F&B 78 MAGGIO

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Mensile • Anno IX • N°78 Maggio 2014 • Euro 3,50

Pesce&Vino Gli abbinamenti di lago e di mare con bianchi e rossi

PER I PROFESSIONISTI E GLI APPASSIONATI

Itinerari Da Madrid a Toledo sul filo goloso della storia

Speciale Bio Una tendenza che coinvolge anche i ristoranti Quartieri Alti Excelsior Palace il lusso a picco sul mare

Classica contemporanea È la cucina di Bartolini

Foto di Tommaso Balestra

Devero Ristorante



editoriale

Ritorno all’agricoltura Barbara Amati amati@foodandbev.it

M

eglio agricoltore che ragioniere.

Meglio coltivare la terra che far di conto. Meglio gestire un agriturismo piuttosto che lavorare in una multinazionale o fare l’impiegato di banca. È questo il sentimento che serpeggia tra le nuove generazioni e tra i 30-40 enni alla ricerca del lavoro che non c’è. Un ritorno alla terra che può dare la speranza di un futuro a chi vive momenti di grande incertezza. Se è vero che l’agricoltura ha perso la forza di una generazione, spinta a studiare e indirizzata verso occupazioni impiegatizie meno faticose, oggi, invece, attira giovani colti e laureati. Secondo uno studio della Confederazione italiana agricoltori (Cia), nel 2013 il 17% dei nuovi imprenditori agricoli ha meno di 30 anni e il 90% degli agricoltori under 30 ha una scolarità medio-alta.

I “dottori’’ al lavoro nei campi non arrivano solo dalla laurea in Agraria, che pure dall’inizio della crisi ha avuto un aumento degli iscritti del 40%, ma anche da studi di economia, marketing, architettura, farmacia e scienze dell’educazione. Portano, così, nuove competenze all’agricoltura rendendola più innovativa e redditizia. Anche per questo i giovani agricoltori, sempre secondo la Cia, hanno un potenziale economico superiore del 40% rispetto ai colleghi più maturi grazie a una maggiore attitudine al rischio e una propensione all’export che si accompagnano a una più elevata sensibilità alle tematiche sociali e ambientali. Su queste scelte incide sicuramente anche il successo del nostro agroalimentare: in Italia, trainato da una maggiore consapevolezza che porta a scegliere prodotti di qualità e a ricercare specialità di ma anche all’estero, dove il made in Italy conquista i mercati internazionali C’è un rinnovato interesse nicchia, aiutando le aziende a “pareggiare” i conti. per la terra che può dare Vero è che l’agroalimentare italiano sta vivendo un periodo tutt’altro che florila speranza di un futuro do, ma è necessario distinguere tra settore agricolo, che sta comunque vivendo a chi vive momenti di momenti di crisi, anche per via delle politiche dissennate degli anni passati, e industria alimentare, in leggera crescita, pur a fronte di un pesante calo dei conincertezza. Sono giovani sumi. Secondo i dati Istat, nel primo bimestre di quest’anno si è registrata una under 30 che hanno della produzione di cibo e bevande dello 0,7%. È cosa nota che nel 2013 studiato, sono competenti flessione si sia toccato il livello più basso dal 1990 nei consumi delle famiglie per alimentari e rendono il comparto più e bevande non alcoliche: sono stati spesi soltanto 114 miliardi e 297 milioni di innovativo e redditizio euro, cioè 3,6 miliardi in meno rispetto al 2012. Negli ultimi dodici mesi i consumi hanno perso il 2,6% dopo il crollo del 4% del 2012. Come conferma Filippo Ferrua, presidente di Federalimentare, “il 2013 si è rivelato come l’anno peggiore dall’inizio della crisi, dove la tenuta dell’export dell’alimentare (+5,8%) non maschera la caduta dei consumi interni (-4 punti in 12 mesi, -14 in 5 anni). Nel 2014 questo trend rallenta ma, almeno per ora, non si ferma. Riveste, dunque, ancora maggiore importanza la grande partecipazione delle aziende alimentari al Cibus di Parma, manifestazione il cui sostegno promozionale e di immagine ha un valore vitale e potrà dare ulteriore spinta al percorso di uscita dal tunnel della crisi”. Un impulso ancora maggiore potrà venire -ci si augura- da Expo Milano 2015 al quale Federalimentare e Fiere di Parma realizzeranno due padiglioni che racconteranno l’industria italiana, F&B la ricchezza dei territori, i marchi e gli imprenditori che li hanno creati.

Food&Beverage è al Cibus di Parma, dal 5 all’8 maggio, Padiglione 3 stand F079 Food&Beverage maggio 2014 | 3


Food&Beverage vi dà appuntamento al 20 Giugno 2014

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Direttore Responsabile Barbara Amati amati@foodandbev.it

Sommario

Coordinatore di Redazione Jenny Maggioni redazione@foodandbev.it

Editoriale Ritorno all’agricoltura

Collaboratori di Redazione Federica Belvedere, Silvana Caminada, Irene Catarella, Riccardo La Palombara Stefano Masin, Bibi Monti, Simona Percivalle

Bellussi

Direttore Editoriale Aureliano Amati direzione@foodandbev.it

via Simone d’Orsenigo 5 - 20135 Milano tel. 02 47787220 - fax 02 47787237 segreteria@foodandbev.it Collaboratori Clara Aliborange, Giovanni Angelucci, Francesca Barni, Nicola Dante Basile, Paolo Becarelli, Enza Bettelli, Donatella Bernabò Silorata, Elena Bianco, Jerry Bortolan, Germana Cabrelle, Luigi Caricato, Manuela Caspani, Francesco Colombera, Alberto Corrado, Massimo Di Cintio, Alessandro Franceschino, Beppe Francese, Laura Gambacorta, Luca Gardini, Marco Ghedini, Gerardo Giorgi, Fabiano Guatteri, Rocco Lettieri, Gianluca Luppi, Giulia Marcucci, Beba Marsano, Monica Mazzanti, Gianna Melis, Gianni Mercatali, Betty Mezzina, Giorgio Montanari, Antonio Paolini, Frida Parise, Paolo Pellegrini, Anna Pesenti, Cesare Pillon, Erica Re, Beatrice Rioda, Roger Sesto, Marina Tagliaferri, Irma Tannino, Biagio Testa, Bianca Trao, Bianca Zille Foto Tommaso Balestra, M. Borchi, E. Calice, Renato Cerisola, Cheleo Multimedia, Gianmarco Chieregato di Cibando, Andrea Di Lorenzo, Max Dondini – Studiodellaluce, Martina Ferrara, Romano Maniglia, Roberto Sammartini, Stefania Spadoni Responsabile Amministrativo e Commerciale Aldo Ballestra ballestra@febeditoriale.com Pubblicità Italia F&B Editoriale tel. 02.47787220 Grafica e impaginazione Pigierre Srl - via Angelo Maj 12 20135 Milano Stampa Tiber Spa - via Volta 179 25124 Brescia Distributore esclusivo per l’Italia Press di Srl - Segrate (Mi) Editore F&B Editoriale Srl Sede legale p.zza San Camillo de Lellis 1 20124 Milano Reg. al Trib. di Milano n. 720 del 27/9/2005 Lunedì 5 Maggio 2014 Euro 3,50 4 | Food&Beverage maggio 2014

Barbara Amati Un Belcanto dedicato... Frida Parise

pag. 3

pag. 11

ACQUA Passato, presente e futuro di Ferrarelle Federica Belvedere

pag. 16

orogel Food service, qualità e varietà Barbara Amati

pag. 21

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carni Dall’Irlanda all’Italia con sapore Jenny Maggioni

pag. 23

associazioni Il nuovo corso dell’Uir Stefano Masin

pag. 24

enrico bartolini Classica contenporaneità in cucina Barbara Amati pag. 32

barilla Anche al ristorante la pasta è green Federica Belvedere

pag. 38

AZIENDE Codice Citra, il destino nel nome Stefano Masin

pag. 40

OLIO Zucchi si rinnova Barbara Amati

pag. 42

SPECIALE Bio, la conferma di un trend Stefano Masin

pag. 44

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FOOD&BEVERAGE online www.febeditoriale.com www.foodandbev.it FOOD&BEVERAGE online Siamo in internet al sito www.febeditoriale.com

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90 M A G G I O

Food&Beverage è un prodotto F&B Editoriale srl Sede operativa via Simone d’Orsenigo 5 20135 Milano

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attualità

TORINO Il nuovo Risorgimento Del Cambio Elena Bianco

pag. 50

INIZIATIVE Salviamo il pane Francesco Colombera

pag. 52

INCHIESTE Professione sala Jenny Maggioni

pag. 54

formazione L’arte dell’ospitalità di Glion

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Barbara Amati

pag. 58

pesce & vino Sapore di mare, sapore di lago Jenny Maggioni

Uomini e Vigne pag. 8 Novità da stappare pag. 12 Food Valley pag. 18 Lodge & Spa pag. 26 Business News pag. 28 Cultura & Gusto pag. 94

rubriche Scelte di gusto Chez... Spiritbarman Buona lettura Pillole di storia Stelle a tavola

pag. 6 pag. 30 pag. 88 pag. 96 pag. 97 pag. 98

pag. 60

evoluzione Franco Mare, golosità a fior d’acqua Gianni Mercatali

pag. 68

locali Viva, l’arte dell’insalata Jenny Maggioni

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pag. 70

spagna Sul filo goloso della storia Beba Marsano

pag. 72

positano Lusso accessibile a La Brasserie Manuela Caspani

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pag. 84

sfiziofood Pistacchi, salute e gusto in verde Frida Parise

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RAPALLO Incanto sul mare all’Excelsior Palace Stefano Masin

pag. 90

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scelteDIGUSTO Il ristorante preferito, la bevanda più amata, l’abbinamento perfetto: ogni mese Food&Beverage dà voce ad alcuni imprenditori del nostro settore e a personaggi noti per conoscere le loro preferenze gourmet e scoprire gusti e abbinamenti che talvolta ci possono sorprendere

Presidente Confagricoltura

Mario Guidi Radici nella tradizione Il ristorante del cuore La Capanna di Eraclio, Codigoro (Fe) Il piatto della passione Tortellini in brodo La bevanda preferita Vino rosso fermo Piatto e bicchiere mon amour Tagliata con patate e Brunello di Montalcino Drink preferito Spritz A tavola con… mia moglie Patrizia

Titolare Tassoni

Michela Redini Classe ed eleganza Il ristorante del cuore Brasserie de l’Île Saint Louis, Parigi Il piatto della passione Polenta, olio e pane La bevanda preferita Tè Piatto e bicchiere mon amour Foie gras e Sauternes Drink preferito Pimm’s con Cedrata Tassoni A tavola con… Jeremy Irons

Presentatrice tv

Camila Raznovich Il gusto della semplicità Il ristorante del cuore Carlo e Camilla in segheria, Milano Il piatto della passione Spaghetti pomodoro, basilico e limone La bevanda preferita Tè al gelsomino Piatto e bicchiere mon amour Tartare al salmone e tè Drink preferito Tè A tavola con… gli amici

Showman

John Peter Sloan British style Il ristorante del cuore The Dhaba, Milano Il piatto della passione Steak and kidney pie La bevanda preferita Tè Piatto e bicchiere mon amour Pasta e cappuccino Drink preferito Birra chiara A tavola con… gli amici

FOOD&BEVERAGE È ANCHE ONLINE www.febeditoriale.com, www.foodandbev.it

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uominievigne verticali

I 50 anni del Gioè Santa Sofia S

ono passati 50 anni da quando l’enologo Giancarlo Begnoni decise di dedicare ai millesimi migliori un Amarone in cui l’eleganza dei profumi e la morbidezza del gusto si abbinassero alla stoffa abitualmente poderosa di questo rosso tra i più celebrati d’Italia. Mezzo secolo che la famiglia Begnoni ha festeggiato con una verticale a Vinitaly. Una degustazione in cui Giancarlo e Luciano Begnoni hanno raccontato la storia del pregiato Gioè Amarone della Valpolicella Doc Classico, vino che rappresenta la pietra miliare di Santa Sofia, storica azienda fondata nel 1811 a Pedemonte di Valpolicella (Vr), nell’arco di 30 anni: ha aperto il Gioè 2007, millesimo dei 50 anni, seguito da 2000, 1998, 1995, per chiudere con lo storico 1977. Dalla verticale è emersa la continuità stilistica del Gioè: il neonato 2007, già godibile, deve aspettare ancora per dare il meglio di sé; il 2000 promette grande longevità; nella pienezza della sua espressione, il 1998 ha riscosso grande apprezzamento; il 1995 ha stupito per la sua acidità ancora evidente e il finale molto lungo mentre l’annata 1977 ha conquistato più delle altre con il suo bouquet di straordinaria eleganza, di grande rotondità in bocca con acidità ancora presente e un finale lunghissimo. A esaltare le caratteristiche delle annate le ricette di Giancarlo Perbellini: Tartare di vitello all’olio crudo con pistacchi di Bronte e fragoline di bosco all’Aceto Balsamico tradizionale di Modena, che ha ben incontrato i Gioè degli anni 2000, per la pastosità del pistacchio e il richiamo al frutto rosso; Spuma leggera di ceci con mozzarella, burrata, olio crudo e pepe nero affumicato, che ha esaltato la speziatura presente in tutte le annate in degustazione e Cubo rosa di manzo con salsa al brasato e purè di patate che ha sposato le annate 1995 e 1998 e sublimato la 1977. Nella foto, Giancarlo Begnoni con i figli Luciano e Patrizia, lo chef Giancarlo Perbellini e la giornalista Clementina Palese.

abbinamenti

La tradizione veneta di Col Vetoraz e De Prà

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di un territorio unico e prezioso, quello delle colline di Valdobbiadene (Tv), sono stati espressi dai vini di Col Vetoraz, la cantina nata nel 1838 nel punto più elevato della zona del Cartizze, in abbinamento alle ricette di Enzo De Prà del ristorante Dolada di Plois di Pieve d’Alpago (Bl), una delle pietre miliari della ristorazione italiana. Per esaltare le note floreali, la struttura rotonda e la leggera aromaticità del Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Millesimato dry, lo chef ha preparato due simboli della tradizione contadina veneta: il pane preparato con lievito madre e cotto in forno a legna e il salame dell’Alpago.“Oltre ai vigneti di proprietà, raccogliamo l’uva di una sessantina di conferitori di fiducia, scelti tra coloro che rispettano i nostri criteri qualitativi -afferma Paolo De Bortoli, uno dei tre soci dell’azienda- Il nostro obiettivo è far capire che a Valdobbiadene si produce solo il Prosecco Superiore Docg”.

sapori e i saperi

collaborazioni

nomine

Cecchi e Davide Oldani il gusto al giusto prezzo

Cavit, Giovanni Negri direttore marketing

Cecchi, la storica azienda di Castellina in Chianti (Si), e Davide Oldani, chef del D’O di Cornaredo (Mi), hanno celebrato l’alta cucina a prezzi accessibili: il Morellino di Scansano Riserva 2009 Val delle Rose, vino ai primi posti nella lista dei Top 10 Best Value Wines in the World nella fascia di prezzo “around 20 dollars” secondo il Wine Searcher, si è così sposato alle proposte d’autore che Oldani ha realizzato usando ingredienti alla portata di tutti, come Asparago, salsa inglese salata e polvere di prosciutto e Royale di fegatini, marmellata di cipolla e briciole di cacao. Nella foto, Cesare e Andrea Cecchi con lo chef.

Veronese, quarantatré anni, con una lunga esperienza nel mondo del beverage, Giovanni Negri è il nuovo direttore marketing di Cavit, il Consorzio di cantine trentine nato nel 1950 e che oggi rappresenta il 60 per cento della produzione vitivinicola trentina, con 11 cantine cooperative associate che raccolgono i frutti del lavoro di oltre 4.500 viticoltori. Negri succede a Lorenzo Vavassori che ha assunto l’incarico di direttore estero Americhe. All’interno del nuovo ruolo, risponderà direttamente a Enrico Zanoni, direttore generale della Cantina, e avrà la responsabilità di gestire la strategia di sviluppo dei brand e delle diverse linee di Cavit.

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champagne

A cena con le stelle e Pommery

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A Cena con le Stelle, al Four Seasons di Milano, la cena firmata dallo chef sardo Luigi Pomata del Ristorante Luigi Pomata di Cagliari è stata un viaggio alla scoperta dei migliori Champagne, vini e Porto rosé della maison Vranken Pommery in abbinamento ai piatti. L’aperitivo è stato firmato dal Demoiselle Rosé, abbinato agli speciali appetizer ideati da un altro sardo Doc, Sergio Mei, executive chef dell’hotel, come anche la Zucca, seppie e profumo di pino mediterraneo. Lo Château La Gordonne Rosé Verité du Terroir, proveniente dalle tenute in Provenza, ha accompagnato il Gambero imperiale, ricotta di capra e borragine, mentre Apanage Rosé è stato accostato al Tonno Rosso, fegato grasso e Cannonau. Pomata si è esibito anche in uno show cooking preparando in diretta il suo straordinario filetto di tonno.

ll’evento

mostre

Zenato porta l’arte a Vinitaly

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ulla scia del successo della mostra fotografica Vite al palazzo della Gran

Guardia di Verona che ha celebrato il lavoro in vigna, Zenato ha realizzato un allestimento al suo stand di Vinitaly che ne ha rappresentato una sorta di continuazione: “Abbiamo proposto un nuovo modo per vivere il vino -racconta Nadia Zenato- Un’installazione modernissima, di grande impatto emotivo, in cui coinvolgere il visitatore in un’esperienza sensoriale: protagonisti i profumi e le etichette dei nostri grandi vini in formato magnum. Il tutto in un’atmosfera che introduce al mondo delle vigne e della cantina attraverso tubolari di luce e una colonna sonora che riproduce i suoni della natura, di una bottiglia stappata, del vino versato in un calice”.

successi

I vini delle Marche conquistano il mondo

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randi vini di punta, dall’ottimo rapporto qualità-prezzo, e una varietà di autoctoni dalla forte identità territoriale. Ma anche vigneron giovani che ritornano all’agricoltura e investono nel rinnovo dei vigneti e puntano sul biologico. Queste, in sintesi, le carte vincenti delle Marche del vino. Qui c’è l’unico consorzio d’Italia che promuove 16 denominazioni, di cui 4 Docg: l’Istituto marchigiano di tutela vini (Imt), con 850 aziende associate, rappresenta il 90 per cento dell’export delle Marche e il 45 per cento della superficie vitata regionale (oltre 8 mila ettari tra le provincie di Ancona, Macerata e Pesaro-Urbino), come ricorda il direttore Alberto Mazzoni. Si spazia dal Verdicchio al Bianchello del Metauro e al Rosso Conero, dalla Lacrima di Moro d’Alba ai Colli Pesaresi, fino alla Vernaccia di Serrapetrona.

enoteche

Una nuova casa per i vini di Calabria Non solo un luogo di rappresentanza, ma il cuore pulsante dell’enologia calabrese. Nasce con questo obiettivo la Casa dei vini di Calabria, Enoteca regionale con due sedi, a Cirò (Kr) e a Lamezia Terme (Cz). Sarà la cornice per scoprire i vini calabresi e il punto di partenza per la promozione e la valorizzazione di un’intera regione, come evidenzia la creazione del sito web e della nuova App, che offre la possibilità di avere a portata di telefonino tutte le informazioni sulle cantine e su questo territorio. “In Calabria esiste una realtà molto interessante fatta di aziende che hanno investito molto nelle proprie produzioni”, sottolinea l’assessore all’Agricoltura e foreste della Regione, Michele Trematerra.

contest

Un nuovo fumetto per Monte Rossa Monte Rossa, storica cantina di Bornato di Cazzago S. Martino (Bs), in Franciacorta, punta tutto sui giovani con il progetto Monte Rossa Coupé. Non dosare il talento, voluto dal patron Emanuele Rabotti. Un contest dedicato agli studenti delle Scuole di fumetto italiane e ai fumettisti under 30 che ha l’obiettivo di individuare il sequel della tavola che lo scorso anno ha accompagnato il lancio del Coupé, il Dosaggio Zero della cantina. La raccolta dei progetti si svolgerà fino a giugno, poi arriverà il responso della commissione giudicatrice, composta da personalità del mondo del vino, del fumetto e della comunicazione. Infine, i sei progetti più virtuosi saranno messi online per la selezione in Facebook; ristretta la rosa a tre progetti, sarà la giuria a decretare la tavola vincitrice che sarà pubblicata sulla Gazzetta dello Sport.

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uominievigne certificazionI

milano

Partenza sprint per la Doc Sicilia

Ruinart al fianco di Miart

È partita bene la Doc Sicilia nel suo primo anno: nel 2013 sono stati certificati 120 mila ettolitri di vino sui quasi 213 mila del totale di tutte le Doc siciliane, pari quindi al 56,3 per cento. Si tratta di quasi 16 milioni di bottiglie etichettate col marchio siciliano. Per quanto riguarda le varietà più rappresentate, spiccano i Bivarietali Rossi, seguiti dal Bianco e dal Nero d’Avola. Circa i due terzi degli imbottigliamenti certificati (oltre 78 mila ettolitri) sono stati effettuati in Sicilia, mentre un terzo (oltre 41 mila ettolitri) è imbottigliato fuori dall’isola. “Il dato di partenza è sicuramente positivo e fa ben sperare” -commenta Lucio Monte, direttore dell’Irvos, l’Istituto regionale vino e olio.

P

stazioni

Golosità da VyTA Santa Margherita

È

manifestazioni

L’Alto Adige omaggia il Pinot nero Si svolgeranno dal 10 al 12 maggio come sempre a Egna e a Montagna (Bz) le Giornate altoatesine del pinot nero. In Alto Adige il pinot nero trova, infatti, un ambiente vocato alla coltivazione solo in particolari microzone come Mazzon, e nei pressi di Egna, Montagna, Pochi, presso Salorno, l’Oltradige e la Val Venosta. Nel Castello D’Enna a Montagna, inoltre, saranno premiati i vincitori del Concorso nazionale del pinot nero. Appuntamento da non perdere il seminario tecnico “Esperienze con la vinificazione del pinot noir in Borgogna” con Pierre Millemann, enologo consulente di importanti aziende vinicole di Borgogna, Germania, Austria, Piemonte e Alto Adige. Domenica e lunedì, Egna accoglierà anche la degustazione aperta al pubblico.

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er il secondo anno consecutivo Ruinart è stato lo Champagne ufficiale offerto ai visitatori delle 150 gallerie italiane ed estere presenti alla XIX edizione di Miart, la fiera internazionale di arte moderna e contemporanea di Fieramilanocity. Inoltre, poiché nel 2014 la maison celebra i 250 anni dalla sua prima spedizione di Champagne in Italia, in occasione di Miart ha invitato nella Vip Lounge Ruinart l’artista israeliano Gideon Rubin a realizzare il ritratto di uno dei suoi primi committenti italiani: il conte Giacomo Durazzo, il primo importatore della maison che nel 1764 fornì il suo palazzo veneziano con un ordine straordinario di 91 casse di Champagne Ruinart. Ma la Galleria dei Ritratti dell’artista è cominciata ovviamente dai fondatori, Dom Thierry e Nicolas Ruinart. Ad ammirare la mostra, anche il presidente della maison, Frédéric Dufour (nella foto), e il brand director Italia di Ruinart Marco Ravasi.

nata VyTA Santa Margherita, la nuova partnership che il Gruppo Vinicolo di Fossalta di Portogruaro (Ve) ha avviato con Retail Food: nelle stazioni di Roma Termini, Milano Centrale, Torino Porta Nuova, Napoli Centrale (e presto anche Venezia, Bologna e Firenze) un nuovo format di localeboulangerie, caffetteria e ristorazione. “Il rapporto tra vino e cibo è sempre stato il caposaldo di Santa Margherita”, afferma l’ amministratore delegato Ettore Nicoletto. “VyTA indica già nel nome la precisa scelta compiuta dai partner: unire all’eleganza e alla funzionalità della location, il meglio dell’alimentare italiano in termini di genuinità, freschezza e sostenibilità, puntando al perfetto matching fra proposte culinarie e carta dei vini”, aggiunge Nicolò Marzotto, a capo di Retail Food.

locali

Tappa Montelvini, qualità al giusto prezzo

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appa Montelvini è il nuovo circuito di locali selezionati, in Italia e all’estero, da Montelvini, azienda di Venegazzù (Tv), produttrice in particolare di Prosecco Asolo Docg: ristoranti, winebar, enoteche e pasticcerie in cui si possono degustare vini e piatti di alta qualità, offerti sempre al giusto prezzo. “Montelvini si fa garante verso il consumatore della qualità globale dell’offerta e, al tempo stesso, offre al gestore l’esperienza, la competenza e gli strumenti per affiancarlo nella promozione del proprio business”, spiega Alberto Serena, vicepresidente dell’azienda. “Con questo progetto Montelvini supera il tradizionale rapporto tra fornitore e cliente, creando una partnership vera”, aggiunge il giornalista Davide Paolini che ha tenuto a battesimo l’iniziativa. Ora l’obiettivo è associare 20 locali nel primo anno.


bellussi L’azienda, situata nel cuore della zona Docg del Valdobbiadene Superiore, ha lanciato la personalizzazione della sua linea di vini premium Belcanto con la possibilità di creare etichette ad hoc in cui si pone in bella evidenza il nome del ristorante o una scritta ideata per un evento speciale

Un Belcanto dedicato... Frida Parise

‘‘C Grande appassionato di lirica, il patron Enrico Martellozzo ha battezzato Belcanto la linea d’eccellenza dell’azienda, da oggi personalizzabile in etichetta

hi non ama le donne,

il vino e il canto, è solo un matto, non un santo”, sentenziava Arthur Schopenhauer. D’accordo con questa filosofia di pensiero anche Bellussi, prestigiosa azienda di Valdobbiadene (Tv), situata nel cuore della zona Docg del Conegliano Valdobbiadene, che da trent’anni anni produce con passione vini di qualità e che al “bel canto” ha dedicato la sua linea premium chiamandola, appunto, Belcanto, a sottolineare la grande passione per la lirica del patron Enrico Martellozzo. Risultato di un’amorosa ricerca dell’enologo Francesco Adami che, partendo dal clone e dal vigneto, segue le sue creature fino all’imbottigliamento, la gamma comprende cinque pregiate etichette: Valdobbiadene Superiore di Cartizze Docg, un grande vino da dessert, prodotto esclusivamente con uve glera della zona cru Cartizze; Valdobbiadene Superiore Docg Extra Dry, spumante di particolare consistenza, di maggior struttura e con una spiccata complessità aromatica, vera espressione del territorio; Valdobbiadene Superiore Docg Cuvée Brut, secco, delicato e delicatamente profumato; l’elegante e fruttato Millesimato Dry e la raffinata Cuvée Rosé Brut. “L’anima dell’azienda è profondamente legata ai prodotti della zona di Valdobbiadene e su questi vogliamo puntare -afferma Martellozzo- Abbiamo così deciso di rinnovare il packaging della linea Belcanto, abbandonando le bottiglie serigrafate e

ritornando a una confezione più classica”. Ma con una novità, in sintonia alla voglia di stupire e di evolversi della cantina: Dedicata a me. “La bottiglia Belcanto può essere personalizzata in etichetta con il nome del ristorante o per un evento importante”, spiega Martellozzo. In un mondo sempre più globalizzato, un segnale forte all’unicità e alla sartorialità del made in Italy e un investimento importante per l’azienda che ha allestito un’area apposita per la stampa delle etichette, con macchinari dedicati che garantiscono il confezionamento e la spedizione delle bottiglie personalizzate in pochi giorni. “È un progetto partito proprio per la ristorazione in cui crediamo molto e che piace -continua Martellozzo- Fino a oggi abbiano già personalizzato 6 mila bottiglie, ma il nostro obiettivo è arrivare a 150 mila entro la fine dell’anno”. E non stentiamo a credere che ci riuscirà, non solo per la qualità dei vini, sempre molto apprezzati dai consumatori e dagli intenditori, ma anche per questa intrigante opportunità di offrire una versione deluxe del vino “della casa”... F&B


Novitàdastappare trentino

L’eleganza rosé di AlpeRegis A

Rotari AlpeRegis Trentodoc, pregiato extra brut, la Cantina Rotari del Gruppo Mezzacorona di Mezzocorona (Tn) firma l’AlpeRegis Rosé Extra Brut Trentodoc 2010. Prodotto solo nelle migliori annate, selezionando attentamente le uve pinot nero e chardonnay provenienti dai vigneti di proprietà nelle zone collinari della Valle dell’Adige, a nord di Trento, ha profumo intenso, fitto, fragrante di bacche rosse, come lampone e ciliegia, con lievi note di biscotto e lievito; al palato prevale la freschezza e la mineralità del pinot nero e la corposità e persistenza data dallo chardonnay. Dal perlage fine, intenso e persistente e dal colore rosa, leggero ed elegante, tendente al ramato, brillante e limpido, è un vino versatile a tavola, dall’aperitivo a tutto pasto, in particolare con primi piatti a base di pesce e secondi cotti in umido.

ccanto al

selezione di campania

Fiano 2000 in ricordo di Erminia Di Meo

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di un vitigno a bacca bianca simbolo dell’Irpinia: nasce così il Fiano di Avellino Doc Selezione Erminia Di Meo, dell’azienda di Salza Irpina (Av), un vino che nel tempo si è arricchito di complessità e valore affettivo, divenendo un doveroso omaggio a Erminia, sorella di Generoso e Roberto Di Meo, prematuramente scomparsa. Vendemmia tardiva di uve selezionate da una particolare particella aziendale annata 2000; macerazione sulle bucce; pressatura soffice; fermentazione a temperatura controllata e anni di affinamento in acciaio regalano un vino dall’elegante profumo di frutta matura e tostata, che si completa con delicate note di frutta secca e uno spiccato fumé. Intenso e armonico, ha un gusto deciso, sapido e una grande freschezza.

perimentare le potenzialità di invecchiamento

toscana

veneto

Momenti speciali con il Prosecco Ruffino

L

a linea Momenti Ruffino, l’anima giovane e casual della storica azienda fondata nel 1877 a Pontassieve (FI), che comprende il Rosatello, il rosso Gran Sigillo e il Vermentino, si arricchisce di un nuovo vino: il Prosecco Brut Treviso Doc. Prodotto con uve glera provenienti dal territorio della Doc Treviso, vinificate secondo il metodo Charmat, è giallo paglierino tenue con perlage fine e persistente. Al naso è fruttato e floreale, con piacevoli sentori di mela, pera, sambuco e agrumi; in bocca è vivace con intense note di mela e pesca, accompagnate da un finale fresco e brioso. Con il suo limitato residuo zuccherino e la sua piacevole eleganza, il Prosecco Brut Momenti è ideale come aperitivo, ma accompagna ogni occasione abbinandosi perfettamente a portate di pesce, carni bianche e piatti caldi a base di verdure e torte salate.

veneto

Metodo Classico per il Brut La Regola

From black to white il bianco di Zýme¯

Nel territorio del comune di Riparbella (Pi), in un terreno sabbioso a cinquanta metri sul livello del mare, da uve gros manseng (90 per cento) e chardonnay, nasce lo Spumante Brut La Regola, azienda fondata nel 1900 dalla famiglia Nuti sulla Costa toscana, da sempre terra di grandi cru. È un metodo Classico ottenuto con la maturazione sui lieviti per 18-24 mesi, dal bouquet floreale con sentori di agrumi e di crosta di pane; al palato è complesso ed equilibrato; l’immediata freschezza è esaltata da una bella ampiezza e armonia, con un finale di grande eleganza. Ottimo come aperitivo, si abbina ad antipasti di crudo e piatti a base di pesce.

In un vecchio ceppo di rondinella, durante un controllo nei vigneti, nel 1999, Celestino Gaspari dell'Azienda agricola Zýme¯ a San Pietro in Cariano (Vr), attiva dal 1999, scopre alcuni tralci con grappoli a viraggio bianco. Da qui parte la sperimentazione che culmina ne Il Bianco From black to white Veneto Igt. Sessanta per cento di rondinella bianca, 15 per cento di gold traminer, 15 per cento di kerner e 10 per cento di incrocio Manzoni, è un bianco secco verdolino tenue con riflessi tendenti al giallo, di buona struttura, ampio e con aromi ben evidenti che ricordano agrumi e erbe perenni come la menta; in bocca è ricco, complesso e di grande persistenza.

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veneto

Rive di Santo Stefano eccellenza di Mionetto ionetto, storica cantina

di Valdobbiadene (Tv), propone il Val-

M dobbiadene Prosecco Superiore Docg Millesimato Rive di Santo

Stefano, l’ultima preziosa novità dell’esclusiva Luxury Collection, la linea di vini d’eccellenza dedicati all’horeca. Spumante dal colore giallo paglierino, accompagnato da lievi riflessi verdognoli, solcato da un perlage fine e persistente, è sontuoso, esuberante, complesso nei suoi sentori che ricordano la mela verde e la pera, con intense note agrumate e di fiori bianchi. Acidità e sapidità risultano bene equilibrate con la giusta e moderata ricchezza zuccherina residua. “Abbiamo scelto le Rive di Santo Stefano perché cuore di un’area, quella del Docg, dove suolo, esposizione e microclima sanciscono la particolare vocazione alla coltivazione di quel generoso vitigno che è il glera”, spiega Alessio Del Savio, direttore tecnico ed enologo di Mionetto.

lombardia

Una Freccianera dal passato

L

a Fratelli Berlucchi ha creato il Freccianera Franciacorta Brut Mil-

lesimo 2007, una rara serie limitata che dopo sette anni di attesa si presenta oggi all’apice perfetto della sua maturazione. Un salto temporale dal 1977 al 2007, celebrato in via eccezionale dal creatore dell’etichetta del primo millesimo della cantina di Borgonato di Cortefranca (Bs), l’editore designer Franco Maria Ricci, che ha vestito per l’occasione le 7 mila nuove bottiglie con una variante dell’etichetta di 30 anni prima. Realizzato con pinot bianco (50 per cento), chardonnay e pinot nero, il Freccianera è color paglierino, con riflessi dorati, spuma abbondante e perlage sottile e persistente. Al naso spiccano le note balsamiche e agrumate che si accompagnano a lievi sentori di tostatura; in bocca è morbido, equilibrato, sapido e con un’ottima tessitura.

alto adige

De Piano 2011, la cuvée rossa di San Michele Appiano

È

un rosso intenso il nuovo vino creato da Hans Terzer, winemaker e direttore della Cantina di San Michele Appiano dal 1977: Alto Adige Merlot Cabernet De Piano 2011. Assemblaggio di due caratteri forti, merlot (55 per cento) e cabernet (45 per cento), il De Piano, antico nome latino della città di Appiano (Bz), è la prima cuvée rossa della cantina. I due vitigni, considerati ormai autoctoni, perché presenti in Alto Adige sin dal 1850, in questo vino sono vinificati separatamente per poi essere assemblati dopo circa un anno di affinamento in legno. Denso e complesso, grazie ai tannini morbidi del cabernet, ha la pienezza e il frutto del merlot, con sentori di ribes e menta, ma anche di liquirizia e caffè; al gusto è morbido e speziato. Di colore rosso scuro tendente al nero, ha un potenziale d’invecchiamento di 8-10 anni e dà il meglio di sé con fiorentine e formaggi stagionati.

veneto

Bottega, il Prosecco secondo tradizione Bottega di Bibano di Godega di Sant’Urbano (Tv) fa rivivere la tradizione vinicola veneta con il Prosecco Sur Lie, il cosiddetto “vino con il fondo”. È un Prosecco frizzante rifermentato in bottiglia che conserva il naturale deposito di lievito. Asciutto, fresco e fruttato, con bollicine fini e delicate, ha un bassissimo contenuto di solforosa e zuccheri. Le uve sono raccolte a mano e vinificate in bianco con pressatura soffice, decantazione statica e fermentazione a temperatura controllata in acciaio. Prima dell’imbottigliamento si aggiunge circa l’1 per cento di mosto, al fine di favorire la presa di spuma nel corso della rifermentazione in bottiglia. Il Prosecco Sur Lie conserva le sue caratteristiche ottimali per un periodo più lungo, oltre due anni, rispetto al filtrato.

emilia romagna

Quintopasso, un Classico omaggio al Sorbara È nato il primo metodo Classico della storica cantina Chiarli: Quintopasso Modena Rosé Spumante Doc, un omaggio al sorbara, il più antico e nobile tra le varietà di Lambrusco, e alla storia di imprenditoria vinicola della famiglia modenese, oggi alla quinta generazione, come sottolinea, appunto, il nome del vino. Bottiglia trasparente per evidenziare il rosa tenue, etichetta storica rivisitata (l’originale fa parte dell’archivio di famiglia) con lettering dell’epoca, è un vino dal profumo pulito, lineare, penetrante, con sentori di piccoli frutti, in particolare fragola di bosco, e tendenza evolutiva alla mineralità. In bocca, la spiccata freschezza tipica dell’esclusivo clone di Sorbara dei vigneti della Tenuta di Sozzigalli conferisce una lunghezza al palato molto intensa e un retrogusto con sorprendenti note di acidità e salinità.

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uominievigne eventi

aziende

Vino, moda e gusto al Porto Cervo Wine Festival

Sette Terre, Viticoltori uniti nel rispetto del terroir

Da venerdì 16 a domenica 18 maggio, Porto Cervo accoglie l’evento dedicato al meglio dell’enologia sarda e nazionale: il Porto Cervo Wine Festival. Il Cervo Conference Center ospita le degustazioni di oltre 250 etichette di 50 produttori, mentre la celebre Piazzetta e l’Hotel Cervo saranno il set di numerosi eventi collaterali che si susseguiranno per tutto il week end, tra i quali l’incontro con il sommelier Luca Gardini che spiegherà i vini italiani a un pubblico internazionale. Infine, le cene stellate firmate da Enrico Bartolini e Luigi Taglienti.

È nata Sette Terre Viticoltori indipendenti di Bergamo, associazione che condivide la ricerca della massima espressività del vino e dell’identità territoriale. Ed è proprio il terroir a fare la differenza in questo nuovo progetto. Ciascuna delle sette aziende del gruppo, infatti, è caratterizzata dall’avere le proprie vigne su terreni differenti: La Caminella di Cenate Sotto con la sua maiolica; Casa Virginia di Villa d’Almè con la marna di Bruntino; Cascina Lorenzo di Costa Volpino con la volpinite; Eligio Magri di Torre dè Roveri con il sass de luna tipico; Le Corne di Grumello del Monte con l’arenaria di Sarnico; Sant’Egidio di Sotto il Monte con flysch di Bergamo e Valba di Cenate Sopra con i torbiditi sottili.

bardolino

Cristoforetti presidente del Consorzio

F

ranco Cristoforetti è il nuovo presidente del Consorzio di tutela del vino

Bardolino. Succede a Giorgio Tommasi, che ha guidato il Consorzio negli ultimi due mandati e che assume ora la carica di vicepresidente. Quarantadue anni, contitolare dell’azienda agricola Vigneti Villabella di Bardolino, del Wine Relais Villa Cordevigo di Cavaion Veronese e dell’annesso ristorante Oseleta, da poco insignito della stella Michelin, Franco Cristoforetti guiderà per il prossimo triennio la Denominazione rivierasca che negli ultimi anni ha visto esplodere il fenomeno del Chiaretto, che ha raddoppiato il numero di bottiglie vendute divenendo leader nazionale nel segmento dei vini rosati a Denominazione di origine.

collezioni

Una frizzante lettera da Veuve Clicquot

A

l FuoriSalone di Milano Veuve Clicquot ha allestito l’Ufficio postale di Madame Clicquot, per presentare la nuova estrosa gamma di prodotti contenenti la cuvée simbolo della maison, Veuve Clicquot Yellow Label: Clicquot Mail Collection. Una linea di oggetti funzionali, disegnati con spirito di utilità e il caratteristico tocco della maison de Champagne, che comprende Clicquot Envelope, una custodia avvolgente nel caratteristico giallo Clicquot e dalla sagoma di una busta con il “francobollo” con l’àncora icona della maison, che contiene una bottiglia di Veuve Clicquot Yellow Label da 0,75 litri; Clicquot Mailbox, la rivisitazione in giallo della tipica cassetta vintage delle lettere americana, e Clicquot Clutch, una divertente busta oversize, che ricorda le eleganti borsette da sera, in tessuto isotermico capace di mantenere fresca la bottiglia.

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DRINK

Angelorum di Masi Recioto on the rocks Agricola, l’azienda della famiglia

M Boscaini di Gargagnago di Valpolicella asi

(Vr), propone un nuovo modo di gustare il vino dolce Recioto: l’Angelorum on the rocks. Un drink innovativo e semplice da preparare: basta versare in un calice da vino rosso due foglie di basilico, del ghiaccio tritato, un’amarena sciroppata e 6 centilitri di Recioto Masi Angelorum e decorare con una scorzetta d’arancia. Dopo il Mojito e il gelato al Recioto, continua così la sfida di Masi per rivitalizzare una categoria di vino che ha tutte le carte in regola per diventare un classico senza stagione, invertendo un trend negativo dei consumi. “In un momento di crisi economica molto sfaccettata, le aziende devono cercare di rilanciare la categoria del vino dolce, con l’obiettivo di ampliare la base dei clienti grazie a inedite modalità di consumo piuttosto che attraverso nuove referenze”, spiega Raffaele Boscaini, settima generazione di Masi Agricola.


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acqua “Liscia, gassata o... Da 120 anni l’effervescente naturale”: è il titolo del volume realizzato da Ferrarelle per festeggiare i 120 anni di vita dell’azienda di Riardo e la sua ascesa a brand di respiro internazionale. Un’acqua che per i migliori chef è partner ideale di tanti piatti

Ferrarelle, tra passato presente e futuro Federica Belvedere

‘‘C’ L’ironica copertina del libro che racconta la storia di Ferrarelle, la prima cartellonistica pubblicitaria comparsa sui tram di Milano negli anni ’20 e un manifesto dello stesso periodo

è un pezzo indelebile della storia d’Italia nel vissuto di Ferrarelle, il marchio leader nell’imbot-

tigliamento di acqua minerale effervescente naturale, l’unica al mondo classificata e certificata come tale”, scrive il giornalista Nicola Dante Basile nella prefazione a Liscia, gassata o... Da 120 anni l’effervescente naturale, libro che racconta le traversie di Ferrarelle, presentato alla Biblioteca della Moda di Milano da Michele Pontecorvo, responsabile comunicazione dell’azienda di famiglia, dal curatore dell’opera, Basile, appunto, e da alcuni degli autori. Un viaggio che dalle origini di questa impresa pionieristica, sul finire del XIX secolo, giunge sino a noi attraverso drammi politici, tragedie sociali, crisi economiche e rotture culturali, delineandosi come un protagonista del cambiamento dei costumi alimentari che hanno accompagnato gli ultimi 120 anni di storia. Gli stessi che compie il marchio di Riardo, nel Casertano. Il volume, che si avvale del contributo dei professori Massimo Bergami, Massimo Montanari, Marco Pappagallo e Pier Luigi Sacco, affronta, con un’originale considerazione storica, scientifica, economica e comunicativa, il tema dell’acqua quale bene universale. Nomi eccellenti, quindi, per raccontare Ferrarelle attraverso uno straordinario percorso di parole e immagini di un brand oggi conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, che ha saputo

stupire anche attraverso comunicazioni innovative ma che parlano di tradizione. Perché Carlo Pontecorvo, che comprò l’azienda dal Gruppo internazionale Danone nel 2005, con la concretezza dell’imprenditore accorto puntò subito a ridare dignità all’impresa e al marchio attraverso l’accorpamento del core business acqua minerale sotto l’insegna Ferrarelle, intervenendo sui costi gestionali, razionalizzando e motivando la squadra e innovando il processo produttivo con tecnologie all’avanguardia che hanno migliorato l’efficienza del Gruppo. Oggi Ferrarelle è un’azienda sana e flessibile, orgoglio della migliore “italianità”, “del saper fare con correttezza e coerenza”, come sottolinea Michele Pontecorvo. Ma il libro racconta anche dell’acqua vista come ingrediente fondamentale della cucina come ricordano grandi chef, da Gualtiero Marchesi a Gennaro Esposito, da Rosanna Marziale a Cristina Bowermann. Artisti dei fornelli che considerano l’effervescente naturale un abbinamento eccellente per degustare appieno i sapori e le sfumature di un piatto. In fin dei conti (e lo dice Marchesi) se parliamo di un menu degustazione, per quanto mi riguarda l’unica bevanda ammessa è l’acqua; se poi è leggermente pétillante, meglio ancora, stuzzica le papille gustative e permette di assaporare al meglio il cibo”. Edito da Skira, è un libro che si legge F&B tutto d’un fiato.


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foodvalley pasta

Novità in casa Voiello V

E. Marinella, due eccellenze partenopee conosciute in tutto il mondo, si sono unite per presentare il rilancio della pasta napoletana che riparte da una nuova collezione. Nella boutique milanese del famoso stilista di cravatte (l’azienda compie 100 anni proprio quest’anno), l’evento Assaggi di stile è stato l’occasione per fare gustare le novità Voiello: tre nuovi formati di pasta e il nuovo packaging azzurro Savoia che ora veste le confezioni. Così, il prezioso grano aureo top quality di Voiello, antico marchio fondato nel 1879 a Torre Annunziata, considerato per contenuto proteico e forza del glutine il grano duro italiano d’alta qualità, è stato idealmente accostato agli squares di seta preziosa e stampata a microdisegni con cui vengono realizzate le cravatte più famose d’Italia. Pier Paolo Susani, direttore marketing Barilla-Voiello, al fianco di Maurizio Marinella, amministratore unico di E. Marinella, ha sottolineato l’eccellenza di questa pasta : “Siamo partiti dalla materia prima e su 13 ettari abbiamo sviluppato una nuova varietà di grano dalla tenuta glutinica eccezionale. Oltre al prodotto, si rinnova l’identità grafica essenziale, dall’equilibrio tra antico e moderno”. Tre i nuovi formati di pasta trafilata al bronzo studiati per trattenere più sugo: N°107 Spaghetti scanalati, il classico italiano per eccellenza reinterpretato da Voiello in un’inedita sezione biconcava che trattiene fino al 20 per cento di sugo in più; N°140 Mafalde corte, caratterizzato dagli eleganti bordi arricciati; N°194 Ziti arrotolati, ispirato alla più vera tradizione napoletana, ma rinnovato nella forma curvilinea per un’ideale fusione con i diversi condimenti. Come ha dato prova lo chef Barilla, Roberto Bassi, che ha studiato sughi semplici che non prevaricassero il sapore della pasta ma la valorizzassero: pomodoro fresco e olio extravergine, sale e pepe nero, pesto al basilico senza aglio, verdure scottate in padella.

oiello ed

stellati

Andrea Sarri apre un nuovo locale

A

Sarri, chef stellato Michelin, presidente dell’Associazione Jeunes Restaurateurs d’Europe, ha inaugurato il suo nuovo locale, il Ristorante Sarri, a Imperia, nella zona di Prino (il borgo di pescatori che prende il nome dal torrente omonimo), affacciato sul mare. Andrea Sarri, insieme alla moglie Alessandra, propone un delizioso luogo di incontro per gli amanti della cucina eccellente: qui, infatti, lo chef continua il suo lavoro di ricerca gastronomica caratterizzato da un attento e sapiente utilizzo delle materie prime, sempre freschissime e di stagione. Il valore aggiunto della cucina del cuoco ligure, infatti, è la costante attenzione dedicata alla scelta degli ingredienti a chilometro zero che, uniti alla sapienza creativa, concorrono alla realizzazione dei suoi piatti. Anche la cantina svolge un ruolo di primo piano con un’offerta di oltre duecento prestigiose etichette.

ndrea

PARTNERSHIP

appuntamenti

Coppa Kimbo, il gelato di Algida all’espresso

Girotonno, omaggio al tonno rosso

Dalla collaborazione tra Algida e Kimbo nasce Coppa Kimbo, il gelato con il gusto del vero caffè espresso 100 per cento qualità arabica. Una golosa partnership tra due aziende che condividono valori ed entusiasmo affini tra loro non solo per essersi affermate come sinonimo di qualità e innovazione tutta italiana, ma anche perché protagoniste di momenti di autentico piacere per i consumatori. Coppa Kimbo, nel formato da 70 grammi, è distribuita nei bar serviti da Algida e rappresenta per il brand di gelati un arricchimento della propria gamma di prodotti, mentre per Kimbo costituisce un’occasione di consumo in più per soddisfare gli amanti dell’espresso.

Sull’isola sarda di San Pietro, a Carloforte (CI), dal 30 maggio al 2 giugno, si daranno appuntamento chef provenienti da 6 Paesi per celebrare il tonno rosso, pescato in una delle più antiche tonnare del Mediterraneo ancora in attività. Girotonno, Uomini, storie e sapori sulle rotte del tonno, è una kermesse unica nel suo genere, giunta alla sua dodicesima edizione. La manifestazione è incentrata su una gara gastronomica internazionale alla quale parteciperanno gli chef che prepareranno specialità a base di tonno cotto e crudo. A giudicare i piatti saranno una giuria di giornalisti e una giuria popolare, composta da appassionati che decreteranno il vincitore.

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aperture

salumi

La cucina fusion del Victoire

Rovagnati Snello sano con gusto

È

stato inaugurato a Milano Victoire, il ristorante di Victoire Bouna Gouloubi,

giovane chef che da Brazzaville, capitale della Repubblica del Congo, è arrivata in Italia dove ha frequentato la Scuola della Federazione nazionale cuochi a Feltre (Bl). Dopo una serie di esperienze con cuochi importanti, da Claudio Sadler a Fabrizio Ferrari, fino a Marc Farellacci, ora al Victoire può esprimere la propria creatività. “La ricerca di quel non so che, capace di rendere unico il piatto più semplice e tradizionale, è la definizione esatta del mio stile di cucina -racconta la chef- Cucina italiana a tutti gli effetti, ma arrivando da un Paese con altre materie prime non ho paura di sperimentare, di accostare una spezia esotica a un piatto storico”.

san carlo

La patatina secondo Cracco a cucina ha bisogno di audacia”. Parola di Car-

‘‘L lo Cracco che, per primo, ha portato una

patatina, la Rustica di San Carlo, tra i ranghi dell’alta gastronomia. Con la Rustica, creata nel 1984 dalla storica azienda milanese, lo chef stellato ha realizzato scenografici finger food, abbinando prodotti di varia provenienza, dalle famigliari melanzane con pomodori, a proposte esotiche e sofisticate come il caviar lemon e il glacialis, ad altre legate a tradizioni più popolari come l’hamburger, in versione mignon, ma rigorosamente di Fassona, e le uova di quaglia, piccole e gustose. “La Rustica è una fetta di patata grossa, spessa e croccante -spiega Cracco- ha un suo sapore distinto, ma allo stesso tempo risulta anche abbastanza neutrale per poter essere ricettata. Ho scelto ingredienti morbidi al sapore e al palato, come baccalà, salmone, alici e alghe, che ben si sposassero con le sue caratteristiche”.

dianella

L’oro giallo protetto dal metallo

F

attoria Dianella, azienda che produce vino e olio sulle colline toscane di Vinci (Fi), veste il proprio olio con un packaging nuovo ed elegante: lattine di metallo con tappo salvagoccia. È un extravergine di oliva estremamente fine, intenso e dallo spiccato sentore di carciofo, risultato di un blend in prevalenza di frantoiano e una parte di leccino, moraiolo e pendolino provenienti da uliveti a circa 120 metri sul livello del mare. La frangitura avviene a freddo entro 24 ore dalla raccolta. Ideale come condimento a crudo, offre tuttavia grandi prestazioni anche in cottura. Il colore si evolve dal verde al giallo oro e il profumo è di aromi di oliva fresca, carciofo e foglia verde. Il sapore è fruttato, con una nota piccante e con un leggero retrogusto amaro.

Senza glutine, senza proteine del latte e a basso contenuto di grassi: queste sono le caratteristiche di Snello Gusto e Benessere, la linea di prodotti Rovagnati che si rivolge a chi predilige un’alimentazione sana ed equilibrata senza rinunciare al piacere della tavola. Una gamma completa di prodotti che spazia dai singoli affettati (prosciutto cotto e crudo, tacchino, pollo, carpaccio di manzo e bresaola), agli stick e alle fresche insalate. Ora, alla già ampia linea di Snello Gusto e Benessere si sono aggiunte nuove referenze: prosciutto cotto al vapore con erbe millefiori, bresaola e carpaccio di tacchino, pollo cotto al vapore, roast beef di tacchino, salame, e il trancio di petto di tacchino cotto nel forno a vapore.

eventi

Taste of Milano al Superstudio Più L’appuntamento è a Milano dall’8 all’11 maggio al Superstudio Più di via Tortona, nel cuore della zona del design meneghino, per Taste of Milano 2014 (www.tasteofmilan.it), giunto alla quinta edizione. Si apre, così, ufficialmente la stagione italiana dei Taste festival italiani, il food festival di livello internazionale che tocca ormai ben 21 città tra cui Londra, Mosca, Dubai, Toronto, Sydney, Cape Town, Amsterdam, Stoccolma e raggiunge oltre 400 mila persone in tutto il mondo. Il festival, come sempre, offre l’opportunità al grande pubblico di vivere esperienze interattive di degustazione d’alta gastronomia, vis à vis con alcuni dei nostri migliori chef.

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foodvalley inaugurazioni

congressi

illy apre a Londra un boutique café

Il mondo del pomodoro unito a Sirmione

Ha aperto illy Regent Street, il nuovo boutique café nel cuore di uno dei principali quartieri dello shopping londinese. Il locale coniuga l’unicità dell’esperienza del bar italiano con il design illy e con la tecnologia innovativa, offrendo l’opportunità di rilassarsi in un ambiente ricco di stimoli, grazie anche alla partnership con Samsung che ha fornito tablet e Wi-fi. L’offerta soddisfa le diverse esigenze, dalla colazione all’aperitivo, tutto rigorosamente in stile italiano, con un’area dedicata allo shopping, dove acquistare i caffè illy, le macchinette e gli altri prodotti del Gruppo, tra cui il cioccolato Domori e i tè Dammann Frères.

Arriva in Italia l’undicesima edizione del Congresso mondiale del pomodoro, l’appuntamento rivolto alla filiera del pomodoro da industria che si terrà a Sirmione (Bs) dall’8 all’11 giugno. Tema centrale dell’evento, organizzato da Amitom (Assocition méditerranéenne internationale de la tomate), sarà: “Dalla terra alla tavola: un impegno comune per il futuro dei prodotti trasformati a base pomodoro”. Gli esperti interverranno sulle previsioni di produzione e consumo nelle diverse aree del mondo, sulla sostenibilità e sulla produttività della coltura del pomodoro da industria, disegnando le strategie future per la valorizzazione e la commercializzazione del prodotto.

locali

Èvviva, cucina a scarto zero

D

a un progetto di Andrea Muccioli e Franco Ali-

berti, nei locali della vecchia lavanderia del Grand Hotel Riccione è nato Èvviva, dolci e cucina a scarto zero. Un luogo del cibo, che parte da un pensiero semplice: sprecare il meno possibile di ciò che ci offrono la natura e la mano dell’uomo, utilizzando e trasformando il più possibile anche quelle parti dei prodotti che normalmente vengono buttate. Il locale è contemporaneamente caffetteria, pasticceria, ristorante, scuola di cucina e negozio dove poter comprare, oltre al cibo, anche ogni oggetto presente. Un ambiente giovane e dinamico con una squadra composta da pasticceri, cuochi e sommelier provenienti da ogni parte d’Italia, con in media meno di 26 anni, che vivranno questa esperienza come in una vera accademia, avendo a disposizione una foresteria posta sopra il locale e stage formativi.

riconoscimenti

Grandi Salumifici Italiani azienda virtuosa

G

randi Salumifici Italiani, leader nella produzione e vendita di salumi di qualità tipici e secondi piatti freschi pronti, è stato insignita da Databank, primaria realtà per l’analisi e per il marketing aziendale, bancario e in generale per il mondo degli affari, del premio Company to Watch per essere stata, nel 2013, l’azienda più virtuosa del settore food e per le ottime performance economiche degli ultimi anni in termini di incremento di fatturato e di esportazioni. “Il Gruppo ha sempre registrato una costante crescita del business (dal 2000, anno della joint venture tra Unibon e Senfter, a oggi il fatturato è triplicato) -dice il direttore generale Massimo Romani- L’anno scorso, in un contesto in cui l’intero settore ha rallentato la propria espansione registrando -5per cento, noi siamo riusciti a chiudere con l’1 per cento in più”.

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novità

Cleca S. Martino lancia la linea salata

D

opo la Linea Pasticceria, con numerosi prodotti base per dolci, quasi tutti senza glutine, Cleca S. Martino lancia In Forno Subito!, tre preparati per realizzare ricette salate, sempre con un occhio attento alla salute: Miscela integrale per pizze, focacce e tigelle; Miscela integrale per muffin e panini salati e Miscela integrale per torte salate e piadine. Ricchi di fibre, con farina di frumento integrale, crusca e fibra d’avena, appositamente studiate per utilizzarle anche a casa, senza lunghe attese per la lievitazione della pasta, permettono di realizzare in pochi minuti gustose specialità da forno, perfette dall’aperitivo alla merenda, grazie anche al ricettario che l’azienda di San Martino dall’Argine (Mn) mette nelle confezioni.


orogel Presente in tutti i segmenti del comparto surgelati, l’azienda di Cesena è una realtà italiana con un fatturato in crescita grazie a una qualità sempre sotto controllo e un’offerta nel comparto raggiunge le

Food service che

150 referenze suddivise in 6 linee per soddisfare ogni esigenza

Food service qualità e varietà Barbara Amati

È I piatti realizzati dagli chef Sergio Ferrarini (sotto) e Massimo Moroni (a destra) hanno dimostrato che i prodotti Orogel, per gusto, sapore e qualità, non hanno nulla da invidiare a quelli freschi

stata una sfida sul filo della freschezza, quella lanciata da Orogel e raccolta da due chef, Sergio

Ferrarini, del team Orogel, e Massimo Moroni del Don Lisander di Milano. Da dimostrare, prodotti alla mano, che il surgelato nulla ha da invidiare al fresco. Così, il Risotto con la zucca e il Filetto di vitello con contorno di carciofi, cucinati dall’uno e dall’altro cuoco, erano di pari gusto, sapore e qualità. D’altra parte, per il management di Orogel questa non è proprio una novità, come non lo è per 11 milioni di famiglie che ogni giorno scelgono un prodotto dell’azienda di Cesena, orgogliosa di essere totalmente italiana con investimenti fatti solo in Italia. Forte di 2 mila soci che coltivano nelle zone agricole più vocate vicino agli impianti di surgelazione Orogel (tre gli stabilimenti, in Romagna, Veneto e Basilicata), l’azienda lavora, stocca e confeziona i prodotti appena raccolti nel giro di pochissimo tempo: “Si tratta di una sorta di km 0 che permette di consegnare rapidamente la materia prima allo stabilimento di trasformazione così da mantenerne inalterate la freschezza e le proprietà organolettiche”, ha sottolineato il direttore marketing Luca Pagliacci. Una freschezza che premia gli inventori del passato di verdura (“l’innovazione è una strada difficile, ma che dà risultati”) e premia l’azienda, il cui fatturato complessivo nel 2013 è stato di 179 milioni di euro con un incremento del 4,3 per cento. Positivo il trend di Orogel Food Service, un canale nel quale il Gruppo cesenate è leader, che rappresenta il 31 per cento dei volumi e registra una crescita a valore del 2,8 per cento, pur in presenza di un mercato del Fuori casa

in contrazione. Sono oltre 150 le referenze proposte da Orogel nel Food service, divise in sei linee: i Vegetali, che fanno la parte del leone nei consumi, coltivati in aperta campagna rispettando i cicli naturali di raccolta, sono gustosi e ricchi di sapore anche grazie alle tecniche di produzione biologica e integrata; le Ricette veloci, garanzia di buon gusto e buona alimentazione; il Benessere, ideali come contorni e come ingredienti per primi e secondi piatti; il Biologico, verdure surgelate a produzione biologica certificata, perfetta unione tra genuinità e naturalità; le Gocce di frutta, proposte in piccole gocce surgelate, pronte all’uso per cocktail, gelati, granite, sorbetti e frappé; le Monoporzioni, che grazie alla valvola presente sulla confezione, conservano tutte le proprietà organolettiche, esaltando il gusto e la leggerezza della cottura a vapore. Inoltre, l’azienda ha rinnovato la veste grafica dei packaging aggiungendo un QR code e una mappa per far conoscere con esattezza da dove provengono i suoi F&B prodotti. Food&Beverage maggio 2014 | 21


foodvalley mele

tuttofood

Leni’s, una linea per l’horeca

Focus sull’industria alimentare

Per gli amanti delle mele del Trentino Alto Adige, Leni’s, azienda di Laives (Bz) che si occupa dei trasformati di mela e la cui offerta comprende oggi fettine di mela pronte al consumo, spremute e mousse 100 per cento mela, ha realizzato una linea per il canale horeca. I prodotti Leni’s sono pensati per chi è alla ricerca di nuovi modi per gustare le mele. Le fettine di mela sono disponibili in bustine da 80 grammi, da gustare come snack e garantite con una shelf life di almeno 12 giorni. La spremuta di mela Leni’s, invece, è proposta in due formati in vetro da 1 e 0,25 litri ed è realizzata senza l’aggiunta di acqua, zucchero, conservanti e coloranti. Infine, la mousse, composta interamente da polpa di mela, è disponibile in vasetto di vetro da 150 grammi.

P

olio

Extravergine di qualità dalla Val d’Illasi

F

web

In fiera tutto l’anno con un click Aziendainfiera (www.aziendainfiera.it) è il primo portale interamente dedicato alle aziende espositrici nelle più importanti manifestazioni fieristiche italiane: a oggi riunisce oltre 2 mila realtà che espongono i loro prodotti e servizi nelle fiere di settore. Ciò che contraddistingue il portale è la metodologia operativa, basata fondamentalmente sull’attività di web marketing. All’interno del catalogo online, ad esempio, è possibile consultare la sezione dedicata a Cibus, il Salone internazionale dell’alimentazione (Parma, 5-8 maggio), permettendo anche ai non partecipanti di conoscere le aziende espositrici e le novità di questa edizione con i video servizi dedicati alla manifestazione e le interviste negli stand, online subito dopo l’evento.

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unti di forza e di debolezza dell’industria alimentare, opportunità da cogliere, in particolare nell’export, e criticità strutturali ancora da affrontare sono stati al centro del convegno “Parliamo di food a 365 giorni da Expo”, organizzato da Fiera Milano e da Tuttofood. Un’occasione di approfondimento per un settore chiave del made in Italy. Dopo l’introduzione dell’amministratore delegato di Fiera Milano Enrico Pazzali, la parola è passata al commissario unico di Expo 2015 Giuseppe Sala. Poi, Nando Pagnoncelli (presidente di Ipsos) ha tratteggiato l’evoluzione del profilo del consumatore; Vincenzo Grassi (associate partner di Pricewaterhouse Coopers) si è concentrato sulle linee di sviluppo del business nell’ottica dei capi azienda; Paolo De Castro (presidente commissione per l’Agricoltura del Parlamento europeo) ha messo a fuoco i vincoli all’esportazione del food.

rantoio Bonamini è una realtà che da più di 40 anni produce olio in Veneto, a Illasi (Vr). Nel Consorzio di tutela dell’olio extravergine del veneto dal 1996, oggi raggiunge una produzione di 220 mila bottiglie l’anno, distribuite in Italia e all’estero (circa il 20 per cento), penetrando diversi canali, dalla Grande distribuzione fino all’horeca. Le referenze sono 6: il Veneto Valpolicella Dop, il Veneto Valpolicella Dop passioni di Verona, il Biologico, il Santa Giustina, il San Felice e la linea di aromatizzati. Ogni passaggio della trasformazione di questi oli, le cui olive provengono dalle vallate della Val d’Illasi, una delle aree più vocate alla produzione olearia, è attentamente controllato per ottenere un extravergine di qualità. La star di questa zona è la varietà Grignano, un’oliva autoctona con cui si produce il Veneto Valpolicella Dop, un olio fruttato e ricco di sostanze antiossidanti benefiche.

Federdistribuzione

Cobolli Gigli confermato presidente

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Cobolli Gigli è stato riconfermato alla guida di Federdistribuzione, l’associazione della distribuzione moderna in Italia. Confermato anche il vicepresidente Giuseppe Brambilla di Civesio (Carrefour Italia). “Operiamo in un periodo complicato per il Paese, che sta cercando di tornare a crescere -spiega il presidente- La distribuzione moderna può fornire un contributo fondamentale nel cammino per la ripresa, attraverso la costante azione a tutela del potere d’acquisto delle famiglie, gli investimenti e la capacità di offrire occupazione”. L’impegno di Cobolli Gigli punta a promuovere un generale processo di liberalizzazione dei mercati, un approccio etico e sostenibile e attenzione ai consumatori.

iovanni


carni L’ente governativo per la promozione dei prodotti irlandesi, Bord Bia, ha presentato al ristorante La Brughiera i primi sei chef italiani associati al Chefs’ Irish Beef Club. Nato nel 2004, conta importanti stellati in tutto il mondo quali ambasciatori del pregiato manzo Hereford

Dall’Irlanda all’Italia con sapore Jenny Maggioni

‘‘L’ Sopra, Francesco Cassarino riceve la statuetta premio da Liam MacHale, direttore per l’Italia di Bord Bia. Sotto, lo chef Paolo Benigni e alcune sue creazioni con il manzo Hereford

erba del vicino è sempre più verde”, recita il noto proverbio. Ma, quando si parla

d’Irlanda, più che un saggio insegnamento popolare, questa è una sacrosanta verità. E se, per citare un altro modo di dire, esistesse davvero l’“erba voglio”, non crescerebbe nel giardino del re, ma negli sconfinati pascoli d’Irlanda. Qui vive l’Irish Hereford Prime, il pregiato manzo irlandese, conosciuto in Italia grazie a Bord Bia (Irish Food Board), l’ente governativo dedicato allo sviluppo dei mercati d’esportazione dei prodotti alimentari e delle bevande irlandesi. “Caratterizzato da una marezzatura fine e da un intenso colore rosso, Hereford Prime ha gusto intenso e tenerezza e consistenza straordinarie”, spiega Paula Butterly, sales and marketing manager di Abp Italy, azienda che produce e distribuisce Irish Hereford Prime. Proprio per tali caratteristiche, questa antica razza bovina, originaria dalla contea inglese dell’Herefordshire, introdotta in Irlanda nel 1775, è l’ingrediente di punta di molti importanti chef stellati nel mondo, dalla Francia all’Olanda, dalla Svizzera alla Germania, dal Belgio all’Inghilterra uniti, dal 2004, nello Chef’s Irish Beef Club (Cibc). A questi 65 cuochi internazionali si sono aggiunti anche i primi 6 italiani: Francesco Cassarino del Caravanserraglio di Ragusa, che in qualità di primo

associato italiano ha ricevuto la statuetta con il toro irlandese, Daniele Repetti del Nido del Picchio a Carpaneto Piacentino (Pc), Sara Conforti dell’Osteria del Vicario di Certaldo (Fi), Andrea Fusco del Giuda Ballerino di Roma, Giuliana Germiniasi del Capriccio di Manerba del Garda (Bs) e Paolo Benigni de La Brughiera di Villa d’Almè (Bg). Proprio in quest’ultimo ristorante, il patron Stefano Arrigoni ha festeggiato l’evento con una cena speciale che ha proposto TarTaki di manzo al caviale di tartufo nero, fave, cipolla fritta e pecorino; Lasagna aperta al sugo di Hereford, pane al pomodoro e parmigiano e Filetto di manzo shabu shabu al fumo di rosmarino, yogurt, pino, miele e limone. “Gli chef sono i migliori ambasciatori della nostra carne -afferma Liam MacHale, direttore per l’Italia di Bord Bia- I professionisti parte dello Chefs’ Irish Beef Club selezionano solo prodotti di eccellenza per le loro preparazioni e ne garantiscono un’esecuzione perfetta”. “Dopo averne provate tante, ho scelto la carne irlandese perché per me è la più succulenta -spiega Cassarino- E, in effetti, per fare due esempi, anche la semplice lombata con l’osso o il Roast beef cotto nel forno a legna sono sempre eccellenti”. F&B Food&Beverage maggio 2014 | 23


associazioni Un nuovo presidente, Igles Corelli, uomo forte e d’immagine, l’apertura a nuovi soci e l’impegno a porsi anche come organo politico-sindacale pronto a reagire alle richieste del settore e alle imposizioni del sistema tutelando i propri

170 associati. Che puntano ad arrivare a 500 entro il 2015

Il nuovo corso della Uir Stefano Masin

L’ Igles Corelli, neopresidente dell’Unione italiana ristoratori. A destra, lo chef Giancarlo Morelli con il direttore dell’Uir, Savino Vurchio

Unione italiana ristoratori ha un nuovo presidente: Igles Corelli, ritenuto un maestro della cucina italiana d’autore, i cui piatti sono considerati esempi di genialità e alta professionalità. La sua capacità divulgativa, la sua generosità e disponibilità hanno contribuito alla crescita di tanti giovani appassionati, oggi cuochi famosi e apprezzati. Il nuovo presidente, uomo forte e d’immagine, rappresenta il punto più alto della fase di cambiamento dell’Uir, nata 43 anni fa, che l’anno scorso ha aperto le porte accogliendo nuovi iscritti (erano 100) così che, oggi, il numero è salito a 170, con un giro d’affari complessivo di 140 milioni di euro: nelle intenzioni del presidente, entro il 2015 si dovrà arrivare a 500 soci. Ma cosa è cambiato? “Essere socio dell’Unione italiana ristoratori, infatti, non vuol dire solo dare visibilità al proprio ristorante, bensì affidarsi ed essere parte di un sistema che mira al raggiungimento di obiettivi concreti volti alla soluzione dei problemi dell’impresa di ristorazione- spiega Corelli, titolare del ristorante Atman, a Pescia (Pt), che a breve sposterà a VinciVogliamo alzare il livello e puntare su eventi di grande immagine dando un’impostazione più moderna all’associazione, con progetti sulla formazione di cuochi e ristoratori e raggiungere una maggiore visibilità grazie anche al nostro portale, così da avere voce in capitolo nelle decisioni politiche che riguardano il nostro settore”. Siamo quindi a una svolta, ma già un anno e mezzo fa l’associazione ha cambiato la propria mission

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pur mantenendo come obiettivo la valorizzazione dei prodotti tipici e della cucina tradizionale. Per la prima volta, Uir si pone anche come organo politicosindacale pronto a reagire alle richieste del settore e alle imposizioni del sistema tutelando i propri associati grazie a consulenti del lavoro, finanziari e fiscali, e all’impegno del neo vicedirettore Mario Palmieri. Negli ultimi mesi l’associazione sta affrontando problemi importanti che, seppur apparentemente secondari, nel concreto affliggono la categoria. Due esempi su tutti: il problema delle commissioni sulle carte di credito, troppo alte se considerato il fatto che oggi circa il 90 per cento dei clienti paga con la carta; e la richiesta di cauzione per la prenotazione dei tavoli: un’altra questione che secondo l’Uir deve essere affrontata con serietà. L’Italia, infatti, è uno dei pochi Paesi in cui non è ancora ammessa la richiesta della carta di credito come cauzione per la prenotazione di un ristorante, cosa che accade normalmente, ad esempio, per le prenotazioni degli alberghi. Uir si sta concretamente attivando, quindi, per affrontare questa tipologia di problemi avviando trattative con le compagnie di credito e inoltrando richieste agli organi competenti per uscire dall’immobilismo burocratico alla base della legislazione vigente. F&B


Direttamente dai pascoli Scozzese, la carne rossa dal sapore vero!

Per informazioni potete chiamare l’Ufficio Italiano Carne Scozzese Tel 051 6569014 o mandare una mail a info@gsgitaly.it

Campagna finanziata con il patrocinio dell’Unione Europea. Food&Beverage maggio 2014 | 25

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La carne bovina Scozzese e la carne di agnello Scozzese godono del riconoscimento IGP in quanto provengono da animali che sono nati e che hanno trascorso tutta la loro vita in Scozia, nel massimo rispetto sia dell’ambiente che dell’ animale; sono stati allevati in grandi pascoli verdi seguendo i metodi più tradizionali ma anche gli schemi di produzione rigorosi, che riguardano tutta la filiera, per garantire la massima bontà e la massima sicurezza!


LODGE&SPA capri

Piaceri del palato al Villa Marina A

pochi passi dalla celebre piazzetta, il Villa Marina Capri Hotel & Spa, è stato conservato come ai primi del Novecento, con un voluto nostalgico richiamo a quella Capri letteraria dei tempi che furono. Lusso e comfort si fondono all’arte, uno tra i maggiori tratti distintivi della struttura, che si ritrova nello stile architettonico, negli arredi e nei numerosi pezzi unici che la contraddistinguono. Le 21 raffinate camere, dalla classica alla pool suite, sono ognuna diversa dall’altra, arredate con oggetti e opere d’arte degli artisti che hanno caratterizzato la vita dell’isola (tra gli altri Pablo Neruda, Axel Munthe, Curzio Malaparte, George Norman Douglas), ma contemporaneamente sono avvolte da un’atmosfera fortemente innovativa. I buongustai possono godere delle specialità locali e famigliari dello chef Manuele Cattaruzza al ristorante Ziqù, con la sua eleganza discreta e le luci soffuse di lanterne e candele.

Ascona

Frequente, executive chef de La Brezza

N

uovo executive chef a La Brezza, ristorante dell’Hotel Eden Roc

di Ascona, in Svizzera: è Salvatore Frequente, che già si divide tra il Carlton Hotel St. Moritz e l’altro ristorante dell’Eden Roc, il Marina. Al suo fianco, il maître e sommelier Giovanni Ferraris che cura ogni dettaglio per un servizio ineccepibile. “Le delizie del sud per il piacere dei sensi”, è la filosofia che Frequente propone nel ristorante, dove protagonisti sono ricette mediterranee, leggere e autentiche. Di origini siciliane, lo chef dimostra la sua grande passione per la selezione delle materie prime, dando priorità alla qualità e alla provenienza. Non solo prodotti del territorio, ma anche delizie dell’area del Mediterraneo, che elabora in abbinamenti di sapori a volte contrastanti, ma ricchi di gusto e genuinità.

verona

Palazzo Victoria tra passato e futuro

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ituato nel cuore di Verona, a due passi dall’Arena, Palazzo Victoria, il prestigioso hotel firmato Salviatino Collection, è il risultato della sovrapposizione millenaria di arti, culture, innovazioni architettoniche e stili. Più che un palazzo, un museo, dove i resti di civiltà passate non sono solo leggende. Rovine d’epoca romana, affreschi classici e rievocazioni della tradizione veneta sono parte integrante dell’albergo con i suoi scorci, i suoi vicoli e i suoi dipinti. L’hotel, con 74 camere decorate individualmente e arredate con grande charme, con le aree verdi, il cortile all’aperto e la lobby, si propone con eleganza e discrezione come la nuova “piazza veronese”. La ristrutturazione gli ha conferito un’anima contemporanea rispettandone la sua multiforme storicità: un ambiente elegante e raffinato dove tecnologie di ultima generazione si uniscono ai sapori antichi del passato.

eventi

val pusteria

Nell’Italia del gusto con Relais & Châteaux

Alpen Tesitin riparte rinnovato

Dopo la serata a Château Monfort di Milano con la cena a quattro mani del resident chef Marco Offidani e lo chef ospite Luis Haller del Castel Fragsburg di Merano (Bz), una stella Michelin, continuano gli appuntamenti del Relais & Châteaux Gourmet Festival 2014 che celebra i 60 anni dell’associazione. Un viaggio gastronomico che attraversa l’Italia per scoprire specialità territoriali reinventate secondo un innovativo approccio culinario: inedite coppie di chef creano menu originali, in abbinamento a vini di pregio, primo fra tutti Champagne Pommery. Prossime tappe: il 17 maggio l’Hôtel Londra Palace di Venezia ospita Michel Rochedy e Stephane Buron; il 21 il Grand Hôtel Villa Cora di Firenze incontra Il Luogo di Aimo e Nadia.

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A giugno riapre con nuove camere e una spaziosa zona benessere l’Alpen Tesitin, quattro stelle superior della famiglia Feichter a Tesido (Bz), in Val Pusteria. La tradizione sudtirolese si respira in ogni luogo dell’albergo, dal bar circolare al centro dell’hotel, nella stuben, nella lounge sigari, nella biblioteca, nell’antica cantina di vini e sulla terrazza panoramica, dalla quale godere della vista mozzafiato delle Dolomiti. L’amore par la montagna e per i territorio si ritrova in cucina, con piatti e prodotti tipici dell’Alto Adige, dal pane della Val Pusteria ai formaggi locali. Il nuovo centro benessere ha saune e piscine, coperte e scoperte, per una remise in forme a 360 gradi.


perugia

Soggiornare nella storia

A

gli inizi del XVII secolo, San Pietro Sopra le Acque era un convento di Cappuccini che, oggi, grazie a un sapiente restauro che ne ha mantenuto le caratteristiche e l’atmosfera, è stato trasformato in un’affascinante residenza d’epoca a Massa Martana (Pg). Circondata da un bosco secolare di querce e lecci, la residenza San Pietro Sopra le Acque ha un curato giardino all’italiana con roseto, una piscina, un centro benessere di nuova concezione e un affascinante percorso archeologico su un’antica necropoli romana. Le camere sono ricavate nelle originarie celle dei monaci e dotate di tutti i moderni comfort. Al ristorante Bistrot Il Sampietrino si gustano i piatti tipici della tradizione umbra, sapientemente rielaborati e presentati con cura.

alto adige

Natura e design al Pfösl

I

mmerso nell’ambiente naturale

e incontaminato delle Dolomiti, patrimonio dell’Umanità Unesco, ai piedi della catena montuosa Latemar e Catinaccio, l’Hotel Pfösl di Nova Ponente (Bz), 4 stelle superior dei Vitalpina Hotels Alto Adige/Südtirol, consorzio che riunisce i migliori alberghi altoatesini specializzati in vacanze escursionistiche, offre un ottimo compromesso tra tradizione e design. Le camere e tutte le parti comuni dell’hotel sono realizzate esclusivamente con materiali ecologici e del territorio, dalla pietra, al legno, al vetro. Stessa filosofia per la cucina affidata allo chef Markus Thurner, con largo utilizzo, oltre che di erbe alpine, anche delle verdure fresche dell’orto, mentre il giovedì è la giornata dedicata al pane fatto artigianalmente insieme agli ospiti. Erbe di montagna e ingredienti locali anche nella Nature Spa.

Collio

Un tuffo nel tempo al Castello di Spessa

O

riginario del 1200 e legato a nobili casate e illustri ospiti, il Castello di Spessa,

nel cuore del Collio Goriziano, a Capriva del Friuli (Go), ospita 15 eleganti suite con mobili del’700 e ’800 italiano e mitteleuropeo e, scavata nella collina sottostante, la più antica e scenografica cantina del Collio, dove invecchiano i pregiati vini della tenuta. Dal restauro di una vecchia cascina ai piedi del maniero è stata ricavata la Tavernetta al Castello, con un ristorante gourmand e 10 camere dall’atmosfera country chic. La Club House è ospitata in un antico rustico, con dehor e una terrazza che dà sul giardino e sul campo da golf: nell’Hosteria del Castello la cucina rincorre la stagionalità e ricalca i sapori del territorio, con un’ottima selezione di salumi e formaggi friulani. A completare il resort, l’agriturismo La Boatina, con 5 camere e il ristorante La saletta del gusto per cene informali.

jesolo

Almar, destination spa a cinque stelle Centonovantasette camere, dall’executive suite alla family, un ristorante da 300 coperti, un auditorium con 650 posti, due piscine e una spa dalle proporzioni regali: il primo hotel a 5 stelle del litorale jesolano, Almar Jesolo Resort&Spa, gestito da H&F, società del gruppo Hnh, che aprirà a fine maggio, sarà il polo ricettivo più esclusivo della costa nord adriatica. Affacciato sul mare, a pochi passi dalla centrale isola pedonale di Lido di Jesolo (Ve), Almar mira a diventare meta ambita tutto l’anno come “destination spa” di punta della regione, grazie ad Almablu, wellness center di 2 mila metri quadrati. E per i buongustai c’è il ristorante Mediterra, omaggio alla cultura gastronomica mediterranea e alla tradizione veneta.

Messico

Al Maroma Resort & Spa il benessere è deluxe Circondato da una lussureggiante vegetazione e da una spiaggia di finissima sabbia bianca nella riviera Maya, in Messico, il Maroma Resort & Spa, firmato Orient-Express Hotels Ltd., offre un’esotica combinazione di rituali tradizionali e proposte anti-age grazie alla Kinan Spa. Il centro benessere, progettato secondo l’allineamento celeste per creare un flusso di energia positiva, conta dieci sale disposte da est a ovest e ha una vasta gamma di tecniche di ringiovanimento, ciascuna delle quali si conclude con una tisana rilassante e antiossidante a base di foglie di chaya. Attenzione anche ai piaceri della gola, grazie ai ristoranti e ai bar che offrono cucina tradizionale messicana, come El Restaurante e El Sol Tapas & Restaurant.

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Businessnews mercati

L’Italia cresce con i prodotti Halal F

orse è un po’ azzardato affermare che una soluzione alla crisi italiana potrebbe arrivare dai prodotti Halal, ma è una realtà il fatto che si tratti di un mercato da tremila miliardi l’anno, in crescita del 15% annuo, che raggiunge due miliardi di musulmani. Per aprire le porte a questo potenziale, le imprese italiane di ogni tipo, dal cibo, alla cosmesi, all’abbigliamento, devono produrre secondo standard previsti dalla Sharia, cioè dalla legge islamica che stabilisce cosa è Halal, quindi ammesso per il consumo, e cosa è Haram, ovvero proibito, come suino e alcol. “L’Italia ha tutte le carte in regola per diventare il Paese leader nelle esportazioni verso il mondo islamico -ha sostenuto Sharif Lorenzini, presidente della sezione italiana di Halal International Authority (Hia), l’unico organismo riconosciuto per la certificazione di qualità secondo gli standard islamici, in occasione del World Halal Food Council, che si è svolto a Roma, riunendo i rappresentanti dei 57 Stati islamici dell’Organization for Islamic Cooperation (Oic)- Produrre secondo i dettami Halal rappresenta un ritorno alla natura e alla semplicità, senza alcun costo aggiuntivo per l’azienda che si adegua. E le imprese italiane sono agevolate in questo processo poiché gli standard di qualità sono già molto elevati’’. Lo sanno bene le 270 imprese nazionali che in tre anni si sono certificate vedendo salire il fatturato: 150 hanno cominciato a certificarsi perché hanno avuto un ordine dal mondo islamico, partendo con una percentuale di certificazione tra il 3% e il 5%, ma in tre anni sono arrivate al 60-70%. “Parecchie stavano per chiudere, invece ora non riescono a far fronte da sole a tutte le richieste che provengono da Sud-Est asiatico, Malesia, Indonesia, Arabia Saudita -ha sottolineato Lorenzini- A queste verrebbero incontro gli sceicchi disposti ad aprire nuove sedi e ad assumere personale”. Secondo le stime, le esportazioni italiane verso i mercati islamici ammontano a 15-16 miliardi l’anno, ma è in grande crescita il giro d’affari anche tra i cinque milioni di musulmani in Italia.

società

Acqua Sangemini passa a Norda

I

l Gruppo Norda-Gaudianello

ha firmato il contratto di affitto-acquisto di Sangemini Spa, come autorizzato dal Tribunale di Terni, nel pieno rispetto dell’accordo sindacale siglato lo scorso 1° marzo, che prevede il mantenimento della quasi totalità degli addetti (95 su 102). Un’operazione che ha così scongiurato il fallimento di una storica realtà italiana del settore delle acque minerali. La nuova società Sangemini Acque Spa ha dunque ripreso la produzione e la commercializzazione dei prodotti. “Resta ora alla Sangemini Acque Spa perseguire nella maniera più efficiente lo scopo sociale e le previsioni del piano industriale, così da poter sviluppare nuovi e più importanti progetti tesi anche a incrementare lo sviluppo industriale di tutto il territorio al fine di creare ulteriori opportunità di lavoro e integrare, nel tempo, altra maestranza”, sottolinea Carlo Pessina, presidente del Gruppo Norda-Gaudianello.

export

fatturati

Il Verdicchio conquista il mondo

Oltre 83 milioni di euro per Marchesi Frescobaldi

Record per il vino bianco più premiato dalle guide 2014, che si conferma ambasciatore delle Marche nel mondo: l’export del Verdicchio vola (+41,6%) e raggiunge 17 milioni di euro. Tra i mercati di riferimento, gli Stati Uniti (che assorbono circa il 60% delle esportazioni), seguiti da Canada, Giappone e Svizzera. In Europa, la parte del leone la fa il Nord Europa, in particolare Belgio, Olanda, Germania, Svezia e Inghilterra. Crescono anche i volumi esportati (+10%), che toccano quota 8,58 milioni di bottiglie. Il Verdicchio ha grandi potenzialità anche nel segmento degli spumanti: per ora una nicchia di 200 mila bottiglie e un fatturato di 1,2 milioni di euro, ma l’interesse è in crescita.

Marchesi de’ Frescobaldi ha registrato nel 2013 un fatturato di 83,5 milioni di euro, in linea con quello del 2012, ma con un incremento del 4,3% del solo comparto vino, una buona crescita del mercato italiano, nonostante la perdita di 3,3 milioni di euro dovuta alla chiusura dei due winebar a Fiumicino, e un piccolo aumento dell’estero (1%), trascinato da Usa e Svizzera. Da sottolineare l’ottima performance dell’Italia che, da sola, cresce del 6,1%, il che non accadeva dal 2010. A livello reddituale, il Gruppo vitivinicolo toscano si aspetta ottimi risultati con un Ebitda atteso vicino al 30% del fatturato.

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acquisizioni

Ai Lunelli il 50% di Bisol

L

a famiglia Lunelli, proprietaria del marchio Ferrari, ha acquisito il 50% di Bisol,

storica cantina di Valdobbiadene (Tv), leader nella produzione di Prosecco Superiore. L’operazione consolida la leadership del Gruppo trentino nel mondo delle bollicine e permette di finanziare un ambizioso piano di crescita di Bisol da realizzare nel segno della continuità: la famiglia Bisol prosegue, infatti, il proprio impegno in azienda con Gianluca Bisol come presidente e direttore generale. L’ingresso nella cantina veneta è avvenuto grazie a un aumento di capitale: “Con questa operazione potremo raccontare al mercato la diversità delle bollicine italiane: Ferrari ha una lunga tradizione nel metodo Classico e Bisol rappresenta una storica eccellenza del territorio trevigiano”, spiega Matteo Lunelli, amministratore delegato del Gruppo di famiglia che assume la carica di vicepresidente della Bisol.

RISTORAZIONE

Anno in negativo con 9 mila chiusure

A

ncora numeri negativi per il comparto dei ristoranti secondo il rapporto stilato dal centro studi Fipe-Confcommercio su dati provenienti dagli archivi del registro delle imprese gestiti dalle Camere di commercio: a livello complessivo il 2013 ha visto oltre 9 mila realtà chiudere i battenti. Il numero delle imprese è 315.665, ripartito in 148.164 bar (46,9%), 164.519 ristoranti (52,1%) e 2.982 (0,9%) mense e catering. La Lombardia conta il maggior numero di società (15,4%) seguita da Lazio (10,7%) e Campania (9,3%). Il bar ha visto restringere la concorrenza di circa 4.295 unità. Andamento differente si registra fra la ristorazione tradizionale e il take away: nel primo caso il saldo tra aperture e chiusure è di -3.068 imprese; nel secondo è di -593 imprese. A Milano, la concorrenza si è estesa con 21 nuove attività per il take away, ma si è ridotta di 8 ristoranti tradizionali.

bilanci

Rocca delle Macìe continua a crescere

B

ilancio positivo per Rocca delle Macìe: al primo trimestre del 2014 il posizionamento dei suoi vini sul mercato interno ha registrato una crescita del 12%, mentre all’estero le vendite sono incrementate del 16%. “L’attenzione che abbiamo riposto al mercato interno è un concetto che per noi è sempre rimasto molto chiaro e perseguito senza sosta -spiega Sergio Zingarelli, titolare dell’azienda toscana- Soddisfare i consumatori italiani non è stato un lavoro ‘straordinario’, un’esigenza di questi ultimi anni, ma è un impegno che viene da lontano. E che abbiamo perseguito nei quarant’anni di vita di Rocca delle Macìe fondata da mio padre Italo”. A Castellina (Si), nel cuore del Chianti Classico, l’azienda continua a produrre vini di qualità elevata puntando alla valorizzazione del sangiovese, il suo vitigno di riferimento.

esselunga

Fatturato in aumento e nuove aperture Bilancio in positivo per Esselunga che ha chiuso il 2013 con vendite pari a 6.957 milioni di euro, in crescita dell’1,7% rispetto al 2012, e con clienti aumentati dell’1%. L’utile netto è ammontato a 210 milioni di euro, in calo dai 245 milioni del 2012. Il margine operativo lordo è stato pari a 505 milioni di euro, mentre il risultato operativo si è attestato a 328 milioni di euro dai 367 milioni del 2012. La diminuzione è causata sia dall’assorbimento dell’inflazione ricevuta dai fornitori e della crescita dell’Iva che non sono state trasferite ai clienti, sia dall’aumento di alcuni costi operativi. Continua lo sviluppo della rete con l’apertura del primo negozio nel Lazio, ad Aprilia, dello store di Milano Porta Vittoria e del polo logistico di Firenze.

strategie

Amb acquista Artigiana Prosciutti Amb Spa, azienda del settore del packaging alimentare di San Daniele del Friuli (Ud), ha acquisito la struttura produttiva de L’Artigiana Prosciutti Spa, con sede sempre a San Daniele. “L’esperienza maturata e la conoscenza approfondita del settore alimentare ci permettono di ipotizzare un rilancio de L’Artigiana Prosciutti in tempi brevi -afferma Bruno Marin, presidente di Amb- Per la nostra azienda si tratta di un’opportunità di diversificazione che ben si integra con il percorso industriale che abbiamo seguito fino a oggi. Un’acquisizione che è stata anche una scelta di cuore, nata fra imprese dello stesso territorio”. Il piano industriale prevede una ricognizione delle professionalità e l’impiego ottimizzato degli attuali impianti produttivi, tra i più moderni del comprensorio.

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chez... Ci stupiscono, ci emozionano, ci fanno scoprire sapori nuovi e inaspettati, dando vita ad abbinamenti creativi o rivisitando piatti della tradizione. Ma gli chef cosa mangiano? Quali segreti nascondono? Quindici domande per scoprire non le “pubbliche virtù”, ma i “vizi privati” dei grandi cuochi

...Chef

...Chef

A casa tua chi cucina? Mia moglie Ilenia Il tuo piatto preferito? Tutti quelli buoni La ricetta che ami di più cucinare? Il pesce Una cenetta in pace: cosa ti prepari? Una zucchina bollita e frullata, con un filo d’olio e un pizzico di sale La ricetta per conquistare è... Spaghetti di grano arso con ostriche affumicate e una zuppa di olio e acqua di pomodoro La tua cucina in una parola... Sana Il piatto che ti ha sorpreso di più? Gli gnocchi di mia mamma Qual è il ristorante dove ti rifugi quando non vuoi cucinare? La Primula, San Quirino (Pn) Da quale collega vorresti andare a cena? Da tutti i miei amici Per quale collega ti emozionerebbe cucinare? Gualtiero Marchesi Con chi faresti uno scambio di ristoranti? Con Moreno Cedroni Per quale personaggio reale o di fantasia ti piacerebbe cucinare? Alberto Tomba Se non avessi fatto il cuoco... Chissà... Hai un budget illimitato: un ristorante a... Niente ristorante. In barca tutta la vita Il guanto della sfida a chi lo lanceresti? A mia mamma coi famosi gnocchi

A casa tua chi cucina? Tutti tranne me Il tuo piatto preferito? Le arancine La ricetta che ami di più cucinare? Spaghetti al pomodoro Una cenetta in pace: cosa ti prepari? Un panino con cotoletta e peperoni La ricetta per conquistare è... Spaghetti con ricci di mare La tua cucina in una parola... Essenziale Il piatto che ti ha sorpreso di più? Cicoria e cicale di Nicola Fossaceca Qual è il ristorante dove ti rifugi quando non vuoi cucinare? Birreria Babette a Napoli Da quale collega vorresti andare a cena? Roberta Sudbrack Per quale collega ti emozionerebbe cucinare? David Muñoz Con chi faresti uno scambio di ristoranti? Heinz Beck, La Pergola di Roma Per quale personaggio reale o di fantasia ti piacerebbe cucinare? Paolo Sorrentino Se non avessi fatto il cuoco... Avrei fatto l’insegnante di lingua e letteratura spagnola Hai un budget illimitato: un ristorante a... Nel MoMA di New York Il guanto della sfida a chi lo lanceresti? Sfiderei mia nonna nella Pasta e fagioli

Emanuele Scarello Agli Amici, Udine

Marianna Vitale Sud Ristorante, Quarto (Na)

Leggete le interviste ad altri chef su www.foodandbev.it



Devero Ristorante Il ristorante del Devero Hotel, a poche centinaia di metri dal casello autostradale di Cavenago, sulla Milano-Venezia, è il regno del giovane toscano bistellato che stupisce con piatti equilibrati, personali e innovativi, ma che non dimenticano le basi classiche della cucina. Con qualche ricordo d’infanzia, di cui risente ancora profumo e sapore

Per Bartolini la cucina è classica e contemporanea Barbara Amati

N Trentaquattro anni, Enrico Bartolini è al Devero Ristorante dal 2010. Ama l’arte, che trova stimolante e divertente, come questo schienale a forma di peperoncino della sedia di Piero Arnoldi che gli ha ispirato uno dei suoi piatti cult: il peperoncino creato con un battuto di gamberi adagiato su una crema di peperone

on potete non vederlo: un enorme cilindro sul quale campeggia la scritta Devero Hotel svetta

a poche centinaia di metri dall’autostrada Milano-Venezia, uscita Cavenago (MB), vicino al casello milanese. Poche centinaia di metri ed eccovi lì, a un indirizzo per appassionati e gourmet a una ventina di minuti dal centro di Milano che si distingue da ogni altro: intanto, proprio perché non si trova nel cuore del capoluogo meneghino, pur senza esserne penalizzato, e poi perché questo è il regno incontrastato (lui direbbe “il luogo di lavoro”…) di Enrico Bartolini, giovane chef bistellato la cui filosofia di cucina riflette esattamente la sua personalità. È, infatti, BE contemporary classic, cioè classica contemporanea (preceduta dalle sue iniziali che corrispondono anche al verbo essere in inglese), il che significa equilibrata, personale e al contempo votata all’innovazione. “Come spesso ricorda Gualtiero Marchesi, per fare alta cucina bisogna conoscere quella classica e le grandi basi; non è niente di nuovo, ma è bello sentirsi ripetere certe volte anche delle banalità per riprenderne atto -sorride lo chef accogliendoci nel salottino che introduce al ristorante circondato dalle sculture che ama, di Pietro Arnoldi e Sergio Alberti- Infatti, da una base solida di cucina classica noi prendiamo il sapore e costruiamo delle ricette che sono attuali perché cambiano i colori, a volte anche le consistenze, senza distaccarsi dalla concretezza del gusto, però portando un po’ di attualità e contemporaneità a un pensiero di cucina particolarmente classico dove si deve ritrovare il calore di sempre, ma ‘corretto’ da un punto di vista nutrizionale, per essere e sentirsi all’avanguardia”. Bartolini è pacato, riservato, riflessivo e determinato, come insegna la sua storia professionale, con un

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sorriso timido, anche se timido non è, e consapevole della grandezza della propria cucina -trasparente, pulita, schietta- che gli ha fatto guadagnare la prima stella Michelin a soli 29 anni e a 33 la seconda, nel novembre scorso, consacrandolo chef di levatura internazionale. Dopo la Scuola alberghiera F. Martini a Montecatini Terme (Pi) e i primi stage nei grandi alberghi della cittadina termale, va all’estero, a Londra, al Royal Commonwealth Club con Mark Page, poi due anni a Parigi nelle cucine di Paolo Pettini e un’esperienza con Piero De Vitis a Berlino. A 22 anni entra nella brigata de Le Calandre dei fratelli Alajmo e nel 2005 apre Le Robinie, nell’Oltrepò Pavese insieme all’hair stylist Aldo Coppola. Lo tiene fino al 2010 quando lascia l’Oltrepò per prendere la gestione di tutta la ristorazione del Devero


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Servizio fotografico di Tommaso Balestra


Devero Ristorante Una calda parete di mattoni racchiude la cucina, svelando il lavoro dei cuochi grazie a una lunga finestra vetrata. Sotto, Pollo, capesante e yuzu e il dessert Mela, gelato Malaga e crumble di spezie

Hotel, rendendo il Devero Ristorante uno dei luoghi dove si mangia meglio in Lombardia. Nato all’ospedale di Pescia, in provincia di Pistoia, sottolinea con orgoglio che la sua famiglia è cresciuta a Castelmartini in via Bartolini: “Da bambino trascorrevo i pomeriggi a guardare mio papà lavorare tra l’odore della pelle e del mastice: faceva le scarpe. Io volevo farle a lui, ma ha preferito che mi dedicassi ad altro, mentre mia mamma mi avrebbe voluto notaio. A me, però, piaceva cucinare. Una passione che si è concretizzata alla fine della Scuola alberghiera, ma già da quando avevo 13 anni lavoravo nel Grand Hotel di Montecatini Terme: la sera al lavoro, la mattina a scuola. Già allora avevo tante passioni, come andare a cavallo o a pescare, ma ho coltivato solo quella per la cucina”. E racconta del suo stupore di bambino quella volta in cui la maestra Fiorenza fece il croccante di zucchero con le mandorle: “Ero rimasto affascinato dal fatto che si facesse semplicemente facendo sciogliere lo zucchero, quando diventa biondo si aggiungono le mandorle tostate, quando è scuro lo si stende sull’ostia, quando è freddo lo sgranocchi: per me quella era una magia e quel profumo lo ricordo ancora. Il cucinare per me è molto scientifico, ma è suggestivo al punto da smuovere le emozioni”. Per Bartolini cucinare è estrarre dagli ingredienti un messaggio rispettando la loro identità: un messaggio fatto di sapore che entra in un piatto dove c’è un’idea: 34 | Food&Beverage maggio 2014

“Spesso non mi sento costretto a tener presente l’acidità, che mi piace sempre e che è la soluzione più facile per rendere elegante una ricetta, per fare salivare, insieme a un pochino di sale, di amaro. Estrarre un sapore significativo, uno solo, che trascini tutte le sfumature intorno in un’espressività molto facile da mettere in bocca; l’impatto deve essere immediato e stupendo”. Dunque, dar rilievo alla trasparenza degli ingredienti cercando di far riconoscere ogni singolo sapore. I suoi piatti nascono da un suo pensiero, da una conversazione con la brigata o da una materia prima che ispira un’idea precisa; altre volte, invece, Bartolini si mette a tavolino e si confronta con i collaboratori: “Si prova e ci si ingolosisce: cioè, si costruisce un contenuto appetitoso e poi si cerca di tirare fuori questo messaggio: se esce diventa facilmente scrivibile sul menu, se non esce ci si gira un po’ intorno, magari si modificano le ricette già proposte prima di crearne di nuove”. Il piatto più laborioso e anche quello maggiormente condiviso, studiato insieme a Mario e Remo Capitaneo, è il Bottone di olio e lime con la salsa caciucco e polpo alla brace, di cui il ritrattista Gianluca Biscalchin ha fatto un cartone animato: “È un’espressione dove l’acidità è rappresentata da una profonda freschezza che invita a una frenetica cucchiaiata nella fondina per ‘prendersi’ il caciucco. Concentrato, fine ed elegante, attraverso le consistenze non sempre tattili, è un piatto un po’ concettuale, ma gratifica il palato perché dà la sostanza che cerco e perché c’è una lunghezza di sapore. Ed è anche il piatto che mi dà maggior soddisfazione. È una visione attuale di modernità, perché è un raviolo che è pensato in maniera molto diversa da come è tradizionalmente, per consistenza, spessore, quantità di pasta, delicatezza. È un’idea originale e si esalta accompagnato da uno Champagne Rosé, ma anche con un Riesling straordinario”.


Tra i suoi piatti cult rimane il Risotto alle rape rosse e salsa gorgonzola (che è anche il più richiesto dai suoi clienti) che quest’anno compie 10 anni: “È una delle mie prime idee, già apprezzato alle Robinie, e non è mai uscito dal mio menu. Mi sono sempre ‘portato dietro’ anche il Manzo con il foie gras e la Guancia croccante. Una volta cucinavo anche l’oca, poi l’ho abbandonata, perché non riuscivo ad avere la stessa qualità di carne tutto l’anno e quindi d’estate la sospendevo ma ogni tanto riappare come un classico”. In carta anche il Manzo Piemontese battuto al coltello con salsa Tartara ed erbe aromatiche, il Maialino croccante con la sua salsa, patate di montagna al burro aspro e crema al prezzemolo e, tra i dolci, il Millefoglie caramellato farcito con crema al mascarpone, servito con gelato alle ciliegie, salsa al cocco e rum. Bartolini non è per l’esclusività del chilometro zero, come è giusto che sia: “Se c’è un’azienda vicino a noi che è molto in gamba la privilegio rispetto alle altre, anche per la possibilità di un rapporto più serio e consolidato, ma oggi non si può non avere voglia di avere l’ingrediente più buono che c’è sul mercato che spesso arriva anche fuori stagione: lì mi freno un po’, ma non troppo. C’è un’azienda della bergamasca con qualche ettaro di orto che ha prodotti favolosi, magari non sempre durante l’anno, ma quando li ha è una delle risorse a cui attingo volentieri: carciofino, carota, porro, cavolo, cipolla, peperone, melanzana, mela. Per le carni mi servo da Franco Cazzamali, tra gli iniziatori del progetto La Granda: con lui c’è un confronto continuo specialmente sul mondo delle frattaglie

e dei quarti, dall’animella, che è il più prestigioso, a tutto il resto”. Oggi nel menu di Bartolini ci sono ricette che sono state ispirate da ricordi d’infanzia, come dalla Coppa d’oro all’amarena: “Mia mamma mi raccontava che d’estate mi dava 200 lire per comprare il gelato della Sammontana. Io lo giravo, mangiavo l’amarena e la meringa che stavano alla base e dicevo che il gelato non mi piaceva. Così, è nata la Crema bruciata (che ha 10 anni) dove sotto ci sono le amarene (oggi usiamo delle visciole buonissime) e le meringhe alle quali abbiamo aggiunto il gelato di mirtilli, il sorbetto e una crema soffice di Marsala che ricorda lo zabaione ed è bruciata come una crème brulée: sono i tre dessert che mangiavo più frequentemente quando ero bambino messi insieme”. Il ristorante, al piano inferiore del maestoso e moderno albergo, è ampio e di elegante semplicità, con una parete di pietra sullo sfondo tagliata da una lunga finestra che mostra la cucina e i cuochi al lavoro. Un ambiente reso caldo da salottini colorati e da diverse sculture di legno di Pietro Arnoldi e opere d’arte di Sergio Alberti, come le sedie con lo schienale rosso che ricorda il peperoncino e che ha ispirato un piatto dello chef: una piccola entrée che rappresenta un peperoncino lucido, marmoreo, tenerissimo, creato con un battuto di gamberi; su tutto c’è una crema di peperone, perché non sia troppo piccante, una foglia di pimpinella e acqua del prezzemolo gigante italiano emulsionata: un piatto che è una vera opera d’arte. “Su tutti amo Lucio Fontana perché mi emoziona molto il suo

Enrico Bartolini circondato dalla sua brigata: da sinistra, Lorenzo, Danilo, Vincenzo, Mario, Remo, Tommaso, Alberto, Pablo e Masa. Sotto, Lumache della Lomellina con mela verde, paté di fegatini e salsa delicata all’aglio

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Devero Ristorante

Bartolini crea una cucina classica che rende contemporanea con felici intuizioni: per lui, l’arte del cucinare significa estrarre dagli ingredienti un messaggio fatto di sapori rispettando la loro identità, come nell’Animella di vitello con patata alla cenere, sopra, e nel Piccione in differenti cotture con millefoglie di patate

gesto di tagliare la tela -confessa lo chef- Io lavoro con le mani e vedere che qualcuno riesce a trasformare un gesto in un’opera d’arte mi suscita un’ ‘invidia’ da prestazione; così come mi emozionano Giacometti e Marini, nelle cui opere la forma del corpo riassume un movimento semplice che mi trasmette qualcosa...”. Al Devero Bartolini ha trovato un luogo in cui sta bene: “Lo sento mio, pago un affitto e sono indipendente. Sono socio unico e mi occupo di tutta la ristorazione dell’albergo con una trentina di collaboratori. Dal punto di vista lavorativo il mio sogno è potermi concentrare di più su molti meno numeri con la stessa gratificazione che ho oggi; nel privato, invece, mi piacerebbe ritrovare quell’aspetto bucolico che mi circondava in Toscana quando ero piccolo. E lo sogno più delle stelle e dei centesimi, perché continuo a preferire i cipressi della mia azienda in Val d’Orcia per la quale stiamo progettando un futuro ‘produttivo’. Inoltre, in Val d’Orcia seguo l’Osteria Perillà di Pasquale Forte, proprietario dell’azienda vitivinicola Podere Forte, che ha splendidamente ristrutturato a Rocca d’Orcia, a 150 metri d’altezza sulla rocca dove c’è la prigione di Caterina da Siena, un locale in cui lo chef Federico Sgorbini, che è un nostro ex collaboratore, sta facendo un gran lavoro utilizzando meravigliose materie prime a chilometro zero, dall’erba spontanea alla carne allevata con criteri steineriani”. Anche se, poi, ad esempio, a Bartolini piace anche Dubai, dove ogni volta che va scopre sempre qualcosa di stupendo

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e sa che lì non si annoierebbe mai: così, fantastica di aprire qualcosa in quel Paese. Intanto, a giugno inizierà una nuova attività a Hong Kong per la quale darà un contribuito, ma, di fatto il cuoco che seguirà la cucina è un ragazzo che viene dalle cucine del Devero. Tra tante attività, al Devero e fuori, di tempo libero quasi non ce n’è e, ad esempio, Enrico si dispiace di trascurare Colette, la sua cavalla, una professionista di 11 anni, nel pieno della forma, “che fa certi salti stupefacenti... La mia libertà è spesso legata al lavoro: è un po’ uno stile di vita per chi fa questo mestiere; andare da un fornitore diventa un viaggio di piacere, così mi faccio accompagnare da tutta la famiglia: da Francesca che, anche se ora fa la mamma a tempo pieno di Tommaso, sei anni, e Giovanni, uno, è un’imprenditrice agricola appassionata della terra e della campagna. La famiglia per me è un grande punto di riferimento: ho imparato a essere compagno e ora anche papà”. Enrico è molto affettuoso con i figli, gli piace giocare con loro, li trova stimolanti, divertenti e sorprendenti in certi loro commenti e riflessioni. E i rimandi all’infanzia che ritornano talvolta nei suoi piatti forse sottolineano quel suo essere legato a un mondo innocente, a una situazione idilliaca vissuta e che gli piace sempre immaginare e vorrebbe F&B rendere reale. scheda

Devero Ristorante Devero Hotel largo Kennedy 1 20873 Cavenago di Brianza (MB) tel. +39 02.95335268 ristorante@deverohotel.it www.deverohotel.it


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barilla Da sempre attento alla sostenibilità, il Gruppo alimentare di Parma ha misurato l’impatto ambientale del suo formato FoodService da cinque chili, dalla produzione alla cottura professionale, ottenendo l’Environmental Product Declaration che ne attesta la sensibilità

Anche la pasta al ristorante è green Federica Belvedere

‘‘B I formati di pasta Barilla per l’horeca minimizzano la produzione di CO2

uono per te, buono per il Pianeta” : una filosofia da sempre nel Dna

di Barilla (www.barillagroup.it), che da una bottega di pane e pasta a Parma nel 1877 si è trasformata oggi nel leader mondiale nella produzione di pasta, europeo per i sughi pronti e player italiano nella pasta per il settore horeca, con una schiera di consumatori e chef seguaci appassionati in tutti cinque continenti. Non per niente è il suo motto. Un concetto e un amore per l’ambiente che Barilla ha reso concreti nei suoi prodotti, a casa come al ristorante. Primo fra tutti la pasta secca di semola di grano duro Barilla FoodService (www.barillafoodservice.it) da 5 chilogrammi, prodotta, per estrusione o laminatura e con un successivo processo di essiccazione, negli stabilimenti italiani di Caserta, Foggia e Pedrignano, nel Parmense (il più grande sito produttivo di pasta al mondo, dal quale ogni giorno escono 150 mila chilometri di spaghetti, sufficienti a fare quattro volte il giro della terra), certificata dalla Dichiarazione ambientale di

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prodotto validata secondo i requisiti del sistema internazionale Epd® (Environmental Product Declaration). Dalla coltivazione delle materie prime alla cottura professionale, la metodologia del Life Cycle Assessment ha quantificato i consumi di acqua (water footprint), anidride carbonica (carbon footprint) e suolo (ecological footprint) necessari per produrre ogni chilogrammo di pasta servita dai ristoranti che scelgono Barilla, confermando la sua attenzione per la sostenibilità. I dati di impatto ambientale misurati tengono già conto dell’importante traguardo raggiunto dal Gruppo con la diminuzione dell’uso di film plastico nel proprio packaging, pari a 100 tonnellate annue circa sulla gamma FoodService 5 chilogrammi, con un beneficio complessivo per l’ambiente di 350 tonnellate di CO2 equivalente in meno emesse nell’atmosfera: un quantitativo comparabile a 50 giri dell’Equatore in auto. “L’impegno di creare ogni giorno prodotti buoni per le persone e contemporaneamente buoni per il Pianeta fa parte della mission stessa del Gruppo Barilla -dichiara Marco Gandolfi, marketing senior manager out of home- La Dichiarazione ambientale di prodotto Epd® credo sia un elemento distintivo rilevante e contemporaneamente di creazione di valore per il mercato business-to-business dei prodotti F&B per la ristorazione”.


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AZIENDE A quarant’anni dalla nascita, la maggior realtà abruzzese sottolinea con un nuovo marchio lo spirito del profondo rapporto con la terra e i suoi

codici naturali, fatti di fatica e lavoro nell’unicità del proprio territorio.

E lo festeggia con un nuovo vino, Rina Passerina, uno Charmat intenso

Codice Citra il destino nel nome Stefano Masin

A Codice Citra vanta 6 mila ettari di vigneto nella zona di Ortona lavorati da 3 mila produttori

rchiviati i primi quarant’anni che hanno visto Citra, la maggior realtà abruzzese forte 3 mila

produttori con 6 mila ettari di vigneto della zona di Ortona (Ch), raggiungere risultati qualitativi e d’immagine forse inimmaginabili nel 1973 quando fu fondato, l’azienda festeggia un nuovo inizio, declinato in un nuovo nome: Codice Citra, puntando su un pay-off e una brand strategy più moderni ed evocativi. “Per riposizionarci e rispondere meglio alle sfide del futuro abbiamo compiuto uno studio sulla nostra ragion d’essere individuando i valori fondanti della marca e il nostro specifico talento d’impresa -spiega il presidente Valentino Di Campli- Il risultato è il passaggio da Citra a Codice Citra, due parole, piena sintesi dell’unione tra un territorio, l’Abruzzo Citeriore, e le famiglie dei soci, che di generazione in generazione operano e portano avanti la coltura della vite in questa culla vocata, seguendo una sorta di codice etico oltre che produttivo”. Il logo, realizzato da Robilant & Associati, riporta, infatti, anche la scritta Vini, Volti, Valori, a indicare la forte coesione delle persone appartenenti a Codice Citra e il forte legame tra tradizione e innovazione. A completare logo e pay-off, il claim “di vite in vita” quasi a indicare la vite che non smette mai di vivere ma, al contrario, rinasce sotto forma di vino o, meglio, dei vini di Codice Citra. È un marchio che incarna perfettamente lo spirito del profondo rapporto di Citra con la terra e i suoi codici naturali, fatti di fatica e lavoro nell’unicità del proprio territorio. Un legame che si esprime fin dal nome scelto dai soci fondatori: Citra, infatti, è un avverbio latino che significa “al di là”, ed era il nome di uno dei due Principati in cui era diviso l’Abruzzo nel XVII secolo, ai tempi del Regno dei Borbone, al di là delle vette del Gran Sasso, della


Majella e del fiume Pescara, fino alla costa adriatica. A scrivere la prima pagina di questo nuovo racconto è stato Carlo Petrini, presidente di Slow Food che, con il motto “buono, pulito, giusto”, sposa perfettamente la filosofia di Codice Citra, che collabora, appunto, con Slow Food Abruzzo Molise. “Citra vuole che questo codice del vino diventi lo strumento per rinnovare anno dopo anno la promessa di fedeltà ai suoi valori fondanti”, aggiunge il presidente. L’azienda, che opera a tutto campo, segue attraverso i propri tecnici fin dalle prime fasi della maturazione le uve destinate alla vinificazione; gli enologi lavorano fianco a fianco con le cantine associate e tutte le fasi produttive sono gestite internamente per un controllo totale sull’intero ciclo produttivo: dalla selezione delle migliori uve al lavoro in cantina, grazie alle tecnologie avanzate e ai moderni impianti che assicurano una qualità costante nel tempo. Grazie a Codice Citra, vitigni autoctoni come montepulciano, pecorino, passerina, trebbiano e cococciola riescono a esprimere la loro forza e il loro valore, attraverso vini che vengono esportati in tutto il mondo. Il 65 per cento della produzione (circa 18 milioni di bottiglie), è indirizzata, infatti, all’export, e con etichette importanti per il canale horeca, come il Laus Vitae Montepulciano d’Abruzzo Doc, rosso potente e complesso, e il Laus Vitae Trebbiano d’Abruzzo Doc, bianco elegante e persistente. Ma sono diverse le referenze dedicate alla ristorazione, come il Caroso, l’Aulicus, Omen e altre ancora. Questa fase di cambiamento e rinnovamento di Codice Citra è stata festeggiata brindando con un vino dalla duplice valenza: Rina Passerina. “Questo progetto è una novità che va a rafforzare due politiche: affermare gli

autoctoni della regione e concretizzare un’iniziativa cara al presidente Di Campli: le bollicine -spiega Giuseppe Colantonio, responsabile comunicazione e marketing di Codice Citra- Prodotto con uve passerina, è uno spumante brut metodo Charmat, intenso e persistente, con note di frutta bianca e cedro”. Rina Passerina va a unirsi a Primae Lucis, uno spumante rosé brut, e a Rino Pecorino spumante brut, entrambi prodotti con uve pecorino; mentre da uve moscato è prodotto il Moscardello spumante dolce. Molta attenzione è stata dedicata al packaging di questi vini, in particolare agli spumanti brut la cui etichetta minimal e la bottiglia trasparente lasciano che sia il colore del vino il vero protagonista della bottiglia, prima di diventarlo nel bicchiere. Un altro importante punto di partenza per Codice Citra è la presenza nel Consorzio di tutela Ortona Doc, il cui debutto è avvenuto in occasione di Vinitaly. Tanto lavoro e molte soddisfazioni quindi per il neonato Codice Citra che riceve un’eredità importante dai primi quarant’anni di attività, ossia il saper fare. In un momento storico in cui il consumo di vino, in Italia, è in leggero calo, l’azienda, infatti, cresce quasi a doppia cifra, segnale che “il rapporto valore-qualità dei nostri prodotti dimostra di essere vincente nonostante tutto -conclude il presidente Di Campli- Un segno importante che gratifica tutti noi e F&B il nostro lavoro”.

L’azienda produce e commercializza etichette importanti per il canale horeca, come il Laus Vitae Trebbiano d’Abbruzzo Doc, Caroso Montepulciano d’Abruzzo Doc e Primae Lucis Rosé Brut. In alto, il presidente Valentino Di Campli, a destra, con Carlo Petrini, presidente di Slow Food, all’evento che ha visto la scrittura della prima pagina del Codice Citra. Sotto, il team dell’azienda

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Strategie Un nuovo logo e un’ampia e approfondita gamma di prodotti sono al

centro delle strategie di espansione dello storico oleificio cremonese. Un progetto ambizioso di crescita nella Gdo e nell’horeca. Oli di oliva, di semi e aceti realizzati con l’esperienza di un’azienda che vanta 200 anni

Zucchi si rinnova e punta all’internazionalizzazione Barbara Amati

L’ Zucchi produce una vasta gamma di oli a marchio proprio e per le private label

albero della vita, che in alcuni tratti evoca le gocce d’olio, a indicare la tradizione e il radica-

mento nella terra e, al centro, il nome di famiglia con le due C intrecciate; alla base l’anno di fondazione dell’azienda, il 1810. Riparte da un nuovo logo, una nuova identità grafica e concettuale a sottolineare il forte cambiamento di cui è protagonista Oleificio Zucchi, azienda cremonese produttrice di olio da oltre 200 anni, specialista nella fornitura e nella produzione di oli di oliva e oli di semi a marchio proprio oltre che per le marche private. Zucchi, infatti, punta a espandere la propria presenza nel settore della distribuzione organizzata come nel canale horeca, spingendo in particolare sui mercati internazionali: oggi l’export rappresenta il 12 per cento del fatturato, “ma vogliamo crescere velocemente all’estero -sottolinea l’amministratore delegato Giovanni ZucchiInvestire su un nuovo marchio (per la promozione è stato speso 1 milione e mezzo di euro) è stata una sfida, ma l’obiettivo è farsi maggiormente conoscere offrendo prodotti che rispecchino la nostra esperienza a 360° negli oli, trasmettendo affidabilità e competenza, unita a passione e ricerca della qualità che si concretizza nella scelta delle migliori materie prime, nella creazione dei migliori blend, nell’innovazione dei processi produttivi”. Già, perché Oleificio Zucchi, dal punto di vista della riconoscibilità del marchio è un’azienda relativamente giovane, più conosciuta agli addetti ai lavori che al pubblico, “perché abbiamo sempre lavorato dietro le quinte come marca privata, come partner serio e affidabile delle catene della Grande distribuzione -spiega il direttore marketing Manuel Sergiovanni- Mentre dal 2011, con il passaggio generazionale che vede protagonisti Giovanni e Alessia, figli del presidente Vito Zucchi, si è voluto intraprendere un nuovo percorso di visibilità aziendale basato sulla grande esperienza e sulla profonda cultura olearia della famiglia, investendo nelle risorse umane e puntando all’internazionalizzazione del marchio”.

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Zucchi, azienda ben accreditata nel mondo alimentare, ha rinnovato la propria gamma di prodotti dedicati alla Gdo (70 per cento) e all’horeca (30 per cento) con un’elevata profondità di assortimento mirando a conquistare nuovi spazi e importanti quote di mercato. Le referenze sono numerose e proposte in vari formati e packaging sviluppati per andare incontro alle esigenze dei Paesi in cui saranno distribuite. Le nuove gamme a marchio Zucchi rappresentano diverse tipologie di prodotto nel mondo dell’olio di semi e di oliva coprendo anche particolari nicchie con una linea appositamente dedicata all’horeca. L’assortimento nella gamma oliva oltre ai classici Olio extravergine di oliva e Olio di oliva propone un Extravergine di oliva Dolce Fruttato, un Extravergine biologico, e i due top di gamma Extravergine 100% italiano ed Extravergine 100% italiano biologico, senza dimenticare un’ampia linea di nuovi oli aromatizzati: Evo aromatizzato al peperoncino, al tartufo bianco, al limone, all’arancia, solo per citarne alcuni. La gamma semi si compone di oli di girasole, mais, soia, arachide e prodotto per friggere. A queste referenze si aggiungono gli oli di semi biologici (girasole, mais, lino e prodotto per friggere) e gli oli di semi “speciali” (zucca, sesamo, avocado, vinacciolo) che permettono ai consumatori di esplorare nuove soluzioni culinarie puntando sulle caratteristiche nutrizionali dei semi. Ma la nuova offerta Zucchi comprende anche gli aceti di vino bianco e rosso, di mele e l’Aceto Balsamico di Modena Igp. “C’è un grande lavoro di ricerca e

selezione dietro ogni olio che nasce da un blend di olive: non è facile creare quel gusto e quel sapore nel corso degli anni e trasmettere le caratteristiche del prodotto. Ci riusciamo scegliendo i migliori oli dell’Unione europea, quelli del bacino mediterraneo, da Italia, Spagna e Grecia”, spiega Sergiovanni. Il nuovo progetto di espansione e le novità del marchio saranno presentate al Cibus di Parma (5-8 maggio) insieme a un’indagine commissionata ad Astraricerche sul consumo e il posizionamento di immagine dell’olio di oliva in Italia e nel mondo. I risultati ottenuti hanno contribuito allo studio della nuova linea di Zucchi. Un’azienda che di strada ne ha percorsa tanta. Nata come attività artigianale a conduzione familiare dedicata all’estrazione di olio da semi per uso alimentare. Nel 1922 venne costruito il primo sito industriale vicino Cremona e, dalla metà degli anni ‘50, l’Oleificio Zucchi diventa fornitore delle marche commerciali dei principali Gruppi della moderna distribuzione. Nei primi anni ‘90 il costante sviluppo dell’azienda ha imposto la necessità di spostare lo stabilimento nell’attuale sede, in un’area di 80 mila metri quadri. Uno stabilimento tecnologicamente all’avanguardia che riesce così a rispondere costantemente alle esigenze del mercato in termini di qualità di prodotto e di impatto ambientale, con particolare attenzione alla costanza qualitativa del servizio e alla flessibilità F&B dell’offerta.

In alto, Vito Zucchi con i figli Giovanni, amministratore delegato, e Alessia, Cfo/ responsabile relazioni esterne. A sinistra, la nuova gamma di oli di nicchia riservati all’horeca: in particolare, l’extravergine Dolce e Fruttato è una novità per il mercato

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speciale È

un settore in forte crescita, che coinvolge ormai il mondo del

food a tutti i livelli, dai negozi specializzati alla

fino alla ristorazione che da sola vale

Merito

290

Grande

distribuzione

milioni di euro.

di produttori sempre più attenti e consumatori consapevoli

Bio, la conferma di un trend Stefano Masin

I

niziamo con un po’ di numeri, perché se i numeri

sono positivi, vuol dire che i conti tornano, e la direzione è quella giusta. Il biologico nel 2012 in Italia è valso 2 miliardi e 133 milioni di euro. Una crescita del 6,7 per cento rispetto al 2011. Il valore del bio nel canale Gdo è di 585 milioni di euro; 957 milioni per i negozi specializzati; 290 milioni (ossia il 13,6 per cento del totale) per la ristorazione e 300 milioni di euro per gli altri canali. Il bio, quindi, è un mondo che si sta facendo conoscere sempre di più e per il quale l’Italia rappresenta uno dei Paesi precursori di questa tendenza. L’attenzione al cibo e alla salute, grazie anche a una maggiore consapevolezza dettata dall’informazione, hanno infatti contribuito a far crescere un settore che porta cibo sulla tavola, sia essa quella di casa, piuttosto che di un ristorante. Non bisogna dimenticare che il punto di partenza sono sempre la terra e l’agricoltura che “si priva di alcune innovazioni per conservare metodologie di coltivazione tradizionale, senza l’utilizzo di fitofarmaci ma di rame, niente diserbanti ma altri composti di controllo come il biodiserbante”, come spiega Antonio Ferrante, ricercatore del Dipartimento Scienze agrarie e ambientali dell’Università Statale di Milano. In sostanza, l’agricoltura biologica punta a intervenire il meno possibile sulle coltivazioni e solo se necessario, senza utilizzare concimi chimici di sintesi. Il fatto di non utilizzare simili agenti ha naturalmente conseguenze sui prodotti che possono risultare meno gradevoli esteticamente, in quanto più soggetti all’aggressione da parte di insetti o malattie, ma il sapore risulta essere più intenso e le proprietà organolettiche

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al contrario sono più elevate. Insomma, brutti ma buoni e più sani; in particolar modo quando un terreno viene coltivato con varietà già presenti sul territorio. In sostanza, un prodotto autoctono è più abituato a resistere agli agenti patogeni presenti in zona. “In caso contrario -prosegue Ferrante- qualora il frutto o la verdura fossero inseriti in un terreno differente, potrebbero faticare nel resistere alle malattie sviluppate in quel contesto, e per farlo consumerebbero elevate quantità di vitamine rendendo il prodotto finale più ‘scarico’ del normale”. È importante, tuttavia, anche la rotazione delle colture, al fine di evitare un eccessivo stress del terreno e lo sviluppo da parte di questo di agenti patogeni capaci di aggirare e aggredire le difese delle varietà. Ma non sono solo i prodotti agricoli che arrivano sulle nostre tavole a essere bio; il panorama è sempre più ampio, dalle carni agli insaccati ai lavorati, ma è altresì vero che tutto parte comunque dall’agricoltura. Gli allevatori di bestiame, infatti, per rientrare nel comparto bio devono utilizzare concimi bio, i quali a loro volta devono derivare da prodotti bio, così come i lavorati che, come precisa Luigi Fappani, presidente di Bio. Cor., consorzio biologico che riunisce 110 aziende in Lombardia, “per essere certificati bio devono contenere almeno il 20 per cento di materie prime biologiche”. L’Italia, anche se non ci sono dati ufficiali, è tra i primi Paesi in Europa sia per produzione, sia per livello di attenzione al biologico e, inoltre, è tra i primi ad aver iniziato questo tipo di produzioni (per questo motivo, a certi livelli, alcuni enti certificatori nazionali sono più rigidi rispetto a quello europeo da cui deriva il simbolo della foglia stellata). Un esempio su tutti è alce nero, un marchio nato nel 1978 e che riunisce ormai oltre mille agricoltori e apicoltori, impegnati in Italia e nel mondo nella produzione di alimenti sani e naturali, frutto di un’agricoltura che rispetti l’uomo e

l’ambiente. Oggi alce nero vanta un assortimento di oltre 200 prodotti, frutto di lavorazioni che garantiscono la conservazione delle proprietà organolettiche e nutrizionali degli alimenti. A tutela della maggior parte degli agricoltori (e non solo) in Italia c’è FederBio, la federazione di organizzazioni che operano in tutta la filiera dell’agricoltura biologica e biodinamica di rilievo nazionale: costituitasi nel 1992, favorisce lo sviluppo e ne promuove conoscenza e diffusione. È un’entità composta da professionisti, produttori, organismi di controllo e certificazione, trasformatori, distributori e tecnici, tesa a migliorare ed estendere la qualità e la quantità del prodotto alimentare ottenuto, appunto, con tecniche di agricoltura biologica e biodinamica attraverso regole deontologiche e professionali.

Oggi il biologico in Italia vale oltre due miliardi di euro l’anno, con una crescita nel 2012 del 6,7 per cento rispetto al 2011 e un tasso di penetrazione nella popolazione del 54,4 per cento

Le motivazioni dell’acquisto Insomma, in Italia non si scherza con il biologico, anche perché il consumo in tal senso è in aumento. Il tasso di penetrazione è forte: quasi il 55 per cento (secondo l’ Osservatorio Sana Nomisma) ha acquistato nell’ultimo anno dei prodotti biologici, e si tratta di persone piuttosto eterogenee, sia per quanto riguarda i redditi familiari, sia per il livello di istruzione, anche se esiste una maggior consapevolezza, naturalmente, per laureati e consumatori con un buon stipendio: non è bene generalizzare, ma perlopiù il prezzo dei prodotti biologici è superiore allo stesso prodotto non bio a causa dei più alti costi di produzione e lavorazione delle materie prime. Dall’indagine realizzata da Nomisma risulta che il 32,4 per cento dei consumatori di biologico acquista ogni giorno o quasi prodotti alimentari bio, e il 31,5 per cento lo fa almeno una volta alla settimana. La percezione di prodotto bio acquistata dipende Food&Beverage maggio 2014 | 45


speciale AGRIFOOD

Dall’Abruzzo verdura surgelata per la ristorazione collettiva Programmazione delle semine, controllo del raccolto, filiera corta e rotazione continua delle colture per evitare l’impoverimento dei terreni sono i cardini della produzione di Agrifood Covalpa, il Gruppo alimentare nato nel 1989 dall’unione di 7 cooperative i cui prodotti provengono dalla Valle del Fucino, in Abruzzo. I 400 agricoltori associati lavorano mantenendo elevati standard di qualità per le sei linee di produzione che trasformano oltre 50 mila tonnellate annue di materia prima per cinque marchi. Oggi Agrifood è anche bio con la linea Grandi Panieri, otto referenze di contorni surgelati provenienti da agricoltura biologica dedicati alla ristorazione collettiva: spinaci, bieta, piselli, fagiolini, patate a cubettoni, carote, zucchine e minestrone. L’aumento del giro d’affari del biologico è dovuto da un lato a una maggiore consapevolezza da parte dei consumatori, dall’altra a un’offerta di qualità, frutto del lavoro di imprenditori attenti che credono nella propria mission

dall’intensità di consumo complessiva. Per il 71,2 per cento dei consumatori bio la sicurezza degli alimenti biologici rappresenta la motivazione trasversale dell’acquisto, ma tra i frequent users aumenta la quota (29 per cento) di chi compra questi prodotti perché li considera buoni. Certamente, il merito di questo incremento nei consumi è dovuto alla qualità dell’offerta, frutto del lavoro di imprenditori attenti che credono nella propria mission, come il Salumificio Gamba Edoardo; il pastificio Tradizioni Padane;

l’Azienda agricola Gaggioli produttore di riso alle porte di Milano di Cascina Salvanesco (Mi) e l’Officina della Birra a Bresso (Mi); tutte piccole realtà che producono beni di consumo quotidiano per il settore alimentare come i salumi, la pasta, il riso o la birra, con metodo biologico. Sono produttori spesso piccoli che, grazie a consorzi come Bio. Cor., riescono a fare sistema, diventando più forti su un mercato comunque difficile. Bio. Cor. nasce nel 2005 a Romano di Lombardia (Bg), infatti, con lo scopo di raccogliere intorno a sé

APICOLTURA BREZZO

Api e frutta al servizio di miele e aceto Nata negli anni ’50, l’Apicoltura Brezzo di Monteu Roero (Cn), guidata dalla terza generazione, lavora prodotti a base di miele, tra cui l’aceto di miele bio. Gli oltre mille alveari sono dislocati su colline, lontane da città, terreni coltivati e qualunque altra possibile fonte di impurità. Si parte da un finissimo miele di acacia biologico di loro produzione, si diluisce in acqua e si lascia fermentare lentamente regolando temperatura e areazione. L’aceto così ottenuto non subisce alcuna pastorizzazione e chiarificazione chimica al fine di non distruggere i batteri e gli enzimi presenti. Il prodotto conserva dunque tutte le proprietà benefiche del miele ed è molto più completo e nutriente rispetto all’aceto tradizionale. L’acidità è leggermente inferiore a quella dell’aceto di vino e la minore aggressività lo rende estremamente digeribile anche per chi soffre di acidità. “I nostri prodotti sono certificati Biagricert, uno degli enti più importanti e rigidi in Europa -racconta Fabio Brezzo- Tra i prodotti bio produciamo anche le composte di frutta utilizzando solo gli zuccheri della frutta stessa che è a sua volta certificata bio, proveniente da produttori della zona, succo di mele e succo d’uva; si pensi che per realizzare la confezione da 390 grammi, si utilizzano più di due chili di frutta”.

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salumificio GAMBA EDOARDO

Premiate eccellenze Grandi salumi in... Gamba Una scelta radicale quella di Gamba Edoardo, salumificio artigianale di Villa d’Almè (Bg) e punto di riferimento per l’alta ristorazione: “Prodotti a km 0, senza glutine, senza coloranti, senza conservanti, senza Ogm e, da quest’anno, anche senza nitriti e nitrati”, afferma Pierluigi Gamba, contitolare dell’azienda con la sorella Claudia. Per garantire tutto ciò la parola d’ordine è attenta selezione delle materie prime: “La qualità dei nostri prodotti è affidata ai maestri salumai e macellai che si traducono nella selezione delle materie prime e nella lavorazione a regola d’arte, confermata anche dai riconoscimenti ricevuti, come il Premio Le Eccellenze del Gambero Rosso per le slinzeghe e le salsicce”. L’azienda propone una linea di salumi biologici certificata: “Il biologico è stata una scelta logica di mercato per uscire dalle lobby dei prodotti industriali, dei discount e della Gdo, continuando la nostra storia in nome della naturalità e dell’identità”. Una scelta apprezzata anche dagli chef, come alla Cantina della Vetra e all’Officina12, entrambi a Milano, e alla Cooperativa Il sole e la terra di Curno (Bg).

le piccole e medie aziende biologiche al fine di farne conoscere e promuovere i prodotti ai consumatori. Tutto ciò nel rispetto delle risorse con la tutela delle biodiversità, del benessere animale, garantendo la difesa dell’ambiente e la cura del paesaggio, con un’attenzione particolare al sociale. Altro obiettivo del Consorzio è quello di raggiungere un equilibrio tra qualità e prezzo al fine di rendere concorrenziali i prodotti bio rispetto a quelli convenzionali. Come spiegano alcuni produttori associati, infatti, spesso è difficile far passare il messaggio che il biologico pre-

senti costi più elevati dovuti ad aspetti fisiologici della filiera produttiva che vanno dalla cura nel campo alle minori rese fino ai macchinari e agli aspetti igienico -sanitari. Tutti fattori che, se da un lato incidono sul prezzo, dall’altro assicurano una qualità di prodotto certificata, assenza di conservanti e maggior salubrità in termini di proprietà organolettiche. Insomma, ci sono elementi che giustificano ampiamente un leggero rialzo di prezzo. “Produrre bio ha i suoi costi -prosegue il presidente di Bio. Cor.- Ma spesso il cliente finale fatica a comprenderlo; gli enti cer-

Molte aziende che si occupano di biologico hanno dimensioni medio piccole. Consorzi come Bio. Cor., in Lombardia, riuniscono queste realtà e le aiutano a promuovere i prodotti

MASSERIA DELLE SORGENTI

Olio e miele nell’oasi Ferrarelle All’interno del Parco di Riardo, oasi del Fai, a Caserta, la Masseria delle Sorgenti dell’acqua Ferrarelle è dedicata alla natura e ai suoi prodotti. Ottantotto ettari di terreno del parco, ricchi di sali minerali e gestiti con rispetto e attenzione per garantire la purezza delle falde acquifere sottostanti, sono coltivati con metodo biologico. L’azienda agricola ha selezionato solo colture molto resistenti, che richiedono principalmente acqua per la loro sopravvivenza, come l’ulivo. Inoltre, le api che dimorano nel parco, aiutano a controllare l’ambiente della cui salubrità sono straordinari indicatori biologici. E proprio da questi due elementi nascono un olio biologico di categoria superiore, armonico ed equilibrato, dal gusto dolce, lievemente piccante e mediamente fruttato, con note di carciofo e mandorla verde, e quattro tipologie di miele: il delicato Millefiori, ideale per la colazione o da accompagnare a formaggi stagionati; l’Eucalipto, più pungente, adatto alla preparazione dei piatti salati; la pregiata Melata, dal profumo e sapore forti, che si caratterizza per il sentore di caramello, e l’Acacia, dal colore chiaro e dalla consistenza liquida, con un aroma molto tenue.

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speciale OFFICINA DELLA BIRRA

La bionda bio L’Officina della Birra si trova alle porte di Milano ed è un birrificio artigianale con birreria annessa. Operativa dal 2009, sin dall’inizio l’intento è stato quello di produrre birre all’insegna della freschezza e della naturalezza, per questo dal 2000 la produzione è divenuta totalmente biologica e certificata Suolo e Salute It Ass 14352 Mioo22, utilizzando perciò esclusivamente materie prime (malto e luppolo) provenienti da agricoltura biologica e lavorate sul posto secondo la legge europea Ewg 2092/91 che vieta l’impiego di trattamenti chimici a qualsiasi stadio della lavorazione. In particolare, il luppolo proviene dalla zona di Hallertau in Germania, mentre il malto viene dall’Italia. Il risultato è una birra bionda dall’aspetto dorato chiaro e dal sapore morbido e moderatamente frizzante.

Recentemente anche la ristorazione ha iniziato a proporre il biologico, dando risalto non solo al mondo vegetale, ma anche a quello della carne e delle bevande, dal vino alla birra

tificatori e i disciplinari sono molto rigidi in Italia e richiedono sforzi importanti. Si pensi solo che per fare 100 grammi di marmellata bio che contenga frutta al 100 per cento senza aggiunta di dolcificanti, conservanti e altro, si usa più del doppio di frutta fresca in termini di peso”.

Crescono i ristoranti bio Sulla scia di questo successo nel mondo del biologico, trainato soprattutto da negozi specializzati e Gdo, anche i ristoratori hanno iniziato a proporre una

cucina bio, con particolare attenzione alla provenienza delle materie prime. La crescita del comparto rispetto al 2011 è stata del 3,5 per cento, quantificabile in 10 milioni di euro; i ristoranti bio dal 2008 al 2012 sono aumentati di circa il 50 per cento, anche se è necessario specificare che la certificazione “bio” per la ristorazione non è ancora ben regolamentata, quindi la dicitura è più che altro indicativa di una filosofia di cucina. Detto questo, la ristorazione bio sta aumentando in numeri e fatturato, mossa dal crescente interesse da parte di un consumatore sempre più informato

PEDON

Cereali e legumi versatili in cucina Fondata nel 1984 dai tre fratelli Pedon, l’omonima azienda di Molvena (Vi) si occupa della distribuzione di prodotti grocery sia con marchio proprio, sia come private label. Le aree di business, oltre a quella predominante dei cereali e legumi secchi, si diversificano nei preparati per dolci, funghi secchi, alimenti biologici e senza glutine. E proprio il settore biologico rappresenta per Pedon circa il 20 per cento del fatturato e tre linee dedicate: Biologica Pedon, Bioritmi e C’è di Buono Bio. La prima è la gamma completa di legumi e cereali da agricoltura biologica confezionati in atmosfera protettiva per preservare la qualità e le caratteristiche organolettiche del prodotto; Bioritmi, invece, è la linea biologica di cereali e legumi a rapida cottura ad alto contenuto nutrizionale e confezionati anch’essi in busta in atmosfera protettiva; C’è di Buono Bio sono cereali antichi pronti in 10 minuti. Prodotti gustosi con poche calorie e preziosi nutrienti, altamente versatili in cucina e ideali per sostituire i piatti a base di pasta e riso. “Il settore biologico rappresenta per noi una parte di business importante, con una crescita costante -spiega Luca Zocca, marketing manager di Pedon- Come novità di prodotto nei prossimi mesi usciremo con i Bioritmi subito pronti in formato doypack: risi e cereali integrali pronti in 90 secondi in forno a microonde, oppure in padella o a bagnomaria in pochi minuti”.

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e consapevole. Addirittura, realtà come NaturaSì, la catena di supermercati specializzata nella vendita di prodotti alimentari biologici e naturali che dal 1992 a oggi è arrivata ad avere quasi 100 negozi in franchising, ha contribuito alla realizzazione di un ristorante bio a Milano, Bioesserì. Il format è di successo, soprattutto perché i prodotti utilizzati in cucina sono i medesimi che si possono acquistare a scaffale. “L’idea era quella di creare una ‘casa’ del biologico aperta sette giorni su sette con caffetteria, ristorante e shop -spiega Antonio Calabrese, uno dei titolari del ristorante- Grazie a Naturasì siamo riusciti a realizzare questo progetto nel cuore di Milano”. In cucina lo chef Ersilio Montella ha a disposizione prodotti 100 per cento bio con cui può realizzare piatti completi e salutari. “Personalmente mi ritengo fortunato a poter lavorare con prodotti biologici; faccio il cuoco da vent’anni, e con questa tipologia di materie prime è certamente un vantaggio -racconta- I sapori sono intensi e genuini e questo mi permette uno step in più, ossia proporre una cucina sana, quasi priva di condimenti, dalla verdura alla carne, fino alla pasta fresca, al pane e ai dolci. Da Bioesserì il biologico è a 360 gradi e soddisfa le esigenze di carnivori, vegetariani e anche vegani”. A Milano e nel nord Italia l’offerta bio nella ristorazione è in continua crescita; all’ombra della Madonnina, poi, il biologico è anche stellato con il ristorante vegetariano Joia dello chef Pietro Leemann che ha sposato questa filosofia con successo. “La mia è una scelta sia di sostanza, in quanto il prodotto biologico è più salutare, sia di gusto, in quanto è più buono -racconta lo chef- La differenza si vede anche nella semplicità di bollire una carota, che se bio mantiene

sapore e consistenza. Il 100 per cento dei prodotti che utilizzo in cucina sono biologici, ma faccio anche uno step in più: la maggior parte delle materie prime che utilizzo, dalla verdura, ai latticini, alle farine, e che provengono dalla campagna intorno a Milano, da Varese al Parco Sud, le scelgo anche in base al produttore; è molto importante per me il rapporto con la persona, sapere come lavora -conclude LeemannCertamente ci sono dei costi un po’ più elevati, ma se comparati al risultato finale la differenza di prezzo è ampiamente giustificata”. Ma biologico non vuol dire necessariamente vegetariano. Al ristorante Corte Regina, sempre a Milano, Grazia Quintavalla e Luciana Faiella da quattro anni propongono una cucina biologica in cui la carne e i salumi svolgono un ruolo importante. La materia prima proviene dalla Cooperativa agricola Canedo, nell’Oltrepò Pavese, dove gli allevamenti, in prevalenza razza limousine, rispettano i parametri della zootecnica biologica della normativa Ifoam. I salumi, invece, vengono dall’allevamento Il Grifo di Bagno di Reggio Emilia, dove gli animali sono alimentati con cereali integrali biologici prodotti principalmente in azienda senza l’utilizzo né di soia, né di alimenti medicati e con un massimo in razione del 15 per cento di mais. Il biologico, quindi, è un settore che funziona lungo tutta la filiera, dalla produzione fino alla ristorazione. Ma è importante proprio perché è diventato particolarmente appetibile, verificare sempre la provenienza del prodotto acquistato e la presenza di certificazioni: una su F&B tutte, la foglia europea.

Milano rappresenta in un certo senso la capitale del biologico, con molti negozi specializzati e ristoranti sempre più conosciuti; uno su tutti il Joia dello chef stellato Pietro Leemann

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torino Lo storico ristorante nato nel 1757 e amato da Cavour ha riaperto i battenti con un look tra Ottocento e XXI secolo e con la giovane creatività dello chef cresciuto al fianco di Cracco. Un luogo in cui tuffarsi nella storia, ma accessibile a tutti, anche solo per un drink

Del Cambio rinasce con Baronetto Elena Bianco

T L’attento restauro filologico ha riportato splendore al Del Cambio, con le sue sale affrescate

utto qui al ristorante Del Cambio è un mito da sempre, a partire dal suo

nome che taluni attribuiscono al “cambio” dei cavalli nella stazione di posta per i viaggiatori diretti a Parigi. Altri lo legano al “cambio” della moneta, dato che il caffè ospitava la “borsa dei negozianti”. Secondo Dina Rebaudengo, storica di Torino, invece il nome fu ispirato al “Consolato de’ Cambi, negozi ed arti in Torino” al quale faceva capo l’Università dei confettieri e dei distillatori di acquavite. Fatto sta che, nella sala Risorgimento, la parte ottocentesca che dà sulla piazza Carignano, era di casa il Conte di Cavour, che qui era solito gustare la Finanziera, ricco piatto piemontese nato in queste cucine per soddisfare la gola dei deputati del Parlamento sabaudo. Oggi il suo tavolo riporta una targa commemorativa e sopra al divanetto dove il regista dell’Unità d’Italia sedeva, un putto con i suoi stessi occhiali tondi legge il giornale dall’affresco del 1875. Tutto intorno, un restauro filologico ha riportato splendore alle boiserie dorate in foglia d’oro zecchino, agli specchi e ai lampadari, ai marmi bianchi di Prali usati per i tavolini e i pavimenti. Grandi novità, invece, nella parte settecentesca retrostante, prima caduta in disuso e che oggi ospita una zona destinata ai light lunch, o déjeuner à la fourchette (antenato parigino del brunch), in un gradevole connubio fra le antiche volte ed Evento, l’opera su specchio di Michelangelo Pistoletto. Le tante figure della vita quotidiana che l’artista ha fissato su otto lastre specchianti sembrano osservare il pubblico nella sala, accomodato sulle poltroncine e ai tavoli di Martino

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Gamper, dalle linee pulite, perfettamente integrate nello storico ambiente. Praticamente intonse, solo riorganizzate, sono le cantine del XVII secolo con 16 mila bottiglie (in crescita) e più di 2 mila etichette, dagli Champagne di Borgogna (140 etichette) agli storici vini piemontesi come Barolo, Barbaresco con rare etichette di Conterno, Giacosa, Mascarello, dai Riesling renani a 25 annate di Château d’Yquem e verticali di Romanée Conti. Il sommelier Fabio Gallo si è preoccupato di dare profondità e consistenza alla carta dei vini, acquistando da collezionisti vere e proprie rarità. Un’ottima bottiglia si può bere al piano superiore, dove il lounge bar Cavour accoglie gli ospiti con le linee dinamiche della pittura murale di Arturo Herrera, in una danza di grafismi contemporanei che richiamano con l’oro le antiche decorazioni. In questo ambiente raccolto ci si può incontrare per un aperitivo, perché, come sottolineato dall’attuale proprietario Michele De Negri, imprenditore del settore delle attrezzature medicali che, con passione e coraggio, ha raccolto il guanto della sfida della rinascita del Cambio, “questo è un luogo di grande prestigio, ma deve essere accessibile ai torinesi, anche solo per un cocktail”. E questa è la miglior risposta a tutti coloro che gli dicevano “esageruma nen”, quando rivelava il suo sogno di riportare in vita il Cambio. Vuole dialogare con la città e i suoi abitanti anche il secondo grande protagonista di questa rentrée, Matteo Baronetto, piemontese di Giaveno, alle porte di Torino, che nei diciotto anni trascorsi al fianco di Carlo Cracco, lentamente, ma con determinazione e capacità, era diventato il braccio destro e una presenza fondamentale per lo chef più prestato d’Italia all’esposizione mediatica. “Chiedo a Torino di potermi esprimere”, è la prima cosa che gli esce dal cuore, con l’emozione di tornare da executive chef nelle cucine in cui entrò da esordiente, per uno stage. E,

ora, finalmente esprimerà nelle tecnologiche cucine progettate in Italia e in Francia la sua “improvvisazione ragionata”, equilibrio di intuito e riflessione che rifiuta qualunque etichetta, ma che promette, fedele alla sua disciplina intellettuale e alle sue origini, rispetto del luogo e della sua storia. Come quando propone la sua versione della Finanziera, una scaloppa di vitello cruda tenerissima accompagnata dalle animelle fritte e filoni, ammorbidita dal sugo di carne e profumata dalla polvere di funghi. Un rispetto che però non è mai soggezione, ma comporta il “rischio” del cambiamento: il Bunet, la summa della grande tradizione piemontese in fatto di dessert, il “cappello” (come la forma dello stampo) a tante cene, nella versione di Baronetto è bianco, con caramello croccante che sa anche di sale e sorbetto al cacao, diverso, squisito e sempre riconoscibile. Però Baronetto, grazie alle sue esperienze e al suo talento, è uno chef di ampio respiro, che si esprime sia con i prodotti del suo ricchissimo territorio, sia con quelli proveniente da altrove, che sperimenta e contamina riuscendo a offrire piatti di grande bellezza anche estetica com’è Vegetale, una composizione di asparagi bianchi di Bassano e verdi di Santena, con piselli e fave, il tocco di colore distonico dal verde della rapa rossa, il croccante del pane secco, delle noci, delle lamelle di mandorle, il profumo dello zenzero candito. Un tripudio di primavera, allegoria di una nuova nascita, di Baronetto, della F&B stagione e del Cambio.

Matteo Baronetto, piemontese Doc, porta nelle cucine Del Cambio la sua “improvvisazione ragionata”, equilibrio di intuito e riflessione che rifiuta qualunque etichetta, ma che promette, fedele alla sua disciplina intellettuale e alle sue origini, rispetto del luogo e della sua storia. Sotto, due piatti: Vegetale e il Vitello alla piemontese

scheda

Del Cambio piazza Carignano 2 10123 Torino tel. +39 011.546690 www.del-cambio.com

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iniziative I 20 ristoratori dell’associazione friulana Via dei Sapori scendono in campo per salvaguardare il pane fresco artigianale che va scomparendo soppiantato da quello surgelato.

Così, la Regione Friuli Venezia Giulia

è la prima a emanare una legge che distingue i due diversi tipi di prodotto

Salviamo il pane Francesco Colombera

‘‘S Farina di cereali, lievito naturale e acqua: questi gli ingredienti per produrre il vero pane artigianale

alviamo il pane!”: questo l’appello che hanno lanciato i 20 ristoranti di Friuli Venezia Giulia

Via dei Sapori (www.friuliviadeisapori.it) per salvare il pane fresco artigianale a lievitazione naturale. Sono stati i primi in Italia a lanciare questo grido d’allarme e lo hanno fatto in una regione che è la prima ad aver legiferato sul pane artigianale per distinguerlo da quello industriale prodotto con farine auto lievitanti. Hanno coinvolto in questa loro battaglia i fornai che si alzano la notte per permettere al loro pane di lievitare e i mugnai che producono farine naturali senza additivi. “Il pane deve essere salvato non solo per la sua storia, ma per star meglio noi stessi”, tiene a precisare Walter Filiputti, presidente del Consorzio che riunisce, oltre a 20 ristoratori, anche vignaioli e artigiani del gusto, impegnati a valorizzare, facendo squadra, quanto di meglio offre il Friuli Venezia Giulia in campo enogastronomico. La loro mission è valorizzare il territorio per valorizzare le aziende. E non sono certo nuovi a questo genere di progetti: per difendere e far conoscere prodotti e cibi della loro terra minacciati dall’omologazione del gusto, sono diventati addirittura editori di una serie di monografie golose dedicate alla Rosa di Gorizia (radicchio pregiatissimo), a Brovada, fagioli e verze, alla Polenta “nobiltà contadina” e a quello che fino a qualche tempo fa era il Tocai, ora “Un Friulano da amare”. Ora è la volta del pane, “una battaglia sacrosanta -dice Filiputti- poiché di pane fatto ‘come Iddio comanda’ ce n’è sempre meno e si sta perdendo l’arte di farlo”. Pare strano, visto il fiorire sia nelle città che nei centri commerciali di una moltitudine di fornerie dai banchi strapieni di prodotti. “La maggior parte non hanno il diritto di chiamarsi panifici, dato che vendono pane surgelato (spesso prodotto fuori Italia) che sta purtroppo invadendo il mercato”. Pane che è riscaldato al momento della vendita e proposto come se fosse fresco. Ma c’è anche di peggio: è infatti ottenuto con farine addizionate di sostanze

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auto lievitanti, che permettono di ridurre drasticamente i tempi di preparazione, poche ore rispetto alle 16-24 necessarie. Il che significa che il lavoro dei lieviti è dato in carico allo stomaco per cui, dopo aver mangiato questo tipo di pane (e non solo, ma anche brioche e pizze), la digestione è inevitabilmente lunga e difficile. “Ecco perché ci siamo ribellati e in questa ribellione vogliamo coinvolgere i consumatori, a iniziare dai clienti dei nostri ristoranti”, dicono a una sola voce patron e chef dei ristoranti Al Bagatto di Trieste, Al Ferarùt di Rivignano, Al Gallo di Pordenone, Al Grop di Tavagnacco, Al Lido di Muggia, Al Paradiso di Paradiso, Al Ponte di Gradisca d’Isonzo, All’Androna di Grado, Campiello di S. Giovanni al Natisone, Carnia di Venzone, Costantini di Tarcento, Da Nando di Mortegliano, Da Toni di Gradiscutta, Lokanda Devetak di San Michele del Carso, Là di Moret di Udine, La Primula di S. Quirino, La Subida di Cormòns, La Taverna di Colloredo di M. Albano, Sale e Pepe di Stregna, Vitello d’Oro di Udine. Il loro invito è tornare al pane fresco artigianale e digeribile, ottenuto secondo una regola immutata da millenni: farina di cereali, lievito naturale e acqua. E, dato che l’associazione Friuli Via dei Sapori è abituata a tradurre in concretezza le sue idee, i 20 ristoratori sono passati dalle parole ai fatti. Così, ogni ristorante fa “il saluto dalla cucina” o un piatto importante con una proposta culinaria in cui il pane è prota-

gonista. Alcuni hanno scelto una ricetta tradizionale, altri una creativa. In tavola il cliente trova un segnaposto sul quale viene raccontato, in modo accattivante e immediato, il progetto. Ogni ristorante, quindi, propone i propri tipi di pane che sono preparati direttamente in cucina o fatti artigianalmente da fornai di fiducia, i cui nomi sono segnalati al tavolo. La scelta dei tipi di pane -che potrà variare anche in base alle stagioni- è lasciata ai ristoratori stessi, che potranno anche abbinarli ai piatti serviti. Il progetto Salviamo il pane! ha raccolto l’adesione convinta del Gruppo fornai e molini dell’Ascom di Udine e della Federconsumatori del Friuli Venezia Giulia. “La maggior parte dei consumatori non sa cosa sia veramente il pane fresco (ovvero quello che ha un ciclo di lavorazione dalle 24 alle 48 ore), e considera tali pani fragranti sì all’apparenza, e spacciati magari come tali da chi li vende, ma in realtà surgelati, precotti, con atmosfera modificata e via dicendo. Siamo davanti a una sorta di ‘falsificazione’ del pane fresco -spiega il presidente dei panificatori Pierluigi Orlandi- Vogliamo fare chiarezza e, fortunatamente, la legge emanata lo scorso novembre dalla Regione Friuli Venezia Giulia è già un primo passo importante, dato che distingue il pane artigianale da quello industriale. Stabilisce, fra l’altro, che la denominazione Panificio è riservata solo alle imprese che svolgono l’intera produzione del pane, dalle materie prime alla cottura, e che si può chiamare ‘pane fresco’ solo quello che viene preparato con un processo di produzione continuo (quindi niente congelamento, conservazione prolungata, ecc…) ed è posto in vendita entro e non oltre la giornata in cui è stato completato il F&B processo produttivo”.

Per il progetto Salviamo il pane, i 20 ristoratori e chef dell’associazione propongono ricette in cui il pane è protagonista, come Paté di fegato della Lokanda Devetak, Petto di quaglia e i primi germogli di La Subida (sopra), La Panade di Da Toni e Rocher di pane di Là di Moret (sotto)

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inchieste Accolgono

gli ospiti, spesso anticipandone desideri e necessità, ma il

lavoro di maître e camerieri non viene adeguatamente considerato.

Invece,

sono necessari per innalzare gli standard di qualità di

alberghi e ristoranti.

L’associazione Noi

di sala ne rilancia l’immagine

Professione sala Jenny Maggioni

‘‘R Conoscenza delle lingue, capacità di comunicare e competenze sono fondamentali per i professionisti di sala

ecentemente ho sentito alla radio che al quarto posto dei lavori che i genitori non vorrebbero

veder fare al figlio c’è il cameriere”, afferma Matteo Zappile, sommelier del bistellato ristorante romano Il Pagliaccio. Una dichiarazione schietta che mette in luce una dura realtà, perché, se la cronaca, esattamente un anno fa, raccontava del rapporto di stima e di amicizia tra Angela Merkel e un maître di un noto hotel di Ischia che, licenziato, ha ricevuto la visita della cancelliera tedesca, dall’altra al lavoro in sala non è riconosciuta l’importanza che merita. Proprio con l’obiettivo di rilanciare e affermare una volta per tutte il ruolo del maître, del cameriere e del sommelier nella ristorazione contemporanea, è nata l’associazione Noi di sala (www.noidisala.com): “Il lavoro in sala è in parte ancora sottovalutato -spiega Marco Reitano, sommelier de La Pergola, ristorante tre stelle Michelin sul tetto del Rome Cavalieri, a Roma, e presidente della nuova associazione- Dobbiamo recuperare il valore che il ruolo del cameriere aveva, ad esempio, negli anni della Dolce Vita, in cui era considerato il punto di riferimento del ristorante”. Una presa di coscienza non facile da parte dei clienti, dei datori di lavoro e delle nuove generazioni, tutti incentrati sulla figura del cuoco-star. Ma, se l’importanza della qualità del cibo è imprescindibile, è “la sala che riceve gli ospiti, che per i primi minuti non hanno contatto con il cibo -sottolinea Alessandro Pipero, patron, sommelier, versatile maître, mattatore di sala del Pipero al Rex di Roma- Se si sbaglia l’approccio, tutta la serata parte male e incide negativamente anche sui piatti”. “Il maître è un punto di riferimento per tutti -aggiunge Marco Amato, sommelier dell’Imàgo, ristorante stellato dell’Hassler Roma- È il primo con cui il cliente ha a che fare anche quando in sala ci sono dei problemi”. “Il maître è colui che conosce tutto ciò che accade nel ristorante, per questo di lui ci si può fidare. Ma, basterebbe aprire un ristorante senza camerieri per capirne l’importanza -incalza Zappile- È come guidare una macchina senza ruote”.

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Dunque, una professionalità che è sotto gli occhi degli addetti al settore, ma in ombra per tutti gli altri: un paradosso della ristorazione moderna, in cui le luci dei riflettori sono puntate sugli chef, un tempo esclusivamente dietro le quinte, senza illuminare mai gli “invisibili” della sala. Forse dopo MasterChef bisognerebbe pensare a un MasterMaître... Ma, al di là delle provocazioni, come fare per riportare in auge la professione e far comprendere ai giovani che anche questo tipo di lavoro è fondamentale e gratificante, con possibilità di carriera, al pari di quello in cucina? Fondamentale è fare informazione, fare capire alle nuove leve l’importanza di queste figure per l’economia di un ristorante e di un hotel: “Lo vedo nelle scuole: solo raccontando ai ragazzi il rapporto fondamentale tra sala e cucina, capiscono che cosa significa fare il cameriere”, afferma Amato. “Servire l’ospite è un’arte -sostiene Pipero- Il cameriere è di più di: ‘Il conto, per favore’. “Dobbiamo far capire che il maître è il protagonista di un ristorante, nel quale chi torna non lo fa solo per lo chef -aggiunge Reitano- Inoltre, il messaggio che deve passare ai giovani è che con questo lavoro, serio, ma svolto con allegria, si può davvero fare carriera”.

Dunque, possibilità di crescita professionale e di viaggi, al pari dei colleghi chef, ma a patto che si studi e non s’improvvisi, visto che oggi le qualità richieste a responsabili di sala e camerieri di alto livello comprendono la conoscenza delle lingue, una grande capacità di comunicare e ascoltare, competenze enogastronomiche e spirito manageriale. “Un maître oggi deve assomigliare a un sarto che, sapientemente, riesce a unire in armonia tutte le parti di un abito -spiega il presidente di Noi di salaLa conoscenza di tutto ciò che è cibo, legata a quella della cantina, dell’accoglienza e dell’ospitalità devono regalare un’esperienza unica all’ospite. Adattamento, capacità di interpretazione, eleganza e sobrietà sono le caratteristiche che un uomo o una donna di sala devono avere oggi”. “Il nostro ruolo ha subito una notevole evoluzione, sia in relazione alle nuove necessità del cliente, sia allo stile della cucina odierna, dove tutto è già porzionato -spiega Simone Pinoli, restaurant manager a La Pergola- Quindici anni fa contava solo la perfezione del servizio. Oggi si tende a occuparsi molto più dell’ospite. Per questo tra i nostri compiti c’è anche quello di stilare un report, memorizzando le preferenze dei clienti, le esigenze particolari, come le allergie o la religione, i piatti che hanno gradito di più,

Per affermare il ruolo fondamentale di maître e sommelier è nata l’associazione Noi di sala: da sinistra, Marco Amato, Matteo Zappile, Marco Reitano, Giuseppe Palmieri, Alessandro Pipero, Luca Boccoli, Valerio Capriotti, Nicola Ultimo, Davide Merlini

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inchieste

In un periodo in cui gli occhi sono puntati solo sugli chef-star, l’associazione Noi di sala vuole istruire i giovani sull’importanza di questi lavori, con i quali si può anche fare carriera. Dall’alto, Marco Amato, sommelier dell’Imàgo, Marco Reitano, sommelier de La Pergola e presidente di Noi di sala, e Matteo Zappile, sommelier de Il Pagliaccio

per consentire alla cucina di essere pronta per ogni evenienza”. Anzi, in qualche modo, il maître deve essere in grado di anticipare i desideri: “Oggi gli ospiti sono più preparati -riflette Raffaele Longo, Food & beverage manager dell’Hotel Principe di Savoia di Milano- Tendono a stare più attenti a ciò che spendono e hanno maggiore conoscenza della qualità dei piatti. È finito, insomma, il tempo del cameriere da maschera della commedia dell’arte, in grado, grazie alla sua simpatia, di proporre ai convitati le pietanze più costose senza badare troppo alla qualità. Oggi occorre personale preparato, capace di consigliare con competenza e professionalità”. I ristoranti devono assicurare standard di qualità elevati per i quali i giovani devono essere preparati: “La formazione alberghiera è la prima cosa -dichiara il presidente Reitano- al quale si deve aggiungere il lavoro sul campo, giorno per giorno”. È d’accordo anche Giacomo Rubini, vicepresidente vicario di Amira (www.amira-italia.it), associazione maître italiani ristoranti e alberghi: “Nonostante ciò che spesso si dice, le scuole alberghiere hanno valide professionalità al loro interno. La formazione alberghiera non è di serie B e la gavetta, poi, non è più quella di una volta: l’inserimento al lavoro è immediato”. Teoria e tanta pratica, dunque, con un occhio anche all’estero, 56 | Food&Beverage maggio 2014

dove l’arte dell’ospitalità è più riconosciuta che in Italia e dove spesso si incontrano a ogni livello camerieri e uomini di sala più preparati che nel nostro Paese, alla faccia del luogo comune dell’imbattibile accoglienza italiana: “È un momento in cui dobbiamo rafforzare la nostra immagine -suggerisce ReitanoAll’estero l’hanno già fatto. Ma un restaurant manager italiano è sempre molto richiesto”. “All’estero ci sono degli standard molto funzionali che consentono ai colleghi stranieri di non sbagliare -aggiunge AmatoSpesso, però, il carisma manca”. Ecco perché c’è chi, come Matteo Zappile, suggerisce “formazione all’estero, ma lavoro in Italia”. Sempre, appunto, che si trovino giovani da formare, oppure la soluzione è “far crescere il personale internamente”, interviene Amato. Forse, la strada per convincere i giovani è proprio quella di farli entrare in contatto con associazioni come Noi di sala e parlare con i protagonisti di questo mondo per sentire dalle loro parole, come da quelle di Alessandro Pipero, “noi siamo coloro che rendono vivo un ristorante, siamo la facciata della bottega e non possiamo che essere fieri di essere camerieri”. Giusta affermazione, visto che sarebbe F&B impossibile vivere di soli chef.



formazione L’Istituto svizzero offre una preparazione superiore a chi intende iniziare, o perfezionare, una carriera internazionale nel mondo dell’ospitalità con corsi di laurea e master in diversi settori. Una scuola dalla quale spesso si esce con un posto di lavoro assicurato

Glion style Barbara Amati

S Nel mondo dell’ospitalità c’è sempre maggior bisogno di professionalità elevate

e avessi 18 anni e mi piacesse il contatto con gli altri, amassi girare

il mondo e parlassi molto bene l’inglese, non avrei dubbi sulla professione del futuro, né sull’Istituto universitario che vorrei frequentare: quello di Glion, a Montreux, in Svizzera, che prepara i manager del settore dell’ospitalità. Se si intende entrare in quel mondo con una preparazione all’altezza dei migliori alberghi internazionali, quella dell’Institute of Higher Education è sicuramente una porta d’accesso privilegiata. Tra le migliori scuole universitarie private per una formazione altamente qualificata in un settore che oggi significa anche viaggi, turismo, hotellerie, food & beverage, eventi, questo Istituto trae la sua forza da un mix di apprendimento sul campo grazie all’istruzione accademica in

diversi campus e stage professionali in tutto il mondo. Certo, una scuola non per tutti, nel senso che occorre essere veramente motivati per sceglierla: da un lato perché è molto impegnativa e occorre un’elevata conoscenza della lingua inglese, che è quella ufficiale della scuola, dall’altro, perché è costosa (120 mila euro per la laurea). Ma niente che non si possa affrontare se l’obiettivo è avere già un lavoro ben retribuito che ti aspetta appena terminati gli studi (la laurea è di 3 anni e mezzo, ma ci sono anche corsi più brevi) o, addirittura, prima di terminarli, come avviene per l’85 per cento degli allievi. E questa è una realtà, perché è indubbio che il settore dell’ospitalità sia tra quelli in più rapida crescita al mondo e tra i più dinamici per quanto riguarda il tasso di occupazione, con trend positivi previsti per gli anni a venire: nel prossimo decennio, secondo il World travel & tourism Council, il settore hospitality promette una crescita annua del 4 per cento, e questo avrà una grande influenza anche dal punto di vista economico. L’Istituto di Glion è un bacino in cui i grandi Gruppi alberghieri internazionali, dal Marriott all’Hyatt, da Starwood al Mandarin Oriental, da Accor al Four Seasons e allo Sheraton, cercano i manager da

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inserire nelle loro realtà, e per questo visitano regolarmente il campus di Glion e quello, a pochi chilometri di distanza, di Bulle. Inoltre, la scuola lavora a stretto contato con i top brand del settore dell’ospitalità e del turismo così da preparare gli studenti a rispondere al meglio alle esigenze del mercato. “La suola fornisce competenze specifiche nei diversi settori, da quello finanziario a quello del food & beverage e, con 50 anni di esperienza alle spalle, nel tempo si è sempre più specializzata nell’andare incontro alle esigenze di un settore in grande evoluzione e sempre più alla ricerca di professionalità elevate. Il successo di questo Istituto è legato alla qualità dell’insegnamento che è riuscito a evolversi e ad anticipare le richieste di un settore come quello turistico in costante crescita: il 9 per cento dei lavori nel mondo sono legati al turismo e all’ospitalità -spiega Vana Saade, regional admission director Italy- È un ambiente multiculturale dal respiro internazionale che oggi accoglie 1.200 allievi di 90 diverse nazionalità: il 54 per cento degli studenti arriva dall’Europa e una cinquantina ogni anno sono i nuovi iscritti provenienti dall’Italia. È aperta a neo diplomati e laureati in qualsiasi disciplina, ma anche a professionisti che già lavorano nel settore e intendono migliorare la loro preparazione anche per avere maggiori opportunità di carriera. A tutt’oggi Glion ha laureato 10 mila allievi che ora svolgono un ruolo manageriale in cento Paesi e compongono una community altamente specializzata di ex alunni che collabora attivamente con la scuola, capace di facilitare l’ingresso dei nuovi laureati nel mondo del lavoro, facendo incontrare domanda e offerta”. Inoltre, dall’agosto scorso, a quello svizzero si è aggiunto un campus in Inghilterra, all’interno dell’Università di Roehampton, a sud ovest di Londra. Qui si offre un corso di laurea in business administration in hospitality management e un diploma post laurea in hospitality administration. “L’apertura di questo campus è

la dimostrazione del forte incremento nel mondo della domanda di professionisti nel campo dell’ospitalità -aggiunge Carlo Giardinetti, program manager and faculty all’Istituto di Glion-La maggior domanda di professionisti viene dai Paesi emergenti, da Cina, Russia e Brasile. Un centinaio di aziende vengono ogni anno a cercare studenti per stage pagati e il 66 per cento dei ragazzi ha già ricevuto un’offerta di lavoro dall’azienda dove ha fatto lo stage prima ancora di finire gli studi”. Gli studenti sono indirizzati nel percorso più consono a sviluppare le loro attitudini e capacità. Serietà, organizzazione, rigore mentale, sono tra le parole d’ordine dell’Istituto: qui si va a scuola con la stessa serietà con la quale si andrebbe sul luogo di lavoro, quindi in giacca e cravatta o con la divisa del lavoro che si sta svolgendo. La scuola di Glion ha al suo interno 6 ristoranti e gli allievi, a turno, fanno l’ospite o colui che lo serve. L’anno scolastico si suddivide tra 5 mesi di lezioni teoriche e pratiche nel campus e 2 mesi di stage in alberghi o aziende un po’ in tutto il mondo. Ma un’ulteriore possibilità offerta dalla scuola è quella della laurea in gestione alberghiera ottenibile studiando on line, part time o full time. Quello di Glion è anche l’unico istituto a proporre un master in business administration in hospitality on line con riconoscimento internazionale, pensato per coloro che già lavorano ma intendono approfondire la proF&B pria preparazione.

All’Institute of Higher Education di Glion la laurea è di 3 anni e mezzo, ma ci sono anche master e corsi più brevi per migliorare la propria preparazione indirizzati anche a chi già lavora

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abbinamenti Da sempre il pesce è il protagonista delle tavole, soprattutto con l’arrivo della bella stagione. Da quello di mare a quello di acqua dolce, è una sfida creativa per gli chef più blasonati, che svelano come sceglierlo, pulirlo, prepararlo e abbinarlo al vino, dal bianco al rosso

Sapore di mare sapore di lago Jenny Maggioni

U La cucina di pesce è una cucina dei sensi: vista, olfatto e tatto insieme per un appagamento del gusto

n mare di biodiversità. È proprio il caso di dirlo, perché quando si parla di prodotti ittici, dai

pesci ai molluschi, fino ai crostacei, è facile perdersi in un bicchiere d’acqua. Il mondo del mare è tanto bello quanto affascinante e per coglierne appieno ciò che ci può donare bisogna imparare a conoscerlo, a valorizzarlo e a proteggerlo. Portare in tavola un prodotto eccellente è frutto di un lavoro costante che esce dalle cucine dei ristoranti di pesce e parte tra i colorati banchi dei mercati ittici o, per i più fortunati, al porto, direttamente sulle navi rientrate dalle notti di pesca. Fondamentale, dunque, è saper scegliere: nel linguaggio ittico si definiscono “vivi” tutti i pesci pescati da non più di un giorno. Ma come riconoscere se il pesce è fresco? Tre sono le caratteristiche che sono immediatamente percepite da un occhio attento: il

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© Minerva Studio - Fotolia.com, Alessio Orrù / Prateep Phupathum - 123RF

Sandra Ciciriello, un passato tra le file del Mercato ittico di Milano e oggi braccio destro in sala di Viviana Varese al ristorante milanese Alice, ogni mattina procura il pesce freschissimo con il quale la chef, una stella Michelin, realizza i suoi golosi e colorati piatti, come Carpaccio e fantasia

colore lucido e luminoso delle squame; l’occhio brillante e convesso; il corpo sodo al tatto e le branchie unite. “Ciò che conta di più è imparare a distinguere i colori delle squame e vedere se sono brillanti o meno, in modo da essere sicuri che sia pesce fresco, anche senza guardare branchie e occhio -spiega Sandra Ciciriello, un passato tra le file del Mercato ittico di Milano e oggi braccio destro in sala di Viviana Varese al ristorante milanese Alice- Esistono varie categorie di pesci: quelli grandi con meno sangue, come orate, branzini e dentici, che sono considerati freschissimi dal primo al terzo giorno di pesca. Dal terzo al settimo giorno, la definizione passa a ‘fresco’”. Parametri che valgono in generale per tutti i tipi di pesce, tranne che per quello azzurro, che, piccolo e molto ricco di sangue, tende a deteriorarsi più velocemente, e per i crostacei, esclusi astici e aragoste, che “essendo più grandi, restano ‘vivi’ più a lungo -specifica Ciciriello- Ma cicale di mare, scampi e gamberi meglio acquistarli e mangiarli entro le trentasei ore, altrimenti liberano una secrezione dall’inconfondibile odore di ammoniaca”. Proprio l’olfatto, dopo la vista, aiuta a testare la freschezza dei prodotti ittici: specie come razze e palombi, così come appunto i crostacei, se sanno

di ammoniaca è indice che è già in corso il processo di putrefazione. Senza dimenticare il tatto: “Per capire in generale se i molluschi sono freschi, basta toccarli -suggerisce l’esperta- Devono avere una sorta di reazione, come se fossero vivi, dovuta ai tessuti nervosi dai quali sono composti”. Naturalmente, gli stessi criteri di scelta vanno applicati anche al pesce di allevamento, che “ha gli stessi colori di quello pescato ma, in generale, tende a essere più grasso perché ha meno spazio rispetto agli esemplari in mare aperto”. La cucina di pesce è, insomma, una cucina dei sensi: vista, olfatto e tatto uniti per offrire un appagamento al gusto. Grazie anche alla libertà creativa che lascia: “Il pesce? È talmente vario che davvero offre un mare di possibilità -afferma decisa Viviana Varese, una stella Michelin, con il pesce nel Dna, essendo nata a Maiori (Sa)- Con il pesce ho un rapporto quasi viscerale: toccarlo, pulirlo, cucinarlo mi dà piacere”. Solo una regola di base per lei: “Meno resta in frigorifero, meglio è: io consiglio di acquistarlo e cucinarlo subito -afferma la chef- A parte i frutti di mare, perché sono ancora vivi. E con cotture brevi. Anche per moscardini, seppie e calamari: è sufficiente scottarli. Lo stesso per tranci e frutti di mare da togliere dal fuoco non appena si aprono le valve”. D’altronde, se la materia prima è buona e freschissima e nel rispetto della stagionalità, come darle torto, a maggior ragione se la nostra passione sono tartare e carpacci: “In questo caso l’attenzione e il rigore sono più che mai importanti -continua Viviana Varese- Innanzitutto, è essenziale acquistare del pesce freschissimo, pulirlo subito e metterlo immediatamente nel congelatore per almeno 96 ore a -18 gradi centigradi- Poi occorre scongelarlo lentamente e prepararlo come prevede la ricetta”. Congelamento e abbattimento delle temperature Food&Beverage maggio 2014 | 61


abbinamenti Cantina di Vicobarone

Gutturnio Doc e anguilla: il Po nel piatto “L’Anguilla di Comacchio cotta in casseruola con piselli, preparata secondo la tradizione piacentina, una ricetta del territorio, saporita e ricca, si sposa perfettamente con l’esuberanza giovanile, fresca e vivace del Gutturnio Doc frizzante della Cantina di Vicobarone”. Non ha dubbi Luca Castellani, responsabile dei vini all’Antica Trattoria Da Cattivelli, locale aperto nel 1947 sull’unica vera isola abitata del fiume Po e patrimonio della cucina e degli ingredienti del territorio, che al piatto cucinato dalla chef, figlia del patron, Emanuela Cattivelli, abbina il rosso della cantina nata nel 1960 a Vicobarone di Ziano Piacentino, nel cuore della Val Tidone e delle sue colline vitate. Cinquantacinque per cento barbera e 45 per cento croatina, raccolte in Val Tidone e nei comuni di Castel San Giovanni e Ziano Piacentino, ha spuma vivace e cremosa; profumo intensamente fruttato, con caratteristiche note di lampone e fragola; sapore pieno, armonico, corposo e fresco e piacevole retrogusto.

Il bistellato Moreno Cedroni ha costruito intorno al pesce tutta la sua carriera, rivisitandolo e proponendo nuovi abbinamenti come in Ricciola con salsa di porro, basilico e viola

sono necessari per eliminare il pericolo delle larve dell’Anisakis nel pesce crudo, ma per il cotto la filosofia di Viviana è “ti pulisco, ti cucino e ti mangio”.

Crudo del Mediterraneo Ed è proprio il pesce crudo che le regala grandi soddisfazioni culinarie e creative a partire dalla sua prima ricetta personale nel suo primo ristorante, Il Girasole a Orio Litta (Lo), quando il crudo non era ancora di moda: Panzanella con verdure e pezzetti di pane e tartare di pesce crudo. “Volevo creare un piatto di pesce crudo che avesse attinenza con il Mediterraneo -spiega- Ecco quindi l’idea dell’insalata di mare che si mangia al Sud, con l’aggiunta di verdure e crostini di pane”. Una passione che ritroviamo oggi nel menu di Alice con piatti signature come Carpaccio e fantasia, una ricetta complessa con più di quaranta ingredienti, in cui Viviana Varese bilancia il gusto italiano al pesce crudo (filetto di dentice, ombrina, gallinella, palamita e di pesce San Pietro e gamberi rossi) con frutta, come mirtilli, prugna, mela verde, arancia e lamponi e intriganti salse di frutta. Un piatto mutevole perché cambia in funzione della stagione, sia per la frutta sia per il pesce: “Ci sono mesi in cui il pescato è più abbondante, in altri meno -afferma Viviana Varese- I frutti di mare invece si possono trovare quasi sempre, anche se in alcuni perio-

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di con maggior fatica”. Ma se il mare “manca” ci si affida all’allevamento? “Orate, branzini e salmoni allevati hanno carni più grasse, quindi è preferibile utilizzarli a crudo -spiega la chef- Meglio optare per i pesci più poveri, meno blasonati e poco conosciuti”. Uno su tutti: il centrolofo, dalla “carne molto gustosa che ricorda la ventresca di tonno”. Proprio questi pesci poveri, ma ricchi di gusto, stanno diventando i protagonisti delle cucine più blasonate, primo fra tutti il pesce azzurro. Acciughe, cefali, palamite, pesci sciabola, pesci spada, ricciole, sarde, sgombri e tonni, con le loro elevate proprietà nutrizionali e con la loro carne gustosa, fanno una gran figura nelle semplicissime ricette della tradizione tornate in auge, come le Alici panate alla griglia, lo Sgombro cotto nell’aceto e le Sarde in saor, alle rivisitazioni più complesse e intriganti come la Ricciola con salsa di porro, basilico e viola, la Caesar salade di tonno con marmellata di Sherry e gelatina al sedano e i Cubetti di spada sciabu sciabu con frigitelli, sedano rapa e ananas di Moreno Cedroni. Ed è intorno al pesce che il bistellato chef de La Madonnina Del Pescatore di Senigallia (An) si è concentrato sin dall’inizio della sua straordinaria carriera, portandolo a creare scenografiche ricette, come Salmone Loch Fyne con crema di Philadelphia e olio


moncaro

© Mikhail Mandrygin / Prateep Phupathum - 123RF

Bianco, rosso e... pesce Sulle tavole estive il vino scorre fresco e profumato, esaltando al massimo le caratteristiche di un piatto di pesce. Non un bianco, come è facile pensare. Ma un intrigante rosso, Le Silve Rosso Conero Doc, montepulciano in purezza di Terre Cortesi Moncaro. La Cantina cooperativa di Montecarotto (An), uno dei più bei castelli della Vallesina, a cinquant’anni dalla fondazione, nel 1964, è oggi la maggiore realtà delle Marche nel settore vitivinicolo, con 928 soci, 65 dipendenti e un fatturato 2013 di 24,4 milioni di euro (il 60 per cento proveniente dall’export in oltre 40 paesi): con questo vino, sfida le regole e anche i pregiudizi sposandosi al meglio con importanti pietanze di pesce, come, ad esempio, Scaglie di baccalà su pane al pomodoro e salsa di prezzemolo di Pasquale Russo, chef del Ristorante Erard, nel centro di degustazione di Moncaro Le Busche, in cui, nella cantina interrata dai maestosi archi a volta, si trovano botti e barrique in rovere e l’area destinata alle pupitre per l’affinamento in bottiglia dello spumante metodo Classico. Il trucco è abbassarne la temperatura di servizio, che ne esalta ancora di più il bouquet di ciliegia e di piccoli frutti di bosco, in particolare lamponi e fragoline, con sfumature floreali di viola e il sapore vellutato, morbido ed equilibrato che emana freschezza. I tradizionalisti dell’abbinamento bianco-pesce possono invece optare, anche con il baccalà di Pasquale Russo, per il Verde Ca’ Ruptae Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc Classico Superiore: i suoi sentori di frutti di pomacee, erbe aromatiche, lieviti, fiori amari di rovo e acacie, sfumati da sottile ginestra; la sua ottima intensità; la lunga e complessa persistenza; il gusto secco e nel contempo di giusta morbidezza, ancora fine, con valido sostegno alcolico e l’evidente freschezza e sapidità, completata dalla maturazione sur lie, lo rendono, infatti, compagno ideale di diversi tipi di pesce. I vini di Moncaro sono frutto di un intenso lavoro di investimenti e di ricerca tecnologica, in nome del territorio e dell’ambiente. Ecco perché l’azienda ha aderito al progetto ideato da Riccardo Cotarella, enologo di fama internazionale e attuale presidente di Assoenologi, per la produzione di vini senza solfiti: “I primi due sono contraddistinti dall’etichetta Atavico che comprende un Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc Classico Superiore annata 2013 e un Rosso Piceno Superiore Doc annate 2012 e 2013 -spiega l’enologo di Moncaro Giuliano D’Ignazi- Ma stiamo estendendo la riduzione dei solfiti a tutta la gamma, per garantire volontariamente una soglia inferiore al 50 per cento del massimo consentito dalla legge”. “Una concezione moderna del vino, una vera e propria frontiera scientifica riconosciuta a livello internazionale”, sottolinea il presidente Doriano Marchetti. Prova ne sono i due ori e i tre argenti assegnati ai vini di Moncaro all’importante competizione tedesca Mundus Vini 2014. “Ottenere il massimo livello di riconoscimenti sulla qualità in Germania significa aprire nuove prospettive per il vino marchigiano e italiano in fascia premium -aggiunge il presidente Marchetti- I prodotti in fascia alta apportano un valore molto elevato sia ai produttori, sia al territorio di cui essi stessi sono espressione e i premi ricevuti da Moncaro contribuiscono ad aumentare l’attenzione degli operatori di questo importante mercato”. Così, nella sede storica di Montecarotto e nei due stabilimenti a Camerano (An), alle pendici del Monte Conero, e ad Acquaviva (Ap), in cui vengono prodotti, affinati e invecchiati i vini tipici delle rispettive zone di produzione, la filosofia è una e punta sulla produzione dei vitigni autoctoni; sull’utilizzo dei metodi di coltura biologica e senza l’uso di sostanze di sintesi; sulla classificazione dei vigneti in base alle loro caratteristiche pedologiche e microclimatiche (altitudine, esposizione, composizione del terreno e vitigni coltivati) per stabilire la loro vocazione e la scelta dei cru. In questo modo, nei 1.705 ettari di vigneti di proprietà aziendale, Moncaro garantisce al meglio la continuità qualitativa della produzione sotto la guida degli enologi D’Ignazi e Cotarella.

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abbinamenti

La parola d’ordine dei ristoranti di pesce è territorialità, soprattutto per quelli che si affacciano su laghi e fiumi, che negli ultimi anni stanno ridando lustro al pescato d’acqua dolce

affumicato e Grigliata dieci anni dopo, un tripudio di gamberi rossi, code di scampi, pannocchie, rombo, spigola, polpo e seppia, e ad aprire la strada a novità che sono diventate mode, dall’abbinamento tra pesce e selvaggina, come in Ricciola, capriolo, salsa di topinambur e ciliegie, al Susci all’italiana, che non è solo questione di una lettera, ma è l’interpretazione in stile mediterraneo di un classico giapponese: “Quindici anni fa mi sono appassionato al pesce crudo e, stanco del pesce che allora si faceva in Italia, bagnato con il limone e con l’aceto e del sushi cosparso di soia, ho coniato un mio brand, ‘Susci’, come si pronuncia in italiano, e ho iniziato a fare delle ricette diverse per ogni tipo di pesce, ispirate da fiori, colori e poesie, come la Ricciola al tonno con la collatura di alici, che è la mia salsa di soia”, spiega Cedroni. Il pesce, dunque, ingrediente versatile sul quale sperimentare: “Infatuato dal concetto dell’immortalità del cibo, quello cioè che puoi mangiare tra due-tre anni, ho da tempo realizzato Officina, il laboratorio ittico in cui prepariamo linee di conserve di pesce, bresaole

di tonno e di pesce salato, la trippa di coda di rospo e il fegato di coda di rospo, ideale per essere spalmato su tartine di pane caldo, che si possono acquistare da Anikò, la prima salumeria ittica in Italia, a Senigallia, in cui si può gustare pesce affumicato abbinato a salse dolci e salate e lasagne di pesce, ma anche acquistare i nostri salumi di pesce”, continua lo chef.

Dal salato al... “dolce” E se il susci all’italiana di Cedroni ha fatto scuola, sembra proprio che la parola d’ordine dei ristoranti di pesce sia territorialità, in particolare di quelli che si affacciano sui laghi o sui fiumi, che negli ultimi anni stanno ridando lustro alle tradizionali ricette

CANTINA Tramin

Le inebrianti note dello Stoan Cuvée Nascono dal cuore dell’Alto Adige gli inebrianti profumi dei vini di Cantina Tramin, fondata nel 1898 da Christian Schrott, parroco di Termeno (Bz) e oggi fra le prime realtà cooperative della regione, capaci di impreziosire i piatti dei più celebri chef. Ne è un esempio lo Stoan Cuvée 2012 che inebria i palati in abbinamento a Cappon Magro di Ivano Ricchebono del The Cook di Genova, tripudio di pesci azzurri, crostacei e verdure. Chardonnay (60 per cento), sauvignon (22 per cento), pinot bianco (11 per cento) e gewürztraminer (7 per cento), è un raffinato bianco firmato dal talento e dalla creatività dell’enologo Willy Stürz. Il nome, che significa pietra, sottolinea la conformazione rocciosa del terreno. Dal colore paglierino chiaro con sfumature giallo verdolino, molto trasparenti, al naso esprime personalità con aromi intensi, puliti, gradevoli, eleganti e raffinati che si aprono con note di pesca e sambuco, seguite da piacevoli aromi di ananas, banana, pera, e accenni di foglia di pomodoro e peperone verde; in bocca, è fresco e leggermente morbido, con un grande equilibrio e sapori intensi.

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Severino Garofano

Rosso Eloquenzia e Rosato Girofle il Negroamaro sposa il pesce

© Dmytro Pauk / Prateep Phupathum - 123RF

Tre sono le caratteristiche che il pesce ha quando è fresco: il colore lucido e luminoso delle squame; l’occhio brillante e convesso; il corpo sodo al tatto e le branchie unite

con i pesci d’acqua dolce. Certo, il pescato d’acqua dolce è più difficile da cucinare e richiede maggior attenzione già nella pulitura, ma mette d’accordo molti importanti chef, primo fra tutti Gualtiero Marchesi che ha dichiarato: “Sono un amante del pesce di lago. C’è chi dice che non sa di niente, che è dolce: l’apprezzo proprio per questo, perché soddisfa il gusto dolce della mia bocca”. E sembra che anche i palati dei buongustai stiano sempre più apprezzando il gusto di persico, lavarello, salmerino alpino, trota, coregone, tinca, arborella, carpa, luccio, cavedano e anguilla, guidati dalle sapienti mani di cuochi stellati dai fascinosi ristoranti vista lago. Come Stefano Baiocco, due stelle Michelin al Villa Feltrinelli di Gargnano (Bs): “In base alla reperibilità utilizzo i pesci del Lago di Garda, dal coregone alla trota salmonata gigante, dal salmerino al luccio, in diverse preparazioni, dagli antipasti ai primi piatti, dai secondi fino a canapé e stuzzichini. Finalmente c’è una riscoperta di questi ottimi pesci”. Una conferma arrivata anche da Fish & Chef, la kermesse che ha riunito alcuni cuochi stellati sul Garda in nome dei pescati lacustri: qui Baiocco ha stupito con la Trota salmonata appena marinata, fegato d’anatra e tocchi d’acidità. Altro lago, altro specialista nella cucina di pesce d’acqua dolce: il bistellato Marco Sacco del Piccolo Lago, affacciato sul Lago di

Il bianco è il colore del pesce? Non solo. Almeno per Severino Garofano, enologo dell’azienda di famiglia di Copertino (Le), nel cuore del Salento, che ai prodotti ittici del suo mare abbina volentieri uno straordinario rosso morbido e un accattivante rosato. E, così, la carne gustosa delle alici, tra i maggiori rappresentanti della squadra dei nutrienti, buoni e preziosi pesci azzurri, cucinata da Daniela Montinaro, chef de Le Màcare, oasi gourmet ad Alezio (Le), in un Tortino di alici con bufala e finocchietto selvatico, si esaltano in abbinamento a Eloquenzia Copertino Dop Rosso. Negroamaro in purezza, proveniente da vigne dell’agro di Copertino, è un rosso dal colore rubino intenso, che esordisce al naso con note di cuoio dolce, spezia, ciliegia; al palato è morbido, elegante e fresco. Caratteristiche che ne fanno un vino per il piacere quotidiano, in abbinamento alle ricette tipiche del Salento e, appunto, osando, per impreziosire una cena di pesce. Negroamaro in purezza anche per Girofle Salento Igt rosato: rosso corallo, brillante, con toni cerasuoli, al naso richiama note di fiori, con sfumature di frutti rossi; è piacevole, nitido e di buona freschezza al palato. Perfetto tutti i giorni in tavola, soprattutto con le ricette regionali pugliesi e con il pesce (frutti di mare, pesce alla griglia e zuppe di pesce saporite). Si abbina particolarmente con la palamita, pesce azzurro dal sapore deciso, come nella golosa Schiacciatina di palamita con insalata di fagiolini, patate e cipolla di tropea di Daniela Montinaro. Un amore, quello per il Salento, che l’azienda si porta dietro da quando Severino Garofano ha fondato una cantina per la produzione di vini di qualità: mezzo secolo di esperienza e impegno per la terra che sono diventati il mezzo per migliorare le varietà di uve autoctone, dal negroamaro alla malvasia nera di Lecce, nel rispetto della natura e della tradizione, tradotto in un moderno approccio, grazie al dinamismo delle nuove generazioni.

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abbinamenti Viticoltori Ponte

Intrigante aperitivo di pesce con il Prosecco Millesimato Campe Dhei Si dice spesso che la prima impressione sia fondamentale. Anche a tavola. È indispensabile quindi iniziare una cena elegante con un intrigante aperitivo che stuzzichi l’appetito della gola e della vista: perfetti i Bigné con crema di avocado e polpa di granchio, sfiziosi finger food che, con i loro raffinati accordi di sapori dal tocco esotico, si sposano con il Prosecco Doc Treviso Extra Dry Millesimato Campe Dhei di Viticoltori Ponte. La cantina cooperativa, fondata nel 1948 a Treviso e oggi una delle più importanti realtà produttive del Nord-Est, con uve glera in purezza che crescono in terreni a medio impasto del Trevigiano, ha creato un vino vivace e brioso. Dal colore giallo tenue con riflessi verdognoli, al naso regala spiccati sentori di mela verde e un retrogusto di agrumi; fresco in bocca, conquista il palato con la spiccata sapidità e la finezza del perlage.

Mergozzo, a Verbania: “Per mia passione e per la location del mio ristorante, da un po’ di anni mi sono specializzato in questo prodotto -spiega lo chef- Utilizzo tutti i pesci di acqua dolce, in base alla stagione che, naturalmente rispetta anche i divieti di pesca, dall’alborella, che è il pesce più piccolo, al luccio, che arriva anche a 10-15 chili, passando dal persico al coregone, al luccioperca, fino all’anguilla, che Zorzettig

Myò Malvasia e boreto, sapori del Friuli “Per godere di tutto il sapore del pesce non c’è niente di meglio di un Boreto alla graisana, che non è né un brodetto né una zuppa, ma una pietanza, unica per semplicità di ingredienti e preparazione, inventata dai pescatori della laguna con il pesce di ‘scarto’ e oggi una vera prelibatezza del mare -afferma Annalisa Zorzettig, titolare dell’azienda di famiglia a Spessa di Cividale, nel cuore dei Colli Orientali del Friuli- E per esaltarne al massimo il gusto io consiglio, naturalmente, una bottiglia di Malvasia”. Primo fra tutti il Myò Malvasia Doc Friuli Colli Orientali 2012. Prodotto con malvasia istriana, vitigno giunto nella zona dei Colli Orientali del Friuli nel 1300, grazie ai mercanti veneziani, situato nella frazione di Ipplis, nel comune di Premariacco (Ud), ha colore giallo paglierino con leggeri riflessi dorati. Al naso spiccano le particolari e ricercate note speziate di cannella e noce moscata, che vanno a impreziosire un complesso bouquet floreale e fruttato, con sentori di fiori secchi, mela, pesca e albicocca. Al palato è intenso, lungo e persistente, con un retrogusto di grande sapidità e ricchezza.

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è probabilmente uno dei miei piatti fortunati”. Una ricetta antica che Sacco ha riadattato con tecniche moderne, partendo dalla cottura alla griglia su brace di faggio per arrivare a quella per otto ore nel modernissimo roner: “Il risultato è una carne aromatica e tenerissima che viene completata ed esaltata da una patata al limone, impanata a una polvere al peperone, per dare acidità, cremosità e dolcezza, e da un fondo di vitello agrumato con lime, arancia e limoni. A chiudere il piatto un’effervescenza: una caramella realizzata con acqua e zucchero e citrosodina, per sgrassare completamente la bocca da questo pesce importante, da abbinare a un rosso leggero e secco, come ad esempio un Gattinara”, racconta Sacco.

Bianco o rosso? Proprio l’abbinamento pesce e vino è uno dei capitoli più interessanti, e spesso discussi, dell’enogastronomia. Tanti sono i parametri da tenere presente: dalla quantità dei grassi del pesce, al tipo di cottura, agli altri ingredienti presenti nella ricetta. Ma le regole generali sono semplici: con pesci grassi cotti alla griglia, al vapore o bolliti, si deve optare per bianchi delicati, non eccessivamente aspri e di media concentrazione alcolica; con i crostacei perfetti i bianchi aromatici, in particolare quelli del Trentino Alto Adige, con il loro caratte-


A sinistra, Stefano Baiocco è un grande interprete del pesce del Lago di Garda. Tra le sue ricette è molto apprezzato il Salmerino confit, ceci al geranio odoroso e lumachine di mare. Sopra, sul Lago di Mergozzo, Marco Sacco interpreta le ricette con il pescato locale con tecniche moderne come nella sua celebre Anguilla (a destra) e nel Lingotto di trota affumicata del Mergozzo

ristico finale amarognolo che si bilancia alla dolcezza delle carni; per i fritti serve un vino dalle grandi capacità sgrassanti, come uno spumante metodo Classico o uno Champagne; rombo, sgombro, sarde e alici al forno richiedono dei bianchi opulenti o dei rosati decisi, perfetti anche per zuppe, guazzetti e caciucchi, con i quali comunque si può anche osare con dei rossi giovani e leggeri. RATIONAL

La frittura perfetta senza olio Davide Valsecchi e Riccardo Sini al Gelo Club, ristorante gastronomia ittica di Alessandria, preparano quotidianamente oltre 100 pasti. Il loro successo, spiega Davide (chef del programma televisivo I Menu di Benedetta) che, assieme al socio Riccardo Sini, gestisce da 20 anni la gastronomia ittica, è dovuto alla varietà di pietanze di alta qualità a base di pesce. Ma la loro specialità è senza dubbio la frittura di pesce, cotta senza friggitrice, grazie alla tecnologia di Selfcookingcenter whitefficency Rational. La tecnologia Rational permette di non avere gli svantaggi della classica friggitrice, come gli alti consumi, i cattivi odori e i grassi. L’idea di realizzare una frittura senza olio sembrava impossibile, ma poi i due ristoratori si sono dovuti ricredere grazie all’ottimo risultato ottenuto in cottura e ai complimenti ricevuti dai clienti. La versatilità del Selfcookingcenter whitefficency permette, infatti, di gestire al meglio la vasta gamma di piatti proposti ai clienti.

Sfatato dunque il preconcetto che solo il vino bianco vada bene con il pesce o si tratta di una nuova tendenza? “Parlare di tendenza è un azzardo, perché si è sempre bevuto rosso accompagnando la cernia, le crudité di mare o la pulcinella -spiega Bruno Federico, patron de La Caprese di Mozzo (Bg)Vini naturalmente poco ricchi di tannini, dal gusto rotondo e con acidità che viene annullata dalla salsedine del pesce”. Alfonso Iaccarino del Don Alfonso 1890, a Sant’Agata sui due golfi (Na), ha qualche riserva con la spigola, ma segnala “il Polipetto affogato napoletano o, meglio, i Filetti di triglie al basilico con un Aglianico del Vulture”. Stessa sorte per il pesce di lago, con in primis l’anguilla che ama anche i rossi, non solo da Marco Sacco, ma anche da Carlo Brovelli del Sole di Ranco, a Ranco (Va), sul Lago Maggiore, che l’abbina anche al Dolcetto d’Alba, e la tinca da sposare a un Lagrein. Ma per gli altri pesci lacustri meglio il bianco: dal carpione, perfetto con Lugana o Chiaretto, alla trota con il Verdicchio, marchigiano; dal luccioperca con l’Albana di Romagna all’agone, ottimo con un bianco dell’Alto Lazio come l’Est! Est!! Est!!! di Montefiascone. L’importante, consigliano i sommelier, è stare attenti alla temperatura di servizio, F&B offrendo fresco anche il rosso. Food&Beverage maggio 2014 | 67


evoluzioni La famiglia Stefanini ha ristrutturato il proprio stabilimento balneare così da rendere il suo ristorante godibile estate e inverno. Ai fornelli, Alessandro Filomena, che propone piatti della tradizione con i prodotti freschi dell’orto di famiglia e il pescato del patron Andrea

FrancoMare, squisitezze e pescato a fior d’acqua Gianni Mercatali

È Nel cuore della Versilia, a due passi dal centro di Forte dei Marmi, lo stabilimento FrancoMare è un luogo cult

il ristorante dell’ormai noto stabilimento balneare FrancoMare di Marina di Pietrasanta (Lu)

condotto dalla famiglia Stefanini che da quest’anno rimarrà aperto tutto l’anno dopo una ristrutturazione dell’architetto Lera. Una nuova occasione per vivere in diretta anche il mare d’inverno. La signora Doria si dedica con particolare attenzione alla sala con i figli Davide e Nicola. Il padre Andrea è il vero lupo di mare della famiglia: esce con la barca sia d’estate che d’inverno per portare sulla tavola il miglior pescato. “Con il nostro moderno pattino a motore ormeggiato nel vicino porticciolo del Cinquale, peschiamo entro le tre miglia marine con la curiosità di scoprire, ogni volta che tiriamo una ‘spanna di rete’, cosa il mare ci ha donato quel giorno”, dice con orgoglio. Ma la famiglia ha anche un orto di circa 2 mila metri quadrati nella campagna versiliese che segue con passione nel rispetto della natura e delle stagioni. A coadiuvare la sala il sommelier Cristiano Pellegrinetti, un vero personaggio del vino in Versilia, due volte vice campione toscano Ais: “Con la nostra carta ricca di quasi 500 etichette abbiamo voluto esplorare nuovi sapori regionali e vitigni autoctoni, oltre ad alcuni vini della migliore enologia francese, non solo Champagne”. Fra le bottiglie più preziose Dom Ruinart Blanc de Blancs 1996, Bienvenues Batar Montrachet Grand Cru Louis Jadot 2005, Lafite Rothschild 1993, Redigaffi Tua Rita 2001. Ma ci sono anche bottiglie in carta intorno ai 20 euro come i due Pinot bianco e nero di Kornell o il Rosso di Matraja delle colline lucchesi della fattoria Colle Verde. A dirigere la brigata di cucina c’è Alessandro Filomena. Innamorato degli ingredienti più genuini da combinare nei suoi piatti, segue la filiera contando sulle verdure dell’orto della famiglia

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Innamorato degli ingredienti genuini, lo chef Alessandro Filomena (a destra) propone una cucina semplice e rigorosa in piatti come Baccalà bianco alla piastra con ceci toscanelli, cotto in due modi e Spiedino Martini di polpo caramellato su spuma di Prosecco e polvere di capperi. A sinistra, il sommelier Cristiano Pellegrinetti

Stefanini e sul pesce pescato da Andrea. Nato a Cantù, ha frequentato la Scuola Alberghiera a Casargo, in Valsassina e, dopo numerose esperienze sulle navi da crociera, all’estero e poi a Milano, si afferma in Versilia al Bistrot di Forte dei Marmi. Si definisce un autodidatta: “Non sono l’allievo di nessuno. Ho affinato il mio lavoro accanto a molti chef e in varie cucine, dall’Enoteca Pinchiorri di Firenze fino all’Hotel Posta di Cortina. Ho collaborato anche con Carlo Cracco al Principe di Forte dei Marmi e ho fatto l’apertura, più recentemente, del Bistrot Mosca”. I suoi piatti, di mare e di terra, sono caratterizzati dall’amore per la materia prima e dalla qualità degli ingredienti, esaltati dalle cotture a bassa gradazione. Una cucina semplice, gustosa e rigorosa dove la pasta, i pani e i dolci sono tutti rigorosamente fatti in casa. Da provare il Baccalà mantecato con semi di pomodoro datterino e pappa al pomodoro estiva, spiedino di calamaretti spillo alla piastra con guanciale leggermente affumicato, fagioli schiaccioni di Pietrasanta cotti in due modi, ma anche i Fegatini di pollo del Valdarno in torcione all’Occhio di Pernice, marmellata di ribes e pan brioche. Fra i primi, da non perdere il risotto Carnaroli Principe di Lucedio con gambero rosso e burrata, tuffoli Mancini con crema di cicale, pomodoro verde e dry gin, e i Tordelli della tradizione versiliese “secondo noi”, con pecorino fondente e spinaci. Per i secondi piatti il pescato del giorno nei diversi modi e, “dalla barca di Andrea”, Vaporata mista di rete. Guardando all’Oriente, ecco il Cubo di tonno laccato con soia, miele e pepe nero, ratatouille di verdure e yogurt al prezzemolo. Per chi ama la carne, Filetto di manzo al burro nero con liquirizia, purea di patate di Sant’Anna e il suo fondo. Per finire, una selezione di sorbetti e il Babà al limoncello con frutti di bosco e il Cioccolato Guanaja Grand Cru di Valrhona, peperone e rum Barbancourt Reserve. Piatto cult del ristorante sono i Pici cacio e pepe. “È

perfetto in tutte le stagioni, facile -dice lo chef- che però non vuole errori. La pasta non deve seccare, non si deve condire con i formaggi a pezzi ma grattugiati. Una ricetta della tradizione capace di regalare intense emozioni: il sapore dei formaggi, l’aroma del pepe, la pasta fresca che resta croccante grazie alla cottura breve”. Alessandro Filomena prepara i pici nella maniera classica, con acqua, farina e sale; l’impasto lo si lascia riposare per 10-15 minuti (se la pasta è “molle”, è più facile da lavorare), poi si tira e si arrotolano i pici a mano su un tavolo. Si buttano in acqua salata e si fanno cuocere 3-4 minuti. Intanto, in un tegame si gratta il pepe Sarawack e si scalda per lasciare sprigionare gli aromi, poi si aggiungono burro, panna e acqua di cottura. Si scolano i pici nel tegame e si fanno amalgamare con la salsa lasciando tutto molto morbido. Si spegne la fiamma e, lontano dal fuoco, si uniscono i due formaggi, pecorino romano e parmigiano reggiano grattugiati; infine, si impiatta con F&B l’ultima grattata”. scheda

Ristorante FrancoMare viale Lungomare 41 55045 Marina di Pietrasanta (Lu) tel. +39 0584.20187 info@bagnofrancomare.com

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format L’originale natural fast food Viva ha aperto due nuovi locali nel cuore di milano. Qui, tra materiali e arredi green, sapientemente mixati da Costa Group, e un’atmosfera suggestiva e rilassante, si gustano freschi e sani spuntini, centrifughe e yogurt, senza rinunciare al gusto

L’arte dell’insalata Frida Parise

S Costa Group ha realizzato per Viva oasi di benessere urbano con materiali naturali, a partire dai panelli di erba essiccata per il bancone

embra un piatto semplice, ma non lo è. Tanto che vi si cimentano anche i grandi chef. Uno su

tutti, il bistellato Stefano Baiocco di Villa Feltrinelli a Gargnano (Bs) che tra i suoi cavalli di battaglia ha una scenografica insalata di 130 differenti germogli ed erbe aromatiche e 40 fiori eduli. Preparare un’insalata è, insomma, un’arte in difficile equilibrio tra gusto, bellezza e salute. Ma in nostro aiuto viene Viva, l’originale format milanese di insalateria prêt-à-manger che, dopo via Cesare Correnti, ha aperto due nuovi locali in piazzale di Porta Lodovica e in largo della Crocetta, con una novità in più: il reparto caffetteria. Verdure freschissime, formaggi, pollo alla griglia, uova, semi e germogli e quattro diversi dressing: qui è il cliente a comporre la propria insalata su misura. Parole d’ordine da Viva sono buono, fresco e naturale, applicate non solo alle insalate, ma anche alle paste integrali, alle zuppe, calde o fredde, ai tramezzini con pane fresco, ai dolci fatti in casa, ai frullati, alle centrifughe fino agli yogurt probiotici. “Da Viva tutto è preparato con frutta e verdura fresche, senza l’aggiunta di prodotti surgelati o conservati -spiega Corrado Menozzi, ideatore del format insieme a Giuseppe Parolini- Siamo partiti dalla constatazione che, mangiare sano, in troppi casi significa rinunciare a gusto, colore e creatività o rassegnarsi a pagare prezzi improponibili. Ci siamo ispirati a locali che all’estero funzionano bene, ma che da noi ancora non esistono o si affacciano sul panorama

gastronomico con alterne fortune, solo in questi ultimi periodi. Proprio le esperienze in città come Londra e Parigi ci hanno insegnato che locali con una proposta prettamente take away e che partono da prodotti freschi, possono essere replicati con successo, se sapientemente organizzati e gestiti”. Oasi di benessere in formato urbano, trasformate in realtà grazie a Costa Group (www.costagroup.net), azienda di Riccò del Golfo (Sp), leader nell’arredamento del food, e all’architetto Jacopo Vincenti: la scelta dei materiali rigorosamente naturali, come i pannelli di erba essiccata utilizzati per rivestire il bancone, in sintonia con l’anima di Viva, creano un’atmosfera suggestiva, accogliente e rilassante. Ora il sogno di Menozzi è “replicare in altre città italiane ed estere, a patto di poter mantenere il presidio costante sulla qualità”. Perché “Mangiare è una necessità, mangiare intelligentemente è un’arte”, come insegna François F&B de La Rochefoucauld. scheda

Viva piazzale di Porta Lodovica 6 via Cesare Correnti 20 largo delle Crocetta 2 20100 Milano www.vivaviva.it


+23%* visitatori 2015 vs 2013

+19%* espositori 2015 vs 2013

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+80%* top buyer 2015 vs 2013

GROW YOUR OWN BUSINESS May 3 - 6 Maggio 2015 iN CoNTEMPoRaNEa CoN EXPO

*Proiezione aspettative sulla base degli investimenti


spagna Un

viaggio che dalle tabernas storiche di

Madrid,

glorioso patrimonio

culturale, con i loro banconi in legno e i piatti della tradizione, conduce fino a

Toledo,

città-fortezza a picco sul

Tago,

festeggia il quarto centenario della morte del pittore

dove si

El Greco

Sul filo goloso della storia Beba Marsano

M All’inizio del XX secolo a Madrid si contavano circa 1.500 tabernas, ora ne restano più di un centinaio

adrid? “La città più spagnola di tutte”. Parola di Ernest Hemingway. Perché non patinata, non

turistica. Madrid è cutre: autentica, genuina, schietta. Anche, e soprattutto, a tavola. Lo sa chi varca la soglia delle sue tabernas storiche, vere e proprie istituzioni della vita sociale madrilena, oltre che glorioso patrimonio culturale, con i loro banconi in legno, le mensole in marmo affollate di bottiglie, i vecchi orologi a parete, gli splendidi zoccoli di azulejo. All’inizio del XX secolo se ne contavano circa 1.500, ora non ne restano più di un centinaio, molte delle quali in servizio ininterrotto da oltre un secolo: 13 delle più antiche sono riunite oggi in un circuito, che regala l’ebbrezza di sapori antichi e di atmosfere d’altri tempi (www.restaurantescentenarios.es). Come al Botín, nel Guinness dei Primati come il più vecchio ristorante al mondo

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Botín è nel Guinness dei Primati come il più vecchio ristorante al mondo: il suo piatto forte dal 1725 è il porcellino da latte cotto nel forno a legna, amato da Hemingway. Sotto, la Taberna Antonio Sanchez, attiva dal 1830, è una delle poche rimasta esattamente come allora

ancora in attività (funziona dal 1725). Qui Francisco Goya lavorò come lavapiatti, lo stesso Hemingway era di casa e la regina Sofia invitò Nancy Reagan quando era first lady. Il piatto forte? Il porcellino da latte cotto nel forno a legna, che proprio Hemingway ha reso topos letterario nelle pagine finali di Fiesta (1926): “Mangiammo da Botín nella sala da pranzo di sopra. È uno dei migliori ristoranti del mondo. Maialino da latte arrosto e rioja alto...”. Historia de una Taberna è invece il libro del celebre scrittore e critico taurino Antonio Díaz-Cañabate che, nel 1944, ha riservato un posto nelle lettere anche alla Taberna Antonio Sanchez. Attiva dal 1830, è una delle poche rimasta esattamente come allora, con l’originaria illuminazione a gas e un registratore di cassa che vanta più di 120 anni di onorato servizio. Tra teste di toro imbalsamate e dipinti con scene di corride, qui si serve la più pura cucina della tradizione. Qualche assaggio dal menu? Olla gitana (zuppa aromatizzata con spezie a base di ortaggi e legumi), rabo de toro (coda di toro in umido con cipolle, pomodori e patate), callos a la madrileña (specialità tipicamente invernale, costituita da trippa di toro, sanguinacci e paprika dolce), tortilla de San Isidro (pasticcio di cipolla

e baccalà), le immancabili lumache e le famosissime torrijas, dolci quaresimali per eccellenza di cui pare fosse ghiotto re Alfonso XIII, fatti di pane, zucchero, cannella e buccia di limone. La Bola è il tempio indiscusso del celeberrimo cocido, re delle tavole madrilene: uno stufato a base di vari tipi di carne e di insaccati, accompagnati da ceci e verdure, cotti a lungo a fuoco lento. Dal 1870, in questa elegante taverna in prossimità del Palazzo Reale, tappezzata dalle foto degli ospiti più illustri, il cocido viene preparato in un forno a carbone vegetale all’interno di piccole giare individuali in terracotta. Una delizia. Famosissimo pure il cocido di Malacatín, servito in porzioni così abbondanti che “nessun cliente”, dicono, “è mai riuscito a finire”. Altro luogo deputato del cocido madrileño è Casa Ciriaco, ritrovo dell’intellighenzia prima della guerra civile e indirizzo amatissimo dal pittore modernista Ignacio Zuloaga per l’atmosfera castiza, verace, e le specialità di tradizione secolare. Dalla pernice in

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itinerari

salamoia, piatto feticcio della cucina spagnola fin dal XVI secolo, alla gallina en pepitoria in salsa di vino, mandorle, uova e zafferano (una ricetta rara, che sta progressivamente sparendo dai menu indirizzi gourmet

Madrid

La Bola è il tempio indiscusso del celeberrimo cocido, uno stufato a base di vari tipi di carne e insaccati, accompagnati da ceci e verdure. A destra, La Carmencita è la seconda taverna più antica di Madrid

Botín calle Cuchilleros 17 tel. +34 (0)91.3664217 www.botin.es Taberna Antonio Sanchez calle del Mesón de Paredes 13 tel. +34 (0)91.5397826 www.tabernaantoniosanchez.com La Bola calle Bola 5 tel. +34 (0)91.5476930 www.labola.es Malacatín calle Ruda 5 tel. +34 (0)91.3655241 www.malacatín.com Casa Ciriaco calle Mayor 84 tel. +34 (0)91.5480620 La Carmencita calle Libertad 16 tel. +34 (0)91.5310911 www.tabernalacarmencita.es Casa Lucio calle Cava Baja 35 tel. +34 (0)91.3653252/3658217 www.casalucio.es Palacio de Cibeles plaza de Cibeles 1 tel. +34 (0)91.5231454 www.adolfo-palaciodecibeles.com

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dei ristoranti), senza dimenticare la classica paella e i calamari serviti nel loro inchiostro. Giorno del cocido è il martedì, quando viene preparato nella versione completa in tre portate (zuppa, verdure e carni) abbondantemente innaffiate dal vino di Valdepeñas. Una curiosità storica: nel 1906, dalla pensione al terzo piano dell’edificio di Casa Ciriaco, l’anarchico Mateo Morral lanció una bomba nascosta in un mazzo di fiori contro Alfonso XIII; il re rimase illeso, ma persero la vita 24 civili. La Carmencita, seconda taverna più antica di Madrid (1854) e ritrovo prediletto di poeti come Federico García Lorca e Pablo Neruda, è a sua volta santuario delle tortillas de patatas, le frittate di patate emblema della stessa cucina spagnola. E, dalla carta dei dessert, un’ulteriore squisitezza da non perdere: la torta di biscotti al cioccolato. Irrinunciabile pure Casa Lucio, frequentata da tutto il bel mondo della capitale, che Mario Vargas Llosa, nel suo ultimo romanzo L’eroe discreto (2013), definisce come il “migliore e più caratteristico ristorante di Madrid”. Ne celebra in particolare los huevos estrellados, uova fritte strapazzate con prosciutto crudo e patate: “Casa Lucio ha trasformato questo piatto in un’opera d’arte”. Parola di Nobel. Da Madrid i sapori della storia portano a Toledo: una novantina di chilometri dalla capitale, collegati da un treno in partenza ogni ora dalla stazione di Puerta de Atocha. Perché Toledo? Perché quest’anno la città ospita un evento di respiro mondiale, El Greco a Toledo (www.elgreco2014.com) per il quarto centenario della morte di uno dei più grandi artisti di ogni tempo: non solo la più grande rassegna mai organizzata, con la quasi totalità dei capolavori (fino al 14 giugno al Museo de Santa Cruz), ma dodici lunghi mesi di arte, musica, gastronomia nel nome del “pittore di Dio”. Un’occasione unica per ammirarne la pittura visionaria, in bilico tra “ragione e delirio”, e scoprire la città-fortezza a picco sul Tago, Patrimonio dell’Umanità in virtù dei monumenti che ne fanno un autentico museo a cielo aperto e una location medievale perfetta per registi quali Luis Buñuel e


In occasione della mostra “El Greco a Toledo”, la città ospita eventi legati all’arte e alla cucina. Sopra, Toledo in un quadro di El Greco e il Cigarral El Bosque. A destra, la Confiteria Santo Tomé è il tempio del marzapane dal 1856. Sotto, Casa Lucio a Madrid

scrittori come Rainer Maria Rilke, per il quale Toledo rappresentò il “viaggio dei viaggi”. Saborea Greco è il programma del Centenario che, fino a tutto dicembre, si propone di trasformare Toledo in destinazione non solo artistico-culturale, ma anche squisitamente gastronomica. Due le iniziative di punta: Genuino Toledo, menu antologici con i piatti simbolo della cucina locale proposti nei migliori indirizzi della città, e il Festival della cucina castiglianomanchega, calendario di cene esclusive orchestrate dai più blasonati chef della regione all’interno di ristoranti, hotel e cigarrales, le antiche residenze fuori mura della nobiltà e dell’alta borghesia toledana, oggi relais di charme sulle sponde del Tago. Due per tutti? Il Cigarral del Ángel Custodio, la più antica di queste storiche dimore, forte del suo chef de cuisine, Guillermo Susaeta, e il Cigarral El Bosque, dove al Restaurante El Olivo lo chef Daniel Camuñas propone i piatti forti della tradizione, quali lo stufato di pernice, vera stella della cucina toledana, e la carcamusa (stufato di carne, pomodori e piselli in salsa piccante), oltre a piccoli capolavori d’invenzione come l’hamburger di mela e foie gras. Genuino Toledo attinge le sue proposte dal Ricettario di Cucina Toledana messo a punto per l’occasione da un’équipe di storici, gastronomi e cuochi, che ha sottoposto le ricette più rappresentative della regione a un processo di modernizzazione in termini di ingredienti, procedimenti e presentazione, per proporre in versione attualizzata, contemporanea, i sapori della tavola ai tempi di El Greco. A partecipare all’iniziativa un ampio ventaglio di locali, dai santuari per alti palati

alle taverne della tradizione, custodi di grandi classici come i piatti di selvaggina, fiore all’occhiello della cucina locale, fino alle enoteche gastronomiche, perfette anche solo per una sosta di tapas y cañas (tapas e birra) d’autore. Si tratta di indirizzi celati nell’incanto di angoli defilati e sospesi, dai romantici patii di sapore mozarabico ai vicoli dai nomi esoterici, listati da antichi palazzi color marzapane, il dolce feticcio di Toledo, che dal 1856 ha il suo tempio nella Confiteria Santo Tomé (Plaza de Zocodover 7, www. mazapan.com), dove la pasta di mandorla dà forma alle caratteristiche figurine, agli huesos de santo farciti

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itinerari indirizzi gourmet

Toledo

Adolfo Muñoz, tra gli chef imprenditori più carismatici e celebri della Spagna, firma prestigiosi ristoranti dal Viñedos Cigarral Santa María a Toledo (sopra), al Palacio de Cibeles di Madrid (sotto)

di crema e a vere e proprie sculture. Le soste della gola si trovano spesso all’ombra dei cosiddetti Espacios Greco, luoghi simbolo di Toledo (legati da un percorso complementare alla mostra), custodi dei dipinti monumentali realizzati da El Greco per quegli stessi spazi e tuttora in situ: la Cattedrale, la Cappella di San José, il Convento di Santo Domingo el Antiguo, l’Ospedale Tavera, la chiesa mudéjar di Santo Tomé in cui giganteggia, imperdibile, La sepoltura del conte di Orgaz. Il Festival della cucina castigliano-manchega (che il 31 maggio ospita la lectio magistralis dello chef più celebrato al mondo, Ferran Adrià) propone invece ogni venerdì e sabato, a seconda del ristorante, serate di alta gastronomia con menu degustazione preparati a quattro mani dai più quotati chef spagnoli, ospiti di non meno grandi colleghi della provincia toledana. Tra questi, gli stellati Pepe Rodríguez Rey (anche giurato a MasterChef Spagna) del Restaurante El Bohío di Illescas, José Carlos Fuentes del Restaurante Tierra di Torrico

A Delhi il cibo, il modo di cucinarlo e servirlo, è fortemente connotato con la spiritualità e con la storia movimentata dell’India

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Cigarral de l’Ángel Custodio ctra. de la Puebla de Montalbán tel. +34 (0)925.256745 www.cigarraldelangelcustodio.com El Olivo (Cigarral El Bosque) crta. Navalpino 49 tel. +34 (0)925.285640 www.hotelcigarralelbosque.com El Bohío av. de Castilla-La Mancha 81, Illescas tel. +34 (0)925.511126 www.elbohio.net Tierra (Hotel Valdepalacios) ctra. de Oropesa a Puente del Arzobispo, km. 9 Torrico tel. +34 (0)925.457534 www.valdepalacios.es La Casa del Carmen A-42, 61, Olias del Rey tel. +34 (0)925.490759 Adolfo calle del Hombre de Palo 7 tel. +34 (0)925.227321 www.grupoadolfo.com Colección Catedral Nuncio Viejo 1 tel. +34 (0)925.224244 www.grupoadolfo.com

e Iván Cerdeño di Casa del Carmen di Olias del Rey. Anche senza stella, brilla Adolfo Muñoz, chefimprenditore tra i più carismatici e celebrati, patron del Restaurante Adolfo, ambiente ricercato in un edificio del XIV secolo che fa da cornice a ricette della tradizione popolare rivisitate con estro, accompagnate da una strepitosa cantina di vini di Spagna. Tra le specialità della casa, il risotto manchego con tortora, tartufo bianco e funghi; la cotoletta di capriolo saltata con champignon; lo stufato di pernice al vino rosso. A capo del Gruppo omonimo (www.grupoadolfo.com), che comprende pure un paio di hotel di charme, Muñoz mette la propria firma anche sui menu di Colección Catedral, gastrobar modernista di fronte alla cattedrale, con tapas gourmet, specialità regionali e un’ottima selezione di rossi iberici, e di Palacio de Cibeles, il nuovo ristorante di Madrid, al sesto piano dell’ex Palazzo delle Poste, oggi centro culturale di prima grandezza e punta di diamante di una tendenza che negli ultimi anni ha trasformato in epicentri di cultura e creatività immensi edifici ormai dimessi. Al Palacio de Cibeles cucina di ricerca e vista superba della capitale contro la quinta della Sierra F&B de Guadarrama.


LA PRIMA FIERA SUL VINO DEDICATA ESCLUSIVAMENTE AL B2B

12 – 14 NOVEMBRE 2014 FIERA DI ROMA A ROMA NASCE UN NUOVO APPUNTAMENTO SUL MONDO DEL VINO, INTERAMENTE DEDICATO AL BUSINESS E PUNTO DI RIFERIMENTO PER LE AZIENDE VITIVINICOLE E GLI OPERATORI DEL SETTORE. Vinòforum Trade è un International Buyer Meeting promosso da Vinòforum e Fiera Roma, nato per rispondere alla crescente esigenza delle aziende del settore di allargare le proprie relazioni commerciali a livello nazionale ed internazionale. I dati incoraggianti sull’export italiano di vino, che supera nel 2013 i 5 miliardi di euro di valore complessivo, rafforzano la scelta strategica di Vinòforum Trade di proporsi come strumento complementare alle azioni promosse a sostegno dell’internazionalizzazione del comparto vitivinicolo. La riduzione dei consumi interni appare bilanciata dallo sviluppo di nuovi mercati, che si affiancano ai tradizionali maggiori clienti rappresentati da USA, Germania e Regno Unito. È su questa opportunità che Vinòforum Trade vuole offrire alle aziende produttrici nuovi strumenti capaci di penetrare con più incisività i mercati in fase di sviluppo, capaci di assicurare nei prossimi anni uno sbocco di grande interesse per i vini italiani. In alcune realtà geografiche come il Continente Asiatico, l’Est Europa e l’Area Mediterranea, è necessario favorire azioni di sistema che permettano alle aziende di presentarsi affermando il valore della qualità e della tradizione produttiva italiana. Infatti, nei nuovi centri di riferimento dei mercati mondiali, quali quelli rappresentati da Hong Kong, Singapore, Thailandia e Corea del Sud, l’Italia non ha ancora assunto le quote di mercato che le competono, nonostante si tratti di paesi capaci di incrementare con grande velocità le importazioni di vino. In altri paesi, come l’India, la Cina e la stessa Australia, i consumi crescono costantemente, orientati tra l’altro verso prodotti di qualità, tanto da rappresentare uno sbocco naturale per la produzione nazionale. Sulla base di queste analisi, Vinòforum Trade favorirà l’incoming di operatori provenienti da quei Paesi che rappresentano un’opportunità

sia per il consolidamento che per l’apertura di canali di commercializzazione rilevanti. Tra i buyer internazionali invitati, Vinòforum Trade procederà all’individuazione e selezione dei 100 più influenti che, per l’occasione, saranno ospitati dall’organizzazione e potranno confrontarsi con gli espositori su qualità dei prodotti e opportunità offerte dai mercati. Alle aziende partecipanti saranno offerte, al momento dell’iscrizione alla fiera, le credenziali d’accesso ad una piattaforma tecnologica, che consentirà ad ogni espositore di pianificare la propria agenda di incontri esclusivamente con buyer profilati. Vinòforum Trade si estenderà su oltre 20 mila metri quadrati dove 300 stand, di 16mq, saranno disposti in modo tale da garantire ad ogni azienda la massima visibilità. Una Buyers Lounge consentirà agli operatori di settore di incontrarsi e confrontarsi e uno Spazio Eventi ospiterà panel di incontri tecnici in cui verranno affrontati e approfonditi gli argomenti riguardanti l’innovazione, la formazione e le tecniche produttive del settore. Di particolare importanza, il posizionamento geograficamente strategico di Vinòforum Trade, che tenendosi a Roma, permetterà alle aziende partecipanti non solo di presidiare uno snodo commerciale rilevante, ma anche di godere di tutti quei benefici legati alle comodità logistiche . A Vinòforum Trade si affiancherà la Roma Wine Week, un fuori salone che coinvolgerà gli appassionati dell’enogastronomia dal 10 al 15 novembre, prolungando al contempo le occasioni di networking per gli operatori e dove saranno protagoniste le cantine presenti in Fiera, che avranno in questo modo l’opportunità di essere valorizzate ulteriormente nel corso di un evento diffuso. Per informazioni www.vinoforumtrade.com

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ospitalità Unico cinque stelle nell’atmosfera della Siena medioevale e luogo d’elezione, ieri come oggi, dell’élite internazionale, l’hotel, nel secentesco Palazzo Gori Pannilini, rapisce con il suo intrico di decori e arredi e la cucina d’autore del talentuoso Luca Ciaffarafà

L’incanto della storia al Grand Hotel Continental Beba Marsano

‘‘A Alti soffitti decorati, affreschi barocchi e lampadari di Murano impreziosiscono le sale

dirlo fra noi,

la gentilezza sta di casa solo a Siena. Altrove, nel resto della Toscana, è civiltà di modi, e non di voce, di piglio, di tono, di parole. Civiltà, non gentilezza: che son due cose diverse”. A scriverlo, in quel pamphlet guascone e folgorante battezzato Maledetti toscani (1956), è un viaggiatore illustre, Curzio Malaparte. Che quella gentilezza ora troverebbe concentrata in tutta la sua più alta espressione di stile a un indirizzo ben preciso: quello del Grand Hotel Continental (Gruppo Royal Demeure), unico cinque stelle nell’incanto medievale della Siena storica e luogo d’elezione, ieri come oggi, dell’élite internazionale, dagli aristocratici europei impegnati nel Grand Tour a teste coronate come la regina d’Italia Margherita di Savoia, fino a star planetarie dello show biz quali Andrea Bocelli e Daniel Craig.

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Alloggiato nel secentesco Palazzo Gori Pannilini, dono di nozze di papa Alessandro VII Chigi alla nipote Olimpia, nel cuore della Contrada del Drago (“Il cor che m’arde divien fiamma in bocca”, recita il suo motto), il Continental, affiliato ai Leading Hotels of the World, rapisce occhi e spirito per lo smagliante apparato di decori restituiti a nuova giovinezza da uno scrupoloso restauro che ha riportato alla luce anche i fregi più antichi e i motivi ornamentali ottocenteschi. Affreschi, opere d’arte e arredi d’epoca, dunque, ma anche misurate inserzioni di modernità in perfetto equilibrio con la storia. Due per tutte? Gli ascensori in gabbie di vetro e la cupola di cristallo a copertura della corte interna, dove un orologio da campanile inglese d’epoca vittoriana scandisce con le sue lunghe lancette dorate lo slow time


del sofisticato Winebar e del ristorante SaporDivino, vera e propria tavola d’autore firmata Luca Ciaffarafà. Chef di talento e di esperienza, che ripropone i grandi classici della cucina toscana (pappa al pomodoro, pici con le briciole, fiorentina, tagli freschi di cinta senese) con tocchi di accattivante originalità. Materie prime di assoluta eccellenza e prodotti di stagione sono le basi della sua filosofia del gusto, improntata a “proiettare la tradizione nel futuro” con preparazioni sempre più leggere e quindi più sane. Gli ingredienti feticcio della sua cucina? Olio extravergine d’oliva, farina di segale o farro e spezie. Assaggi dal menu? Bruschetta di pecorino al tartufo con amazzafegato piccante, Carré di agnello cotto a bassa temperatura in crosta di olive, Tartelletta di pere caramellate con anice stellato e gelato acido. E sono ancora i sapori toscani -in particolare salumi e formaggi- ad accompagnare le degustazioni dei più blasonati vini della regione negli spazi dell’Enoteca SaporDivino, luogo di indiscusso fascino ricavato alla base del torrione medievale dell’edificio, in cui spesse pareti di tufo proteggono un’importante selezione di etichette di pregio, ordinate con l’estro di un’installazione d’arte contemporanea su rastrelliere di acciaio e plexiglas. Alti soffitti decorati, trompe-l’oeil, affreschi di gusto barocco, lampadari in vetro di Murano sono invece appannaggio dei fastosi piani superiori, che inanellano gioielli come il Salone delle Feste con la galleria dei musici, la Biblioteca ricca di volumi e le incantevoli suite, frutto del talentuoso intervento di pittori, decoratori, architetti, arredatori. Senza eguali la Royal Suite Altana, su due piani alla sommità di una torre medievale, regno di lussuosa e raffinata privacy, con vista da vertigine sulla città e su struggenti lontananze

di colli. Non meno spettacolari la Deluxe Suite, con un affresco del XV secolo raffigurante San Cristoforo (patrono di pellegrini e viaggiatori), e le Royal Junior Suite, dove lo spazio sembra sdoppiarsi in virtù dei trompe-l’oeil che dispiegano solenni colonnati sulle pareti e aerei loggiati sui soffitti a volta. Tutte le stanze affacciano con prospettive privilegiate sui simboli architettonici di questa città unica al mondo, Patrimonio dell’Umanità: la merlata Torre del Mangia, simbolo imperioso di orgoglio civico; la basilica di San Domenico, custode della testa-reliquia di Santa Caterina da Siena, e la Cattedrale che, fino al 6 gennaio, riapre la Porta del Cielo. Un itinerario guidato per piccoli gruppi, che regala scorci impareggiabili sull’interno della basilica e sulla città tutta. Un’esperienza d’eccezione, che permette di accedere ai tetti del Duomo attraverso un percorso segreto e storicamente inaccessibile al pubblico, fatto di scale a chiocciola, ballatoi, terrazzini sospesi F&B tra la terra e il cielo.

Il tempio della gola del Continental è il ristorante SaporDivino, in cui lo chef Luca Ciaffarafà propone una cucina di tradizione che guarda al futuro. Al sofisticato Winebar si sorseggiano vini e cocktail in slow time

scheda

Grand Hotel Continental Banchi di Sopra 85 53100 Siena tel. +39 0577.56011 www.grandhotelcontinentalsiena.com/it

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arte Da

sempre quadri e sculture dei grandi artisti ispirano i piatti dei

maggiori cuochi al mondo, come ed

Enrico Crippa. Ma

Gualtiero Marchesi, Massimo Bottura

non solo: i maestri della cucina amano

collezionare le opere con cui trasformano i loro ristoranti in gallerie

Capolavori da chef Beba Marsano

N Il Dripping di pesce, omaggio di Marchesi ai quadri di Jackson Pollock. In alto, il suo famoso Riso e oro

e La Cripta dei Cappuccini, romanzo capitale del 1938, Joseph Roth scrive che la forma, la vera

forma, è identica alla sostanza. E Paola Marchesi, figlia di Gualtiero, maestro della cucina italiana, dice che nei piatti del padre ritrova “il bello puro che è il vero buono”. Lui, lo chef che nel 1985 si è fregiato primo in Italia delle fatidiche tre stelle Michelin e che i gastronomi Gault e Millau (quelli della celeberrima guida) hanno consacrato tra i 15 migliori del mondo, si dedica, infatti, alla cucina come un pittore a un quadro o un compositore a una sinfonia. Perseguendo l’armonia, equilibrio meravigliosamente instabile tra forme, consistenze, colori. Un esempio? Il suo famoso Riso e oro, un capolavoro di preparazione e presentazione, in cui la sontuosa solarità dello zafferano viene esaltata dal voluttuoso nero della falda del piatto di portata. È il suo piatto prediletto, quello “che meglio riproduce il mio concetto di bellezza; essenziale, senza fronzoli”, confessa. La sua ispirazione? Giganti dell’astrazione onirica quali Paul Klee, Vasilij Kandinskij, Joan Miró, come rivela tra le righe del suo bestseller, Il codice Marchesi (2006). Ma il maestro di ogni chef di piatti d’arte ne ha realizzati molti più di uno. Dal Dripping di pesce dedicato alla tecnica di Jackson Pollock all’Uovo al Burri intitolato a un grande interprete

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Bottura ha fatto della sua Osteria Francescana una sorta di museo privato. Accanto, il suo piatto Tutte le lingue del mondo dedicato a Lucio Fontana e, sotto, i Piccioni impagliati di Maurizio Cattelan. A destra, il Villafredda Resort di Labico è l’epicentro di cultura visiva e sensoriale di Antonello Colonna con anche gli arredi design di Le Corbusier. Accanto, il piatto design di Colonna: Cannolo di baccalà, panna acida e limone candito

della materia quale Alberto Burri, dal Risotto mantecato al profumo di tartufi bianchi e… neri influenzato dalla poetica del pittore cinese Hsiao Chin fino alle Quattro paste, omaggio alle invenzioni seriali di Andy Warhol. “Sono quattro forme di pasta, di diversa consistenza. Condite con un filo d’olio e servite su uno specchio. Bisogna solo masticare. Perché se noi masticassimo di più scopriremmo che il valore sta dentro, non fuori”, spiega Marchesi, collezionista, frequentatore di mostre, musei e gallerie (“noi siamo quello che abbiamo visto”), amico tra i tanti di Piero Manzoni (cui ha dedicato le Acrome di branzino), Emilio Tadini e Arnaldo Pomodoro, del quale negli anni Ottanta, dal mitico ristorante milanese di Marchesi in via Bonvesin de la Riva, venne trafugata una scultura. La sensibilità per la bellezza è stata e continua a essere fonte di ispirazione per le creazioni di un altro chef universale, tre volte stella Michelin e appassionato collezionista di contemporaneo: Massimo Bottura, che ha fatto della sua Osteria Francescana di Modena una sorta di piccolo, prezioso museo privato, in cui arte e gusto s’incontrano in nome della ricerca d’avanguardia. Non a caso un critico puntiglioso e severo come Achille Bonito Oliva lo ha definito “il sesto artista della transavanguardia” e non a caso è stato (insieme a Massimiliano Alajmo e Davide Scabin) tra i protagonisti di Cookbook, la mostra al Palais de Beaux-Arts

di Parigi, chiusa il 9 gennaio, che ha tributato agli chef la stessa capacità degli artisti di plasmare e interpretare l’estetica contemporanea. Bottura riconosce che l’arte gli ha insegnato “l’importanza di osare, di rompere gli schemi, di rimettere tutto in discussione”. Alla Francescana, un ambiente dalle tinte neutre, essenziale fino a sfiorare l’ascetismo, lampade di design illuminano una selezione di opere della raccolta di famiglia, messa insieme con l’esperta complicità della moglie, Lara Gilmore. Sono lavori degli esponenti di punta del panorama artistico più avanzato, d’area soprattutto italiana (Mario Schifano, Francesco Vezzoli, Maurizio Cattelan, Alighiero Boetti, Grazia Toderi) e anglo-statunitense (Gavin Turk, Robert Longo, Matthew Barney, Cindy Sherman, Jonathan Borofsky). “Mi piace vivere nell’arte -afferma Bottura- Mi dà energia, mi stimola, mi fa riflettere. Devo averla attorno; amo partecipare alle cose, fare parte del flusso, sentire che anche il mio lavoro ne fa parte”. Così che ha dedicato a Lucio Fontana Tutte le lingue del mondo, il piatto realizzato proprio in occasione della serata d’inaugurazione di Cookbook, e tra i suoi cavalli di battaglia non disdegna neppure una personalissima riedizione della torta Barozzi, storico dolce di Vignola, dedicato Food&Beverage maggio 2014 | 81


Arte

Due dei piatti del menu che Enrico Crippa ha creato per il vernissage della mostra “La rivoluzione terrestre” di Valerio Berruti (sotto), ideandoli in stretta collaborazione con l’artista

al grande architetto manierista Jacopo Barozzi. Un altro chef per il quale la creazione artistica è genesi di ogni sperimentazione papillare è Antonello Colonna. “Per me l’arte è una passione in continuo sviluppo, che mi ha portato a trasferire quanto apprezzo in un quadro o in una scultura direttamente nei miei piatti”, dichiara. Oltre, naturalmente, alla cucina, è proprio l’arte il denominatore comune dei suoi progetti più ambiziosi: dall’Open Colonna (una stella Michelin), il ristorante incastonato nel roof garden del Palazzo delle Esposizioni di Roma, dimora di rassegne dal respiro internazionale, fino al Vallefredda Resort a Labico, tra le dolci colline di Ciociaria, epicentro di cultura visiva oltre che sensoriale, anche in virtù dell’atmosfera full design che caratterizza gli spazi minimal e rarefatti del coraggioso progetto architettonico firmato Francesco Aniello. In questi spazi sono distribuiti, con sapiente equilibrio, pezzi originali dei maestri del design del XX secolo. Qualche nome? Giò Ponti, Le Corbusier, Marcel Breuer, Mies van der Rohe, Charles Eames, Achille Castiglioni. “L’arte rappresenta per me un forte elemento di decontestualizzazione rispetto al tema gastronomico. Mi fa uscire da una maniera autoreferenziale di lavorare e mi apre a nuove sinergie”, afferma lo chef romano (lui stesso collezionista), che ha dato vita al progetto battezzato Antonello Colonna Arte, declinato su un articolato programma

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di mostre, laboratori creativi e presentazione di libri. In un serrato dialogo con l’arte si è cimentato pure Enrico Crippa, chef de cuisine del Piazza Duomo di Alba (tre stelle Michelin), proprietà della famiglia Ceretto, noti imprenditori vitivinicoli e collezionisti di arte contemporanea che per il ristorante hanno voluto un affresco di Francesco Clemente. Per il vernissage della mostra La rivoluzione terrestre dell’albese Valerio Berruti (2011), Crippa ha creato, in stretta collaborazione con l’artista, un menu ispirato alle sue opere pittoriche. La fotografia è invece la magnifica ossessione dello statunitense Michael Tusk, due stelle Michelin al celebrato Quince Restaurant di San Francisco (fiore all’occhiello della catena Relais & Châteaux). Grand chef e non meno grande collezionista, oltre che storico dell’arte con una blasonata formazione accademica all’Università di Tulane, Tusk (che è tra i cuochi prediletti da Barack e Michelle Obama) parla dell’arte come della prima tra le sue passioni. Una passione “che posso perfettamente coniugare a quella del ristorante, in cui un giorno la mia collezione potrà confluire”. È confluita invece nell’antica abbazia di Collongesau-Mont-d’Or, cinque chilometri da Lione sulle sponde della Saôna, l’inestimabile collezione d’organetti da fiera e di Barberia di un gigante della cucina del XX secolo qual è Paul Bocuse. Irriducibile appassionato delle magie sognanti e infantili create dalla musica meccanica, il padre della nouvelle cuisine ne ha fatto il contrappunto sonoro -ma pure squisitamente visivo- dei suggestivi spazi storici che ha voluto riservare all’attività di organizzatore di banchetti e matrimoni. Tra i pezzi in esposizione (che è possibile azionare su richiesta degli stessi clienti), anche alcuni esemplari unici al mondo; tra questi, l’organo Limonaire Gaudin datato 1900, il cui suono equivale a un’orchestra di ben 110 elementi. F&B


Per informazioni: www.cibus.it | cibus@fiereparma.it

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positano Informale e suggestivo, il locale all’interno dell’Hotel Covo dei Saraceni, con le sue incantevoli vetrate sul mare e i tavolini all’aperto, è ideale per gustare una cucina easy ma di qualità, dalla pizza ai gelati artigianali, di ritorno da una giornata in spiaggia

Lusso accessibile a La Brasserie Manuela Caspani

L Aperta da mattina a sera tardi, La Brasserie ha accesso direttamente dal mare

e case colorate sembrano nascere direttamente dalla roccia. Abbarbicate, quasi in bilico, come

a volersi tuffare nel mare sottostante. Un mare dal blu così intenso che se non fosse davanti agli occhi non sembrerebbe reale. Come una perla custodita tra pietra e acqua, Positano (Sa) si rivela ogni volta nella sua abbacinante bellezza. Qui, affacciato sulla spiaggia, si trova il Covo dei Saraceni, hotel cinque stelle lusso diretto da Luca D’Angiolo, un uomo che crede profondamente nel valore dell’ospitalità. Come ricorda, la storia del Covo inizia con la ristorazione, una tradizione “in cucina” che in seguito si è evoluta in una struttura alberghiera di alto livello, senza però dimenticare la vocazione d’origine. Ed ecco perché qui si mangia benissimo. Non solo nel primo ristorante dell’hotel, ma anche nella nuova “sperimentazione” a bordo piscina. Il Covo, il molo di Positano, la spiaggia, il mare… verrebbe da pensare che tanta bellezza e bontà siano privilegio di pochi. Fortunatamente no. Sorprendente, inaspettata, solare e invitante, La Brasserie ha accesso direttamente dal mare. Come spiega D’Angiolo, è collegata al Covo da una scala ma è una realtà a sé. Aperta dalla mattina per le colazioni, prosegue nell’offerta lungo il corso della giornata fino a sera tarda: un’inaspettata possibilità di godersi una vista mozzafiato mangiando e bevendo bene. Naturalmente, il legame con il Covo c’è e si sente. Prima di tutto La Brasserie è frutto di una visione lungimirante che denota maestria e profonda conoscenza del settore; in secondo luogo, benché proponga chiaramente piatti diversi, la ristorazione porta la matrice della cucina del Covo. “La nostra filosofia è precisa: vogliamo far conoscere questo luogo anche attraverso la sua tradizione gastronomica -chiarisce Luca D’AngioloProporre un’offerta

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a 360 gradi fatta al meglio; ogni cibo esce fresco dalla nostra cucina”. Si parte verso le otto con la colazione e, francamente, la parola brioche sembra riduttiva per descrivere il trionfo di dolciumi che si offrono agli occhi e al palato. Tendenzialmente all’italiana, è previsto però anche il breakfast all’americana con uova e bacon: non dimentichiamo, infatti, che la maggior parte dei clienti sono americani, canadesi e australiani. Il pranzo prevede la pizza (la migliore di Positano, secondo molti) e una scelta di pochi piatti, semplici, curati, attenti all’offerta regionale e, naturalmente, al pescato del giorno. Si pranza anche con quindici euro e si spazia dalla pasta capperi olive e pomodorini, al pesce azzurro variamente cucinato e molto apprezzato, fino all’insalata di polipo o alla pasta con le vongole. In realtà, come precisa D’Angiolo, qui si può mangiare a qualsiasi ora, ma nel pomeriggio il palcoscenico è tutto per il gelato fatto in casa. Il momento dell’aperitivo non solo prevede i drink preparati dal barman, ma anche un tris di snack e bruschette calde. Se per il lunch è previsto un servizio veloce, economico e adatto alla situazione di passaggio dei turisti, alla sera il locale rallenta il ritmo, complice la cornice naturale: tramonto sul mare, luci e colori della notte... Resta amatissima la pizza accanto ai piatti di pesce accompagnati da una selezione di vini regionali per far conoscere l’enologia campana. E, a sottolineare l’informalità dell’ambiente, non è raro che i ragazzi si fermino in Brasserie per una pizza take away da mangiare in spiaggia. O che i clienti dell’hotel, risalendo al termine della giornata, spesso non riescano

a resistere al richiamo del gelato. Trascorrere la serata sul molo di Positano è un privilegio che riconcilia con la vita e per questo è confortante sapere che sia a disposizione di tutti: ecco allora comparire i dessert, dalla Delizia al limone alla Torta di ricotta e pere. E certo nessuno si scandalizza che si entri solo per ordinare un dolce e un calice di vino godendosi la suggestiva vista. Ma tutto questo come si combina con la filosofia di un albergo di lusso? “Si accorda nell’essere aperti a un’offerta varia e diversificata -precisa D’Angiolo- Senza contare che, benché separati, La Brasserie e l’hotel si scambiano e si completano senza mai farsi concorrenza. La prima è anche un modo per far conoscere la struttura e così scoprire che un drink in piscina o un aperitivo al bar non sono una cosa così inarrivabile come credono i più, intimiditi dal nome. Nello stesso tempo gli ospiti di casa possono aver voglia di gustare una pizza in un ambiente più informale. La cosa importante è che l’informalità non significhi rinunciare alla nostra filosofia”. Ecco allora la promozione turistica, la sensibilità verso i prodotti del territorio, il gusto per le cose buone fatte in casa. F&B Per molti, non per pochi.

Oltre ai drink preparati al momento, accompagnati da tris di snack e bruschette calde, il punto di forza de La Brasserie è la pizza take away da mangiare in spiaggia e il gelato fatto in casa

scheda

Hotel Covo dei Saraceni via Regina Giovanna 5 84017 Positano (Sa) tel. +39 089.875400 info@covodeisaraceni.it www.covodeisaraceni.it

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SFIZIOFOOD Originari dell’Iran, i pistacchi sono un concentrato di benessere, grazie alle loro proprietà benefiche per il cuore. Versatili in cucina, sono i protagonisti di molti dessert, a partire dalla pasticceria siciliana con i pregiati Pistacchi di Bronte, e delle rivisitazioni salate di noti chef

Gusto e salute in verde Frida Parise

I Nato sulle pendici dell’Himalaya, l’albero dei pistacchi si è diffuso nell’area mediterranea

l colore è inconfondibile.

Così come anche il sapore. Il pistacchio è, infatti, considerato da molti il re della frutta secca e una vera tentazione a cui è difficile resistere. Nato sulle pendici dell’Himalaya, nel Belucistan iraniano, l’albero Pistacia vera L., della famiglia delle Anacardiaceae, i cui semi chiamiamo pistacchi, si è diffuso poi verso l’Estremo Oriente e il Mediterraneo. In Italia arrivò grazie ai Romani, che avevano l’abitudine di portare in patria le piante esotiche scovate in giro per il mondo: i primi pistacchi furono trovati intorno al 35 a.C., verso la fine del regno di Tiberio, nel podere vicino al Lago del Fucino di proprietà del censore Lucio Vitellio, ambasciatore in Siria. E i nobili palati romani si abituarono immediatamente a quella squisitezza, apprezzando in particolar modo i pistacchi di Damasco e quelli di Kerman, in Persia. Sulla nostra Penisola, la pianta dei pistacchi trovò terreno fertile prima in Campania e poi in Sicilia (e qui si spiega il nome della cultivar più diffusa sull’isola, la Napoletana), dove sulle pendici dell’Etna, a Bronte, in provincia di Catania, sopravvive l’unica varietà dai frutti piccoli, aromatici, profumati, ricchi d’olio e di sapore. I pregiati pistacchi di Bronte crescono, infatti, su terreni lavici, aspri, ripidi, quasi verticali, che ne rendono difficoltosa la raccolta, dove altre coltivazioni non potrebbero sopravvivere. Ma è proprio la composizione del terreno che gli dona quelle caratteristiche gustative che li contraddistinguono e che gli hanno valso la Denominazione di origine protetta (Dop). Una storia secolare, quella di Bronte, dove tutto ruota intorno a questo tesoro verde. Così, tra fine agosto e i primi di settembre, i giorni della raccolta, la città si svuota: uomini, donne e bambini si ritrovano tutti nei lochi (appezzamenti limitrofi al territorio brontese), impegnati in gesti dalla ritualità antica. Un amore, quello per i pistacchi, che qui non è solo nostalgico

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In Italia i pistacchi trovarono terreno fertile prima in Campania e poi in Sicilia, dove sopravvive l’unica varietà dai frutti piccoli, aromatici, profumati e ricchi d’olio: i pregiati Pistacchi verdi di Bronte Dop

ricordo degli anziani, ma anche passione dei giovani come Nino Marino, un manager creativo proveniente dal settore alimentare, e Vincenzo Longhitano, un abile dirigente cresciuto in una storica famiglia di produttori di pistacchi, che appena trentenni hanno fondato Vincente Delicacies, un grande laboratorio artigianale e un’azienda di giovanissimi, fra le prime a ricevere l’autorizzazione alla vendita e alla trasformazione del Pistacchio Verde di Bronte Dop, e che oggi produce alta pasticceria siciliana, dalle paste di mandorle, al croccante, dai torroncini morbidi alla crema spalmabile artigianale al pistacchio di Sicilia. È proprio nelle preparazioni dolci che i pistacchi danno il meglio di sé in Italia e nel mondo: come non pensare al famoso gelato o alla Cassata? In Svizzera e in Belgio rientra nella pralineria e in abbinamento al cioccolato; in Francia lo utilizzano per le torte e per aromatizzare le famose Saucisson de Lyon. Non solo dessert, infatti, per i pistacchi, a cominciare appunto dagli insaccati e dai salumi, come in alcune varietà di mortadella e nel tedesco Jagdwurst, ma anche in vere e proprie ricette salate: in Germania con i pistacchi si preparano salse per insaporire la selvaggina; frantumato “infarina” carré di agnello e altri tagli, filetti di tonno, da preparare al forno, così da formare esternamente una crosta croccante; il pesto di pistacchi è un sugo veloce e ottimo sulla pasta; in abbinamento ai gamberi rossi, i pistacchi di Bronte trasformano in un piatto gourmet anche un semplicissimo couscous e, con l’orata, sono l’ingrediente speciale per un piatto di spaghetti diverso e intrigante. Non per niente i pistacchi sono spesso il tocco e quella marcia in più alle ricette creative dei più importanti chef: dalla Buccia di cedro, pistacchio e riso di Davide Oldani del D’O di Cornaredo (Mi), alla Quaglia confit al profumo di finocchietto marino, pesto di pistacchi, colatura di alici di Cetara e bietole al peperoncino di Gennaro Esposito della Torre del Saracino di Vico

Equense (Na), dall’Insalata speziata di carote con arancia rossa, avocado, pistacchi siciliani, crescione e yogurt al limone Meyer di Jeremy Bearman del Rouge Tomate di New York, alla Nocetta di capriolo, zucca, caffè e crema di pistacchi salata di Andrea Berton dell’omonimo ristorante milanese. Ma il pistacchio non è solo buono: fa anche bene. Sono molti gli studi scientifici che ne hanno decretato le numerose proprietà benefiche per il controllo del peso e la salute del cuore. Ricchi di fitosteroli, le sostanze in grado di ridurre l’assorbimento intestinale del colesterolo assunto con gli alimenti, sebbene i pistacchi siano, infatti, ricchi di grassi (13 grammi a porzione), quasi il 90 per cento di questi sono di tipo insaturo; contengono un’ampia e variegata gamma di antiossidanti, sostanze che possono contribuire a contrastare il processo di invecchiamento cellulare a opera dei radicali liberi, e sono una fonte importante di proteine, minerali e vitamine. Un motivo in più per F&B concedersi questo goloso snack.

Molte sono le ricette con i pistacchi, a partire dal gelato e dalla piccola pasticceria fino al pesto per la pasta

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SPIRITBARMAN Una passione per il bere miscelato nata per caso, quella del giovane di Ascoli Piceno che, dopo aver tentato il liceo scientifico, scopre dietro il bancone la sua “casa”. Appassionato e curioso, si forma al Cristallo di Cortina d’Ampezzo, tanto che, oggi, è al The Dorchester di Londra

Diego Ticchiarelli una giovane scoperta Manuela Caspani

È Ventotto anni, Diego Ticchiarelli ha lasciato la sua Ascoli Piceno per inseguire il suo amore per i distillati che, unito a tanta determinazione, l’ha portato a diventare head bartender del tempio della miscelazione londinese

romantico ed entusiasta, Diego Ticchiarelli, barman ventottenne

di Ascoli Piceno, oggi al The Dorchester di Londra. Emerge quando descrive il suo mestiere, iniziato quasi per ripiego dopo aver tentato la strada del liceo scientifico, lui che di stare troppe ore sui libri non aveva molta voglia. Un po’ per farsi perdonare dai suoi, quell’estate si diede da fare come cameriere e qualcosa scattò, un click nella testa, dice. Non abbastanza grande per avere velleità di carriera, ma già capace di lasciarsi suggestionare e conquistare: “È uno stimolo a essere curiosi”, racconta. Il click lo spinge non solo alla scuola alberghiera, ma, soprattutto, a non lasciare più il mondo dell’ospitalità. Gli altri coetanei andavano al mare, ma Ticchiarelli, affascinato da un lavoro mai uguale, fatto di incontri e confronti, dava forma al suo progetto: “Una volta vinto dal bar, è stato giocoforza puntare in alto”, spiega. L’amore per i distillati è scattato quasi subito, “una passione fisica” per le bottiglie, la definisce: “Trovo affascinante l’idea che dentro a una singola bottiglia si nasconda un mondo. Un infinito potenziale di colori, profumi, la possibilità di sposarsi ad altri ingredienti e trasformarsi…”. Tanta passione si unisce ad altrettanta determinazione ed è così che, forse con un pizzico di incoscienza, si presenta a un mostro sacro del bar come Ursula Chioma per un posto da comì al Cristallo di Cortina d’Ampezzo (Bl). A vent’anni non

IL COCKTAIL

Dorchester Flower 15 ml di Stolichnaya Vodka 25 ml di Crème de violette 10 ml di liquore di litchi 10 ml di Passoa Top up di Champagne Laurent Perrier Brut Rosé Shakerare il tutto, versare nel bicchiere e colmare con lo Champagne

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aveva esperienze e nemmeno la conoscenza dell’inglese all’altezza di un posto del genere, ma Ursula Chioma riconosce il talento e Ticchiarelli parte per un mondo che sembra un altro pianeta: “La mia era una realtà di paese, restai abbagliato, letteralmente senza fiato… Bottiglie mai viste, Champagne, distillati, clientela competente”. Era l’ultimo, parole sue, ma si distingue subito. E così torna a Cortina per altri cinque anni, per approdare poi a Roma e infine volare a Londra dove, nel suo primo viaggio, aveva conosciuto Salvatore Calabrese: “Un’apparizione. Mi dissi, io voglio lavorare qui”. Ormai head bartender, Ticchiarelli arriva nella capitale britannica forte dell’esperienza italiana in grandi strutture. Ancora una volta, dalle sue parole, la conferma che la “patria del bar” conserva aspetti unici per la formazione dei professionisti, improntata anche al profilo manageriale. Accanto a questo, Ticchiarelli non ha dubbi: l’approccio con il cliente è uno degli aspetti più coinvolgenti, come la competenza di chi beve: “Il contatto con i clienti ti fa sentire vivo. Riaccende ogni F&B volta la passione”.


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Quartierialti Meta di riferimento del jet set tra gli anni ’50 e ’60, oggi l’Excelsior Palace Hotel di Rapallo ripropone l’eccellenza con uno sguardo rivolto alla modernità, attirando una clientela internazionale e non, anche giovane. Due i ristoranti, all’altezza della fama dell’albergo

Il lusso a picco sul mare Stefano Masin

D L’Excelsior Palace è stato costruito nel 1901 su una scogliera che si protende nel mare

a La Spezia a Ventimiglia, la costa ligure è un susseguirsi di città e paesi che sono stati capa-

ci di adattarsi alla morfologia di un territorio duro, che si tuffa nel mare lasciando poco spazio alla fantasia architettonica. Eppure è proprio da questo scontro tra uomo e natura che sono nati luoghi magici, con viste mozzafiato, ville protette da lussureggianti parchi, paesini arroccati, carrugi che riparano dal sole e dal vento. E poi quel modo di fare, un po’ annoiato e un po’ scontroso dei liguri, poeti nell’anima, con il mare sempre nel cuore, che rende ancora più affascinante questa regione, all’interno della quale c’è lui: il Golfo del Tigullio, un tratto di costa che va da Portofino a Sestri Levante dove,

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nello spazio di pochi chilometri, ci sono Rapallo, Santa Margherita e Portofino, tre “gioielli” che quasi non hanno bisogno di presentazione. E proprio tra Rapallo e Santa Margherita, in un punto in cui la scogliera si protende nel mare, si erge imponente l’Excelsior Palace Hotel, un albergo cinque stelle lusso la cui storia nasce all’inizio del secolo scorso, nel 1901, quando sulla scogliera cosiddetta “ciappadea” inaugurò il New Casinò Hotel, denominato successivamente Excelsior Palace, costruito su progetto dell’architetto Verrey di Losanna. Il contesto paesaggistico è unico. Posto su una sorta di piccola penisola a soli sei chilometri da Portofino, l’hotel è circondato su tre lati dal mare, appoggiato su una verde collina. E fu proprio quel Casinò, il primo in Italia (e trasferito a San Remo nel 1928), a dare prestigio e fama all’hotel che, fino agli anni ’60, fu meta di nomi importanti del mondo della cultura e dello spettacolo, teste coronate e premi Nobel, in particolare nel decennio tra gli anni ’50 e ’60, quelli della “dolce vita” che ha fatto sognare tutto il mondo. Come molte strutture e attività commerciali in voga in quegli anni, l’Excelsior Palace Hotel ha subito il cambiamento delle mode e delle tendenze dettato dalla fine degli anni ’60, andando incontro a un progressivo decadimento che portò alla chiusura nel 1974. Ma, come l’Araba Fenice, eccolo risorgere dopo un ventennio, grazie a un’importante ristrutturazione che ha aggiunto tre piani alla struttura, portandoli a sette, una ridistribuzione delle volumetrie e la modifica della destinazione di alcune parti del complesso. L’Excelsior Palace Hotel è così tornato ai fasti di un tempo, con il valore aggiunto di un’elegante impronta di modernità, così da stare al passo con i tempi e con le richieste di un mercato in evoluzione e sempre più esigente. È stato realizzato il centro congressi Duca di Windsor, con nove sale meeting in grado di ospitare fino a 450 persone; l’Health & fitness club (accessibile anche da

ospiti esterni), con palestra, piscina interna riscaldata con idromassaggio, bagno turco, sauna, solarium e beauty farm per massaggi, trattamenti personalizzati e nuove terapie di bellezza. Ma, questi, non sono che elementi accessori a una struttura che fornisce al cliente un livello di ospitalità, classe ed eleganza uniche nel loro genere, ma assolutamente in linea con i tempi, al punto da meritarsi, tra i tanti riconoscimenti già ricevuti, il World’s best top 50 hotels, dall’americana Five star Alliance, una directory online di hotel e resort di lusso. “Spirito e impostazione dell’albergo sono stati volutamente mantenuti sull’onda di inizio ’900 -racconta il general manager Aldo Werdin- Con le recenti ristrutturazioni, inoltre, la proprietà è riuscita a ricreare l’arredamento e il lusso di un tempo; ad esempio, nella hall ci sono i quadri della Collezione Hannover, ex marito di Carolina di Monaco, i mobili sono antichi, le camere hanno un’impronta regale. L’intenzione è quella di far vivere al cliente un’esperienza unica, di fargli godere la bellezza del territorio, in una location impeccabile sia dal punto di vista della struttura, sia del comfort e dei servizi”. Ma un grande albergo, oggi, deve essere anche moderno e funzionale, così, l’Excelsior Palace Hotel ha dotato di impianti di domotica le camere, in modo da poter permette agli ospiti di “gestire” i propri alloggi attraverso una sorta di computer a parete, oppure

Inserito tra i 50 best top del mondo dall’americana Five star Alliance, l’albergo vanta anche una cucina d’eccellenza firmata dall’executive chef Giordano Pasquale (a destra) e dallo chef pasticcere Marco Pizzi. Sopra, il general manager Aldo Werdin

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Quartierialti

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Soggiornare in una delle camere e suite è un’esperienza di classe e di relax, soprattutto se si gode della vista mozzafiato sul Golfo del Tigullio

di essere avvisati in fase di check out se hanno dimenticato qualcosa nella cassaforte; è stato inserito il wi-fi in tutta la struttura e anche allo stabilimento balneare. Insomma, la tecnologia al servizio del lusso. Così, soggiornare in una delle 110 camere doppie, nelle 12 junior suite, nelle sei suite o, per i più fortunati, nell’unica presidential suite, diventa un’esperienza rilassante e piacevole, soprattutto se si gode della meravigliosa vista che regalano le terrazze affacciate sul golfo. Grande protagonista, naturalmente, è il mare, con il Beach Club, accessibile anche ai clienti esterni, con piscina panoramica e piscina galleggiante di 25 metri quadrati, due vasche idromassaggio e gazebo per massaggi en plein air, oltre al ristorante e allo Sporting bar. Ma non è tutto. È stato infatti recentemente ripristinato il pontile per le barche per il servizio cambusa per gli yacht che navigano numerosi in questo tratto di costa durante la stagione, per la gioia degli armatori che, qualora si dovessero trovare a corto di cibo o Champagne, possono avere nell’Excelsior

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Palace Hotel un valido alleato. Due i ristoranti, sapientemente gestiti dall’executive chef Giordano Pasquale: il Lord Byron e l’Eden Roc Lounge & Restaurant che apre per la stagione estiva, in una posizione incantevole, una terrazza a picco sul mare nel Beach club, vicino alla piscina panoramica. “Al Lord Byron, che è il nostro ristorante centrale aperto tutto l’anno, elegante e con una vista unica sulla costa di Portofino, propongo una cucina più elaborata e gourmet, con cotture particolari e un tocco di creatività, ma senza esagerare; se cucino l’agnello a bassa temperatura, ad esempio, voglio che si sentano il sapore e i succhi della carne, e non che sia coperto da una salsa eccessivamente saporita o da una farcitura invadente -spiega lo chef- All’Eden Roc, invece, proponiamo una cucina più leggera, sapori netti, cotture veloci, alla griglia e in padella, visto che mare e territorio offrono materie prime che meritano di essere assaporate anche senza lavorazioni eccessive. Naturalmente, entrambi i ristoranti puntano maggiormente su prodotti ittici, come si aspettano anche gli ospiti”. E se si esclude il pesce, che proviene dal mare di fronte all’albergo, lo chef cerca di reperire le materie prime il più possibile dalle zone circostanti, fino ad avere prodotti a chilometro zero. Per chi ama una cucina più “veloce” ci sono i grandi classici come il Club sanwich e la Cesar salad, ma presto si amplierà l’offerta con alcuni piatti etnici. La clientela dell’ hotel, infatti, è di impronta internazionale, proveniente soprattutto da America, Russia ed Europa dell’Est. F&B scheda

Excelsior Palace Hotel via San Michele di Pagana 8 16035 Rapallo (Ge) tel. +39 0185.230666 excelsior@excelsiorpalace.it www.excelsiorpalace.it


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CULTURA&GUSTO Ai Musei San Domenico di Forlì un vasto mosaico di 350 dipinti e sculture, riunite nella mostra “Liberty. Uno stile per l’Italia moderna”, ci catapulta nell’epoca aurea dell’inebriante Belle Époque, grazie a un linguaggio seducente e floreale che incarnava il sogno moderno

L’eleganza di essere Liberty Irene Catarella

L La donna è la protagonista indiscussa dello stile Liberty, come in “La Sirena”, olio su tela applicata su tavola di Giulio Aristide Sartorio

a fiducia cieca nel progresso e la magnifica illusione di un nuovo ideale di bellezza che avrebbe dovuto cambiare il mondo, ma che sfocerà nella tragedia del Titanic del 1912 e nella Grande Guerra del 1914: questo il cuore pulsante dell’esperienza artistica dello stile Liberty e della Belle Époque, raccontati nella mostra Liberty. Uno stile per l’Italia moderna, fino al 15 giugno ai Musei San Domenico di Forlì (FC). Una lettura nuova di uno stile ottimista, diffusosi tra Ottocento e Novecento, denominato Art Nouveau in Francia, Jugendstil in area tedesca e mitteleuropea e Modern Style nei Paesi anglosassoni, e che per l’Italia da poco unificata significò soprattutto il tentativo di superare le ancore troppo presenti identità regionali. Lo stile Liberty o floreale influenzò la pittura, la scultura, l’architettura, la

letteratura, la danza e il teatro, ma anche gli oggetti quotidiani. La mostra mette in luce questo aspetto grazie ai quadri di Giovanni Segantini e di Ettore Tito, i vasi di maiolica di Galileo Chini e quelli in vetro di Vittorio Zecchin, le sculture di Ercole Drei, i ferri battuti di Alessandro Mazzucotelli e Umberto Bellotto, fino ai manifesti che Marcello Dudovich e Adolf Hohenstein crearono per la nascente pubblicità e ai vestiti della divina Eleonora Duse.

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Proprio la donna è la protagonista indiscussa del Liberty, come ne La Sirena del 1893 di Giulio Aristide Sartorio, un’allegoria di clima dannunziano in cui è tratteggiata nella bellezza irresistibile di voluttuose forme che emergono dalle acque e al contempo vi si abbandonano in un piacere eterno e l’uomo è rappresentato come un fascio di muscoli, emblema di virilità. Altra opera che segna la volontà degli artisti del periodo di superare e riprendere in chiave simbolica lo storicismo e il naturalismo che avevano dominato gran parte del XIX secolo, è L’angelo della vita del 1894 di Giovanni Segantini. Tra le varie figure femminili del pittore, la giovane madre, protagonista del quadro, evoca dolcezza e protezione, grazie al suo essere avvolta in lunghi capelli biondi. La donna, poco più che una ragazza, accoglie al seno il fanciullo addormentato, tanto da essere considerata la rappresentazione in chiave moderna di una sacra maternità. Il simbolismo del dipinto si coglie anche nella costruzione spaziale che include la figura tra i rami di una betulla e dalla catena di monti, dall’acqua e dal cielo che ne costituiscono lo sfondo. Il valore del dipinto si vede nelle pennellate filamentose e nella


Da sinistra, un particolare del trittico “L’enigma umano: il dolore, il silenzio, il piacere” di Giorgio Kienerk; “L’amazzone” di Ettore Tito e “L’angelo della vita” di Giovanni Segantini

miriade di colpi di luce che conferiscono alla scena un aspetto trascendentale, quasi seducente nella sua atmosfera sogno. E che dire dell’elegante L’amazzone del 1906 di Ettore Tito, i cui ritratti, per la loro raffinatezza, vennero richiesti da tutta l’alta società italiana? Di notevole impatto anche il trittico L’enigma umano: il dolore, il silenzio, il piacere, costituito da tre dipinti di tre bellissime donne, posti uno accanto all’altro, che simbolicamente esprimono diverse sensazioni interiori: la prima, quasi paralizzata nella sofferenza, con il volto sconvolto e costretto dalla morsa dell’angoscia a una postura prigioniera; la seconda, vestita di blu, colore archetipale della comunicazione, esprime l’impossibilità a un dialogo, serrando la bocca con le mani; la terza, immersa in una cornice di rose, nel piacere svela con garbo le sue nudità e dimostra la gioia di questa dimensione d’essere con il sorriso e le braccia che si snodano sinuosamente. Il trittico fa riflettere: forse gli artisti Liberty volevano sottolineare che la bellezza e il piacere sono vera vita, l’antidoto ai mortali veleni F&B di chiusura e dolore.

IL RISTORANTE

La tradizione romagnola all’Osteria Don Abbondio È sul vino e sui piatti della tradizione romagnola, troppo spesso dimenticati, che si fondano le radici dell’Osteria Don Abbondio, nel cuore di Forlì (FC), nata nel 2001 dalla passione del solerte oste, così ama definirsi, Simone Zoli. “Osteria perché non è solo un ristorante, non è una trattoria, non è solo un winebar; perché fa chic e non impegna; perché piace a gourmet e riluttanti; perché è un luogo politicamente corretto dove prima o poi passano tutti, biondi, rossi e bruni, di centro, destra e sinistra”: questa l’anima del locale descritta dal suo patron che intende offrire ai suoi clienti un viaggio indimenticabile all’interno della gastronomia regionale. La cucina si basa su materie prime ricche e variegate, legate al territorio e alla stagione, trasformate dalle giovani mani di Franco Di Carlo. Il servizio è sobrio e cordiale. Osteria Don Abbondio, piazza G. da Montefeltro 16, Forlì (FC), tel. +39 0543.25460 www.osteriadonabbondio.it

l’albergo

L’Hotel della Città all’insegna di Gio Ponti L’estro e la genialità dell’architetto Gio Ponti rappresentano il cuore artistico e storico dell’Hotel della Città et de la Ville, che ha anche spazi di quiete e relax all’interno di un lussureggiante parco. La fusione tra arte e natura, design ed eleganza, qualità dei servizi e ricercata ospitalità lo rendono uno degli alberghi più rinomati di Forlì. Le camere, strutturate all’insegna del massimo comfort, sono divise in due zone tematiche: l’Ala Garzanti e l’Ala Centolettere. Nella prima si trovano 25 stanze dall’atmosfera accogliente e intima, sei delle quali interamente arredate da Gio Ponti con mobili in legno, lampade d’epoca nonché dipinti originali e unici di artisti di grande respiro. L’Ala Centolettere ne ospita invece 32, ognuna contraddistinta da una piastrella in ceramica che richiama i disegni del celebre architetto. Hotel della Città et de la Ville, corso della Repubblica 117, Forlì (Fc), tel. +39 0543.28297, www.hoteldellacitta.it

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BUONALETTURA a cura di Simona Percivalle

Bollicine Lo Spumante secondo Giò Martorana L’effervescente mondo degli spumanti italiani visto attraverso la macchina fotografica di Giò Martorana è racchiuso in Sparkling Italy, a cura di Marco Ghiotto, con testi di Gelasio Gaetani d’Aragona Lovatelli, Carlo Casavecchia e Bernardo Pasquali. Un volume di grande impatto visivo con un’accurata selezione di prestigiosi produttori sullo sfondo delle più belle città e paesaggi del nostro Paese, accostata ad altre eccellenze, dalla moda al design, dalla gastronomia alla musica, alla tecnologia, narrando la classe e lo stile del bel vivere italiano, di quell’Italia che, nota Pasquali, “grida le sue eccellenze al mondo e conserva prezioso questo mistero, come un bene inestimabile, che racconta secoli e secoli di storie semplici e di illuminazioni”. Il tutto corredato da citazioni di personaggi della letteratura, della musica e anche dell’aviazione, che rimandano al tema della bellezza. Edito da Electa, costa 69 euro.

Business L’evoluzione della bottega

Ricette Ricordi di famiglia

La grande azienda, come la piccola media impresa, sia i vecchi che i nuovi imprenditori, i bottegai artigiani e tutti gli attori del retail troveranno illuminante e propositivo il saggio di Emanuele Sacerdote Ritorno alla bottega. Modello di business per il retail moderno, nel quale l’autore suggerisce l’ipotesi di una rinnovata e rigenerata formula commerciale basata sul ritorno, sistematico e organizzato, alla personalizzazione dei prodotti offerti. Il quale comprende da una parte il recupero del passato, legato al saper fare di un mestiere e, dall’altra, l’applicazione delle logiche moderne, connesse alla tecnologia e alla rete. Il libro propone quindi una sorta di reazione intelligente alla crisi. Edito da Franco Angeli, costa 18 euro.

Quando l’arte culinaria è solo un lungo elenco di ingredienti, quantità, abbinamenti e condimenti, il rischio è che diventi pedante e noiosa. Non è questo il caso di C’eran due bimbe in cucina… Ricordi da mangiare, libro scritto a quattro mani dalle romagnole Rosarita Berardi e Stefania Callegari, con le eleganti illustrazioni di Jan Guerrini. Un volume nato per gioco dall’incontro di due amiche legate dalla passione per il cibo e da comuni ricordi. Il risultato è un ricettario particolare, in cui alle istruzioni per preparare i piatti si “impastano” aneddoti, riflessioni sulla propria famiglia e sulla propria terra, perché, come sempre, dietro a ogni ricetta c’è un racconto di vita vissuta. Edito da La Mandragora, costa18 euro.

Cultura Il cibo tra storia e leggenda

Mousse Trenta dolci al cucchiaio

Chi ha “inventato” la pasta? Gli arabi, i cinesi o i napoletani? Che trattamenti subisce la margarina prima di arrivare nel nostro frigorifero? Da dove deriva il termine bèchamel? Sono solo alcune delle curiosità contenute nel volume La storia di ciò che mangiamo, scritto da Renzo Pellati, specialista in Scienza dell’alimentazione e studioso di nutrizione umana. Un libro che ci svela tutti i segreti e i retroscena dei cibi che ritroviamo sulle nostre tavole, attraverso un racconto ricco di aneddoti, fatti curiosi e notizie bizzarre, ma anche di dati scientifici chiari, rigorosi e approfonditi, in cui l’autore, con precise documentazioni, narra episodi, esperienze, avvenimenti storici e di cronaca, che hanno creato e rivoluzionato le abitudini alimentari del passato e del presente, aiutandoci a conoscere meglio ciò che mangiamo. Di Daniela Piazza Editore, costa 28 euro.

Sembra incredibile, ma molteplici sono gli ingredienti che possono rientrare a pieno titolo nella consistenza di una mousse, rendendola insolita, accattivante e, soprattutto, gustosa e di facile preparazione. Isabel Brancq-Lepage si è divertita moltissimo a realizzare Tutti pazzi per… le mousse. 30 squisite ricette di dolci al cucchiaio: combinazioni sorprendenti di sapori e consistenze, presentazioni inedite e raffinate per deliziare grandi e piccoli in un batter d’occhio. Si va dalla classica mousse al cioccolato fondente alle tartellette con mousse al ribes rosso, dalla mousse gelata con miele, fichi e mandorle al crumble al cocco, dalla panna montata alla granatina, melagrana e frollini al burro alla mousse ai frutti della passione, dando vita a un universo di ghiottonerie che possono diventare un dessert quotidiano. Edito da Il Castello, costa 9,80 euro.

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pillolediSTORIA

L’Olio sacro, simbolo di purezza Nicoletta Negri

‘‘T

rhae egli primieramente la sua nobiltà dalla bella, e maestosa pianta, donde deriva, alla quale l’antica Maestà Romana rese sempre grande onore” (Salvatore Massonio, Archidipno). L’età

dell’olivo ha inizio in pratica con il diluvio: “… e la colomba tornò a lui sul far della sera; ecco, essa aveva nel becco un ramoscello di ulivo. Noè comprese che le acque si erano ritirate dalla terra”, (Genesi 8, 11). Tutti gli antichi popoli mediterranei attribuivano ai propri dèi la scoperta di questa preziosa pianta che richiama simboli tanto importanti: pace, forza, fecondità, gloria e sacralità. Per gli Egizi il merito di avere insegnato a coltivare l’ulivo e a utilizzarne i frutti va alla dea Iside. I Greci invece affidano questo onore a Pallade Atena, per aver fatto crescere un olivo in grado di fornire la fiamma per illuminare le notti, di lenire le

ferite, di produrre cibo prezioso, ricco di gusto che procura energia, scelto dagli dèi come simbolo di pace. La progenie divina nasce sotto l’ulivo: la ninfa Latona vi partorisce i gemelli Artemide e Apollo, figli di Zeus, e anche Romolo e Remo nasceranno sotto un ulivo. Nel Getsemani (frantoio, in aramaico), un piccolo uliveto, Gesù prega e anche la sua croce sarà in legno di olivo. Nel libro dei Giudici, nella Bibbia, si racconta che un giorno gli alberi scelsero come loro re l’ulivo, per saggezza e sapienza, ma questi rispose: “Rinuncerò al mio olio, grazie al quale si onorano dèi e uomini, per agitarmi sugli alberi?”. Mosè (Esodo 29 e Levitico 2) prescrisse di offrire oblazioni con focacce di fior di farina impastate di Simbolo di pace e olio d’oliva e aveva imparato da Jahvè a fare, con l’olio d’oliva, mescolato ai migliori sacralità, il frutto dell’ulivo ha da sempre profumi, un olio per la santa unzione dell’arredo del Santuario e di Aronne e dei suoi figli: “Osserverai questo rito per consacrarli al mio sacerdozio”. Anche il nome di Gesù, accompagnato la Messia in ebraico e Christos in greco, significa Unto, da Crisma, Olio santo. storia dell’uomo, I Franchi praticavano l’unzione di olio di oliva per consacrare i loro re, mentre i Greci che ne ha tramandato affidavano la cura delle olive solo a vergini o a uomini puri e versavano l’olio sui morti, le virtù dalla mitologia come simbolo di purezza e luce, “per rischiarare le oscure dimore infernali”. Ancora oggi i cristiani sottolineano il momento di passaggio verso la pace eterna, con l’unzione. Il alle religioni Corano dice ai suoi seguaci, grandi sostenitori dell’olio di oliva come alimento: “L’olio è così limpido che spanderebbe luce anche se nessun fuoco venisse a contatto con esso” (Sura, XXIV,35). Dopo il bue Alfa, la casa Beta, il cammello Gamma, l’olivo Delta è l’immagine della quarta lettera dei primi alfabeti. Fra tutte le colture è stata scelta quella dell’olivo, preferito F&B addirittura ai cereali.

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STELLEaTAVOLA a cura di Galatea

Cancro

Leone

Vergine

Mese dedicato a un’intensa e soddisfacente vita sociale. Approfittatene per gustare novità enogastronomiche stuzzicanti.

Favorite la passione e le finanze, quindi date spazio a pranzi e cene in ristoranti di classe, in cui gustare rarità culinarie.

Vi renderà felici ricercare agriturismi che offrono percorsi gastronomici interessanti ed equilibrati nel rapporto qualità-prezzo.

Bilancia

Scorpione

Sagittario

Situazione vivace negli affetti e nelle relazioni: siete attratti da cibi e bevande etniche, di cui vorrete conoscere la composizione.

Vi sentite molto fortunati e volete condividere la gioia con parenti e amici, ovviamente tra fette di torta e calici di spumante.

Ascoltate i suggerimenti del partner nella scelta dei piatti: avrete delle gradite sorprese che vi aprono a nuovi orizzonti culinari.

Capricorno I vostri successi professionali vi portano a organizzare cene con colleghi che impareranno ad apprezzarvi pure fuori dal lavoro.

Acquario gemelli Siete il segno della comunicazione e della velocità mentale. Sapete trovare la soluzione a ogni problema e avete una curiosità innata, che vi sprona a interessi molteplici e variegati. La tavola rispecchia la vostra personalità: amate gli assaggi e gli stuzzichini a base di verdure, ma non disdegnate antipasti, primi e secondi originali e presentati in modo colorato e attraente. La vivacità cromatica è l’aspetto che vi colpisce di più in un piatto. Non amate la sovrabbondanza, ma gradite la creatività culinaria. Essendo soggetti ad affezioni dell’apparato respiratorio è opportuno che consumiate cibi ricchi di cloruro di potassio, come albicocche, ananas, arance, pere e pesche, ma anche asparagi, cavolfiori e fagiolini; mentre i palati più avventurosi si possono cimentare in ricette a base di alghe kombu e kelp. Per potenziare le facoltà mentali è consigliabile mangiare delle zuppe di miglio, un cereale che contrasta lo stress e la stanchezza, in particolare di origine intellettuale. La bevanda migliore per voi Gemelli è il tè, perché ha un effetto stimolante sul sistema nervoso centrale e favorisce la concentrazione. Ricordate che il vostro must a tavola è: sperimentare, sperimentare, sperimentare. 98 | Food&Beverage maggio 2013

Periodo di consolidamento economico e sentimentale da incentivare con vini strutturati e piatti dal gusto che lascia il segno.

Pesci Continua il periodo positivo sotto tutti gli aspetti. Cavalcate l’onda tuffandovi a capofitto in un affogato al cioccolato o al caffè.

Ariete Mese di cambiamenti ed evoluzione da rendere frizzante con molte bollicine. Non dimenticate la multicolore frutta di stagione.

Toro Muovetevi con accortezza, ricercando i piaceri della tavola che vi doneranno il sorriso nonostante i numerosi impegni.


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IV | Food&Beverage maggio 2014


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