specifica Massimo Benetello, amministratore delegato di Viticoltori Ponte, “il successo del Prosecco è la conferma che il vino che piace è quello non banale, ma facile da scegliere, da capire e da bere, è necessario continuare a presidiare i punti di consumo con proposte idonee a esaltare le caratteristiche del

prodotto e di questo nuovo drinkstyle di cui è portavoce”. Soprattutto perché sono proprio i giovani ad avvicinarsi a questo vino: “Una generazione che sta crescendo con stili di consumo omologati su standard qualitativi mediamente bassi -specifica Nicoletto- Ma la qualità è tuttavia riconoscibile anche dai palati meno avvezzi a frequentarla. Proprio questa è la sfida: rendere accessibile a tutti i prodotti di qualità. Per farlo occorre una comunicazione efficace, la facilità di reperimento e un prezzo abbordabile”. Un aiuto

Il successo del Prosecco è la conferma della piacevolezza di questo vino in tutte le sue sfumature, di facile comprensione anche per i giovani consumatori

val d’oca

Rive di Colbertaldo raffinato Extra dry La Cantina Produttori di Valdobbiadene-Val D’Oca, situata nella fascia collinare fra Asolo e Conegliano, ai piedi delle Prealpi Trevigiane, costituita nel 1952, oggi rappresenta un’importante realtà enologica con 714 ettari di vigne e 576 soci viticoltori che hanno come comune denominatore la valorizzazione delle uve e dei vini del territorio, come il Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Rive di Colbertaldo 2013. Questo raffinato extra dry è realizzato esclusivamente con uve provenienti dall’omonima frazione del comune di Vidor. Il carattere unico dei colli dai vigneti scoscesi da cui trae origine, lo rende ricco ed elegante. Dal colore paglierino scarico, tipico del vitigno, e dal perlage fine e persistente, ha un elegante bouquet di aromi in cui si riconoscono bene la mela e il glicine. Ottimo come aperitivo, è compagno ideale a tutto pasto in abbinamento a piatti di pesce e frutti di mare. Il Rive di Colbertaldo vanta una bottiglia dalla forma particolare, con corpo importante e spalle che profilano un collo corto e ben proporzionato.

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speciale Villa Sandi

Valdobbiadene Docg Brut Millesimato un aromatico Prosecco Superiore Nella zona della Docg, compresa tra le cittadine di Conegliano e Valdobbiadene, su colline di origine morenica, con terreni calcarei misti a marna e, in alcuni casi, anche calcareo-argillosi, nasce il Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Brut Millesimato di Villa Sandi, splendida dimora palladiana del 1622 a Crocetta del Montello, sulle colline della Marca Trevigiana, oggi sede dell’azienda della famiglia Moretti Polegato, da diverse generazioni dedita alla cultura del vino. Dal colore giallo paglierino scarico e perlage fine e persistente, è un vino spumante aromatico di qualità, dal bouquet intensamente fruttato con evidenti sentori di mela Golden matura e una piacevole ed elegante nota floreale che ricorda i fiori d’acacia. In bocca è fresco, asciutto su fondo sapido, con finale piacevolmente armonico. Queste caratteristiche lo rendono perfetto come aperitivo, ma anche a tutto pasto, in abbinamento a pesci marinati con delicate erbe aromatiche e primi piatti a base di erbe spontanee.

in questo senso arriva alle cantine grazie a internet in cui tutte stanno investendo impegno e risorse: “I nostri consumatori di domani sono un target che, grazie ai social network, è facilmente raggiungibile con una comunicazione veloce che può agire anche su una corretta educazione al bere consapevole, insegnando il piacere del vino e quello della conoscenza. Proprio le caratteristiche del Prosecco lo rendono particolarmente adatto a occasioni di consumo conviviali e a Viticoltori Ponte

Campe Dhei Doc Treviso equilibrato Millesimato Extra dry Il Campe Dhei Prosecco Doc Treviso Extra Dry Millesimato rappresenta la punta di diamante della linea di alta gamma di Viticoltori Ponte, cooperativa vinicola tradizionale di Ponte di Piave (Tv), che dal 1948 a oggi è diventata una delle più importanti realtà produttive del nord-est, che comprende anche Manzoni e Raboso: le tre referenze tipiche del territorio veneto del basso Piave. Campe Dhei Extra Dry Millesimato è un Prosecco, composto da uve glera in purezza, che deve il suo inconfondibile bouquet e le sue singolari caratteristiche alla particolare conformazione pedomorfologica dei terreni scelti (in dialetto locale, i campedei) da cui proviene: il suolo composto da sabbie, ghiaie e argille è il risultato di un amalgama di terra e roccia dolomitica depositato nel corso dei secoli dalle molte inondazioni del fiume Piave. Giallo tenue con riflessi verdognoli, al naso presenta delicati sentori di mela renetta accompagnati da sottili note agrumate, la sua freschezza e il perfetto equilibrio tra acidità e sapidità lo rendono perfetto per l’abbinamento con stuzzichini, sia dolci, sia salati, e per accompagnare tutti i piatti a base di pesce.

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una fascia di consumatori più giovani, anche grazie al moderato contenuto alcolico”, aggiunge Moretti Polegato. Apertura verso le nuove tecnologie, in cantina e nella comunicazione, pur rimanendo ancorate a una filosofia produttiva tradizionale che punta alla qualità, al rispetto del territorio al quale è indissolubilmente legato: queste rimangono le carte vincenti di tutte le aziende produttrici di Prosecco. “I nostri Prosecco sono frutto di un giusto equilibrio tra ricerca e rispetto per l’ambiente, dalla vigna condotta con tecniche a basso impatto ambientale, all’utilizzo di energia pulita, fino alla tracciabilità del prodotto -afferma il presidente di Villa Sandi- Così le caratteristiche tipiche di freschezza, fruttato e floreale sono preservate a lungo grazie alla spumantizzazione da mosto, anziché da vino. Un plus soprattutto per il Prosecco destinato all’export, che può essere gustato così sempre fragrante e nella pienezza dei suoi sentori tipici”. Concetti condivisi anche da Viticoltori Ponte, che ha recentemente arricchito la sua linea di punta Campe Dhei con il Pinot Grigio e con lo Spumante Bianco San Vincenzo: “I valori che accompagnano la nostra produzione sono il rispetto (per l’ambiente e per le persone, con una particolare attenzione alla sicurezza sul lavoro), la qualità, non solo del prodotto, ma anche dei processi di produzione, e il valore che significa soprattutto remunerazione corretta dell’intera filiera -spiega Benetello- Nasce così un vino fresco, immediato, ma non banale, leggero, profumato, brioso, chic, ma non impegnativo”. Qualità al primo posto anche nella filosofia produttiva di Col Vetoraz: “Ricerchiamo i terreni maggiormente vocati dell’area della Docg per avere le uve migliori -spiega l’agronomo De Bortoli- Siamo orgogliosi


della tecnica di trasformazione dell’uva a vino e utilizziamo quanto di meglio ci offre la tecnologia di trasformazione. Queste tecnologie ci consentono di non togliere e di non aggiungere nulla a quanto la natura ci ha offerto nei grappoli. Grazie a questo i nostri vini hanno quell’inconfondibile connotazione fruttata e quella cremosità che incanta il palato. Senza dimenticare l’armonia, l’eleganza e la facilità di beva”. Da Val d’Oca si sta lavorando “per isolare sempre di più i diversi terroir, per capire se hanno una personalità per cui valga la pena il lavoro futuro e se sarà possibile o interessante la loro commercializzazione -anticipa il direttore FranchiIl prossimo progetto, dopo il Valdobbiadene Docg Uvaggio Storico, le Rive di San Pietro di Barbozza, il Rive di Colbertaldo e il Doc 4 Gatti di Segusino, sarà la produzione di un Docg Asolo Superiore Spumante”. Da Santa Margherita la parola d’ordine è naturalità: “Far parlare la natura è il nostro obiettivo, per questo abbiamo fatto notevoli investimenti per ridurre l’impatto ambientale -afferma Nicoletto- Da sempre la nostra filosofia produttiva è evidenziare le peculiarità del vitigno e del territorio. I nostri Prosecco hanno una loro personalità distintiva capace di esaltare il cibo a cui si accompagnano. Per questo lavoriamo molto comunicando attraverso serate, eventi e manifestazioni in cui si cerca il contatto diretto con potenziali clienti

e il vasto pubblico dei consumatori. È un processo lento e faticoso, ma è anche quello che permette di rendere accessibile la degustazione del prodotto”. Tutte le aziende mettono in atto attività promozionali con abbinamenti cibo-vino illustrate dai wine maker. Lo fa anche Villa Sandi con wine dinner in ristoranti di prestigio, ma anche con visite guidate in cantina, fondamentale strumento di conoscenza e formazione: “Inoltre, le nostre Botteghe del Vino a Crocetta del Montello, a Valdobbiadene e a Cortina d’Ampezzo, consentono un rapporto immediato con i consumatori e quindi un feed back diretto”, aggiunge Giancarlo Moretti Polegato. Anche La cantina Val d’Oca, nel suo Wine Center Val D’Oca&Sapori, a San Giovanni di Valdobbiadene, propone nel corso dell’anno appuntamenti enogastronomici a tema che valorizzano le loro bollicine in abbinamento alle tipicità culinarie venete come il baccalà, l’asparago bianco, le erbette primaverili, i frutti e gli ortaggi antichi, i funghi e l’oca. “Il modo migliore per conoscerci -concordano a Col Vetoraz- è quello di far vivere ai consumatori la realtà paesaggistica e lavorativa in cui si opera, con visite sul territorio e degustazioni in cantina”. E, come afferma giustamente Ettore Nicoletto, “una volta che il prodotto è consumato, la qualità parla un linguaggio F&B comprensibile a tutti”.

Perfetto al momento dell’aperitivo, grazie alla sua versatilità, il Prosecco entra in diversi cocktail ma, soprattutto, è facilmente abbinabile a tavola, dall’antipasto al dolce, e sono molte le aziende che lo propongono in degustazione e in abbinamento in eventi aperti al pubblico

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ristoranti Nel

centro di Pescara, il locale, nato dal sogno di Natalino Zaami con lo chef Ayoub Talji, offre un servizio attento e sorridente, una carta dei vini breve a prevalenza abruzzese e una cucina divertente, dalla quale emerge un mix di ricerca, stagionalità e territorialità

Nouvelle vague in salsa abruzzese al Degusto Giovanni Angelucci

C Degusto è un locale giovane e moderno in cui dominano le grandi vetrate e arredi bianchi e verde mela

rescono le tavole dell’Abruzzo, animate da un bel numero di giovani cuochi che ambiscono

a ripercorrere, con traiettorie diverse, la strada compiuta dai bei nomi della ristorazione locale, che illuminano qua e là il territorio. Senza scomodare il neo tristellato Niko Romito a Castel di Sangro (Aq) e nemmeno le famiglie Tinari a Guardiagrele (Ch), Spadone a Civitella Casanova (Pe), Fossaceca a San Salvo (Ch) e Moscardi a L’Aquila, oggi questa regione comincia a vantare un gruppo sempre più numeroso di locali dove si esprimono bravi e ambiziosi interpreti della cucina contemporanea. E un ruolo non secondario nella geografia della nouvelle vague culinaria abruzzese sta assumendo la città di Pescara, dove le attività di ristorazione, variamente intesa, negli ultimi anni hanno assunto una dimensione quasi esagerata. Ma per l’appassionato cultore della buona tavola non è difficile orientarsi se la bussola resta quella di sempre, che guarda alla professionalità dell’accoglienza e a una cucina, spesso creativa, che privilegia il rispetto delle stagioni e la valorizzazione delle produzioni locali. Sono queste le carte, subito vincenti, di Degusto, una delle novità più interessanti, situata sotto i portici di via Carducci, alle spalle di piazza della Rinascita e a un centinaio di metri dal lungomare. Un ambiente giovane e moderno, in cui dominano le grandi vetrate e il legno scuro, illuminato dai colori bianco e verde mela e da un grande lampadario di design, con una decina di tavoli per circa 35-40 persone. Si avvera così il sogno di Natalino Zaami, imprenditore molto noto della zona per la pluridecennale attività di gestione di eventi di alto profilo con Degusto Banqueting, legati alla cultura e all’imprenditoria locale e non

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solo. Il sogno di Natalino Zaami, dicevamo: quello di misurare finalmente la sua esperienza in un piccolo ristorante gourmet, che si è potuto realizzare nel novembre scorso. Fatale l’incontro con Ayoub Talji (per gli amici Yuri), nato 29 anni fa a Casablanca, ma cresciuto in Abruzzo, che meno di due anni fa ha preso le redini della cucina del Degusto, portando una nuova ventata di entusiasmo dopo le precedenti esperienze nella ristorazione di hotel e in locali più easy, come il Parterre di Padova e il Blu Medusa di Pescara, fino a quelle più importanti come a Il Pellicano di Porto Ercole (Gr) con Antonio Guida, al quale deve l’impostazione rigorosa e attenta alla scansione dei sapori. Discreto, poco incline ai riflettori, ma determinato e concreto, Yuri negli anni ha affinato la sua ricerca e ora ha a disposizione una nuova vetrina in una città che, da sempre attenta alle nuove tendenze e a divorare le novità, una volta seduta a tavola diffida della creatività. Il Degusto ha una filosofia molto vicina a quella che oggi, con una certa facilità, chiamano bistronomie o neo-bistrot, ma che in questo caso serve a rendere perfettamente l’idea di un locale che offre un servizio non eccessivamente formale, attento e sorridente, una carta dei vini breve a prevalenza abruzzese, con scelta anche al bicchiere, e una cucina divertente, dalla quale emerge un mix di ricerca, stagionalità e territorialità. A pranzo c’è una selezione del più ampio menu e altri piatti più semplici e adeguati alla clientela business, mentre a cena la proposta (che presto prevederà anche il pesce) rende merito alla capacità dello chef che negli ultimi due anni si è aggiudicato uno dei premi del concorso gastronomico Lu Carrature d’Ore, organizzato dall’Associazione provinciale cuochi di Pescara della Federazione italiana cuochi, in collaborazione con l’Unione cuochi abruzzesi. Si comincia con un’indovinata rivisitazione delle Pallotte “cacio e uova”, ossia un uovo in camicia di

Lo chef Ayoub Talji, nato a Casablanca, ma cresciuto in Abruzzo, ha portato una ventata di entusiasmo nelle cucine di Degusto con piatti semplici, ma di grande sapore, come l’indovinata rivisitazione delle Pallotte cacio e uova, qui sopra

orzo su crema al pecorino di Atri; con la Melanzana ripiena con crema di fiordilatte, pomodoro fondente e pane croccante di segale; con la Terra croccante consistenza, una saporita composizione con ortaggi e verdure, o con la Fracchiata di ceci e cicerchie con fave, piselli e peperone croccante. A seguire si può scegliere tra gli Spaghetti con burro, alici e la loro colatura e maggiorana, i Ravioli di ricotta scorza nera di Scanno conditi con crema di castagne, funghi porcini e cappuccino all’anice o con carciofi, pecorino e polvere di ventricina, oppure la Pasta mista con crema di patate affumicate e baccalà e crumble di pane. Intelligente varietà tra i secondi: Agnello con salsa alla cacciatora, bietola e camomilla, Cubo di vitello al pomodoro limonato con patate schiacciate, Maialino con crema di topinambur e cicorietta di campo e il Baccalà con nero di seppia e maggiorana. Tra i dolci sorprende per modalità di servizio e per bontà il Parrozzo 2.0; più semplici, ma sempre ben fatte, la Cheese cake al cioccolato fondente e la Crema bruciata alla liquirizia, che consentono di concludere più che bene e con un conto sorprendentemente leggero. F&B scheda

Degusto Ristorante via Carducci 77 65122 Pescara tel. +39 085.4415032 www.degusto.biz

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concept Ristorante gourmand, pizzeria, osteria, gelateria artigianale, pasticceria, cantina e bottega: mille metri quadrati nel cuore di Firenze sono stati sapientemente trasformati da Costa Group che ha realizzato un locale divertente che accosta elementi di recupero a soluzioni originali

Cucina Torcicoda tempio per buongustai Frida Parise

L Costa Group ha connotato le diverse aree di Cucina Torcicoda giocando con i colori, dando omogeneità con una piacevole armonia

ess is more, si dice di solito. Non se quel “more” sono diversi

locali di qualità in uno. È la titanica impresa riuscita di Cucina Torcicoda, mille metri quadrati vicino a piazza Santa Croce, nel cuore di Firenze, che racchiude abilmente in sé un ristorante gourmand, una pizzeria, un’osteria, una gelateria artigianale, una pasticceria, una bottega e una cantina. Nato dalle ceneri di un locale storico della città per volere della famiglia Peruzzi, numero uno nel campo della tradizionale pelletteria fiorentina, prende il nome dall’antica denominazione della via Torcicoda, oggi via Torta, dove si trovava l’anfiteatro romano. A coniugare sapientemente diversi ambienti e funzioni, creando una piacevole armonia, con un restauro durato due anni, ci ha pensato Costa Group (www. costagroup.net), azienda di Riccò del Golfo (Sp), leader nell’arredamento del food, in collaborazione con lo Studio Fragola di Firenze: “Le diverse aree sono state connotate tramite differenti colori e ciò che rende omogeneo l’ambiente è uno stile classico, ma stimolante, che accosta elementi di recupero a soluzioni più originali”, spiega l’architetto di Costa Group, Elena Giancaspro. Dal punto di vista culinario, Cucina Torci-

coda è un vero e proprio paradiso per i buongustai: dalla cucina ipertecnologica dello chef Alessandro Fabbri arrivano ricette della cucina mediterranea, con intriganti contaminazioni esotiche, e le immancabili fiorentine, cotte su una griglia a carbone e legna; i piatti della tradizione toscana e italiana, come le Fettuccine cacio e pepe o la classica Pappa al pomodoro, sono i punti di forza dell’Osteria, mentre la vera pizza napoletana è la protagonista assoluta del regno del pizzaiolo Salvatore Vaino. La Cantina offre uno spazio classico in perfetto stile “buca” fiorentina. Dulcis in fundo, si passa in gelateria per un gelato o un sorbetto artigianale, dei cioccolatini fiorentini o un dolcetto internazionale. E per chi vuole continuare l’esperienza gastronomica anche a casa, c’è la bottega in cui acquistare i migliori extravergini e vini italiani, l’aceto balsamico di Modena e prodotti a marchio Cucina Torcicoda, come pasta di semola di grano duro, conserve di pomodoro e olio extravergine di oliva. F&B scheda

Cucina Torcicoda via Torta 5 R 50122 Firenze tel. +39 055.2654329 info@cucinatorcicoda.com www.cucinatorcicoda.com


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food service Grazie all’esperienza nel comparto agroalimentare, alla continua attività di ricerca e all’efficiente struttura organizzativa, oggi il Gruppo di Alessandro Quartiglia è tra i migliori partner del canale horeca per la fornitura di ingredienti di alta qualità e di attrezzature

Quartiglia, insostituibile alleato degli chef Giovanni Angelucci

I Quartiglia ha saputo adattare la propria offerta alle diverse formule di ristorazione e ai nuovi stili di consumo

mpegno, passione, dinamismo. Sono questi gli ingredienti che hanno reso Quartiglia una delle

aziende leader sul territorio nazionale nella distribuzione alimentare. Il Gruppo è diretto dal fondatore Alessandro Quartiglia che da 30 anni si occupa di oltre 12 mila clienti nel mercato del food service. Grazie all’esperienza nel comparto agroalimentare, alla continua attività di ricerca e all’efficiente struttura organizzativa, oggi l’azienda è tra i migliori partner del canale horeca per la fornitura di ingredienti di alta qualità e di attrezzature. Consulente dei protagonisti del mondo dell’enogastronomia e dell’ospitalità italiana, Quartiglia ha saputo adattare la propria offerta alle diverse formule di ristorazione e ai nuovi stili di consumo fuori casa, investendo nella qualità del servizio, nelle tecnologie e nella formazione,


sviluppando progetti di valorizzazione delle produzioni locali. L’azienda conta oltre 500 collaboratori fra dipendenti diretti e indiretti, un polo logistico distributivo e 22 piattaforme di distribuzione in tutta Italia con 5 uffici commerciali e 3 Cash&Carry, un’organizzazione complessa che utilizza strumenti di gestione di business intelligence e azioni mirate di direct/geo marketing. Occupandosi di distribuzione nel settore food, freschezza e rispetto della catena del freddo sono le parole chiave per garantire la genuinità degli alimenti e la piena espressione di tutte le loro caratteristiche organolettiche e nutrizionali: Quartiglia consente di avere a disposizione dal pesce alle carni fresche, dai salumi ai latticini, passando per la frutta e la verdura, tutto nel rispetto dei tempi di consegna e nella qualità costante. Trent’anni di attività appena compiuti, un’azienda in crescita, competitiva e all’avanguardia, nonostante questo difficile momento economico. Il segreto è quello di ogni bravo imprenditore, ossia un mix di coraggio, correttezza professionale nelle relazioni con clienti e fornitori, capacità di ascolto, qualche buona intuizione, tanta curiosità e bravi collaboratori. “Ciò che cerchiamo di fare ogni giorno è creare valore lungo tutta la filiera, dal produttore alla tavola e vogliamo farlo nel migliore dei modi. Ci mettiamo impegno e passione e anche un pizzico di incoscienza -afferma Alessandro Quartiglia- Lavoriamo moltissimo sulla formazione e sull’aggiornamento: che sia un cuoco, un imprenditore o un manager della ristorazione, un cliente consapevole e informato rappresenta un partner stimolante in grado di saper gestire la sua cucina e i suoi conti”. Novità importante è rappresentata da iCatalogue, il primo progetto che Quartiglia ha recentemente

lanciato. Si tratta di un catalogo multimediale interattivo in sostituzione del tradizionale cartaceo, che consente la consultazione professionale del catalogo aziendale con l’iPad per tutta l’ organizzazione commerciale. Ognuno dei 7 mila articoli è consultabile e presentato con fotografie, descrizioni, schede tecniche, video, approfondimenti e media library. Il catalogo è costantemente aggiornato e accessibile da qualunque parte del mondo e in qualunque momento. Non solo un catalogo elettronico, ma una vera e propria raccolta multimediale utile all’agente ma anche al cliente finale, che avrà a disposizione tutte le informazioni relative al prodotto scelto. Un valido mezzo di divulgazione della cultura enogastronomica, un nuovo modo di comunicare che dà inizio al vero e proprio marketing information. “La ricerca e la valorizzazione del gusto, dei sapori autentici, del buon cibo come valore sociale sono le sfide quotidiane che ci fanno guardare al futuro”, aggiunge l’imprenditore. Da questa filosofia nasce Eleat, il nuovo marchio Quartiglia che rappresenta la ricerca e la selezione delle eccellenze regionali e internazionali, capaci di raccontare la biodiversità più autentica dell’Italia e del mondo. Si tratta di un lavoro impegnativo che, oltre a rendere disponibili all’alta ristorazione molte specialità difficilmente reperibili lontano dai luoghi di produzione, fornisce un prezioso contributo per il mantenimento delle tradizioni e delle tecniche di produzione locali. I prodotti selezionati provengono infatti da piccoli produttori che in molti casi operano in regime biologico e dispongono di una produzione limitata o stagionale, ma rappresentano i migliori interpreti delle diverse tipologie nei rispettivi F&B territori. Quartiglia Spa, contrada S. Lucia 6 64026 Roseto degli Abruzzi (Te), tel. +39 085.809821 www.quartiglia.it

L’azienda fondata da Alessandro Quartiglia (a sinistra) ha 500 collaboratori, un polo logistico distributivo e 22 piattaforme di distribuzione in Italia con 5 uffici commerciali e 3 Cash&Carry. A destra, nella sua scuola di alta gastronomia Niko Romito Formazione a Castel di Sangro, lo chef utilizza i prodotti di Quartiglia

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itinerari Delhi è una sintesi dell’India, con i suoi 12,5 milioni di abitanti e con la maggior concentrazione in assoluto di persone per chilometro quadrato e di veicoli circolanti.

Qui la cultura gastronomica antica, fortemente

legata alle religioni, si fonde con le nuove influenze internazionali

Lo spirito del cibo Elena Bianco

A

tterrando a Delhi ci si aspetta un formicaio e la città lo è in certe basti, i quartieri abusivi di

baracche che a volte arrivano a ridosso di palazzi moderni e antichi monumenti. Però è anche immensi viali alberati, di eleganza coloniale, che portano al Rashtrapati Bhavan, la faraonica residenza dei viceré britannici, oggi assurta a più grande sede al mondo di un capo di Stato, e all’India Gate, monumento ai caduti della guerra afgana. Qui niente folla, solo qualche scimmia sui prati “pettinati” all’inglese. Quando si cammina per le sue strade tutti i sensi vengono sollecitati: la vista dei colori dei sari delle donne, il frastuono del traffico incessante, i profumi delle spezie (assafetida, cumino, coriandolo) che escono dai negozi e i sapori dello street food. La storia degli uomini, la loro spiritualità, la loro ritualità quotidiana così estroflessa

Il tempio Bahai, summa tra modernità e tradizioni a Delhi, celebra dal 1986 una religione mondiale indipendente ed ecumenica: qui i fedeli di ogni credo possono venire a pregare il proprio Dio secondo i propri usi

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e collettiva, non cessano di invadere una mente occidentale. Old Delhi è il cuore di un Paese dove il senso religioso è naturale come respirare, e lo si estrinseca in tanti modi diversi. L’anima mussulmana si incarna nella bellissima tomba dell’imperatore Mughal Humayun che si dice ispirò il Taj Mahal di Agra e nella Jama Masjid, una delle più grandi moschee dell’Asia, che contiene fino a 20 mila fedeli. Con lo straordinario connubio di possanza e leggerezza tipico dello stile Mughal, fu costruita nel diciassettesimo secolo da Shah Jahan, il medesimo sovrano islami- co a cui si deve il grande Forte Rosso del 1638, che chiude il panorama a est. La moschea emana un grande fascino visivo per il gioco architettonico di marmo bianco e pietra rossa. All’ingresso capre, polli, venditori di castagne e d’acqua e un metal detector. Ai suoi piedi, baracche e un mercato popolare, dove Ganesh e Main de Fatima d’ottone convivono sui banchetti in un sincretismo religioso da bancarelle. Qui gli ambulanti per poche rupie offrono pakora, frittelle speziate a base di farina di ceci ripiene di cipolle, peperoni verdi, patate, fagiolini, cavolfiore, ma anche paneer (formaggio fresco) e pollo. Più in là le samosa, i triangolini di

pasta di farina integrale fritta, ripieni di tutto ciò che si ha a disposizione (piselli, pollo, agnello al nord, pesce al sud), molto speziati: cumino, zenzero, pepe, coriandolo. Se si ha voglia di dolce le jalebi sono frittelle passate in uno sciroppo caldo di zucchero con zafferano e cardamomo, di un bellissimo colore acceso. Il cibo in questa nazione fortemente spirituale assume a volte un significato religioso. Lo si scopre, a sorpresa, in una delle vie principali e più trafficate, Chandni Chowk, su cui affaccia il Sis Ganj Gurudwara, un tempio sikh dedicato al nono guru, Tegh Bahadur. Si entra senza scarpe e a capo coperto per assistere alla cerimonia, con i musici che suonano gli strumenti tradizionali e i fedeli che assistono assorti. Dietro al tempio si trova il langar, la mensa. I sikh, oltre a essere, infatti, tenuti a prestare servizi utili alla loro comunità, hanno l’obbligo di nutrire tutti i pellegrini. Entrare nella grande cucina è un’esperienza unica: alcuni volontari fanno il chapati, il pane, altri il dahl, la zuppa di lenticchie, altri ancora una crema dolce da donare dopo la funzione, perché dal tempio si deve uscire con la bocca dolce. Mangiare con loro, seduti in fila sulla stuoia, allarga il cuore: il sikhismo regala umanamente molto di più del piccolo obolo che chi può lascia in cambio di un buon pasto. Il cibo, il modo di cucinarlo e servirlo, è fortemente connotato anche dalla storia movimentata

Quando si cammina per le strade di Delhi tutti i sensi vengono sollecitati: la vista dei colori dei sari delle donne, il frastuono del traffico, i profumi di spezie e i sapori dello street food. Accanto, una donna sikh intenta a preparare il pane chapati

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itinerari

A sinistra, un pezzo di storia gastronomica dell’India del nord si scopre cenando al The Oudh, uno dei ristoranti del The Ashok Hotel. A destra, il Bukhara, all’interno dell’hotel Mauya, dall’ambiente tradizionale e chic, con cucina e forno tandoori, gode fama di essere fra i migliori ristoranti tradizionali del Paese

dell’India. Il poori, o luchi nell’India orientale, il pane così gonfio e coreografico mentre galleggia nei calderoni pieni d’olio, è un classico esempio di contaminazione storico-gastronomica. Nel XIX secolo, infatti, il chapati, ricetta classicamente Mughal, quindi mussulmana, venne assimilato dagli hindu e fritto anziché scottato sulla tawa, la pentola di ferro. Un pezzo di storia gastronomica dell’India del nord si scopre cenando al The Oudh, uno dei ristoranti del The Ashok Hotel. Nel nome c’è tutto, poiché l’Oudh o Awadh è una regione al centro dell’Uttar Pradesh, nell’India del nord con capitale Lucknow, che dal XVI secolo, sotto l’impero Mughal, acquisì una grande tradizione culinaria di ispirazione mediorientale e dall’Asia centrale. La cucina dell’Oudh è una Nawabi, cioè principesca (Nawab è il titolo del signore dello Stato, corrispondente al Maharaja hindu) nata dall’ingegno degli antichi cuochi di Lucknow (bawarchis), che inventarono il dum pukht, letteralmente “cucinare col respiro”. Praticamente si traduce in un pesante contenitore di terracotta, sigillato con una pasta di farina (purdah, cioè velo) che cuoce su di un fuoco di brace molto basso: una specie di precursore della moderna cottura a bassa temperatura in cui la sfoglia di chiusura sostituisce il sottovuoto. Questa tecnica, che consente al cibo di cucinarsi nei suoi stessi umori e aromi, richiede un uso inferiore di spezie rispetto al resto della cucina indiana, che sovente sono sostituite da erbe fresche, anche se zafferano, cardamomo, coriandolo sono ben presenti. La magia di questa cottura sta nella rottura della crosta che libera i pro-

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fumati vapori del contenuto e nella voluttà di mangiarla, intrisa nel sugo di cottura, insieme alla pietanza. In realtà, l’origine di questa nobile cucina è plebea. Il dum pukht fu, infatti, ideato per sfamare a tutte le ore gli operai impiegati nella costruzione del Bada Imambara, grande complesso architettonico di Lucknow, voluto nel 1789 dal Nawab Asaf-udDaulah per rispondere con l’impiego di forza lavoro a un periodo di carestia. Il grande calderone pieno di riso, carne e spezie a disposizione della manovalanza emanava un tale profumo da catturare l’olfatto e le papille del Nawab e con lui di tutta la nobiltà dello Stato. Secondo la tradizione, la cucina dell’Oudh non serve né maiale né manzo, con la possibilità anche di menu vegetariano, vegano e senza uova. Classiche sono le minestre, come il lucknowiyakhni shorba, un brodo di montone, leggermente speziato, servito con papadam, gallette di farina di lenticchie e spezie. L’oudhi qorma, spezzatino di montone con una salsa a base di yogurt, latte di cocco, mandorle, profumata con cardamomo, pepe e zenzero, è intenso e molto equilibrato. Il sapore forte di ovino è ben bilanciato sia dalla delicatezza del suo condimento, sia dall’essere accompagnato dal gilafi kulcha, un pane tipico, morbido e leggermente dolce, allo zafferano, al burro e alla menta. Un classico modo di chiudere il pasto è con il qulfi


falooda, gelato di latte condensato al pistacchio e zafferano, servito su un letto di vermicelli di riso e sciroppo di rose. L’ottimo lassi salato, bevanda a base di yogurt, non fa sentire la mancanza del vino, così come il masala chai, tè nero aromatizzato con cardamomo, cannella, pepe, zucchero e latte, non fa rimpiangere il caffè. Gode fama di essere fra i migliori ristoranti del Paese di cucina tradizionale del nord il Bukhara, all’interno dell’hotel Maurya: ambiente tradizionale e chic con cucina e forno tandoori a vista. I primi ritrovamenti di questo tipo di forno verticale rovesciato sono legati alla civiltà Vallinda (3300-1500 a.C.) e pare che l’origine di questo metodo di cottura derivi dall’Asia centrale, dalle tribù Rom del deserto di Thar, zona a nord-est del subcontinente, tanto che l’etimo tandoor ha radici e significato comune nel persiano, nell’arabo, nel turco e nell’armeno. È quindi uno strumento primordiale, precedente all’arrivo in India degli Ari, ed essendo una campana d’argilla rovesciata con alla base un fuoco di brace, crea un calore molto intenso, diretto sulle pareti e un sentore affumicato per il fumo che si genera. Qui, secondo tradizione, si mangia con le mani, anzi con tre dita della mano destra, perché sbrodolarsi il resto della mano è indice di cattiva educazione e la sinistra non si usa in quanto delegata alla pulizia personale e quindi impura. Ma, superato il primo impasse, non è un problema: il cosciotto

di agnello arrostito è talmente tenero da poter essere mangiato senza uso di coltello e forchetta, così come i gamberi passati al tandoori, il pollo con yogurt, zenzero, menta, cumino, zafferano, il paneer tikka. I pani, naan, roti, chapati, serviti a centro tavola, hanno dimensioni inconsuete e grande fragranza. Ma Delhi non è solo tradizione. La grande moda del food che sta dilagando in tutto il mondo alla ricerca di nuove espressioni del cucinare sta fortemente improntando questa città in continua crescita. Non a caso anche in India MasterChef impazza in televisione. Non a caso Shagun Somani, sales & marketing manager con un passato in Nokia e Coca-Cola, ha fondato Hinglish, catena di ristoranti che trovano la loro collocazione nelle gallerie dei centri commerciali. La filosofia della cucina? Coloniale nella sua essenza, non solo angloindiana. Alcuni esempi: insalate, piatti nei tipici tiffin box da portare via (divenuti famosi in occidente grazie al successo del film Lunch Box), il nihari, ricetta di carne di origine mussulmana con pane roti cotto nel tandoori, la zuppa di montone al curry. Una vera rivisitazione della tradizione di varie aree dell’India servita in un locale moderno e confortevole. Più adatto a un pubblico serale e prevalentemente giovane, Set’z offre un’atmosfera contemporanea, un’elegante sala in legno chiaro griffata Super Potato, lounge bar e ampia scelta fra piatti indiani, thailandesi, cinesi, giapponesi ed europei. Ma anche a Delhi si conferma comunque l’entusiasmo che l’italian food sta riscuotendo nel mondo: Tonino, oggi di grande tendenza in città, è la perfetta ricostruzione di una

A sinistra, da Hinglish la cucina è coloniale nella sua essenza, non solo angloindiana, con insalate e piatti nei tipici tiffin box da portare via. A destra, il Set’z, più adatto a un pubblico serale e giovane, offre un’atmosfera contemporanea con piatti indiani, thailandesi, cinesi, giapponesi ed europei. Sopra, il pane Naan

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itinerari indirizzi gourmet

Ristoranti & hotel

A Delhi il cibo, il modo di cucinarlo e servirlo, è fortemente connotato con la spiritualità e con la storia movimentata dell’India

residenza d’epoca toscana. Ambienti carichi di atmosfera Siena style, piatti ben fatti, dalle orecchiette al pomodoro e basilico alle lasagne, passando per la pizza, certificata dall’Istituto europeo della pizza italiana. Questa spinta all’occidentalizzazione, che si respira evidente sfogliando il quotidiano Times of India o vedendo le tante ragazze elegantemente “griffate”, non è che un aspetto della vita. La sostanza è un senso religioso così profondo da divenire modo di stare al mondo, casta, stile di vita. Per comprendere fino a che punto ciò sia vero, basta entrare nel tempio giainista Digamber e nel suo ospedale per gli uccelli. Una simile attenzione per i pennuti sembra un’assurdità in un Paese che ancora soffre di gravi problemi di povertà, ma il Giainismo, basato sulla predicazione di Mahavira, 24° profeta (Tirthamkara) contemporaneo del Buddha, insegna la via alla perfezione attraverso una totale ahimsa, non violenza. A tal punto che oltre a essere strettamente vegetariani, i giainisti filtrano l’acqua e l’aria per salvare i microorganismi, perché anche loro hanno un’anima eterna. All’interno del tempio gli ambienti sono ricchi di bassorilievi sbalzati in argento: il giainismo è cosa da benestanti, perché gli adepti rifiutano la modernità e bisogna poterselo permettere. Molti giainisti sono gioiellieri e lo si scopre poco distante, dietro a Chandni Chowk

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The Oudh Chanakyapuri 50 tel. +91 11 2611 0101 Bukhara Chanakyapuri tel. +91 11 2611 2233 Hinglish The Colonial Café GF, Pacific Mall Punjabi Market Rd, Block 6 tel.+91 11 2598 4044 Tonino Khasra No. 76/27, Andheria More Mehrauli, New Delhi Delhi, 236, Ghitorni, New Delhi tel +91 11 2680 2633 www.toninoindia.com Set’z 3rd Floor, DLF Emporio Mall 4 Nelson Mandela Road, Vasant Kunj New Delhi tel. +91 11 43119999 www.setz.co.in The Ashok Diplomatic Enclave 50-B Chanakayapuri New Delhi tel. +91 11 2611 0101 www.theashok.com Jyoti Mahal 2488/90 Nalwa Street Chuna Mandi, Pahargunj New Delhi tel.+91 11 23580523/24/25/26 www.jyotimahal.net

, al kinari bazaar, famoso per i monili nuziali cesellati che i gioiellieri giainisti espongono in piccole botteghe. È un mondo antico di vicoli, abiti tradizionali, profumi di spezie, che sembra lontano mille miglia dalla vicinissima Connaught Place con il suo mercato coperto, regno indiscusso della tecnologia e dei dvd di cinema indiano. Ma la vera summa fra modernità e tradizione di un soggiorno a Delhi è una visita al tempio Bahai che, dal 1986, celebra una religione mondiale indipendente ed ecumenica. Qui i fedeli di ogni credo possono venire, pregare il loro Dio e meditare in assoluto silenzio, ciascuno secondo il proprio uso. È un enorme fior di loto di 35 metri di diametro, ricoperto di marmo bianco e circondato da specchi d’acqua, simbolo di pace e purezza. L’interno è totalmente spoglio, ma traboccante dell’energia spirituale delle tante anime F&B dell’India.


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cultura Oltre alla pittura, personaggi come Monet, Renoir, Toulouse-Lautrec, Dalí e Rubens avevano in comune la passione per il buon cibo e il buon vino. Nei loro buen retiro europei, oggi diventati musei, spesso amavano anche cucinare stupendo gli amici con ricette fantasiose

Cucine d’artista Beba Marsano

L La sala da pranzo tutta gialla era il cuore della casa di Claude Monet a Giverny, in Normandia

a folta barba bianca sul ventre importante, il cappello di paglia ben calzato, la vecchia giacca

un po’ sformata, la sigaretta in mano, le tele sotto il braccio. Ecco Claude Monet (1840-1926) nel “santuario fiorito” di Giverny in Normandia (fondation-monet.com), suo buen retiro dal 1883 fino alla morte. Una romantica casa rosa ricoperta di edera a due passi dalla Senna e a una settantina di chilometri da Parigi, dove alle 11.30 e alle 19 esatte due sonori colpi di gong richiamavano la numerosa famiglia nell’allegra sala da pranzo tutta gialla (nella credenza le stoviglie di Limoges gialle e blu fatte fare per i giorni di festa), attigua alla smagliante cucina a piastrelle bianche e blu di Rouen, vero cuore della casa e teatro di entusiastiche sperimentazioni per fantasiose e gustose ricette. A occupare quasi un’intera parete, l’immensa stufa dai fuochi multipli e la parata di utensili in rame. Il padre dell’impressionismo amava la buona tavola quanto la pittura: era ghiotto di carne e selvaggina (in particolare pernici e beccacce), adorava i paté in crosta, le terrine di anatra o coniglio selvatico e i piccioni in compote, sua specialità. “A tavola, a tavola, a tavola! Mangiamoci questo piccioncino che è buono soltanto se è bello caldo”, gridava agli amici pittori, tra cui Pierre-Auguste Renoir e Camille Pissarro. Aveva una vera passione per i funghi prataioli che faceva raccogliere all’alba, per le erbe e le piante aromatiche e una sorta di culto per le materie prime, per la loro stagionalità, la loro freschezza. Possedeva un orto curato con passione in un angolo dell’adorato giardino, il gioiello della casa, impreziosito dal laghetto e dal ponticello giapponese che ispirarono il famoso ciclo delle Ninfee, paesaggi d’acqua e di luce che per il vecchio Monet diventano un’idea fissa, una mania, una magnifica ossessione e segnano un passaggio cruciale nella storia dell’arte moderna: trasformano la visione in pura emozione, archiviando la figurazione per inaugurare la grande avventura all’astrazione. Il viaggio nelle cucine d’artista, all’interno di quelle case oggi trasformate in musei, prosegue in Costa

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Azzurra, nella villa di Les Collettes a Cagnes-sur-Mer (cagnessurmer.fr), ultima dimora di Pierre-Auguste Renoir (1841-1919), che vi trascorse gli ultimi undici anni di vita. Qui il maestro dell’attimo fuggente continuò con instancabile, appassionata, dolorosa tenacia a fare di ogni suo quadro un sensuale inno alla gioia di vivere, a dispetto della parziale cecità, dell’infermità che lo inchiodava alla sedia a rotelle e dell’artrite deformante, che lo costrinse a farsi legare il pennello alle dita per potere continuare a dipingere. Al termine di un anno e mezzo di lavori, il Musée Renoir, custode di memorie artistiche e familiari (mobili, oggetti, fotografie), ha da qualche mese riaperto le sue porte con un circuito di visita che contempla nuovi spazi. Tra questi, la cucina, con quattro tele del maestro alle pareti, dove Aline, la sua sposa, gli preparava gli amatissimi piatti provenzali, specchio di gusti semplici, autentici, conviviali. Due classici delle Collettes? La bouillabaisse e il pollo agli champignons, insaporito da erbe profumate, olive nere e una spruzzata di Cognac. Chi passava personalmente ore e ore ai fornelli era invece Henri de Toulouse-Lautrec (1864-1901) che, nel suo appartamento di Parigi, riceveva con prodigalità, propinando agli amici piatti e cocktail di sua invenzione. In una tela conservata al museo di Albi, Édouard Vuillard lo immortala in cucina, con una maglia rossa e un paio di pantaloni gialli larghissimi per coprire le gambe deformi. Toulouse-Lautrec amava cucinare in salotto, su un fornello elettrico, al cospetto di ospiti-spettatori in una sorta di showcooking ante litteram. E per la gioia di stupire trasformava i piatti tradizionali della sua terra d’origine, il Sud della Francia, in novità estrose, accompagnate da vini eccellenti,

di marca esclusivamente francese. In tavola metteva, inoltre, svariate caraffe in cui nuotavano pesci rossi: una trovata esilarante per tenere gli invitati lontani dall’acqua. L’alcool fu il suo compagno quotidiano e il suo demone. “Non beveva per dimenticare la sua disgrazia, ma è vero che bevendo la dimenticava”, disse una volta l’amico Thadée Natanson, editore e collezionista. L’artista incominciò ad accarezzare le prime fantasie culinarie giovanissimo, nella rasserenante, quasi sospesa atmosfera del Château du Bosc (castelli-francia.com/chateau-du-bosc), residenza di famiglia a Camjac nella campagna di Albi, dove oggi i discendenti dei Toulouse-Lautrec custodiscono gelosamente i ricordi di Henri bambino. Dopo la morte, a nemmeno 37 anni, l’amico Maurice Joyant pubblica La cuisine de Monsieur Momo: 200 ricette care al geniale impressionista. Molte sono puri deliri, altre -riadattate al gusto contemporaneo- vengono proposte dal ristorante Le Lautrec di Albi, ospitato nelle vecchie scuderie del padre del pittore, di fronte alla casa natale chiusa al pubblico. Il cibo è passione e delizia di un altro genio della pittura, Salvador Dalí (1904-1989). “La vita è per me gastronomica, spermatica ed esistenziale”, diceva. Gli orologi molli del famosissimo quadro La persistenza della memoria (1931, Museum of Modern Art, New York) pare fossero ispirati a una forma di Camembert sciolta e l’Autoritratto molle con pancetta fritta (1941, Collezione Fundació Gala-Salvador Dalí, Figueres) ai breakfast statunitensi. Due enormi uova bianche collocate sul tetto sono invece l’inconfondibile marchio di fabbrica della sua casa di Port-Lligat in Costa Brava (www.salvador-dali. org), un pugno di anime e reti in una baia quasi inaccessibile a cinque chilometri da Cadaqués. Per lui

A sinistra, la romantica casa rosa ricoperta di edera di Monet a due passi dalla Senna. A destra, la villa di Les Collettes a Cagne-surMer, in Costa Azzurra, è l’ultima dimora di PierreAuguste Renoir. Sotto, il celebre quadro “Lo stagno delle ninfee, armonia verde” dipinto da Monet nel 1899: accanto al titolo, il vero ponticello

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A sinistra, nella residenza di famiglia Château du Bosc a Camjac, Henri de ToulouseLautrec cucinava per i suoi ospiti piatti e cocktail di sua invenzione. A destra, nella sontuosa sala da pranzo della Rubenshuis ad Anversa troneggia ancora il celebre autoritratto di Peter Paul Rubens del 1630. Accanto, sul tetto della casa di Salvador Dalí a PortLigat, in Costa Brava, svettano due enormi uova bianche

e l’amatissima moglie Gala, spiriti nomadi e inquieti, legati tutta la vita da una complicità condita di stravaganze e morbosità, quella di Port-Lligat è la sola residenza stabile. Qui vivono, ricevono, si rappresentano. Ampliata a più riprese fino a coprire quasi diecimila metri quadrati, casa Dalí è un labirinto di piccoli spazi collegati da scalette e dislivelli, gradini e passaggi segreti. Un bizzarro microcosmo disseminato di scherzi architettonici e popolato da animali impagliati e mobili antichi, sassi di ogni forma e tappeti preziosi, fiori secchi e una collezione di oggetti improbabili. Come quei serpenti di pezza acquattati sul bordo della piscina, opera della sorella di Amanda Lear, modella prediletta di Dalí. Due le sale da pranzo, una estiva tutta bianca e una invernale, con tavolo in legno, bizzarri candelabri in ferro battuto e forno a legna. Legatissimo alle tradizioni della sua terra,

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Dalí partecipava spesso a sagre gastronomiche per degustare soprattutto i dolci di cui era ghiottissimo: i taps de Cadaqués, squisitezze in pan di Spagna a forma di tappo di sughero; i flaons de Figueres, fagottini ripieni di crema o formaggio; la botifarra dolça, salsiccia a base di carne di maiale, limone, zucchero e cannella. Formaggio e aringhe occupavano invece la dispensa di Peter Paul Rubens (1577-1640) all’interno della Rubenshuis di Anversa (rubenshuis.be), la fastosa dimora in barocco fiammingo che il grande pittore abitò tra il 1611 e il 1640. Tappezzata con piastrelle a scenette animate, ogni genere di utensile (dagli uncini per la carne a vasi e brocche in raffinata maiolica) e una Natura morta con uccelli di Alexander Adriaenssen, la cucina di casa Rubens è dominata da un grande camino in stile tardo gotico, dove veniva cotto a fuoco lento l’hutsepot, lo stufato di carne e verdura moderatamente speziato considerato il piatto nazionale fiammingo. Nella ricetta originale, come ribadivano i libri di cucina del XVII secolo, le verdure variavano secondo stagione e la carne secondo la disponibilità del momento; agli ingredienti principali si aggiungevano poi spezie delle Indie, cedri del Levante e aceto del Mediterraneo. Il padrone di casa, che con la sua pittura dirompente, ricca di intemperanti accensioni cromatiche, seppe trasformare la scena in un’azione senza respiro, consumava i pasti in compagnia della famiglia e dei vari ospiti nella sontuosa sala da pranzo (collegata alla cucina da un vano di servizio con raffinate vetrate a piombo), dove tuttora troneggiano il famoso autoritratto (1630 circa) e il ritratto della sua F&B seconda moglie, Helena Fourment.


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locali In

piazza S. Oronzo, a due passi dallo spettacolare Anfiteatro romano, questo lounge bar unisce le esigenze del turista moderno al mood casalingo caro agli habitué. Aperto dalle 7,30 del mattino offre una cucina veloce e curata e una selezione beverage ampia e creativa

A Lecce Misvago a tutte le ore Manuela Caspani

N Nel locale di Lecce, il barman Dario Padula propone cocktail classici e intriganti novità poco alcoliche

Firenze del Sud per la ricchezza del suo patrimonio artistico, Lecce è città capace di affascinare con l’eredità maestosa dell’Impero Romano e quella allegra del Barocco. In centro lo splendido Anfiteatro lascia senza fiato molti turisti che, raggiungendo piazza S. Oronzo, si godono poi lo spettacolo dagli storici bar della piazza. Quella stessa piazza in cui un giorno di otto anni fa due amici hanno deciso di rilevare un vecchio locale e farne un lounge bar moderno che unisse il gusto cosmopolita, adatto a un centro turistico e universitario, a quel mood “casalingo” e accogliente che lo rende oggi un godibile punto di riferimento per tutti. Giuseppe Ingrosso e Dario Padula hanno così dato vita al “progetto Misvago”. Come tutti i progetti anche Misvago si è trasformato in itinere e, come racconta Ingrosso,

ota come la

la formula ha mantenuto saldi alcuni principi iniziali, ma si è anche adeguata alla clientela, al momento economico, agli spazi. Motivo per cui la ristorazione si è concentrata su un’offerta veloce e non strutturata in una cucina classica, complice la mancanza di spazio. E l’apertura dalle sette e mezzo di mattina vuol essere più un atto di disponibilità verso gli habitué: Ingrosso sottolinea, infatti, che la presenza di ottime pasticcerie non fa di Misvago il luogo privilegiato per il cappuccino e la brioche, ma essere aperti fa sì che alcuni affezionati amino passare anche di primo mattino nel loro locale preferito. La cucina privilegia dunque piatti semplici e veloci che strizzino l’occhio ai prodotti salentini, pur ricercando dei tocchi esotici: tante insalatone, come la Salentuosa, la Libanese e la Spizzicosa, affiancate da ricchi taglieri di salumi nostrani e formaggi locali. Immancabile la 84 | Food&Beverage aprile 2014


pizza, molto amata non solo dai turisti, ma anche dagli stessi leccesi. È una sorta di conferma, quella per cui la gente è sempre più alla ricerca di luoghi a 360 gradi, che non siano etichettabili in una categoria, ma che si prestino a qualsiasi ora a rispondere a esigenze diverse. La cucina così impostata risulta sempre a disposizione fino a tarda ora, cosa apprezzata da tutti. Il must di Misvago però è il cosiddetto “aperitivo”: non si tratta del rito tanto diffuso, ma di un vero e proprio piatto, fatto di assaggi vari, dalle tigelline agli involtini di bresaola, con una composizione di gusti caldi e freddi, che era nato per accompagnare eventualmente un drink. Sorprendentemente, è diventato il piatto più richiesto del menu, ordinato a pranzo, a cena, come aperitivo vero o dopo cena. A dimostrazione di come un’idea si evolva a discrezione della clientela. Del resto, il tipico aperitivo “alla milanese”, nelle intenzioni iniziali, non ha avuto molta presa e quindi un servizio personalizzato al tavolo è diventato doveroso. Ristorazione a parte, un lounge bar che si rispetti deve avere un’offerta beverage all’altezza e in questo senso Dario Padula, barman di grande esperienza, ha portato un contributo prezioso. La carta dei vini, consultabile sul sito, propone una nutrita offerta del territorio, ognuno raccontato dettagliatamente e, particolare significativo, con l’offerta al calice. Lo stesso vale per i cocktail che, accanto ai classici, presentano le creazioni personali di Padula e qualche nuova proposta, non ultima lo Spritz (anche qui moda dilagante) poco alcolico in ossequio alle esigenze di molti. “Cerchiamo di andare incontro alla moda, ma tentiamo qualche innovazione -racconta Ingrosso- Siamo lucidi

e consapevoli della nostra ‘piazza’ e, allo stesso tempo, consci delle nostre possibilità. Abbiamo scelto di mantenere prezzi contenuti, quando, invece, ci suggerivano di alzarli, perché in questo momento di crisi per noi conta di più l’affluenza. Cerchiamo di tenere sulla qualità senza proposte troppo sofisticate, così siamo contenuti nei prezzi in modo che la gente non rinunci a uscire”. Ed è grazie anche a questa filosofia che l’attenzione di giornali e dei media locali si è rivolta a Misvago e i clienti affluiscono con affettuosa abitudine. Senza dimenticare che affacciarsi sulla piazza dell’Anfiteatro di Lecce è un privilegio F&B che rende più bella la vita.

La cucina privilegia ricette semplici e veloci a base, soprattutto, di prodotti tipici salentini, ma con un tocco esotico. Il must del locale è l’Aperitivo: un piatto fatto di assaggi vari, dalle tigelline agli involtini di bresaola, con una composizione di gusti caldi e freddi

scheda

Misvago Lounge Bar piazza S. Oronzo 22 73100 Lecce tel. +39 324.5546106 info@misvagoloungebar.com www.misvagoloungebar.com

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SFIZIOFOOD Dai tempi dei Romani intingoli e sughi sono utilizzati per insaporire pietanze di ogni tipo. Oggi le salse, dalla classica maionese, a quelle più creative, come le tartufate, sono il segreto per trasformare un piatto in una ricetta da chef, soprattutto se si parla di carne

Per tutte le salse Jenny Maggioni

‘‘N Le salse “moderne”, come la maionese e quella al pomodoro, sono nate alla corte francese del ‘600

essuno capirà mai cosa c’è in questo piatto”, era il motto di Apicio, il cuo-

co della Roma imperiale, per il quale salse e intingoli, come il famoso garum (ottenuto dalla fermentazione in salamoia di sardine, acciughe o delle interiora di pesci più grandi), costituivano una parte essenziale della cucina del tempo. Ma già nel III millennio a.C. in Mesopotamia, e poi in tutto il Mediterraneo, si utilizzavano abbondantemente le salse per condire, o spesso coprire, quasi tutte le preparazioni. Anzi, erano essenziali perché, come riporta Ateneo, nessuno avrebbe mangiato carne o pesce senza condimenti. Al cuoco di allora non bastava procurarsi il pesce o la carne più buoni e costosi, doveva anche sapere quale salsa abbinare, pena il disastro del banchetto, come ricorda Orazio. Così, ad esempio, i Romani condivano il cinghiale con una salsa composta di miele, garum, vino cotto e passito e tutta la selvaggina, dopo la cottura in forno, era servita con un sugo fatto con pepe, ligustico, origano, bacche di mirto, coriandolo, cipolle, miele, garum e vino e legato con amido. Salse complicate che prevedevano una moltitudine di ingredienti diversi per migliorare il gusto dei cibi, ma che spesso, come ricorda Plauto, non avevano un odore invitante. Col passare del tempo le salse diventarono meno elaborare e più piacevoli: nel 1400, Maestro Martino da Como consigliava, ad esempio, per la selvaggina una salsa di mandorle e uva passa. Ma è alla corte francese del ’600 che nacquero le salse “moderne”; dalla besciamella, probabilmente suggerita da “lo bianco mangiare” dei cuochi fiorentini di Caterina de’ Medici, alla maionese, mentre nel XVII secolo gli chef spagnoli al seguito di Anna d’Austria portarono la salsa spagnola o bruna. Anche dalla Gran Bretagna, nonostante il politico francese Charles Maurice de Talleyrand-Périgord affermasse: “L’Inghilterra ha tre salse e 360 religioni, la Francia ha tre religioni e 360 salse”, ha regalato la Worcester, nata per caso nel 1838 (cipolle, aglio, acciughe sotto sale ed erbe

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savini tartufi

Matrimoni eccellenti tra carni e tartufi

aromatiche), mentre dall’America è arrivata la famosa Barbecue Sauce, a base di ketchup, senape, olio, cipolla, aglio, peperoncino, pepe, salsa Worcester e melassa o sciroppo d’acero, con una ricetta che cambia da Stato a Stato. Oggi le salse, dalle classiche a quelle più creative, alleggerite e dai sapori più ricchi e decisi, sono tornate in auge nelle cucine dei grandi chef come a casa, utilizzate come ingrediente di una ricetta e non solo come semplice accompagnamento. A partire dalla carne. L’importante è ricordare che quando la carne è buona non si deve eccedere con i sapori: così, la maionese di Digione (uova fresche, olio di girasole e senape di Digione) o la Dijonnaise (senape all’antica e salsa maionese), amate dai re di Francia, da Napoleone e da Caterina di Russia, sono perfette con la tartare di chianina e con la carne rossa in generale; la salsa romana Picchiapò, dal gusto acidulo, fatta con cipollotti cotti con olio e pomodoro pelato e capperi, si accompagna al polpettone e al bollito, al quale è possibile abbinare anche salse dolci con mele cotogne o con miele, mandorle e noci (entrambe ideali anche per le carni bianche) o le tradizionali salsa tartara (maionese, cetrioli tritati, capperi, cipolla o erba cipollina) e verde (prezzemolo, capperi e acciughe). Con il carpaccio di capriolo al ginepro è meglio una marmellata di cipolle e con il controfiletto di cervo una salsa cacio e pepe. La salsa alla menta si abbina bene alle carni dal sapore molto forte come l’agnello, ma dà anche un

I tartufi rappresentano uno dei migliori condimenti di cui si possa disporre in cucina. E non solo freschi, in piena maturazione, quando esprimono al meglio le loro qualità. Lo sa bene Savini, la storica famiglia toscana che si dedica a questo prezioso fungo dal 1920, quando Giuseppe Savini, da Balconevisi, piccolo borgo sulle colline vicino a San Miniato, li andava a scovare sulle colline con il suo fedele cane: Savini Tartufi oggi li utilizza anche per realizzare prodotti e ricette esclusive. Ne è un goloso esempio la Mostarda al tartufo nero pregiato. “È una mostarda senapata al tartufo nero pregiato alla francese, ma non così aggressiva e senza quel piccante forte che ha in genere la mostarda di Dijon -spiega Cristiano Savini- È un po’ più elegante, ingentilita, a base di semi di senape e tartufo nero senza aggiunta di aromatizzanti. Dà il meglio di sé con la carne, come un hamburger di qualità, delle battute al coltello e i carpacci. E, in vista della bella stagione, è perfetta anche per le grigliate. Il consiglio è di aggiungerne a piacere come si fa con le salse classiche”. E, a proposito di salse tradizionali, Savini Tartufi suggerisce con la carne anche la Maionese al tartufo nero pregiato: “Una maionese classica a base di uovo, alla quale l’aggiunta di tartufo dà una marcia in più e un gusto inconfondibile. Da provare sia con la carne rossa, sia con la più delicata bianca”. Ma la novità di quest’anno, per chi è alla ricerca di qualcosa di particolare e intrigante con la quale dare un tocco speciale alle carni, è Grinta, la birra al gusto di tartufo, realizzata in collaborazione con un birrificio toscano: “È una birra bionda non pastorizzata, che rifermenta in bottiglia -dice SaviniNon solo è interessante in abbinamento a piatti a base di carne, ma si trasforma anche in un valido ingrediente in cucina, dalla mantecatura del risotto alla marinatura di tranci di scamone, con i quali realizzare una sorta di battuta al coltello che avrà un inconfondibile sentore di birra e tartufo”. Non c’è che da provarla...

tocco estivo a pollo e tacchino. Per quelle grasse, come il maiale, meglio optare per una salsa più dolce, come quella con birra alle mele. Il filetto di manzo e le carni rosse più pregiate trovano invece la compagna ideale nella salsa Bérnaise, una delle più raffinate preparazioni della cucina francese, a base di burro chiarificato, tuorlo d’uovo, scalogno, dragoncello e cerfoglio. Per la carne alla brace c’è l’imbarazzo della scelta, ma i cuochi consigliano di privilegiare la leggerezza di una bernese light: dalla

È importante ricordare che quando la carne è buona non si deve eccedere con i sapori. A sinistra, i Pestati di Ursini, vere e proprie ricette con prodotti tipici, e il suo Olio per carni

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SFIZIOFOOD

Oggi sul mercato, oltre a quella di soia, al Tabasco e alla Worcester, ci sono molte salse particolari con le quali impreziosire ogni taglio di carne, come la Senapata di miele La Casa di Caccia, ottima con bolliti misti e crostini di carne, e la Senapata di Ribes Rosso, perfetta per arrosti di selvaggina o maiale

tradizionale Bbq, all’argentina Chimichurri, a base di erbe aromatiche; dalla piccante Mojo Picon, con aglio, peperoncino e cumino, originaria delle Canarie, alla greca Tzatziki, con yogurt, menta, aglio e cetrioli, passando dalla salsa olandese, preparata con una base preponderante di burro e uova. Anche le salse per così dire più tradizionali sono un semplice trucco per esaltare i vari tipi di carne: dalla besciamella, ideale ad esempio per arrosti, scaloppine e involtini, alla salsa tonnata, utilizzata per il vitello tonnato, dal pesto, ottimo con pollo, manzo e vitello, alla salsa al pomodoro, con la quale ottenere la famosa pizzaiola. Ma oggi ci sono sul mercato molte salse particolari con le quali impreziosire ogni taglio di carne, trasformandolo con semplicità in una ricetta gourmand: così la Salsa di tartufo nero di Savini

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Tartufi, storica famiglia di Forcoli (Pi) che dagli anni ‘20 si dedica alla raccolta e alla lavorazione di questo prezioso tubero, è ottima per condire e guarnire, ad esempio gli arrosti, ma anche in cottura; per il bollito si può optare invece per la Salsa del Tartufaio e per ingentilire le carni bianche e rosse, arrostite o grigliate, è perfetta la Crema di Porcini e Tartufi (vedi box). I pestati di Ursini, da oltre un decennio una delle aziende più importanti per il settore olivicolo e oleario, tra le prime in Abruzzo, e in Italia, a portare piccole innovazioni all’antica tradizione di famiglia, vere e proprie ricette con ingredienti tipici della tradizione mediterranea, possono trasformarsi un vero asso nella manica dello chef: dal Pestato di fiori d’aglio rosso a quello di asparagi, da provare con carni al forno e alla griglia, dal Pestato di radicchio nostrano a quello di carciofini, ottimo anche sulla carne fredda. Chi ama i sapori agrodolci può scegliere, ad esempio, tra la Salsa senapata di Ribes rosso, da accompagnare ad arrosto di selvaggina o maiale, la Salsa senapata di mele, per bolliti misti e crostini di carne, e la Salsa senapata di pere, ottima per i carpacci, prodotte dalla toscana La Casa di Caccia, la cascina circondata dai boschi di querce e di castagni, dalle vigne e dagli uliveti della riserva di Farneto di Officina Alimentare Italiana. E, per i puristi del gusto, rimane sempre la possibilità di stendere sulla carne solo un leggero filo di Aceto Balsamico Tradizionale di Modena come quello del Borgo del Balsamico, o di olio, come quello specifico per carni di Ursini. F&B


Quattro donne NON diventeranno madri perché quattro bambini NON nasceranno... Questo è il numero delle donne, indecise se abortire o far nascere il loro figlio, che ogni giorno arrivano alla porta del Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli, associazione di volontariato all’interno dell’omonima clinica milanese, che dal 1984 sostiene le maternità difficili.

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SPIRITBARMAN Anna Di Sandro

ha due grandi passioni: quella dell’insegnamento

e quella del banco bar, nata grazie alla collezione di liquori mignon

di uno zio, che ha sapientemente coniugato grazie anche al suo lavoro di fiduciario dell’Associazione italiana barman e sostenitori

Insegnare l’arte...

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Manuela Caspani

‘‘A Dopo il diploma di liceo Classico e Magistrale, Anna di Sandro si iscrive anche all’Istituto alberghiero per esaudire il suo sogno: diventare docente di sala bar

vevo uno zio che collezionava mignon di liquori…”.

Inizia così il racconto di Anna Di Sandro, fiduciario Aibes (Associazione italiana barman e sostenitori) della sezione Campania e insegnante dell’Ipsseoa di Vico Equense (Na). Con le cugine si divertiva ad aspirare con una siringa il contenuto dai tappi delle bottigliette, che poi riempivano con acqua. Nessuno se ne accorgeva e loro giocavano a mischiare i liquori e, ogni tanto, anche ad assaggiare gli intrugli. Il fascino di quelle misture deve aver colpito Anna più delle altre se, alla fine, è arrivata dove è ora. Percorso sui generis, il suo: diploma di liceo Classico prima e poi la scelta di diventare insegnante elementare prendendo anche l’allora diploma Magistrale. “Però d’estate lavoravo come barista, ero conquistata dal banco bar. Andavo a ballare con gli amici e mi perdevo a osservare i barman al lavoro…”. A ventidue anni si trasferisce a Verona per insegnare: di giorno fa la maestra, la sera lavora in discoteca. Si avvicina all’Aibes e ai grandi maestri come Giorgio Fadda: “Ero affascinata dalla classe e dall’eleganza dei barman d’albergo, ma nello stesso tempo ero giovane e volevo stare in un ambiente vivace. Amo la musica, adoro ballare, ho deciso che avrei portato eleganza anche nel frenetico mondo dei locali della notte”. IL COCKTAIL

Flashlove 4 spicchi di lime 3 cucchiaini di zucchero di canna in polvere ghiaccio tritato 3 cl di rum Bacardi bianco 2,5 cl di Midori 0,5 cl di Maraschino 9 cl di Sprite In un tumbler basso pestare il lime e lo zucchero di canna. Aggiungere ghiaccio tritato e gli altri ingredienti. Decorare con una foglia intagliata e delle caramelle gommose.

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Particolare, Anna Di Sandro. Volitiva e forte, dolce e allegra al contempo. E pronta alle sfide. A Verona qualcuno le suggerisce di conciliare le due passioni: insegnamento e bar. Così prende anche il diploma dell’Istituto alberghiero e diventa docente di sala bar. “Non avrei rinunciato a nessuna delle due professioni”, ammette. Sono gli anni in cui l’attività in Aibes prende forma, quelli dei concorsi, del lavoro in locali alla moda, dei viaggi. Finché non le si propone una nuova sfida: tre anni fa, con la stima di molti colleghi, Anna Di Sandro diventa fiduciario Aibes della sezione Campania: “È una grande esperienza. Mi permette di esprimere quello in cui credo e le doti che penso gli altri abbiano riconosciuto in me: profondo rispetto per il lavoro di gruppo, senso della condivisione. Credo siano fondamentali nel gestire questa attività”. E la scuola? E lo shaker? “Oggi gli istituti professionali attraversano un momento non facile -spiega Anna- Credo nella formazione professionale, ma i ragazzi arrivano qui sperduti, a volte demotivati. Riuscire a tirare fuori il meglio da loro e vederli appassionarsi a un mestiere è il massimo”. Per non perdere la mano, ogni tanto Anna si concede qualche serata dietro al banco bar, perché “non c’è niente come l’adrenalina che ti dà avere mille persone che F&B ti chiedono da bere…”.


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Quartierialti Nel centro storico di Entrèves, un paese di case in pietra all’imbocco della Val Veny e a soli due chilometri da Courmayeur, questo hotel è ricco di atmosfera per chi ama il lusso del dettaglio, dell’accoglienza semplice ma piena di piccole attenzioni, e la cucina tradizionale

Suggestioni montane al Pilier d’Angle Elena Bianco

I Creato unendo tre antichi chalet, il Pilier d’Angle è nato dal sogno di Angelo Pizzato

l Gruppo del Bianco, che chiude a nord la vallata di Courmayeur (Ao), è un padrone di casa

sempre presente, con i suoi ghiacciai del Toula, della Brenva e del Pavillon, che sembrano lambire le ultime case dei paesi, e la vetta Dente del Gigante, stagliato nel cielo, con le sfide che da sempre lancia agli uomini e che alpinisti di fama o normali escursionisti raccolgono per espugnare le vie più ardite o semplicemente per percorrerne i sentieri fino ai rifugi. Fra le ascensioni note per la sua severità vi è il Pilier d’Angle, torrione a spigolo proprio a ridosso della vetta a 4.810 metri. Ha sempre acceso le fantasie e il desiderio dei rocciatori, compreso Angelo Pizzato, guida alpina veneta prestata alla Valle d’Aosta, che qui ha accompagnato tanti clienti a fare sci alpinismo e arrampicate su pareti verticali. A tal punto che, riuscendo a coronare il suo sogno (un piccolo hotel ricco di atmosfera per veri amanti della montagna gestito con la sua famiglia) lo ha battezzato proprio così: Pilier d’Angle. Si trova nel centro storico di Entrèves, un paese fatto di case di pietra all’imbocco della Val Veny, ed è stato realizzato pezzo per pezzo, unendo tre chalet oggi collegati da passaggi interni, cosicché gli ambienti si snodino con continuità, ma sempre mantenendo un’atmosfera raccolta. Da qui si vede la strada che arrampica fino alla bocca del lungo traforo che porta a Chamonix. A pochi passi è in costruzione la nuovissima stazione di partenza della funivia del Monte Bianco, che arriverà fino a Punta Helbronner a 3.462 metri. Attualmente è raggiungibile dal sottostante rifugio Torino, attraverso il ghiacciaio, ma a breve sfoggerà una meravigliosa terrazza panoramica protesa a picco sulla vallata: una vista mozzafiato facilmente fruibile col futuro moderno impianto e il punto di partenza per una delle più belle sciate fuoripista d’Eu-

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ropa, la discesa de la Vallée Blanche, lungo la Mer de Glace, il lungo ghiacciaio che scende fino a Chamonix. D’estate sono molti i rifugi arroccati lungo le pendici del Bianco o incastonati nelle valli laterali, Ferret e Veny, e si trova sempre qualcosa di accessibile, sia che si desideri una semplice camminata nei boschi, sia che il “fisico” consenta di percorrere l’Alta via numero 1 e l’Alta via numero 2, i due itinerari da una settimana che cingono ad anello la Valle d’Aosta. Per tutti, un’emozione speciale è l’attraversata in ovovia dalla Punta Helbronner all’Aiguille du Midi, dall’Italia alla Francia, da un versante all’altro delle Alpi. Dopo una giornata nell’ambiente severo dell’alta montagna, rientrando al Pilier d’Angle ci si trova immersi nell’atmosfera profumata del legno, nel calore dei tanti caminetti accesi e fra le suggestioni dei semplici decori delle case della Valle d’Aosta. Irresistibile è la piccola spa Serendip, intima e accogliente, con una vasca idromassaggio sulla terrazza, in mezzo alla neve in inverno, fra il verde d’estate, con vista sulla vetta del Bianco. Questo hotel è il luogo ideale per chi ama il lusso del dettaglio, dell’accoglienza semplice e piena di piccole attenzioni e della cucina tradizionale. Nel ristorante gourmet La Taverna del Pilier, ricavato da quella che un tempo era la stalla, si assapora una cucina valdostana autentica, presentata con eleganza, accompagnata da un’interessante selezione di vini. Vengono proposti dal maître Maria Grazia Fara, appassionata e gentile, sommelier arrivata dalla Sardegna, ma che ama questi luoghi e ne conosce i vini meglio di un valdostano Doc.

A questa tavola ci si può lasciare tentare dai piatti e dai prodotti classici di queste montagne: i salumi locali, la motsetta, carne secca di bovino e il lardo di Arnad con il pane nero e castagne, così come il prosciutto alla brace di SaintOyen con la polenta. Le zuppe qui sono una tentazione irrinunciabile: quella alla valpellinentze, con il pane nero, il cavolo e la fontina, e quella gratinata di cipolle. Ma il vero senso di condivisione del cibo di montagna, oltre all’allegria della ritualità legata alle preparazioni tradizionali, vengono da alcuni “classici”. La Raclette, col formaggio fuso da mangiare con le patate e i sottaceti, la Pierrade, la pietra calda su cui cuocere varie carni e verdure, la Fondue Bourguignonne, con i bocconi cotti nell’olio bollente e, per i vegetariani, la piemontese Bagna Càuda, mix di verdure da intingere nella salsa calda di olio, aglio, acciughe e burro. Per i “fondisti” della tavola, il modo più degno di concludere la cena è con le pere Martin sec cotte nel vino rosso speziato, magari accompagnate da un bicchiere di Barolo Chinato. Per la digestione davanti al fuoco si resta in valle: Ebo Lebo, amaro d’erbe locale, o la grappa Vuassa di Papà Marcel, in versione Tournevis, F&B mitico mix di spezie della zona.

Nel ristorante La Taverna, ricavato dove un tempo c’era la stalla, si assapora una cucina valdostana autentica presentata con eleganza, accompagnata da un’interessante selezione di vini. Irresistibile anche la piccola spa Serendip, intima e accogliente, con vasca idromassaggio sulla terrazza

scheda

Pilier d’Angle via Grandes Jorasses 18 località Entrèves 11013 Courmayeur (Ao) tel. +39 0165.869760 info@pilierdangle.it www.pilierdangle.it

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CULTURA&GUSTO Fino

al

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maggio, quaranta sculture dell’artista svizzero dialogano

Galleria Borghese di Roma che ha organizzato la mostra “Giacometti. La scultura”. Un percorso attraverso la sua interpretazione della condizione dell’uomo contemporaneo

con i capolavori della

Giacometti e l’essenza dello spirito umano Marco Ghedini

G

iacca di tweed, camminata strascicata, il ciuffo scomposto, l’eterna Lucky Strike fra le dita ingiallite: Alberto Giacometti, lo scultore eremita divenuto leggenda, dalle strade di Parigi mordeva e rappresentava la realtà per difendersi e per nutrire se stesso. “Più lavoro e più vedo diversamente”, diceva, e questa sua nuova visone della realtà si trasformava in opere eccezionali. Così, fino al 25 maggio le sale della Galleria Borghese di Roma sono una meta imprescindibile per gli appassionati di scultura grazie alla mostra Giacometti. La Scultura, promossa dal ministero dei Beni e delle attività culturali e del Turismo e curata da Anna Coliva e da Christian Klemm, illustre studioso dell’opera dello scultore. L’esposizione porta in Italia dopo quarant’anni l’arte indiscussa e drammatica di uno dei più grandi artisti del

Visionario, onirico, surrealista e fautore di un segno indelebile nell’arte, Alberto Giacometti è uno dei più grandi scultori del ’900 per la sua interpretazione statuaria della figura umana come in “Femme qui marche” 94 | Food&Beverage aprile 2014

’900: lo svizzero Alberto Giacometti e la sua interpretazione statuaria della figura umana raccontata attraverso un percorso che rende evidente come muti la visione degli artisti nel confrontarsi con la raffigurazione dell’uomo. La mostra è l’occasione per raccontare l’artista (visionario, onirico e surrealista, fautore di un segno indelebile nell’arte) e, soprattutto, mostrare la sua opera in dialogo con i capolavori della Galleria: nelle forme sinuose e bianche della Femme couchée qui rêve (1929) si scorgono quelle della Paolina di Canova (1805-1808) il cui volto è riflesso, sull’altro lato, in la Tête qui regarde (1928); il passo pesante dell’Homme qui marche (1947), in cui risuona l’eco di quello affaticato di Enea sotto il peso di Anchise (1619); la Femme qui marche (1932-1936), nera e misteriosa come le sfingi di basalto della Sala Egizia; l’equilibrio instabile dell’Homme qui chavire (1950), fuori asse e pronto a perdere l’equilibrio come il David di Bernini (1623/1624). Tra le 40 opere esposte, bronzi, gessi e disegni, innescano nel contesto della Galleria l’energia bruciante dell’arte di Giacometti che indaga la profondità vitale dei soggetti, scavandone l’anima fino a “ridurre all’osso” la figura: questa la tragica modernità trasmessa al visitatore, che perce-


pisce come le sculture di Giacometti creino l’alone volumetrico di una drammatica cornice immateriale, invisibile, ma sensibile. Nello spettacolo della Galleria Borghese la rappresentazione dell’umanità di Giacometti risalta l’uomo e il suo fatale fallire, che diventa la tragica conquista della modernità. A contrasto con il passato si esalta la grandezza dell’uomo nei secoli e la mostra racconta (anche attraverso la metamorfosi della Galleria) un’inesauribile complessità dell’essere umano. Nel salone che accoglie il visitatore è stata ricostruita la Chase Manhattan Plaza con le opere di Giacometti quali Donna in piedi I (1960), Grande donna II (1960), Uomo che cammina I (1960). Quest’opera riunisce non solo i tre temi più importanti della sua produzione matura, ma anche i diversi aspetti delle precedenti composizioni quali La Place e La Foret. Nelle nove sale che seguono le sculture di Giacometti raccontano il suo percorso formativo: da quando, a soli diciassette anni, era già autore di disegni magistrali, alla prima crisi nel 1920-21, fino al successivo allontanamento dal figurativismo per recepire la lezione cubista, quando la sua arte svolta verso la scoperta di una forma del tutto personale, con capolavori come L’uomo che vacilla, il cui movimento rotatorio applicato a una situazione drammatica è radicalmente trasformato dallo scultore e mostrato come condizione univerF&B sale dell’uomo.

IL RISTORANTE

Gaudí, cuore partenopeo ai Parioli Situato di fronte a Villa Borghese, in uno dei quartieri più esclusivi di Roma, Gaudí è un ristorante pizzeria che da oltre un decennio è curato in ogni dettaglio dai proprietari Egidio Pardini, Roberto Conrado e Gino Della Mura. L’impronta è quella campana Dop, grazie ai migliori sapori partenopei. L’ambiente è tranquillo e rilassato, ideale per godersi una serata in famiglia o tra amici. D’estate la terrazza permette di mangiare all’aperto con la vista su Roma, mentre nella stagione fredda il giardino d’inverno diventa un rifugio per una cena romantica. La pizza è rigorosamente alla napoletana con una linea anche gourmet, in cui le guarnizioni sono i prodotti ricercati della Penisola. Anche il ristorante non è da meno, con una griglieria, sulla quale sono cucinate carni italiane e straniere, oltre alla pasta delle migliori aziende nazionali e, per gli appassionati, a tutta una serie di sfiziose fritturine napoletane. Gaudí, via Ruggero Giovannelli 8-12 Roma, tel. + 39 06.8845451, www.pizzeriagaudi.it

Da sinistra, le forme sinuose e bianche della “Femme couchée qui rêve”, il passo pesante de “L’homme qui marche” e “L’homme qui chavire”, fuori asse e pronto a perdere l’equilibrio

l’albergo

Dolce vita al Parco dei Principi L’esclusivo urban resort Parco dei Principi Grand Hotel & Spa, affacciato su Villa Borghese in uno degli angoli più ricercati della Capitale, è nato nel 1964 dal progetto dell’architetto Giò Ponti ed è stato recentemente ristrutturato nel design e nell’arredamento ispirandosi alla sontuosità e alla ricchezza delle ville patrizie dell’antica nobiltà romana di fine Seicento. Rifugio amato da celebrità e politici di tutto il mondo, è il luogo adatto a un weekend romantico, un soggiorno d’affari o una vacanza all’insegna del lusso. Il Parco dei Principi si propone, infatti, come una seconda casa a Roma, in cui rilassarsi o organizzare eventi, grazie alle 178 camere e suite, al La Pomme Bar, al ristorante Pauline Borghese e al centro congressi con 18 sale che possono ospitare fino a 900 persone. Inaugurata nel 2010, inoltre, la Prince Spa, con i suoi 2 mila metri quadri, propone i migliori trattamenti e vanta una moderna area fitness. Parco dei Principi Grand Hotel & Spa, via G. Frescobaldi 5, Roma, tel. +39 06.854421, www.parcodeiprincipi.com Food&Beverage aprile 2014 | 95


BUONALETTURA a cura di Simona Percivalle

Protagonisti L’ulivo, identità della Sicilia Un viaggio iconografico attraverso una terra magica, grazie alle fotografie di Claudio Brufola e saggi firmati da Giuseppe Fontanazza, Gaetano Basile, Maria Concetta di Natale, Giuseppe Barbera, Enza Cilia, Giovanni Lercker e Luca La Fauci. È Sicilia. L’Isola dell’olivo, curato da Andrea Zanfi in collaborazione con l’Istituto Regionale vini e oli di Sicilia. Un’opera in cui scienza e cultura si fondono, permeata di incontri con uomini, storie, leggende e credenze popolari, ma anche caratteristiche salutistiche dell’olio, capace di spingere il lettore a riflettere sul valore, spesso dimenticato, che nel tempo ha assunto questa millenaria pianta, posta a tutela e a salvaguardia del territorio siciliano e che più di ogni altra cosa identifica quella cultura contadina che è parte integrante di questa terra. Edito da Salvietti & Barabuffi editori, costa 50 euro.

Chef Cannavacciuolo si racconta

Pasticceria Knam, i segreti del cioccolato

In cucina comando io: titolo autoritario che, in realtà, svela, dietro la maschera mediatica dello chef Antonino Cannavacciuolo, un uomo semplicemente innamorato della cucina. Nel libro, il “gigante” si racconta e per farlo parte da un bambino goloso, svegliato all’alba della domenica dal profumo del ragù, a Vico Equense, e ripercorre le mappe dei percorsi che lo hanno portato a diventare un grande chef, un re, che maestosamente a Villa Crespi guida un ristorante meta di pellegrinaggio per i gourmet di mezzo mondo, in cui propone piatti nati dall’incontro tra i ricordi dell’infanzia e la scoperta della tradizione gastronomica piemontese. Edito da Mondadori Electa, costa 16,90 euro.

Forse sarà con una certa incredulità che si sfoglierà il libro di Ernst Knam che, nell’introduzione al suo ricettario Che paradiso è senza cioccolato?, fa sapere che non è necessario essere un maestro pasticciere per prendersi cura delle persone attorno a sé, proprio perché la pasticceria è un’arte sentimentale. Con questa filosofia ci si può mettere alla prova con le oltre sessanta ricette di Knam: dalle sue torte preferite alle mousse, dai cioccolatini (il segreto del suo successo) ai biscottini della tradizione rivisitati. Una vera e propria bibbia per gli aspiranti pasticcieri, visto che non mancano i trucchi, le tecniche spiegate passo passo e i segreti del re del cioccolato Edito da Mondadori, costa 16,90 euro.

Ricette Radicchi d’autore

Formaggi Sapori d’alpeggio in Valtellina

Ortaggi unici, verdure tenaci, arrivano nel libro Radicchi stellari. Storie di chef e ricette d’autore nelle mani di cuochi e cuoche che, grazie al loro estro e alla loro fantasia, li trasformano in piatti speciali, dando vita a talentuose preparazioni a base di radicchio (di Treviso, Castelfranco, Verona e Gorizia). L’autrice, Cristiana Sparvoli, ha incontrato nove chef, tra i quali Davide Botta, Corrado Fasolato, Marco Bortolini e Raffaele Ros, che le hanno donato una ricetta che racchiude tutta la bellezza e la rossa bontà di questi particolarissimi prodotti dell’orticoltura del Nordest. Oltre alle ricette descritte nel testo, troviamo la storia degli chef e le divertenti e ironiche illustrazioni di Mario Sparvoli. Di Editoriale Programma, costa 12 euro.

Dagli alpeggi in quota della provincia di Sondrio nascono non solo quei formaggi unici come il Bitto e il Casera, che già hanno guadagnato il marchio Dop e che sono conosciuti e apprezzati nel mondo, ma anche il meno noto Scimudìn e quella notevole varietà di formaggi d’Alpe, dal più generico nome di latterie, ricotte, formaggelle, che rappresentano un valore di nicchia del territorio della Valtellina. Sono questi ultimi i protagonisti delle ricette, gustose e tipiche, ma anche ricercate e innovative, che 20 cuochi valtellinesi, di cui ben cinque stellati Michelin, propongono in Sapori Alpini. 20 chef interpretano i formaggi degli alpeggi. È un progetto della Camera di commercio di Sondrio (press.valtellinaturismo@gmail.com)

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pillolediSTORIA

Burro, un grasso antico Nicoletta Negri

I

n un affresco sumero del 2500 a.C., conservato nel museo di Baghdad, in cui è illustrata la mungitura delle mucche e la trasformazione del latte in burro, compaiono già le zangole, i recipienti di legno di forma cilindrica utilizzati per sbattere la panna. Ancora precedenti sono i reperti che testimoniano come già nel 3500 a.C. le popolazioni provenienti dall’Asia e stanziatesi in Mesopotamia producessero il burro in zangole verticali. Era invece caratteristica dei Mongoli e dei popoli delle pianure euroasiatiche, un sistema di burrificazione orizzontale. Queste testimonianze sembrano dar ragione allo storico Marc Bloch che sull’Encyclopédie française si domandava se il burro fosse arrivato a noi dai nomadi delle pianure euroasiatiche. Nelle regioni calde del Medio Oriente e del Maghreb erano gli

ovini a produrre il latte per burro e formaggio. Il burro arabo è ancora oggi molto pregiato, prodotto con latte di pecora, praticamente bianco, più grasso di quello vaccino, di preferenza utilizzato, una volta inacidito, nella preparazione del couscous. Greci e Romani fecero entrare il burro nella loro cucina con grande difficoltà. Plinio lo classificava come prodotto barbaro, non adatto a “popoli civili” e, Strabone scriveva con disprezzo “...serve loro da olio”, riferendosi alle popolazioni dei Pirenei. Lo chiamavano buturum (formaggio di mucca) e di rado lo utilizzavano nelle ricette. Era invece apprezzato come unguento. Nel XIV secolo si comincia a parlare di burro in Italia e in Francia dove, solo nel 1380, Simbolo della civiltà su Le viandier del cuoco Guillaume Tirel, troviamo qualche cenno in alcune ricette, ma nomade e pastorale solo due secoli dopo diventerà di uso comune. Il burro faceva invece parte della cultura dei Barbari, non alimentare di Vichinghi e Normanni e delle loro colonie. Sarà infatti proprio dalla Norera particolarmente mandia che prenderà la strada verso la Loira, la Svizzera e i Paesi Bassi. Fra i produttori di amato da Greci e burro, i Bretoni, i Fiamminghi e gli Islandesi erano considerati i migliori; il burro islandese, Romani. Per Lutero in particolare, era tanto pregiato che, nel 1607, il Thrésor de santé spiega addirittura come fosse conservato in recipienti di legno lunghi da 30 a 40 piedi. A Parigi era il costoso burro e la Chiesa era un alimento peccaminoso di Vanves quello più ricercato. Fin dall’inizio, la Chiesa si era posta il dubbio se fosse un alimento magro o grasso, in riferimento ai periodi di astinenza e Quaresima. Ma chi amava il burro aveva difficoltà a privarsene, tanto che si erano moltiplicate velocemente le richieste di dispense. Molte furono accordate, troppe secondo Lutero: “A Roma si fanno beffe del digiuno, mentre ci obbligano a consumare olio d’oliva che non userebbero nemmeno per ingrassare la pelle delle loro calzature. Consumare burro è un peccato più grande che mentire, bestemmiare o commettere atti impuri”. F&B

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STELLEaTAVOLA a cura di Galatea

Gemelli

Cancro

Leone

Continua il periodo favorevole. Contribuite a incentivarlo lanciandovi alla ricerca di locali nuovi in cui degustare cibi insoliti.

Per affrontare al meglio l’ebbrezza della stagione primaverile che potrebbe portarvi cali di energia, consumate piatti a base di uova.

Baciati dalla fortuna, approfittate del momento per godere di gite in agriturismi alla scoperta di prodotti tipici e artigianali.

Vergine

Bilancia

Scorpione

Periodo di transizione, in attesa del grande exploit, da affrontare con una dieta ricca di frutta e fibre da gustare in compagnia.

Il vostro imperioso desiderio di cambiamento vi porterà a ricercare cibi impensabili per i vostri gusti. Assecondatevi e rinascerete.

Periodo romantico da rendere ancora più avvolgente con cibi afrodisiaci e tante bollicine, da condividere con il partner giusto.

Sagittario Novità in positivo sia per il lavoro sia per l’amore, ma ricordate di evitare gli eccessi a tavola che potrebbero rovinare tutto.

Capricorno TORO Amanti della buona cucina, grandi creatori di piatti gourmet e degustatori di ricette tradizionali e innovative, voi Tori siete davvero testimoni d’eccellenza del piacere di stare a tavola. Quando siete nel pieno delle vostre facoltà, non riuscite nemmeno ad annusare un cibo che non vi piace. Ed è per questo motivo che sapete insegnare che assaporare un alimento è come fruire della bellezza di un’opera d’arte. Anche se il vostro palato non ha confini, poiché il vostro punto debole è la tiroide e tendete a mettere su peso, sarebbe consigliabile una dieta ricca di iodio, che prevede il consumo di pesce, l’uso del sale marino integrale per dare sapore ai cibi ma, soprattutto, l’assunzione di alghe che, pur non essendo tra i vostri cibi preferiti, potrebbero diventare una sfida per stuzzicare la vostra creatività culinaria. Da non tralasciare neanche i vegetali ricchi di zolfo, utili per la respirazione e per mantenere in salute la pelle (visto che il tatto è il vostro senso principale). Quindi sono consigliati piatti a base di cipolle, verze, broccoli, zucche, ravanelli, cardi e spinaci. Un calice del vostro vino più amato accrescerà il piacere di ogni ricetta. 98 | Food&Beverage aprile 2014

Un po’ di fatica giornaliera da combattere con piatti vigorosi come paste e carni ripiene di verdure e formaggi, che gradirete.

Acquario

Siete in ottima forma e quindi aperti ai viaggi enogastronomici che possono esaltare il vostro buon umore e la vostra creatività.

Pesci Tutto quello che toccate diventa oro. Lanciatevi in eventi, party e aperitivi in cui svelare i vostri sogni e i progetti lavorativi.

Ariete È un periodo risolutivo di tanti problemi: mangiare pesce e non eccedere nel bere vi aiuta ad avere maggior lucidità e prontezza.


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