NotiCum n. 7/8 - 2014

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NotiCum IL VOLTO DELLA MISSIONE

Periodico edito da Fondazione CUM - Lungadige Attiraglio, 45 - Poste Italiane spa - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Verona In caso di mancato recapito rinviare all’ufficio postale di Verona, detentore del conto, per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa - Taxe perçue

ANNO 52 - n. 7/8 - LUGLIO/AGOSTO 2014

RINNOVARE LA MISSIONE editoriale di Crescenzio Moretti

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a missione è nel cuore di Papa Francesco. I suoi interventi hanno sempre un grande respiro missionario. In un recente intervento ha detto: «Evangelizzare è la missione della Chiesa, non solo di alcuni, ma la mia, la tua, la nostra missione. Ognuno deve essere evangelizzatore, soprattutto con la vita!». Ne siamo felici perché, si licet parvis componere magnis, è l’assillo costante di tutti i missionari. Ci entusiasma l’esortazione Evangelii Gaudium densa di spirito missionario. A chi, come me, ha vissuto il servizio missionario in America Latina negli anni caldi del dopo concilio, sembra sia la chiesa di Medellin, di Puebla, di Aparecida che, dopo anni di quasi ostracismo, con l’autorevole avallo del Papa latinoamericano, indica a tutta la Chiesa le strade della missione. Il mondo oggi è molto diverso dal mondo di mezzo secolo fa. Sono cambiati i destinatari e le situazioni. I missionari, le comunità cristiane, che vantano una bella storia missionaria, sentono che il loro impegno missionario ha bisogno di rinnovarsi. Lo chiede, con insistenza, il Papa Francesco.: «È urgente trovare nuove forme e nuove vie per-

ché la grazia di Dio possa toccare il cuore di ogni uomo e di ogni donna e portarli a Lui … Ci sono tanti popoli che non hanno ancora conosciuto e incontrato Cristo … Abbiamo ricevuto il dono della fede non per tenerla nascosta, ma per diffonderla, perché possa illuminare il cammino di tanti fratelli e sorelle. Noi tutti ne siamo semplici, ma importanti strumenti». Tra gli innumerevoli interventi di Papa Francesco ci sono parole che indicano le strade di una nuova, aggiornata evangelizzazione. - Uscire. È un’indicazione cara al Papa: «Usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo, ...preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita». - Audaci e creativi. Alla domanda: «Siamo coraggiosi per andare per le nuove strade che la novità di Dio ci offre, o ci

difendiamo, chiusi in strutture caduche che hanno perso la capacità di accoglienza?» Risponde decisamente: «Audaci e creativi nel ripensare gli obbiettivi, lo stile e i metodi evangelizzatori». - Gioia di evangelizzare. Papa Francesco lo dice con le parole e coi gesti: «Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza, ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradii fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo, e accettino di mettere in gioco la propria vita affinché il Regno sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo». - Misericordia, tenerezza. Sono gli atteggiamenti preferiti di Papa Francesco: «Serve una Chiesa capace di riscoprire le viscere materne della misericordia. Senza la misericordia – afferma Papa Francesco - c’è poco da fare oggi per inserirsi in un mondo di ‘feriti’, che hanno bisogno di comprensione, di perdono, di amore». >> prosegue a pag. 2


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RINNOVARE LA MISSIONE

n.7/8 - 2014

primo piano

QUANDO LA MISSIONE È VITA!

Yagoua, Camerun, giugno 2014

UNA DECISIONE NELL’ARIA DA TEMPO È stata una decisione che era nell’aria da tempo e questo ha creato un continuo movimento, a mio parere anche nella comunità dove vivo, ma soprattutto in me. In realtà non è mai stato semplice, dall’arrivo, leggere la strada del Signore in questa missione dove sono stata inviata, e ultimamente ho avuto bisogno di tanto silenzio e l’aiuto di qualche buona guida per cercarvi le vere indicazioni. Per ciascuno di noi ALPini è stata proposta una soluzione di rientro diversa. A me era stato proposto di rimanere fino a luglio. Avevo accettato. Durante agosto sarei stata contenta di passare a visitare alcune comunità qui in Camerun, dandomi inoltre dello spazio per verificare se davvero il tempo qui fosse finito per me... e quindi eventualmente ripartire in direzione Italia! Insieme con p. Piergiorgio abbiamo però rimesso in discussione la mia permanenza a Yagoua e ho deciso di rimanervi ancora, ma solo per giugno. Decisione provvidenziale: il mio visto scadrà a fine luglio... e ancora non ne è stato accettato il rinnovo; probabilmente per i soliti motivi di insicurezza. Questo mese di luglio, che sarà allora probabilmente l’ultimo, lo potrò destinare alle visite che avevo pianificato per agosto. Non vi nascondo che non è facile accettare un rientro così.

ari amici! Vi scrivo “collettivamente”, ma vorrei avere tempo di parlare a ciascuno, soprattutto a chi mi ha scritto e non ho ancora risposto. Le vostre lettere mi sono da vero “cibo” e scusatemi se ultimamente ho molto “mangiato” e poco “passato il piatto”. La corrente è ritornata oggi dopo una settimana di quasi totale assenza, e anche io sono stata fisicamente out per un bel po’.... ho passato del buon tempo a letto, dell’altro a riposo totale, dell’altro infine per riprendermi completamente a Touloum, accudita come una nipotina da p. Piergiorgio. La sera mi spiegava dove si trovano le stelle dello Scorpione, oppure parlavamo di Charles de Faucauld o della missione, misuravamo i millimetri di pioggia... niente archibugi tecnologici insomma. Ma non sono solo questi i veri motivi del lungo silenzio: in seguito alla situazione di insicurezza che si è creata in questa regione del Camerun, il PIME e l’ALP hanno deciso di fare rimpatriare noi ultimi arrivati.

HO TOCCATO CON MANO QUESTA TERRA Ho visto e toccato con mano come questa terra e la missione abbiano iniziato a parlarmi... Addirittura nell’assurdo di avere toccato aspetti di missione che mi sono meno consoni... mentre ho potuto vedere solo da lontano le sensibilità a me più vicine. Ho iniziato ad imparare la lingua fulbé con un progresso che non mi aspettavo e senza che ce ne fossero molto le condizioni. Ho imparato a salire in moto con il pagne! Ho iniziato ad intuire alcuni aspetti della mentalità, della specifica profondità dell’essere umano di qui, della cultura, dei problemi, delle risorse, delle bellezze, degli inganni nella sabbia, di... Appena iniziato. Tutto questo mi sembra un filo tagliato, una parola interrotta a metà. Questa è la mia impressione. Ma Chi ha iniziato quella parola, se desidera finirla qui in Camerun, me ne darà segno e occasione. Voglio essere pronta a coglierla, e non è semplice discernere come sostare sul filo, tra il non preoccuparsi ma occupandosi. Significa sapere chiedere o tacere al momento

La testimonianza “cuore in mano” di Francesca, missionaria laica del PIME. Deve rientrare, per il momento difficile del Camerun, ma che fatica! …“lasciando che sia poi il Signore a costruire ciò che davvero ha in serbo per me” di Francesca Spina

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<< dalla prima pagina - Partire dai poveri. Fin dalla sua elezione, papa Francesco ha sostenuto l’opzione per i poveri come via concreta per proclamare l’amore di Dio nel mondo di oggi e attrarre verso il Vangelo. «La fraternità e la solidarietà universale sono connaturali alla vita e alla missione nel mondo e per il mondo». Da qui il compito dell’evangelizzazione, che deve raggiungere tutti, ma che «è chiamata tuttavia a partire dagli ultimi, dai poveri, da quelli che hanno le spalle piegate e sotto il peso e la fatica della vita». La Chiesa è il popolo delle beatitudini, la casa dei poveri, degli afflitti, degli esclusi e dei perseguitati, di coloro che hanno fame e sete di giustizia. - Contemplazione. Agli evangelizzatori il Papa dice: «Bisogna sempre partire dalla preghiera, che è un chiedere, come gli Apostoli nel Cenacolo, il fuoco dello Spirito

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editoriale Santo. Solo il rapporto fedele e intenso con Dio permette di uscire dalle proprie chiusure e annunciare con parresia il Vangelo. Senza la preghiera il nostro agire diventa vuoto e il nostro annunciare non ha anima, e non è animato dallo Spirito». Lascio per un’altra occasione parole come dialogo, multiculturalità. L’Affanno missionario del Papa lo è anche dei vescovi dell’America Latina. Concludendo la loro Assemblea di Aparecida affermano: “Dobbiamo andare verso le persone, le famiglie, le comunità, i popoli per comunicare, condividere con tutti il dono dell’incontro con Cristo, che ha riempito le nostre vite di senso, di verità, di amore, di gioia di speranza. Non possiamo rimanere tranquilli dentro le nostre chiese, urge invece correre in tutte le direzioni per proclamare che il male e la morte non hanno l’ultima parola, che l’amore è più forte”.


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RINNOVARE LA MISSIONE

opportuno, lasciando che sia poi il Signore a costruire ciò che davvero ha in serbo per me. Solo Lui sa quale è la cosa più bella... Il mio desiderio è finire bene il lavoro assegnato. Ma ancora di più far fiorire in questo giugno lo svuotamento e l’abbandono confidente. Approfondire lo sguardo sui miei desideri, ma accogliere quello che sarà di me e sentirvi la gioia del Signore. Ancora di più forse in realtà sarebbe non pensare a me, a come e dove potrò continuare il cammino della missione, ma farlo e basta, già adesso, anche solo per un mese. JULES Oggi mi sono incontrata di nuovo con Jules, un ragazzo che ha vissuto in strada fino a pochissimi anni fa e che ora è il ragazzo dei polli; passa la giornata nel pollaio, da solo, anche la notte. Ogni tanto esce in città, ma questo è quanto. Spesso ci troviamo e lo ascolto, oppure gli parlo io; non è molto ben considerato qua in giro, ma a me pare invece di una ricchezza disarmante. Ultimamente gli ho prestato da leggere “il Piccolo Principe” e mi ha tirato fuori da quel libro delle cose incredibili....ultima delle quali, col suo candore “vorrei sapere se tu mi puoi aiutare a capire quali sono le cose belle che io desidero per la mia vita.” Un macigno; o l’evidenza dei miracoli che il Signore fa con il nostro poco...? (il mio e il suo). Oppure “Sai, al pollaio ho una Bibbia, ogni tanto cerco di leggerla. Devo dire che non capisco tutto, tante cose sono proprio difficili e non le capisco. Però quando leggo penso sempre che quelle cose sono successe tanto tempo fa... eppure sembra che parlino di me”. Oggi infine mi ha accompagnata in chiesa ed è uscito con “Signore, vorrei che tu mi usassi, so che tu puoi, per te non c’è bisogno di essere andati a scuola”. Questo è Jules, il ragazzo dei polli. È lui che mi aiuta a capire cosa io desidero di bello per la mia vita. Come posso stare nei miei piccoli pensieri di visto o di aereo, quando intorno a me c’è tutto questo? E non è l’unico… Mi spiace tantissimo anche dover salutare così i missionari che sento più vicini, ma se il mio posto non è qui, è anche giusto che questo avvenga... Ecco dunque cosa ho dentro. Anche paura: non so niente e sono come in caduta libera. Anche la gioia di essere davvero disponibile a tutto. D’altronde... sono anche felice di riabbracciare inaspettatamente voi tutti: immagino i vostri visi!!! Vi porterò un po’ di Jules. L’aereo che mi porta via di qui in realtà mi porta a ritrovarvi (quasi tutti voi...); anche se per - ve lo dico - probabilmente già ripartire. Non so ovviamente per dove, ma ormai sento che sono partita. Non importa se questi scali qua e là sembrano un po’ bizzarri: non lo sono per mia volontà, mi ha rasserenata quello che dice oggi Paolo del suo “tornare a Gerusalemme costretto dallo Spirito”. Allora, sicura di essere incapace di tanto spirito, di forza e di presenza e al contempo abbandono confidente, ma anche sicura di essere accompagnata da voi nella preghiera e nell’amicizia come io accompagno voi... direi che ci risentiamo per le prossime novità, in attesa di vedersi... prima... o poi!

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n.7/8 - 2014

Un abbraccio grande a tutti!

Parole di Vangelo

SE IL GRANO DI FRUMENTO…

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e il grano di frumento non muore, non porta frutto….”: questa frase esplicativa del senso della morte gloriosa di Cristo, la troviamo riportata da Giovanni 12,24ss: “È giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo”. La morte gloriosa di Gesù fu l’apice della sua missione; ma, prima della sua Pasqua, ci fu il tempo dell’annuncio, del contatto con la gente, le guarigioni dei malati, la denuncia del male, la lotta con il potere delle tenebre, la proclamazione delle beatitudini. La Chiesa, nella sua storia e nelle sue dinamiche, ha cercato di seguire le orme del suo Signore, sia nell’annuncio del vangelo, sia in quella forma ben più impegnativa del “grano che muore”, ambedue piste privilegiate di rinnovamento ecclesiale. La chiesa delle origini era fondamentalmente composta da cristiani di origine ebraica. La fede cristiana sbocciò in casa di Israele, il popolo che i profeti avevano educato per secoli, in attesa del Messia. Ma, di fronte alle resistenze di alcuni gruppi giudaici, san Paolo, l’apostolo delle genti, cominciò a predicare il vangelo anche ai non ebrei, e i frutti non mancarono. Fu il primo grande rinnovamento della comunità cristiana. Un rinnovamento che divenne dichiarazione di libertà dalla Legge mosaica, proclamata in quella prima grande assise ecclesiale che fu il concilio di Gerusalemme, radunato per dare una risposta alla pretesa di alcuni di imporre ai cristiani provenienti dal mondo greco-romano la pratica giudaica della circoncisione. “Noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati” – proclamò Pietro in quell’occasione. Un altro momento prezioso di rinnovamento della chiesa nascente, fu l’istituzione dei diaconi per rispondere alle esigenze della carità, un po’ trascurata per i tanti impegni nei quali gli apostoli erano coinvolti. I Dodici erano talmente oberati dalla missione, che sentirono il bisogno di istituire delle persone addette al servizio della carità, per una corretta gestione delle mense delle persone povere, un pò trascurate

di Giandomenico Tamiozzo

dalla carità ecclesiale. E così sorse l’istituzione dei diaconi: ecco un altro punto di rivitalizzazione della missione per una chiesa attenta alla carità fraterna verso tutti, specie verso i poveri, non importa di quale origine e nazionalità. La missione implica anche, per sua natura, la persecuzione. “Come han trattato Me, così tratteranno anche voi” - aveva detto Gesù. La persecuzione è forse quella che rende il discepolo più simile al suo Maestro. In riferimento a questo, in quanto prete vicentino, non posso sottacere la vicenda di due nostri preti fidei donum in Camerun, don Gianantonio Allegri e don Giampaolo Marta, che, sequestrati improvvisamente dalla loro missione in Camerum, furono prigionieri di un gruppo armato per ben due mesi, mentre la nostra chiesa vicentina “giorno e notte pregava per loro”, come era avvenuto nella chiesa primitiva quando Pietro si trovava in carcere (cfr. Atti 12,5). Questa avventura dei nostri missionari in Camerun, ritornati a casa sani e salvi qualche giorno fa, è stato un momento di fortissima comunione ecclesiale. Non ci fu comunità inoperosa sul versante della preghiera e della comunione, attorno al vescovo, che, assieme al vicario generale e al direttore del Centro Missionario Diocesano, non perse occasione per mantenere desta l’attenzione ecclesiale sull’evento. Furono organizzati due momenti di preghiera pubblica nel nostro santuario mariano di Monte Berico, per chiedere l’aiuto di Maria in questa vicenda, che conobbe la felice notizia della liberazione, proprio la notte dopo l’ultimo incontro di preghiera ai piedi della Madonna di Monte Berico. E quale fu la gioia di tutti in quell’abbraccio ecclesiale con i due nostri amici rientrati sani e salvi, ancora una volta a Monte Berico, durante una veglia di ringraziamento, il venerdì successivo al loro rientro. Il rinnovamento più autentico della chiesa è dunque la missione che si mette sulle orme della missione di Gesù, per imitarne le modalità e la qualità. Seguire Cristo più da vicino rende la chiesa più nuova, la vera chiesa riformata, secondo il cuore di Cristo, mite e umile. Questo vuol dire “se il grano di frumento non muore, non porta frutto”. L’esperienza della croce, che nasce dalla missione, rende la chiesa più splendente dello splendore pasquale di Cristo suo Maestro e Signore.

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di don Felice Tenero - Fidei donum in Brasile

rubriche

Racconti di Fidei Donum

RINNOVARE LA MISSIONE

Non è facile uscire, perché è un cammino senza ritorno, è un cammino che dura tutta la vita. È la dimensione umano-spirituale del tuo essere: tu, missionario, sei un uomo e una donna in uscita

ESSERE MISSIONARIO E MISSIONARIA IN USCITA Una riflessione in vista del prossimo Convegno Missionario Nazionale Italiano Cara redazione di Noticum, in novembre ci sarà il Convegno Missionario Italiano. Ho pensato di scrivere qualcosa, a mo’ di lettera-dialogo con i personaggi biblici che sono le icone del convegno: Mosè, Gesù, San Paolo e Giona...

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arissimo Mosè, sono molto contento che tu, assieme a Gesù e San Paolo, siate le tre “icone” del IV Convegno Missionario Nazionale della Chiesa Italiana, che si terrà a fine novembre in Sacrofano-Roma. Mosè il liberatore che ci invita ad uscire, Gesù il Salvatore che ci spinge ad incontrare e Paolo l’Apostolo che ci incoraggia a donare. Tre figure bibliche stupende, che ci propongono questi tre verbi come “parole di verità” da tradurre in “parole di vita”: uscire, incontrare, donarsi! Tu sai con certezza che in questi mesi di preparazione al Convegno, tutta la Chiesa italiana è in effervescenza, tutte le sue forze missionarie sono invitate a chiedersi: “A che punto è la missione?... Come riscaldare i cuori e le menti per essere discepoli/missionari?... Cosa fare perché la missione sia veramente forza trasformatrice e autentico paradigma della nostra pastorale italiana?...”. Ti ricordo che, già da alcuni anni, la missione ha assunto il volto della cooperazione e dello scambio, e penso che l’esperienza delle Chiese sorelle che vivono in varie parti del mondo possa umilmente dare qualche spintarella e suggerimento alle esperienze italiane; che ne dici? Tu che per molti anni sei stato una “vita profetica” molto presente e stimolante per la Chiesa del Brasile, che ha fatto della liberazione degli oppressi uno dei capisaldi della sua evangelizzazione, potresti darci qualche indicazione e luce capace di animare la dimensione missionaria della Chiesa che vive in Italia?

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arissimo missionario e missionaria, la scelta di essere un’icona mi dà molta gioia e mi stimola a ripescare nella mia antica esperienza stimoli e piste di cammino, luci che illuminano il percorso missionario. Sai, ero un giovane ben sistemato, possedevo una casa lussuosa, cibo e vestiti in abbondanza, mi accompagnava una posizione di vita sicura. Ero stato salvato dalle acque e vivevo tranquillo nel palazzo reale, accolto come un figlio dalla figlia del faraone (cfr Es 2,9-10). Un giorno, spinto dalla mia sventatezza giovanile o mosso dallo Spirito di Javè, sono uscito di casa per andare verso le periferie della città. Ho attraversato il portone che mi proteggeva e mi impediva di vedere un mondo di sofferenza e oppressione e sono andato tra i miei fratelli che vivevano schiavizzati come lavoratori, sfruttati fino all’osso, per la costruzione delle città-magazzino di Pitom e Ramses. Ho visto com’erano trattati con violenza, ho preso le difese di un ebreo,

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uno dei miei fratelli, uccidendo un loro capataz. Un gesto non molto simpatico, ma che ha prodotto nella mia vita un cambiamento totale: da ricco, benestante e privilegiato che ero, sono passato dalla parte degli oppressi e mi sono fatto carico delle loro oppressioni, ho dovuto uscire da una vita per incontrarne un’altra (cfr Es 2,11s.). Ecco, uscire: è questo che ho vissuto ed è questo, penso, il primo passo di un missionario e di una missionaria! Non è facile uscire, perché è un cammino senza ritorno, è un cammino che dura tutta la vita. È la dimensione umano-spirituale del tuo essere: tu missionario, sei un uomo e una donna in uscita. Quale uscita? Che significa uscire? Come decifrarlo? Questi sono i miei suggerimenti: Uscire è spogliarsi delle proprie sicurezze e dei propri privilegi. Quanti ne abbiamo e quanti siamo tentati di costruircene; spesso sono le nostre sicurezze, le nostre idee, i nostri vantaggi economici. Mi è costato uscire… mi ha cambiato la vita; mi ha portato fatica e momenti di sofferenza, ma mi ha liberato dalle catene di una vita imprigionata dall’egoismo e dall’incapacità di vedere volti e corpi feriti, anime stracciate e spiriti delusi. Uscire è lasciare strade sicure per percorrere sentieri incerti nelle periferie del mondo. È lasciare palazzi sontuosi per porre tende, a volte piccole e provvisorie, fra casupole di favelas e agglomerati abitazionali che voi chiamate città-dormitori. È percorrere terre aride e polverose ove i poveri hanno posto le loro dimore. È camminare con gli ultimi, come dite voi, lì in America Latina. Ho dovuto anch’io lasciare le mie comodità e inventare una nuova vita. Uscire è incontrare il diverso e saper dialogare con il mondo d’oggi. Culture molteplici, religiosità colme di ricchezza e diversità di stili di vita vi attendono vicino e lontano. Anch’io ho vissuto in terra straniera e sono stato accolto dalla famiglia di Raquel, sacerdote di Madian; con loro ho vissuto, pregato e imparato (cfr 2, 16-21). Non abbiate paura, le periferie esistenziali vi attendono, cuori aperti vi accolgono. E poi, siete in buona compagnia quando Papa Francesco afferma che: “Evangelizzare, in questo tempo di grandi trasformazioni sociali, richiede una Chiesa missionaria tutta in uscita… Preferisco - continua il Papa - una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze” (Evangelii Gaudium n. 49). Una Chiesa dai castelli dorati o una Chiesa tenda piantata nei crocevia della storia, sbattuta dai venti e dalle piogge, ma riparo per ogni viandante e spazio di dialogo per ogni cercatore di verità… che ne pensi? Uscire è lasciarsi condurre dal Dio liberatore. Così l’ho conosciuto Dio, come il Liberatore, capace di ascoltare il grido degli oppressi e degli sconfitti o dei perduti in questo mondo sorretto dal capitale e dal denaro, un Dio pieno di attenzione e presenza liberatrice (cfr Es 3). Esigente sì, ma capace di dar senso pieno alla mia esistenza, PortaLo con te, te ne prego, questo SignoreJavè e mettiLo nel profondo del cuore. Ogni tanto ammira il Suo Volto e sii testimone instancabile del suo amore misericordioso, attento ai piccoli e ai deboli. Lui ti insegnerà e sarà la tua forza. Per questo, uscendo pieno di coraggio, non portare solo l’acqua viva del messaggio, assieme alla certezza che il Signore t’invia; porta pure la tua sete, i tuoi dubbi e domande, poiché evangelizzare è un movimento a mano alterna, una che dà e una che riceve. E sii un autentico missionario e missionaria in uscita. Buon viaggio!


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Verso il Convegno Missionario Nazionale di Sacrofano (20-23 novembre 2014)

attività

MISSIONE, DONO GRATUITO. MA STAVOLTA, PER DAVVERO!

di don Alberto Brignoli - Ufficio Cooperazione Missionaria tra le Chiese – CEI

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apriamoci in maniera decisa a uno stile di dialogo, che è per sua natura profondamente missionario. Un dialogo e una comunicazione con la diversità devono poter avvenire su tutti i piani, non solo su quello religioso: molti passi devono essere ancora fatti sul piano della diversità culturale e antropologica, della diversità sociopolitica, della diversità affettiva. I piccoli tentativi già messi in atto possono portare frutti abbondanti di comunione se ci si libera da ogni sorta di giudizio, di pregiudizio e d’intenzionalità proselitista. Non si dialoga per convincere l’altro a venire dalla nostra parte; si dialoga per mettere sul tavolo le ragioni delle nostre convinzioni e del nostro vissuto, e per individuare, nel variegato puzzle della pluralità, i tasselli che ci permettano di creare un mosaico armonico, rispettoso e biunivocamente rispettato e apprezzato. - Una missione colma di gratuità e di servizio Il Convegno di Sacrofano punterà anche a un rilancio della missione ad gentes ad ogni livello? Sì, certamente: l’ad gentes rimane il paradigma di ogni stile missionario, lo sfondo sul quale proiettare le vicende di dialogo e di cooperazione che viviamo nel quotidiano delle nostre comunità. Se più nessuno, dalle nostre comunità, partirà per la missione, le nostre comunità soffocheranno nell’autoreferenzialità. Ma ancor prima che di uno slancio missionario, abbiamo bisogno di un coraggioso input di generosità e di spirito di servizio, perché non è certo tirando i remi in barca che la barca può prendere il largo. Esempi edificanti ce ne sono, eccome! Ci sono chiese del Sud del mondo che hanno necessità di clero, eppure inviano clero ad altre chiese sorelle; ci sono diocesi in Italia che faticano a coprire i bisogni interni delle parrocchie, eppure non chiudono le loro esperienze missionarie Fidei Donum; ci sono laici che invece di pensare a conservare il lavoro in una situazione di crisi lasciano tutto per andare in missione; ci sono istituti religiosi e missionari che premettono il servizio ai più poveri alla sussistenza vocazionale dell’istituto. Partiamo da questi esempi e ridiamo aria al fuoco della missione... ma stavolta, per davvero!

28 luglio – 2 agosto SCUOLA DI LETTURA POPOLARE DELLA BIBBIA Storia di Israele e formazione del primo Testamento fino alla Monarchia e al Profetismo. Corso per chi già conosce il metodo della L. P. e cerca maggiori strumenti e contenuti. 27 luglio – 23 agosto CORSO INTERMEDIO DI LINGUA ITALIANA PER SACERDOTI E RELIGIOSE/I CORSO A NUMERO CHIUSO. Per informazioni 045 8900329 Per approfondire la conoscenza dell’italiano. Per accedere al corso è necessario possedere le basi della lingua italiana.

1 – 12 settembre CORSO PER SACERDOTI E RELIGIOSE/I NON ITALIANI CHE OPERANO NELLA CHIESA IN ITALIA - 1° livello Corso rivolto a chi è arrivato da poco in Italia e necessita di un’introduzione alla realtà culturale e sociale del paese e della Chiesa italiana.

1– 5 luglio CORSO ISLAM NUOVO In collaborazione con PISAI.

7 – 27 settembre 14° CORSO EST EUROPA – 24° CORSO ASIA E OCEANIA Corsi per partenti: sacerdoti, religiose/i e laici.

7 – 12 luglio FONDAMENTI BIBLICI E TEOLOGICI DELLA MISSIONE NUOVO In collaborazione con Missio. Corso per tutti, in particolare per équipe di CMD e seminaristi. 14 - 19 luglio CORSO DI GIORNALISMO: EDITING AUDIO-VIDEO Corso per missionari, operatori di Centri Missionari, giornalisti, collaboratori di testate FESMI e settimanali diocesani. 21 – 26 luglio SCUOLA DI LETTURA POPOLARE DELLA BIBBIA Storia di Israele e formazione del primo Testamento fino alla Monarchia e al Profetismo. Corso per chi già conosce il metodo della L. P. e cerca maggiori strumenti e contenuti.

7 settembre – 11 ottobre 68° CORSO AFRICA E MADAGASCAR - 98° CORSO AMERICA LATINA E CARAIBI Corsi per partenti: sacerdoti, religiose/i e laici. 28 settembre – 4 ottobre CORSO PER SACERDOTI E RELIGIOSE/I NON ITALIANI CHE OPERANO NELLA CHIESA IN ITALIA - 2° livello Corso rivolto a chi già opera da qualche anno nella Chiesa italiana per promuoverne la formazione permanente.

Calendario attività 2014

a ciò che posso osservare, una visione colonialista, espansionista e trionfalista della missione è ancora lungi dall’essere superata, all’interno delle nostre chiese di antica tradizione. Frasi del tipo: “Il missionario porta in tutto il mondo l’annuncio del Vangelo”; “I missionari annunciano la salvezza fino agli estremi confini della terra”; “I missionari salvano molte persone dalla povertà e dalla miseria”, non solo vengono regolarmente pronunciate e ascoltate all’interno delle nostre assemblee, ma tradiscono certamente un’idea per la quale andare in missione significa andare a portare la salvezza (soprattutto quella dell’anima) a chi ancora non la possiede. Senza necessariamente avvertire il bisogno di ricevere, a sua volta, un annuncio di salvezza da chi l’annuncio lo sta accogliendo. Riuscire a sradicare un’idea di missione di tipo trionfalistico è uno sforzo grande tutt’altro dall’essere ancora realizzato. Al mantenimento di questa idea di missione contribuiscono molti fattori, non ultimo la ricchezza in tutte le sue sfaccettature: ricchezza di beni economici, di strutture, di materiale umano, di tradizione e di cultura. Ma dove c’è ricchezza, in genere c’è anche corruzione, intesa come “corrosione”, come imbastardimento della purezza originaria, come appesantimento del cammino di fede; tutte cose dalle quali ci potremmo liberare se solo aprissimo un attimo gli occhi sulla nostra realtà e ci rendessimo conto che così ”ricchi” come inconsciamente pensiamo di essere, oramai non lo siamo più, né economicamente, né spiritualmente, né tantomeno dal punto di vista del personale a disposizione. La presa di coscienza del nostro impoverimento, lungi dal generare un senso di sconfitta, ci deve provvidenzialmente aiutare a capire che dalla nostra povertà possiamo e dobbiamo continuare a donare, nella misura in cui, tuttavia, questa povertà è disposta ad arricchirsi con i doni che da altri possiamo ricevere. Comunione e cooperazione missionaria, allora, oggi sono chiamate a concretizzarsi in almeno tre aspetti, sui quali anche il Convegno Missionario Nazionale di novembre dovrà – con una decisione e una concretezza che tutti quanti auspichiamo – porre la propria attenzione: - Un reciproco scambio di doni Partiamo innanzitutto dalla convinzione che non è per il fatto di avere una pastorale più organizzata e una Chiesa più strutturata, che le nostre comunità cristiane di antica tradizione possono dire di avere più fede: non è assolutamente così. Altre Chiese sorelle, di altre parti del mondo, pur nella povertà dei loro mezzi, hanno veramente molto da insegnarci sul vissuto cristiano. Questo, vediamolo come il “ritorno” di un’azione missionaria svolta con zelo e fervore dalle nostre chiese nei secoli che ci hanno preceduto. “Franciscus docet”, ci viene spontaneo dire: se siamo entusiasti per la ventata di novità che la figura di papa Francesco sta portando nella Chiesa universale provenendo da una Chiesa “della fine del mondo”, consideriamolo come un meraviglioso risultato dell’azione evangelizzatrice della Chiesa europea nel Nuovo Mondo iniziata oltre cinque secoli fa. E continuiamo a viverla così, accettando che anche gli immigrati cristiani siano accolti nelle nostre comunità non con occhiate di timore e sospetto, ma come una ventata di novità nel vivere il Vangelo. Nella misura in cui, ovviamente, diamo loro motivazioni e spazi adeguati per inserirsi nel nostro cammino di Chiesa. - Una “comunicazione tra diversi” senza proselitismi Non tutti gli immigrati sono cristiani, e lo sappiamo bene. Sforziamoci quindi di vivere uno stile di comunione e cooperazione anche con chi professa altre fedi, senza la preoccupazione di convertire nessuno, né tantomeno con l’intenzione di lasciarci convertire; puntando alla comunione nella diversità,

17 – 19 ottobre RIELABORARE L’ESPERIENZA MISSIONARIA - WEEK-END PER LAICI RIENTRATI NUOVO 2 – 8 novembre CORSO PER MISSIONARI/E RIENTRATI (in collaborazione tra CIMI-SUAM-USMI) Seminario rivolto a fidei donum, religiose/i e laici.

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grandi temi

n.7/8 - 2014

“VERSO UNO STERMINIO LEGALE DEGLI INDIGENI” Lo afferma dom Erwin Kräutler, vescovo nell’ Amazzonia brasiliana Tratto da Adital, 24 aprile 2014 - Traduzione italiana a cura di Daniela Sangalli

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om Erwin Kräutler, presidente del Consiglio Indigenista Missionario (Cimi), e vescovo della Prelatura di Xingú, ha concesso un’intervista al giornale O São Paulo mentre si trovava in Altamira, città dello Stato di Pará, collegata alla strada Transamazzonica. Il vescovo è stato ricevuto da papa Francesco, lo scorso 4 aprile, in un’udienza il cui tema principale è stato quello delle violazioni dei diritti degli indigeni in Brasile. Dom Erwin, accompagnato dall’assessore teologico del Cimi, padre Paulo Suess, ha consegnato al Papa un documento con una relazione sulla questione indigena in Brasile, è stato invitato da Francesco a realizzare una stretta collaborazione nell’elaborazione di una nuova enciclica sull’ecologia. Giornale O São Paulo (JOSP): Come valuta l’interesse del Papa e della Chiesa in tutto il mondo per la questione indigena brasiliana? Dom Erwin: «Il Papa ha detto nel suo discorso ai vescovi del Brasile, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, che l’Amazzonia è una “prova decisiva per la chiesa e la società brasiliana.” Credo che lo stesso può essere detto circa la questione indigena, che costituisce una sfida per tutti noi, e richiede come risposta un impegno della Chiesa nei confronti di questi popoli, sempre lasciati in disparte e considerati dal sistema economico come “superflui” e “eliminabili” (cf. Doc. Aparecida n°65), perché “non producono” ». JOSP: Perfino con l’appoggio da parte dei mezzi di comunicazione e tutte le manifestazioni contro di loro, continua il “genocidio silenzioso” dei popoli Guaranì e Kaiowá, nello Stato di Mato Grosso do Sul. Chi deve farsi carico di questa causa per fermare il genocidio? Dom Erwin: «Questo caso grida al cielo. Quanto tempo è passato e il caso non è stato risolto? Manca evidentemente una volontà politica. Quanti indigeni devono morire ancora affinché i principi della costituzione siano rispettati? La ragione del ritardo nel risolvere il problema sono gli interessi dell’agro-business, è la soia, è la canna da zucchero, è la carne di manzo, che, per i governi, federale e statale, sono sinonimo di progresso e sviluppo». JOSP: Petrolio, zucchero, bestiame, centrali idroelettriche, sfruttamento minerario sono alcune delle minacce ai popoli indigeni. Ma potremmo individuare una minaccia principale?

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Dom Erwin: «Il problema che soggiace all’emarginazione dei popoli indigeni è un’idea o concezione sbagliata di sviluppo. Se lo sviluppo è concepito solo come crescita economica e aumento delle esportazioni, in questa visione erronea l’indigeno è considerato un intralcio, un ostacolo, un impedimento e costituisce un rallentamento sulla via del progresso. Secondo questa visione, dovrebbe abbandonare le sue terre, andarsene. Se difende i suoi diritti, rischia la sua vita e diventa un popolo minacciato nella sua stessa sopravvivenza, non solo culturale, ma anche fisica. È in questo quadro che si compie il “genocidio silenzioso”. Se al contrario, concepiamo lo sviluppo come una migliore qualità di vita per tutti, allora gli indigeni devono essere apprezzati e la loro saggezza millenaria tenuta in considerazione e considerata una ricchezza per tutto il Brasile». JOSP : Papa Francesco le ha chiesto di contribuire ad un’enciclica sull’ecologia. Potrebbe spiegare un po’ il contenuto e lo scopo dell’enciclica? Don Erwin: «Lo scorso 4 aprile il Papa mi disse che intende scrivere un’enciclica sull’ecologia e ha incaricato il cardinale africano Peter Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, di preparare una bozza. Non ci sono ancora dettagli. Il Papa ha solo sottolineato che il tema sarà trattato integralmente ed includerà “l’ecologia umana.” Io gli ho detto allora che l’Amazzonia, per la sua vocazione specifica nel pianeta terra, non poteva mancare in questa enciclica, così come i popoli indigeni dovevano essere tenuti presenti. Ho detto al Papa che il giorno prima avevo promesso il mio contributo al Cardinale Turkson. Il Papa mi ha ringraziato per la mia disponibilità a collaborare». JOSP: Potremmo dire che il Brasile si avvia verso uno sterminio legale degli indigeni? Dom Erwin: «Sfortunatamente, se le scelte non cambiano, stiamo avanzando verso uno stermino “legale.” Le Ordinanze 419/11 e 303/12 e il Decreto 7957/13 del potere esecutivo, le proposte di Emendamenti Costituzionali (PECs) 215/00, 038/99 e i disegni di legge 1610/96 e 227/12 del Potere Legislativo, e lo strumento della “Sospensione di Sicurezza” del Potere Giudiziale, vanno in quella direzione. Io credo che la minaccia più pericolosa per i popoli indigeni sia la PEC 215, mediante la quale i partiti rurali vogliono strappare al potere esecutivo la prerogativa di demarcare le zone indigene, che è un processo tecnico che richiede studi antropologici, etnologici, cartografici, per determinare se un’area è terra indigena o no. Questi studi non


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JOSP: Rispetto alla mancata demarcazione delle terre indigene negli ultimi anni, che danni sta provocando questa posizione del governo e quali può provocare nei prossimi anni? Dom Erwin: «Lo stop delle demarcazioni perpetua i conflitti e le violenze contro i popoli indigeni. La demarcazione di tutte le aree indigene in Brasile avrebbe dovuto essere completata già nel 1993, perché la Costituzione Federale del 1988 stabiliva il termine di cinque anni per questi procedimenti. Delle 1046 aree indigene in Brasile, solo 464 furono omologate o registrate o dichiarate come tali. Cioè solo il 44,3% del totale. Una zona indigena non demarcata apre le porte a ogni tipo di invasione, conflitti e violenza». JOSP: Belo Monte è un caso emblematico di mancato rispetto delle popolazioni locali in relazione ad un grande progetto. Come stanno vivendo questa situazione le popolazioni danneggiate? Dom Erwin: «Ho appena ricevuto la notizia che “il Tribunale Federale ha obbligato la Nord Energia S. A. a rispettare una delle condizioni indigene nell’impianto idroelettrico di Belo Monte, che riguarda la protezione territoriale delle terre indigene danneggiate a causa dell’intenso flusso di emigranti che l’opera attrae nella regione. Questa condizione ha subito vari ritardi e, secondo il giudice Frederico de Barros Viana, la mancanza di protezione territoriale può ‘causare danni irreversibili alle comunità indigene colpite dai progetti idroelettrici’ “. Questa misura giudiziale arriva sfortunatamente troppo tardi perché il danno è fatto. Tutte le condizioni enumerate dall’IBAMA, Istituto Brasiliano di Ecosistema e Risorse Naturali Rinnovabili, e dalla FUNAI (Fondazione Nazionale dell’Indigeno) avrebbero dovuto essere compiute prima dell’installazione delle opere. Il governo è passato sopra a tutta la legislazione per iniziare le opere e ha sempre bloccato in tempo record qualunque misura cautelare a beneficio degli indigeni, dei popoli costieri e dei contadini che vivono nell’area colpita o delle famiglie direttamente danneggiate nella città di Altamira. Le comunità indigene sono già state smantellate e applicare solo le misure di protezione è un rimedio postumo. Belo Monte, per il governo, è indiscutibile, non importa chi viene danneggiato. Questa è la realtà nuda e cruda». JOSP: E che cosa ci può dire sugli spostamenti e sugli indigeni che vivono nei centri urbani? In Sao Paulo, per esempio, i Guaranì in Jaragua, al bordo di una strada, sono costretti in un spazio molto piccolo, privati della loro dignità. Come si incoraggiano a mantenere la loro cultura e tradizione in una megalopoli? Dom Erwin: «La questione degli indigeni urbani è molto dolorosa. È uno dei maggiori problemi della Pastorale Indigenista. Sappiamo che è impossibile per gli indigeni mantenere la loro cultura in un ambiente lontano dai loro villaggi. Le influenze che subiscono nelle grandi città o nelle megalopoli, come São Paulo, sono negative per una comunità indigena, perché qualunque cultura è relazionata con l’habitat tradizionale di un popolo e, una volta perso questo vincolo con la terra, rimangono solo ricordi di “quel tempo al villaggio”. La lingua, che è espressione della cultura, in poco tempo si perde. I bambini che nascono nella città non parlano la propria lingua. La cosa che si può fare è riunire i membri di questo o quel popolo ed aiutarli a ottenere abitazione, educazione, salute, sicurezza. Nel mondo urbano, gli indigeni sono spesso criticati, trattati come paria. Vivono in una “periferia esistenziale”, come afferma il nostro papa Francesco».

il problema che soggiace all’emarginazione dei popoli indigeni è un’idea sbagliata di sviluppo. Se lo sviluppo è concepito solo come crescita economica e aumento delle esportazioni, l’indigeno è considerato un intralcio e costituisce un rallentamento sulla via del progresso

grandi temi

possono essere sottoposti a votazione nel Congresso. Peggio ancora, questi partiti vogliono cambiare la Costituzione Federale relativamente ai popoli indigeni. Questa onda anti-indigena nel Congresso Nazionale è un tremendo arretramento e ferisce l’immagine del Brasile all’estero».

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JOSP: Lei ha messo il relazione la Pasqua con la migrazione indigena alla ricerca di terra senza male? Dom Erwin: «Pasqua non è un fatto avvenuto, Pasqua è sempre una strada aperta. Racconto una storia: per migliaia di anni gli indigeni vissero in terre donate da Dio. Non si ribellarono contro Dio. Al contrario, rendevano sempre culto e adoravano Dio, ballavano e cantavano fino alla mattina i loro salmi millenari e ringraziavano per il sole che nasce sempre di nuovo. Molti secoli sono passati e un giorno Caino cominciò ad ammazzare un Abele dietro l’altro. Alcuni fuggirono e dovettero vivere in esilio, nella miseria al bordo delle strade o delle favelas. Caino festeggiava i suoi risultati, perché, per lui, ogni Abele era di troppo. Dio vide quella disgrazia, sentì il pianto degli indigeni, scese e, chiamato Caino, gli chiese degli indigeni. E i vari Caino si arrabbiarono con Dio e risposero: “Per caso siamo responsabili di questi indigeni? Per caso siamo custodi di quei miserabili che occupano terre fertili che potremmo sfruttare seminando soia, canna di zucchero o trasformare in foraggio?”. Dio esclamò: “Sento il sangue dei vostri fratelli che dalla terra giunge fino a me” (cfr. Gn 4,10). E Dio inviò suo Figlio per salvare gli indigeni. Ma i vari Caino ammazzarono anche il Figlio di Dio, e il suo sangue versato rompe le armi dei Caino, inaugura una nuova era, si trasforma nella garanzia di Vita, fa in modo che gli indigeni escano della casa della schiavitù, che risorgano delle ombre della morte e ritornino festanti alle loro terre. Lì celebreranno la Pasqua e canteranno nuovamente cantici del Signore». JOSP: Paolo afferma che la terra “geme con dolori di parto”. Saremmo ancora in un “venerdì santo” ecologico? O ci sono già segni di resurrezione? Don Erwin: «La notte scorsa ho celebrato nella comunità di Santo Antonio di Cipó - Ambé, vicino alla città di Altamira. Ho parlato della passione e morte del Signore, non è la prospettiva di un “venerdì santo” senza fine, ma dalla Pasqua di Resurrezione. So che il nostro paese ha più affinità con la passione del Signore che con la resurrezione, perché vive quotidianamente la croce. Nel pranzo comunitario, dopo la Santa Messa, alcuni uomini hanno parlato del ruscello Cipó che ha già l’acqua inquinata dalla nuova discarica, prodotto di un’opera pianificata secondo norme del “primo mondo”, come si vantano i costruttori di Belo Monte. Questo piccolo fiume è di vitale importanza per i contadini e le loro famiglie. L’inquinamento del ruscello che attraversa la comunità di Sant’Antonio è solo un altro esempio di flagranti aggressioni all’ecosistema che mostrano mancanza di rispetto al nostro popolo nelle sue necessità più elementari e causano una bassa qualità di vita per le famiglie. Tuttavia, ancora continuiamo, lottando per la vita, dove altri seminano morte».

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Africa

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RISPETTIAMO I POPOLI AUTOCTONI L’adozione della Carta Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli da parte dell’Unione Africana rappresenta una nuova presa di coscienza nei confronti delle minoranze più fragili di Ugo Piccoli

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di Henry Piccoli

SENEGAL APERTURA DEL SUMMIT NEPAD Alla presenza di vari Capi di Stato, si è aperto a Dakar il summit del NEPAD per il finanziamento delle Infrastrutture in Africa. Convocato dal Presidente senegalese Sall, il summit si propone di mobilitare tutte le risorse finanziarie “domestiche” del Continente per costituire “una piattaforma unica di altissimo spessore al fine di impegnare i dirigenti africani, gli operatori economici e gli uomini politici a tutti i livelli affinché elaborino e promuovano progetti regionali e sovrannazionali tali da trasformare e rendere possibili nuove prospettive economiche per il Continente”. Secondo Carlos Lopes, Sottosegretario delle Nazioni Unite e Segretario esecutivo della Commissione economica dell’ONU per l’Africa, lo stato delle infrastrutture è catastrofico! “Il ritmo di crescita del Continente è insufficiente per garantire il suo sviluppo - ha sottolineato il Sottosegretario - a titolo di esempio, basti pensare che la sola Spagna produce per il suo consumo interno tanta energia quanta ne producono una quarantina di Stati africani”!

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l rispetto dei popoli cosiddetti indigeni dovrebbe essere un valore talmente “normale” da non aver bisogno di una Giornata Mondiale specifica per ricordarcelo ogni anno e per assicurarne l’applicazione. Purtroppo ancora oggi abbiamo bisogno di fermarci un momento e riflettere sulle tante ingiustizie di cui sono oggetto i popoli autoctoni. A distanza di secoli, da quando cioè Colombo ha spostato con le sue “scoperte” i confini del mondo mettendo in moto nuove relazioni con altre forme di civiltà, siamo ancora qui a parlare sul come dare forma e contenuto al rispetto per quelle popolazioni e culture che si nutrono dei valori tradizionali e soffrono per l’arroganza di una modernità che, dopo averle fisicamente “massacrate”, tende a sottovalutarne i valori spirituali e a conservarle in un esotico serraglio assistenziale da esibire sui media. Secondo i criteri internazionali, i popoli indigeni sono dei popoli che hanno cristallizzato attraverso i secoli, per non dire attraverso i millenni, i loro sistemi tradizionali di organizzazione e di relazione malgrado l’usura del tempo e le influenze esterne sempre più aggressive. Queste popolazioni, circa 400 milioni di persone sparse nel mondo, hanno diritto di vedersi garantite le possibilità di decidere, conservare e sviluppare i loro sistemi di vita, partecipando al soffio culturale che muove il mondo. Sono popolazioni estremamente fragili e vulnerabili che spesso vengono marginalizzate e discriminate a causa della loro specificità esistenziale fondata su valori legati alla natura, alla terra e al territorio. Già negli anni ’70 del secolo scorso era nato un movimento per la difesa e la protezione dei diritti dei popoli autoctoni e le Nazioni Unite si erano mosse allora con azioni significative per garantire la loro libertà. Negli anni ’80 il Consiglio Economico e Sociale dell’ONU aveva creato un “Gruppo di lavoro sulle popolazioni autoctone” che con il passare degli anni era diventato un organo sussidiario delle Commissioni contro le misure discriminatorie dei vari Stati. Nel 1985 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite aveva istituito un Fondo Economico per queste popolazioni e con la risoluzione 45/164 aveva dichiarato il 1993 come “l’Anno Internazionale delle Popolazioni Autoctone” istituendo il 9 agosto come la Giornata che ogni anno fosse dedicata alle Comunità Indigene. Queste prime iniziative hanno costretto anche gli Stati a prendere coscienza del problema e col tempo molte legislazioni nazionali si sono adeguate inserendo nei loro Codici provvedimenti legislativi favorevoli alla libertà di espressione per ogni popolazione, restituendo dignità e rispetto per ogni cultura che non va mai giudicata secondo gerarchie di valori predefinite secondo criteri neocoloniali. Ricordando l’appuntamento del 9 agosto, il Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon ha ricordato come siano ancora molti i gruppi vittime dell’esclusione sociale, alcuni “corrono anche il pericolo dell’estinzione”. A livello africano, l’adozione della Carta Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli da parte dell’Unione Africana è stato il momento culminante di una nuova presa di coscienza, e quando anche l’UA si è dotata di una Commissione/Gruppo di lavoro sul tema molti Stati hanno seguito l’esempio. Ne cito due: uno è la Repubblica Democratica del Congo che, pur attraversata da decenni da un conflitto interetnico che sembra interminabile, proprio in questi mesi ha integrato la sua legislazione a favore del rispetto per le Popolazioni Indigene, e l’altro è il Camerun che, per la straordinaria diversità delle sue popolazioni, più di 250 gruppi e lingue, da una ventina d’anni sta facendo sforzi enormi per promuovere tutte le Comunità in una prospettiva di integrazione nazionale. La Costituzione del gennaio 1996 della Repubblica del Camerun recita nel suo preambolo: “Lo Stato assicura la protezione delle minoranze e preserva il diritto delle Popolazioni Autoctone conformemente alla Legge”! Anche se vaga, è una dichiarazione importante; dal 2009 infatti la Giornata Internazionale delle Popolazioni Autoctone si celebra in modo ufficiale con il dichiarato obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica nazionale e africana sull’impegno che lo Stato camerunese si vuole assumere, attraverso un “Documento di Strategia per la Crescita e il Lavoro” votato dal Parlamento, per la promozione dei gruppi sociali autoctoni e per la mobilitazione degli attori sociali affinché si facciano carico del problema. Il cambio di mentalità che faccia del rispetto di tutti i Popoli un dato acquisito è un cammino lungo, legato alla cultura più profonda e alle contingenze economiche del momento, ma è già un grande passo avanti dare forza legislativa alle nobili dichiarazioni d’intenti di rispetto e uguaglianza che altrimenti resterebbero lettera morta. Farla vivere tocca nelle piccole scelte di vita quotidiana a ognuno di noi!

SUD-SUDAN QUALCHE SPIRAGLIO DI PACE Il nuovo accordo sottoscritto tra il governo e i “ribelli” sembra segnare il passo e non sono molti gli osservatori internazionali che credono alla buona fede dei belligeranti. Questo è già il terzo accordo che viene firmato, ma già i primi due non avevano portato niente di buono perché l’opzione militare sembra essere privilegiata da ambo le parti. Il Presidente Kiir e il suo ex vice Machar, ora capo dei ribelli, stanno discutendo a Addis Abeba per la formazione di un governo di unità nazionale, ma finora siamo ancora a livello di impegno, con pochi passi concreti. Un certo pessimismo serpeggia tra gli osservatori, anche perché le spese dei negoziati aumentano giorno dopo giorno e già 12 milioni di euro non sono bastati ad arrivare a risultati concreti e tangibili. Sul terreno, intanto, gli scontri continuano, molto cruenti, e coinvolgono sempre più la popolazione civile; già un milione e trecentomila persone sono sfollate dalle loro case per trovare pace e rifugio altrove. L’impegno per un governo di unità nazionale è un passo nella giusta direzione, ma, sottolinea David Deng, capo della coalizione di cittadini per la pace e la giustizia che raggruppa una cinquantina di associazioni, “senza il coinvolgimento della società civile, gli impegni di vertice restano solo costose chiacchiere”.


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NOI, POPOLI INDIGENI… N Discriminazioni, precoce abbandono scolastico, sfruttamento e mancata tutela dei diritti rendono le popolazioni indigene latinoamericane tra le più fragili al mondo

INFANZIA PERDUTA

el dicembre 1994 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 9 agosto come “Giornata internazionale delle popolazioni indigene.” Nel 2004 le Nazioni Unite hanno proclamato un “decennio internazionale” (2005-2015) con il tema “Un decennio per l’azione e la dignità”. In America Latina, dal Nord del Messico alla Patagonia, esistono attualmente 522 popolazioni indigene. Il Brasile è il Paese con la maggiore diversità di popoli indigeni (241, per un totale di quasi 800.000 persone), seguito dalla Colombia con 83, dal Messico con 67 e dal Perù con 43. Bolivia, Guatemala e Belize rappresentano i Paesi in cui è più alta la percentuale di indigeni, rispettivamente con il 66,2%, il 40% e il 16,6%, sulla popolazione totale. El Salvador, Brasile, Argentina, Costa Rica, Paraguay e Venezuela registrano una bassa percentuale di indigeni, compresa tra lo 0,2% e il 2,3%. Cinque popoli indigeni superano il milione di abitanti: Quechua, Nahua, Aymara, Maya yucateco e Ki’che’. Nel continente gli indici di povertà tra gli indigeni sono molto più alti che nel resto della popolazione, soprattutto in Paraguay, Panama, Messico e Guatemala. Le entrate dei lavoratori indigeni in media corrispondono alla metà di quelle dei lavoratori non indigeni, a causa della discriminazione e della scarsa qualità dell’insegnamento. In Guatemala oltre il 50% dei giovani indigeni di età compresa tra 15 e 19 anni non ha concluso la scuola primaria, confermando così il dato generale secondo cui i bambini non indigeni studiano più anni rispetto agli indigeni (2,3 anni in più in Perù e 4 anni in Bolivia). In Colombia, negli ultimi trent’anni, migliaia di indigeni sono stati costretti a lasciare le loro terre a causa delle attività militari dell’esercito e della presenza di gruppi armati che coltivano e commercializzano la droga nei territori indigeni. Il 90% del legname che si estrae in Amazzonia peruviana proviene dalle zone protette che appartengono a comunità indigene.

America Latina

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URUGUAY: IL LAICO IN MISSIONE

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PANAMA Con il 39% dei voti Juan Carlos Varela, l’attuale vicepresidente del partito all’opposizione Partido Panameñista, si è imposto nelle elezioni presidenziali, sconfiggendo il favorito José Domingo Arias. Ingegnere e imprenditore di 50 anni, Varela si è impegnato a realizzare un governo di unità nazionale, di consenso e dialogo, per portare prosperità a tutto il popolo panamense. Pur essendo uno dei paesi con il tasso di crescita più alto dell’America Latina, il 25% dei quasi 4 milioni di abitanti vive in povertà.

PERÙ Il governo regionale di Lima ha annullato tre risoluzioni che autorizzavano le operazioni della ditta mineraria Milagro Ancovilca S.A.C per l’estrazione di rame nel territorio della riserva paesaggistica Nor Yauyos Cochas. La decisione è la conseguenza della energica reazione delle comunità contadine in difesa dell’area naturale protetta e delle fonti di acqua. La decisione costituirà un precedente importante per la protezione delle aree naturali e per la tutela delle sorgenti.

AmericaLatinaNews

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econdo i risultati di una ricerca dal titolo “Infanzia e gioventù nelle reti del crimine organizzato a Tegucigalpa”, un numero sempre maggiore di bambini e adolescenti honduregni sono vittime del crimine organizzato. I minorenni sono reclutati principalmente per rapine, assassinii, estorsioni, traffico e vendita di droga e armi. Il crimine organizzato trova nelle condizioni di povertà una breccia per ingannare e reclutare bambini e adolescenti, che sono addestrati a usare armi e a essere protagonisti di azioni violente. Oltre a essere manodopera economica, i minori non possono essere sanzionati dalla legge honduregna. Non ci sono dati ufficiali, ma è sempre più alto il numero di ragazzi di età compresa tra 10 e 18 anni che compongono le pandillas e altri gruppi criminali nel Paese. I gruppi criminali approfittano della possibilità di supplire alle carenze economiche per reclutare bambini e adolescenti per le attività illecite, offrendo loro la possibilità di guadagnare in forma apparentemente facile e nel minor tempo possibile. Tra le cause che spingono i minorenni verso la criminalità vi sono l’emarginazione, l’esclusione sociale, la disintegrazione familiare. La povertà e la situazione di abbandono familiare sono fattori che rendono i minori più vulnerabili al reclutamento da parte del crimine organizzato. Il dossier è stato elaborato dall’Osservatorio per i diritti dei bambini/e e dei giovani dell’Honduras dell’organizzazione umanitaria Casa Alianza, con il sostegno dell’agenzia statunitense per lo Sviluppo internazionale (USAID). Per la preparazione del dossier, sono stati intervistati 120 bambini e adolescenti e il 44% di essi ha dichiarato che le attività illecite più redditizie e in forma più rapida sono la vendita di droga, il furto e le estorsioni. I ragazzi hanno indicato anche il trasporto di droga e armi, il commercio di marijuana e alcol come attività facili da realizzare a Tegucigalpa. Di fronte a questa situazione, la Commissione Interamericana per i Diritti Umani ha rivolto un appello allo Stato dell’Honduras perché tuteli i bambini e gli adolescenti dalla violenza e perché dia priorità alle indagini in caso di assassinii di minorenni. Nel mese di maggio cinque giovani sono morti e uno è stato ferito dall’esplosione di una granata in un centro correzionale per minorenni a San Pedro Sula, e quattro adolescenti sono stati assassinati a pugnalate e due torturati e assassinati. Le autorità hanno attribuito la responsabilità delle violenze alle bande giovanili e ai gruppi criminali. Honduras è vittima di una ondata di violenza che lascia ogni giorno una media di 15 morti. Secondo i dati del 2012 dell’Ufficio delle Nazioni Unite per la Droga e i Delitti, l’Honduras ha il tasso di omicidi più alto del mondo, cioè 90,4 ogni 100.000 abitanti e, per il terzo anno consecutivo, la città di San Pedro Sula è considerata la più violenta del mondo.

n Uruguay il dipartimento dei Laici della Conferenza episcopale ha organizzato un incontro che ha riunito oltre 500 laici di tutte le province del Paese sul tema “Il laico in missione: uscire nelle periferie”. Il XXXIII Incontro Nazionale dei Laici si è svolto nel mese di maggio a Montevideo, alla presenza dei vescovi che compongono il Consiglio Permanente della Conferenza episcopale uruguayana. Dopo la prima relazione sul tema della spiritualità del laico, i partecipanti hanno riflettuto su tre domande che mettono a fuoco la realtà dell’esperienza laicale nel Paese e successivamente hanno preso la parola esperti che hanno proposto alcuni temi specifici dell’impegno dei laici: l’educazione, l’impegno nel campo sociale, l’ambito sindacale, l’impegno del cristiano nella politica e quello nelle imprese. Lo scopo dell’incontro era quello di rafforzare la responsabilità dei laici che formano parte della Chiesa, secondo quanto papa Francesco invita sempre di più a rifondare con speranza i nostri vincoli sociali. Essere cittadini è sentirsi chiamati a un bene comune da riscoprire e da costruire.

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Asia

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JARAWA: IL POPOLO MINACCIATO DA UN’AUTOSTRADA Safari umani e sfruttamento mettono a rischio la vita di questi indigeni nelle isole Andamane

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ella loro lingua si chiamano Ya-eng-nga, ma vengono comunemente chiamati Jarawa; fanno parte dei circa 95 milioni di indigeni dell’India e sono anche uno dei popoli indigeni maggiormente minacciati del Paese. Vivono principalmente nella parte occidentale dell’arcipelago delle Andamane, sulle Middle Andaman Island e le South Andaman Island. Le Andamane sono un gruppo di 204 isole nel mare delle Andamane che fanno parte del territorio indiano delle Andamane e Nicobare. Gli Jarawa sono di origine “Negrito”, termine con cui si indicano tutti i gruppi asiatici di origine pigmea; si caratterizzano per statura bassa e robusta, pelle molto scura e capelli crespi. La più diffusa ipotesi sulla loro origine li vede discendenti di una migrazione di popoli provenienti dall’Africa, avvenuta circa 60.000 anni fa. Il loro ambiente naturale sono le foreste tropicali delle Andamane; il loro è uno stile di vita nomade e le loro comunità sono formate da gruppi di 40-50 persone. Oggi sono ridotti ad un numero veramente esiguo: circa 400 persone. Le loro attività principali sono la pesca con arco e frecce, la caccia al cinghiale, a rettili, uccelli e tartarughe e la raccolta di frutti, radici, bacche e miele. A partire dagli anni ‘90 le autorità locali sono intervenute con tentativi di sedentarizzazione forzata e “civilizzazione” e solo grazie all’intervento di molte organizzazioni internazionali questo progetto è stato abbandonato. In realtà, gli Jarawa vivevano in sostanziale isolamento fino alla costruzione illegale della Trunk Road (ATR): 300 km di asfalto che attraversano la loro riserva. Da allora sono iniziati problemi di salute per le comunità e soprattutto episodi di sfruttamento: dopo decine di migliaia di anni di isolamento gli Jarawa sono particolarmente esposti alle malattie portate dai coloni e per le quali non hanno sviluppato

AsiaNews CINA Lo scorso 30 maggio è stato arrestato in Cina l’amministratore apostolico di Yujiang, p. Giovanni Peng Weizhao. Sarebbe stato prelevato da poliziotti e da membri dell’Ufficio affari religiosi e, da allora, fedeli e sacerdoti suoi amici non sanno dove sia finito. L’agenzia informativa sull’Asia Asianews riporta i commenti di una personalità ecclesiale che chiede l’anonimato “Stanno cercando di eliminare tutti i candidati all’episcopato nella Chiesa sotterranea. Vogliono estirpare la Chiesa sotterranea, eliminando i loro capi più giovani”.

BANGLADESH Il 2015 potrebbe essere l’anno del Bangladesh: secondo il ministero delle Finanze, l’economia nel Paese l’anno prossimo crescerà al ritmo più veloce degli ultimi 34 anni. Le stime tengono conto del fatto che il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) ha concesso al Paese un ulteriore prestito, grazie alla stabilità politica ritrovata dopo le elezioni generali dello scorso gennaio. Il ministro delle Finanze ha dichiarato che il Pil toccherà il 7,3% nell’anno fiscale che inizierà il prossimo 1 luglio, rispetto alla precedente previsione del 6,12%. Se dovesse avverarsi sarà la crescita più veloce dal 1980 (in base ai dati della Banca mondiale) e la più alta da quando il Bangladesh si è diviso dal Pakistan nel 1971.

SRI LANKA Le piogge torrenziali che si sono abbattute sullo Sri Lanka tra fine maggio e inizio giugno hanno causato gravi inondazioni, soprattutto nel distretto di Kalutara, Provincia occidentale. Almeno 100mila persone sono state costrette ad evacuare, quasi 27mila famiglie hanno subito ingenti danni per le inondazioni e le frane. Abitazioni sono andate distrutte in sei diversi distretti.

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anticorpi. Solamente un anno dopo il loro primo contatto con il mondo esterno (1999) sono stati colpiti da un’epidemia di morbillo. Altre minacce sono bracconieri e pescatori illegali, l’inquinamento ambientale e il turismo di massa. Le agenzie turistiche organizzano infatti dei “safari umani”: fanno arrivare i turisti in autobus in vicinanza degli Jarawa. I turisti li trattano come animali: lanciano banane, biscotti dall’autobus per attirarli e farli uscire dal bosco, gli organizzatori corrompono le donne con cibo per convincerle a ballare per i turisti. Inoltre, le donne jarawa sono sempre più frequentemente vittime di abusi sessuali compiuti da autisti di bus, camionisti, bracconieri, coloni. Nel 2002 la Corte Suprema Indiana ha ordinato per la prima volta la chiusura della strada, ma la sentenza è rimasta inapplicata dalle autorità locali. Nel gennaio 2013 la Corte Suprema Indiana ha emesso una seconda ordinanza provvisoria, limitando il traffico sulla ATR e proibendo qualsiasi attività turistica e commerciale nella riserva Jarawa e nelle sue vicinanze. Due mesi dopo però l’ordinanza è stata sospesa e i “safari umani” sono ripresi. È in corso un’ampia campagna internazionale, promossa tra gli altri da Survival (ong che si batte per la tutela dei popoli indigeni) per boicottare questa pratica vergognosa. Finora le proteste sono purtroppo rimaste inascoltate.

Panoramica

INDIOS D’ASIA Perfino in Giappone, considerato uno dei Paesi più omogenei al mondo, vivono delle minoranze

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l sudest asiatico è una regione densamente popolata: ci vivono circa 550 milioni di persone, circa un settimo degli abitanti di Asia. Dall’India alla Nuova Guinea, dall’Indocina alla Malesia e attraverso una catena di più di 20.000 isole, si trova la più antica foresta pluviale del mondo. Questa grande foresta primaria è oggi la più minacciata, a causa della pressione insostenibile esercitata dalla popolazione in crescita. Il Delta del Mekong e del Hong sono le aree più densamente popolate dalle popolazioni indigene: ci vivono circa 1000 tribù. Tra loro i Kayah, i Brek, i Bwe, i Manumanaw, e molte altre. In Nuova Guinea si parlano più di 800 lingue, un terzo di tutte le lingue che esistono nel mondo. Gli Asmat, Baruya, Dani, Etoro, Korowai, Lak, Lakalai, Lesu, Maisin, rappresentano i più importanti gruppi etnici. Molte di queste culture dipendono dalle foreste per mantenere il loro stile di vita, così come è accaduto per molte generazioni. Ma le popolazioni indigene non si trovano solo nelle foreste: anche tra i giapponesi, che si considerano abitanti di uno dei Paesi più omogenei del mondo, esistono importanti minoranze etniche che hanno subito nei secoli pesanti discriminazioni. Per esempio l’etnia Ainu (uomini), situata soprattutto nell’isola di Hokkaido, la più settentrionale dell’arcipelago nipponico. Questo popolo viene generalmente considerato di ceppo europoide, anche se mostra delle affinità con certi popoli della Siberia. Attualmente gli Ainu propriamente detti sono circa 15.000, ma le stime variano fino a 50.000 se si tiene conto dei sanguemisto. Un tempo erano molto più numerosi e popolavano anche quei vasti territori ad est e a nord dell’arcipelago: la parte settentrionale dell’isola di Sakhalin ed alcune delle isole Curili. Al tempo stesso vivevano nelle regioni nordorientali dello Honshu (la grande isola centrale dell’arcipelago), da dove i Giapponesi li cacciarono costringendoli a raccogliersi nei luoghi più remoti del nord, dove oggi vivono gli ultimi discendenti. Sono riconosciuti ufficialmente come popolazione indigena solo dal 6 giugno 2008 quando, su spinta della Dichiarazione dell’Onu sui diritti delle popolazioni indigene, il parlamento giapponese ha votato una risoluzione che tutela la loro cultura e la loro lingua.


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RINNOVARE LA MISSIONE

n.7/8 - 2014

Europa

POROSHENKO OFFRE L’AMNISTIA, MA SI CONTINUA A COMBATTERE Fragilissima la tregua in Ucraina

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n piano di pace per la regione del Donbass. A lanciarlo da Kiev è il neo eletto presidente ucraino Petro Poroshenko, che si è detto disposto a “offrire un’amnistia a coloro che depongono le armi e non hanno commesso gravi reati” e a “offrire un corridoio per dare ai mercenari la possibilità di lasciare il territorio del Paese senza armi”. Ma l’offerta di tregua appare molto difficile. I separatisti continuano a rafforzare le loro posizioni e posti di blocco nelle regioni di Donetsk e di Luhansk e si preparano ad usare sistemi anti aerei “Grad” contro la popolazione civile. Le forze dell’Ato (le forze congiunte ucraine dell’operazione antiterrorismo composte da polizia e Guardia Nazionale) continuano ad effettuare operazioni per la tutela e la difesa dei confini dello Stato. I funzionari della sicurezza procedono ad accerchiare e a stringere nella morsa i terroristi nelle città e nelle aree controllate. I militanti filorussi hanno intensificato le loro azioni, cercando di uscire dall’accerchiamento delle forze dell’Ato. Un autentico cerchio di fuoco. SI CONTINUA A COMBATTERE Il conflitto dell’Ucraina orientale si macchia del sangue di altri due giornalisti. Un colpo di mortaio ha ferito mortalmente il reporter della tv pubblica russa Rossyia 24 Igor Korneliuk, che è deceduto in ospedale a Lugansk durante il trasporto in sala operatoria. È morto anche l’operatore video che era con lui, Anton Voloshin. E proprio mentre il presidente russo Vladimir Putin e quello ucraino Petro Poroshenko hanno parlato della possibilità di un cessate-il-fuoco, nella regione di Poltava, nell’Ucraina centrale, in una zona lontana dai combattimenti, continuano misteriose esplosioni nei gasdotti. GUERRA ECONOMICA E DEL GAS Anche dal punto di vista economico la situazione a Donetsk è critica: la tesoreria regionale (la filiale cioè regionale della Banca nazionale) è in mano ai terroristi e, a causa di quest’azione, le persone e le aziende rischiano di rimanere senza soldi. È questa la preoccupazione espressa anche dal capo dell’amministrazione regionale di Donetsk, Serhij Taruta, riportata dalla agenzie internazionali. Intanto l’azienda “Naftofaz” (Ucraina) ha fatto ricorso alla Corte arbitrale di Stoccolma contro “Gazprom” (Russia) a causa dei prezzi del gas stabiliti in modo inadeguato e su motivazione politica. Siamo in piena “guerra del gas”. E la risposta del primo ministro ucraino, Arsenij Iatseniuk, non si fa attendere: “Noi non finanzieremo la Russia. Gli ucraini non tireranno fuori dalle tasche 5 miliardi di dollari all’anno perché la Russia utilizzi questi soldi per comprare armi, carri armati, aerei per bombardare il territorio ucraino”. Anche l’annessione della Crimea ha

violato un complesso equilibrio tra Ucraina e Russia sulla questione del gas e ha portato alla necessità di un chiarimento politico e giuridico del quadro contrattuale tra i due Paesi. APPELLI ALLA PREGHIERA E AL DIGIUNO Profondamente scossi dalla situazione in Ucraina orientale, le Chiese invocano la pace attraverso la forza della preghiera e del digiuno. Con un’iniziativa forte, il Patriarca di Mosca Kirill ha inviato una lettera a tutto il mondo ortodosso russo sparso nel mondo chiedendo appunto di pregare per la pace in Ucraina. “Mi rivolgo - scrive il Patriarca - a coloro che prendono le decisioni: cessate immediatamente questo spargimento di sangue. Impegnatevi in negoziati reali per l’instaurazione della pace e della giustizia! Non ci può essere un vincitore in una guerra civile, non ci possono essere vantaggi politici che valgono di più della vita delle persone”. Anche i vescovi del Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina invitano fedeli e uomini di buona volontà alla preghiera e al digiuno per la pace e l’unità del Paese. In particolare, lanciano una catena di preghiera e digiuno nelle parrocchie, monasteri e seminari chiedendo di unirsi tutti, ogni giorno della settimana, alle 21. “La nostra coscienza cristiana ci dice che non possiamo abbassare le braccia. Dobbiamo quindi continuare nella preghiera e nel digiuno. In questo momento assai difficile per la nostra nazione, vi esortiamo a pregare il Signore per la vittoria sulle aggressioni esterne e per la pace nella nostra terra”. Tratto da Agensir

Foto Manna/Peacelink

AL VIA IL PROCESSO ILVA Taranto: 52 imputati e oltre 700 parti lese, per un processo che segnerà la storia

È

iniziato il 19 giugno scorso a Taranto quello che certamente risulterà il più importante processo della storia Repubblicana italiana in tema ambientale. L’aula del tribunale cittadino non sarebbe bastata a contenere tutti, per questo è stato necessario allestire la palestra del comando provinciale dei Vigili del Fuoco di Taranto per contenere la sfilata delle persone coinvolte: 52 imputati e oltre 700 parti lese, con i loro avvocati. Tra gli indagati per associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari, all’omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro, alla corruzione, al falso e all’abuso di ufficio, spiccano i proprietari Riva (Fabio e Nicola), figli di Emilio, deceduto qualche mese fa. Ma il processo coinvolge anche le istituzioni e la politica: dal presidente della Regione Puglia, con alcuni assessori, al sindaco di Taranto, all’ex presidente della Provincia, al dirigente delle autorizzazioni per l’Ambiente. Subito chiesto, da parte di alcuni imputati, il trasferimento del processo, perché “non ci sarebbe il clima di serenità necessario”. Deciderà la Cassazione a Roma. Nel frattempo il GUP Gilli, costituite le parti, ha aggiornato l’udienza il prossimo 16 settembre. Determinate a dare battaglia le parti civili: “Siamo qui perché venga fatta giustizia. Abbiamo perso genitori, figli, mariti, ma pretendiamo che lo Stato ci dia ragione. L’Ilva deve smettere d’inquinare. Non vogliamo piangere altri morti” dicono alcuni familiari delle vittime, che si sono presentati davanti alla palestra adibita ad aula del processo con impressi, su cartelloni, magliette o semplicemente nel proprio cuore, i volti di chi non c’è più, stroncato da malattie che, secondo l’accusa, sono state causate dalle emissioni dovute al mal funzionamento o alla mancata manutenzione degli impianti. Risponde il sub commissario ILVA Edo Ronchi presentando un dossier ad un anno dal commissariamento dell’azienda: “L’Ilva - ha aggiunto - è oggi un’azienda in via di risanamento ambientale, con interventi tutti definiti, progettati e, in parte, realizzati”.

POLMONI D’ACCIAIO

È

un video dei Comboniani in Brasile, realizzato da Luci nel Mondo, che racconta la lotta delle popolazioni a Taranto e in Brasile contro i giganti della metallurgia. Da Taranto ad Açailandia (stato brasiliano del Maranhão) e Rio de Janeiro, tre storie che si intrecciano tra di loro, con un comun denominatore: il poco rispetto dei diritti delle popolazioni che vivono attorno ai mega impianti metallurgici. Guardalo su: http://justicanostrilhos.org/ www.lucinelmondo.it

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In libreria Philip Jenkins Chiesa globale,la nuova mappa Il cristianesimo sfidato dalle periferie Bologna – EMI – 2014 Entro il 2025, il 75% dei cattolici nel mondo sarà noneuropeo. La nuova chiesa globale avrà il suo baricentro in America Latina, Asia e Africa. Cosa comporta questa nuova geografia del cristianesimo? Proprio mentre il «romano» pontefice viene «dalla fine del mondo», l’autore indaga le metamorfosi in atto nella comunità globale dei credenti. Si scopre così che dalle «periferie» può arrivare nuova linfa a un cristianesimo spesso stanco. Il Sud del mondo sarà protagonista di una rinnovata Pentecoste, su scala planetaria. Giovanni Fumagalli La guerra di Yago Bologna – EMI – 2014 Un volenteroso studente della periferia di Kinshasa va scoprendo il dramma, fatto di violenze e di perdita dell’etica, in cui è immerso il suo paese, la Repubblica democratica del Congo. La sua storia si intreccia con quella di Ester, una giovane musulmana, mentre Yago, «Assuero», è cattolico.

Luigi Verdi Mendicanti di luce Risorgere dalle paure Bologna – EMI – 2014 Quanti avevano creduto in Cristo prima della croce, sono rimasti poi attanagliati dalla paura. «Come loro anche noi siamo mendicanti di luce, come loro abbiamo bisogno di una parola che ci scaldi il cuore, di un brivido sulla pelle, di piangere lacrime innamorate». Con parole dolci e forti, grazie alla sua personalissima capacità di ridare corpo e attualità alle pagine del Vangelo, l’autore offre a chi legge − uomini e donne del nostro tempo − alcune meditazioni che fanno rifluire la speranza.

Giulio Albanese Alle periferie del mondo La testimonianza cristiana al passo di papa Francesco Bologna – EMI – 2014 Cosa intende dire papa Francesco quando invita la Chiesa ad andare nelle «periferie esistenziali»? L’autore indaga questa parola-chiave dell’attuale pontificato. Scopriamo così che tali periferie hanno nomi diversi: le regioni delle guerre dimenticate – Somalia, Darfur, Rd Congo... –, le grandi baraccopoli latinoamericane, asiatiche o africane, ma anche condizioni di vita trasversali alla geografi a: i giovani, in particolare gli under 25-30, gli immigrati «irregolari», i pensionati che rovistano nei cassonetti... Sono tutte dimensioni umane in cui l’autore rintraccia il filo rosso della speranza cristiana, capace di dare nuova vita alle periferie del mondo. Paolo Cugini Rivoluzione Quando il Vangelo smuove le montagne Diario di una trasformazione politica nonviolenta nel Nordest brasiliano Bologna – EMI – 2014 L’autore narra, in forma di diario, gli ultimi giorni di un processo elettorale che ha portato cambiamenti politici inattesi in una cittadina dell’interno del Brasile. Questo, grazie all’impegno del locale Movimento Fede e Politica. Un’avventura nella quale p. Cugini, co-protagonista di tale rivoluzione in nome del Vangelo, ha corso seri rischi nel tentativo di sfidare un sistema di potere corrotto. Dal libro emerge anche la quotidianità di un missionario del XXI secolo e la vita concreta di parrocchia in una delle tante «periferie esistenziali» del mondo.

L’opinione

di Maurilio Guasco

DOM TOMÀS BALDUINO

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redo che saranno in molti a scrivere di questo straordinario personaggio, morto il 2 maggio all’età di 91 anni, dopo essere stato per 31 anni vescovo di Goias, in Brasile. Non era raro vederlo agli incontri periodici dei missionari italiani, con il suo stile sobrio, la sua parola sempre misurata ma forte, la sua presenza che avrebbe voluto essere silenziosa, ma non poteva esserlo. Poiché se dom Balduino poteva destare preoccupazioni in certi ambienti, non era certo il caso negli incontri dei missionari. Aveva avuto per anni un collega, dom Geraldo Provença Sigaud, vescovo di Diamantina, noto per essere stato uno dei maggiori oppositori del Concilio e della sua applicazione in diocesi, dal momento che era anche fondatore di uno dei movimenti più integristi che si possa immaginare. Credo che Balduino sia anche stato accusato di eresia da questo collega. Ma dom Balduino aveva altro a cui pensare, con la sua totale immersione nel mondo che aveva scelto, quello degli indigeni poveri e sfruttati, che lo ricordano oggi con un affetto e una venerazione che commuove. Era stato uno dei firmatari della nota dichiarazione di un gruppo di vescovi che in occasione del Concilio avevano promesso che si sarebbero impegnati nelle loro diocesi a dare una testimonianza di vita semplice, di povertà, di rinuncia a tutti i segni di potere. Quasi un anticipo di quanto avrebbe un giorno detto a più riprese papa Francesco. Lui fu uno di quelli che mantennero la promessa, con molti altri: non

saprei dire, e qui la cosa non interessa, quanti siano stati a farlo. Ma quella promessa per Balduino era solo la conferma di quanto stava facendo da sempre. Ogni tanto mi viene in mente la conclusione di un film di Pasolini, La ricotta, che narra di un povero diavolo che deve fare la parte del buon ladrone che chiede al Signore di portarlo in paradiso; ma quando deve dire la famosa frase, tace perché è morto, rovinando lo spettacolo. Ha mangiato troppo prima di salire in croce, non voleva perdere l’occasione di togliersi la fame con il cibo che gli veniva offerto. Qualcuno in quel momento commenta “dovevi morire perché ci accorgessimo che c’eri”. Non è certo il caso di Balduino, almeno per quanti lo hanno conosciuto. Ma per molti altri forse è proprio la sua morte che lo ha fatto conoscere meglio. In fondo, la Chiesa ogni volta ci stupisce; da un lato vi sono ecclesiastici noti che vivono in appartamenti enormi, senza che si capisca cosa ne fanno di tante stanze; altri che entrano in rischiose speculazioni finanziarie, o cose del genere. E solo questi sembrano fare notizia sulla grande stampa. Dall’altro lato vi sono molti preti, suore e laici che nel silenzio si occupano degli ultimi, danno loro una speranza: e non fanno notizia, almeno nei grandi mezzi di comunicazione; e che sono proprio quelli che continuano a rendere credibile la comunità dei credenti e la stessa Chiesa nel suo insieme. Riposa in pace, dom Tomàs.

RINNOVA IL TUO CONTRIBUTO: LEGGI E DIFFONDI NOTICUM Noticum è un’iniziativa editoriale con la quale il CUM vuole raccontare mensilmente al pubblico italiano la missione, i missionari italiani, la vita del CUM. Attraverso Noticum il Centro Unitario Missionario vuole aiutare anche economicamente i bisogni dei missionari italiani e stranieri che entrano in contatto con questo centro di formazione della Chiesa italiana. Noticum si regge unicamente sulle offerte dei suoi lettori. Noticum viene spedito solo a chi, durante l’anno, invia un’offerta. Se non l’hai già fatto, ti invitiamo a usare il conto corrente allegato per inviare un’offerta a sostegno di Noticum per il 2014 e delle iniziative del CUM a favore dei missionari.

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Periodico di formazione sulla missione universale e di informazione sulle realtà del sud del mondo Edito dalla Fondazione Cum - Centro Unitario per la cooperazione Missionaria tra le chiese promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana Direttore responsabile Francesco Ceriotti Direttore Crescenzio Moretti Comitato di Redazione Paolo Annechini, Amedeo Cristino, Giandomenico Tamiozzo, Ugo Piccoli, Beppe Magri

Segreteria CInzia Inguanta Redazione e direzione via Bacilieri 1/a - 37129 Verona Tel. 045 / 8900329 - Fax 045 / 8903199 www.fondazionecum.it e-mail: noticum@fondazionecum.it Impaginazione Francesca Mauli Stampa Stimmgraf - Verona Autorizzazione Tribunale di Verona: N° 1319 del 7/5/1998 Tiratura: 5.000 copie c.c.p.: 18641373


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