NotiCum n. 09 - 2014

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NotiCum IL VOLTO DELLA MISSIONE

Periodico edito da Fondazione CUM - Lungadige Attiraglio, 45 - Poste Italiane spa - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Verona In caso di mancato recapito rinviare all’ufficio postale di Verona, detentore del conto, per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa - Taxe perçue

ANNO 52 - n. 9 - SETTEMBRE 2014

MISSIONE È LIBERAZIONE editoriale di Crescenzio Moretti

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issione è impegno di liberazione da tutti i condizionamenti che impediscono all’uomo di essere come l’ha pensato il suo Creatore. Liberazione è vittoria sulla povertà, sulle tante forme di povertà che, anche oggi, affliggono l’umanità: povertà materiali, culturali, spirituali. Nonostante le conquiste, le tecnologie, i trionfalismi sale anche oggi il grido di una umanità sofferente, disorientata, in cammino nel deserto. Missione è portare l’annuncio di liberazione che Dio, per mezzo dei discepoli di Gesù, vuole far giungere al mondo di oggi. “Ho visto l’oppressione del mio popolo che è in Egitto, ho udito il suo grido di fronte ai suoi oppressori, perché conosco le sue angosce. Voglio scendere a liberarlo”. Aspetti della povertà che affligge tanti popoli li denuncia Gustavo Gutierrez, il padre della Teologia della liberazione: “Povertà significa morte. Morte provocata dalla fame, dalla malattia o dai metodi repressivi che usano coloro che vedono vacillare i loro privilegi davanti a ogni sforzo di liberazione degli oppressi. Morte fisica alla quale si aggiunge una morte culturale, perché in una situazione di oppressione viene distrutto tutto ciò che dà unità e forza ai diseredati di questo mondo”. Povertà non è solo mancanza di cibo, di

vestito, di istruzione, “è anche distruzione delle persone e dei popoli, delle culture e delle tradizioni... Ci troviamo davanti a qualcosa che va contro il Regno di vita annunciato dal Signore, qualcosa che un cristiano deve respingere”. Dio ha scelto per l’uomo una vita di libertà, per questo ogni essere umano, in un modo o in un altro, coscientemente o incoscientemente, vuole libertà, libertà vera. La chiamata missionaria che Gesù fa ai suoi discepoli è per sostenere l’accidentato cammino del mondo verso la libertà. A Papa Francesco un ragazzo olandese ha chiesto il perché del suo grande amore per i poveri e per le persone ferite. “Perché questo è il cuore del Vangelo – ha risposto - Io sono credente, credo in Dio, credo in Gesù Cristo e nel suo Vangelo, e il cuore del Vangelo è l’annuncio ai poveri. Quando tu leggi le Beatitudini, per esempio, o tu leggi Matteo 25, tu vedi lì come Gesù è chiaro in questo. Il cuore del Vangelo è questo. Lo dice Gesù di se stesso: «Sono venuto ad annunciare ai poveri la liberazione, la salute, la grazia di Dio»… Ai poveri, a quelli che hanno bisogno di salvezza, che hanno bisogno di essere accolti nella società. Poi, se tu leggi il Vangelo, vedi che Gesù aveva una certa preferenza

per gli emarginati: i lebbrosi, le vedove, i bambini orfani, i ciechi… le persone emarginate. E anche i grandi peccatori… e questa è la mia consolazione! Sì, perché Lui non si spaventa neppure del peccato! Quando trovò una persona come Zaccheo, che era un ladro, o come Matteo, che era un traditore della patria per i soldi, Lui non si è spaventato! Li ha guardati e li ha scelti. Anche questa è una povertà: la povertà del peccato. Per me, il cuore del Vangelo è dei poveri”. Nei giorni in cui scrivo questo editoriale si compiono i cinquant’anni del mio impegno missionario. Quale è stato, con tutti i limiti immaginabili, il mio impegno e quello delle centinaia di missionari che ho conosciuto durante il mio servizio al CEIAL e al CUM? Rivivere, ognuno col proprio carisma, quello che Gesù ha detto di se stesso ai suoi concittadini citando Isaia: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha unto per evangelizzare i poveri; mi ha mandato ad annunziare la liberazione ai prigionieri, e ai ciechi il ricupero della vista; a rimettere in libertà gli oppressi, 19 e a proclamare l’ anno accettevole del Signore”. Impegnarci a dare speranza, con gesti concreti. Mettere Gesù al centro dell’annuncio liberatore da ogni povertà, è l’ideale missionario. Siamo Chiesa per questo.


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n.9 - settembre 2014

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VERSO LE PERIFERIE

Il libro di don Olivo Bolzon sul Seminario per l’America Latina di Verona

di Sergio Marcazzani

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l punto di osservazione è Verona, tra la metà degli anni ‘50 e la fine anni ‘60 del secolo scorso; l’occhio spazia sul cattolicesimo di metà secolo ventesimo con don Camillo e Peppone come paladini di due modi di accostare la realtà in rapida trasformazione. Pio XII anticipa con la sua Fidei Donum molti contenuti che il Concilio Vaticano II più tardi svilupperà. Mons. Giuseppe Carraro allora a Treviso come Rettore del Seminario, assieme al Card. Montini, Segretario di Stato, e a Mons. Samorè suo Sostituto, operano per allargare gli orizzonti della vita sacerdotale verso altri Continenti. Giovanni XXIII ha a cuore la realtà della Chiesa latino-americana, e dà il via al Concilio Vaticano II che vuole come un Concilio “pastorale“. Paolo VI realizza l’immensa opera del Concilio e imprime un’accelerazione all’annuncio del Vangelo con la Evangelii Nuntiandi. Nel frattempo mons. Giuseppe Carraro diventa Vescovo di Verona, dove apre le porte del Seminario diocesano ai primi allievi del “Seminario per l’America Latina”, e dove con il supporto della Santa Sede che coinvolge i cattolici tedeschi dà il via al “Seminario Nostra Signora di Guadalupe per l’America Latina“ inaugurato l’8 dicembre 1964 alla presenza di tre Cardinali e una cinquantina di Vescovi provenienti prevalentemente dall’America Latina, e con un radio-messaggio del Papa Paolo VI. E sono stati davvero molti i chierici della “sezione America Latina“ provenienti da varie diocesi italiane, che si sono preparati per questo servizio, dai 17 dell’anno scolastico 1961-62, ai 44 dell’anno seguente, dai 72 dell’anno scolastico 1963-64, ed addirittura ai 103 dell’anno 1965-66… In quel tempo non si parlava di periferie, ma solo di «perequazione del personale apostolico tra la Chiesa d’Italia e le Chiese dei territori “in via di sviluppo“». Ma bene ha fatto Olivo Bolzon a intitolare “Verso le periferie” il volume edito nel marzo 2014 dalle Edizioni Del Noce di Camposampiero (Pd) che egli stesso ha curato: nessuno infatti può scippare a Papa Francesco tale espressione che è al cuore dell’intero cammino post-conciliare delle Chiese Latinoamericane. Si è trattato di un percorso di cinquant’anni, tutt’altro che facile, che si proponeva di rispondere all’interrogativo “che cosa chiede a noi il Concilio Vaticano II?“ e che è sfociato nel documento di Aparecida di cui l’allora Cardinale Bergoglio è stato l’infaticabile animatore. Quindi America Latina docet? Direi proprio di sì e, giustamente, perché del doppio volto dell’”ad gentes“ – del restare e dell’uscire, dell’annunciare e del

servire i poveri sotto ogni latitudine, da una parte o dall’altra del mondo indifferentemente – ha nella Chiesa latino-americana un’esperienza cinquantennale. Una visione, questa, che in Italia ha molto faticato ad affermarsi, ma che all’inizio della storia del Seminario N.S. di Guadalupe era già negli obiettivi dei formatori coordinati da Don Pavanello. La “Testimonianza“, come recita il sottotitolo, curata da Olivo Bolzon, illustra con dovizia di particolari la novità, per allora, di un metodo formativo d’avanguardia, già in linea con le più significative intuizioni del Vaticano II. Coloro che - nel Seminario per l’America Latina - hanno cominciato a crescere in questo clima, hanno trovato pane per i loro denti in quelle Chiese senza pesanti tradizioni nelle quali sono arrivati, naturalmente più aperte al nuovo vento conciliare. Trovo particolarmente preziosa la prima parte della “Testimonianza“ con le impostazioni e le linee direttive di fondo studiate dai formatori, che molto hanno da dire anche oggi per la formazione degli apostoli del ventunesimo secolo: le ha ampiamente descritte don Giovanni Coppola della Chiesa di Sorrento nella sua tesi di laurea in teologia. Non meno ricca ed interessante la seconda parte con sette testimonianze dei primi allievi del Seminario, a partire da don Mario Costalunga di Vicenza, per passare poi agli insegnamenti ricevuti di don Bortoli pure lui di Vicenza, e poi via via don Chiesa di Bergamo (“un luogo di crescita“), “Tempo prezioso“ del vicentino don Tamiozzo , “il seminario di tutti “ descritto da don Denaro della Chiesa di Noto, per giungere alla riflessione di don Leonarduzzi di Udine su “missione e responsabilità“ e poi concludere con don Canal di Belluno che descrive la sua esperienza come “un pezzo di storia sacra“. Per ricevere copie del libro, contattare la Fondazione CUM: Tel. 045/8900329 - segreteria@fondazionecum.it

FORMARE ALL’AGIRE INSIEME di Marisa Restello

A cinquant’anni di distanza, l’esperienza del Seminario per l’America Latina risveglia ancora nei cuori le grandi speranze di allora

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o collaborato con molto interesse a mettere insieme alcune testimonianze di preti impegnati in attività umane e pastorali diverse tra loro, ma con qualcosa di riconoscibilmente comune: una particolare attenzione ai cambiamenti in atto e una grande vicinanza a quella parte di umanità che rischia di venirne travolta. Erano studenti negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso in un Seminario dove confluivano da tutta Italia, giovani che desideravano mettersi a servizio delle Chiese dell’America Latina. La contemporaneità con il Concilio, nei primi anni, e con il ’68 e le novità che ne seguirono, negli anni successivi, danno a questo periodo di tempo uno straordinario slancio; a cinquant’anni di distanza risveglia ancora nei cuori le grandi speranze di allora. E nonostante la gioiosa baldanza che emerge via via nelle pagine, si può sentire la fatica di questo procedere che vuol essere comunitario. Questi giovani avevano già fatto la scelta di mettere la propria vita a servizio di Dio e dei fratelli, si disponevano con il cuore a camminare insieme, ma questo non li esonerava dall’impegno di dover ricominciare sempre. E pensavo: ai nostri giorni, con il formarsi delle collaborazioni pastorali, quanto necessaria è la capacità di progettare insieme, di affidarsi l’un l’altro, di arrivare a un agire comune. Ma quando mai siamo stati preparati a questo? Non è un caso che una delle cause di ritardo nel nostro Paese sia stata rilevata nella incapacità di lavorare in gruppo. La parte della tesi di laurea di Giovanni Coppola dedicata alla vita degli studenti all’interno del Seminario e nei contatti con il resto della società, costituisce il nucleo centrale del libro. Pur nel rigore richiesto dalla preparazione al sacerdozio, per di più in una terra e in una cultura diversa, lo stile di vita nel Seminario era quello dei giovani con il loro entusiasmo, la loro inventiva e nello stesso tempo il confronto e l’amicizia con i formatori, sacerdoti di generazioni diverse, erano apprezzati, ricercati anche se, ovviamente, non sempre pacifici. All’inizio pensavo che il libro potesse interessare i seminaristi e i loro formatori. Ora lo vedo come un aiuto per tutti a diventare la comunità che il Vangelo ci annuncia e che Papa Francesco ci mostra con i suoi gesti e le sue scelte concrete.


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I BAMBINI DE LA BUENA ESPERANZA La vita, i giochi, i sorrisi di una comunità di famiglie contadine nella sierra dell’Ecuador di Daniela Maccari - Missionaria comboniana in Ecuador

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uando alcuni anni fa, nel libro Africa Blu, ho scritto un capitolo sui bambini dell’Isola di Mozambico come i più felici del mondo, non immaginavo che in futuro avrei incontrato bambini altrettanto felici, semplici e affettuosissimi come questi che vivono tra i 2.500 e i 4.000 mt d’altezza, sulle verdi Ande dell’Ecuador. Bambini a contatto con la natura, i campi di avena, di quinua, di mais, di grano… le coltivazioni di patate, fave, piselli, fagioli, lupini… Al ritorno dalla scuola fanno i compiti e poi… al pascolo, soprattutto al sabato che non c’é scuola, vanno a pascolare le pecore e accompagnare le mucche nei prati e a bere nel ruscello… Tra le cinque e le cinque e mezza del mattino sono in piedi; si lavano, fanno colazione con una pannocchia, patate bollite, una bevanda di avena o di riso dolce, oppure il latte della mucca se la mamma o la nonna sono già tornate da mungere. A scuola di solito sono attenti; a volte le mancanze sono dei maestri, non sempre responsabili; in questo caso i genitori, soprattutto le mamme protestano o li cambiano di scuola. Per l’educazione dei figli fanno grandi sacrifici. Per seguirli meglio, quelle che non hanno studiato da bambine, recuperano con corsi settimanali, come la scuola dei Salesiani di Cayambe, dove gli adulti studiano fino a terminare il liceo, ogni sabato, dalle 8 alle 4 del pomeriggio. E poi, un’infinità di adulti studia per corrispondenza. Se si chiede ai bambini cosa vorrebbero fare da grandi, rispondono: la veterinaria, l’infermiera, il medico, il tecnico agricolo… altri, il calciatore.

LA SCUOLA Le lezioni cominciano 10 minuti prima delle 7 in tutte le scuole dell’Ecuador, per cui alle 6 devono essere pronti per prendere il bus o il pulmino. Quelli delle zone più alte della montagna camminano per le scorciatoie e sentieri durante un’ora o anche di più. La merendina dell’intervallo, in questa zona di montagna, consiste in una pannocchia e patate bollite con una colada, bevanda calda di cereali e latte di soia. Nelle scuole delle comunità più povere lo Stato la regala, in altre se la comprano per pochi centesimi dalla signora che arriva con una pentola che fuma, quando suona la campana della ricreazione. Purtroppo stanno entrando anche le merendine basura/spazzatura, così come le chiamano, perché piene di coloranti e poco nutrienti. In alcune di queste zone montane c’è un tasso alto di denutrizione infantile, per la mancanza di varietà nel cibo e perché, per motivi economici, i genitori vendono il latte e le uova e non le consumano in casa. QUOTIDIANITÀ I bambini non si alzano mai da tavola senza dire: “Dios le pague Papi, Dios le pague Mami” un’espressione molto usata anche dagli adulti. Significa: “Dio ti ricompensi” per il cibo, per un favore, per qualunque gesto gentile… Una frase ripetuta con frequenza che crea un’attitudine di riconoscenza. In quasi tutte le famiglie c’è uno o più nonni, bisnonne, zie anziane, verso le quali i bambini hanno molto rispetto e cariño nel modo di parlare e di trattare. Gatti, cani da guardia, galline, gallo, pecore, maiale e porcellini, cuyes (una specie di conigli selvatici), l’asinello e altri animali, una vera Arca di Noé, popola il patio, cortile della casa, dove c’é pure il lavatoio della biancheria, lo stenditoio, il bagno e altri locali per depositare sombreros, stivali, cesti e gli attrezzi per il lavoro dei campi. Questa attività, cioè coltivare, zappare, tagliare l’erba per i cuyes, pascolare e dar da mangiare agli animali tocca alla donna e ai bambini che la aiutano, secondo l’età e le forze, però tutti con grande responsabilità. Il papà, in generale, esce alle 5 del mattino e va a lavorare in città come muratore, militare, poliziotto, impiegato, manovale, o altre attività, a Cayambe o a Quito, la capitale, e torna la sera tardi o il fine settimana. Verso sera è facile vedere i maschietti che si radunano a gruppi di 4 e mettono insieme 5 o 10 centesimi di dollaro ciascuno per godersi mezz’ora di videogiochi nella bottega di donna Ester, che oltre alla cabina telefonica ha quattro computers collegati a internet. I ragazzini si siedono a turno, pochi minuti ciascuno con il mouse alla mano, mentre gli altri hanno lo sguardo incollato al monitor. DONNA ESTER Donna Ester oltre a essere mamma e commerciante è anche catechista, un´ottima catechista, esigente e generosa. Quando il parroco la chiama chiude il negozio e corre… oppure lo lascia alla figlia, se è già tornata dal collegio, o al marito. Durante i primi giorni della Settimana Santa mi ha accompagnato a visitare alcune persone anziane, comprando per loro banane e pane dolce. Sua figlia, adolescente, ha il cuore grande come sua madre, ed è rimasta commossa quando, a Quito, ha incontrato le Suore de la Toca de Asís e altre religiose che accolgono i poveri in casa loro offrendogli vestiti, cibo, doccia, affetto… Un’altra catechista che da anni orienta la gioventù e dà il meglio di sé alla comunità è Perla. Come centinaia di donne di questi dintorni lavora in una delle tante piantagioni di rose che hanno occupato e contaminano ormai gran parte delle terre migliori. Danno lavoro alla gente e così tutti chiudono un occhio, meno le famiglie che mi hanno ospitato nella comunità della Buena Esperanza. Il loro NO alle imprese nazionali e multinazionali è stato ed è senza se e senza ma.

SPIRITO COMUNITARIO Nella comunità della Buena Esperanza, ossia la comunità di famiglie contadine, vige l’organizzazione e lo spirito comunitario. Ogni mercoledì si radunano gli adulti, uomini e donne per presentare e risolvere insieme qualsiasi problema. Ogni attività che richiede sforzo, come la costruzione di un canale per l’irrigazione dei campi, la pulizia della laguna, l’abbattimento degli eucaliptus che hanno invaso e ricoperto l’area agricola, il trasporto e la vendita del legname, lo sgombro della strada invasa da una frana… tutto si affronta lavorando insieme con un’azione denominata minga. Ogni bambino di queste famiglie campesinas ha la gioia di abbracciare il fratellino, la sorellina, le cuginette, i cuccioli del cane, gli agnellini, la pecora… e di essere a sua volta abbracciato dai fratelli maggiori, dai nonni, da un’infinità di familiari che si radunano molto spesso per celebrare feste o per risolvere difficoltà familiari. Questa abbondanza di affetto alimenta una serenità e una gioia che sprizza da tutti i pori, anche se per indole la popolazione andina non è chiassosa; al contrario, ascolta in silenzio ed esprime sentimenti molto profondi con poche parole. Nota. Il pueblo de la Buena Esperanza si raggiunge dalla Panamericana Quito-Cayambe, deviando per Cangahua.

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rubriche

MISSIONARI DEL DONARSI

MISSIONE È LIBERAZIONE Racconti di un Fidei Donum di don Felice Tenero - Già missionario Fidei Donum in Brasile

Cara redazione di Noticum, in novembre ci sarà il Convegno Missionario Italiano. Ho pensato di scrivere qualcosa, a mo’ di lettera-dialogo con i personaggi biblici che sono le icone del convegno: Mosè, Gesù, San Paolo e Giona...

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arissimo Paolo, tu non potevi mancare al Convegno Missionario delle Chiese sparse in terra italiana. L’evangelista Luca, nel libro degli Atti, ti ha scelto come modello del missionario e ha fatto di te quasi un super-eroe. Quanta strada hai fatto, quanto mare hai solcato, quanti pericoli hai affrontato. Con i tuoi viaggi missionari superi gli stretti confini geografici: vai dalla Palestina a Roma, cuore dell’impero romano, e hai in progetto di andare fino in Spagna. Con il tuo pensiero superi orizzonti inaspettati e apri le comunità cristiane all’universalità, squarciando il mondo chiuso ed escludente del giudaismo. Con una bisaccia in spalla e un paio di sandali ai piedi, porti Gesù a nuovi popoli e Lo fai conoscere a nuove culture. Il tuo lavoro missionario ci stimola a concretizzare, nella ricca diversità dei popoli, l’inculturazione della Buona Notizia di Gesù. Sai, Paolo, dopo duemila anni, il Vangelo ha solcato non solo gli oceani, ma anche i cieli, e si è diffuso in tutta la terra. L’invito del Risorto si è concretizzato: “Siate miei testimoni fino agli estremi confini della terra” (cfr At 1,8); oggi le comunità cristiane sono sparse ovunque e sono presenti in tutti i popoli. Quante diversità e quale pluralità di espressioni: il calore festivo della terra africana, la mistica contemplativa della terra asiatica, la forza liberatrice dell’America Latina, l’esperienza storica delle terre europee e la giovinezza entusiasta della terra oceanica, sono ricchezze e doni che lo Spirito diffonde affinché le Chiese vivano in uno scambio reciproco di comunione e cooperazione. Il nostro Convegno ti ha scelto come esempio e icona di missionario che ha fondato comunità, ha aiutato a superare conflitti e ha abbattuto muri di divisione. Qui in Italia, lo sai bene anche tu, la vita delle comunità cristiane non è sempre facile, anzi. L’impero del benessere e dei consumi affascina i cristiani, la cultura dell’individualismo e del ‘fai da te’ crea gruppi chiusi e solitudini strazianti, il luccichio del denaro crea le piazzeforti del malaffare e fa crescere strutture mafiose. La corruzione diviene così il peccato a portata di mano di molti che, avendo autorità, si sentono potenti, si sentono quasi Dio. Paolo, puoi tu aiutarci ad offrire alle nostre Chiese locali nuove modalità di presenza fra gli alti grattacieli della modernità e la bassezza delle periferie, fra il corri corri quotidiano e il bisogno di spazi di incontro; quali suggerimenti puoi dirci per essere voce attenta a tutti, superando barriere e preconcetti, vincendo corruzioni e sfruttamenti?

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arissimo missionario e missionaria, sulla strada polverosa di Damasco, il Signore mi ha conquistato. La mia vita è cambiata totalmente, mi sono dato totalmente a Lui. E con Lui e per Lui mi sono dato anima e corpo al cammino della missione. Donarsi, darsi totalmente è da sempre il nome autentico della missione, ed è stato il mio stile di vita. Ogni giorno, ogni ora, Dio è in missione per donarci il suo amore. Ogni giorno, ogni ora, tu sei invitato a diffondere questo amore fra le genti. Il mio andare era frutto e impegno di donazione. Nelle città greco-romane, ove ad aver privilegio e prestigio erano le élite, i ricchi, affermavo che “la comunità che riconosce Gesù come Signore, può dare testimonianza solamente vivendo relazioni di fraternità e di servizio”. Ricordo la comunità di Tessalonica: vive in una città tipicamente allineata al sistema romano e al suo modello di stratificazione sociale; ad essa chiesi di diventare uno spazio di convivenza alternativo, ove si superano le differenze di razza e di classe, si vincono le esclusioni e le marginalizzazioni, una comunità alternativa al sistema. Alla mia mente viene la comunità dei cristiani di Roma: ho scritto a loro una lunga riflessione, frutto della mia esperienza di apostolo e di quanto ho interiorizzato del mistero di Gesù Cristo. Ascoltavo il gemito dell’umanità, che aspira a liberarsi ma è incapace di percorrere questo cammino. Penso sia pure così la tua esperienza. Quanti gemiti, quante grida ascolti. Sono le doglie del parto. A questo gemito del parto viene in soccorso l’amore di Gesù; il suo Spirito d’Amore è capace di tutto per generare una nuova umanità. Immersi nell’amore di Gesù Cristo, non possiamo fare altra cosa se non vivere la dimensione dell’amore, essere una comunità ove regna lo Spirito d’amore (cfr Rom 8). Ho insistito nella donazione-amore con la comunità di Corinto. Quante liti e desideri di prevalere tra quei cristiani. A loro ho ricordato che la comunità è il corpo del Signore ove si realizza lo scambio reciproco di doni e ove la gratuità e il servizio sono il distintivo della missione della nostra fede e del nostro essere comunità (1Cor 12-13). Da ultima, non voglio dimenticarmi della Chiesa di Filippi: comunità cara al mio cuore (Fil 1,7-8). Lì mi sono sentito accolto e amato. Lidia e le sue compagne sono una testimonianza di autentica comunione e sororità (At 16,9-24). Ora vi ricordo che, durante il suo 3° Congresso Missionario Nazionale, realizzatosi

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nella diocesi di Palmas nel mese di luglio 2012, la Chiesa brasiliana costatava che “la preoccupazione per chi ci sta vicino, il terreno perso per l’avanzata della secolarizzazione e per la concorrenza delle chiese evangeliche, l’ansia per una riconquista, ci tormenta e deprime e ci fa girare sempre più attorno a noi stessi, fino alla chiusura totale verso il mondo. Diventiamo chiese della paura, dalle porte chiuse e finestre sbarrate… dobbiamo uscire, spalancare porte, abbattere muri di divisione e protezione!”. La missione consiste in questo: non possiamo aspettare che le persone vengano a noi, dobbiamo noi uscire al loro incontro e annunciare la Buona Notizia lì dove sono e vivono. Siamo inviati dal Risorto a rinnovare e dare vigore alla missione ‘ad gentes’ e ‘inter gentes’, verso tutti i popoli e in mezzo ad ogni popolo (Mt 28,1820). Sfoglio il Documento di Aparecida, documento della Chiesa latinoamericana, e vi incontro prospettive interessanti che ora vengono sempre più proposte con coraggio e determinazione nei vari incontri e convegni missionari. Te le ricordo: Donarsi esige coraggio per uscire dalle strutture. L’invio missionario è una rottura con inquadramenti strutturali e istituzionali di ogni tipo. La gratuità, che genera la missione, produce scioltezza, apertura, libertà, oltre tutte le frontiere (DAp 365). Donarsi domanda disponibilità a cambiare noi stessi. È la conversione del cuore, che sfida la capacità delle persone di lasciarsi toccare e coinvolgere dalle situazioni. La missione nasce sempre da una profonda com-passione verso la realtà, soprattutto dei poveri e delle vittime, dei crocefissi e dei sopraffatti. (DAp 366). Donarsi richiede il cambiamento delle nostre relazioni. È necessario uscire da uno schema eccessivamente gerarchico-istituzionale verso una pratica di autentica fraternità, dove siamo chiamati a sentirci fratelli e sorelle, credendo alla reale possibilità di un dialogo sincero tra popoli, culture e persone di ogni genere (DAp 368). Rinnovarsi per donare, cambiare per donare a piene mani, uscire per incontrare chi ci ama e chi possiamo amare fa crescere la missione e il tuo spirito missionario. Faccio mie le parole di Papa Francesco: “Se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita” (La gioia del Vangelo n 274). Ti auguro di vivere relazioni profonde d’amore e di essere un autentico missionario e missionaria del donarsi! Buon cammino.


MISSIONE È LIBERAZIONE Alla domenica le persone delle piccole comunità di base si riuniscono nella cappella o a casa di qualcuno per celebrare il giorno del Signore, perché la loro fede non dipende dal sacerdote

DECLINO E MINORANZA Le chiese abbandonate in Italia, così diverse dalle attive comunità di fedeli d’oltreoceano, spingono ad una riflessione che presuppone un ritorno alle origini di Paolo Cugini - Diocesi di Reggio Emilia - Già fidei donum in Brasile

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ono da pochi giorni a Reggio e ne approfitto per girare in bicicletta ed osservare le novità, i cambiamenti. E, mentre giro, penso. Rimango affascinato dai campi di grano pieni di papaveri e dal colore dell’erba. Ho trascorso gli ultimi anni della mia vita in una regione del Brasile dove piove pochissimo e la terra è arida. A Pintadas, la parrocchia che ho accompagnato dal 2010 al 2013, negli ultimi tre anni non è mai piovuto, la terra è secca e il bestiame muore. E poi rimango affascinato dalle strade, le ferrovie, i servizi pubblici, i parchi, i percorsi per le biciclette e tanto altro. Bisognerebbe uscire ogni tanto dal proprio orticello per apprendere ad apprezzare quello che si ha. L’unica cosa che mi ha colpito negativamente in questi miei primi viaggi perlustrativi a cavallo della mia bicicletta, sono le chiese abbandonate. Sono, infatti, passato davanti ad alcune chiese di alcuni paesini e ho visto l’evidente degrado delle strutture ecclesiali come oratori, cinema e chiese, dovute all’abbandono. Mi sono fermato dinnanzi ad alcuni di questi edifici e, oltre a fare alcune foto, ho riflettuto e mi sono interrogato sui motivi di questo abbandono, che assume l’aspetto triste del declino. Quegli spazi ora abbandonati sono stati senza dubbio in passato riempiti da bambini e adulti nel normale cammino della vita parrocchiale. Quanti preti hanno lavorato con entusiasmo in quei locali ora abbandonati; quanti catechisti e adulti si sono prodigati per organizzare la catechesi, feste con i bambini, momenti aggregativi e di preghiera. Perché adesso tutto sembra abbandonato? Che cosa è successo? La prima risposta che mi viene in mente, mentre passo dinnazi alla casa parrocchiale anch’essa abbandonata, è che adesso non c’è più il prete. Le parrocchie italiane dipendono dalla presenza del prete, senza di lui tutto svanisce. Se non c’è il prete non si celebra alla domenica. Mentre osservavo questo triste spettacolo mi venivano alla mente le piccole comunità di base che ho accompagnato per tanti anni in Brasile. Alla domenica le persone delle piccole comunità di base si riuniscono nella cappella o a casa di qualcuno per celebrare il giorno del Signore, perché la loro fede non dipende dal sacerdote. Sono stati abituati a fare così, ad organizzare la vita della comunità prendendosi le loro responsabilità, organizzando il catechismo per i loro figli, formando gruppi giovani dove i numeri lo permettono, celebrando le novene dei loro santi, le devozioni mariane e trovandosi una volta alla settimana per leggere e riflettere sulla Parola di Dio. Il sacerdote in questi contesti passa ogni tanto nelle comunità a celebrare l’Eucaristia, e soprattutto, si occupa della formazione dei laici, organizzando corsi per i catechisti e i ministri della Parola e dell’Eucarestia. E così, quando il prete non c’è le comunità soffrono, ma non muoiono: è questo che ho visto in Brasile. Le chiese e le parrocchie abbandonate sono anche il segno evidente di un fatto: il declino inarrestabile della Chiesa Cattolica o per lo meno della Chiesa così come si è imposta nel mondo Occidentale. È quello che gli storici e i filosofi chiamano “fine della cristianità”. Le chiese chiuse non solo nelle campagne, ma anche in città, le chiese date ad altri gruppi religiosi come gli Ortodossi, o le chiese date per fare delle mostre artistiche, sono sempre di più il segno di questo inarrestabile declino di un modo di essere presente nel mondo, che ha caratterizzato la Chiesa Cattolica sino ad ora. Ci stiamo ritirando perché non abbiamo più i numeri e le forze per mantenere in piedi la struttura che ha caratterizzando

grandi temi

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il nostro modo di essere Chiesa. Se sino a qualche tempo fa la fine della cristianità non era presa molto sul serio, perché sembrava solo un’analisi di qualche filosofo svitato, adesso si tratta di una constatazione sempre più evidente: è un dato di fatto che sta sotto gli occhi di tutti. Come vivere la fede in un tempo di fine della cristianità? Detto in un modo più semplice: come vivere la fede in un contesto di marginalità, di minoranza? Contiamo sempre meno non solo dal punto di vista numerico, ma anche sociale, politico e culturale. Sempre più le persone vivono e si organizzano indipendentemente dalla proposta religiosa. Siamo stati abituati a viver la nostra fede in un contesto in cui tutto ruotava attorno al campanile e chi non viveva in questo stile era visto male, e lui stesso si sentiva male. Adesso molta gente vive bene e sta bene anche senza frequentare i locali delle parrocchie. Non basta prendere coscienza di questo passaggio storico ed epocale, ma bisogna fare qualcosa. L’impressione che sto avendo in questi giorni è che ci stiamo lentamente lasciando seppellire dalla storia. È come se non volessimo vedere, sentire i rumori dello sgretolio dell’edificio che sta venendo giù e quindi rischiamo di morire sommersi dalle macerie. Mi sembra questa la tendenza dei nostalgici: non accettare la realtà e quindi ripristinare le forme del passato, per vivere come se non stesse succedendo nulla. I preti sono sempre meno e sempre più vecchi e da loro si esige che mantengano i servizi di un tempo. Se un prete non passa nelle case per fare le benedizioni è considerato con disprezzo dai parrocchiani. Allo stesso tempo, ancora oggi i laici nelle nostre parrocchie non contano quasi nulla o meglio, contano nella misura in cui possono svolgere il compito affidatogli dal parroco. Nonostante siamo dinnanzi a un evidente passaggio epocale, che esigerebbe scelte pastorali significative, viviamo nello stesso sistema di un tempo: gerarchia ecclesiale tutta schierata da una parte e il popolo di Dio dall’altra. Ci stiamo massacrando da soli. Per coloro che invece si lasciano guidare dallo Spirito Santo la fine della cristianità può diventare una grandissima occasione per riscoprire le nostre origini. Nel Vangelo i cristiani non sono mai chiamati a contare qualcosa nella società, ma a essere fermento nella massa, sale della terra. Nell’ultima cena Gesù avverte i suoi discepoli che saranno odiati dal mondo, che saranno perseguitati e che dovranno apprendere a rallegrarsi di ciò. Il cristianesimo nasce come un piccolo granello di senapa, come un tesoro nascosto. C’è tutta una spiritualità del nascondimento che permea le pagine del Vangelo, che possiamo recuperare in questa nuova fase della storia. Abbandonando i posti di comando la Chiesa potrà sempre di più vivere della conoscenza del suo Signore, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo per creare la comunità dei fratelli e delle sorelle. E così, invece di organizzare crociate per costringere alla conversione i popoli, potrà succedere quello che avveniva all’inizio dell’era cristiana: vedendo come i cristiani si amavano e come condividevano, molta gente si avvicinava a loro chiedendo di poter far parte della comunità. La fine della cristianità può rappresentare per noi discepoli e discepole del Signore una grandissima occasione per realizzare la profezia di Isaia che diceva: “Alla fine dei giorni il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti” (Is 2, 2).

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attività

LA LETTURA POPOLARE AL CUM

versi è molto vicina alla cultura biblica sia del vecchio che del nuovo Testamento. Tornato in Italia ho trovato difficoltà nel tentare di aprire la catechesi a un cammino biblico. Grazie a Dio in questi anni attraverso anche il lavoro con altri confratelli preti (sono direttore del CMD e allo stesso tempo parroco in solido con altri due confratelli) stiamo facendo un cammino per adulti di riscoperta del battesimo attraverso la Bibbia, e questo lavoro (soprattutto di uno dei due preti con i quali condivido questa esperienza pastorale) mi ha dato la voglia di venire qui, di fare questo corso. Dopo aver riscoperto il battesimo, vorremmo tentare un secondo obiettivo, ovvero fare dei piccoli circoli di persone che attorno alla Parola sappiano testimoniare il Signore e viverlo nella vita di ogni giorno. Questo il motivo per il quale sono qui, essendo molto in sintonia con il lavoro che il CUM sta facendo in questa direzione. È sempre più chiaro che di fronte alla vita bisogna avvicinarsi con molto rispetto e attenzione: noi non possiamo diventare padroni della Parola di Dio, come non possiamo diventare padroni né della nostra vita né di quella degli altri, per cui credo che l’atteggiamento primo sia quello di aprirsi con molto rispetto e con molta umiltà. O la Parola del Signore parla a noi uomini oppure è destinata agli angeli e quindi non ci serve molto. In questo senso credo che rendere accessibile la Parola del Signore sia importante se ci mettiamo nella condizione, con molta umiltà, di capire chi siamo, da dove proveniamo, dove siamo destinati ad andare e se siamo aperti al progetto di vita e di liberazione che Dio ha su di noi.

Dal 21 luglio al 2 agosto scorsi

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ue settimane intense di lavoro per due gruppi, un totale di 70 persone coinvolte provenienti da tutta Italia: laici, preti, suore, missionari, fidei donum, animatori di parrocchia, per diventare, dice Soave Buscemi, coordinatrice del corso, “facilitatori e facilitatrici di un processo di lettura biblica che vuole essere lettura comunitaria, una lettura di democratizzazione della Parola e una lettura di incontro con Gesù, la sua proposta, la sua persona nell’impegno della costruzione di un mondo che abbia sempre di più il profumo di ciò che noi nominiamo già e non ancora il Regno di Dio”. Ci ritroviamo, continua Soave, “per appropriarci di metodi di educazione popolare, di metodi di democratizzazione del sapere dove tutti hanno da imparare e hanno da condividere con tutti e mettiamo la vita e la Bibbia al centro di questo nostro camminare, che è un camminare verso la direzione di una società e di una Chiesa senza esclusione”.

STEFANIA TUNDO, ANIMATRICE NEL SALENTO La lettura popolare ha significato la possibilità vera di leggere la Bibbia, che non è libro morto ma parla di vita, possibilità di attualizzare il messaggio di Gesù. Vengo dal Salento e la nostra è una Chiesa particolare. In realtà non vedo questa Chiesa rispecchiata nella lettura popolare ma vedo questa Chiesa con le potenzialità per risorgere attraverso la lettura popolare, soprattutto per quello che riguarda le relazioni più autentiche all’interno della Chiesa stessa con il clero soprattutto e per le relazioni che possiamo avere con il territorio. La lettura popolare permette alla parrocchia di evolvere verso la comunità che è presente nel mondo e permette una religione che non sia solo culto ma una religione della vita. Leggendo la Bibbia ho potuto parlare con il mio sindaco e vice sindaco, interessarmi del mio territorio, guardare con altri occhi il problema dell’inquinamento che sta devastando la mia terra, ho potuto guardare i miei fratelli sotto un’ottica diversa. La lettura popolare ti apre a relazioni basate sulla nonviolenza. Attraverso la lettura popolare ho potuto guardare indietro verso Cristo, verso il popolo di Israele come la storia di un popolo che è anche la storia del mio popolo, tessuta con dei fili che si allungano e arrivano fino a me. La lettura popolare della Bibbia è stata importante per la mia vita, per le mie scelte personali.

LA TESTIMONIANZA DI DUE PARTECIPANTI DON SILVANO PERISSINOTTO, DIRETTORE CMD TREVISO Mi ha colpito questo tipo di lettura della Bibbia quando sono rientrato in Italia nel 2008 e mi sono sempre chiesto come rendere la Parola del Signore non solo un testo aderente alla vita, ma come mettere la mia vita di prete di fronte al Signore perché diventi davvero nutrimento per la vita di noi battezzati, avendo alle spalle un’esperienza come fidei donum in Ciad molto bella e semplice, che era quella della preparazione dei catechisti per la formazione al battesimo degli adulti e poi la formazione di chi la domenica faceva la preghiera nella comunità in assenza del prete. Sono stati 12 anni dove abbiamo tentato di rendere accessibile in maniera semplice - sotto un albero, con una lavagna - il testo biblico alle persone dei catechisti e delle catechiste e a noi stessi preti, come tentare di rendere questa parola non semplice nel senso di semplicistico, ma accessibile attraverso degli strumenti che vanno dalla lettura e dall’identificare chi parla, chi sta parlando, come parla in quale luogo, perché dice quelle parole. È stata un’esperienza molto bella, arricchita dalla cultura stessa africana che per certi

CORSO DI ITALIANO AL CUM

Calendario attività 2014

1 – 12 settembre CORSO PER SACERDOTI E RELIGIOSE/I NON ITALIANI CHE OPERANO NELLA CHIESA IN ITALIA - 1° livello Corso rivolto a chi è arrivato da poco in Italia e necessita di un’introduzione alla realtà culturale e sociale del paese e della Chiesa italiana.

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7 – 27 settembre 14° CORSO EST EUROPA – 24° CORSO ASIA E OCEANIA Corsi per partenti: sacerdoti, religiose/i e laici.

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ono stati due mesi intensi di approccio alla lingua Italia quelli di luglio e agosto al CUM per una settantina di preti, religiosi, religiose e laici provenienti dai 5 continenti. Obiettivo: imparare le prime strutture della lingua italiana per poter affrontare, dall’autunno, i corsi universitari nelle varie facoltà pontificie in Italia. Sudamericani, africani, asiatici, europei dell’est hanno soggiornato al CUM con un corso residenziale di due mesi che prevedeva lezioni durante la settimana e attività pastorale (per chi non era già inserito in attività delle congregazioni di appartenenza) nei fine settimane in realtà ecclesiali della zona.

7 settembre – 11 ottobre 68° CORSO AFRICA E MADAGASCAR - 98° CORSO AMERICA LATINA E CARAIBI Corsi per partenti: sacerdoti, religiose/i e laici. 28 settembre – 4 ottobre CORSO PER SACERDOTI E RELIGIOSE/I NON ITALIANI CHE OPERANO NELLA CHIESA IN ITALIA - 2° livello Corso rivolto a chi già opera da qualche anno nella Chiesa italiana per promuoverne la formazione permanente. 17 – 19 ottobre RIELABORARE L’ESPERIENZA MISSIONARIA - WEEK-END PER LAICI RIENTRATI NUOVO 2 – 8 novembre CORSO PER MISSIONARI/E RIENTRATI (in collaborazione tra CIMI-SUAMUSMI) Seminario rivolto a fidei donum, religiose/i e laici.

LA FONDAZIONE CUM SUL WEB -

Don Giampaolo Marta e don Gianantonio Allegri sono i fidei donum di Vicenza rapiti il 5 aprile scorso in Camerun e rilasciati dopo 57 giorni. Hanno raccontato questi difficili momenti alla fondazione CUM. Vedi il video sul sito: www.fondazionecum.it

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don Attilio De Battisti, fidei donum di Padova nel nord della Thailandia nella missione di Chiang Mai, ha passato un mese in Cina per un corso al seminario di Shanghai. Vedi sul sito il racconto della sua esperienza.

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Serena Noceti, intervenuta al Cum di Verona per il corso Fondamenti biblici per la missione, in un video sul sito racconta quale Chiesa per l’uomo di oggi.


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n.9 - settembre 2014

IL PREZZO DELLA PREPOTENZA

PALESTINA

Gaza, 27 luglio 2014

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arissimi amici, la scorsa notte è stata molto dura per noi qui. L’invasione via terra in Gaza ha provocato decine di morti e una moltitudine di feriti sanguinanti e moribondi. Tutti palestinesi e di tutte le età. Tutti civili che non hanno nulla a che vedere con questa guerra fratricida. Gli infermieri, i volontari e le volontarie, sono degli autentici eroi che stanno passando con le loro ambulanze tra le macerie, per riuscire a salvare qualche vittima. Lavorano 24 ore su 24, quasi svenendo dalla stanchezza e sotto il peso di un lavoro disumano; e questo senza ricevere nessuna paga. Da quattro mesi l’ospedale di Shifa non ha nemmeno uno spicciolo per pagare qualcuno. Nonostante ciò, i dipendenti corrono come forsennati per recuperare sangue e letti, in modo da soccorrere questi esseri umani che, per lo Stato di Israele, sono uccisi come inutili insetti. E sono esseri umani… Come medico, posso testimoniare la mia profonda ammirazione per questi volontari e volontarie e la mia vicinanza spirituale a questa “resistenza” (sumud) palestinese. Veri martiri che ci danno forza, anche se, solamente al vederli, hanno voglia di gridare di dolore e di piangere. Ho visto molti papà, aggrappati a un bimbo morto o ferito, coperto di sangue, in un atteggiamento di protezione, con un abbraccio senza fine; ma noi, con una profonda stretta al cuore, dobbiamo dire loro: “Dateci questi bambini. Ciò è pericoloso. Voi e loro potreste morire”. E, all’improvviso, un boato, una esplosione, un polverone… Ed ecco arrivare altre decine di insanguinati e feriti. Un vero lago di sangue invade l’atrio del pronto soc-

lettere

La voce di un medico di Gaza che supplica di porre fine al massacro

corso. Sono più di cento casi che arrivano questa notte all’ospedale e già non abbiamo più corrente elettrica, né acqua, né materiale curativo, né medicine, niente… Lo stesso ospedale ha un’ala bombardata e ridotta in macerie. È difficile accettare che tutto ciò stia succedendo solo perché lo Stato di Israele vuole affermare la sua occupazione militare nei territori palestinesi, con il pretesto di vendicare la morte di tre adolescenti giudei. A volte è difficile credere che tutto ciò possa accadere in pieno secolo XXI. Devo terminare questo messaggio perché, esattamente in questo momento, ascolto la macabra orchestra della macchina da guerra israeliana che con la sua artiglieria, dalle navi ormeggiate nel porto, sta colpendo le persone che passano per le strade. Sto udendo gli F16, di costruzione nordamericana, che sfrecciano nel nostro cielo e gli aerei non pilotati (gli Zenani) che passano molto bassi sulle nostre teste. Il tutto finanziato dagli Stati Uniti e dai paesi europei. Invito il presidente degli Stati Uniti e tutti quelli che ancora pensano che lo Stato di Israele abbia una qualche briciola di ragione a venir qui e trascorrere una notte nel nostro ospedale; una notte al Shifa Hospital è sufficiente. Per favore, aiutateci a porre fine a questo massacro. Se voi non fate nulla o fingete di non sapere, sarete complici, davanti a Dio, di tanto sangue sparso. In nome del Dio di tutte le fedi, fate il possibile per porre fine a questo massacro. Ciò non può continuare! Dr. Mads Gilbert, dall’ospedale SHIFA, in Gaza, Palestina

ALLE PIAGHE PREFERISCO I PROFETI La riflessione di un Fidei Donum sull’editoriale apparso sul numero di giugno BRASILE

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Mato Grosso - Brasile, luglio 2014

aro Padre Crescenzio Moretti, un caro saluto dal lontano Mato Grosso-Brasile. Mi presento: sono un prete Fidei Donum della diocesi di Cuneo. Ho letto il suo editoriale del mese di giugno sulle piaghe della Chiesa. Prima di leggerlo me ne aveva già parlato un prete della nostra diocesi di São Luiz de Cáceres che in questi giorni ha celebrato 60 anni di Sacerdozio. “Adesso ci sono solo «piaghe» nella Chiesa”? Quando penso alla Chiesa, penso a una Chiesa che ha un volto di persone care: la mia Famiglia, la Parrocchia dove sono cresciuto, il parroco che mi ha battezzato ed è stato all’inizio della mia vocazione, al Seminario, al Vescovo che mi ha cresimato e consacrato sacerdote. Ringrazio sempre questa Chiesa che mi ha accompagnato per tanti anni. Poi, diventato prete, come giovane vice-curato, la mia Chiesa ha il volto delle persone che ho incontrato nelle varie parrocchie dove ho lavorato: i chierichetti, i ragazzi, i giovani, gli ammalati che ho amato e cercato di servire. Poi sono partito per il Brasile a 29 anni. Adesso ne ho 74! Con i miei limiti ho amato e cercato di servire quella parte di Chiesa che mi è stata affidata. All’inizio nel Seminario diocesano di Toledo nel Paraná, poi in tre parrocchie. La Chiesa che amo sono le persone delle varie comunità cristiane con tanti laici generosi, sono i preti e le suore nati in queste comunità. Abbiamo tutti i nostri limiti, ma il Signore si serve di noi per costruire la sua Chiesa. Quando il Papa Francesco è venuto in Brasile, parlando ai Vescovi Brasiliani, ha raccomandato di avere l’atteggiamento di Gesù coi discepoli di Emmaus per evitare

l’emorragia di fedeli: ha insistito sullo «scaldare» il cuore delle persone. Quando ritorno in Italia ammiro la dedizione di tanti Sacerdoti Laici e Suore. Mi diceva una Suora che lavorava in una Scuola Materna Parrocchiale e aiutava in Parrocchia che andava a dormire tutti i giorni alle undici di sera e si alzava alle cinque del mattino per la preghiera e, poi, tutto il giorno a servire la Chiesa. Quando sento parlare, in prevalenza, delle «piaghe» della Chiesa, piuttosto di scaldare il mio cuore, me lo sento «gelare». Quando presento ai giovani o adulti un video di Padre Damiano, l’Apostolo dei lebbrosi, o di Padre Massimiliano Kolbe o di Madre Teresa di Calcutta, o leggono le biografie di Madre Paulina o di Frei Galvão, primi Santi Brasiliani, sentono il cuore scaldarsi. Quando sentiamo parlare di «piaghe» della Chiesa i cuori si raffreddano. Alle volte, per farmi coraggio, ritornando dalle visite alle Comunità Cristiane, mi piace fermarmi in mezzo alla foresta e guardare le stelle e penso che anche il mio nome è scritto nel Cielo. Partecipando alla Messa di 60 anni di Sacerdozio del Missionario della nostra diocesi, di cui ho parlato all’inizio, c’erano cinque Preti da lui incamminati al Sacerdozio che adesso garantiscono a tante Comunità Cristiane l’Eucaristia dominicale e guidano il popolo di Dio. Non sono contro i Profeti che denunciano le «piaghe» della Chiesa, ma preferisco i «profeti», quasi sempre anonimi, che là dove sono, sanno scaldare i cuori e seminare speranza. Pe. Anselmo Mandrile - Paróquia São Paulo

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Africa

DEMOCRAZIA IN AFRICA: UTOPIA O REALTÀ? I popoli africani sono disillusi da una democrazia politica élitaria che non sembra rispondere alle aspettative di Ugo Piccoli

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a secoli ormai si definisce la democrazia come il “potere del popolo, dal popolo e per il popolo”, secondo la felice sintesi di Lincoln, a significare che il monopolio del potere esecutivo e legislativo spetta ai cittadini. Ben lontana da quanto ebbe a dire non molti anni fa un noto autocrate africano per il quale “in Africa un Capo di Stato perde il potere solo quando è sazio”. Parlare oggi di democrazia politica in Africa potrebbe quindi apparire velleitario, non tanto perché i popoli africani non ne siano capaci, come ebbe a sentenziare brutalmente un giorno monsieur Chirac, quanto perché le pressioni che sta vivendo l’Africa, anche sotto l’offensiva del neofondamentalismo islamico, ma non solo, rischiano di far abortire quei timidi “esperimenti” nati con la caduta del Muro di Berlino nel 1989 che qua e là sul Continente cercano ancora di sopravvivere. A dire il vero, l’Africa sub-sahariana aveva già avviato un processo politico democratico nel momento della decolonizzazione degli anni ’60, processo che era stato bruscamente interrotto da una serie di golpe militari pilotati dall’esterno che da una parte avevano ben presto raffreddato gli entusiasmi popolari suscitati dalle indipendenze e dall’altra avevano blindato il potere di quelle neoborghesie nazionali “impazienti di godere dei profitti scaturiti dalla gran carovana della corruzione”, come ebbe a denunciare Franz Fanon nel suo libro “I dannati della terra”. IL RUOLO DEGLI INTELLETTUALI Da allora, per una trentina d’anni abbiamo assistito al trionfo del partito unico e del consenso coatto che tra gli altri nefasti effetti ha avuto anche quello di porre gli intellettuali di fronte ad una scelta lacerante: farsi cantori dei vari regimi e uomini forti del momento, oppure ritirarsi in silenzio e prendere la via dell’esilio. Dai primi anni ’90 , dopo l’ incontro a La Baule in Francia dei cosiddetti Grandi della terra, la democrazia politica formale e lo Stato di diritto vengono imposti sul Continente africano col ricatto degli aiuti internazionali, il baco nella mela! Non è certo stato un processo indolore, tutti abbiamo ancora sotto gli occhi le immagini provenienti dal Rwanda, ma bene o male la democrazia sembra oggi aver tenuto e preso piede anche se non mancano qua e là preoccupanti segnali di un ritorno al passato, vedi tra gli altri le spinte secessioniste in Nigeria, Centrafrica, est-Congo, Somalia e Mali, per-

ché tra le popolazioni si è instaurato pian piano un forte sentimento di disillusione. In ogni Paese africano, ma non solo, le elezioni politiche si accompagnano sempre più spesso a massicce frodi elettorali, intimidazioni, uccisioni, voti prestampati, imprigionamenti preventivi di giornalisti e leaders politici scomodi e via discorrendo. Un deja vu che in certi casi fa tornare alla memoria gli anni più bui di fine novecento! IL RUOLO DELLA STAMPA Perché il multipartitismo si installi definitivamente, la storia insegna, ha bisogno di poter contare su una stampa dinamica e libera, di una magistratura indipendente e di una società civile organizzata e attenta. Purtroppo tutto ciò in Africa è scritto ancora nel libro dei sogni, tant’è che una società civile organizzata è percepita ancora dal potere come una minaccia: ne sa qualcosa anche la Chiesa cattolica, le cui associazioni sono viste spesso con sospetto se non addirittura vissute come nemiche. Per questo le genti africane, che nella loro cultura suonano quotidianamente da secoli sulle corde di una democrazia di base vera e partecipata, sono disilluse da una democrazia politica élitaria, ancora con venature di sciovinismo etnico, che forse rispetta la forma ma non sembra rispondere alle aspettative delle popolazioni. Anche l’assalto quotidiano, disperato e caotico delle spiagge nordmediterranee suona come una conferma che la democrazia all’occidentale, così come l’abbiamo seminata in giro per il mondo senza incardinarla nel profondo delle culture, sta fallendo. Sono pochi i Paesi che sembrano aver masticato e rimasticato vantaggi e svantaggi di questa democrazia: un “lusso” che solo i ricchi possono permettersi? In Botswana, a Capo Verde e in Ghana il “giocattolo” funziona, con delle leadership credibili, uno Stato di diritto che si fonda su istituzioni indipendenti e una ripartizione democratica delle risorse. Ecco la parola magica: risorse! L’Europa può fare tutti gli esperimenti democratico-istituzionali che vuole, ma se continuerà a vedere il Continente africano solo come un serbatoio di mano d’opera e di materie prime semigratuite è destinata a dover convivere con una instabilità crescente perché una democrazia costruita a tavolino solo a livello continentale, senza toccare nuove relazioni tra i popoli a livello planetario, è destinata al fallimento: la lezione di Mandela è chiara!

di Henry Piccoli

AFRICA

AfricaNews

TRE SUMMIT PER FARE COSA? Dall’inizio dell’anno si sono già tenuti tre Summit ai livelli più alti sul futuro della cooperazione tra il Continente africano e il mondo occidentale. Aveva cominciato Parigi nel dicembre scorso, fino all’incontro di Bruxelles nel giugno di quest’anno. Nobili discorsi, belle intenzioni, grandi progetti e precisi impegni. A tutt’oggi solo parole gonfie di retorica, come succede ed è successo spesso. Adesso è la volta di Washington. Speriamo, anche se l’approccio a questo genere di incontri dovrebbe essere completamente diverso: non solo il solito predicozzo occidentale sul rispetto dei diritti umani e sul buon governo, ma anche un’assunzione di responsabilità per quanto succede sul Continente, in Libia per esempio, dove l’ Occidente che ha bombardato l’amico di mezzo secolo Gheddafi, oggi non sa più che fare. Il Presidente Obama ha invitato in America una cinquantina di Paesi e, stando ai dispacci di agenzia, ha in programma di fare un discorso di apertura del summit tutto incentrato sugli errori del passato, schiavitù, apartheid in Sudafrica… Non sarà una richiesta generica di perdono, ma una precisa e concreta riparazione attraverso una cooperazione che prenda in carico gli interessi dei popoli africani e li affianchi nelle sfide epocali che devono affrontare.

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COSTA D’AVORIO APPELLO A UNA MIGLIORE GESTIONE DELL’ACQUA Su iniziativa dell’Unesco si è tenuto a fine luglio a Yammousoukro un forum internazionale sulla gestione delle risorse idriche dal titolo “ L’accesso all’acqua per tutti in Africa”, a cui hanno partecipato più di 300 rappresentanti di Governi, ONG e Organizzazioni umanitarie presenti sul Continente africano. Irina Bokova, Direttrice generale dell’Unesco ha aperto i lavori ricordando come “sulla Terra ci sia in abbondanza acqua per tutti, è quindi sulla Governance che bisogna intervenire facendo programmi che superino la frammentarietà degli interventi tuttora esistente”. È questo il secondo appuntamento del genere organizzato in Africa dove l’accesso all’acqua potabile è un vero problema: “L’80% degli uomini e delle donne che vivono sulla Terra vivono in zone dove la sicurezza legata all’approvvigionamento dell’acqua potabile è a rischio. Di questi il 40% vive nell’Africa sub sahariana”, ha aggiunto il dott. Eric Falt, Responsabile per le Relazioni Esterne dell’Unesco. Per questo l’Unesco è fortemente impegnata ad affrontare le emergenze nel settore idrico.


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ARGENTINA: CONDANNATI GLI ASSASSINI DI MONS. ANGELETTI

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o scorso 4 luglio è stata pronunciata la sentenza di condanna all’ergastolo contro i due ex generali Luciano Benjamín Menéndez, 86 anni e Luis Fernando Estrella, di 82: “i fatti che portarono alla morte del vescovo furono conseguenza di una azione premeditata, provocatoria ed eseguita nella cornice del terrorismo di stato, e costituiscono delitti di Lesa Umanità, non soggetti a prescrizione né ad amnistia”. La verità sull’impunità ha trionfato 38 anni dopo la morte del vescovo Enrique Angelelli ed è giunto il momento della condanna dell’assassinio del vescovo, contrario alla dittatura militare, che lottava per la speranza e la dignità di migliaia di persone. Il 4 agosto 1976 Mons. Angeletti, vescovo de La Rioja, moriva in un incidente d’auto simulato, poco dopo l’inizio della dittatura militare. Per decenni le autorità hanno affermato che la morte del vescovo era stata accidentale. Il caso era stato riaperto nel 2010, quando il sacerdote Arturo Pinto, che era in macchina con il vescovo, testimoniò che l’auto sulla quale viaggiavano era stata intenzionalmente spinta fuori strada.

America Latina

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Panoramica

QUALE DEMOCRAZIA PER QUALE MONDO

Sono in totale oltre 57.000 i minori migranti provenienti dal Centro America detenuti fino a oggi negli Stati Uniti

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n Guatemala il Governo ha promosso una campagna dal titolo “Rimani qui”, come parte di una strategia per convincere migliaia di bambini e adolescenti che stanno progettando di lasciare il paese. Un video trasmesso dalle televisioni, in particolare nei municipi di Sololà e San Marcos, che registrano il maggior numero di migranti negli USA. I paesi del Triangolo Nord del Centro America (Honduras, Guatemala e El Salvador) hanno intrapreso una serie di azioni per contrastare la recente massiccia migrazione di minori. Il fenomeno delle migrazioni di giovanissimi è stato definito dal presidente statunitense Barack Obama come una “crisi umanitaria”, e in Centro America molti temono che non ci sarà rimedio a breve termine, fino a quando non si sia risolto il problema della povertà, esclusione sociale e violenza nella regione. Il narcotraffico e la tratta delle persone stanno approfittando della situazione di povertà strutturale della regione. Il presidente Obama ha richiesto una cifra di 2.000 milioni di dollari per affrontare la crisi dei bambini migranti che hanno attraversato la frontiera degli USA e che potrebbero raggiungere i 90.000 entro ottobre. Ma oltre a stanziare soldi per l’emergenza, la Casa Bianca ha lanciato dei segnali ai paesi del sud: il vice presidente Joe Biden ha avvertito che i bambini non potranno rimanere negli Stati Uniti. Un secondo importante messaggio è stato il rimpatrio di centinaia di minori, rimandati nei loro paesi di origine. Anche il Messico condivide le preoccupazioni per le massicce migrazioni di cittadini centroamericani: il presidente Enrique Peña Nieto ha lanciato il “Programma Frontiera Sud” nel quale si stabilisce di aumentare il numero dei visti per lavoro a cittadini del Guatemala e del Belize e allo stesso tempo è stato deciso di effettuare controlli più severi sul treno merci utilizzato dai migranti, conosciuto come “La Bestia”. Il Messico non vuole più permettere che migranti del Centro America e messicani mettano a rischio le loro vite su quel treno. Ai migranti senza documenti il Messico non permetterà di proseguire il viaggio per gli Stati Uniti. Coloro che non hanno i documenti in regola saranno rimandati al loro paese. Oltre 57.000 minori migranti sono stati detenuti negli Stati Uniti Il problema è particolarmente grave in Honduras, che ha il tasso di omicidio più alto al mondo: 79 crimini per 100.000 abitanti, secondo l’Osservatorio della Violenza dell’Università Autonoma dell’Honduras. Secondo il presidente dell’Honduras, Juan Orlando Hernández, sette su nove bambini che emigrano provengono dalle zone dove è più forte la violenza e dove è maggiore il traffico di droga. In un messaggio ai partecipanti al “Colloquio Messico-Santa Sede sulla mobilità umana”, papa Francesco ha espresso la sua preoccupazione per la grave situazione umanitaria dei bambini e adolescenti che migrano negli Usa, con la speranza di una vita migliore.

COMUNITÀ ANDINA Il Parlamento Andino, organo deliberante della Comunità Andina, composta da Bolivia, Colombia, Ecuador e Perù, ha approvato all’unanimità la creazione di un Osservatorio Regionale per armonizzare le leggi e stabilire una politica comune per sradicare il femminicidio nella regione.

BOLIVIA I bambini della Bolivia potranno lavorare a partire da 10 anni, in base a un decreto promulgato il 17 luglio, che autorizza il lavoro infantile affermando che le condizioni di estrema povertà del Paese obbligano anche i bambini a lavorare. La norma stabilisce che l’età minima per lavorare è 14 anni, con due eccezioni: 12 anni per lavorare dipendenti e 10 anni per lavorare autonomi.

MESSICO Tra il 2011 e il 2013 almeno 27 difensori dei diritti umani (11 donne e 16 uomini) sono stati assassinati, secondo il dossier “Il diritto a difendere i diritti umani in Messico”. Inoltre 171 persone sono state vittime di aggressioni. In Messico non esistono politiche adeguate e integrali per garantire protezione ai difensori dei diritti umani.

AmericaLatinaNews

MIGRAZIONI DI MINORI NEGLI USA

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America Latina presenta governi democratici da oltre due decenni, ma per una sorta di paradosso, sono ancora presenti alti livelli di diseguaglianze, ci sono gravi situazioni di povertà, la crescita economica è stata insufficiente e in alcuni casi è aumentata l’insoddisfazione dei cittadini nei confronti della democrazia, con manifestazioni popolari che hanno avuto conseguenze destabilizzanti. Una delle cause di questa situazione è che la democrazia, sebbene sia ampiamente diffusa nel continente, ha radici poco profonde. Uno studio realizzato dal PNUD nel 2002 evidenziava come il 48,1% degli intervistati che affermavano di preferire la democrazia a qualsiasi altra forma di governo, preferiva allo stesso modo lo sviluppo economico alla democrazia, e il 44,9% degli intervistati sosteneva che sarebbe stato disposto ad appoggiare un governo autoritario se questo avesse risolto i problemi economici. In America Latina in termini generali è possibile evidenziare una preferenza generalizzata per la democrazia, sia da parte delle elite che dei cittadini. Il dossier “Estado de la democracia en América Latina”, realizzato nel 2011 dal Programma delle Nazioni unite per lo Sviluppo e dall’Istituto di Iberoamerica ha evidenziato come nel continente persiste una delegittimazione importante riguardo alle istituzioni politiche, che sono essenziali perché la democrazia sia effettiva. È particolarmente preoccupante che la sfiducia interessi in modo speciale i partiti politici, il Potere Legislativo e il Potere Giudiziale. La situazione non è omogenea tra tutti i paesi. Tra quelli che hanno una percezione più ottimista riguardo alla democrazia vi sono Uruguay, Costa Rica e Chile. È necessario costruire o rafforzare istituzioni legislative e giudiziarie che proteggano i diritti umani e permettano uno spazio per il dibattito politico, affrontare in modo deciso il problema della povertà e creare posti di lavoro di qualità, eliminando gli alti livelli di diseguaglianza del continente.

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Asia

n.9 - settembre 2014

INDIA, ESEMPIO DI DEMOCRAZIA 814 milioni di cittadini hanno votato nelle più imponenti elezioni dalla nascita del Paese a oggi

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uelle che si sono tenute in India lo scorso aprile sono state le elezioni più imponenti dalla nascita delle democrazia a oggi. Dal 7 aprile al 12 maggio, in nove diverse fasi, sono andati a votare 814 milioni di persone, per eleggere i rappresentati della Camera Bassa, i quali nominano a loro volta il Governo. Si è trattato di un voto storico non solo per la sua portata, ma anche per il risultato: dopo anni di dominio della scena politica da parte dell’Indian National Congress (Inc - il partito della famiglia Gandhi, in pista dall’indipendenza del Paese dal Regno Unito, nel 1947), per la prima volta a vincere è stato il Partito Popolare Indiano (Bharatiya janata party, Bjp): 285 seggi, superando di 13 la maggioranza assoluta nel Lok Sabha (Camera Bassa del Parlamento). Il partito del Congresso presieduto dalla italo-indiana Sonia Gandhi è crollato come un castello di carte: solo 48 seggi, il peggior risultato dei suoi 65 anni di storia parlamentare. Narendra Modi, il nuovo primo ministro, è una figura controversa, accusato di avere avuto un ruolo di primo piano nelle sommosse popolari contro la comunità musul-

mana che si sono verificate nel 2002 nello stato del Gujarat, di cui era governatore, e che hanno portato alla morte di duemila manifestanti. Da un lato il carisma di Modi, e una propaganda giocata sulla sua figura, più che sui temi della campagna elettorale; dall’altro il declino dell’Inc, determinato dall’immobilismo politico, dai tanti episodi di corruzione, e dal rallentamento della crescita economica, hanno permesso al Bjp di infliggere una sonora sconfitta alla vecchia politica indiana. In attesa di capire se Modi riuscirà a dare all’India un nuovo impulso economico e sociale, è importante ricordare che l’India di oggi è il più grande esperimento democratico dalle rivoluzioni americana e francese. Amartya Sen ha spiegato più volte che la democrazia indiana non è l’importazione di quella occidentale. L’India viene da una lunga tradizione di tolleranza e di convivenza: qui sono nati l’induismo, il buddismo, il jainismo e il sikhismo, e cristiani, ebrei, zoroastriani convivono pacificamente da secoli. Ci sono ancora conflitti che sfociano in bagni di sangue tra musulmani e indù, ma la pace è la norma. A pesare su questa stabilità c’è oggi il rallentamento della crescita economica: dal tasso del 10% annuo a quello del 5, un livello insufficiente per togliere dalla povertà ancora milioni di indiani, una povertà che è tra le prime cause di violenza quotidiana, abusi sessuali, intolleranze di casta.

Panoramica

L’ASIA ALLA PROVA DEL VOTO

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na sconfitta per la democrazia”: molti analisti e osservatori internazionali hanno definito in questo modo le elezioni presidenziali che si sono tenute tra aprile e giugno in Afghanistan. Per Kabul avrebbe dovuto essere finalmente un banco di prova concreto per la democrazia nel Paese, ma il risultato della prima fase di voto è stato ribaltato nel ballottaggio del 14 giugno, suggerendo possibili brogli. Lo scorso 5 aprile il voto aveva visto vincitore Abdullah Abdullah, candidato della National Coalition of Afghanistan, di etnia tajiki. Il 14 giugno il ballottaggio ha capovolto la situazione, e decretato presidente Ashraf Ghani, candidato indipenLAND denteGRABBING di etnia pashtun, IN CAMBOGIA con il 56,44% dei voti; ben 13 punti di distacco su Abdullah. InMa meno se l’Afghanistan di 15 anni in almeno Cambogia ci prova, società altri Paesi agro-alimentari asiatici sembrano si sonoinvece appropriate addirittura procedure democratiche: è il casopersone della Thailandia, dove ad inizio diallontanarsi 2 milioni didalle ettari di terreno, sfrattando 770mila con la complicità agosto, la giunta che ha preso il potere a fine maggio dopo un periodo di forti delle istituzioni. di instabilità, ha popolazione, nominato un soprattutto nuovo Parlamento. Suaree 200 rurali membri, Siproteste tratta die circa il 6% della poveri di ed 100 sono militari; il resto è indifesi composto da oppositori leader Shinawatra, urbane, e si ritrovano e senza tutele sedell’ex decidono diThaksin contrastare gli fratelloNel della presidente deposta Yungluck. Inoltre, i generali stanno gradualmente sfratti. 2012 grandi manifestazioni hanno costretto il governo a congelare ampliando i propriepoteri. Le le elezioni democratiche fissate per la fine nuove concessioni, da allora controversie legali dasono partestate dei cittadini sono del 2015, nel luglioil dello stesso essere ultimata e presentata una aumentate di oltre 50%, per ora,anno però,dovrebbe senza portare a grandi risultati. nuova Costituzione. Promesse che sono viste con diffidenza dalla società civile, che teme una presa di posizione sempre più autoritaria da parte dei militari. In questo panoramaPER emerge successo delle presidenziali indonesiane dello scorNUOVA CAMPAGNA ASIA ilBIBI 9 luglio, Christian che hannoCongress” portato all’elezione Jokonuova Widodo, il primo dei 7 presidenti Ilso “Pakistan ha lanciatodiuna campagna internaziodel Paese a non aver alcun legame con cattolica il regime condannata autoritario dell’ex leader nale per il rilascio di Asia Bibi, la donna a morte per Suharto. blaEx imprenditore, non è mai stato unpetizioni militare.al Chiesa locale degli e società sfemia in Pakistan.Widodo L’obiettivo depositare Congresso Staticivile hanno commentato con soddisfazione la sua da cui èa uscito sconfitto Uniti, all’Unione Europea, al Consiglio Onu perelezione, i Diritti Umani, Ong come l’ex generale Subianto.eDal suo mandato ci si aspetta minoranze e Amnesty International Human Right Watch, per fareattenzione pressione alla sul governo allePakistan categorie tutelate dellasulla società, ma a esuo favore Asia si è espressa anche la del permeno abrogare la legge blasfemia rilasciare Bibi, condancomunità economica, di vedere mantenute le sue promesse di Corte un nuovo nata a morte nel 2009 einilattesa processo di appello è in corso davanti all’Alta diimpulso Lahore.alla produzione nazionale.

AsiaNews

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AsiaNews IRAQ Di fronte alle persecuzioni dei cristiani e degli yazidi in Iraq da parte dell’esercito del califfato islamico, il sito di informazione sull’Asia del Pime www.asianews.it ha lanciato una raccolta fondi per sostenere gli sfollati e i sopravvissuti. Sono oltre 100mila le persone costrette a fuggire dalle loro case da Mosul e Qaraqosh, nella piana di Ninive, sotto la minaccia di morte. Tra loro migliaia di bambini, anziani, malati e donne incinte. Sul sito si trovano tutte le indicazione per donare, i fondi raccolti saranno inviati al Patriarcato di Baghdad, che provvederà a distribuirli secondo i bisogni di ogni famiglia.

SIRIA Non ci sarà mai un vero negoziato di pace in Siria finché il traffico d’armi internazionale non smetterà di alimentare il conflitto in corso da più di 3 anni. A puntare il dito contro i venditori di armi, interessati a contrastare la pace, è Pax Christi International, nell’ennesimo appello alla pace diffuso poche settimane fa. Pax Christi accusa anche i governi più vicini al conflitto, colpevoli di “fomentare il conflitto armato fornendo e finanziando armamenti e munizioni, addestrando i combattenti e anche inviando contingenti militari in soccorso di uno o più contendenti”. L’appello si conclude invocando l’imposizione da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu di un embargo sulla vendita di armi.

ISOLE DEL PACIFICO Le piccole repubbliche del Pacifico sono sempre più minacciate dai cambiamenti climatici e dalla povertà: lo afferma allarmato il Forum delle Isole del Pacifico, che si è concluso il 31 luglio e che comprende, tra le altre, Nauru, le isole Marshall, Niue, Tuvalu e le isole Cook; Palau e Kiribati. Finora le iniziative individuali di ciascuna nazione non hanno portato a risultati efficaci per contrastare le nuove forme di povertà legate soprattutto agli evidenti cambiamenti climatici, che stanno danneggiando le forme di sostegno economico tradizionali. Il Forum si è proposto quindi di iniziare un percorso condiviso per andare “oltre le tradizioni e trovare nuove soluzioni e strategie in un mondo in cambiamento e sempre più complesso”.


MISSIONE È LIBERAZIONE

NotiCUM n.9 - settembre 2014

Europa

SOFFIA IL VENTO ANTISEMITA? L’Europa è attraversata da una crescente e preoccupante ondata di intolleranza

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nche le parole possono essere bombe o raffiche si mitra. Lo sperimenta in questi giorni l’Europa intera, dove si moltiplicano insorgenze antisemite di vario livello. Un vento cupo attraverso il Vecchio continente, alimentato dall’acuirsi del conflitto in Terra Santa. All’errore che da decenni perpetuano israeliani e palestinesi imbracciando le armi per risolvere i loro problemi di convivenza - accrescendo così il numero delle vittime e con esse il dolore e il reciproco rancore-, si aggiungono sentimenti irrazionali, di odio e vendetta, anche in città lontane migliaia di chilometri da Gerusalemme. “LA MENTE CORRE AL 1933...” Frange pur sempre minoritarie, ma crescenti, dell’opinione pubblica europea, si schierano con una parte o con l’altra, come se si dovesse tifare per due squadre impegnate in un derby calcistico. In realtà in Israele e in Palestina si muore. Per davvero. In questo quadro si collocano le 70 scritte apparse nei giorni scorsi sui muri di Roma, trasudanti odio verso gli ebrei. Ugualmente vergognosi sono i manifesti, con svastica, inneggianti ai “camerati palestinesi”. Il presidente della Comunità ebraica, Riccardo Pacifici, ha dovuto amaramente commentare: «La mente corre al 1933, quando alcune stelle gialle furono attaccate all’entrata di negozi di proprietà di ebrei». Quindi un monito: «Non dobbiamo mai abbassare la guardia». L’odio contro gli ebrei - che sempre più spesso colpisce tutte le altre minoranze, religiose o etniche, gli stranieri come i rom - è un male che accompagna la storia dell’umanità. Ma come tutti i mali va contrastato, senza mai «abbassare la guardia». Del resto si tratta di fenomeni presenti in gran parte d’Europa, come innumerevoli indagini hanno posto in evidenza. Per restare all’antisemitismo, si possono ricordare i molteplici attacchi alle sinagoghe, le profanazioni dei cimiteri ebraici, le violenze personali, muri e saracinesche di negozi imbrattati in tante, troppe, città, a ogni latitudine. Senza trascurare le offese ad anziani con la kippah, le vignette satiriche di dubbio gusto, le performance comiche che irridono la fede, la vendita di copricapi ebraici con stampe irriverenti… …E NEL VECCHIO CONTINENTE QUALCUNO SEMINA ODIO La Francia, ad esempio, è costellata da una serie di episodi simili registrati di recente a Parigi, Nimes, Strasburgo, Tolosa. Tanto che lo stesso Pacifici ha affermato: «Roma non può diventare come Parigi, dove gli ebrei sono assaltati, le sinagoghe circondate, e girare con la kippah in testa è un pericolo concreto». E come dimenticare l’attentato Bruxelles del 24 maggio scorso, con una sparatoria al museo ebraico che ha lasciato sul terreno tre vittime. «C’è stata una liberalizzazione del verbo antisemita. Questo è l’inevitabile risultato di un clima che distilla l’odio», ha commentato a caldo Joel Rubinfeld, presidente della Lega belga contro l’antisemitismo. Erano in corso in quei giorni le elezioni per l’Europarlamento, durante le quali hanno fatto il pieno di voti diverse formazioni nazionaliste con accenti razzisti, xenofobi e anti-immigrati: è il caso del partito antisemita ungherese Jobbik, che ha raccolto il 15% dei voti popolari. E, sempre per restare all’Ungheria, è di queste ore la vicenda del poeta, ed esponente politico di destra, Peter Szentmihalyi Szabo, tra i candidati a diventare

ambasciatore del suo Paese proprio a Roma: ma le sue aperte posizioni contro gli ebrei sembrano aver convinto il governo di Budapest a ritirare il suo nome. In questo triste tour europeo, si riscontrano atteggiamenti ed episodi di egual segno nel Regno Unito, nei Paesi Bassi, in Spagna, in Germania, in alcuni Paesi dell’est… E se in Polonia l’antisemitismo assume soprattutto le forme di uno stereotipo diffuso, in Danimarca si è ufficialmente giunti tempo fa a suggerire alle persone di religione ebraica di non mostrare in pubblico i simboli della loro fede. STOP ALL’INTOLLERANZA, LARGO ALLA SPERANZA A malintesi retaggi storici si mischiano dunque - come hanno avvertito attenti commentatori e studiosi dei comportamenti sociali - gretti nazionalismi, l’azione di gruppuscoli politici di stampo fascista, ma anche frustrazioni personali che tendono a identificare un nemico contro cui scagliarsi. Così, mentre il sangue scorre nella Striscia di Gaza e nelle vie delle città israeliane, prendono forma idee e comportamenti che acuiscono - pur a distanza - le divisioni sul campo, laddove occorrerebbero un’azione politica internazionale e un’opinione pubblica mondiale decisamente schierate solo dalla parte della pace e della convivenza di due popoli in due Stati amici e collaboranti. Perché si fa presto ad alzare muri d’intolleranza, mentre occorre, con fatica e determinazione, costruire ancora ponti di speranza. (Tratto da Agensir)

IL FLUSSO DI MIGRANTI TRA IL MAROCCO E LA SPAGNA

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na commissione del Servizio gesuita ai migranti-Spagna e Europa (Sjm-E e Sjr-E) ha consegnato al difensore civico, Soledad Becerril, il rapporto “Vite alla frontiera sud: migranti forzati e rifugiati in Marocco e accesso al territorio spagnolo”, così riferisce l’agenzia Agensir. Il documento è basato su due viaggi che i membri di queste commissioni hanno realizzato nella zona di frontiera tra Marocco e Spagna, concretamente a Nador e Melilla. Il rapporto pone l’accento sull’ «aumento delle persone ‘bloccate’ in Marocco per un lungo periodo di tempo, che può prolungarsi per un anno o due”. «Questa situazione - fanno notare i gesuiti - ha creato dinamiche complicate per i migranti e per la popolazione locale che li ospita, in una situazione nella quale il Marocco smette di essere un Paese di transito per diventare un luogo di lunga permanenza». Dopo il viaggio, i membri di Sjm-E e Sjr-E dicono si sentirsi «colpiti» dalle «durissime condizioni di vita della popolazione migrante e rifugiata in transito o bloccata in Marocco a causa delle politiche spagnole ed europee di controllo migratorio» e segnalano «le traversie e i rischi ai quali vanno incontro i migranti, ma dei quali raramente si tiene conto quando si disegnano politiche che li riguardano in via diretta». Particolarmente dure sono le condizioni di vita negli insediamenti di Nador, il Bosque Gurugú e le montagne Selouane, dove i migranti si trasferiscono mentre cercano di racimolare denaro o trovare una nuova opportunità per “saltare il fosso” ed entrare in territorio europeo. Il rapporto riferisce di problemi alimentari e sanitari, della vulnerabilità delle donne vittime della tratta e delle vessazioni da parte delle forze ausiliari

marocchine. Malgrado le riforme migratorie approvate in Marocco, persiste una politica di sicurezza basata sulla repressione. «I migranti impediti a raggiungere Ceuta o Melilla» in Marocco «sono allontanati dalle frontiere, conducendoli a Rabat, dove sono lasciati liberi, abitualmente alla stazione degli autobus, ma senza risorse né assistenza». LA SITUAZIONE A MELILLA Nella sosta a Melilla (Marocco) Sjm-E ha visitato il Centro di permanenza temporanea dei migranti (Ceti): se a marzo erano accolte 1.200 persone in un centro la cui capacità è di 480, a luglio si è arrivati a 1.600, tra cui 415 minori, che se non potranno accedere in Spagna dovranno andare a scuola a Melilla. Nel rapporto si sottolinea che «il Ceti è carente per quanto riguarda l’infrastruttura, gli impianti e le attrezzature minime per la popolazione che ospita. È evidente una situazione di saturazione e sovraffollamento. Ci risulta incomprensibile - dicono i gesuiti - perché il ministero dell’Interno non porti nella Penisola (iberica, ndr) le persone per alleviare la situazione del Ceti, almeno coloro che hanno bisogno di protezione (rifugiati, minori, possibili vittime della tratta, persone vulnerabili». Malgrado ciò, «le associazioni locali descrivono la permanenza nel Ceti tutto sommato buona. I migranti ricevono coperte, cibo e cure mediche e possono muoversi liberamente per la città tra le 9 e le 23. Inoltre, le ong spagnole sono autorizzate a fornire diversi servizi». Una grande preoccupazione riguarda l’aumento dei minori non accompagnati a Melilla.

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MISSIONE È LIBERAZIONE

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n.9 - settembre 2014

SpazioCedor

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primi due libri che vi proponiamo indicano percorsi di liberazione radicati in situazioni concrete e attenti ai messaggi profondi provenienti dalla spiritualità di Gesù e dall’annuncio incarnato del Vangelo. Dall’osservazione dei segni dei tempi (in questo caso gli elementi costitutivi della post-modernità) e dall’esperienza di pastorale vissuta in una “Chiesa sorella” (quella brasiliana), gli autori indicano possibili vie di liberazione dai problemi della vita odierna. Osservazione, azione e pensiero, facilitano la ricerca della via, vite esemplari testimoniano come percorrerla. Le storie di due donne chiudono invece le segnalazioni di questo mese, dedicate a missione e liberazione. Due donne che hanno ricevuto una “missione” dal contesto in cui si sono trovate a vivere e l’hanno portata avanti fino in fondo, contribuendo in modo significativo al processo di liberazione dei loro popoli.

lismo, globalizzazione dal basso, la scienza dopo Einstein), offrendo alcune indicazioni per mettere in pratica nel contesto odierno una spiritualità ispirata da Gesù, che può portare a processi di liberazione e di superamento dei drammi che affliggono oggi l’umanità e il nostro pianeta.

Paolo Cugini Il futuro del Vangelo. Dal Brasile domande e proposte per la Chiesa Bologna – EMI – 2010 L’autore, prete Fidei Donum della diocesi di Reggio Emilia, mette a frutto la sua formazione accademica e la sua esperienza di pastorale nel Nordest del Brasile, per trovare la sintesi tra contemplazione e azione e individuare le modalità con cui l’annuncio del Vangelo possa contribuire alla trasformazione delle coscienze e delle strutture della società. Suggerimenti dalla Chiesa in Brasile per una liberazione sostanziale che può diffondersi in diversi Paesi del mondo.

Luc Besson The Lady. L’amore per la libertà DVD – Good Films – 2012 Il film racconta la vita e le difficoltà che Aung San Suu Kyi ha sopportato e affrontato per difendere la libertà del suo popolo, quello Birmano. Premio Nobel per la Pace, figlia di un generale assassinato dagli stessi militari, compiuta la sua formazione in Inghilterra, torna in Birmania e accetta di guidare in modo nonviolento l’opposizione al potere assoluto dei generali. In lei la forza, la fedeltà al popolo e alla libertà, i legami familiari, la passione per un’ideale, sono carburante per resistere lungo tutto il processo di liberazione.

Albert Nolan Cristiani si diventa. Per una spiritualità della libertà radicale Bologna – EMI – 2013 L’autore, domenicano, esponente della “teologia contestuale”, analizza i segni dei tempi dell’era postmoderna (sete di spiritualità, crisi dell’individua-

Nuove uscite PERIFERIE, CUORE DELLA MISSIONE È il DVD della Giornata Missionaria Mondiale 2014 prodotto da Missio-Pontificie Opere Missionarie. Per riceverlo: www.missioitalia.it - Per info: 06/6650261

Anselmo Palini Marianella Garcia Villas: “Avvocata dei poveri, difensore degli oppressi, voce dei perseguitati e degli scomparsi” Roma – AVE – 2014 Un’attenta ricostruzione della situazione storica e politica di El Salvador negli anni della dittatura del XX secolo fa da cornice alla biografia di Marianella Garcia Villas, avvocato che difese i diritti dei perseguitati dalla dittatura militare e per questo fu uccisa il 13 marzo 1983. L’autore fa emergere dai fatti concreti, dagli scritti di Marianella, dalla voce di chi l’ha incontrata, la radicalità di una scelta che determina la vicenda umana, politica e religiosa di una martire per la libertà.

Tutto il materiale segnalato è disponibile al prestito presso il “Cedor” - Centro di documentazione della Fondazione Cum

L’opinione

LO SCIOPERO CONTRO I POVERI

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fine maggio era annunciato e veniva attuato uno sciopero del personale delle Ferrovie dello Stato. Dovendo viaggiare per ragioni di lavoro, ero preoccupato di quanto sarebbe successo. Ho potuto vedere però l’elenco dei treni che venivano garantiti, e siccome i due treni che dovevo prendere erano uno Freccia rossa e l’altro Freccia bianca, non ho avuto problemi. Le stazioni in cui ho preso i treni erano affollate, soprattutto da persone che speravano in qualche treno normale: qualcuno c’era. Vi era però un alto rischio: fino all’ultimo non era certo se il treno sarebbe partito, o se sarebbe stato soppresso. Come tutti sanno, le varie Frecce si fermano solo nelle stazioni considerate molto importanti, e il biglietto necessario per salire su quei treni costa mediamente il doppio dei biglietti ordinari. Quindi due conseguenze: chi doveva fermarsi in stazioni considerate secondarie, non avrebbe potuto usufruire del servizio ferroviario. Chi sarebbe sceso in stazioni considerate importanti, poteva viaggiare, ma avrebbe speso molto di più. Che cosa desumere da tale situazione? Non faccio parte di chi non sopporta i sindacati, di chi pensa che senza di loro la vita sarebbe migliore. In effetti sarebbe migliore: ma solo per chi ha altre garanzie e altre difese. Il sindacato invece era nato soprattutto per tutelare i più deboli e indifesi: e tale ruolo gli è rimasto anche oggi, pur se il mercato del lavoro è molto cambiato e spesso quando si indice uno sciopero manca del tutto la controparte, che si trova in qualche paradiso fiscale chissà dove. Ma lo sciopero non è sempre la difesa dei più indifesi. Si sono resi conto, i sindacalisti, che con quello sciopero delle ferrovie stavano tutelando i più forti e dimenticando i più deboli? Si sono resi conto che si trattava di uno sciopero contro i poveri e con nessuna conseguenza per i ricchi? Possibile che non vi abbiano pensato? E se vi hanno pensato, perché lo hanno dichiarato? Lo sciopero è diventato un’arma che serve solo in determinate circostanze. Nei primi anni del ‘900 era molto usato, anche se spesso rischioso per gli operai: ci rimettevano inoltre la giornata di lavoro, che incideva non poco su un salario già piuttosto magro. In un sistema di capitalismo locale, fare sciopero significava danneggiare il datore di lavoro, che è interessato a scendere a compromessi. In un mondo globalizzato, bisogna invece trovare altre forme di protesta. Quando si sciopera per la dislocazione di una fabbrica da un paese all’altro, gli operai della fabbrica dismessa hanno ragione a protestare, ma contro chi? Dov’è il padrone a cui dovrebbero rivolgersi? E se lo trovano, che interesse ha il padrone a discutere con gli operai della fabbrica collocata nel paese tal dei tali, quando ha già aperto un’altra fabbrica in un paese dove paga meno gli operai e magari non paga neppure le tasse? Non saprei suggerire dei rimedi: ma vorrei che i sindacati, ancora oggi una delle poche organizzazioni che tutelano gli operai, provassero a riflettere sulle conseguenze di certe loro scelte.

RINNOVA IL TUO CONTRIBUTO: LEGGI E DIFFONDI NOTICUM Noticum è un’iniziativa editoriale con la quale il CUM vuole raccontare mensilmente al pubblico italiano la missione, i missionari italiani, la vita del CUM. Attraverso Noticum il Centro Unitario Missionario vuole aiutare anche economicamente i bisogni dei missionari italiani e stranieri che entrano in contatto con questo centro di formazione della Chiesa italiana. Noticum si regge unicamente sulle offerte dei suoi lettori. Noticum viene spedito solo a chi, durante l’anno, invia un’offerta. Se non l’hai già fatto, ti invitiamo a usare il conto corrente allegato per inviare un’offerta a sostegno di Noticum per il 2014 e delle iniziative del CUM a favore dei missionari.

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di Maurilio Guasco

Periodico di formazione sulla missione universale e di informazione sulle realtà del sud del mondo Edito dalla Fondazione Cum - Centro Unitario per la cooperazione Missionaria tra le chiese promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana Direttore responsabile Francesco Ceriotti Direttore Crescenzio Moretti Comitato di Redazione Paolo Annechini, Amedeo Cristino, Giandomenico Tamiozzo, Ugo Piccoli, Beppe Magri

Segreteria CInzia Inguanta Redazione e direzione Lungadige Attiraglio, 45 - 37124 Verona Tel. 045 / 8900329 - Fax 045 / 8903199 www.fondazionecum.it e-mail: noticum@fondazionecum.it Impaginazione Francesca Mauli Stampa Stimmgraf - Verona Autorizzazione Tribunale di Verona: N° 1319 del 7/5/1998 Tiratura: 5.000 copie c.c.p.: 18641373


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