NotiCum n. 6 - 2014

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NotiCum IL VOLTO DELLA MISSIONE ANNO 52 - n. 6 - GIUGNO 2014

Periodico edito da Fondazione CUM - Lungadige Attiraglio, 45 - Poste Italiane spa - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Verona In caso di mancato recapito rinviare all’ufficio postale di Verona, detentore del conto, per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa - Taxe perçue

LA MISSIONE RINNOVA LA CHIESA editoriale di Crescenzio Moretti

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n tutti i tempi qualcuno ha parlato delle piaghe della Chiesa. A volte con astio altre volte con amore. Per il Beato Rosmini erano cinque, per Vinicio Albanesi, presidente della comunità di Capodarco sono tre. Anche Papa Francesco ravvisa alcuni mali della Chiesa: vanità, clericalismo, carrierismo, autoreferenzialità, cultura del provvisorio, scarsa testimonianza di povertà. Capita anche a noi, a volte anche a ragione, di lamentare qualche piaga che offusca il volto della Chiesa. Ma l’amore alla chiesa non possiamo metterlo in discussione, per quanto grandi ci possano sembrare le sue ferite. Lo scriveva Carlo Carretto: “Quanto sei contestabile, Chiesa, eppure quanto ti amo! Quanto mi hai fatto soffrire, eppure quanto a te devo! Vorrei vederti distrutta, eppure ho bisogno della tua presenza. Mi hai dato tanti scandali, eppure mi hai fatto capire la santità! Nulla ho visto al mondo di più oscurantista, più compresso, più falso e nulla ho toccato di più puro, di più generoso, di più bello. Quante volte ho avuto la voglia di sbatterti in faccia la porta della mia anima, quante volte ho pregato di poter morire tra le tue braccia sicure. No, non posso liberarmi di te, perché sono te, pur

non essendo completamente te. E poi, dove andrei?”. In tutti i tempi i profeti hanno aiutato il popolo di Dio a ritrovare la sua strada, a purificare il suo cammino. Senza dubbio il Papa Francesco e l’esperienza missionaria sono la profezia che Dio manda al suo popolo in questo tempo. Papa Francesco, scrive, parla, compie gesti che dicono la sua passione per la Chiesa, ne denuncia i mali, ne proclama la santità, la spinge alla missione. In momenti come questi, solcati da oscurità e incertezze, il Papa ci incoraggia a non farci travolgere dalle tante meschinerie che deformano il volto della Chiesa e rendono incerto il nostro cammino cristiano. Superstizioni, scandali, affarismo, superficialità, protagonismo, moralità in caduta libera, disorientano pesantemente il popolo di Dio. Papa Francesco guarda più lontano, ci entusiasma, ci fa sognare una Chiesa gioiosa, misericordiosa, piena di tenerezza, accogliente, aperta al dialogo, povera, umile, serva. Papa Francesco parla di porte aperte. Le porte sono per entrare e per uscire. La missione non è più solo per uscire, è anche per far entrare. Non è più il tempo di

pensare alla missione solo per andare, portare, compatire, anche se sono gesti che mai si potranno abbandonare, la missione vuole essere il centro della vita delle nostre comunità cristiane per accogliere la voce dello Spirito che parla coi gesti delle giovani chiese. “Il fuoco della missione – recita il documento del Convegno Missionario Nazionale di Bellaria, ancora attualissimo - è capace di trasformare profondamente la nostra pastorale, in tutte le sue forme e nelle sue stesse strutture e di incidere in tutto il nostro lavoro formativo”. La missione è il paradigma dell’attività pastorale. Sappiamo tanto sulla povertà di molti popoli del terzo mondo, ma sappiamo troppo poco delle comunità cristiane sparse nei vari continenti, della loro storia, del loro fervore religioso, delle loro calde liturgie, della fede che li sostiene nella persecuzione, della solidarietà che manifestano nei momenti più bui della loro storia. Sappiamo troppo poco di tanti missionari che si sono identificati coi loro popoli, ne hanno condiviso la povertà e i pericoli, hanno intriso di vangelo le culture, con pazienza hanno generato comunità cristiane fervorose.


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LA MISSIONE RINNOVA LA CHIESA

n.6 - giugno 2014

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BRASILE: SI È SPENTA UNA VOCE DEGLI OPPRESSI Il 2 maggio scorso, all’età di 91 anni, è morto dom Tomàs Balduino, amico dei poveri e degli oppressi

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l nostro profeta se n’è andato in cielo. È questa la reazione spontanea di molti fratelli e sorelle, compagni di strada di Mons. Tomàs Balduino che, nella vita, si sentirono aiutati e stimolati a seguire Gesù Cristo e a testimoniare nel mondo il progetto divino di giustizia e pace. Mons. Tomàs Balduino, vescovo emerito di Goiàs, diocesi del Centro ovest del Brasile, ci ha lasciati all’età di 91 anni. Grande pastore, profeta e sacerdote del popolo di Dio. Sempre si collocò a lato dei poveri e oppressi. Si distinse nella difesa degli indios e dei sem terra. È stato instancabilmente presente nelle lotte dei popoli indigeni, dei neri e dei contadini. La giovialità e il sorriso che illuminavano permanentemente il suo volto riflettevano la grandezza del suo carattere e la coraggiosa militanza pastorale e politica che esercitava in una delle regioni più violente del paese, attaccata prima dal latifondo e poi dall’agrobusiness. Nella lotta per la Riforma Agraria si è distinto come uno dei suoi più ardenti sostenitori. Non ha esitato a schierarsi sempre dalla parte del popolo, scontrandosi sia con i governi del regime militare che con tutti quelli che sono venuti dopo. È stato uno dei più robusti pilastri nella costruzione di una pastorale sociale, che ha avvicinato la Chiesa Cattolica a tutte le etnie e generi, vittime della irrazionalità del capitalismo e di una società elitaria e piena di preconcetti. Soprattutto gli indios e i contadini, popolo prediletto dal cuore di mons. Tomàs, possono oggi sentirsi orfani per la morte di qualcuno che li servì dalla gioventù fino al suo ultimo respiro, all’età di quasi 92 anni. Se ne va un altro grande profeta e raggiunge in cielo uomini come Fragoso, Herder Camara, Lorchaider, Arns, Luciano Mendez, uomini per il popolo, vescovi degli ultimi, sacerdoti per il Regno. Che il suo impegno e la sua testimonianza continuino vive tra noi, animandoci e sostenendoci nel cammino di liberazione. Grazie, Signore, di averci dato un così grande pastore ingaggiato nella tua causa, che è anche la nostra causa, il Regno. F. T.

LA MISSIONE CHE RINNOVA CON GIOIA: IL MODELLO ANCHIETA Missionario gesuita in Brasile, è stato canonizzato da Papa Francesco lo scorso 2 aprile

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ato nell’isola di Tenerife nel 1534, si trasferisce giovanissimo in Portogallo per gli studi e a meno di 20 anni Josè Anchieta arriva come missionario gesuita in Brasile, dove diventerà prete all’età di 32 anni. È ricordato come fondatore delle città di San Paolo e di Rio de Janeiro. Spese la sua vita ad educare gli indigeni e a difenderli dagli abusi dei colonizzatori portoghesi che volevano farli schiavi. Addirittura volontariamente si pone come ostaggio per favorire il negoziato tra gli indigeni e i portoghesi. Lotta contro i francesi che avevano le stesse mire dei portoghesi e con loro erano in lotta. Dirige il collegio del Rio de Janerio (1570-1573), fonda il villaggio Iritiba che diventerà la città nello stato dello Espirito Santo che tutt’ora porta il suo nome. Divenne provinciale dei gesuiti in Brasile, poi -lasciato l’incarico- va a dirigere un collegio dei gesuiti a Vitoria e poi si ritira a Iritiba dove muore nel 1597. Una vita da instancabile missionario, la sua, sempre dentro alle questioni della vita e alle vicissitudini delle popolazioni via via incontrate, con l’obiettivo preciso di dare una mano nell’emancipazione delle popolazioni incontrate. Il suo operato non solo rinnovava la chiesa, ma anche la società civile. È stato canonizzato da Papa Francesco e nella messa nella chiesa dei gesuiti in Roma il 24 aprile scorso, nell’omelia, papa Francesco ha ricordato la figura di Josè Anchieta dicendo: “Anche san José de Anchieta seppe comunicare quello che aveva sperimentato con il Signore, quello che aveva visto e udito da Lui; quello che il Signore gli comunicò nei suoi esercizi. Lui, insieme a Nobrega, è il primo gesuita che Ignazio invia in America. Un ragazzo di 19 anni… Era tanta la gioia che aveva, era tanta la gioia che fondò una nazione: pose le fondamenta culturali di una nazione, in Gesù Cristo. Non aveva studiato teologia, non aveva studiato filosofia, era un ragazzo! Però aveva sentito lo sguardo di Gesù Cristo, e si lasciò riempire di gioia, e scelse la luce. Questa è stata ed è la sua santità. Non ha avuto paura della gioia. San José de Anchieta ha un bellissimo inno alla Vergine Maria, alla quale, ispirandosi al cantico di Isaia 52, paragona il messaggero che proclama la pace, che annuncia la gioia della Buona Notizia. Lei, che in quell’alba della domenica insonne dalla speranza non ebbe paura della gioia, ci accompagni nel nostro peregrinare, invitando tutti ad alzarsi, a rinunciare alle paralisi, per entrare insieme nella pace e nella gioia che Gesù, il Signore Risorto, ci promette”. “O apostolo do Brasil”, così è ricordato Anchieta. Fondatore di villaggi (che poi due di loro diventeranno le due città più importanti del Brasile: San Paolo e Rio), drammaturgo, letterato, scrive la grammatica della lingua tupi, gruppo indigeno con il quale vive a lungo. Le sue opere letterarie e di teatro sono fortemente influenzate dalle esperienze di vita che conduce con le popolazioni indigene (tupì e guaranì in particolare). Anche per questo la sua produzione letteraria è considerata tra le migliori del ‘500 brasiliano. Fu beatificato nel 1980 da Giovanni Paolo II, canonizzato con il rito della canonizzazione equipollente da papa Francesco il 2 aprile scorso.

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José Anchieta, missionario gesuita di origine spagnola, spese la sua vita a educare gli indigeni brasiliani e a difenderli dagli abusi dei colonizzatori portoghesi


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VESCOVO DA 43 ANNI: «NON HO MAI AVUTO UN EPISCOPIO» Monsignor Job racconta come vivono i cristiani in Nigeria, minoranza storicamente rispettata, ma minacciata oggi dai fanatici di Boko Haram

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ensionato” dal 2013, Mons. Felix Alaba Adeosin Job è stato per molti anni vescovo di Ibadan e presidente della Conferenza Episcopale Nigeriana. È passato dal CUM di Verona e, a riguardo del tema “la missione rinnova la chiesa” ci ha detto: “Vengo dall’Arcidiocesi di Ibadan, sono vescovo da 43 anni, e in questi anni ho visto un grande sviluppo della Chiesa in Nigeria. Siamo diventati Chiesa nigeriana, chiesa locale nel 1950 con tre provincie ecclesiastiche. Adesso abbiamo 9 provincie ecclesiastiche, 54 diocesi. Quando fui ordinato vescovo nella mia diocesi c’erano due preti, adesso sono 98, con 23 parrocchie, 17 ordini religiosi presenti. Chi avrebbe immaginato uno sviluppo così! Siamo sempre stati aperti alla missione, sia ad intra che ad extra, dando innanzitutto della nostra piccolezza, della nostra povertà. I cattolici in Nigeria sono una piccola minoranza rispetto ai 160 milioni di abitanti, però la Chiesa è ascoltata, seguita, considerata. Abbiamo il problema Boko Haram, che non è un problema solo per la Chiesa cattolica, è un problema per tutti oggi in Nigeria. Questi terroristi che arrivano dall’estero non hanno nulla da spartire con la Nigeria. Sia noi cristiani, sia i musulmani in Nigeria hanno denunciato il movimento Boko Haram, che vuol dire «non vogliamo una educazione occidentale». Ci chiediamo: come fanno ad avere tutte queste armi? In Nigeria certamente non si producono. Purtroppo il governo non riesce a fermarli. L’appello che tutti - cristiani e musulmani - rivolgiamo, è il seguente: ci rivolgiamo alle nazioni straniere che stanno aiutando questo movimento, che la smettano di aiutare questi terroristi che stanno distruggendo la nazione. La Chiesa, la mia Chiesa deve andare in tutto il mondo ad evangelizzare, partendo dal di dentro, dalla Nigeria stessa. La Chiesa si sviluppa e si rinnova solo se è missionaria. Ma lo stile deve essere di povertà, che deve contraddistinguere. Non portiamo cose, ma la luce del Vangelo. Da 43 anni sono vescovo e non ho mai avuto un episcopio. Adesso che mi sono ritirato sono tornato a vivere in una parrocchia, assieme al parroco.”

Boko Haram non è un problema solo per la Chiesa cattolica, è un problema per tutti oggi in Nigeria. Questi terroristi che arrivano dall’estero non hanno nulla da spartire con il nostro Paese

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P. A.

Parole di Vangelo di Giandomenico Tamiozzo

“PIENO DI GIOIA, CONTINUÒ IL SUO CAMMINO” (Atti 8,39)

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ieno di gioia, proseguì la sua strada”: così conclude il racconto della conversione del funzionario della regina di Candace. Il fatto viene narrato negli Atti degli Apostoli. Il funzionario di Candace, amministratore di tutti i tesori della regina di Etiopia, di ritorno dal culto a Gerusalemme, mentre era seduto sul suo carro a leggere il profeta Isaia, venne raggiunto dal diacono Filippo che gli spiegò il testo di Isaia, laddove si legge: “come una pecora egli fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi chi lo tosa, così egli non aprì la sua bocca”. Terminata la spiegazione cristologica del testo, il cuore dell’etiope si aprì alla fede e domandò a Filippo di essere battezzato. La vita nuova sgorga dal battesimo. È quello che anche Gesù aveva detto a Nicodèmo: bisogna rinascere di nuovo nell’acqua e nello Spirito. La rinascita non è qualcosa di esterno, di fisico, ma parte dal cuore. Gesù aveva anche detto: “se non rinascerete, non entrerete nel regno dei cieli” (Matteo 18,3). “Non si tratta ovviamente di rientrare nel grembo materno” - scrive San Giustino nella sua prima apologia a favore dei cristiani – “ma di rinascita spirituale. Nella nostra prima nascita siamo stati messi al mondo dai genitori per istinto naturale e in modo inconscio. Ora non vogliamo restare figli della semplice natura dell’ignoranza, ma di una scelta consapevole…”. La novità di vita riguarda sia chi è raggiunto dal Vangelo, sia colui che annuncia il Vangelo. Ed è una novità sempre da rilanciare alla comunità dei credenti, ricuperando la consapevolezza battesimale degli inizi. Entrare nella Via, diventare discepoli della Via di Gesù - come si diceva dei primi cristiani negli Atti degli Apostoli - è un evento continuo e sempre attuale e attuabile, perché ecclesia semper reformanda (la chiesa è sempre da rinnovare, da farsi nuova). Ne abbiamo un esempio illuminante nelle lettere alle sette chiese dell’Apocalisse, che l’apostolo Giovanni invita a un rinnovamento degno della fede cristiana. Così alla chiesa madre di Efeso, lo Spirito di Gesù dice: “Sei costante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti. Ho però da rimproverarti che hai abbandonato il tuo amore di prima. Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti e compi le opere

di prima…”. La Chiesa di Smirne viene invitata ad una fedeltà totale: “Così parla il Primo e l’Ultimo, che era morto ed è tornato alla vita: … non temere ciò che stai per soffrire; ecco, il diavolo sta per gettare alcuni di voi in carcere... Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita”. La Chiesa di Pèrgamo e quella di Tiatira vengono messe in guardia dai falsi maestri che allontanano dalla sana dottrina: “Ravvediti dunque; altrimenti verrò presto da te e combatterò contro di loro con la spada della mia bocca… Conosco le tue opere, la carità, la fede, il servizio e la costanza … Ma ho da rimproverarti che lasci fare a chi si spaccia per profetessa e insegna e seduce i miei servi inducendoli a darsi alla fornicazione e a mangiare carni immolate agli idoli…Io sono Colui che scruta gli affetti e i pensieri degli uomini, e darò a ciascuno di voi secondo le proprie opere…”. Alla Chiesa di Sardi viene ricordato l’ardore con cui aveva accolto la Parola agli inizi: “Conosco le tue opere; ti si crede vivo e invece sei morto. Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire, perché non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio. Ricorda dunque come hai accolto la Parola, osservala e ravvediti, perché se non sarai vigilante, verrò come un ladro senza che tu sappia in quale ora io verrò da te”. Alla Chiesa di Filadelfia si dice: “Poiché hai osservato con costanza la mia Parola, anch’io ti preserverò nell’ora della tentazione… Verrò presto. Tieni saldo quello che hai, perché nessuno ti tolga la corona”. Alla Chiesa di Laodicèa è scritto: “Così parla il Testimone fedele e verace…: Conosco le tue opere; tu non sei né freddo né caldo… Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca. Tu dici: «Sono ricco; non ho bisogno di nulla», ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo... Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo. Mostrati dunque zelante e ravvediti. Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (cfr. Ap. 2-3). La liturgia pasquale, per aiutarci a non dimenticare la dignità battesimale, mette sulle labbra del sacerdote questa preghiera: “O Dio che nell’acqua del battesimo hai rigenerato coloro che credono in te, custodisci in noi la vita nuova, perché possiamo vincere ogni assalto del male e conservare fedelmente il dono del tuo amore”.

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LA MISSIONE RINNOVA LA CHIESA

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È DOMENICA!

Racconti di Fidei Donum di don Felice Tenero - Fidei donum in Brasile

rubriche

A causa della mancanza di sacerdoti, il 70% delle comunità brasiliane non può celebrare l’Eucaristia domenicale

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domenica! Nel 90% delle comunità cattoliche della nostra diocesi oggi non si celebra l’eucaristia. Motivo… la scarsità di sacerdoti. Oggi, giorno del Signore, in Brasile il 70% delle comunità cattoliche non può fare memoria del Signore Risorto “spezzando il pane e partecipando alla mensa eucaristica”. Motivo… mancano sacerdoti. In questo fine settimana di aprile, un centinaio di persone, soprattutto donne, sono qui riunite nel Centro di Formazione di Floresta per approfondire l’importanza e il valore di celebrare il ‘Giorno del Signore’. Sono mamme di famiglia, spose dedicate, giovani studentesse o lavoratrici, sono loro che la domenica, animate da un profondo spirito di servizio, dirigono e presiedono la celebrazione del Giorno del Signore. Esse sono convinte del valore e dell’importanza di questo giorno settimanale che faceva dire a San Girolamo “La domenica è il giorno della risurrezione, è il giorno dei cristiani, è il nostro giorno”, e ad uno sconosciuto autore del IV secolo: “il giorno del Signore è il «signore dei giorni»”. Così, ogni domenica, nella semplicità di una cappella o all’ombra di un albero frondoso, piccoli gruppi di cristiani si riuniscono per rendere visibile e concreto ciò che insegna il Catechismo della Chiesa cattolica quando afferma che la celebrazione domenicale del Giorno del Signore con l’Eucaristia è il centro della vita della Chiesa. Quante volte abbiamo letto nei documenti della Chiesa o ascoltato in diverse conferenze affermazioni come queste: “L’Eucaristia fa la Chiesa; l’Eucaristia è il luogo privilegiato dell’incontro dei discepoli con il suo Signore; è il Pane di vita eterna, alimento sostanzioso dei discepoli/missionari. Essa è il cuore pulsante delle nostre comunità”. Già San Giustino, nella sua prima Apologia indirizzata all’imperatore Antonino e al Senato, poteva descrivere con fierezza la prassi cristiana dell’assemblea domenicale, che riuniva insieme nello stesso luogo i cristiani delle città e quelli delle campagne. Quando, durante la persecuzione di Diocleziano, avvenuta nel II secolo d.C., le loro assemblee furono interdette con la più grande severità, furono molti i coraggiosi che sfidarono l’editto imperiale e accettarono la morte pur di non mancare all’Eucaristia domenicale. È il caso di quei martiri di Abitine, nell’Africa proconsolare, che risposero ai loro accusatori: “È senza alcun timore che abbiamo celebrato la cena del Signore, perché non la si può tralasciare; è la nostra legge. Noi non possiamo stare senza la cena del Signore!”. E una delle martiri confessò: “Sì, sono andata all’assemblea e ho celebrato la cena del Signore con i miei fratelli, perché sono cristiana!”. A queste parole è seguito il loro martirio. Oggi è domenica e, mentre celebro l’eucaristia nella chiesa principale della parrocchia, penso alla quarantina di comunità sparse sul territorio parrocchiale che non potendo avere l’eucaristia, celebrano il Giorno del Signore riunendosi attorno alla Parola. Sono più di cinquantamila in Brasile le comunità cristiane che, ogni domenica realizzano la Celebrazione della Parola. Ma sono private dell’Eucaristia. Sono altari ove manca il Pane dell’Amore

e della Condivisione. Il Documento di Aparecida, constatando questa realtà afferma: “Il numero insufficiente dei sacerdoti e la loro distribuzione non uniforme ed equa sul territorio rendono impossibile a molte comunità la partecipazione regolare alla celebrazione eucaristica. Ricordando che l’eucaristia fa la Chiesa, ci preoccupa la situazione di così tante comunità private dell’eucaristia domenicale per lunghi periodi di tempo. A questo fatto bisogna aggiungere il problema della relativa scarsità delle vocazioni al ministero e alla vita consacrata” (DAP n. 100,e). Preoccupazione sacrosanta, che viene già da lunga data. Forse è arrivato il tempo di affrontare con coraggio e lungimiranza la realtà di queste comunità e la problematica del sacerdozio celibatario e mascolino. Ci è chiesto quel coraggio che viene dal riconoscere che lo Spirito del Risorto sempre accompagna e conduce la sua Chiesa per nuovi e imprevedibili cammini, liberando il suo volto da rughe e incrostazioni secolari, tradizioni buone ma oggi inutili e inefficaci. Ci è chiesta quella lungimiranza che fa di noi un popolo in marcia, capace di volgere lo sguardo alle sue origini, per ritrovare quella linfa vitale che permette di aprire nuovi orizzonti, capaci di produrre cambiamenti stupendi e meravigliosi. La gente semplice, con cui convivo da anni, ha già fatto passi giganti; il loro linguaggio già descrive una nuova visione: “Oggi, dicono, c’è stata la ‘messa del prete’… il mese scorso abbiamo avuto la ‘messa della suora’!”. Santa semplicità che indica nuove mete e nuovi cammini. I vescovi brasiliani, nel documento “Comunità di comunità: una nuova parrocchia”, parlano della comunità parrocchiale come ‘casa del pane’ e al n. 182 affermano: “La comunità cristiana vive dell’Eucaristia… L’Eucaristia è il momento principale della vita comunitaria, poiché è sacramento di comunione e riconciliazione. Essa è l’incontro di Dio con la comunità, della comunità con Dio e dei membri della comunità tra loro”. Saremo capaci di aprire strade nuove, che permettano a questo Dio di scendere dal cielo, per portare in ogni comunità, soprattutto piccola e povera, il Pane della Vita? Verrà il giorno in cui nelle case dei poveri, il capofamiglia, uomo o donna che sia, farà memoria della Risurrezione del Signore, ‘spezzando il Pane e bevendo il calice del Vino nuovo’? Lasciatemi sognare.

HO APPENA DUE MANI… E IL SENTIMENTO DEL MONDO La ristampa di un libro di poesie del fidei donum Giulio Girardello Don Giulio Girardello , fidei donum in Brasile negli anni ’80, è lavorato per lungo tempo al CEIAL (ora CUM). Da sempre scrive poesie. In occasione dell’Arena di Pace e Disarmo (25 aprile 2014, Arena di Verona) il Centro Missionario Diocesano di Verona ha curato la ristampa di un suo libro di poesie edito negli anni ’90 dal Cedor. Pubblichiamo uno stralcio dalla prefazione.

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a poesia di Giulio sembra il diario di “un testimone colpevole” (così si definiva Thomas Merton) illuminato dal grido di Isaia, dal sogno di Luther King, dalla memoria di Francesco d’Assisi e dalla presenza di Gesù Cristo “uomo morto da Dio” che può donarci “una morte da uomo”. L’urlo di rabbia, lo scatto di indignazione e il sussulto di speranza si mescolano ai volti di tanti martiri della giustizia e della pace (Sandino, Oscar Romero, Chico Mendes, Gandhi, L. King, N. Mandela...) e del popolo della pace: “camminanti, camminando, ci apriremo canzoni”; “c’è una stagione /di parole/vere/da raccogliere”; “ho appena due mani/e il sentimento del mondo/ per fare la pace”. Tra i suoi versi trovo una costante che chiamo la compassione delle mani. Mani “crocifisse” o “piagate su membra piegate”, “mozzate” da esplosioni, “piantate nel cuore della terra”, chiuse in un pugno o pronte alla semina, piegate a “raccogliere una montagna di viscere”. (…) Mani alzate nella preghiera immerse là dove “c’è ancora quel tanto di carne/ di pietà/di festa/di rabbia e di gravidanze/che mi graziano di essere uomo” e dove Giulio attende la grazia del perdono. Per Giulio cantare significa resistere, respirare e generare, esercizio teologale di fede, speranza e amore. Egli scrive parole pasquali piene di vita in lotta con la morte, a volte “sgarbate parole/ma nostre/perché germogli/un’alba d’estate/ mite/ d’umanità/di pane e vino”. (…) Grazie e grazia a Giulio per il paziente pensare, il fertile immaginare, l’ardente cuore. Il libro si trova al Centro Missionario Diocesano di Verona, telefono 045/8033519.

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LA MISSIONE RINNOVA LA CHIESA

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CHIESA E MONDO: SCONTRO O INCONTRO? di don Alberto Brignoli - Ufficio Cooperazione Missionaria tra le Chiese – CEI

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volte, abbiamo la sensazione che la situazione ecclesiale attuale ci faccia sentire in forte sintonia con quanto troviamo espresso nel libro dell’Apocalisse, soprattutto nella prima parte. La Chiesa dell’Apocalisse è una Chiesa che vive la persecuzione: una persecuzione che porta sì anche al martirio, ma principalmente è una persecuzione che deriva dal tentativo di ridurre il messaggio cristiano a una banalità, a una storiella senza presente né futuro perché priva di forza interiore. E allora, le suggestioni create dalla società (concretizzate e simboleggiate nei poteri dell’Impero di turno) paiono prendere il sopravvento sulla bellezza del messaggio cristiano: e chi resiste a queste suggestioni può giungere a pagare con la stessa vita la propria opposizione. La situazione che si crea è - all’apparenza – quella di una Chiesa ridicolizzata e spesso pure strumentalizzata dai poteri del momento: e ciò si avverte maggiormente quando si proviene – come nel nostro periodo storico – da un momento di “christianitas” nel quale essere perseguitati rappresentava un’eccezione, spesso provocata da atteggiamenti ritenuti poco ortodossi degli stessi cristiani perseguitati, quasi “andassero a cacciarsi” in situazione di opposizione e di rifiuto. In realtà, solamente all’apparenza ci troviamo in un periodo storico di radicale opposizione al messaggio evangelico: sia perché storicamente il messaggio evangelico ha avuto a che fare con periodi ben più problematici dell’attuale, sia perché lo stesso messaggio riesce ancora a dire molto all’uomo contemporaneo. Dove sta, allora, il problema? Perché la Chiesa si sente – oggi come in altri periodi – perseguitata? E perché – contemporaneamente - il messaggio evangelico trova meno opposizione oggi rispetto ad altri periodi storici? Le nostre endemiche “frustrazioni pastorali” e l’entusiasmo intorno all’annuncio del Vangelo come Papa Francesco ce lo propone, mi paiono emblematici di questa dicotomia tra una Chiesa “bistrattata” e un Vangelo non poi così lontano dall’uomo della strada… Dov’è, quindi, la questione essenziale? Il concetto stesso di “apocalisse” ci dà una mano nella comprensione del fenomeno. “Apocalisse” – lo sappiamo bene - non significa insieme di situazioni e di eventi tragici e/o drammatici legati a una particolare situazione storica, generalmente sfavorevole al messaggio evangelico. Il significato di “apocalisse” è quello di “rivelazione”, ossia di comprensione dello spazio e del tempo come “luoghi” in cui la salvezza si rivela, non tanto “nonostante” le situazioni di criticità, quanto “attraverso” queste stesse situazioni. Le fasi storiche di annuncio del Vangelo e

di testimonianza cristiana nelle quali si è avvertita maggior criticità sono state, generalmente, quelle in cui il messaggio evangelico si è poi rivelato con maggior efficacia: e questo, già a partire dalle prime persecuzioni della Chiesa in epoca apostolica. Assumere, quindi, le “criticità” del momento, sia a livello socio-economico-politico che a livello ecclesiale, significa leggere, al loro interno, le potenzialità che provengono dalla storia e dal mondo, visti non come vicenda “altra” rispetto alla Rivelazione, ma come luogo in cui la Verità si rivela, come luogo di lotta e di inquietudine creativa e non sterile: come luogo, appunto, “apocalittico”. Perché questo complesso discorso? E qual è il suo nesso con il Convegno Missionario Nazionale? Lo stimolo ci viene dal secondo dei tre assi tematici del Convegno stesso, quello che ruota intorno al verbo “incontrare”. Essere missionari significa, oggi più che mai, “andare incontro” all’uomo, ossia spogliarsi di un atteggiamento difensivo nei confronti del mondo, della storia e dell’umanità, spesso – purtroppo - visti come qualcosa da cui guardarsi e da giudicare con atteggiamenti assertivi. Certamente, non viene meno la dimensione profetica dell’annuncio: ma oggi occorre essere profetici tramite atteggiamenti di dialogo, di comprensione, di accettazione dell’alterità e della diversità intese come contributi decisivi all’azione pastorale. Occorre innanzitutto riscoprire le relazioni interpersonali come dinamica dell’Annuncio, evitando - per riprendere la saga biblica che fa da filo conduttore del Convegno – l’atteggiamento di Giona che vede Ninive come un mondo da distruggere e da eliminare, mentre Dio ha in quella città gente che lo sa riconoscere, venerare, ringraziare, amare. Vorrei collocare queste riflessioni nell’ampio orizzonte della Chiesa del Concilio, così come il nr. 92 di Gaudium et Spes, mezzo secolo fa, osava fare con determinazione: “La Chiesa, in forza della missione che ha di illuminare tutto il mondo con il messaggio evangelico e di radunare in un solo Spirito tutti gli uomini di qualunque nazione, razza e civiltà, diventa segno di quella fraternità che permette e rafforza un sincero dialogo. Ciò esige che innanzitutto nella stessa Chiesa promuoviamo la mutua stima, il rispetto e la concordia, riconoscendo ogni legittima diversità, per stabilire un dialogo sempre più fecondo fra tutti coloro che formano l’unico popolo di Dio, che si tratti dei pastori o degli altri fedeli cristiani. Sono più forti infatti le cose che uniscono i fedeli che quelle che li dividono; ci sia unità nelle cose necessarie, libertà nelle cose dubbie e in tutto carità. Rivolgiamo anche il nostro pensiero a tutti coloro che credono in Dio e che conservano nelle loro tradizioni preziosi elementi religiosi ed umani, augurandoci che un dialogo fiducioso possa condurre tutti noi ad accettare con fedeltà gli impulsi dello Spirito e a portarli a compimento con alacrità. Per quanto ci riguarda, il desiderio di stabilire un dialogo che sia ispirato dal solo amore della verità e condotto con la opportuna prudenza, non esclude nessuno: né coloro che hanno il culto di alti valori umani, benché non ne riconoscano ancora l’autore, né coloro che si oppongono alla Chiesa e la perseguitano in diverse maniere. Essendo Dio Padre principio e fine di tutti, siamo tutti chiamati ad essere fratelli. E perciò, chiamati a una sola e identica vocazione umana e divina, senza violenza e senza inganno, possiamo e dobbiamo lavorare insieme alla costruzione del mondo nella vera pace”. Il solco è tracciato, già da tempo: non perdiamo tempo, e mettiamoci a seminare!

attività

Verso il Convegno Missionario Nazionale di Sacrofano (20-23 novembre 2014)

23 - 28 giugno CORSO BASE DI GIORNALISMO Corso per missionari, operatori di Centri Missionari, giornalisti, collaboratori di testate FESMI e settimanali diocesani.

28 luglio – 2 agosto SCUOLA DI LETTURA POPOLARE DELLA BIBBIA Storia di Israele e formazione del primo Testamento fino alla Monarchia e al Profetismo. Corso per chi già conosce il metodo della L. P. e cerca maggiori strumenti e contenuti.

29 giugno – 26 luglio CORSO BASE DI LINGUA ITALIANA PER SACERDOTI E RELIGIOSE/I CORSO A NUMERO CHIUSO. Per informazioni 045 8900329 Per principianti: apprendimento elementi di base della lingua.

1 – 12 settembre CORSO PER SACERDOTI E RELIGIOSE/I NON ITALIANI CHE OPERANO NELLA CHIESA IN ITALIA - 1° livello Corso rivolto a chi è arrivato da poco in Italia e necessita di un’introduzione alla realtà culturale e sociale del paese e della Chiesa italiana.

27 luglio – 23 agosto CORSO INTERMEDIO DI LINGUA ITALIANA PER SACERDOTI E RELIGIOSE/I CORSO A NUMERO CHIUSO. Per informazioni 045 8900329 Per approfondire la conoscenza dell’italiano. Per accedere al corso è necessario possedere le basi della lingua italiana. 1– 5 luglio CORSO ISLAM NUOVO In collaborazione con PISAI. 7 – 12 luglio FONDAMENTI BIBLICI E TEOLOGICI DELLA MISSIONE NUOVO In collaborazione con Missio. Corso per tutti, in particolare per équipe di CMD e seminaristi. 14 - 19 luglio CORSO DI GIORNALISMO: EDITING AUDIO-VIDEO Corso per missionari, operatori di Centri Missionari, giornalisti, collaboratori di testate FESMI e settimanali diocesani.

7 – 27 settembre 14° CORSO EST EUROPA – 24° CORSO ASIA E OCEANIA Corsi per partenti: sacerdoti, religiose/i e laici. 7 settembre – 11 ottobre 68° CORSO AFRICA E MADAGASCAR - 98° CORSO AMERICA LATINA E CARAIBI Corsi per partenti: sacerdoti, religiose/i e laici. 28 settembre – 4 ottobre CORSO PER SACERDOTI E RELIGIOSE/I NON ITALIANI CHE OPERANO NELLA CHIESA IN ITALIA - 2° livello Corso rivolto a chi già opera da qualche anno nella Chiesa italiana per promuoverne la formazione permanente.

Calendario attività 2014

21 – 26 luglio SCUOLA DI LETTURA POPOLARE DELLA BIBBIA Storia di Israele e formazione del primo Testamento fino alla Monarchia e al Profetismo. Corso per chi già conosce il metodo della L. P. e cerca maggiori strumenti e contenuti.

17 – 19 ottobre RIELABORARE L’ESPERIENZA MISSIONARIA - WEEK-END PER LAICI RIENTRATI NUOVO 2 – 8 novembre CORSO PER MISSIONARI/E RIENTRATI (in collaborazione tra CIMI-SUAM-USMI) Seminario rivolto a fidei donum, religiose/i e laici.

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grandi temi

PACE, INQUIETUDINE E GIOIA DEL VANGELO Essere sacerdoti, re, profeti, martiri della pace di Sergio Paronetto - vice presidente di Pax Christi

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incontro areniano del 25 aprile 2014 (“la resistenza oggi si chiama nonviolenza, la liberazione si chiama disarmo”) ha messo in comune tante esperienze orientate alla riduzione delle spese militari, al blocco del progetto F-35, alla riconversione dell’industria bellica, al rilancio del Servizio civile e alla nascita di una campagna per l’attuazione della Difesa civile nonviolenta. In tale ambito si è ben inserito il saluto di papa Francesco, presentato dalla lettera del card. Pietro Parolin, che ha ricordato alcune frasi contrarie alla corsa agli armamenti contenute nel messaggio pontificio del 1 gennaio scorso (è arrivato anche un telegramma del card. Loris Capovilla). Il 25 aprile molti hanno portato con sé il ricordo di persone attive negli anni ‘80 e ‘90, volti indimenticabili a noi sempre rivolti. Tra i tanti, ho rammentato spesso i vescovi Lorenzo Bellomi e Alfredo Battisti, veronesi come Natale Scolaro, Filippo De Girolamo, Enzo Melegari, Massimo Benedetti, Gianni Zanini, Paola Rossi, Silvana Pozzerle o altri come Ilaria Alpi, Vittorio Arrigoni, Massimo Paolicelli, Alexander Langer, David M. Turoldo, Ernesto Balducci, Carlo Maria Martini, Giulio Battistella, Tonino Bello. Il volto a me più caro, compagno di ogni mia giornata, è quello di Tonino Bello, vescovo di Molfetta e presidente di Pax Christi fino alla morte (1993). Nel cuore di molti risuona ancora il suo invito ad alzarsi in piedi del 30 aprile 1989. Le sue parole, cariche di radicalità evangelica, che riporto a modo mio, accompagnano sempre gli amanti della pace.

La pace non è tanto un problema morale, quanto un problema di fede. Quello della pace è il discorso teologico più robusto e più serio che oggi si possa fare, perché affonda le sue radici nel cuore del mistero trinitario.

PACE, ESSENZA DELLA FEDE CRISTIANA Per lui, moderno padre della Chiesa, la pace esprime l’essenza della fede: canto di Betlemme e saluto del Risorto, dono e donazione, esercizio delle virtù teologali e della dignità sacerdotale, profetica e regale del credente (Lumen gentium 31, 11-13). Lo ricordava il giovedì santo del 1986. Essere SACERDOTI DI PACE vuol dire promuovere la pace-shalom, benedizione e pienezza, insieme dei beni messianici. Per questo occorre fare della pace il nostro annuncio fondamentale. Non l’accessorio delle nostre esuberanze omiletiche. Non la frangia marginale dei nostri discorsi. Non l’appendice del nostro impegno cristiano. La pace non è tanto un problema morale, quanto un problema di fede. Non è il lago dei cigni dove precipitano i ruscelli delle nostre sdolcinate esercitazioni mistiche; o gli immissari dei nostri gesti romantici fatti di abbracci, di canzoni e fiaccolate; o gli affluenti delle nostre fantasiose simbologie con intrecci di colombe e ramoscelli d’ulivo. Quello della pace è il discorso teologico più robusto e più serio che oggi si possa fare, perché affonda le sue radici nel cuore del mistero trinitario. Se pace è CONVIVIALITA’ DELLE DIFFERENZE, e se è vero che la Trinità è anche essa ‘convivialità delle differenze’, dobbiamo concludere che ‘pace’ è la definizione più vera del mistero principale della nostra fede, in cui contempliamo tre Persone uguali e distinte che siedono attorno al banchetto dell’unica natura divina. Di qui, il nostro compito storico di “far sedere all’unica tavola i differenti commensali, senza pianificarli, senza uniformizzarli, senza omologarli. Noi, popolo messianico, dobbiamo essere i ministri di questo convito”. Essere RE DELLA PACE vuol dire “rifiutare la schiavitù della guerra, diventare “i tes-

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sitori di rapporti umani limpidi e carichi di tenerezza, non i ragionieri del calcolo e del tornaconto. I ricompositori dei piatti sbilanciati della giustizia, non i garanti del disordine legalizzato. I sarti del mantello del diritto, non gli industriali delle divise militari”. Per essere PROFETI DI PACE occorre imitare Gesù Cristo, profeta di pace. “La scelta nonviolenta di Cristo non solo deve ripercuotersi nella nostra prassi, ma deve anche risuonare sulle nostre labbra. Senza paure. ‘Rimetti la spada nel fodero’ deve essere il principio assiologico supremo di ogni impegno cristiano e di ogni protesta civile. E’ malinconico osservare oggi (se si eccettuano le audaci sortite del Papa, di qualche episcopato e di pochi gruppi) i tentennamenti delle nostre Chiese. Quello della pace sembra un campo minato da mille prudenze, recintato dal filo spinato di infinite circospezioni, protetto da pavidi silenzi. Non ci decidiamo ancora, come popolo profetico, a uscire allo scoperto. Ma se taciamo noi, eredi della profezia di pace del Cristo, chi si assumerà il compito di dire alla terra che, scivolando sui binari che ha imboccato, corre verso l’olocausto? Coraggio miei cari fratelli profeti! Diciamo che ogni guerra è iniqua. Promuoviamo una cultura di pace che attraversi tutta la nostra prassi pastorale. Denunciamo a chiare lettere l’ingiustizia della corsa alle armi. Aiutiamo la


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gente distratta a rendersi conto che lo sterminio per fame di milioni di persone pesa sulla coscienza di tutti. Smilitarizziamo il linguaggio, spesso così intriso di assurde categorie belliche, che dà l’impressione di un agghiacciante bollettino di guerra”. I cristiani, infine, sono MARTIRI DI PACE. “Il tema di Gesù martire della pace trova fondamento nel 2° capitolo della lettera agli Efesini: Egli è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia. Essere come Gesù martiri di pace vuol dire che per la pace dobbiamo salire sulla croce. E si sale sulla croce ogni volta che si contrastano le logiche correnti tributarie degli schemi pagani del profitto. Si sale sulla croce ogni volta che si afferma che la produzione delle armi e il commercio degli strumenti di morte sono una grossa violenza alla giustizia e un attentato gravissimo alla pace: anzi sono già guerra. Si sale sulla croce quando si vuole scendere, dalle sporgenze utopiche, sul terreno delle mediazioni pratiche. Si sale sulla croce ogni volta che si è costretti a ipotizzare alcune scelte per le quali si scatena la sufficienza dei dotti, l’ira dei potenti, lo scandalo dei pii, il compatimento dei superficiali, l’indifferenza della massa. Si sale sulla croce ogni volta che si vuol dare una mano agli ultimi, ai poveri, partendo dal loro angolo prospettico e non dall’osservatorio dei benpensanti e dei garantiti. Si sale sulla croce ogni volta che si è chiamati a quella forma di martirio, straziante e dolcissimo, che si chiama perdono, nel cui oceano vorremmo chiedere al Signore di poter tutti naufragare” 1. LA PACE TRINITARIA, UNA MENSA PROMESSA Per il credente, dunque, la pax de Trinitate va vissuta in tutta la trama civile ed ecclesiale: “come la Chiesa, icona della Trinità, è epifania e primizia del mondo nuovo come Dio lo ha progettato dall’eternità, così la pace sulla terra, icona della vita trinitaria, deve essere epifania e primizia della pace del mondo rinnovato. La Trinità non è solo il mistero principale della nostra fede, ma è anche il principio architettonico della nostra morale. Quella trinitaria, cioè, non è solo una dottrina da contemplare, ma un’etica da vivere. Le stesse parole che servono a definire il mistero principale della nostra fede, ci servono a definire l’anelito supremo del nostro impegno umano. Pace non è la semplice distruzione delle armi. Non è neppure l’equa distribuzione dei pani ai commensali della terra. Pace è mangiare il proprio pane a tavola insieme con i fratelli. La Trinità non è solo un archetipo da riprodurre, ma è una tavola promessa alla quale un giorno avremo la sorte di sederci, all’unica condizione che anche sulla terra ci si alleni a stare insieme con gli altri attorno alla mensa della vita”. Per questo motivo la Trinità è “una storia che ci riguarda. Ed è a partire da essa che va pensata tutta l’esistenza cristiana” 2. È lei a custodire il segreto della pace. Ogni guerra è un’eresia antitrinitaria perché “tutte le guerre, da quelle interiori a quelle stellari, trovano la loro ultima radice nella uniformizzazione dei volti. Nella dissolvenza dei volti. Nella perdita dell’identità personale. Nell’incapacità di guardarsi negli occhi” 3.

Battistella il “fermento che può produrre un movimento di massa capace di cambiare le cose in direzione della vita per tutti”. Nel presentare il suo libro su “Nuovi stili di vita” (1995), Giulio riportava la speranza di don Tonino fusa con il sogno di Isaia: “Il vento mi riporta insieme flebili belati, ululi lontani e riverberi di muggiti. Chissà che non siano l’agnello e il lupo, o la pantera e il capretto, o la mucca e l’orsa che cominciano a fare le prove della convivenza? A Sud l’orizzonte si è schiarito. E sulla curva del cielo risplende l’arcobaleno. Maranathà. Arrivederci Gesù”. Con don Tonino, Giulio era stato a Sarajevo nel dicembre 1992. Anche lui ricordava spesso le parole dell’Arena 1989. “Coraggio! Non dobbiamo tacere, braccati dal timore che venga chiamata “orizzontalismo” la nostra ribellione contro le iniquità che schiacciano i poveri. Gesù Cristo, che scruta i cuori e che non ci stanchiamo di implorare, sa che il nostro amore per gli ultimi coincide con l’amore per lui. Se non abbiamo la forza di dire che le armi non solo non si devono vendere ma neppure costruire, che la nonviolenza attiva è criterio di prassi cristiana, che certe forme di obiezione sono segno di un amore più grande per la città terrena...rimarremo lucignoli fumiganti invece che essere ceri pasquali. Ce lo auguriamo con le parole di Bonhoeffer: vogliamo parlare a questo mondo, e dirgli non una mezza parola, ma una parola intera. Dobbiamo pregare perché questa parola ci sia data. E noi pregheremo. Anzi, è proprio dall’Arena di Verona, in questo splendido vespro di primavera, che vogliamo cominciare la preparazione alla Pentecoste. E invocheremo lo Spirito Santo. Non solo perché rinnovi il volto della terra. Ma anche perché faccia un rogo di tutte le nostre paure” 4.

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TESTIMONI DELLA GIOIA DEL RISORTO Operatori e operatrici di pace possono alimentare il nuovo roveto ardente con gioiosa corresponsabile solidarietà, seguendo le indicazioni proposte da papa Francesco sia nella veglia mondiale di preghiera del 7 settembre 2013, sia nell’esortazione “Evangelii gaudium”, sia nel messaggio del 1 gennaio 2014 (“fraternità, fondamento e via per la pace”): prendersi cura gli uni degli altri, sconfiggere la povertà, modificare modelli di sviluppo e stili di vita, spegnere la guerra, avversare corruzione e mafie, custodire la natura. A Verona sarebbe bello far nascere la commissione diocesana Giustizia e pace e istituire la “diaconia per la pace” auspicata dal Sinodo diocesano. L’avventura è grande e bella. È possibile affontarla con il senso fiducioso del limite dicendo con Giulio Girardello, guida dell’emozionante momento penitenziale durante l’Arena 1993, “Signore, ho appena due mani/ e il sentimento del mondo/ nell’attesa della gestazione/ di un popolo di fratelli/ in cammino nella vigilia del sabato” 5. Per un convito festoso popolato di tanti volti amati. In piedi, davanti al Risorto. Testimoni della gioia del Vangelo di Cristo “nostra pace”. Note 1. 2. 3. 4. 5.

Bello, Convivialità delle differenze, la meridiana, Molfetta 2006, 43-53 Bello, Le mie notti insonni, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996, 30-32, 57-68 Bello, Alla finestra la speranza, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996, 68-69, 72-73 Bello, Le mie notti insonni, 91-100 Giulio A. Girardello, Ho appena due mani e il sentimento del mondo, a cura del Centro Missionario Diocesano di Verona, aprile 2014

IL FUOCO DELLA PROFEZIA La pace, soffio dello Spirito nella polvere della storia, tiene acceso il fuoco della profezia. Per Enzo Melegari, amico di molti fin dalla prima Arena (1986), pace era la presenza nonviolenta di Cristo, la sua “rivoluzione dell’amore”. Per Giulio

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Africa

“RIFUGIATI AFRICANI”: UN PIANETA DIMENTICATO?

I rifugiati africani sono circa 7 milioni e il loro ritorno a casa appare quanto mai improbabile a breve-medio termine

Prime vittime di questo dramma le donne e i bambini di Ugo Piccoli

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a qualche decennio, l’Africa è uno dei Continenti sul quale i fari dell’attualità sono perennemente accesi. Questa focalizzazione mediatica testimonia purtroppo dell’esistenza di tragedie e di crisi a ripetizione anche se in alcuni Paesi si intravvedono segni incoraggianti dopo che la stagione delle democrazie si è instaurata con una certa stabilità. Non mancano però ancora i Paesi dove l’intollerabile povertà delle popolazioni, lo smembramento del tessuto socioeconomico e la spada di damocle di conflitti latenti sempre sul punto di esplodere spingono giovani, donne e bambini a fuggire dalle zone a rischio per trovare fortuna altrove. Se da una parte l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite sta mettendo sul tavolo interessanti programmi di rientro delle popolazioni sfollate, dall’altra stiamo assistendo a un nuovo esodo che tocca anche i Paesi europei, l’Italia in particolare. Il popolo dei rifugiati è in aumento, distinto da quello dei migranti che non rompono mai i legami con i loro Paesi di origine. Il rifugiato scappa da una situazione persecutoria e non sa quando potrà rivedere le verdi colline in cui è nato. Ci sono in Africa rifugiati di terza e quarta generazione ancora ospitati in campi di fortuna! CHI SONO I RIFUGIATI La Convenzione di Ginevra del 1951 parla dei rifugiati come di “ogni persona che, per paura di essere perseguitata a causa della sua etnia, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche si trova fuori dal suo Paese di origine…”. La Convenzione dell’OUA, Organizzazione dell’Unità Africana oggi UA, nel 1969 e nel 1975 ha completato questa definizione aggiungendo che rifugiato è “ogni persona che, a causa di un’aggressione, di un’occupazione straniera o di avvenimenti sconvolgenti gravemente l’ordine pubblico nel suo Paese d’origine o del Paese di cui ha la nazionalità è obbligato a lasciare la propria residenza abituale per cercare rifugio altrove”. Il rifugiato quindi non deve essere confuso con altre categorie di esiliati volontari o involontari, come i fuggitivi, gli emigrati economici, gli apolidi o gli sfollati. Stimati in 280.000 nel 1965, i rifugiati africani oggi sono circa 7 milioni e il problema della loro protezione giuridica si fa ogni giorno più pressante perché circa un terzo dei rifugiati nel mondo sono originari del Continente africano e il loro ritorno a casa appare quanto mai improbabile a breve-medio termine. Messi all’indice da molti Paesi di accoglienza per il loro potenziale destabilizzante, i rifugiati vivono situazioni di estrema fragilità , spesso vittime incapaci di comprendere quello che sta loro succedendo. E OGNI VOLTA RICOMINCIA IL GIRO.... Ogni volta che un cambiamento politico si verifica in Africa, assistiamo a un movimento di popolazioni nei due sensi: i rifugiati di prima tornano a casa e una nuova ondata di perseguitati prende il cammino dell’esilio! Questa situazione deve finire, si dicono ogni volta le autorità riunite in costose tavole rotonde organizzate nei migliori alberghi del mondo, ma aldilà degli ambiziosi programmi che andranno a riempire gli archivi di qualche cancelleria, la situazione non cambia. Prendiamo l’Africa Centrale e la Regione dei Grandi Laghi, per esempio, dove l’HCR per il triennio 2013-2015 ha stilato un rapporto dettagliato per il sostegno dei propri sforzi di normalizzazione. A parole tutto sembra fattibile, ma all’atto pratico nascono pro-

AfricaNews

di Henry Piccoli

SUD-SUDAN EVITARE L’ESTENSIONE DEL CONFLITTO Malgrado la ripresa dei negoziati fra i belligeranti, i combattimenti tra fazioni rivali continuano. Truppe fedeli al Presidente Kiir e forze leali a Riek Machar continuano a confrontarsi e le due principali comunità del paese, Dinka e Nuer, ne sono le prime vittime. Ma anche altre comunità, come i Darfuris originari della regione occidentale del Sudan sono coinvolte. Le Nazioni Unite hanno denunciato in questi giorni un massacro avvenuto a Bentiu dove i ribelli avrebbero ucciso centinaia di persone accusate di essere pro governative. Secondo Seidik Abba, editorialista dell’agenzia di stampa panafricana, il conflitto sta prendendo una piega inquietante perché si sta allargando anche alle zone limitrofe se non addirittura agli Stati vicini, come l’Uganda. “Bisogna aprire nuovi negoziati il più presto possibile – ha dichiarato il giornalista – per evitare una regionalizzazione del conflitto che metterebbe in pericolo la pace e la sicurezza in tutta la regione”. Intanto migliaia di persone hanno scelto la via dell’esilio forzato per sfuggire ai massacri, e i campi profughi organizzati dalla comunità internazionale rischiano di non essere sufficienti per accogliere tutti. A meno di tre anni dal giorno della sua indipendenza, il Sud-Sudan si ritrova in una situazione politica inquietante: i negoziati di pace ripresi a fine aprile non sembrano avanzare e l’accordo di cessate il fuoco firmato a Addis Abeba il 23 gennaio non è mai stato rispettato.

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blemi apparentemente insormontabili. L’RDC è ancora preda di conflitti interni interminabili; il Burundi, il Camerun e l’est della Tanzania soffrono di una stagnazione economica dirompente, la RCA è in preda al caos, idem il Sud-Sudan! Solo in questa regione del mondo a inizio anno 2014 si contavano circa 6,3 milioni di sfollati e rifugiati richiedenti asilo, bisognosi di tutto. Nel biennio 2014-2015 l’HCR continuerà nella sua strategia globale per apportare soluzioni durature alle popolazioni angolane e rwandesi rifugiate in RDC, ma la sfida appare improba perché la situazione è in continuo movimento e se da un lato si assiste a significative operazioni di rimpatrio, dall’altra nuovi afflussi di rifugiati richiedono nuovi interventi e investimenti. Mentre si guarda con ottimismo ai rimpatrii organizzati a favore dei congolesi e dei burundesi provenienti dalla Tanzania, l’HCR è costretta a lanciare appelli supplementari per far fronte a nuove situazioni d’urgenza legate ai disordini in Sud-Sudan, in RCA, mentre i recenti attentati di Nairobi, in un Kenya impantanato nella palude somala, non lasciano intravvedere niente di buono. Servono milioni di dollari, 372 dicono i vertici HCR, di cui metà per i rifugiati esterni, un quarto per la protezione degli sfollati interni e un quarto per i progetti di integrazione. Ma, basteranno senza la volontà politica di affrontare in maniera strutturale le cause di un esodo massiccio le cui prime vittime sono donne e bambini innocenti? C’è da dubitarne!

SUD-SUDAN I BAMBINI PRIME VITTIME DELLA GUERRA I bambini stanno pagando un pesante tributo al conflitto che sta sconvolgendo il Sud-Sudan. Molti trovano la morte negli attacchi, molti altri sono feriti mentre altri ancora sono reclutati dai gruppi armati in guerra. Per non parlare di quei bambini che, testimoni di fatti traumatizzanti, cadono in forme depressive dalle quali difficilmente riescono ad uscire. Il 17 aprile scorso decine di giovani ribelli armati hanno attaccato la base delle truppe Onu a Bor, nello Stato di Jonglei, provocando una sessantina di morti e un centinaio di feriti, tra cui molti bambini. Leila Zerrougui, Rappresentante speciale del Segretario Onu per l’infanzia, si è detta scandalizzata dalla situazione che prevale nella zona: “I bambini continuano a morire. Tutto questo deve cessare”! Le ha fatto eco Betty Gorle, Coordinatrice degli interventi umanitari di emergenza: “I minori vivono in condizioni terribili nei centri dove si raccolgono gli sfollati. Spessissimo sono soli, i padri sono lontani e le madri sono ospitate in altri campi con altri figli, moltissimi sono orfani, accampati sotto gli alberi o in tende di fortuna beneficiando di un accesso precario ai viveri, all’acqua potabile e a tutti i servizi messi in piedi per la loro protezione”. Secondo l’Unicef, sono 250.000 i minori a rischio malnutrizione e almeno 50.000 che non hanno ancora raggiunto i cinque anni rischiano di morire se non sono presi in carico anche da un punto di vista sanitario. I combattimenti ripresi a Bentiu nello Stato di Unity rischia di aggravare ulteriormente una situazione già di per sé esplosiva.


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BRASILE: 50 GIORNI A CONTRO L’IMPUNITÀ Una raccolta di firme contro la Legge dell’Amnistia di Daniela Sangalli

Panoramica

COLOMBIA, TERRA DI RIFUGIATI

mnesty International sta raccogliendo firme per la revisione della Legge dell’Amnistia, approvata nel 1979, con lo scopo di fare finalmente giustizia per i delitti commessi da agenti dello Stato durante il regime militare in Brasile. La campagna, denominata “50 giorni contro l’impunità”, è parte delle attività previste per il 50° anniversario del golpe militare in Brasile. Amnesty International fonda la sua campagna sul fatto che, nella legislazione internazionale, la tortura, l’assassinio, gli stupri, le sparizioni forzate – in un contesto di dittatura – sono delitti di lesa umanità e quindi non soggetti a prescrizione né possono essere amnistiati. Secondo il responsabile di Amnesty Brasile, il Paese deve affrontare il suo passato con giustizia, non solo con memoria e verità. Il lavoro della Commissione Nazionale per la Verità e le iniziative di riparazione a favore delle vittime del regime militare sono molto importanti, ma è necessario anche indagare e responsabilizzare coloro che hanno commesso delitti contro l’umanità. Il golpe iniziò a prendere forma il 28 marzo 1964, quando in Minas Gerais si riunirono i generali Olímpio Mourão Filho e Odílio Denys, insieme a Magalhães Pinto, governatore dello Stato. Il golpe iniziò il 31 marzo e si concluse il 1 aprile 1964, ponendo fine al governo del presidente democraticamente eletto Joao Goulart. I militari favorevoli al colpo di Stato, e in generale i difensori del regime, lo chiamano “Rivoluzione del 1964” e tutti i cinque presidenti militari che si succedettero si sono dichiarati eredi e continuatori della Rivoluzione del 1964. Gli storici brasiliani recenti sono concordi nell’affermare che sia il golpe che la successiva dittatura non devono essere considerati esclusivamente militari, ma piuttosto civili-militari. Infatti ottennero l’appoggio di settori importanti della società: i grandi proprietari terrieri, la borghesia industriale, gran parte della classe media urbana, e il settore conservatore e anticomunista della Chiesa cattolica. Il golpe instaurò un regime autoritario e nazionalista, politicamente allineato agli USA, e segnò l’inizio di un periodo di profondi cambiamenti nell’organizzazione politica e nella vita sociale ed economica del Brasile. Negli anni seguenti ci fu una significativa ripresa dell’economia, con tassi di crescita che giunsero al 10% annuo, con l’ingresso di capitali stranieri, attirati dalla stabilità politica e determinando quello che fu chiamato “il miracolo economico”. Il periodo della dittatura si concluse nel 1984: a seguito di imponenti manifestazioni popolari a Rio de Janeiro e San Paolo il governo militare decise di indire elezioni democratiche. Nel 1985 fu eletto presidente Tancredo Neves, che morì tre mesi dopo, e gli succedette il vicepresidente Josè Sarney. Nel 1989 Fernando Collor de Mello, del Partito di Ricostruzione Nazionale vinse le elezioni presidenziali. Il referendum costituzionale dell’aprile 1993 confermò la scelta del regime presidenziale, proclamato nel 1988.

America Latina

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LUCI E OMBRE DELLA CHIESA DURANTE LA DITTATURA

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HONDURAS L’attivista dei diritti umani Carlos Mejía Orellana, 35 anni, è stato assassinato lo scorso 11 aprile a El Progreso. Mejìa Orellana lavorava per due organizzazioni legate alla Compagnia di Gesù, Eric (Equipo de Reflexión Investigación y Comunicación) e Radio Progreso, realtà che promuovono programmi sui diritti umani. L’Honduras è uno dei paesi con il tasso di omicidi più alto al mondo, con una media di 20 omicidi al giorno.

BOLIVIA Il Tribunale supremo elettorale ha stabilito che il prossimo 12 ottobre si svolgeranno le elezioni presidenziali. Si ritiene che Evo Morales, al potere dal 2006 si candidi per un secondo mandato. Anche se in Bolivia il presidente può essere eletto una sola volta in modo consecutivo, Morales potrebbe candidarsi basandosi su una sentenza del tribunale costituzionale del 2013 che ha stabilito che il suo primo mandato non conta perché iniziò prima dell’entrata in vigore della nuova costituzione del 2009.

AmericaLatinaNews

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o scorso marzo in Argentina, con la partecipazione dell’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i Rifugiati (ACNUR) c’è stata l’apertura ufficiale delle Consulte nel quadro del 30° anniversario della Dichiarazione di Cartagena sui Rifugiati: i governi dell’America latina e dei paesi caraibici, insieme a funzionari dell’ACNUR e rappresentanti della società civile hanno riflettuto sui progressi realizzati e sulle sfide nella protezione delle persone rifugiate, richiedenti asilo e senza patria. La Dichiarazione di Cartagena del 1984 è stata redatta nel contesto dei conflitti in America Centrale ed è uno strumento non vincolante che si fonda sulla pratica solidale della regione di concedere asilo alle persone che hanno bisogno di protezione. Secondo la dichiarazione, il concetto di rifugiato comprende “le persone che sono fuggite dai loro paesi perché la loto vita, sicurezza o libertà, sono state minacciate dalla violenza generalizzata, dall’aggressione straniera, dai conflitti interni, dalla violazione massiccia dei diritti umani o da altre circostanze che hanno perturbato gravemente l’ordine pubblico”. Il processo delle riunioni “Cartagena +30” comprende una serie di riunioni sub regionali, che si svolgeranno nelle regioni Andina, Mesoamericana, Caraibica nel corso del 2014. La conclusione avverrà nel dicembre 2014 a Brasilia, con la presentazione di un Piano di Azione per migliorare la protezione di rifugiati, richiedenti asilo e apolidi. Ogni anno il 20 giugno si celebra la Giornata Internazionale del Rifugiato, per ricordare gli oltre 45 milioni di persone che sono costretti a scappare dal proprio paese a causa di guerre o persecuzioni. Secondo ACNUR attualmente ci sono più rifugiati e sfollati interni che in qualsiasi periodo dal 1994. In America Latina, l’Ecuador è il paese con il maggior numero di rifugiati, circa 56.000, provenienti principalmente (99%) dalla Colombia. La Colombia è uno dei paesi con il più alto numero di sfollati del mondo: dal 1997 sarebbero circa quattro milioni.

a Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile ha riconosciuto che alcuni dei suoi membri appoggiarono la dittatura militare che resse il Paese tra il 1964 e il 1985, con l’intenzione di combattere il comunismo. In un comunicato, reso pubblico il 1° aprile in occasione del 50° anniversario del golpe militare, la CNBB sostiene che il golpe portò il Paese a vivere uno dei periodi più bui della storia, e lo trasformò in una nazione di “dolore e lacrime”, con l’instaurarsi di una spirale di violenza, con la limitazione della libertà di espressione, la pratica della tortura, la censura nella stampa e la limitazione dei partiti politici. Nel documento, i vescovi affermano anche che la Chiesa brasiliana non rimase in silenzio nei confronti della dittatura quando si rese conto che i metodi usati da coloro che erano al potere non rispettavano la dignità delle persone e i loro diritti. La Chiesa brasiliana riafferma il suo impegno per la democrazia partecipativa e la giustizia sociale per tutti e invita la società brasiliana a essere protagonista di una nuova storia, libera dalla paura e salda nella speranza.

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Asia

SIRIA: 3 ANNI DI GUERRA E 3 MILIONI DI PROFUGHI È emergenza umanitaria nei campi in Libano, Turchia e Giordania

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niziata nel marzo 2011, sulla scia della “primavera araba”, con una sollevazione di popolo pacifica contro il regime di Bachar al-Assad, la rivolta siriana è diventata velocemente una guerra civile dai risultati devastanti. Secondo la Croce Rossa Internazionale, in 3 anni si contano oltre 150mila morti, mezzo milione di feriti, 17 mila persone scomparse e decine di migliaia quelle rinchiuse nelle carceri del regime di Damasco. Secondo le Nazioni Unite il 40% degli ospedali è andato distrutto, e un altro 20% funziona parzialmente. Alla drammatica situazione dei minori e delle donne nelle aree di conflitto, si sommano gli sfollati interni e soprattutto 3 milioni di profughi, molti dei quali ammassati in campi appena fuori dai confini siriani. A sentire maggiormente la pressione dei rifugiati sono soprattutto Libano, Turchia e Giordania; in base alle ultime stime, nel solo Libano ci sarebbero attualmente più di un milione di siriani in cerca di accoglienza, una situazione che l’Onu definisce senza mezzi termini una vera e propria “emergenza umanitaria”. Secondo l’Alto commissariato Onu per i diritti umani (Unhchr) i rifugiati siriani oggi sono ormai un quarto della popolazione libanese, con oltre 220 rifugiati per ogni mille abitanti; per l’Unhcr il Libano è divenuto “la prima nazione al mondo per numero di rifugiati pro-capite”. Il sacerdote Paul Karam, presidente di Caritas Libano, dice che questi dati sono sottostimati, e che i rifugiati siriani rappresentano ormai il 30% della popolazione su territorio libanese. Particolarmente delicata è la posizione dei minori. Attualmente rappresentano circa la metà dell’intera comunità di rifugiati siriani; secondo l’Unicef, il numero di minori in età scolare ha raggiunto il numero di studenti libanesi: 400mila. Tra questi, 100mila sono stati già accolti nelle scuole anche se il Libano da solo potrebbe non essere in grado di accogliere gli altri. Le conseguenze del conflitto siriano sul Libano non si limitano a questo: Beirut sta vivendo una forte crisi economica di riflesso, anche per il calo degli investimenti esteri e del flusso di turisti. A queste perdite si somma una maggior spesa pubblica, legata anche alle attività di accoglienza; la Banca mondiale teme che, entro la fine dell’anno, almeno 170mila libanesi possano cadere nella povertà. La complessa guerra siriana ha ripercussioni anche sulla vita politica libanese: il partito militante sciita degli Hezbollah, è un alleato del presidente Bashar Assad e combatte al fianco dell’esercito regolare siriano contro i ribelli sunniti. A causa di ciò vi è soprattutto nelle periferie di Beirut e a Tripoli, scontri, attentati e violenze fra sunniti e sciiti libanesi.

AsiaNews CAMBOGIA LAND GRABBING IN CAMBOGIA In meno di 15 anni in Cambogia società agro-alimentari si sono appropriate di 2 milioni di ettari di terreno, sfrattando 770mila persone con la complicità delle istituzioni. Si tratta di circa il 6% della popolazione, soprattutto poveri di aree rurali ed urbane, e si ritrovano indifesi e senza tutele se decidono di contrastare gli sfratti. Nel 2012 grandi manifestazioni hanno costretto il governo a congelare nuove concessioni, e da allora le controversie legali da parte dei cittadini sono aumentate di oltre il 50%, per ora, però, senza portare a grandi risultati.

PAKISTAN NUOVA CAMPAGNA PER ASIA BIBI Il “Pakistan Christian Congress” ha lanciato una nuova campagna internazionale per il rilascio di Asia Bibi, la donna cattolica condannata a morte per blasfemia in Pakistan. L’obiettivo è depositare petizioni al Congresso degli Stati Uniti, all’Unione Europea, al Consiglio Onu per i Diritti Umani, a Ong come Amnesty International e Human Right Watch, per fare pressione sul governo del Pakistan per abrogare la legge sulla blasfemia e rilasciare Asia Bibi, condannata a morte nel 2009 e il processo di appello è in corso davanti all’Alta Corte di Lahore.

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Secondo la Croce Rossa Internazionale, in 3 anni si contano oltre 150mila morti, mezzo milione di feriti, 17 mila persone scomparse e decine di migliaia rinchiuse nelle carceri del regime di Damasco

Panoramica

I VIAGGI DEI PROFUGHI IN ASIA All’Afghanistan il primato di Paese con il maggior numero di rifugiati al mondo

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a oltre 30 anni è l’Afghanistan il Paese al primo posto per maggior numero di rifugiati: quelli partiti da questo paese sono il 25% di profughi nel mondo, e sono ospitati in 82 diverse nazioni. La maggior parte di loro vive nei campi profughi in Pakistan e in Iran. Un’altra realtà denunciata dall’Onu più volte e con forza, è quella dei profughi nordcoreani: nonostante rischi sempre più gravi, aumenta nel 2014 il numero di persone in fuga dal regime della Corea del Nord. Nel primo trimestre dell’anno in corso 360 cittadini del Nord hanno chiesto asilo politico al Sud. Chi sceglie di fuggire corrono un rischio altissimo: sono costretti a passare dalla Cina, perché il confine con il Sud è altamente militarizzato. Ma se arrestati, in base agli accordi tra Pechino e Pyongyang, vengono rimpatriati e rischiano la pena di morte o i lavori forzati per “tradimento della patria”. Anche la realtà dei profughi tibetani in Nepal è stata più volte denunciata: i tibetani affermano di essere discriminati dalla polizia locale, a differenza dei profughi di altri Paesi. I rifugiati tibetani in Nepal sono circa 22mila, concentrati soprattutto nella capitale. La pressione nei loro confronti si è inasprita negli ultimi 5 anni, con il crescere dell’influenza cinese su Kathmandu. Le situazione gravi sono molte, alcune decisamente poco note, come quella dei rifugiati, soprattutto asiatici, sull’isola di Manus, in Papua Nuova Guinea, dove sorge un centro detentivo gestito da una compagnia privata e fatto costruire dall’Australia nel 2012. A marzo, i profughi accolti erano 1.296, tutti uomini: iraniani (553), hazari dall’Afghanistan (134), dal Pakistan (104), dall’Iraq (94), e ancora da Sudan, Somalia, Bangladesh, Myanmar, Libano, Sri Lanka e Siria. Molti di loro sono arrivati attraversando paesi ostili verso i rifugiati come Thailandia, Malesia e Indonesia, per sbarcare in Australia: il mare che la divide dall’Asia sud-orientale è, infatti, una delle tre “frontiere” di ingresso nel “mondo ricco”, come il Mediterraneo e il confine tra Usa e Messico. Nell’agosto 2013, l’Australia, dove dal 1992 è in vigore la detenzione obbligatoria per tutti i “non-cittadini illegali”, ha firmato un accordo con il debole Governo della Papua Nuova Guinea: in cambio di aiuti economici per le infrastrutture, l’accoglienza dei rifugiati che entrano illegalmente in Australia è affidata a Papua, che deve esaminare la loro situazione e decidere se rimpatriarli o eventualmente inserirli nel locale programma di assistenza per chi ha ottenuto l’asilo politico, ad oggi praticamente inesistente. Il 90% dei rinchiusi di Manus ha diritto all’asilo, ma le condizioni di vita nel centro sono drammatiche, sia in termini di servizi che di igiene: Amnesty International ha raccolto le denunce di abusi e di violenze degli ospiti, rinchiusi ormai da mesi senza risposte sul loro status.


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LA MISSIONE RINNOVA LA CHIESA

Il flusso senza fine dei rifugiati soprattutto africani e mediorientali verso il Vecchio Continente

Il Mediterraneo è diventato un vero e proprio cimitero fluttuante per decine di migliaia di migranti imbarcati sulle coste nordafricane, diretti a un qualsiasi approdo purché sia Europa, come terra di salvezza, di libertà, di pace, di giustizia, di dignità e di lavoro

Europa

DESTINAZIONE FINALE: EUROPA

n.6 - giugno 2014

di Beppe Magri

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el 2012 impazzava sul web un videoclip prodotto da un gruppo di studenti universitari africani legati alla Norvegia, che raggiunse addirittura la classifica dei top ten dei più cliccati di quell’anno su Youtube, con ben 2 milioni di contatti. Il video musicale dal titolo “Africa for Norway” (L’Africa per la Norvegia) è una parodia che denuncia in modo divertente lo stereotipo di un’Africa bisognosa di ogni cosa. Il testo della canzone riprodotta nel video e le immagini propongono, infatti, una raccolta in Africa di termosifoni elettrici da mandare come aiuto alla popolazione norvegese colpita dal gelo polare. Sarà davvero questo il modello di sviluppo e di solidarietà internazionale che i paesi economicamente più avanzati stanno esportando nel “mondo povero”? A giudicare dalle masse migratorie che in particolare dall’Africa e dal Medio Oriente si muovono verso l’Europa, non sembra si sia (già) arrivati a una tale aberrazione, dove gli africani sono vittime del buonismo paternalista e arrogante del “mondo ricco”. Il paradosso di un’Africa che, mettendo a disposizione i propri mezzi di riscaldamento, corre in soccorso di un Paese europeo soggetto a mortali ondate di gelo, riflette in modo lampante l’attualità di una cooperazione internazionale promossa dai paesi ricchi sulla base di criteri di affermazione della propria superiorità culturale, tecnologica, economica e, naturalmente, militare. Ma che ne sarà dell’impegno solidale delle future generazioni europee, cresciute all’ombra delle gigantografie che ritraggono il “povero africano” destinato a soffrire a causa della fame e della guerra? In continua successione, le organizzazioni umanitarie internazionali e molte Ong si sono specializzate nell’attivare campagne di raccolta fondi sempre più aggressive sul piano comunicativo. Sono capaci di stimolare l’emotività filantropica con la stessa rapidità con cui rischiano di condurre l’opinione pubblica verso l’indifferenza, davanti alle immani tragedie che colpiscono il Continente africano. Quando i nuovi assetti economici e finanziari, determinati da una crescita annuale costantemente attestata attorno ai 10 punti percentuali, faranno entrare a pieno titolo l’Africa nella stanza dei bottoni dove vengono prese le decisioni strategiche a livello globale, allora forse quella realtà potrà trovare forme diverse e magari più veritiere ed oneste di narrazione. NEL 2013 50.000 SIRIANI… Non sarà facile in futuro, e già ora risulta quasi impossibile, contenere le migrazioni dei milioni di africani, mediorientali e asiatici che cercano in Europa, per varie ragioni, una opportunità di vita diversa da quella che il paese di origine è in grado di offrire loro. Sebbene l’Europa stia inesorabilmente scendendo dal podio degli interessi un tempo egemonici sul piano commerciale e politico in Africa, oggi a facile vantaggio in particolare di Cina e India, ragioni non solo legate alla vicinanza geografica, conducono ogni anno centinaia di migliaia di migranti soprattutto africani e mediorientali ad affacciarsi alle frontiere meridionali del Vecchio Continente ed in particolare dell’Italia. Molti di loro, in prevalenza giovani, donne e bambini, provengono da paesi in guerra (nel 2013 in Europa sono stati oltre 33.000 i richiedenti asilo provenienti dal Corno d’Africa, e più di 50.000 quelli dalla Siria) e lo testimoniano le nazionalità dei profughi che sbarcano sulla piccola isola dal grande cuore, di Lampedusa.

L’OPERAZIONE MARE NOSTRUM Il Mediterraneo è diventato un vero e proprio cimitero fluttuante per decine di migliaia di migranti imbarcati sulle coste nordafricane, diretti a un qualsiasi approdo purché sia Europa, come terra di salvezza, di libertà, di pace, di giustizia, di dignità e di lavoro. Dalla fine del 2013, dopo il naufragio che in prossimità di Lampedusa causò 366 vittime della… «globalizzazione dell’indifferenza», l’Italia ha avviato una operazione umanitaria chiamata Mare nostrum, per il pattugliamento del Mediterraneo con mezzi della Marina militare, dalle coste libiche fino a Malta e la Sicilia. L’iniziativa italiana è coordinata a livello europeo nell’ambito del Frontex, l‘Agenzia europea con sede a Varsavia, che dal 2005 si occupa delle relazioni in materia di immigrazione con i paesi confinanti con l’Unione Europea, e di Eurosur, il sistema europeo di sorveglianza delle frontiere istituito a fine ottobre 2013. Le funzioni fondamentali di Mare nostrum sono quelle di prestare aiuto nel caso di naufragi e di contrastare l’immigrazione irregolare verso l’Europa, agendo con maggiore efficacia nella repressione del traffico di esseri umani e nel riconoscimento dello stato di rifugiato, mediante l’attivazione di più rapide procedure di identificazione realizzabili già dalle prime fasi successive al soccorso in mare. È un’iniziativa umanitaria che, a detta della stessa Fondazione Migrantes della CEI, deve «Anzitutto, non smobilitare, ma continuare…» perché «ha permesso di presidiare il Mediterraneo, salvando centinaia di famiglie e persone e, al tempo stesso, di controllare e catturare scafisti e trafficanti di esseri umani». Non mancano però, a questo riguardo, anche le perplessità, come quelle motivate dal Comitato antirazzista di Palermo, che evidenzia la complessità di una situazione sempre più ramificata di intrighi politici ed interessi economici nei paesi sia di provenienza che di transito dei profughi diretti in Europa. Stando ai criteri fissati dalla Carta di Lampedusa, queste persone dovrebbero essere assistite a partire direttamente dalle zone di conflitto da cui provengono, in modo da non lasciarli cadere nella rete criminale del traffico di esseri umani. Da parte sua l’Italia, nell’ambito dell’accoglienza dei rifugiati, ha dato vita al progetto SPRAR che coordina 8000 comuni e che, sempre secondo la Fondazione Migrantes, dovrebbe far diventare l’accoglienza «progetto politico, per rinnovare le nostre comunità a partire dai giovani migranti». L’impegno di un singolo paese può, però, dare risultati efficaci e duraturi solamente se viene sostenuto dal convinto coinvolgimento di tutta l’Unione Europea. Tutti insieme i paesi della UE devono mettere in campo adeguate risorse economiche e fornire il necessario supporto politico, istituzionale e giuridico, affinché la valorizzazione delle ricchezze storiche e naturali del Mediterraneo, che da millenni hanno forgiato la civiltà e le culture dell’intera Europa, si manifesti nella sollecitudine all’accoglienza e non nelle sterili e strumentali polemiche di stampo xenofobo e razzista, capaci forse di fare la fortuna politica di qualcuno, ma non certo il bene di un’Europa la cui società civile è davvero unita dalla bellezza delle sue sempre mutevoli diversità.

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LA MISSIONE RINNOVA LA CHIESA

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n.6 - giugno 2014

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Antonio Spadaro Il disegno di papa Francesco. Il volto futuro della Chiesa Bologna – EMI – 2013 Nato da un’intervista che è più un dialogo profondo e un’ampia riflessione sulla 28° Giornata della Gioventù a Rio de Janeiro, questo libro offre un ritratto di quella che è, in divenire, la Chiesa che papa Francesco sta gradualmente rinnovando.

on la nomina del Cardinale Bergoglio a vescovo di Roma, il contributo che la missione può dare al cambiamento ecclesiale ha fatto un passo significativo: da contributo “dal basso” che nasce da vite e testimonianze missionarie, come riportato nel primo libro proposto, si è passati al rinnovamento radicale portato avanti da papa Francesco. Il papa latinoamericano, dal “vertice”, propone un “nuovo” eppure “antico” modo di essere chiesa, nello stesso stile testimoniato dalle meditazioni pasquali del Cardinale filippino Mons. Tagle. In occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato rispolveriamo un vecchio libro sugli sfollati ambientali e presentiamo il dossier 2013 sull’immigrazione in Italia che descrive in modo analitico il difficile processo di integrazione in terra straniera.

Marina Forti La Signora di Narmada. Le lotte degli sfollati ambientali nel Sud del mondo Milano – Feltrinelli – 2004 Attraverso il racconto di venticinque casi, questo libro disegna la realtà degli sfollati ambientali e gli intrecci economico-politici-sociali che nel mondo affliggono milioni di persone.

A cura di Fernando Zolli Essere missione oggi. Verso un nuovo immaginario missionario Bologna – EMI – 2012 Mobilità umana, legge del mercato, questione socio-ambientale sono tra i principali segni dei tempi che sfidano i missionari ad adottare nuovi linguaggi, a pro-vocare le comunità ecclesiali a cercare nuovi paradigmi che non siano più quelli coloniali e piramidali. Il testo raccoglie i contributi di alcuni/e comboniani/e che si sono lasciati interrogare dai segni dei tempi e dalla prassi missionaria di Gesù storico per allargare la riflessione su un annuncio e testimonianza efficaci per il mondo odierno. Luis Antonio Gokim Tagle Gente di Pasqua. La comunità cristiana, profezia di speranza Bologna – EMI – 2013 Nelle parole dell’arcivescovo di Manila risuona la freschezza di una Chiesa relativamente giovane, non appesantita dalla stanchezza che affligge il mondo di antica tradizione cristiana, che può indicare piste di conversione e di ripresa vigorosa del cammino di sequela. Il libro raccoglie una serie di meditazioni pasquali che, con linguaggio semplice e profondo e con rimandi all’esperienza quotidiana, indicano il volto di una Chiesa aperta alla speranza.

A cura del Centro Studi e Ricerche IDOS Immigrazione Dossier Statistico 2013. Rapporto UNAR dalle discriminazioni ai diritti Roma – IDOS – 2013 La raccolta di dati statistici sulla presenza di immigrati in Italia, in questo dossier è affiancata dall’analisi e dall’individuazione delle discriminazioni razziste, elaborate dall’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali. Tutto il materiale segnalato è disponibile al prestito presso il “Cedor” - Centro di documentazione della Fondazione Cum

L’opinione

In libreria

TODOS CABALLEROS

A

vevo scritto pochi numeri fa che la vanità sembrava aver invaso il mondo ecclesiastico, portando molti alla ricerca di titoli tanto vanitosi quanto inutili. Manìa alla quale pareva aver posto un freno papa Francesco: almeno così continua a dire. Ma ignoro se riuscirà davvero a farlo. Ora leggo su un giornale una statistica interessante, dove si ricordano i numeri di onorificenze concesse da alcuni presidenti della Repubblica a cittadini meritevoli. Già il titolo di quel servizio è significativo: Più medaglie per tutti. Un popolo di commendatori. Ed ecco alcuni dati, per chi non li conosce: Luigi Einaudi, presidente dal 1948 al 1955, ha concesso 3.716 onorificenze; Pertini, presidente dal 1978 al 1985, ne ha concesse 23.608; Scalfaro, presidente dal 1992 al 1999, ha stabilito un record: 83.628 onorificenze. Infine Napolitano, nel primo settennato, cioè dal 2006 al 2013: 51.709 onorificenze. I titoli sono i più diversi: Commendatori, Cavalieri di Gran Croce e Cavalieri semplici, Grandi Ufficiali, ecc. Il settore più interessante è quello dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana, un titolo che si dà a chi ha acquisito benemerenze verso la Nazione. Nell’elenco, figura un po’ di tutto: spiccano le collaboratrici del presidente della Repubblica, dette anche segretarie. A conti fatti, diventa molto più interessante non avere titoli, poiché si accede a un elenco molto breve. E soprattutto, si ha il pregio di restare persone normali. Tutto questo però fa riflettere. Siamo sempre più un paese di frustrati, scontenti di quello che siamo e alla continua ricerca di una gratificazione che dia qualche importanza. Ma tale prassi farà sì che ci siano altrettante persone (altri frustrati) che finiscono per credere di non avere alcun merito, visto che non hanno ricevuto nulla che lo certifichi. Leggendo però quelle cifre, mi sono sentito in colpa: ho scritto un articolo per irridere quei preti che aspirano al monsignorato, senza pensare a quanto dice il Vangelo: hai già ricevuto la tua ricompensa... e poi scopro che statisticamente sono molti di più quei laici che ritengono di avere ben meritato dal paese, e ne chiedono pubblica conferma da un patacca da attaccare alla giacca. Mentre mi scuso con i monsignori, avanzo una timida proposta: si dia un titoletto, che so, un cavalierato, ad Adamo ed Eva, grazie ai quali abbiamo avuto il grande regalo che il Padre ci ha fatto, di mandarci un Salvatore (cito qui S. Agostino, che scrive “o felix culpa” con quel che segue). Ci hanno fatto un grande regalo, e sono davvero meritevoli nei confronti non di qualcuno, ma di tutta l’umanità. Se poi veniamo a sapere che Eva è morta prima del suo sposo, possiamo anche fare cavaliere, e poi monsignore, e magari un giorno cardinale, lo stesso Adamo. Quale onore sarebbe avere un bisnonno cardinale. Concludo male: ma siamo ormai a un livello tale di idiozia, da trastullarci con queste cose?

RINNOVA IL TUO CONTRIBUTO: LEGGI E DIFFONDI NOTICUM Noticum è un’iniziativa editoriale con la quale il CUM vuole raccontare mensilmente al pubblico italiano la missione, i missionari italiani, la vita del CUM. Attraverso Noticum il Centro Unitario Missionario vuole aiutare anche economicamente i bisogni dei missionari italiani e stranieri che entrano in contatto con questo centro di formazione della Chiesa italiana. Noticum si regge unicamente sulle offerte dei suoi lettori. Noticum viene spedito solo a chi, durante l’anno, invia un’offerta. Se non l’hai già fatto, ti invitiamo a usare il conto corrente allegato per inviare un’offerta a sostegno di Noticum per il 2014 e delle iniziative del CUM a favore dei missionari.

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di Maurilio Guasco

Periodico di formazione sulla missione universale e di informazione sulle realtà del sud del mondo Edito dalla Fondazione Cum - Centro Unitario per la cooperazione Missionaria tra le chiese promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana Direttore responsabile Francesco Ceriotti Direttore Crescenzio Moretti Comitato di Redazione Paolo Annechini, Amedeo Cristino, Giandomenico Tamiozzo, Ugo Piccoli, Beppe Magri

Segreteria CInzia Inguanta Redazione e direzione Lungadige Attiraglio, 45 - 37124 Verona Tel. 045 / 8900329 - Fax 045 / 8903199 www.fondazionecum.it e-mail: noticum@fondazionecum.it Impaginazione Francesca Mauli Stampa Stimmgraf - Verona Autorizzazione Tribunale di Verona: N° 1319 del 7/5/1998 Tiratura: 5.000 copie c.c.p.: 18641373


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