Noticum n. 11 - 2014

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NotiCum IL VOLTO DELLA MISSIONE

Periodico edito da Fondazione CUM - Lungadige Attiraglio, 45 - Poste Italiane spa - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Verona In caso di mancato recapito rinviare all’ufficio postale di Verona, detentore del conto, per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa - Taxe perçue

ANNO 52 - n. 11 - NOVEMBRE 2014

I NUOVI LINGUAGGI di Crescenzio Moretti

editoriale

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uardare oltre, prescindendo dalle poche o molte risorse personali, è il modo di essere che caratterizza il missionario. L’ho toccato con mano nei tanti missionari incontrati nel mio girovagare. Anche nel campo comunicazione è fortissimo il desiderio di “andare oltre”, per portare il vangelo in tutte le situazioni. Un piccolo esempio vissuto in prima persona. Nei primi anni ottanta ero a Verona, al CEIAL, rientrato dalla Colombia. Sentii parlare di “Commodore” e di Apple, i primi computer. Non si poteva restarne fuori. Così don Silvano Berlanda, don Pietro Canova ed io, ci accordammo di prendere uno di quei primordiali computer. Tra dieci anni – ci dicevamo – i bambini ci guarderanno come degli analfabeti se non ci mettiamo dentro. Così ci infilammo nel digitale. Non sono certamente un asso nel settore, anche perché il digitale è una strada che ogni giorno presenta una salita nuova ed io, francamente, ormai arranco. Ma ci resto. Mi assilla una domanda: come è cambiata e cambierà la missione nell’epoca del digitale? Pur rispettando i mezzi di comunicazione tradizionali come le radio cattoliche, i giornali, i bollettini, la missione ha bisogno di mezzi di comunicazione adeguati ai tempi. Convinto di questo, a suo tempo, mi detti molto da fare perché sorgesse MISNA, capace di portare il fatto missionario nel gran mondo dell’informazione. Ma coi tempi che corrono e la continua evoluzione, anche MSNA rischia di invecchiare. Il problema non è tanto di risorse (che pure esiste) per stare dietro alla corsa che ha intrapreso il digitale, quanto recepire il linguaggio che direttamente o indirettamente o parallelamente cammina col digitale. «La sfida consiste nell’imparare nuovi modi di parlare di Dio, anche se i pilastri dell’Annuncio del Vangelo restano immutabili». Occorre essere segni della ricerca di Dio e dell’incontro fra Dio e l’umanità. Oltre che di parole

il linguaggio è fatto di gesti: presenza, vicinanza, coinvolgimento. La stanchezza, una certa indifferenza, il rifugiarsi in piccole, obsolete, forme di cooperazione, che ancora caratterizzano molte comunità cristiane, non servono più ad accendere il “fuoco della missione” che Gesù ci manda a fare ardere. «Se la Chiesa non prenderà coscienza dei cambiamenti culturali suscitati dal sistema comunicativo che attualmente conosciamo, troveremo molte difficoltà. Il rischio è quello di ridursi a una ‘setta’, incapace di valicare i confini dei propri affiliati, chiusi entro un recinto di parole e di categorie comprensibili solo dall’interno», producendo così «una comunicazione incapace di mordere la realtà, di toccare le questioni vitali» (Mons. Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali). La «missio ad gentes», con «la sua capacità d’incarnazione», di dialogare con tutti, ha il compito di aiutare le nostre comunità ad intendere ed usare i nuovi linguaggi, stare dentro la vita della gente, nei contesti in cui vive: l’economia, la politica, la giustizia, l’educazione, la produzione». Il digitale, con tutte le sue varianti, è importante per veicolare il Vangelo alla gente del terzo millennio. Quanti messaggi corrono, ogni giorno, attraverso i sistemi digitali? Benedetto XVI e Papa Francesco ci insegnano. Certo, non basta stare dentro al mondo dei media, bisogna starci con un profilo riconoscibile: il contesto pluralistico esige che siamo identificabili. Il Vangelo non può appannarsi. Il digitale è una piazza dove ci siamo tutti, non ci sono più frontiere e il missionario può dialogare con tutti. È una opportunità nuova, impensabile fino a pochi anni fa. Occorre individuare il gesto, la parola, il momento opportuno. Come col digitale, pochi, hanno provocato delle “primavere”, perché noi, portatori del Vangelo, non sorprendiamo il mondo? La sfida è questa: essere dentro il contesto digitale facendo risuonare la parole del Vangelo di cui ciascuno è testimone.

NOTICUM SI SPOSTA SUL DIGITALE

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ari lettori, è giunto il momento di scelte importanti anche per Noticum, lo strumento di comunicazione della Fondazione CUM. Da gennaio 2015 la rivista non sarà più cartacea ma digitale. Vi arriverà direttamente a casa tutti i mesi sul vostro computer sia attraverso il sito della fondazione CUM (www.fondazionecum.it) sia con altri supporti (newsletter o altro) dai quali sarà possibile scaricare di mese in mese il giornale. È una scelta che nasce da vari motivi: i costi di stampa e di spedizione, la riduzione delle offerte che rendono insostenibile procedere con l’edizione cartacea, l’esigenza di approdare verso nuovi strumenti di comunicazione più aderenti alla realtà di oggi per comunicare anche il mondo della missione. Noi vediamo questo passaggio come una opportunità, un “guardare oltre” come dice don Crescenzio nell’editoriale qui a fianco. Si apre una nuova stagione, indubbiamente: noi ci impegniamo ad offrirvi un giornale arricchito con contenuti multimediali (video, foto) che arrivano direttamente dai nostri missionari e che il cartaceo non supportava. Voi, cari lettori, che tutti i mesi ci inviate piccoli segni di partecipazione, continuare a sostenere con le vostre offerte il lavoro di informazione della Fondazione CUM. Mandateci all’indirizzo mail noticum@fondazionecum.it i vostri dati e la vostra mail (e magari anche i dati e la mail di vostri amici) interessati a ricevere dal gennaio 2015 il Noticum digitale.


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I NUOVI LINGUAGGI

primo piano

n.11 - novembre 2014

COMUNICARE: POSSIBILITÀ DI INCONTRO E SOLIDARIETÀ Gli uffici di comunicazione sociale delle diocesi del Triveneto riuniti al CUM

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l Cum di Verona, venerdì 10 ottobre, si è tenuto l’incontro triveneto delle Comunicazioni sociali. 80 partecipanti hanno ascoltato la relazione di monsignor Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della Conferenza Episcopale Italiana, e di Paolo Ruffini, direttore di Tv 2000. I lavori di gruppo si sono svolti in due sessioni, al mattino e al pomeriggio, rispettivamente in gruppi misti e in gruppi di interesse. Il convegno è stato presieduto dall’arcivescovo di Trento Luigi Bressan, vescovo delegato per le comunicazioni sociali, che ha invitato i media cattolici a distinguersi per la sobrietà. Nelle conclusioni, Bressan ha invitato a «non dimenticarsi delle parrocchie, che sono il primo nostro target». Per gli operai della comunicazione sociale è necessario «lo studio delle nuove tecnologie ma anche del pensiero religioso, dell’economia e delle altre culture», assieme alla «costanza della dedizione in mezzo alla quotidianità, anche quando si presentano stanchezza e ostacoli nella realizzazione di un progetto». Un certo ottimismo sulla situazione mediatica attuale si è letto nell’intervento di Ruffini, per il quale «il web ha dato al mondo della comunicazione una creatività che si credeva scomparsa con l’avvento della televisione: il web è un mondo che chiede di collaborare con noi e con le nostre redazioni». Il tema dell’incontro: “Comunicare: possibilità di incontro e solidarietà”, è preso dal messaggio offerto da Papa Francesco per la XLVIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Un importante banco di prova per una rinnovata sinergia da costruire tra testate, uffici, gruppi di lavoro, come ha ricordato don Marco Sanavio, segretario per la comunicazione della Conferenza Episcopale del Triveneto, sarà il Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze e il cammino preparatorio all’evento, che verrà raccontato passo passo (con attenzione alle singole regioni) dal sito http:// www.firenze2015.it/ e dalla rinnovata piattaforma dei vescovi del Triveneto.

Paolo Ruffini /

RECUPERARE L’ASCOLTO

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enso che per comunicare bisogna recuperare la capacità di ascolto. Comunicazione che si fa incontro vuol dire avere delle cose da dire e anche avere cose da ascoltare. Se non recuperiamo la capacità di vedere il nostro prossimo come il buon samaritano che si accorge e si ferma rispetto ad altri che magari pensavano di avere cose più Se non recuperiamo importanti da fare, questo incontro non la capacità di vedere ci sarà mai. Credo che sia molto imporil nostro prossimo come tante per chi fa comunicazione - e per chi il buon samaritano fa comunicazione cattolica in particolare - recuperare questa capacità di dialogo. che si accorge e si ferma Penso che nell’incontro ci sia un arricchirispetto ad altri che magari mento reciproco e che questo non voglia pensavano di avere dire rinunciare alle proprie idee o non cose più importanti sapere cos’è la verità, ma semplicemente da fare, questo incontro vuol dire guardare il mondo con gli occhi che diventa comunicazione di chi crede: questo secondo me è comunon ci sarà mai nicare nell’incontro e nel dialogo.

Mons. Domenico Pompili /

IL RUOLO DELLA STAMPA MISSIONARIA

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a stampa missionaria, ma direi più in generale la comunicazione missionaria, ha sempre avuto un target rilevante e un compito originale che è quello di allargare la comunicazione ecclesiale sul mondo. Parliamo quotidianamente di globalizzazione, credo che la dimensione missionaria sia quella più adeguata per rendere conto di come viviamo realmente dentro un villaggio dove quello che accade in una parte del globo rifluisce in senso positivo o negativo sull’altra parte del globo stesso. Credo che la dimensione missionaria, e l’informazione ad essa relativa, abbia ancora una grande importanza, però sono altretSono convinto tanto convinto che in questo momento che la stampa missionaria debba superare la stagione pioneristica debba superare la stagione legata al suo mondo e ai mezzi che aveva pioneristica legata a disposizione e trovare invece una conal suo mondo e ai mezzi vergenza tra i diversi linguaggi e anche che aveva a disposizione tra le diverse iniziative. È troppo impore trovare una convergenza tante quello che la missione offre al nostro mondo per poter essere indebolito tra i diversi linguaggi da divisioni, moltiplicazioni o da una non e tra le diverse iniziative perfetta capacità di sinergia.

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I NUOVI LINGUAGGI

FINE DI UN’EPOCA O INIZIO DI UNA NUOVA? Il presente ci interroga: siamo ancora capaci di leggere il Vangelo nelle trame della storia? di don Alberto Reani - fidei donum in Jatobà (Brasile)

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n un colloquio che ho avuto in una comunità alcuni sostenevano che ci troviamo alla fine di un’epoca. Io ricordavo quello che i vescovi dell’America Latina riuniti a São Paulo dicevano: stiamo all’inizio di una nuova epoca. E ci chiedevamo: che epoca è questa? Ai tempi del Concilio si diceva quanto era importante saper interpretare i “segni dei tempi” per non cadere nella tentazione di lamentarsi del presente e rinchiudersi nel passato. Alla fine, tutte le epoche hanno cose bellissime e cose pessime ma, come suggerisce il Vangelo, l’uomo saggio sa prendere dal suo baule cose nuove e cose antiche. San Policarpo incentiva i filippesi a leggere le lettere di San Paolo: “se le leggete con attenzione sarete edificati nella fede che vi è stata data. La fede è la madre di tutti noi (Gal 4,26), seguita dalla speranza e preceduta dalla carità in Dio, in Cristo e nel prossimo. Chi è avvolto in loro compie il comandamento della giustizia, perché chi ha la carità mantiene lontano da sé il peccato. La radice del peccato è l’ansia di possedere (1Tim 6,10).” Riflettevo sulle tante cose che succedono al mondo: rivoluzioni e guerre come non abbiamo visto mai (forse peggio delle guerre mondiali); guerre di religione (o tribali?); terrorismo e estremismo; disoccupazione, individualismo/egoismo, paura e disperazione. Le nuove tecnologie producono un

impatto decisivo nell’umanità e un proprio concetto di “essere umani”. Come muoverci in questa realtà? A cosa siamo chiamati come Chiesa, come discepoli di Gesù? Quale dev’essere la nostra testimonianza per essere sale e lievito? Quali sono i cammini per arrivare alla realizzazione del Regno promesso all’umanità? Una teologa brasiliana (Maria Clara Lucchetti Bingemer) dice: «Tutto questo stato di cose interpella profondamente il cristianesimo storico, fortemente basato sull’essere umano e con il suo centro nel mistero dell’incarnazione». Parla di «riconfigurazione dell’essere umano», svela il grande pericolo della disumanizzazione e un progetto in atto: un mercato globale fatto per un nuovo soggetto... il consumatore. A ben pensare, pare che l’interesse globale sull’umanità sia fare di tutti noi dei consumatori non pensanti, acritici, isolati e non coinvolti nel cammino dell’umanità (non responsabili, non partecipanti e non preoccupati). Il terrorismo televisivo fatto di notizie sempre allarmanti e negative, quando non ci lascia esterrefatti e incapaci di reazione, ci può provocare reazioni di nuova violenza: vendetta, punizione, rabbia. In questa situazione ripeto quello che Policarpo diceva: chi è avvolto (coinvolto) con fede, speranza e carità (quest’ultima precede le prime due) compie il comandamento della giustizia e mantiene lontano il peccato.

primo piano

n.11 - novembre 2014

MI PREOCCUPO! Mi viene alla mente un motto di anni fa: mi preoccupo. Mi preoccupo dei giovani che non hanno l’esempio degli adulti, ma che sono strumentalizzati e orientati anche da una feroce e deviata comunicazione ad essere i primi consumatori, per essere in seguito giudicati incapaci, dipendenti, fragili... Mi preoccupo dei vecchi che sono visti un peso per quella società che pretende evitare spese inutili (quelle pubbliche), per sviare i soldi in quello che è considerato investimento (pubblico, ma non sociale). Mi preoccupo delle fasce sociali marginalizzate dalla società del benessere/benestare per essere differenti o per fare scelte controcorrente e per questo viste come una minaccia per la società dei consumi. Penso in questo caso specialmente alle popolazioni indigene di tutto il mondo. Mi preoccupo per tutte queste guerre e per la mancanza o incapacità di dialogo e di mezzi istituzionali e pacifici per risolvere i conflitti. Mi preoccupo per la mancanza di informazione (in un’epoca in cui i mezzi di comunicazione sociale sono a disposizione delle grandi masse) perché le “fonti” sono molte volte inquinate, contaminate da interessi privati o di parte. Mi preoccupa il fatto che è sempre più difficile riunire le persone per formare gruppi di studio o di scambio di opinione. Mi preoccupa vedere noi cristiani incapaci di leggere il Vangelo e la Parola di Dio nelle trame della storia, per riconoscere i nuovi cammini che Dio apre e ci chiede di percorrere. Mi preoccupa l’insensibilità e l’incapacità degli uomini, cristiani in prima fila, di ascoltare il soffio dello Spirito.

Parole di Vangelo

“ECCO, IO FACCIO OGNI COSA NUOVA”

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l Vangelo di Gesù è la grande e definitiva novità per il mondo. Lo è stato fin dall’inizio e continuerà a esserlo fino alla fine della storia umana. Il Vangelo infatti, pur assumendo nuovi linguaggi e nuovi modi di dire, porta in sé stesso la novità. Il Vangelo è come il lievito che fa fermentare la massa, come il sale che dà sapore al cibo, come la luce che illumina le tenebre. Il Vangelo non perderà mai il suo sapore né la sua forza purificatrice e illuminante. San Paolo ne era così convinto, che nella lettera ai Galati scrive: “se anche noi stessi, oppure un angelo del cielo vi annunciasse un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anatema! Ve lo abbiamo detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi annuncia un Vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema!” (Gàlati 1,8s). Una delle espressioni massime della novità del Vangelo, la troviamo nel Discorso della Montagna riportato dall’evangelista Matteo nei capitoli 5-6-7. Non entriamo nell’analisi delle cosiddette Beatitudini, che aprono il Discorso della Montagna e che sono considerate la costituzione del cristiano, la via maestra del discepolo di Cristo, perché nelle beatitudini si riflette la sua vera identità. Gesù è lui, l’Uomo delle beatitudini, l’Uomo Nuovo, il Nuovo Adamo, l’Uomo Perfetto, l’Uomo mite e umile per eccellenza, il vero costruttore della pace, dal cuore misericordioso e puro, difensore della giustizia e vittima innocente di ogni forma di violenza. Per capire la novità del Discorso della Montagna, sarebbe sufficiente citare quella formula che Gesù stesso usa nel comparare il suo insegnamento con la legge di Mosè: “Vi fu detto, ma Io vi dico… È stato scritto, ma Io vi dico…”. La novità è Gesù, che porta a perfezione l’antica legge mosaica, già di per sé espressione significativa di una religione in via di sviluppo. Ma è leggendo le pagine del Vangelo, che ogni uomo di buona volontà capisce quale sia la strada per una novità di vita. Gli sforzi della letteratura cristiana contemporanea, delle nuove traduzioni della Bibbia in lingua corrente, le possibilità televisive e telematiche, le espressioni molteplici delle arti, dalla musica alla pittura, dalla danza alla scultura, sono dei grossi aiuti per diffondere la Buona Novella. Ma è la buona novella stessa, è Gesù stesso

di Giandomenico Tamiozzo

(Ap. 21,5)

la grande novità. È l’incontro con Lui e con la sua parola che fa nuove tutte le cose. Non esiste uno sviluppo automatico dell’umanità né un crescendo spontaneo di civilizzazione, e nemmeno un processo di santificazione personale, senza un riferimento alla perenne perfezione della Parola di Dio, accolta da una mente che si lascia educare e da un cuore che si lascia illuminare dallo Spirito di Gesù. Qualcuno ha scritto: “chi segue il Vangelo non solo è un buon cristiano, ma anche un perfetto cittadino”. Ogni persona, ogni gruppo umano e religioso, ogni generazione, ha bisogno di risentire e di fare propria la novità dell’evangelo di Cristo, a rischio di perdersi nei meandri delle tenebre che spesso fanno visita all’esperienza umana personale o sociale. “Vi fu detto”, “dentro di voi sentite”, “attorno a voi viene sussurrato”, “ma Io vi dico”: “chi segue me non cammina nelle tenebre e non inciampa, perché Io sono la Luce del mondo”. Il mandato missionario di Gesù di andare in tutto il mondo e fare discepoli del Vangelo tutte le genti, si basa su tale certezza. La Chiesa è convinta che il dono migliore che possa fare al mondo è il Vangelo di Gesù. L’Evangelii Gaudium di Papa Francesco la dice lunga in questa prospettiva: la novità è sempre la fedeltà al Vangelo, al rimescolarlo nella nostra vita personale ed ecclesiale. La Chiesa non fa altro che attualizzare la perenne verità evangelica. Lo abbiamo sentito anche recentemente nell’intervento di papa Francesco nella veglia di preghiera in apertura del Sinodo sulla famiglia, quando Papa Francesco ricordava i cardini della visione cristiana della famiglia: “È significativo come - anche nella cultura individualista che snatura e rende effimeri i legami - in ogni nato di donna rimanga vivo un bisogno essenziale di stabilità, di una porta aperta, di qualcuno con cui intessere e condividere il racconto della vita, di una storia a cui appartenere. La comunione di vita assunta dagli sposi, la loro apertura al dono della vita, la custodia reciproca, l’incontro e la memoria delle generazioni, l’accompagnamento educativo, la trasmissione della fede cristiana ai figli…: con tutto questo la famiglia continua a essere scuola senza pari di umanità, contributo indispensabile a una società giusta e solidale” (E.G. 66-68).

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I NUOVI LINGUAGGI

n.11 - novembre 2014

rubriche

MISSIONARI DELL’INCONTRO Caro Centro Missionario Diocesano, tra pochi giorni (20-23 novembre) ci sarà il Convegno Missionario Nazionale. Ho pensato di scrivere delle riflessioni, a mo’ di lettera-dialogo, con i personaggi biblici che sono le icone del convegno: Mosè, Gesù San Paolo e Giona... Quella che vi presento è una lettera-dialogo con Gesù.

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arissimo Gesù, che gioia vederti presente in questo IV Convegno Missionario della Chiesa Italiana. Non potevi mancare. Tu, il Signore, tu, il Fratello maggiore! Eccole qui tutte le forze missionarie delle Chiese italiane, riunite in assemblea: i Centri Missionari, laboratori di ricerca e di nuove sperimentazioni, capaci di animare e re-inventare la missione; gli istituti missionari e/o religiosi, chiamati ad espandersi sulle strade del mondo con rinnovato fervore. Ci sono pure i sacerdoti e laici “fidei donum”, impegnati nelle periferie delle metropoli, all’ombra dei grandi grattacieli o fra il formicaio degli slums e delle favelas. Inoltre sono presenti molte persone che, quotidianamente impegnate in piccoli gruppi missionari, cercano di trasformare la missione da “aiuto umanitario al terzo mondo” a impegno di incontro e dialogo con tutte quelle “genti” che attendono la Buona Notizia della vita. Tutti e tutte persone preziose ai tuoi occhi e al tuo cuore; senza di loro la tua Parola rimane muta e imprigionata fra le quattro sacre mura delle nostre splendide chiese. Con i loro piedi tu percorri il mondo, con le loro mani tu accarezzi le ferite, con i loro occhi tu diffondi sguardi di misericordia, con i loro orecchi tu ascolti il grido di molti, e con il loro cuore tu ami questa umanità a te tanto cara. Non sono perfetti, né vogliono essere considerati i migliori, ma sono i tuoi missionari e le tue missionarie. Caro Gesù, avendo imparato dalla Chiesa latino-americana che tu sei “l’amico che vive con noi e colui che ci forma per la vita”, possiamo chiederti qualche suggerimento per essere veramente tuoi discepoli missionari, servitori del tuo Regno?

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arissimo missionario e missionaria, ben volentieri sto in mezzo a voi, riuniti a Sacrofano; il mio sguardo percorre questa meravigliosa assemblea e si posa sui vostri volti, sorridenti per giovanili entusiasmi o sereni per i lunghi anni già percorsi. Sai, è da molto tempo che, su invito di mio Padre, creatore e custode dell’universo, sono sceso sulla tua piccola terra. Sono venuto per incontrarvi. Ecco, incontrare è la mia missione. La nostra Famiglia divina, Trinità d’amore, è preoccupata perché fra gli umani il desiderio di possedere è grande e l’amore è piccolo. Metà del mondo soffre la fame e l’altra metà ha paura della morte. La “pazza saggezza” del Vangelo ha pochi alunni che la prendono sul serio; e la “signora povertà”, perfetta allegria, si trova più scritta sui libri che nelle vostre vite. Ci sono molte strade che portano a Roma, ma Betlemme e il Calvario sono scomparsi dalle mappe. La madre natura piange, immersa da nuvole inquinanti, uccelli e fiori muoiono di tristezza. Il mondo è così invecchiato che occorre farne uno nuovo! Quei tre anni della mia vita pubblica sulla terra sono stati un incontro continuo: non possedevo casa per incontrare i senza tetto; non portavo con me ricchezze, per incontrare chi ha solo due spiccioli per vivere, o forse nemmeno quelli; non avevo una forte organizzazione alle mie spalle, per incontrare chi è debole e sprovveduto; non avevo scuole teologiche o trattati umanistici, per poter incontrare chi viene schiacciato dai mille discorsi degli intellettuali di turno. Senza potere e senza denaro sono venuto in

IV CONVEGNO MISSIONARIO NAZIONALE “ALZATI, VA’ A NINIVE, LA GRANDE CITTÀ” Giovedì 20 novembre USCIRE • Nel pomeriggio: Arrivi e sistemazione • Liturgia della Parola e Inaugurazione del Convegno • “Fu rivolta a Giona questa Parola del Signore” RELAZIONI BIBLICHE: “Alzati, e va’ a Ninive” – Là dove Dio chiama S. E. Mons. Ambrogio Spreafico “Passando in mezzo a loro, se ne andò” – Missione oltre i confini Suor Antonietta Potente • Interventi in sala • Cena – Serata di presentazione tra i partecipanti Venerdì 21 novembre INCONTRARE • Preghiera del mattino • “Ninive era una città molto grande” ANALISI SOCIOLOGICA: “Annunciare nella città, oggi”. Rilettura/analisi contributi della fase preparatoria alla luce della situazione socio-culturale attuale Prof. Aloisi Tosolini, filosofo e pedagogista RELAZIONE ANTROPOLOGICA: "Stare a Ninive”: la città luogo d’incontro con la Grazia (tra crisi e opportunità) Proff. Mauro Magatti e Chiara Giaccardi, sociologi e docenti universitari • Interventi in sala • Pranzo • Nel pomeriggio: laboratori di studio e di proposta pastorale • Celebrazione Eucaristica • Cena – Spettacolo musicale “Dove il Vangelo si fa incontro”

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Racconti di un Fidei Donum di don Felice Tenero - Già missionario Fidei Donum in Brasile

mezzo a voi per incontrarvi e parlarvi di quel mio Papà che tanto vi ama. Ora tu, missionario e missionaria sei il mio testimone, continua la mia missione. Ti chiedo di saper incontrare, di fare della tua vita un incontro, di percorrere strade e paesi, città e periferie per incontrare. L’incontro è la prima condizione per rifare l’umanità. L’incontrare e il vivere profonde relazioni interpersonali è strada maestra per l’evangelizzazione. Oggi vi è un grande bisogno di incontrare i giovani. È necessario lasciare da parte critiche e lamentele e scendere in mezzo a loro, visitare i loro spazi e conoscere i loro sogni. I giovani sono così, agiscono senza pensare, pensano dopo aver agito. Agiscono per impulso, senza paura di ciò che possono sentire. Hanno volontà di gridare e paura di non farcela. Hanno desiderio di piangere e timore di pentirsene. D’altra parte, la grande ricchezza di essere giovane è la speranza. Il giovane ha speranza, si impegna e vuole cambiare questa società. Anche se i risultati sono piccoli, vi sono giovani che fanno sentire la loro voce e si rimboccano le maniche. Sapremo come Chiesa accogliere queste sfide giovanili? Sapremo come mondo missionario rispondere a questo variegato pianeta giovanile? Oggi vi è una grande necessità di incontrare gli anziani. La vita si allunga, ne sono contento, ma spesso non viene accompagnata da una dovuta attenzione. Quanti anziani abbandonati, soli, o anche maltrattati, ‘prigionieri’ fra le proprie pareti domestiche. Incontrarli e dare loro speranza è gesto missionario. Sapremo come chiesa stare al loro fianco, pronti a sorreggerli nel loro incerto e claudicante camminare? E poi è essenziale, fa parte dell’essenza del discepolo, incontrare per accogliere e valorizzare l’alterità. So che è una grande sfida. Spesso, lungo i secoli i miei ‘discepoli’ sono saliti sulla cattedra per imporre, creare unicità, eliminare diversità; ora un autentico spirito missionario chiede di salire in cattedra per ricordare a noi stessi che dobbiamo guardare le cose sempre da angolazioni diverse. Meglio ancora, un vero missionario scende dalla cattedra per accogliere il diverso, l’altro da me, come contributo decisivo per la mia crescita e per la costruzione di un nuovo modo di vivere. Essere missionari per edificare una civiltà del dialogo e dell’incontro è saper dire ogni giorno: “Nella mia città, nessuno è straniero!”. Infine, ti chiedo, affettuosamente, di incontrare per scoprire la bellezza di autentiche relazioni interpersonali. E qui aggiungo una testimonianza. Ho visto in terra brasiliana persone che visitano e passano di casa in casa, a volte percorrono chilometri per animare una famiglia e dare una parola di speranza annunciando che Gesù è loro amico. Visitano i malati, incoraggiano gli anziani, riuniscono i giovani e stimolano la gente a riunirsi per, insieme, trovare vie di soluzione ai loro problemi e alle situazioni di ingiustizia e di violenza che vivono quotidianamente. Sono autentici missionari! Sono le colonne e il futuro di questa Chiesa! La loro presenza rende vere e autentiche le mie parole: “Ti ringrazio, o Padre, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25). Per questo, carissimo missionario e missionaria, nel tuo percorrere i sentieri del mondo, ti consiglio di non portare solo uno spirito di fede, che tutto vince, supera e sublima; porta pure con te un cuore aperto al dialogo, alla solidarietà e al rispetto. E sii un autentico missionario e missionaria dell’incontro. Buon cammino!

SACROFANO - ROMA 20-23 NOVEMBRE 2014

programma www.cmsacrofano.it

Sabato 22 novembre DONARSI • Udienza particolare con il Santo Padre Francesco presso il Vaticano • Santa Messa nella Basilica di San Pietro • Ritorno a Sacrofano e pranzo • Nel pomeriggio: “Tu sei un Dio misericordioso e clemente” RELAZIONE TEOLOGICO - PASTORALE: “Il Dio del per-dono”: dono ricevuto e testimonianza cristiana attiva nella città e nel mondo P. Gustavo Gutierrez • Interventi in sala • “Tu hai ascoltato la mia voce” - I parte TESTIMONIANZE E VOCI DALLA MISSIONE • Cena • “Tu hai ascoltato la mia voce” - II parte Domenica 23 novembre RIPARTIRE • Preghiera del mattino • "Annunzia loro quanto ti dirò" PER UN RINNOVATO IMPEGNO MISSIONARIO "LONTANO" E "AI LONTANI" DELLE NOSTRE COMUNITÀ CRISTIANE Linee e orientamenti pastorali a cura della Commissione Episcopale per l'Evangelizzazione dei Popoli e la Cooperazione tra le Chiese • Conclusioni • Celebrazione eucaristica finale e Mandato Missionario per le Chiese che sono in Italia


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I NUOVI LINGUAGGI

MISSIONE COME PARADIGMA DELLA VITA CRISTIANA

La dimensione missionaria non è un’opzione da relegare a una sola parte di Chiesa di Paolo Cugini - Prete di Reggio Emilia - Già fidei donum in Brasile

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he cosa significa affermare che la missionarietà non è una dimensione programmatica, ma paradigmatica della vita cristiana? Significa che la dimensione missionaria della chiesa, di una parrocchia o di una comunità che s’ispira al Vangelo, non è un elemento esterno o un elemento in più, che s’identifica con il gruppo missionario o, a livello diocesano, con il Centro Diocesano. È questa una visione parziale e riduttiva della Chiesa, che per sua natura è missionaria, cioè per sua natura, per il fatto che ascolta il Vangelo di Gesù e si sforza di viverlo, sente immediatamente il desiderio di comunicarlo, di uscire, di andare fuori. Questo è il senso della parrocchia che è pellegrina e straniera in un territorio e si sforza di pensare percorsi nuovi di evangelizzazione. Missione allora, indica un primo movimento che dall’interno porta all’esterno, che dalla comunità conduce verso il territorio, che dall’incontro con la persona di Gesù Cristo, si muove verso l’incontro con le persone. La missionarietà come paradigma della vita cristiana rivela che la vita di comunità non può mai essere fine a stessa, e quindi non può identificarsi con un perimetro, il perimetro della mia parrocchia, del mio oratorio, della mia chiesa, non può identificarsi con il campanile. Ogni chiusura è sintomo di una paura e, quindi, di una mancanza di fede, di fiducia in quel Signore che si dice di seguire. L’insistenza a costruire strutture parrocchiali rivela una incapacità di vedere dove sta andando il mondo, una chiusura nei confronti delle sfide che la cultura postmoderna sta lanciando alla chiesa. Si continuano a costruire castelli, accumulando debiti, ingessando tutta la pastorale nella raccolta di fondi per pagare delle strutture che, spesso e volentieri, rimangono semi vuote. Abituati ad indentificare l’evangelizzazione con l’attesa delle persone dentro dei perimetri predefiniti, si fa fatica a pensare a qualcosa di diverso, a prendere sul serio il Vangelo che esige il cammino opposto: uscire.

LA COMUNIONE Quali sono, allora, i contenuti di questo paradigma che segna la vita cristiana? In primo luogo la comunione. La missionarietà non è mai l’esperienza di qualcuno isolato, di qualcuno con una particolare sensibilità, ma di una comunità. Comunione significa apprendere a lavorare assieme e a valorizzare le potenzialità, le qualità, i carismi di coloro che vivono in comunità. La comunione affinché sia vissuta, esige l’uscita dalle forme autoritarie e dall’autoreferenzialità, che distorce il cammino d’insieme. La comunione è anche il Segno della presenza di Gesù nella storia, che non ha annunciato il vangelo da solo, ma nella compagnia di fratelli e sorelle. Comunione significa anche condivisione delle responsabilità, uscita dagli schemi autoritari e paternalisti che non trovano riscontro nel Vangelo.

grandi temi

n.11 - novembre 2014

IL DIALOGO In secondo luogo il dialogo. Il dialogo, quando è autentico esige l’ascolto, l’attenzione all’interlocutore. E allora si scopre, seguendo questo cammino, che c’è uno sguardo diverso sul mondo e sulla Chiesa. Perché un conto è guardare e pensare la Chiesa a partire da dentro, da dentro il perimetro. Tutto un altro sguardo e, quindi, un altro pensiero sulla Chiesa lo si ottiene guardandola da fuori, pensandola dalla piazza, dalla stazione, dalla periferia, dalle strade. Pensare la chiesa a partire dal mondo è uno dei frutti maturi della missionarietà, dell’uscire dalle fortezze per mettere la testa fuori dalle protezioni. E allora si scopre che c’è un mondo nuovo, un pensiero diverso, perché diversa è la prospettiva dello sguardo. Non si tratta semplicemente di sguardi diversi prodotti da luoghi diversi, ma anche dalle persone diverse che s’incontrano fuori dalla fortezza-Chiesa. È lo sguardo delle tante persone che nel tempo si sono allontanate dalla Chiesa, lo sguardo degli stranieri, dei poveri, delle persone di religione diversa, dei disoccupati, delle tante donne che non s’identificano con una struttura patriarcale e maschilista come la Chiesa. ANNUNCIARE La missionarietà, in terzo luogo, l’andare ad annunciare il Vangelo fuori dai soliti perimetri, non conduce solamente a scoprire sguardi e pensieri diversi su ciò in cui si è sempre vissuto, ma anche a scoprire qualcosa di nuovo. È quello che mi è successo andando in Brasile dove ho scoperto un modo diverso di essere Chiesa. Ho scoperto uno stile ed un cammino di Chiesa che è nato dal basso, e cioè non è stato pensato dall’alto, non è stata una scelta di vescovi o preti, ma è sorto dal desiderio di pregare assieme, di leggere assieme la Parola di Dio, di trasformare il mondo con la forza del Vangelo. Ho scoperto una Chiesa che cammina non con documenti che piovono dall’alto, ma con momenti assembleari nei quali tutti sono coinvolti e tutti hanno il diritto di prendere la parola. È la Chiesa missionaria e povera che sogna papa Francesco e che lui stesso ha già sperimentato nella sua Argentina. Ed è questo cammino di Chiesa scoperto in terre lontane che desidero condividere con la nuova comunità incontrata in questi mesi.

L’INCONTRO DEI MISSIONARI ITALIANI IN THAILANDIA Don Attilio de Battisti - Fidei donum di Padova in Thailandia

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i è svolto tra il 16 e il 18 settembre 2014 il secondo meeting dei missionari stranieri che prestano il loro servizio presso la diocesi di Chiang Mai. L’incontro, promosso dall’Ufficio Missionario di Chiang Mai, ha permesso ai 24 partecipanti, in rappresentanza dei 64 missionari provenienti da 15 nazioni diverse, di rafforzare il loro legame con la Diocesi e con la società thailandese oltre che consolidare l’amicizia e la collaborazione tra le differenti congregazioni. Le strutture diocesane hanno accolto i religiosi/e e i laici che hanno così vissuto un momento di aggiornamento, di preghiera, di scambio e fraternità. Temi forti del meeting sono stati la situazione socio-politica attuale della Thailandia e l’Esortazione Apostolica “Evangelii Nuntiandi” di Paolo VI. Padre Niphot, il primo sacerdote della Diocesi di Chiang Mai, nonchè responsabile del Centro di Ricerca e Formazione Religioso e Culturale della Diocesi, ci ha aiutato a comprendere l’origine dell’attuale crisi sociale e politica invitando ad andare oltre le questioni di cronaca e intravedere l’ideologia economico-consumistica che innerva le scelte attuali. Facendo ricorso a parecchio materiale pubblicato anche dalla FABC (Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia) ci ha esortato a un maggior lavoro di inculturazione, attenti anche alla visione olistica della realtà presente nelle popolazioni del Nord. Riguardo il documento papale sull’Evangelizzazione nei tempi moderni si è voluto sottolineare la finalità prima della missione che è il costituire una “Chiesa locale

matura” e la “gerarchia delle verità” da proclamare, riflessione questa importante per accompagnare la riflessione diocesana sull’iniziazione cristiana degli adulti (oggetto del piano pastorale 2014) e sul processo formativo da mettere in atto per generare i nuovi cristiani. L’incontro, sollecitato dagli stessi missionari nell’edizione precedente, ha goduto di un clima semplice e spontaneo costituito anche da momenti di preghiera e di lavori di gruppo. La presenza del Vescovo Francesco Saverio Virà, che ha presieduto la Santa Messa del 17 settembre, ha ulteriormente arricchito il valore del nostro ritrovarci come “collaboratori della diocesi”.

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I NUOVI LINGUAGGI

attività

n.11 - novembre 2014

NUOVI MISSIONARI PER LA CHIESA ITALIANA Concluso il corso partenti al CUM di Verona di Paolo Annechini

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i è concluso sabato 11 ottobre scorso a Verona l’98° corso partenti America Latina e il 68° corso Africa. 40 i partecipanti per le due destinazioni, provenienti da diocesi, istituti religiosi, associazioni laicali. Nelle cinque settimane di formazione nel corso al Centro Unitario Missionario della Conferenza Episcopale Italiana a Verona i corsisti hanno potuto approfondire le tematiche legate alla missione, alla conoscenza dei Paesi di destinazione, soprattutto hanno sperimentato le dinamiche del vivere assieme, del pregare assieme, del fare comunità. Partire per la missione, ripete spesso il direttore don Amedeo Cristino, non inizia quando si arriva a destinazione ma quando si inizia la preparazione, perché è dalla preparazione che si mettono le basi di un certo modo di stare in missione. Il gruppo dei corsisti a metà cammino ha avuto la visita del segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, mons. Galantino, che ha ricordato come la missione per la Chiesa italiana non è una caratteristica per pochi, ma è uno degli aspetti fondanti la Chiesa stessa. Una diocesi che sa inviare ad gentes, ha ricordato mons. Galantino, “dimostra freschezza pastorale e visione per il futuro”. Se la missione è “Gesù Cristo che ti prende per mano e ti conduce verso i suoi progetti”, come ha sottolineato un corsista in una delle verifiche del cammino formativo, allora sono molte le storie particolari tra i 40 corsisti presenti al CUM nelle settimane appena passate. Quella di Paolo Grandini, di Crema, è tra queste. Fino a 20 anni vita molto lontana dalla Chiesa, quasi da bullo di paese. Poi l’incontro con i Fratelli di san Francesco, “venuti a predicare degli incontri ai giovani del mio paese”, lo scontro cercato da Paolo, la misericordia mostrata dal frate che lo ha cambiato per sempre. Entra nella congregazione di quel frate e sceglie la missione in Camerun. Roberta Balestri è un vigile urbano di Lucca che, raggiunto un certo percorso della sua vita, si chiede cosa fare, per quale progetto spendere i prossimi anni. Si avvicina al sud del mondo e parte con il Centro Missionario della sua diocesi per il Rwanda. Fabio Fanton con la moglie Ilaria e i figli Tommaso e Edoardo, di Padova, è figlio d’arte. I suoi genitori sono stati missionari in Ecuador, la missione è sempre stata di casa nella sua vita e nella vita della famiglia che con Ilaria ha formato: partono per il Kenya. Nel gruppo ci sono anche due barlettani: don Vito Carpentiere e don Domenico Pierro, con destinazione Uganda. Alle esequie di p. Raffaele Di Bari, comboniano di Barletta, ucciso in Uganda dopo aver speso una vita a difendere i più deboli, alla

sollecitazione a continuare da parte di Barletta l’attenzione verso l’Uganda, si sono sentiti chiamati: “tocca a me” racconta don Vito. Don Mauro Polo, della diocesi di Treviso, va in Ciad a continuare un impegno che la diocesi veneta porta avanti da diversi anni. Brai Priya, nata in India, adottata da una famiglia milanese, parte con l’ALP, l’associazione Laicale del Pime, per la Guinea Bissau: “voglio ridare un poco di quello che ho ricevuto!”. Federica Maifredi con Emanuele Passeri e la moglie Martina, del Centro Missionario di Brescia, vanno in Togo nel villaggio di Amakpapé con la comunità missionaria Grandi Cuori, che si ispira al carisma canossiano. Nutrita la flotta da Reggio Emilia: Elisabetta Angelucci, laica, giornalista, si recherà nel vicariato apostolico di Aysèn, Patagonia cilena, chiamata dal vescovo Luis Infanti de la Mora ad occuparsi di comunicazione in questo angolo di mondo dove gli interessi delle multinazionali sulle immense riserve di acqua portano a duri scontri con la popolazione locale; don Gabriele Burani e don Luca Grassi vanno nella Bahia, Brasile, terra da molti anni frequentata dalla diocesi emiliana. Come pure interessanti sono i laici di Bergamo e Biella con destinazione Bolivia: Marco, Marta e Marino, convinti di lasciare il lavoro per “spendere al meglio alcuni anni preziosi della loro vita”. Al corso a Verona era presente anche la missione “sud-sud”, ovvero di preti o suore del sud del mondo, di congregazioni italiane o fortemente radicate in Italia: è il caso di Jakobus Ginting, frate minore conventuale, indonesiano, in partenza per il Cile, oppure di p. Eric Fru, camerunense dei Figli dell’Immacolata Concezione, in partenza per il Messico dopo la preparazione in Italia.

LA COMUNICAZIONE DELLE DIOCESI DEL TRIVENETO AL CUM Calendario attività 2014 2 – 8 novembre CORSO PER MISSIONARI/E RIENTRATI (in collaborazione tra CIMI-SUAM-USMI) Seminario rivolto a fidei donum, religiose/i e laici.

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i è tenuto al Cum di Verona il 10 ottobre scorso l’incontro degli Uffici di Comunicazione Sociale del Triveneto. Alla presenza di mons. Domenico Pompili, responsabile dell’Ufficio Comunicazioni Sociali della Cei, mons. Luigi Bressan, vescovo di Trento e incaricato del settore per la CET, Conferenza Episcopale del Triveneto, e Paolo Ruffini, direttore di TV2000, si è dibattuto il tema “Comunicazione: possibilità di incontro e solidarietà”. Vedi sul sito www.fondazionecum.it le interviste e i commenti all’evento.


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L’IRAK E L’AVANZATA AL NORD DELL’ISIS

lettere

n.11 - novembre 2014

La drammatica testimonianza delle Suore Domenicane tra i cristiani perseguitati per la loro fede IRAK

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24 agosto 2014

arissimi, continuiamo a condividere con voi la lotta di ogni giorno con la speranza che il nostro grido possa essere ascoltato in tutto il mondo. Siamo come l’uomo cieco di Gerico (Mc 10, 46-52) al quale non restava che la sua voce per implorare misericordia da Gesù. Sebbene alcuni lo hanno ignorato, altri invece lo hanno ascoltato e aiutato. Noi abbiamo bisogno di persone che ci sappiano ascoltare. Stiamo iniziando a vivere la terza settimana di spostamenti. Le cose qui si muovono molto lentamente per quello che riguarda dare asilo, alimenti e cose di estrema necessità per la gente. Ci sono persone che ancora vivono per strada. Non ci sono ancora accampamenti organizzati, al di là delle scuole che si usano come centri per i rifugiati. Un edificio di tre piani ancora da terminare, è stato usato come abitazione. Per difendere la propria intimità, in questo edificio non ancora terminato, le famiglie hanno diviso gli spazi con cartoni e con plastica. Queste abitazioni assomigliano a stalle. Tutti noi ci facciamo la stessa domanda: c’è in vista un termine per questa situazione? Apprezziamo tutti gli sforzi che si son fatti per aiutare le persone rifugiate; tuttavia c’è da tener in conto che il dare gli alimenti non è l’unico bisogno impellente che la situazione richiede. Il problema è molto più grande. Stiamo parlando di due minoranze religiose, i cristiani e i mazdeisti, che hanno perso tutto: terre, case, le loro cose personali, il lavoro, i soldi: alcuni sono stati separati dai loro familiari e dalle persone care e tutti sono perseguitati a causa della loro fede. I responsabili della nostra Chiesa stanno facendo quanto possono per risolvere i vari problemi. Si sono riuniti con i responsabili politici e con i presidenti dell’Irak e del Kurdistan: però le varie iniziative che si sono realizzate sono di scarsa incidenza e fatte con lentezza. In realtà tutte le riunione politiche sono terminate con un nulla di fatto. Fino ad ora non si è giunti a nessuna soluzione rispetto alle minoranze dei rifugiati. Per questo motivo si è perso del tutto la fiducia nei capi politici. È troppo gravosa la sofferenza. Ieri un giovane ha detto che preferisce morire piuttosto che vivere come persona senza dignità. Infatti la gente avverte che la si è spogliata di ogni dignità. Siamo perseguitati perché cristiani. Nessuno di noi avrebbe mai pensato di dover vivere in un campo di rifugiati a causa della propria fede. È difficile credere che tutto questo possa succedere nel XXI secolo. Ci chiediamo che cosa stia veramente succedendo: è per caso un piano o un accordo per dividere l’Irak? Se questo è vero, ci domandiamo per chi e perché? Ci chiediamo inoltre perché i problemi che sono succeduti nel 1916 per dividere il Medio Oriente, stanno ripetendosi anche oggi? In quelle circostanze si è trattato di questioni politiche e persone innocenti hanno pagato per questo. È chiaro che oggi ci sono persone astute che sono colpevoli della divisione dell’Irak. Nel 1916 sono morte sei nostre consorelle, molti altri cristiani sono morti e molti altri hanno dovuto fuggire. È solo casuale la situazione di divisione che oggi viviamo, o è voluta? Inoltre la lotta non si vive solo nei campi profughi. Quello che è successo nei paesetti che sono stati fatti evacuare con la forza è ancora peggiore. Lo Stato Islamico ha obbligato con la forza i cristiani ad abbandonare le proprie case, prima della notte del 6 agosto. Ieri 72 persone sono state espulse da Karakosh. Non tutte però sono

giunte fino qui e quelli che sono arrivati, sono giunti in condizioni miserevoli. Hanno dovuto attraversare a guado il fiume Al-Khavi, che è un affluente del Gran Zab, perché il ponte era stato fatto saltare. Rimangono ancora persone sull’altra sponda del fiume. Non sappiamo ancora quanti potranno arrivare fino ad Erbil. Questo dipende dai negoziati tra i Pershmerga e lo Stato Islamico. Un gruppo di persone sono andate a prendere gli anziani e quanti potevano camminare. Una nostra consorella è andata a prendere i propri genitori e le hanno raccontato quello che purtroppo era successo. Una donna ci ha raccontato che l’hanno separata da suo marito e dai suoi figli e che non ha saputo più nulla di loro; probabilmente saranno tra coloro che sono rimasti sull’altra riva del fiume. O possono stare tra gli ostaggi catturati dallo Stato Islamico. Una bambina di tre anni è stata strappata dalle braccia della madre e di lei, non si sa più nulla. Non sappiamo perché l’ISIS stia mandando gente a Karakosh; però abbiamo saputo da gente che sta arrivando, che l’ISIS sta portando in città barili il cui contenuto è misterioso. Inoltre conosciamo il caso di 4 famiglie cristiane che sono prigioniere nel Sinjar da tre settimane. Forse sono rimaste senza cibo e acqua. Se non riceveranno aiuti, corrono il rischio di morire in quel luogo. Attualmente non abbiamo nessun contatto con loro ed è impossibile avere alcuna forma di dialogo con lo Stato Islamico. Per quanto riguarda la nostra comunità, sappiamo che il nostro convento di Tel Kaif è attualmente occupato dallo Stato Islamico, come pure il nostro convento di Karakosh. Quanti giungono di là, ci raccontano che sono state distrutte tutte le immagini sacre e le icone. Le croci sono state tolte dai cancelli delle chiese e sono state sostituite con la bandiera dell’ISIS. Questo è successo non solo a Karakosh e Tel Kaif. A Baqofa una delle nostre sorelle ci ha comunicato che la situazione ora è tranquilla. È ritornata con un piccolo gruppo di persone a cercare le sue medicine: quando sono giunte, hanno trovato il convento in stato calamitoso e tutte le cose sparse nelle varie stanze. Quando stavano per entrare nel recinto del convento sono esplose in città tre bombe, per cui sono uscite immediatamente. Oltre quello che è successo ai cristiani, sappiamo che il venerdì 22 agosto scorso, un fanatico suicida sciita e uomini armati hanno attaccato con le armi la moschea sunnita di Abu Musab, che era situata nel paese sotto il controllo del governo dell’Irak nella provincia di Diyala, lasciando sul terreno ben 68 morti. È veramente tragico sapere che vengano uccise delle persone mentre pregano! Per quanto riguarda i mezzi di comunicazione, possiamo dire che questo massacro (quello della moschea) ha fatto passare in secondo piano quanto sta succedendo ai cristiani nella pianura di Ninive. Abbiamo paura che la nostra lotta si trasformi in una questione privata e nascosta e che non venga più presa in considerazione a livello internazionale. Per ultimo vi diciamo che la gente sta perdendo la pazienza: hanno perso tutto quanto avevano nei loro paesi di origine: chiese, campane delle chiese, case e vicini. Per loro è sommamente devastante sapere che i propri villaggi sono stati distrutti. Anche se vi sono molto attaccati, la maggior parte della gente però sta pensando di lasciare la propria nazione per poter vivere con dignità e dare un futuro ai propri figli. È molto difficile coltivare la speranza in Irak e credere nei capi politici. Per favore, vi supplichiamo: teneteci presenti nelle vostre preghiere. Suore Domenicane di Santa Caterina da Siena in Irak (traduzione dall’originale spagnolo di Giovanni Barlottini)

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Africa

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EBOLA, NUOVO FLAGELLO? Continua l’avanzata dell’epidemia, tra incapacità di far fronte comune contro il contagio e psicosi collettive di Ugo Piccoli

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ello spazio di un paio di settimane la pandemia legata al virus Ebola ha preso una nuova dimensione, coinvolgendo aree che fino a qualche tempo fa sembravano immuni da qualsiasi forma di contagio. Sui media non si parla d’altro, e questo vociare continuo, unito a opinioni di sedicenti esperti che ci vengono propinate a tutte le ore, contribuisce in maniera psicotica a diffondere forme di panico generalizzato che si fatica sempre più a controllare. Basta che qualcuno rientri dal Continente africano e presenti un qualche sintomo influenzale perché scatti l’allarme, e non sono pochi gli aeroporti che si stanno attrezzando, sull’esempio americano, a “pistolettare” con un raggio i passeggeri per evidenziare i sintomi del contagio. Le cifre sono del resto allarmanti, nessun Paese si sente al sicuro. Migliaia sono i morti e numerose le regioni coinvolte, soprattutto Liberia, Sierra Leone, Guinea, RD Congo, Nigeria, Senegal, Uganda, Usa, Spagna; senza contare i casi sospetti che spesso frettolosamente si registrano come Ebola in altri Paesi. Se a metà degli anni ’90 fecero scalpore i casi registrati in Uganda, a Gulu dove medici e infermiere si sacrificarono per fermare il contagio, e a Kikwit in RDCongo, dove 6 suore cattoliche di Bergamo, di cui è in corso la causa di Beatificazione, si immolarono letteral-

LIBERIA CONVIVERE CON L’EBOLA In Liberia il personale sanitario è in sciopero per ottenere il versamento delle indennità promesse, ma anche mezzi, di fronte ai rischi che presenta l’epidemia di Ebola. Difficile capire quanti hanno seguito l’invito allo sciopero, soprattutto nella capitale Monrovia dove la minaccia del virus è percettibile in tutti i ceti della popolazione. Ebola fa ormai parte della vita quotidiana della Liberia. All’aeroporto internazionale tutto è lindo; sembra di essere in un ospedale tanto è forte l’odore di cloro utilizzato per disinfettare a fondo tutti gli spazi. Entrando in città si viene accolti da grandi manifesti che invitano la popolazione a prendere tutte le misure di igiene che possano in qualche modo arginare il contagio. Sirene delle ambulanze si sentono a tutte le ore, e anche se il virus Ebola è invisibile sembra onnipresente nelle menti e nella vita della gente che vive nella capitale. Dappertutto si incrociano grandi recipienti d’acqua clorata per lavarsi le mani. Il commercio di questo prodotto va a gonfie vele, lo si trova in ogni angolo, all’ingresso dei magazzini e degli uffici pubblici dove non manca chi è attrezzato per misurare la febbre a chi ne fa richiesta. I liberiani si astengono ormai da qualsiasi manifestazione d’affetto che contempli un contatto fisico. La gente non si dà più la mano per salutarsi e ad ogni ora la radio ricorda a tutti le più elementari forme di igiene; prova che il virus è ormai padrone della vita delle persone. Una vera frustrazione, commentano i liberiani, ma bisogna pur farsene una ragione! I RISVOLTI POLITICI DELL’EPIDEMIA Fortemente criticata per la gestione della crisi legata al diffondersi dell’Ebo-

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mente per impedire il dilagare della malattia, oggi le maglie della sicurezza sanitaria sembrano molto allentate e, in forte ritardo, si sta muovendo anche il mondo della politica per una risposta internazionale coordinata. È di questi giorni l’incontro del Premier britannico Cameron con il suo omologo sierraleonese Koroma per trovare i mezzi economici e professionali per affrontare un problema tanto grave, e si moltiplicano nelle cancellerie del mondo incontri a vari livelli per trovare quelle sinergie che possono mettere in sicurezza le popolazioni più esposte al contagio. C’è però molto pessimismo e una vera e propria psicosi sta prendendo anche le popolazioni europee per l’approssimazione con cui si ha l’impressione che vengano affrontati i problemi sanitari. Lo stesso professor Peter Piot, scopritore del virus Ebola nel 1976, sembra molto critico in un’intervista rilasciata recentemente alla rivista New Scientist, là dove afferma: “Ho l’impressione che stiamo arrivando troppo tardi; l’epidemia si propaga e noi siamo al traino del virus, mentre dovrebbe avvenire il contrario”. E continua: “Dopo la paura del 2001 per gli attentati all’antrace, il governo americano aveva messo in piedi un programma specifico per fermare il bioterrorismo sperimentando vari vaccini, anche contro l’Ebola. Ma poi tutto si è fermato una volta cessato l’allarme, ma qui il pericolo c’è sempre”. Evocare la possibilità del bioterrorismo e della guerra batteriologica, anche da ambienti autorevoli, ha dato come prevedibile la stura a tutta una serie di analisi complottisticodietrologiche legate al mondo dei servizi segreti sulle quali bisognerà fare chiarezza perché contribuiscono a diffondere allarmi incontrollati. UNA COMMISSIONE D’INCHIESTA È in questa prospettiva che settimane fa è stata lanciata all’Unione Africana e alle Nazioni Unite la richiesta di una “Commissione Internazionale d’inchiesta sull’origine dell’Aids e dell’Ebola”. Non sono pochi gli ambienti intellettuali africani che, constatata l’irricevibilità scientifica delle varie ipotesi sulla trasmissione del virus in Africa, ipotizzano un disegno politico preciso contro le popolazioni africane, sul tipo del famoso COAST, un programma sviluppato dal regime sudafricano dell’apartheid tra il 1980 e il 1994 consistente nella “manipolazione di armi biologiche di distruzione di massa”. Fantapolitica? Forse, ma va fatta chiarezza, se è vero quanto afferma il giornalista Tristan Mendès, nipote del vecchio Primo Ministro francese Pierre Mendès sotto la Presidenza Coty, che nel suo libro “Inchiesta sul bioterrorismo di Stato in Sudafrica” pubblicato nel 2002, scrive: “Antrace, Ebola, AIDS, Colera, Sterilizzazione di massa e veleni chimici etnicamente selettivi figurano tra le armi programmate dalle autorità dell’Apartheid contro la popolazione nera…”. Tra le popolazioni nere dell’Africa ogni tanto torna questa psicosi del complotto. Per levare qualsiasi sospetto sarebbe auspicabile quindi una Commissione d’inchiesta; lo chiedono le migliori teste pensanti del Continente, tra gli altri il prof. Pascal Adjamagbo, cattedratico dell’Università Parigi IV, il dottor Guy Alovor, esperto internazionale dell’Unesco, e il dottor Kanyana Mutombo che il 13 agosto scorso hanno coinvolto ufficialmente le Nazioni Unite sul problema. Una volta di più è assente la voce dei politici africani!

AfricaNews di Henry Piccoli la, la Presidente della Repubblica liberiana Jonhson Sirleaf era finalmente riuscita a mettere d’accordo l’insieme dei suoi compatrioti e anche la comunità internazionale grazie ai risultati positivi ottenuti per la sua decisione di confinare le popolazioni nei luoghi di residenza vietando qualsiasi spostamento. Più di una settantina di persone erano state così trovare ammalate e prese in carico dagli agenti sanitari inviati sul posto, e una ventina di cadaveri erano stati scoperti e sepolti. Tra le misure “sanitarie” prese dalla Presidente, come la sospensione delle elezioni senatoriali previste per il giorno 14 ottobre, molte non sono però piaciute all’opposizione che ha visto in talune decisioni il tentativo di mettere un bavaglio alla vita democratica. “Con la scusa dell’Ebola – dicono - il governo si arroga dei poteri assoluti confiscando ogni libertà democratica”. Niente di tutto questo, risponde a muso duro la Presidente, per la quale qualsiasi movimento di massa della popolazione e qualsiasi riunione, poco importa di quale natura, mettono a rischio l’incolumità dell’intera comunità. La CENI, la commissione elettorale, è dalla parte della Presidente, riconoscendo che in queste condizioni non è possibile organizzare un’elezione “libera, giusta, indipendente e credibile”. Anche la comunità straniera presente a Monrovia riconosce la gravità della situazione e appoggia le decisioni del governo che, per bocca della Presidente Sirleaf ha in questi giorni implorato il personale sanitario del Paese di sospendere lo sciopero. “Siamo in guerra con l’Ebola – ha detto – e in guerra scioperare significa disertare”! Il dialogo però è l’unica strada da percorrere, perché a nessuno si può chiedere l’eroismo di affrontare il terribile nemico a braccia nude.


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IL GRAN CANAL DEL NICARAGUA C

Considerata fondamentale per dare nuovo impulso alla regione, quest’opera nasconde alcune incognite ambientali ed economiche

ontinuano le proteste in Nicaragua contro il progetto della costruzione del canale interoceanico che unirà l’Oceano Pacifico e il Mar dei Caraibi. Gli abitanti della zona temono di essere danneggiati dai progetti della società cinese HKND, che in accordo con la concessione del governo del Nicaragua potrà occupare le terre di cui il progetto ha bisogno per cinquanta anni, prorogabili per altri cinquanta. L’inizio del progetto è previsto per dicembre e nelle previsioni dovrà competere con il canale che attraversa Panama. Il progetto del canale, che dovrà essere tre volte più largo di quello di Panama, comprende due porti, un aeroporto, due chiuse, un lago artificiale, una zona di libero commercio, un complesso turistico, e varie strade. Secondo le definizioni degli estimatori o dei detrattori, il Gran Canale è considerato “una cicatrice nel cuore del Centroamerica” o “una nuova arteria per dare vitalità alla regione”. Il canale gode del totale appoggio del presidente del Paese Daniel Ortega. Secondo il governo, offrirà molti benefici economici al Paese e aiuterà a sconfiggere la povertà e la disoccupazione. Ma ci sono anche molte voci critiche, che sostengono che il progetto non è fattibile e che potrebbe avere un impatto negativo sull’ambiente. Per avere una idea del progetto, sono stati resi noti alcuni numeri del Grande Canale: i costi previsti supereranno i 40.000 milioni di dollari, secondo la compagnia incaricata della costruzione HKND di Hong Kong. La lunghezza del canale sarà di 278 chilometri, tre volte e mezzo più lungo del Canale di Panama (77 chilometri), avrà una profondità massima di metri 27,6 e una larghezza compresa tra 230 e 520 metri. Si prevede che i lavori, che inizieranno a fine 2014, dureranno cinque anni e che il canale sarà operativo nel 2020. Secondo la HKND saranno necessari almeno 50.000 lavoratori e si creeranno almeno 200.000 posti di lavoro indiretto. Il 71% dei nicaraguesi considera l’opera un progetto serio e il 62% è totalmente d’accordo con la costruzione del canale, perché potrà creare nuovi posti di lavoro, determinerà l’aumento dei salari e il rafforzamento dell’economia. Solo l’11,7% è contrario al canale. Tra le perplessità che si stanno diffondendo alla vigilia dell’inizio dei lavori, vi sono quelle legate ai possibili impatti ambientali, in particolare per l’ecosistema del Lago Nicaragua e per i boschi vicini. Il Lago Nicaragua è la riserva di acqua dolce più grande del Centro America e gli studiosi temono che il passaggio delle navi nel lago possa alterare l’habitat naturale per molte specie ittiche e per la fauna del lago e delle rive e, indirettamente, influenzare anche le rotte migratorie di molte specie. L’Autorità del Gran Canale del Nicaragua assicura che si stanno prendendo tutte le precauzioni necessarie perché l’impatto ambientale sia il minimo possibile e lo studio scientifico è a carico di una impresa britannica (Environmental Resources Management), su incarico del gruppo HKND.

America Latina

n.11 - novembre 2014

Il conflitto per la costruzione di un cementificio nel municipio di San Juan Sacatepéquez ha lasciato otto morti tra il 19 e il 20 settembre. Sei vittime appartenevano a una famiglia che aveva venduto le sue terre per la costruzione che era iniziata nel luglio 2013.

Panoramica

IL DIABETE E LE ALTRE MALATTIE DEL “BENESSERE”

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a popolazione dell’America Latina supera i 500 milioni di persone, e nell’attualità oltre 15 milioni soffrono di diabete, cifra che è destinata ad aumentare di 5 milioni entro 10 anni. Le sfide che affronta l’America Latina rispetto alla cura del diabete e delle altre malattie croniche sono il risultato dell’interazione dei fattori socioeconomici della zona, della varietà di culture e tradizioni, delle scarse risorse destinate alla salute, del cambio degli stili di vita, e dell’invecchiamento della popolazione. La proporzione delle persone che soffrono di diabete in America Latina è una delle più alte al mondo. Nell’anno 2000 si era stimato che il costo totale delle problematiche legate al diabete era stato di 65 bilioni di dollari americani (15 in Messico, 2,6 in Centro America e 44,4 in Sud America). In El Salvador si calcola che il 7% - 8% della popolazione sia diabetica, mentre lo è in Messico il 10% dei cittadini di età compresa tra 20 e 60 anni, e l’8% dei venezuelani. Ciò che preoccupa maggiormente è che la malattia è in costante crescita negli anni, si calcola che nel 2025 i diabetici saranno oltre 40 milioni, a causa dello stile di vita poco salutare degli abitanti delle città. Si è stimato che la percentuale di diabetici è molto più alta tra la popolazione urbana rispetto alle zone rurali. Sono urgenti programmi educativi per i pazienti e per le comunità, che diffondano la conoscenza della malattia e delle sue conseguenze, e soprattutto strategie per evitarla, modificando il proprio stile di vita. Il diabete viene spesso diagnosticato troppo tardi, e quasi il 50% dei pazienti non riconosce la malattia per anni, aumentandone le conseguenze. Se le persone non possono fare nulla in caso di predisposizione al diabete, la prevenzione e il trattamento dell’obesità e l’aumento dell’attività fisica sono aspetti da tenere sempre più sotto controllo.

MESSICO I cartelli della droga stanno cercando di iniziare la coltivazione della foglia di coca nel paese. All’inizio di settembre, i militari hanno scoperto oltre 1.600 arbusti di coca in un campo del sud del Chiapas. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per la Droga, è la prima volta che si scopre la coltivazione della coca al di fuori della regione andina.

CARAIBI Le conseguenze del cambio climatico nelle isole dei Caraibi sono sempre più gravi: siccità costanti, aumento della frequenza degli uragani, erosione costiera e aumento dell’acidità delle acque degli oceani. A fronte di questi problemi, i leader locali hanno indetto una Conferenza internazionale sui Piccoli Stati insulari in via di Sviluppo, per stabilire delle misure che possano contrastare i danni prodotti dal cambio climatico.

AmericaLatinaNews

GUATEMALA

CHIESA – COLOMBIA

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urante un incontro della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, Monsignor Joaquìn Humberto Pinzón Guiza, vescovo del vicariato apostolico amazzonico di Puerto Leguízamo-Solorzano in Colombia, ha presentato le caratteristiche della sua Chiesa. Il vicariato, ubicato al sud della Colombia, con una popolazione di 46.000 abitanti, è stato eretto canonicamente il 21 febbraio 2013. “Ci sono tre aspetti positivi che ritengo di vitale importanza: Il primo è l’eredità missionaria che ho trovato, cioè il lavoro missionario che hanno realizzato i missionari cappuccini catalani, proseguito dai missionari della Consolata. Ci hanno lasciato una grande ricchezza di strutture, e non solo, che ci ha permesso di creare una nuova giurisdizione ecclesiastica. Il secondo aspetto da sottolineare è la disponibilità della gente nei confronti della religione. E il terzo aspetto è la possibilità di annunciare il Vangelo in un contesto amazzonico, con la ricchezza interculturale”.

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Asia

n.11 - novembre 2014

IN CINA UN TERZO DEI DIABETICI DEL MONDO Sedentarietà, benessere, junk-food le cause. Boom di malati tra i bambini

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n diabetico su 3 al mondo vive in Cina: lo afferma un recente studio del Journal of the American Medical Association (JAMA). I dati sono ancora più preoccupanti rispetto a quelli della Federazione Internazionale Diabete: nel 2010 erano già 114 milioni, l’11% della popolazione. Un numero a cui va aggiunto un esercito di 493 milioni di pre-diabetici. Al di là della battaglia dei dati, quel che è certo è che la Cina si è ormai aggiudicata un altro primato: è prima al mondo per diffusione della malattia, e ha strappato il primo posto agli Stati Uniti, nonostante i cinesi siano più magri dei colleghi oltreoceano. La Cina è prima anche per numero di pazienti diabetici: l’India resta solo seconda, con 51 milioni di persone affette dalla patologia. A sorprendere è il diffondersi della malattia: la crescita è impressionante soprattutto rispetto ai primi anni ’80, quando i diabetici erano

Panoramica

ASIA, NUOVA VITTIMA DEL DIABETE

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l primato spetta a Pechino, ma stavolta non si tratta di un merito: la Cina è il primo Paese in Asia per percentuale di pazienti diabetici. In base ai dati raccolti dalla Federazione Internazionale Diabete, il numero di diabetici cinesi è raddoppiato negli ultimi 10 anni (da 46 a 92 milioni). Al secondo posto nella graduatoria asiatica l’Indonesia (7,6 milioni), mentre sul terzo scalino del podio troviamo il Giappone (7,1 mln di diabetici). Il quarto posto di questa speciale classifica è invece occupato dalle Filippine (4,3 mln). A seguire: Thailandia (3,4 mln); Repubblica di Corea e Vietnam (3,2 mln); Malesia (2,1 mln); Australia (1,9 mln); Birmania (1,8 mln). Non sono solo i dati assoluti a preoccupare, ma la crescita esponenziale del diabete, per esempio in Vietnam, dove i casi di diabete sono passati da 481 mila a 3,2 milioni in pochi anni. Ad Hanoi spesso si scopre la presenza del diabete attraLAND GRABBING IN CAMBOGIA il “piede diabetico”, un’infezione che inizia come unsigraffio minore, ma poi Inverso meno di 15 anni in Cambogia società agro-alimentari sono appropriate incancrenita perché la malattia desensibilizza i pazienti e disi 2sviluppa milioni in di una ettariferita di terreno, sfrattando 770mila persone con la complicità compromette delle istituzioni.il processo di guarigione. Dall’1% del 1991 il tasso di diffusione delmalattia è salito al 6% nelpopolazione, 2012. Sembrasoprattutto che la crescita delladimalattia in Vietnam Silatratta di circa il 6% della poveri aree rurali ed sia proporzionale alla crescita e che destinata aumentaregliin fuurbane, e si ritrovano indifesi economica e senza tutele sesia decidono diad contrastare turo. IlNel fenomeno è in preoccupante in molte nazioni asiatiche, a causa sfratti. 2012 grandi manifestazionidiffusione hanno costretto il governo a congelare del rapido sviluppoe associato alla diffusione legali di junk-food, cui cittadini si sommasono la tradinuove concessioni, da allora le controversie da partea dei zionale presenza riso per (ciboora, ricco di amido e quindia inadatto ai diabetici) nelle aumentate di oltredel il 50%, però, senza portare grandi risultati. cucine locali. Molti sistemi sanitari si trovano impreparati di fronte a questa emergenza, così come le popolazioni non sono consapevoli dei rischi che corrono e di come prevenire l’insorgere NUOVA CAMPAGNA PER ASIAdella BIBI malattia. I pazienti diabetici asiatici sono spesso perché, a causa del diverso la soglia dicampagna un fisico che è considerato Ilmagri, “Pakistan Christian Congress” ha genotipo, lanciato una nuova internazioobeso è più bassaBibi, chelaindonna Occidente, e i pazienti obesia morte qui possono appanale perinil Asia rilascio di Asia cattolica condannata per blarire solo sovrappeso per gli standard occidentali. In piùdegli alcune teorie sfemia in lievemente Pakistan. L’obiettivo è depositare petizioni al Congresso Stati attribuiscono il diabete non allai Diritti quantità di zuccheri Uniti, all’Unione Europea, al necessariamente Consiglio Onu per Umani, a Ongingeriti, come ma piuttostoInternational alla variazione, anche solo della alimentare, dovuta ad Amnesty e Human Rightmarginale, Watch, per faredieta pressione sul governo esempio alla migrazione campagne alle città. Un quadro che condanha spinto gli del Pakistan per abrogare ladalle legge sulla blasfemia e rilasciare Asia Bibi, esperti della nel Federazione ad affermare che “inèquesti Paesi è inusuale incontrare nata a morte 2009 e il processo di appello in corso davanti all’Alta Corte un dipersona Lahore.oltre i 45 anni senza diabete”.

AsiaNews

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meno dell’1% della popolazione. Crescita economica, aumento dell’aspettativa di vita, drastico cambiamento di dieta composta da meno verdura e più cibospazzatura, unita a inattività fisica e stress: questa l’alchimia che ha premesso a Pechino di raggiungere il primato in appena 30 anni. La malattia è più comune nelle aree urbane sviluppate e tra i giovani e gli adulti di mezza età sovrappeso o obesi. In particolare, tra il 2007 e il 2010 la Cina ha registrato 22 milioni di nuovi diabetici. Ma la popolazione non sembra nemmeno rendersi conto delle proprie condizioni di salute: solo il 30% dei cinesi con diabete ne è consapevole. Preoccupanti le condizioni di salute dei bambini e degli adolescenti: i minori cinesi tra i 12 e i 18 anni mostrano un tasso di diabete quasi 4 volte superiore a quello dei coetanei negli Stati Uniti, l’1,9% contro lo 0,5%. Si tratta di un dato strettamente legato anche al diffondersi dell’obesità, e che è direttamente causato dalla politica del figlio unico: un solo bambino riceve le attenzioni dei due genitori e dei quattro nonni, e i “piccoli imperatori”, come vengono chiamati in Cina, sono spesso accontentati in ogni richiesta. L’elevato numero di malati sta attirando molte compagnie farmaceutiche nel Paese, per esempio la danese Novo Nordisk, leader nel campo del trattamento del diabete, che investirà 100 milioni di dollari per ingrandire il suo centro di ricerca a Pechino. La francese Sanofi-Aventis ha già investito 600 milioni di yuan (circa 70 milioni di euro) per aumentare la produzione della sua fabbrica di Pechino; la tedesca Bayer ha invece annunciato di voler espandere qui la sua linea di produzione per diabetici.

CAMBOGIA

AsiaNews

LA BATTAGLIA CONTRO IL LAND GRABBING Dal 2000 a oggi, in Cambogia, almeno 770mila persone, cioè il 6% della popolazione, sono state sfrattate: i terreni su cui erano costruite le loro case sono stati svenduti dalle istituzioni a investitori stranieri in cerca di terra a basso costo. Per questo lo scorso mese le organizzazioni di tutela dei diritti umani hanno denunciato il governo alla Corte Penale Internazionale dell’Aja, accusandolo di crimini contro l’umanità. Gli sfrattati vengono mandati nei campi di reinsediamento o abbandonati a loro stessi. Almeno 4.000.000 ettari di terra, il 22% della superficie cambogiana, sono stati confiscati, spesso per piantagioni di gomma o di canna da zucchero.

INDIA VIOLENZE CONTRO LE MINORANZE RELIGIOSE Continuano in India le violenze contro le minoranze religiose, cristiani e musulmani. L’ultimo appello ai governatori indiani perché si adoperino per fermare le violenze arriva dalla rete dei gesuiti indiani “Jesa” (Jesuits in Social Action). Sarebbero almeno 600 i casi di violenza contro le minoranze tra maggio e settembre 2014, e i crimini restano sempre impuniti.


n.11 - novembre 2014

LE SFIDE PASTORALI SULLA FAMIGLIA NEL CONTESTO DELL’EVANGELIZZAZIONE Sinodo straordinario dei Vescovi (5-19 ottobre 2014). Discorso conclusivo di papa Francesco

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otrei dire serenamente che - con uno spirito di collegialità e di sinodalità abbiamo vissuto davvero un’esperienza di “Sinodo”, un percorso solidale, un “cammino insieme”. Ed essendo stato “un cammino” - e come ogni cammino ci sono stati dei momenti di corsa veloce, quasi a voler vincere il tempo e raggiungere al più presto la mèta; altri momenti di affaticamento, quasi a voler dire basta; altri momenti di entusiasmo e di ardore. Ci sono stati momenti di profonda consolazione ascoltando la testimonianza dei pastori veri (cf. Gv 10 e Cann. 375, 386, 387) che portano nel cuore saggiamente le gioie e le lacrime dei loro fedeli. Momenti di consolazione e grazia e di conforto ascoltando e testimonianze delle famiglie che hanno partecipato al Sinodo e hanno condiviso con noi la bellezza e la gioia della loro vita matrimoniale. Un cammino dove il più forte si è sentito in dovere di aiutare il meno forte, dove il più esperto si è prestato a servire gli altri, anche attraverso i confronti.

LE TENTAZIONI E poiché essendo un cammino di uomini, con le consolazioni ci sono stati anche altri momenti di desolazione, di tensione e di tentazioni, delle quali si potrebbe menzionare qualche possibilità: - una: la tentazione dell’irrigidimento ostile, cioè il voler chiudersi dentro lo scritto (la lettera) e non lasciarsi sorprendere da Dio, dal Dio delle sorprese (lo spirito); dentro la legge, dentro la certezza di ciò che conosciamo e non di ciò che dobbiamo ancora imparare e raggiungere. Dal tempo di Gesù, è la tentazione degli zelanti, degli scrupolosi, dei premurosi e dei cosiddetti - oggi- “tradizionalisti” e anche degli intellettualisti. - La tentazione del buonismo distruttivo, che a nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; che tratta i sintomi e non le cause e le radici. È la tentazione dei “buonisti”, dei timorosi e anche dei cosiddetti “progressisti e liberalisti”. - La tentazione di trasformare la pietra in pane per rompere un digiuno lungo, pesante e dolente (cf. Lc 4,1-4) e anche di trasformare il pane in pietra e scagliarla contro i peccatori, i deboli e i malati (cf. Gv 8,7) cioè di trasformarlo in “fardelli insopportabili” (Lc 10, 27). - La tentazione di scendere dalla croce, per accontentare la gente, e non rimanerci, per compiere la volontà del Padre; di piegarsi allo spirito mondano invece di purificarlo e piegarlo allo Spirito di Dio. - La tentazione di trascurare il “depositum fidei”, considerandosi non custodi ma proprietari e padroni o, dall’altra parte, la tentazione di trascurare la realtà utilizzando una lingua minuziosa e un linguaggio di levigatura per dire tante cose e non dire niente! Li chiamavano “bizantinismi”, credo, queste cose... MI SAREI PREOCCUPATO SE… Cari fratelli e sorelle, le tentazioni non ci devono né spaventare né sconcertare e nemmeno scoraggiare, perché nessun discepolo è più grande del suo maestro; quindi se Gesù è stato tentato - e addirittura chiamato Beelzebul (cf. Mt 12, 24) - i suoi discepoli non devono attendersi un trattamento migliore. Personalmente mi sarei molto preoccupato e rattristato se non ci fossero state queste tentazioni e queste animate discussioni; questo movimento degli spiriti, come lo chiamava Sant’Ignazio (EE, 6) se tutti fossero stati d’accordo o taciturni in una falsa e quietista pace. Invece ho visto e ho ascoltato - con gioia e riconoscenza - discorsi e interventi pieni di fede, di zelo pastorale e dottrinale, di saggezza, di franchezza, di coraggio e di parresia. E ho sentito che è stato messo davanti ai propri occhi il bene della Chiesa, delle famiglie e la “suprema lex”, la “salus animarum” (cf. Can. 1752). E questo sempre - lo abbiamo detto qui, in Aula - senza mettere mai in discussione le verità fondamentali del Sacramento del Matrimonio: l’indissolubilità, l’unità, la fedeltà e la procreatività, ossia l’apertura alla vita (cf. Cann. 1055, 1056 e Gaudium et Spes, 48).

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È LA CHIESA CHE NON HA PAURA E questa è la Chiesa, la vigna del Signore, la Madre fertile e la Maestra premurosa, che non ha paura di rimboccarsi le maniche per versare l’olio e il vino sulle ferite degli uomini (cf. Lc 10, 25-37); che non guarda l’umanità da un castello di vetro per giudicare o classificare le persone. Questa è la Chiesa Una, Santa, Cattolica, Apostolica e composta da peccatori, bisognosi della Sua misericordia. Questa è la Chiesa, la vera sposa di Cristo, che cerca di essere fedele al suo Sposo e alla sua dottrina. È la Chiesa che non ha paura di mangiare e di bere con le prostitute e i pubblicani (cf. Lc 15). La Chiesa che ha le porte spalancate per ricevere i bisognosi, i pentiti e non solo i giusti o coloro che credono di essere perfetti! La Chiesa che non si vergogna del fratello caduto e non fa finta di non vederlo, anzi si sente coinvolta e quasi obbligata a rialzarlo e a incoraggiarlo a riprendere il cammino e lo accompagna verso l’incontro definitivo, con il suo Sposo, nella Gerusalemme Celeste. Questa è la Chiesa, la nostra madre! E quando la Chiesa, nella varietà dei suoi carismi, si esprime in comunione, non può sbagliare: è la bellezza e la forza del sensus fidei, di quel senso soprannaturale della fede, che viene donato dallo Spirito Santo affinché, insieme, possiamo tutti entrare nel cuore del Vangelo e imparare a seguire Gesù nella nostra vita, e questo non deve essere visto come motivo di confusione e di disagio. Tanti commentatori, o gente che parla, hanno immaginato di vedere una Chiesa in litigio dove una parte è contro l’altra, dubitando perfino dello Spirito Santo, il vero promotore e garante dell’unità e dell’armonia nella Chiesa. Lo Spirito Santo che lungo la storia ha sempre condotto la barca, attraverso i suoi Ministri, anche quando il mare era contrario e mosso e i ministri infedeli e peccatori. CUM PETRO ET SUB PETRO E, come ho osato di dirvi all’inizio, era necessario vivere tutto questo con tranquillità, con pace interiore anche perché il Sinodo si svolge cum Petro et sub Petro, e la presenza del Papa è garanzia per tutti. Parliamo un po’ del Papa, adesso, in rapporto con i vescovi... Dunque, il compito del Papa è quello di garantire l’unità della Chiesa; è quello di ricordare ai pastori che il loro primo dovere è nutrire il gregge - nutrire il gregge - che il Signore ha loro affidato e di cercare di accogliere - con paternità e misericordia e senza false paure - le pecorelle smarrite. Ho sbagliato, qui. Ho detto accogliere: andare a trovarle. Il suo compito è di ricordare a tutti che l’autorità nella Chiesa è servizio (cf. Mc 9, 33-35). (…) Quindi, la Chiesa è di Cristo - è la Sua Sposa - e tutti i vescovi, in comunione con il Successore di Pietro, hanno il compito e il dovere di custodirla e di servirla, non come padroni ma come servitori. Il Papa, in questo contesto, non è il signore supremo ma piuttosto il supremo servitore - il “servus servorum Dei”; il garante dell’ubbidienza e della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, al Vangelo di Cristo e alla Tradizione della Chiesa, mettendo da parte ogni arbitrio personale, pur essendo - per volontà di Cristo stesso - il “Pastore e Dottore supremo di tutti i fedeli” (Can. 749) e pur godendo “della potestà ordinaria che è suprema, piena, immediata e universale nella Chiesa” (cf. Cann. 331-334). Cari fratelli e sorelle, ora abbiamo ancora un anno per maturare, con vero discernimento spirituale, le idee proposte e trovare soluzioni concrete a tante difficoltà e innumerevoli sfide che le famiglie devono affrontare; a dare risposte ai tanti scoraggiamenti che circondano e soffocano le famiglie. Un anno per lavorare sulla “Relatio synodi” che è il riassunto fedele e chiaro di tutto quello che è stato detto e discusso in questa aula e nei circoli minori. E viene presentato alle Conferenze episcopali come “Lineamenta”. Il Signore ci accompagni, ci guidi in questo percorso a gloria del Suo nome con l’intercessione della Beata Vergine Maria e di San Giuseppe! E per favore non dimenticate di pregare per me!

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issione, termine antico ma sempre in evoluzione. Invito espresso già da Gesù e poi sempre rinnovato dai suoi discepoli e dalla Chiesa. Anche ai nostri giorni il dibattito ferve, gli studi teologici si susseguono, le pratiche concrete si rinnovano. Presentiamo quattro volumi che propongono sia approcci teologico-storici, sia meditazioni di carattere esegetico-spirituale per favorire una riflessione ad ampio spettro.

Mario Menin Missione (Le Parole delle Fedi) Bologna – EMI – 2010 Breve testo con ampia descrizione dell’evoluzione del termine “missione” con particolare attenzione alle sfide e ai cambiamenti in atto. L’autore, missionario saveriano con esperienza in Brasile e direttore di due riviste missionarie, passa in rassegna il termine missione dalle Sacre Scritture ai primi secoli della Chiesa, fino ai nostri tempi in cui il pluralismo religioso ha fatto irruzione nella società europea e nella teologia cristiana, spingendo verso un ripensamento del rapporto tra chiesa e salvezza. Gaetano Parolin Chiesa postconciliare e migrazioni. Quale teologia per la missione con i migranti Roma – Pontificia Università Gregoriana – 2010 Questa tesi in missiologia, sostenuta nel 2010 presso la Pontificia Università Gregoriana, fa un’analisi

del rapporto profondo tra missione e migrazioni e ipotizza la missione tra, per e con i migranti come un nuovo paradigma della missione stessa della Chiesa. Sulla scorta dei documenti della Chiesa postconciliare intende dimostrare il passaggio dalla pastorale migratoria di conservazione ad una pastorale missionaria, dialogica e comunionale. Riconosce un ruolo delle migrazioni per la missione e i migranti sono qui visti al tempo stesso come oggetto e soggetto della missione. Marcelo Barros Il Vangelo che libera Bologna – EMI – 2012 Questo commentario al Vangelo di Luca è come se fosse scritto a più mani: l’autore coinvolge persone e gruppi che vivono una ricerca spirituale partendo da nuovi paradigmi della coscienza umana e facendo riferimento a persone, mistici e gruppi appartenenti a tradizioni e culture diverse. Uno spazio di lettura e analisi del Vangelo di Luca che mette in dialogo la comunità cristiana dei primi secoli con quelle odierne, aprendo ad un confronto e una meditazione sentitamente ecumenici. Mario Antonelli Li chiamò presso di sé. Dall’intimità con Gesù alla missione Milano – Ancora – 2013 Il testo raccoglie le meditazioni offerte dall’autore a un gruppo di preti della diocesi di Milano nel 2012. Tra lectio divina, teologia e memorie di missione, espone un percorso di avvicinamento alle Sacre Scritture e a Gesù stesso, come fonte stessa dell’impulso missionario. L’abbeverarsi alle antiche fonti per riscoprire originari, ma sempre nuovi, modi di vivere l’apostolato e la missione. Tutto il materiale segnalato è disponibile al prestito presso il “Cedor” - Centro di documentazione della Fondazione Cum

In libreria

L’opinione

di Maurilio Guasco

TUTTE LE NOTIZIE SONO UGUALI

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n una normale domenica pomeriggio, un noto giornalista televisivo sta interrogando alcuni presenti su temi di particolare interesse ma anche particolarmente dolorosi. Di colpo si scusa perché deve fare un’interruzione: una sua collega ha la fortuna di fare uno scoop incredibile, è presente su un canale di Venezia proprio mentre un noto attore cinematografico esce da non so quale palazzo, dove si è sposato. Così, lo spettatore che stava ragionando su alcuni problemi che stanno tristemente coinvolgendo un buon numero di italiani, e non solo, scopre che quei problemi sono poca cosa di fronte a una notizia tanto sconvolgente e che interessa assolutamente tutti: il matrimonio di un attempato divo cinematografico. Quel conduttore televisivo sta contribuendo al permanere di una cultura ormai molto diffusa: non esiste più una qualsiasi gerarchia nelle notizie, tutte si assomigliano, la morte tragica di un certo numero di persone è l’analogo di un banchetto di una qualsiasi personalità, la difficoltà ad arrivare a fine mese di un pensionato è comunicabile insieme con gli stipendi di un divo del calcio o di un allenatore della nazionale, la morte di un alto numero di profughi su una barca ha lo stesso valore dei vestiti indossati da una diva nel corso di una sfilata di moda. Una volta parlavamo di anestesia collettiva, ora come possiamo definire tale cultura? Quale virus si è introdotto nei nostri corpi, perché non riusciamo più a distinguere tra una notizia e l’altra, tra un programma che presenta risvolti drammatici e le immagini che ci vengono presentate nel corso di un’interruzione, indispensabile per fare spazio a una pubblicità che ci fa l’elogio di un biscottino qualsiasi? Siamo tutti vittima di un appiattimento collettivo dei cervelli? Lo so, e l’ho anche scritto tante volte, che simili ragionamenti fanno parte del bagaglio dei veteromoralisti, di persone che in nome dei bei tempi passati (esistono?) perseverano nel denunciare i mali del tempo presente, di comportamenti da vecchie Cassandre per le quali non solo il futuro, ma anche il presente, è sempre pieno di guai. Ma, detto senza enfasi, in fondo un cristiano dovrebbe sempre ispirarsi al modello che ci presenta Gesù, che non ha difficoltà a dire: “guai a voi scribi e farisei ipocriti...”, sapendo benissimo che non sempre sarà gradito, che sarà trattato da vetero-moralista, che rischia di non essere ascoltato neppure dai suoi amici più cari. Ma il Vangelo ci dice che non per questo ha smesso di dirlo. Per noi è diverso, dovremmo ricordarci che riguarda anche noi il “chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Ma in fondo, pur essendo consapevoli del nostro peccato, qualche pietra possiamo continuare a scagliarla.

RINNOVA IL TUO CONTRIBUTO: LEGGI E DIFFONDI NOTICUM Noticum è un’iniziativa editoriale con la quale il CUM vuole raccontare mensilmente al pubblico italiano la missione, i missionari italiani, la vita del CUM. Attraverso Noticum il Centro Unitario Missionario vuole aiutare anche economicamente i bisogni dei missionari italiani e stranieri che entrano in contatto con questo centro di formazione della Chiesa italiana. Noticum si regge unicamente sulle offerte dei suoi lettori. Noticum viene spedito solo a chi, durante l’anno, invia un’offerta. Se non l’hai già fatto, ti invitiamo a usare il conto corrente allegato per inviare un’offerta a sostegno di Noticum per il 2014 e delle iniziative del CUM a favore dei missionari.

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Periodico di formazione sulla missione universale e di informazione sulle realtà del sud del mondo Edito dalla Fondazione Cum - Centro Unitario per la cooperazione Missionaria tra le chiese promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana Direttore responsabile Francesco Ceriotti Direttore Crescenzio Moretti Comitato di Redazione Paolo Annechini, Amedeo Cristino, Giandomenico Tamiozzo, Ugo Piccoli, Beppe Magri

Segreteria CInzia Inguanta Redazione e direzione Lungadige Attiraglio, 45 - 37124 Verona Tel. 045 / 8900329 - Fax 045 / 8903199 www.fondazionecum.it e-mail: noticum@fondazionecum.it Impaginazione Francesca Mauli Stampa Stimmgraf - Verona Autorizzazione Tribunale di Verona: N° 1319 del 7/5/1998 Tiratura: 5.000 copie c.c.p.: 18641373


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