NotiCum n. 5 - 2014

Page 1

NotiCum IL VOLTO DELLA MISSIONE

Periodico edito da Fondazione CUM - Lungadige Attiraglio, 45 - Poste Italiane spa - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Verona In caso di mancato recapito rinviare all’ufficio postale di Verona, detentore del conto, per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa - Taxe perçue

ANNO 52 - n. 5 - MAGGIO 2014

FRONTIERE DELLA MISSIONE:

GEOGRAFICA, SOCIALE, CULTURALE editoriale di Crescenzio Moretti

I

l missionario è uomo di frontiera. L’aspirazione di portare Gesù oltre la sua comunità, far conoscere come Dio ama tutti, spinge il missionario a varcare le frontiere, abbandonare le sicurezze delle mura di casa e andare oltre, ovunque ci siano uomini e donne a cui portare il lieto annuncio. Ogni discepolo di Gesù è missionario e, secondo la sua chiamata, deve andare oltre tutte le frontiere, fisiche e mentali, perché è nel suo DNA comunicare il dono ricevuto. I discepoli di Gesù hanno sempre guardato oltre ed hanno portato in ogni terra il Vangelo. Incominciò Paolo: “Mi chiamò con la sua grazia… perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito” (Gal. 1,16). Sulla sua scia monaci, religiosi, religiose, semplici cristiani, a volte con sacrifici immensi, sono andati e ovunque hanno fondato comunità cristiane. Sono storie troppo poco raccontate quelle degli evangelizzatori dell’Europa nei secoli buoi, quelle di missionari straordinari come Francesco Saverio e Daniele Comboni, quelle di centinaia di missionari che anche oggi, partono per impregnare di Vangelo tutta l’umanità. L’utopia del missionario è sempre la stessa: il Regno di Dio, un mondo di adoratori del Padre, senza barriere, di fratelli. Oggi, nonostante le muraglie che, qua e là, ancora si alzano in nome della sicurezza, della difesa del proprio be-

nessere, a salvaguardia della propria cultura, persino, della propria religione, le frontiere geografiche sono sempre più fragili e destinate a scomparire o, almeno, a contare sempre meno. La comunicazione tra i popoli ha oggi tanti canali al suo servizio: le migrazioni che, per le più svariate ragioni, ogni anno, interessano milioni di persone; i poderosi mezzi di trasporto; il Web e tutti gli altri sistemi di comunicazione vocale, visivo e digitale, che rendono “vicine” persone separate da migliaia di chilometri. Più dure a scomparire sono altre frontiere: quelle sociali, culturali, ideologiche. Non accenna a diminuire il profondo fossato tra popoli ricchi e popoli poveri. Un’economia mondiale, in mano pochi, schiaccia i popoli più deboli. Una persona vale più per quello che possiede che per quello che è. È voce nel deserto, quando non è vituperata, quella del missionario che denuncia l’ingiustizia di una società in cui alcuni hanno tutti i diritti, tutti i beni ed altri sono esclusi da tutto. “Egli (Dio) ha creato tutte le cose perché possiamo goderne (1Tim 6,7), perché tutti possano goderne” (EG.182). Le frontiere tra le culture, pure, sono dure a scomparire. L’arroganza dei popoli più avanzati sommerge i valori propri delle culture più deboli, le inquina con le sue deviazioni, con le sue ideologie. È la varietà delle culture

che abbellisce l’umanità ed è tra i compiti del missionario favorire l’incontro, il dialogo tra le diverse culture, valorizzarle tutte. Il missionario una volta andava con l’accetta e il piccone, abbatteva tutto quello che gli sembrava contrario al Vangelo. Non è più così. Il missionario va per portare il vangelo che sublima i valori già presenti in ogni cultura e, tornando a casa, porta alle sue comunità di origine, la freschezza della fede delle giovani comunità. Il missionario è un ponte, è osmosi che unisce i popoli. Tramite il missionario i popoli si arricchiscano vicendevolmente dei doni di Dio: amore, giustizia, verità, bellezza, pace. Lo scrive Paolo VI “L’evangelizzazione non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale dell’uomo” (EN). È il richiamo anche di Papa Francesco: ”La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro (i poveri) esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa”. L’urgenza la esprimono i vescovi Brasiliani e Papa Francesco la rilancia: “Desideriamo assumere, ogni giorno, le gioie e le speranze, le angosce e le tristezze del nostro popolo, specialmente delle popolazioni delle periferie urbane e delle zone rurali – senza terra, senza tetto, senza pane, senza salute, violate nei loro diritti” (EG 191).


NotiCUM

FRONTIERE DELLA MISSIONE

n.5 - maggio 2014

primo piano

APPRENSIONE PER I DUE MISSIONARI VICENTINI RAPITI Insieme a loro, lo scorso 4 aprile, è stata sequestrata anche una missionaria canadese di Paolo Annechini

A

pprensione per il sequestro dei due missionari fidei donum don Giampaolo Marta e don Gianantonio Allegri, nella parrocchia di Tchére, diocesi di Maroua, nord del Camerun, rapiti venerdì 4 aprile nella missione dove vivevano e operavano. Don Giampaolo Marta è in Camerun dal 2004, don Gianantonio Allegri è in Camerun da un anno. Con loro è stata rapita anche una religiosa di origine canadese. Su raccomandazione dell’Unità di crisi della Farnesina riteniamo per il momento opportuno, ci conferma don Arrigo Grendere direttore del Centro Missionario Diocesano di Vicenza, non rilasciare dichiarazioni particolari per non complicare una situazione già estremamente delicata. Il vescovo di Vicenza mons. Beniamimo Pizziol, che nello scorso gennaio ha visitato le due missioni vicentine in Camerun, è particolarmente preoccupato per la situazione e dice ”in ogni momento penso a loro”. Non sappiamo dove sono, in mano di chi, se a squadre di balordi o di gruppi più organizzati, conferma don Grendele. “Non è stato un fulmine a ciel sereno, la situazione nel nord del Camerun sta precipitando, di questo eravamo al corrente”. Una settimana prima del sequestro dei due nostri missionari, continua don Grendele, i militari camerunesi hanno sequestrato un grosso carico di armi che dal Ciad era destinato alla Nigeria, passando per il Camerun. La ritorsione non si è fatta attendere. L’ambasciata francese e spagnola da qualche settimana hanno richiamato i connazionali. All’inizio della settimana scorsa, continua don Arrigo, “i nostri quattro missionari nella diocesi di Maroua avevano ricevuto un pressante invito dall’ambasciata italiana a lasciare le missioni.” I quattro missionari vicentini si sarebbero dovuti incontrare sabato 5 insieme per decidere il da farsi. Ma i rapitori sono arrivati prima.

Vista la tensione nel Paese, i missionari vicentini si sarebbero dovuti incontrare sabato 5 aprile per decidere il da farsi, ma i rapitori sono arrivati prima

LA DIOCESI DI VICENZA IN CAMERUN

L

a diocesi di Vicenza ha iniziato nel 1977 l’impegno missionario in Camerun, nella diocesi di Sangmelima nel sud del Camerun. Nel 1987 l’impegno si sposta dal sud al nord, dove la situazione era ritenuta molto più bisognosa: si sono succeduti diversi sacerdoti nella conduzione della parrocchia affidata di Tchére-Tchakidjebè. Don Gianantonio Allegri e don Giampaolo Marta sono i due preti oggi presenti nella missione. L’impegno missionario di Vicenza a Maroua si irrobustisce nel 2007 con l’arrivo di don Maurizio Bolzon nella zona pastorale di Zamala, che diventerà parrocchia con il nome di Loulou e dedicata a S. Giuseppina Bakhita. Nel gennaio 2010 don Leopoldo Rossi raggiunge don Maurizio Bolzon per il servizio nella stessa parrocchia. Sono quindi 4 i sacerdoti fidei donum vicentini presenti nella diocesi di Maroua. Due di loro, a tutt’oggi, sono nelle mani dei rapitori.

FINO AL MARTIRIO?

Missionari e operatori di pace sono ben consapevoli dei rischi che corrono in terra di missione di don Sergio Marcazzani

A

veva tutta l’aria di una battuta spiritosa, ma in realtà non lo era. Durante il corso di preparazione all’invio in missione, presso il CUM c’è la consuetudine di raccogliere anche osservazioni personali, prospettive, attese e quant’altro, in vista del nuovo periodo di vita che si apre. Il capo-ufficio stampa invita ad interviste personali, alla foto di gruppo, e all’immancabile foto-tessera: “servirà al momento del vostro martirio“ afferma con molta serietà, anche se abbozzando un sorriso che esprime la voglia di escludere tale eventualità. Sta di fatto che la prospettiva di ogni partenza per la cooperazione con altre Chiese, è sempre di un servizio gioioso al Vangelo da condividere con uomini e donne di altre culture, che sono alla ricerca della Verità. Anche don Gianpaolo e don Gianantonio sono partiti per il Camerun con questo atteggiamento, consapevoli che “servire il Vangelo“ non esclude questa eventualità: nessuno va alla ricerca del martirio, anche se nessuno lo esclude a priori. Ognuno sa di essere custode e portatore di un dono prezioso da condividere, e non di un monopolio da gustare nell’intimità. Lo fa da “inviato”, cioè andando a nome di altri, di una comunità della quale fa parte e che si sente responsabile nei confronti di chi non è ancora pienamente ciò che deve essere nel progetto di Dio, o non possiede quanto gli è necessario per vivere un’esistenza degna di tale progetto. In Camerun ed altrove nel mondo, tali situazioni sono frequenti: vivere, e servire le persone in situazione di guerra, come avviene oggi in Siria, in Sud Sudan ed altrove, annunciare lì il Vangelo della pace, certamente disturba chi sul traffico di armi fonda il suo benessere personale o di lobby; vivere e servire le persone là dove persiste l’oppressione che non riconosce i diritti fondamentali, ed annunciare lì sia il Vangelo della fraternità che testimoniare il rispetto per la dignità di ogni persona, disturba chi del “potere” fa il termine delle sue aspirazioni; vivere e servire le persone dove l’analfabetismo tocca percentuali altissime, e promuovere la scuola, l’educazione ai valori, la formazione delle coscienze, quando i responsabili della vita civile per loro comodità, lì impediscono l’accesso alla cultura, non è né l’ultimo né il più piccolo dei rischi di “eliminazione”. È quanto gruppi etnici tipo Boko Haram, formati da integralisti di ogni coloritura, propugnano – non sempre né so-

2


NotiCUM

FRONTIERE DELLA MISSIONE

SE IL MISSIONARIO DIVENTA UN BANCOMAT

primo piano

prattutto con motivazioni religiose – ma assai spesso per l’annientamento di ogni cultura che non sia la loro o quella del loro gruppo particolare. È quanto è accaduto e continua ad accadere in America Latina dove Suor Dorothy Stang ha perso la vita per aver difeso i popoli indigeni, o Chico Mendes fu freddato perché era diventato il simbolo della prevaricazione dei potenti sui più deboli e indifesi; o in Asia dove un Ministro di Stato fu violentemente eliminato, solo perché ispirava la sua vita ed il suo servizio in politica, al Vangelo ed ai suoi valori che per lui erano giusti ed inviolabili. “Non siamo qui per avere nemici, ma per cercare amici, perché quelli che ci pensano loro nemici possano capire che non siamo nemici di nessuno ma servi di tutti”: sono parole di Mons. Henri Teissier quand’era Arcivescovo di Algeri, ma che potrebbero essere sulle labbra di ogni missionario. Annalena Tonelli, per esempio, volontaria italiana uccisa in Somalia nel 2003, che in vita aveva praticato uno stile di silenzio e di totale discrezione e che ha – involontariamente – fatto della morte un eloquente annuncio di tenerezza e di speranza che ha illuminato la storia di una popolazione ancora e sempre più umiliata ed oppressa. Insieme a lei, vivendo lo stesso stile di disponibilità, il giapponese Takashi Nagai che – colpito dalle radiazioni della bomba atomica – consumò i suoi ultimi giorni spendendosi per gli altri; inoltre Matthew Lukwiye – il dottor Ebola – l’ultimo a lasciare l’ospedale di Gulu in Uganda, teatro di un’epidemia spaventosa che ha mietuto centinaia di vite; e poi Carlo Urbani, scopritore del virus della Sars, un gesto che nel 2003 gli costò la vita, permettendogli però di salvarne molte altre. Questo ci dice che missionari sono non soltanto religiosi e religiose che “donano il loro sangue” come si afferma spesso: lo sono anche quegli operatori di pace che – soprattutto ai nostri giorni – si sono distinti e si distinguono per il loro impegno nel segno della riconciliazione: Dag Hammarskjold, danese, segretario generale dell’ONU nei primi anni ‘60, vittima di un attentato aereo ad opera di chi voleva ostacolare il suo progetto di pacificazione in Congo. E sempre dalla terra congolese viene la testimonianza di un pastore straordinario, Christof Munzihirwa, ucciso negli anni ‘90 in una delle tante stagioni di conflitto che hanno segnato quel Paese. L’elenco potrebbe continuare, di quanti laici e religiosi, adulti e giovani, hanno offerto la vita per annunciare il Vangelo della pace, della riconciliazione e della speranza: infatti anche oggi come sempre, va ad annunciare il Vangelo alle genti, chi si sforza di realizzare il mandato di Gesù che diceva: “chi vuole venire dietro a me, smetta di pensare a se stesso”, e contemporaneamente accetta di assumere ogni giorno quel pezzetto di vita concreta (che Gesù definisce “prendere la croce” ) che può anche comportare non solo il disagio quotidiano del cercatore, ma anche la sofferenza dell’incomprensione, del rifiuto, e talvolta anche il dono della propria vita, il martirio totale. Ogni missionario cristiano sa che il martirio non è un incidente di percorso, ma una possibilità legata all’annuncio del Vangelo ed alla testimonianza della carità: due prospettive strettamente legate, che nessuno degli “inviati ad gentes” sottovaluta.

n.5 - maggio 2014

I

l rapimento di don Marta e don Allegri desta preoccupazione alla fondazione CUM, il centro di formazione della Chiesa italiana con sede a Verona. I missionari vicentini sono conosciuti perché in questo centro si sono formati, come tanti altri presenti nella stessa zona. Don Amedeo Cristino è il direttore di questo centro di formazione. D. Don Cristino, come vivono molti missionari italiani in Africa? Vivono in mezzo alla popolazione, in case semplici, senza nessuna protezione, conducendo una vita povera come quella della gente che sono lì a servire. Non si spostano in convoglio, ma spesso con i mezzi pubblici. Quindi sono facili prede per i briganti o per i gruppi organizzati in cerca di facili guadagni. D. Il missionario si trasforma quindi in un possibile guadagno per i banditi... Si, è la triste realtà. Il missionario può rappresentare un bancomat per balordi o gruppi organizzati che riescono a gestire un rapimento. Ti rapisco, chiedo i soldi, sperando che qualcuno dei tuoi dei quali sei espressione me li diano. È logico e auspicabile che l’Unità di crisi della Farnesina abbia chiesto il silenzio, la situazione è delicata: capire con chi sono, dove sono, perché sono stati rapiti, la consistenza del gruppo che li ha prelevati. Tutte cose molto delicate da gestire, senza perdere un minuto. D. In questi casi, meglio lasciare? Sarebbe troppo facile, ma questa non è la logica del missionario. Nessun missionario parte con la logica del “me ne vado se e quando ci saranno problemi”. Può essere la logica di altri, di altre agenzie, ma non della chiesa, che – senza cercarlo – ha nel suo orizzonte anche il martirio. Il missionario è lacerato tra la scelta di fondo della sua vita, che è quella di stare tra i più lontani, i dimenticati, gli ultimi tra gli ultimi, e questi briganti che non solo rappresentano un pericolo reale per il missionario, ma anche per la vita della gente con la quale il missionario vive. P.A.

Parole di Vangelo di Giandomenico Tamiozzo

“ANDATE AI CROCICCHI DELLE STRADE” (Mt. 22,9)

“G

esù riprese a parlar loro in parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire... Allora il re si indignò e… disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze” (Mt. 22, 1-9). Di fronte al rifiuto degli invitati alle nozze del Regno, il Signore manda i suoi servi a invitare le persone che vivono ai margini, ai crocicchi delle strade, i meno fortunati, i poveri… Nel regno di Dio, ciò che è periferia diventa centrale e ciò che sembra insignificante - come i piccoli, i bimbi, i poveri - viene messo al primo posto! Le beatitudini con cui inizia il Discorso della Montagna esprimono l’apprezzamento di Dio verso gli umili, i tribolati, i costruttori di pace, i miti, i misericordiosi, i perseguitati per causa della giustizia. Gesù non ha scelto di vivere a Gerusalemme, ma nelle periferie del nord, in quella Galilea delle genti che i grandi e i ben pensanti giudicavano luogo di poco conto. Gesù non scelse i suoi discepoli tra i dottori della legge mosaica, ma tra la gente semplice, i pescatori, o, alla meglio, un pubblicano come Levi. Tra i discepoli di Gesù ci sono stati anche uomini socialmente importanti come Giuseppe di Arimatea, Nicodemo, Saulo di Tarso, discepolo del grande Gamaliele, ma essi furono scelti non perché erano persone di spicco, bensì perché avevano il cuore disponibile alla verità del vangelo ed erano attirati dalla persona straordinaria di Gesù di Nazaret, che incantava col suo parlare e col suo agire. Gesù predicò anche nel cuore dell’ebraismo, nel tempio di Gerusalemme, ma solo alla fine della sua missione, quando frequentava ogni giorno il tempio per insegnare e discutere con gli scribi e i farisei, e poi tornava a sera in quel di Betania, per trovare un luogo sicuro, protetto e amico, nella casa di amici fidati quali Marta, Maria e Lazzaro. Anche questi vivevano in periferia! Ma benedetta quella periferia visitata dal Maestro spesso, nei suoi pellegrinaggi alla città santa, e fatta oggetto di un’amicizia

totalmente umana e totalmente divina. Nei suoi tre anni di missione pubblica, Gesù preferì lavorare ai crocicchi delle strade, visitando i villaggi, predicando nelle sinagoghe della Galilea, prestando attenzione ai malati, perché sapeva che sono loro ad avere bisogno del medico e non i sani; visitando e frequentando i peccatori, perché a Lui stava a cuore la loro conversione e non la loro morte e condanna; accogliendo i bambini e benedicendoli, perché a chi è come loro, appartiene il regno di Dio; accorgendosi dei diseredati e dei tribolati di turno, per dare loro conforto e sostegno. C’è una parabola a noi molto cara per la misericordia divina che rivela: la parabola del Buon Pastore, che lascia le novantanove pecore al sicuro e va a cercare quella perduta, che pure sta a cuore al Pastore, perché tutte le pecore sono sue, e lui le conosce tutte per nome e non si dà pace fino a che non le abbia riportate tutte al suo ovile, perché le ama, e lui è disposto a dare la vita per loro, a differenza del mercenario, a cui non importa nulla delle pecore e non si preoccupa se viene il ladro a distruggere e a derubare. Anche se non sempre nella sua storia, la chiesa ha cercato di seguire questa strada, una strada che papa Bergoglio ci invita ripetutamente a percorrere, come leggiamo nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium: “La Chiesa ‘in uscita’ è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano. La comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore (cfr 1 Gv 4,10), e per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva. Osiamo un po’ di più di prendere l’iniziativa! ...La comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo…” (Evangelii Gaudium n. 24).

3


NotiCUM n.5 - maggio 2014

rubriche

GIOCANDO PER LA VITA

FRONTIERE DELLA MISSIONE Racconti di Fidei Donum di don Felice Tenero - Fidei donum in Brasile

Continuano in Brasile le proteste contro gli sprechi che segnano la Coppa del Mondo 2014

“D

iritto umano di valore speciale, lo sport è necessario per una vita sana e non deve essere trascurato da nessun popolo. Il popolo brasiliano, fra tutti gli sport, nutre una speciale passione per il calcio. Si spiegano così l’aspettativa e la gioia con la quale la maggioranza dei brasiliani attende la Coppa del Mondo 2014, che, per la seconda volta, si realizza in Brasile”. Con queste parole si apre il messaggio che la CNBB (Conferenza Nazionale dei Vescovi Brasiliani) ha divulgato in vista della realizzazione della Coppa del Mondo 2014. E il Brasile è già in fibrillazione: fervono i lavori, si moltiplicano gli spot televisivi e cresce la corsa per procurarsi i biglietti. Già molta gente è nelle liste di attesa per poter assistere a una delle 64 partite che saranno giocate nei dodici stadi sparsi dal nord al sud del Brasile, da Manaus a Porto Alegre. LA COPPA, SECONDO I VESCOVI “La Coppa, - continua il testo -, diviene così un’occasione per riflettere, come società, sulle relazioni pacifiche e culturali fra tutti i popoli e sugli aspetti sociali ed economici che coinvolge lo sport, che è armonia, fintantoché il denaro e il successo non prevalgano come obiettivi finali. Lamentiamo che, nella preparazione della Coppa, l’aspetto economico abbia prevalso in maniera preponderante, motivando manifestazioni popolari che, correttamente, rivendicano la sovranità della nazione, il rispetto dei diritti dei più vulnerabili, e effettive politiche pubbliche che eliminino la miseria, contornino la violenza e garantiscano vita con dignità per tutti”. Sicuramente il Brasile è un paese di grandi potenzialità, ma spendere 25 miliardi per stadi, nuovi o rinnovati, e strutture di supporto, è un po’ eccessivo. Chi paga tutto questo? 14 miliardi il governo federale, 8 miliardi i vari governi statali, 3 miliardi i privati. Alla fine dei conti è il cittadino normale, il lavoratore ordinario, la massaia di casa e il pensionato di turno! Nella città di Florianopolis questo era il menù del banchetto offerto dalla Fifa ai partecipanti al Congresso dei tecnici sportivi: come antipasto un misto di polipi e ostriche di vario tipo, come piatto principale filé mignon e gamberi alla flambé, poi dolci e bevande a volontà. Costo quattro milioni! Un lauto e oneroso banchetto, pagato con il denaro pubblico.

Racconti di Fidei Donum/2

MOLTI SOLDI, PAESE ALLO SBANDO Se uniamo i vari eventi realizzati in questi due anni in preparazione alla Coppa, come sorteggi per le eliminatorie e riunioni per scegliere le teste/chiavi dei gironi, raggiungiamo la cifra di una cinquantina di milioni, tutti spesi tra feste e incontri vari. In un paese ove istruzione e salute pubblica sono allo sbando, i trasporti in difficoltà, e ove alcuni milioni di persone vivono ancora in condizioni miserabili, spese di questo tipo sono micce accese che alimentano quotidiane manifestazioni di piazza contro il governo e le sue manie di grandezza. “Mentre la palla gira, manca salute, mancano scuole!”, “Vandalismo è la siccità nel Nordest, è la fame, è la corruzione!”; “Salute e educazione, padron Fifa!”; “La Fifa non calpesterà le nostre sofferenze!”; “Della Coppa posso farne a meno. Voglio soldi per salute ed educazione!”. Sono queste le scritte che, a chiare lettere, sono ben visibili nei cartelli presenti durante le varie manifestazioni. Esse dicono il malcontento di molti.

4

E IL DIRITTO ALLA CASA? “Non si può accettare, sottolinea il testo dei vescovi che, a causa della Coppa, famiglie e comunità intere siano rimosse per permettere la costruzione di stadi e opere strutturali, con una chiara violazione del diritto alla casa. Meno ancora possiamo ammettere che la Coppa aumenti le disuguaglianze cittadine e il degrado dell’ambiente”. A Rio de Janeiro centinaia di famiglie sono state rimosse, e le loro abitazioni distrutte per far posto ad un immenso parcheggio vicino allo stadio. Si calcola che, in tutto il Brasile, quasi 150.000 persone sono state rimosse, ricevendo un minimo contributo che non permette di acquistare nemmeno un piccolo locale. Molte opere di mobilità urbana sono le principali responsabili delle rimozioni di comunità, minacce ambientali e perdita di strutture pubbliche. Fortaleza, Natal e Salvador sono fra le principali destinazioni di turismo sessuale, che porta uomini al Paese in cerca di donne, travestiti, adolescenti e bambini, cosa che si aggrava con i Mondiali. Già sai riscontrano un aumento di traffico interno (verso le capitali del nordest) di donne e adolescenti a causa dei preparativi della Coppa del Mondo. Anche un rapporto dell’Agenzia Pubblica ha riscontrato il transito di travestiti da Fortaleza a San Paolo per collocare protesi di silicone in cambio di lavoro gratuito per i magnaccia che pagano gli interventi. “Il successo della Coppa del Mondo, - avverte il documento - non si misurerà per i soldi che entreranno nell’economia locale o per i guadagni che avranno i vari patrocinatori. La sua riuscita sta nel garantire sicurezza per tutti senza l’uso della violenza, nel rispettare il diritto alle pacifiche manifestazioni e nel creare meccanismi che impediscano il lavoro schiavo, il traffico umano e lo sfruttamento sessuale, soprattutto delle persone più deboli e più vulnerabili” . Il gioco sta per iniziare e il Brasile, in questo momento, diventa un grande campo di calcio, senza spalti e gradinate. Siamo tutti invitati a formare un’unica squadra, nella quale tutti siamo titolari per il gioco della vita, che non ammette spettatori. Avanzando nella stessa direzione, segneremo il gol della vittoria su tutto quanto si oppone al maggior bene che Dio ci ha dato: la vita. Questo è il ‘premio incorruttibile’ (1 Cor 9,25) che desideriamo ricevere alla fine della Coppa. E così saremo tutti vincitori!

E intanto noi rimaniamo sott’acqua di Luca Bianucci - Volontario laico a Rio Branco

R

itorno a voi illustrandovi la nostra realtà di Rio Branco e dell’Acre (Amazzonia Brasiliana, ndr), che continua critica. Da ieri l’altro (10 aprile, ndr) il Governatore ha dichiarato lo stato di calamità pubblica, dopo quasi due mesi che siamo in stato di calamità naturale. Oggi infatti sono 50 giorni che l´unico collegamento terrestre attraverso la BR 364 è in situazione critica: o totalmente chiuso o parzialmente per passare alcuni generi di prima necessità, come potete vedere nel video che trovate nel link qui sotto, fatto per la TV Globo (http://g1.globo.com/jornal-hoje/noticia/2014/04/cheia-no-rio-madeira-leva-acre-decretar-calamidade-publica.html). La mancanza di combustibile è di nuovo una realtà oltre alla mancanza sempre più accentuata di generi alimentari e spesso di medicinali. L´ospedale della Diocesi, il Santa Juliana, ha rischiato di interrompere le attività per mancanza di medicinali: solo due giorni fa un volo della FAB (Forza Area Brasiliana) ha garantito un certo numero di stock (per lo meno abbiamo 15 giorni garantiti). È veramente in certi momenti una situazione surreale: sembra che la vita scorra normale, ma le file ai distributori e gli effetti di questa situazione si sentono sempre più, come ad esempio il dato che in questi ultimi 30 giorni, 3.000 operai del settore edile sono stati licenziati per mancanza di... cemento. Le previsioni dicono che ci vorrà ancora un mese perché la situazione della BR 364 torni normale: ma che strada troveremo dopo? Speriamo che le autorità competenti si impegnino da subito nella ricostruzione di questa strada federale, unico accesso terrestre allo Stato dell´Acre.


NotiCUM

FRONTIERE DELLA MISSIONE

n.5 - maggio 2014

UNA CHIESA IN LIBERA USCITA di don Alberto Brignoli - Ufficio Cooperazione Missionaria tra le Chiese – CEI

F

ra i temi che accompagneranno la riflessione del IV Congresso Missionario Nazionale, senza ombra di dubbio quello più direttamente collegato alla missione ad gentes ruota intorno al verbo uscire. Già da solo, infatti, il termine indica andare oltre, non rimanere chiusi all’interno, la necessità di rompere con gli schemi, l’urgenza dell’aprire e dell’aprirsi all’altro…tutte terminologie care alla missione, appunto. Talmente “care” da diventarne connaturali, quasi ovvie, obsolete, e spesso – proprio per questo motivo – piene di stanchezza, prive di vitalità. Perché un tema simile, che dovrebbe stimolare alla ricerca di cammini e di strade per testimoniare con maggior entusiasmo il vangelo, non è più capace di stimolare le nostre comunità? Probabilmente, ciò è dovuto alla disillusione che i nostri cristiani hanno provato di fronte al tentativo, messo in atto a partire dal Concilio Vaticano II, di annunciare un Vangelo che parlasse all’uomo contemporaneo in maniera adeguata. Il regime di cristianità nel quale la nostra società fino allora si era ritrovata, a partire dagli anni della contestazione e delle rivoluzioni sociali ha iniziato a cedere e a crollare sotto i colpi di una “laicità” che forse non è stata assunta e interpretata nel modo adeguato, ovvero come il Concilio ci indicava. La necessità di un continuo discernimento dei segni dei tempi alla luce dei quali reinterpretare l’annuncio del Vangelo si è, nel corso degli anni, concretizzata in forme di dialogo con la contemporaneità che mantenevano comunque con essa un atteggiamento di giudizio e di sospetto, se non di superiorità, in quanto la preoccupazione principale delle nostre comunità cristiane, a partire proprio dal territorio, dalle parrocchie, era quella di mantenere saldi i principi, di salvare il salvabile, di non perdere i diritti acquisiti, di non lasciarsi trascinare dal turbine della modernità che spesso creava difficoltà, sconcerto, insicurezza all’interno della Chiesa. Questa preoccupazione, forse in alcuni casi pure legittima, poco a poco si è trasformata in paura, in timore: e la paura e il timore, si sa, sono nemici dell’uscire, dell’andare, del provare e sperimentare forme nuove di annuncio del Vangelo. La paura e il timore ci hanno rinchiuso all’interno delle nostre sicurezze. Ma paura di che? Paura di un mondo che comunque era “cattivo” agli occhi della comunità dei credenti. Un mondo che – connotato come secolarizzato, moralmente dubbio, ateo e/o indifferente – veniva pure identificato con alcune strutture sociali e politiche dalle quali era bene guardarsi piuttosto che entrare in dialogo, perché dal dialogo con certe realtà non si sarebbe mai tratto nulla di positivo ai fini dell’annuncio del Vangelo. Questa non è certo una novità, nella storia della nostra religione ebraico-cristiana. Non per niente, a condurre il “filo del discorso” di questo Convegno abbiamo scelto la vicenda del profeta Giona, il quale, impaurito dal contatto con Ninive, la grande città, la città del male e dell’antagonismo a Dio, si rifugia nel fondo della nave pensando così di fuggire senza troppi danni dalla responsabilità a cui Dio stesso lo chiamava, quella dell’annuncio e del dialogo con la città. La quale, invece, di fronte alla Parola di Dio, attua con apertura e disponibilità, e si lascia convertire alla ricerca delle cose di Dio. Effettivamente, Giona ha perso tempo, e Dio l’ha richiamato alla sua responsabilità di uscire - dal fondo della nave prima e dal ventre della balena poi - per andare incontro agli abitanti di Ninive, che alla fine non si sono dimostrati poi così “cattivi” come egli pensava. Questo ci porta a riflettere sulla necessità del

dialogo con il mondo contemporaneo attraverso un previo cambio di mentalità, un cambio di atteggiamento nei confronti del mondo, visto non come cattivo e lontano dalle cose di Dio, ma come aperto al dialogo nella misura in cui questo dialogo viene da noi affrontato “alla pari”, sullo steso piano, parlando e ascoltando il linguaggio del mondo, ovvero ciò che il mondo ha da dirci. Uscire, quindi, significa innanzitutto uscire dai nostri schemi mentali e dai nostri preconcetti, da quei “filtri” attraverso i quali vediamo tutto ciò che ci circonda come “lontano da Dio”. Forse sì, il mondo è lontano da Dio; ma Dio non lo è dal mondo, e soprattutto essere lontani da Dio non significa esserne privi. È evidente che per fare questo è necessaria una profonda conversione pastorale che porti la Chiesa a sentirsi in uno stato permanente di missione, in altre parole di “libera uscita”, non nel senso di “tirare il fiato” dai doveri quotidiani, ma di “tirare il fiato” per respirare aria nuova, soprattutto quell’aria che con atteggiamento sospettoso abbiamo spesso considerato cattiva e inquinata. Grazie a Dio, in quest’ultimo anno, lo Spirito ha suscitato nella Chiesa la figura di un uomo che ci ricorda costantemente questo imperativo categorico dell’ “uscire fuori”, dell’essere una chiesa “di strada”. Mi piace quindi terminare proprio con la citazione di un brano della Evangelii Gaudium di Papa Francesco che abbiamo scelto come spunto di riflessione durante la fase preparatoria del Convegno e che ci vede impegnati dall‘inizio del tempo di Quaresima (*): “Spero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno. Ora non ci serve una «semplice amministrazione». Costituiamoci in tutte le regioni della terra in uno «stato permanente di missione» […]. Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di ‘uscita’ e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia” (Evangelii Gaudium, nr. 25. 27).

grandi temi

Verso il Convegno Missionario Nazionale di Sacrofano (20-23 novembre 2014)

(*) ll materiale di preparazione al IV Convegno Missionario Nazionale si può trovare sul sito www.cmsacrofano.it

5


NotiCUM

FRONTIERE DELLA MISSIONE

attività

n.5 - maggio 2014

AL VIA I CORSI CUM Tutte le informazioni sulle attività si trovano sul sito www.fondazionecum.it

S

i apre la nuova stagione di corsi al CUM di Verona, che offrono una ampia gamma di proposte formative. Si parte con i corsi di giornalismo che vedono quest’anno due sezioni. La prima è una sezione “base”, per conoscere la multimedialità che sempre più coinvolge anche il mondo missionario. Si insegnerà ai missionari, agli operatori della comunicazione che si occupano di missione e di Sud del mondo a scrivere un breve articolo, a scattare una foto, a titolare un pezzo, a postarlo sui social. Il corso si terrà dal 23 al 28 giugno. Un secondo corso di giornalismo, più avanzato, riguarderà l’editing e si terrà dal 14 al 19 luglio: a partire da riprese televisive che i coordinatori del corso forniranno o da riprese con telecamerine che gli stessi partecipanti produrranno durante le lezioni del corso, si procederà all’editing usando programmi semplici ma professionali, spiegati dai relatori durante la settimana di corso. Obiettivo: in una settimana fare in modo che il partecipante sia in grado di produrre un breve filmato, utilizzando in modo corretto il montaggio con le sue regole, la musica, gli over voice e gli speech, ovvero gli interventi del giornalista in video. Un corso nuovo per la fondazione CUM è il corso Islam, in collaborazione con il PISAI

di Roma, dall’1 al 5 luglio. Si affronteranno le tematiche che introducono all’islam, le caratteristiche di questa religione, il rapporto tra l’islam e le altre religioni. Frequentatissimi sono i due corsi di lingua italiana per sacerdoti e religiosi/e stranieri che occuperanno interamente la casa per i due mesi di luglio e agosto. I partecipanti generalmente sono appartenenti a congregazioni religiose o diocesi di Paesi del Sud del mondo che si iscrivono nelle Università Pontificie in Italia, e prima devono superare lo scoglio (non sempre facile) della lingua italiana. Una nuova proposta formativa quest’anno è “fondamenti biblici e teologici della missione”, dal 9 al 13 luglio. Il corso è destinato ai membri delle equipe e direttori dei Centri Missionario Diocesani, ai seminaristi di teologia e a coloro che si occupano di pastorale missionaria. Sarà condotto dai biblisti Soave Buscemi, Luca Moscatelli e Serena Noceti. Tra luglio e a agosto (21-26 luglio e 28 luglio-2 agosto) ci saranno due appuntamenti della scuola di lettura popolare della Bibbia, dedicati a chi già conosce il metodo della lettura popolare. Dall’ 1 al 12 settembre e dal 28 settembre al 4 ottobre ci saranno gli oramai tradizionali corsi per sacerdoti, religiosi/e non italiani che operano nella Chiesa in Italia. È un appuntamento che la Conferenza Episcopale Italiana ha reso obbligatorio per i sacerdoti non italiani che vengono inseriti a vario titolo nella pastorale italiana. Dal 7 settembre all’11 ottobre ci sarà il corso per partenti per l’Est Europa e il corso per partenti per l’Asia, e dal 7 settembre all’11 ottobre il corso per partenti per l’America Latina e il corso partenti per l’Africa. Chiude l’annata formativa un week end per laici rientrati (17-19 ottobre) e il corso per missionari/e rientrati (2-8 novembre).

Calendario attività 2014

21 – 26 luglio SCUOLA DI LETTURA POPOLARE DELLA BIBBIA Storia di Israele e formazione del primo Testamento fino alla Monarchia e al Profetismo. Corso per chi già conosce il metodo della L. P. e cerca maggiori strumenti e contenuti. 23 - 28 giugno CORSO BASE DI GIORNALISMO Corsi per missionari, operatori di Centri Missionari, giornalisti, collaboratori di testate FESMI e settimanali diocesani.

28 luglio – 2 agosto SCUOLA DI LETTURA POPOLARE DELLA BIBBIA Storia di Israele e formazione del primo Testamento fino alla Monarchia e al Profetismo. Corso per chi già conosce il metodo della L. P. e cerca maggiori strumenti e contenuti.

29 giugno – 26 luglio CORSO BASE DI LINGUA ITALIANA PER SACERDOTI E RELIGIOSE/I CORSO A NUMERO CHIUSO. Per informazioni 045 8900329 Per principianti: apprendimento elementi di base della lingua.

1 – 12 settembre CORSO PER SACERDOTI E RELIGIOSE/I NON ITALIANI CHE OPERANO NELLA CHIESA IN ITALIA - 1° livello Corso rivolto a chi è arrivato da poco in Italia e necessita di un’introduzione alla realtà culturale e sociale del paese e della Chiesa italiana.

27 luglio – 23 agosto CORSO INTERMEDIO DI LINGUA ITALIANA PER SACERDOTI E RELIGIOSE/I CORSO A NUMERO CHIUSO. Per informazioni 045 8900329 Per approfondire la conoscenza dell’italiano. Per accedere al corso è necessario possedere le basi della lingua italiana. 1– 5 luglio CORSO ISLAM NUOVO In collaborazione con PISAI. 7 – 12 luglio FONDAMENTI BIBLICI E TEOLOGICI DELLA MISSIONE NUOVO In collaborazione con Missio. Corso per tutti, in particolare per équipe di CMD e seminaristi. 14 - 19 luglio CORSO DI GIORNALISMO: EDITING AUDIO-VIDEO Corsi per missionari, operatori di Centri Missionari, giornalisti, collaboratori di testate FESMI e settimanali diocesani.

6

7 – 27 settembre 14° CORSO EST EUROPA – 24° CORSO ASIA E OCEANIA Corsi per partenti: sacerdoti, religiose/i e laici. 7 settembre – 11 ottobre 68° CORSO AFRICA E MADAGASCAR - 98° CORSO AMERICA LATINA E CARAIBI Corsi per partenti: sacerdoti, religiose/i e laici. 28 settembre – 4 ottobre CORSO PER SACERDOTI E RELIGIOSE/I NON ITALIANI CHE OPERANO NELLA CHIESA IN ITALIA - 2° livello Corso rivolto a chi già opera da qualche anno nella Chiesa italiana per promuoverne la formazione permanente. 17 – 19 ottobre RIELABORARE L’ESPERIENZA MISSIONARIA - WEEK-END PER LAICI RIENTRATI NUOVO 2 – 8 novembre CORSO PER MISSIONARI/E RIENTRATI (in collaborazione tra CIMI-SUAM-USMI) Seminario rivolto a fidei donum, religiose/i e laici.


NotiCUM

FRONTIERE DELLA MISSIONE

HO VISTO E HO PIANTO NEL VEDERE NEL SUD SUDAN UNA NUOVA VIA CRUCIS… Lettera di un missionario dal Sud Sudan

Abbandonare questi fratelli per il pericolo della vita? La mia vita è forse più cara e più importante della loro? Cristo è morto per me come per loro, siamo tutti fratelli

SUD SUDAN

S

ono ancora sbalordito, a stento riesco a credere a quello che ho visto e vissuto nel Sud Sudan. Sono stato a Juba, Yambio, Wau, Tonj Tombora, Kwajock, Rumbeck, dove prima di Natale il terribile genocidio è iniziato. Non ho potuto andare a Malakal perché è in mano ai ribelli e sparano all’impazzata su chiunque. A Juba ho incontrato il vescovo di Malakal, Mosignor Rocco, che con le lacrime agli occhi mi descriveva il macello di vite umane sacrificate nel nome del potere tribale e dei propri interessi. Dopo la separazione del Sud Sudan di maggioranza cattolico, dal Nord Sudan islamico sognavamo nel Sud Sudan, indipendenza, libertà, sviluppo, e tante erano le speranze di una vita migliore. Nel Sud abbiamo passato il Natale in un bagno di sangue, i ribelli della tribù Nuer di notte scaricavano all’impazzata raffiche di mitra e scannavano come tante pecore da macello tutti coloro che non erano della loro tribù. Le mamme come belve inferocite fuggivano disperate in tutte le direzioni per salvare i propri piccoli in cerca di un posto sicuro nella foresta o nei paesi vicini, sentivamo il sibilo sinistro dei proiettili che passava sopra le nostre teste. Pensiamo al dolore delle mamme che si vedono ammazzare con un colpo di macete i loro piccoli tra le braccia, alle mamme che durante la fuga devono abbandonare il bambino più debole nella foresta per poter salvare gli altri figli, e ritornare per riprenderlo e non lo trovano più… possiamo solo immaginare che fine abbia fatto nella foresta... Nel campo profughi della nostra parrocchia alla capitale, Juba, sono venuti centinaia di bambini in pelle e ossa che vagavano con gli occhi sbarrati dal panico per quello che avevano visto, ho sentito le testimonianze delle ragazze col terrore negli occhi per gli stupri subiti, le donne violentate e mutilate prima di essere uccise davanti ai loro mariti, ragazzini bruciati vivi e interi villaggi distrutti, ho visto cadaveri per la strada e fosse comuni con centinaia di cadaveri in pasto alla iene. Non riesco a togliermi dagli occhi la piccola Adut che cercava disperatamente di succhiare qualche goccia di latte dal seno arido della mamma. Questa lotta produce la fame che tortura i grandi e uccide i piccoli, è il braccio armato che non costa nulla, non fa rumore ed elimina i più deboli. Davanti a queste scene di bimbi scheletriti, delle mamme disperate e di chi ha perso la vita, mi domando perché loro e non io? Potrei essere io al loro posto. Come si può rimanere indifferenti davanti a questo olocausto di vite umane? Anche loro sono figli di Dio come me e te… Cristo è morto per me come per loro. Mentre scrivo questa lettera, la lotta tribale e fratricida di Caino che uccide Abele nel Sud Sudan continua. L’arcivescovo di Juba ha gridato: “Caino dov’è Abele? Dove sono i tuoi fratelli e sorelle con i quali pregavi assieme in questa chiesa?”. Anche noi come missionari abbiamo gridato ai responsabili se hanno ancora un minimo di sentimenti umani, di ascoltare le grida dei piccoli innocenti che sale verso il cielo e l’angoscia delle vedove che piangono la scomparsa dei loro figli e mariti. Nella nostra parrocchia di Juba, han cercato un rifugio migliaia di cristiani fuggiti dalla lotta dei ribelli , li abbiamo sistemati in chiesa su semplici stuoie e provveduto ai bisogni più urgenti, per salvare i salvabili, le suore si prendono cura dei malati. Il Sud è una regione

lettere

n.5 - maggio 2014

fiorente con un futuro promettente ma ora è stato ferito a morte da questa lotta. HO SETE... In un villaggio ho incontrato Akot, 9 anni, un’icona vivente di Gesù in croce dei nostri giorni, con gli occhi scavati dalla fame, da giorni che non mangiava. Come Gesù, inchiodato dalla malaria e dalla febbre che lo divorava, diceva solo “Ho sete!”. Siamo riusciti a fargli bere solo un po’ di acqua zuccherata e poco dopo ha lasciato questo mondo che l’ha ridotto a un essere che aveva perso ogni sembianza umana. Akot è diventato il simbolo della sofferenza dei bambini del Darfur e del Sud Sudan. Akot non è morto! Chiede a tutti noi: “Salvate i miei fratelli”. Ogni giorno centinaia di bambini muoiono per la malaria e altre malattie, li ho visti arrivare alla nostra missione sfiniti, durante il viaggio di parecchi giorni bevono qualsiasi acqua e qualche volta è inquinata dalle armi chimiche. Pensare che Bastano 5 euro, per comprare una dose di pastiglie per bloccare la malaria o gli antibiotici. Con pochi euro quante vite si potrebbero salvare! BAMBINI SOLDATO Un’altra tragedia è quella dei Bambini Soldato, presi anche nella lotta del sud, forzati a combattere contro i propri fratelli. Il loro slogan è: “Uccidi o sarai ucciso!”. Vengono utilizzati come carne da cannone: prima riempiti di droga e poi mandati avanti per far scoppiare le mine per aprire la strada all’esercito. Le ragazze vengono violentate e usate come giocattoli per il sesso. Ho conosciuto una ragazza che strangolò con le proprie mani il bambino appena nato perché era il frutto di una relazione forzata del nemico. Voglio raccontarvi un episodio recente, chi lo descrive è un ex-bambino soldato, Paul Ocweo: “Il nostro capo con un macete incominciò ad ammazzare la gente del villaggio, poi ordinò a noi di fare lo stesso. Quando arrivò il mio turno c’era una bambina di circa dodici anni che teneva stretto il crocifisso, tentai di strapparglielo, ma lei si inginocchio dicendomi: «Ti perdono anche se mi uccidi perché non sai quello che fai…». Le sue parole mi colpirono come un fulmine, da un angelo: capii che ero diventato peggio di un animale, quella bambina mi fece aprire gli occhi sugli orrendi delitti di cui mi gloriavo. Non l’ammazzai, purtroppo un mio compagno con un colpo di macete l’ammazzò. Gli strappai il crocifisso e scappai! Decisi cambiare vita”. DOPO VENT’ANNI CHE LAVORO QUI… Dopo vent’anni che lavoro in questo paese, davanti a questo olocausto di vite umane… viene da scoraggiarsi. Mi danno forza le parole del Papa: “Mai più la guerra!” e la sua predilezione per i poveri. È vero: “Non si interessa dei poveri chi dei poveri non gli interessano”. Abbandonare questi fratelli per il pericolo della vita? La mia vita è forse più cara e più importante della loro? Cristo è morto per me come per loro, siamo tutti fratelli. Il loro dramma è il mio dramma, la loro speranza è la mia speranza.

7


NotiCUM

FRONTIERE DELLA MISSIONE

n.5 - maggio 2014

LA FAMIGLIA AFRICANA: MODELLO DI SOLIDARIETÀ

Le rivendicazioni di libertà e il diritto alla felicità personale mal si articolano con l’onnipotenza della famiglia patriarcale tradizionale

Africa

Tradizionalmente “allargato”, il nucleo familiare costituisce il fondamento della società africana di Ugo Piccoli

S

crive Alphonse Maindo nel suo libro “La violenza e le ricomposizioni politiche nella guerra della RDC”: “Il fratello di mio padre non è mio zio, ma mio padre più vecchio o più giovane a seconda dell’ età. Alla stessa maniera, la sorella di mia madre è pure mia madre”. Gli fa eco il sociologo Henri Maurier: “La famiglia africana tradizionale è molto estesa. Certo non si riduce a padre, madre e uno/due figli che vivono nell’intimità di un appartamento separato”! Bastano queste poche parole per farci capire come la percezione di “famiglia allargata”, ormai definitivamente fuori dall’orizzonte relazionale di noi europei, sia ancora molto forte sul Continente africano e in generale là dove la solidarietà clanica si presenta ancora come un elemento essenziale per la sopravvivenza stessa delle persone, la cui vita sarebbe inconcepibile al di fuori del gruppo. In tale contesto anche l’educazione dei figli acquista un valore particolare. Essa non è demandata solo ai genitori, ma riguarda tutti, soprattutto le persone più anziane. L’educazione è un affare della comunità intera; tutti i membri della famiglia sono coinvolti. “Noi siamo Paesi comunitari – spiegava Leopold Senghor – dove il gruppo conta più dell’individuo; questo non significa che la nostra società negro-africana ignori l’individuo, né che la società occidentale ignori la solidarietà, ma questa solidarietà la società europea la fonda sull’attività volontaristica degli individui, mentre la società africana la fonda sull’attività generale del gruppo; è la nostra carta politica perché la persona , pur rivendicando la propria autonomia, sente che può sviluppare la sua originalità solo nell’unione non manipolatoria con gli altri membri del gruppo sociale”. CAMBIA ANCHE L’AFRICA Non bisogna dimenticare ovviamente come anche in Africa le cose stiano rapidamente cambiando e come profondi mutamenti stiano attraversando la quotidianità delle popolazioni. È indubbio che resiste forte il mito della famiglia per il grande calore umano che sa esprimere verso i suoi componenti e per l’importanza che riveste rispetto alle funzioni di continuità, mantenimento, protezione ed educazione dei suoi membri. Funzioni queste che nessun’altra struttura “laica-statuale” appare in grado di assicurare! Al di là del mito, però, va da sé che una tale concezione della famiglia presenta anche delle fragilità quando si trova a doversi confrontare con un contesto sociale dove non è più il gruppo a definire i criteri della convivenza ma irrompe “l’individuo” con tutta la sua forza e le sue contraddizioni. Le rivendicazioni di libertà, il diritto per i ragazzi e le ragazze di costruire la propria vita sposando chi vogliono e il diritto alla felicità personale mal si articolano con l’onnipotenza della famiglia patriarcale tradizionale. Molti giovani che arrivano sulle nostre spiagge dopo aver rischiato la vita sulle carrette del mare sono anche figli di quella società che, se da un lato li rassicura sul piano dell’affettività, oggi non appare più in grado di garantire loro la libertà a cui aspirano e fare argine verso le lusinghe che la rivoluzione globale della comunicazione propone. Mutando il contesto, anche il sentimento di “famiglia allargata” cambia prospettive: mentre l’Islam mette l’accento sulla comunità dei credenti

AfricaNews

e il cristianesimo sulla fraternità universale tra gli uomini senza distinzioni, la famiglia africana sembra non avere strumenti di difesa verso l’aggressività del mondo moderno e appare ripiegata su se stessa con la tragica conseguenza di un sciovinismo identitario fondato sull’appartenenza etnica sempre in agguato, malattia sociale questa che negli anni novanta del secolo scorso ha infettato l’Europa balcanica e gran parte del Continente africano. La Chiesa ha fatto e sta facendo molto per evitare che tale pandemia si diffonda, con gli strumenti che le sono propri: quelli dell’educazione. L’Esortazione Apostolica postsinodale “Africae Munus” che nel novembre 2011 Papa Benedetto ci regalò dal Benin dà molto spazio alla famiglia (& 42), definita come il “santuario della Vita” dove i suoi componenti “apprendono ad amare e ad essere amati gratuitamente, a rispettare e ad essere rispettati”, mettendoci tutti in guardia, nessuno escluso: “Ogni volta che queste esperienze fondatrici vengono meno è l’insieme della società che soffre violenza e che a sua volta alimenta molteplici forme di violenza”.

di Henry Piccoli

EUROPA - AFRICA NUOVO ORDINE DI PARTENARIATO Il 2-3 aprile, dirigenti africani ed europei si sono incontrati al più alto livello in un summit a Bruxelles per definire le nuove prospettive del partenariato fra quella che viene definita “la culla dell’umanità” e il cosiddetto “vecchio Continente”. È stato il quarto incontro del genere, centrato in questa occasione sul tema: “Investire nelle persone, per la pace e la prosperità”. L’Africa e l’Europa quindi hanno deciso di rinnovare la loro volontà di partenariato su basi decisamente più paritarie, secondo la strategia comune già delineata nel 2007 a Lisbona. Nella cerimonia di apertura sono state tracciate le linee passate di una collaborazione che non sempre ha rispettato lo spirito di uguaglianza tra i partners. Prendendo la parola, il Presidente del Consiglio Europeo Van Rompuy ha sottolineato come le relazioni debbano divenire più “performanti e dinamiche”. Barroso, Presidente della Commissione Europea, e Ould Abdel Aziz, Presidente in esercizio dell’Unione Africana nonché Presidente della Mauritania, gli hanno fatto eco rilevando il fatto che “la volontà espressa di guardare nella stessa direzione ha prodotto risultati tangibili per uno sviluppo economico durevole e sostenibile che sicuramente offrirà nuove opportunità e più benessere ai cittadini dei due Continenti”. Barroso non ha mancato poi di sottolineare come dal 2007 ben 3 milioni e mezzo di giovani africani abbiano beneficiato di una formazione tecnica e professionale superiore grazie ai fondi della Comunità Europea. Dal Summit di Lisbona più di 60 milioni di dollari Usa sono stati investiti e spesi sul Continente africano. Nessun regalo, però, sono investimenti, ha fatto notare un dirigente africano intervenuto nelle discussioni, che restano assolutamente importanti e prioritari anche per la buona salute del sistema economico europeo.

8

NIGER SITUAZIONE UMANITARIA CATASTROFICA Le Organizzazioni Internazionali hanno lanciato un ennesimo appello per mobilitare tutti gli attori del mondo umanitario perché vengano incontro al dramma che stanno vivendo le popolazioni del Sahel. Più di 100.000 rifugiati maliani e nigeriani sono minacciati dalla fame se a breve non entrano nelle casse del Piano strategico 2014 del Niger i fondi necessari per far fronte a tutti i bisogni. Nel febbraio scorso l’OCHA, l’Ufficio degli Affari Umanitari delle Nazioni Unite, aveva chiesto 300 milioni di dollari ricevendone solo il 2%. Oltre ai rifugiati maliani e nigeriani, il Niger deve anche far fronte al dramma delle proprie popolazioni colpite lo scorso anno dalle inondazioni e dalla siccità che si sono portate via tutto il raccolto previsto per quest’anno. L’aiuto internazionale è quindi più che necessario e la Comunità Internazionale deve farsi carico del problema. L’insicurezza alimentare colpisce più di 4 milioni di nigerini e il tasso di malnutrizione infantile tocca la drammatica cifra del 13,3%, ben al di sopra della soglia critica fissata dall’OMS.


NotiCUM

FRONTIERE DELLA MISSIONE

n.5 - maggio 2014

America Latina

LA LOTTA CONTRO LA DROGA Le politiche portate avanti finora per arginare il fenomeno si sono dimostrate inefficaci di Daniela Sangalli

S

Panoramica

W LA FAMIGLIA…

I

l 15 maggio si celebra la Giornata internazionale della Famiglia, proclamata dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel 1993, per sottolineare l’importanza che la comunità internazionale assegna alla famiglia. La giornata rappresenta l’occasione per promuovere la presa di coscienza e una migliore conoscenza dei processi sociali, economici e demografici che riguardano questo importante nucleo della società. Negli ultimi anni le famiglie in America Latina hanno sperimentato importanti cambiamenti. In particolare la percentuale di bambini nati in nuclei familiari monoparentali con solo la mamma è in costante crescita negli ultimi anni: dal 7,3% del 1970 si è passati al 15% del 2000. Questa tendenza riflette cambiamenti nel modello socioculturale e rivela anche la problematica dell’abbandono e dell’assenza della figura paterna. La figura della ragazza madre è diffusa tra la fascia di età più giovane, con un livello educativo più basso e con scarse risorse economiche. Nel mese di agosto a Panamà si realizzerà il primo congresso latinoamericano degli agenti di pastorale familiare, organizzato dal Dipartimento Vita e Famiglia della Pontificia Commissione per l’America Latina. Il tema della riflessione è “Famiglia e sviluppo sociale per una vita piena” e non solo cercherà di dare risposte alle necessità sottolineate dagli agenti di pastorale, ma anche approfondire le scelte operate dalla chiesa ad Aparecida, dove la famiglia era considerata una opzione fondamentale. Le famiglie devono diventare sempre più protagoniste della vita sociale, influendo sulle decisioni istituzionali, mediante la proposta di soluzioni idonee e l’impegno a portarle avanti. L’obiettivo dell’incontro di Panamá sarà anche quello di rilanciare la famiglia come istituzione sociale che media tra l’individuo e la società.

CICAD. Nel caso del Centro America, è stata rilevata una correlazione tra le zone chiave per il traffico di droga e gli alti tassi di omicidio, specialmente in Guatemala e Honduras. In Colombia le statistiche indicano che le attività legate alla produzione della droga causano tra 4.600 e 7.000 vittime l’anno. In Messico, il governo federale ha stimato che sono morte circa 60.000 persone, vittime di esecuzioni, scontri tra bande rivali e aggressioni da parte di organizzazioni legate al narcotraffico. Anche il Dossier Regionale sullo Sviluppo Umano 2013-2014 presenta come problema rilevante l’aumento delle persone incarcerate per delitti legati alla droga, compreso il possesso, in Argentina, Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Messico, Perù e Uruguay.

USA/MESSICO: UNA MESSA SUL CONFINE

I

l 1 aprile il card. Sean O’Malley, vescovo di Boston, insieme a 8 vescovi di Stati Uniti e Messico, ha celebrato una Eucarestia a Nogales, in Arizona, cittadina divisa in due dalla linea di frontiera, in suffragio di coloro che sono morti cercando di raggiungere gli USA negli ultimi anni. Il comunicato dell’iniziativa, ispirata alla visita di papa Francesco a Lampedusa, presentava il significato della celebrazione: “mettere l’accento sulla sofferenza umana causata da un sistema migratorio fallimentare, questione che nel dibattito nazionale sull’immigrazione è spesso sottovalutata”. Mons. Elizondo, vescovo ausiliare di Seattle, ha ricordato come l’immigrazione ha anche una dimensione umana e non riguarda solo temi economici e sociali, e ha ripreso le parole di papa Francesco che ha condannato la “globalizzazione dell’indifferenza” e la “cultura dello scarto”. Nell’omelia il card. O’Malley ha affermato: “Questa Messa è per i più di 6.000 morti alla sola frontiera di Nogales, 11 milioni di persone senza documenti in attesa di futuro, 30.000 bambini senza genitori che fuggono. Nel deserto qui vicino sono stati trovati più di 400 cadaveri di persone che volevano passare di qua…”.

COLOMBIA Nel corso dell’anno 2013 sono stati assassinati 78 attivisti dei diritti umani e leader sociali, indigeni, contadini e sindacalisti, in maggior parte residenti nelle zone rurali del paese, con un aumento del 2,4% del tasso di aggressioni rispetto all’anno precedente. La Commissione Colombiana dei Giuristi ha segnalato che è come se ogni quattro giorni fosse assassinato un professionista dei diritti umani.

AMERICA LATINA L’ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il crimine ha presentato un dossier con le cifre ufficiali delle morti violente relative al 2012. I cinque Paesi dell’America che guidano la lista dei maggiori tassi di assassinio sono l’Honduras (90,5 omicidi su 100.000 abitanti), Venezuela (53,7 su 100.000 abitanti), Belize (44,7), EL Salvador (41,2) e Guatemala (39,9). Il Venezuela è l’unico Paese del Sud America il cui tasso di omicidi è aumentato costantemente dal 1995. Il Paese del continente con il tasso di omicidi più basso è il Cile, con 550 morti nel 2012 e un tasso di 3,1 morti ogni 100.000 abitanti.

AmericaLatinaNews

econdo un dossier dell’Ufficio delle Nazioni Unite per la lotta alla droga, la depenalizzazione delle droghe potrebbe essere una forma efficace per decongestionare le carceri. Secondo il documento consegnato da 17 associazioni che lavorano per i diritti umani alla Commissione interamericana per i Diritti Umani lo scorso 25 marzo, il numero di persone incarcerate per traffico di droga è in costante aumento. In Brasile si è registrato un aumento del 62% negli anni successivi all’approvazione della Legge sul traffico della Droga nel 2006. Tra le donne, l’aumento è stato del 600% tra il 2005 e il 2010. Problemi simili sono stati segnalati in altri paesi. In Messico la cosidetta “guerra delle droghe” ha costato la vita di oltre 100.000 persone e la scomparsa di altre 25.000. I casi di tortura nel Paese sono aumentati del 500%. Secondo le associazioni per i diritti umani, si stanno portando avanti politiche che sono manifestamente inefficaci. Ogni volta si dimostra sempre più insostenibile lo squilibrio implicito nella vigente strategia antidroga. Maggiori risorse per combattere l’offerta, maggior budget per le agenzie federali incaricate della repressione, scarso coordinamento interistituzionale e bassa cooperazione tra gli stati potranno provocare maggior frustrazione di fronte al fenomeno delle droghe. L’Organizzazione degli Stati Americani aveva promosso lo scorso anno la firma della Dichiarazione di Antigua, impegnandosi con una politica integrale di lotta al problema della droga, in particolare cercando di ridurre la violenza e tutelando i diritti umani. Tra gli obiettivi della Dichiarazione vi è anche l’intenzione di incentivare un dibattito ampio sul problema delle droghe a livello mondiale, perché tutti i settori sociali partecipino e offrano la propria esperienza specifica per il rafforzamento delle strategie nazionali. La Commissione interamericana per il controllo dell’abuso delle droghe (CICAD) raccoglie le informazioni e le statistiche ufficiali provenienti dai paesi americani nell’ambito del Meccanismo di Valutazione Multilaterale (MEM). Il MEM è uno strumento che permette la misura delle attività nella lotta alla droga che portano avanti i 34 stati membri della

9


NotiCUM

FRONTIERE DELLA MISSIONE

Asia

n.5 - maggio 2014

CINA: LA FINE DELLA POLITICA DEL FIGLIO UNICO La società invecchia: da oggi si potranno avere due figli anche nelle città

L

o scorso dicembre, la corte suprema di Pechino si è espressa a favore di un allentamento sul controllo delle nascite: il Comitato del partito consentirà alle coppie con un figlio di averne due. La libertà di scelta è ancora lontana, ma si tratta per ora di un primo passo, un cambio di rotta significativo sulla politica di pianificazione familiare in vigore da oltre 30 anni per frenare la crescita della popolazione nel paese più popoloso del mondo e che riguarda il 63% della popolazione cinese. La “politica del figlio unico” fu introdotta in Cina pochi anni dalla morte di Mao Tse-tung, dal suo successore Deng Xiao Ping nel 1979 e fu attuata vietando alle coppie che vivono nelle aree urbane di avere più di un bambino (a meno che entrambi i genitori non fossero a loro volta figli unici). Nelle campagne esistevano già delle eccezioni che consentivano di avere più di un figlio alle famiglie appartenenti a minoranze etniche, o nel caso il primogenito fosse una bambina. Il passaggio per ora non è però automatico: l’allentamento della «One child policy» sarà graduale, e soprattutto saranno le singole province a fissare paletti su come applicarla. La nuova norma riguarda non più di 20 milioni di coppie, un numero esiguo se rapportato al miliardo e mezzo di abitanti della Cina. In più di 40 anni di politica del figlio unico il tasso di natalità è sceso a 1,6 (inferiore rispetto a Usa e Regno Unito), secondo alcune stime sono state evitate 400 milioni di nascite. Ma, oltre alla legge e alle multe salate in caso di violazione, a frenare la natalità oggi è anche il costo: poche coppie pechinesi che hanno la possibilità di mantenerne due figli. A questo si aggiunge il progressivo invecchiamento della società cinese, legato non solo al fatto che vi sono meno giovani ma anche alla miglio-

AsiaNews INDIA A MAGGIO NUOVE ELEZIONI Si concluderà il prossimo 12 maggio la lunga maratona elettorale per il rinnovo del Parlamento in India, iniziata la prima settimana di aprile. Alle urne sono chiamati oltre 800 milioni di aventi diritto al voto. Il voto è monopolizzato dalla sfida tra due leader: il 63enne Narendra Modi, del partito di destra Opposizione indù nazionalista (Bharatya janata party) e favorito nei sondaggi a diventare il premier, e il 43enne Rahul Gandhi del partito del Congresso tradizionalmente al potere in India ma in calo nei consensi. Il nome del vincitore sarà annunciato il 16 maggio.

MYANMAR LA LEGGE SULLA LIBERTÀ RELIGIOSA Il presidente del Myanmar, Thein Sein, ha chiesto al Parlamento di esaminare la bozza di una nuova legge sulla libertà religiosa: il provvedimento – che dovrebbe servire a tutelare la minoranza musulmana, vittima di violenze – limita i matrimoni interreligiosi e le conversioni da una fede all’altra, vieta la poligamia e promuove un controllo delle nascite. Il Parlamento e i diversi ministri valuteranno la bozza e la discuteranno a maggio. La proposta di legge parte da una petizione presentata da un movimento dai monaci buddisti e firmata da oltre 1,3 milioni di persone con lo scopo di “proteggere la razza e la religione della nazione a maggioranza buddista”, e ha trovato dissensi a livello politico e religioso. Aung San Suu Kyi, leader della “Lega nazionale per la democrazia”, ha criticato la proposta affermando che discrimina le donne e viola i diritti umani e le libertà personali.

10

re aspettativa di vita. Nel 2050 oltre il 25% della popolazione avrà più di 65 anni, ogni 100 persone di età compresa fra i 20 e i 64 anni, ve ne saranno 45 oltre i 65 anni (oggi sono invece 15). Lo schema famigliare nella Cina di oggi è noto come 4-2-1, (4 nonni, due genitori, 1 figlio). Quando il figlio raggiunge l’età lavorativa deve occuparsi di 2 genitori e di 4 nonni pensionati. La rete famigliare è la vera ossatura della società cinese. In tale contesto avere più di un figlio è un lusso.

Panoramica

I MATRIMONI PRECOCI E IL PESO SULLE BAMBINE Sono 32 milioni le bambine vittime di matrimoni precoci ogni anno in Asia Meridionale

S

i intitola “Forced marriages and forced conversions in the Christian community of Pakistan”, è il rapporto elaborato da una coalizione di ong e associazioni in Pakistan (tra le quali anche la Commissione “Giustizia e Pace” dei Vescovi pakistani) sulla pratica di costringere a nozze islamiche ragazze di altre minoranze religiose. Ogni anno circa mille giovani indù e cristiane vengono rapite per diventare mogli musulmane. Secondo il rapporto il numero dei casi in realtà è maggiore, perché non sempre vengono denunciati. Le regioni in cui questo fenomeno è più frequente sono il Punjab e il Sindh. Spesso le ragazze sono molto giovani: fino ai 12 anni di età. Secondo le stime dell’Unicef nella sola Asia meridionale ogni anno sono costrette a matrimoni precoci 32 milioni di bambine. Le motivazioni alla base di questo fenomeno sono principalmente di carattere sociale, e sono legate alla mancanza di istruzione e alle precarie condizioni economiche che spingono le famiglie a considerare le proprie figlie solo come una spesa in più per il bilancio famigliare. In altri casi, a spingere le famiglie a far sposare le proprie figlie in età sempre più giovani è la loro convinzione che questa scelta possa preservarle da possibili violenze o abusi sessuali da parte di altri uomini. In realtà i matrimoni precoci hanno delle conseguenze fisiche, psicologiche e sociali molto gravi su queste bambine, costrette, come prima cosa, ad abbandonare la scuola. Il distretto di Kurigram, nel nord ovest del Bangladesh, è una delle zone più povere e arretrate del paese, condizioni che spingono ad anticipare il matrimonio anche di cinque o sei anni rispetto all’età legale di 18. Questa pratica è particolarmente diffusa anche in Yemen, dove circa il 14% delle bambine si sposa prima di aver compiuto 15 anni e il 52% prima dei 18. In alcune zone rurali, ci sono bambine già sposate a 8 anni e con uomini molto più grandi. La legge in realtà fissa l’età minima per contrarre matrimonio a 18 anni, sia per i bambini che per le bambine, secondo le norme e i trattati internazionali, ma nei Paesi che rispettano la Sharia, questa legge spesso è ignorata. Anche in Nepal ogni anno migliaia di ragazzine abbandonano la scuola per sposarsi: oltre il 34% di nuovi matrimoni nella regione Himalayana coinvolge spose dell’età di 15 anni, nonostante la legge lo vieti. Il fenomeno dei matrimoni precoci è particolarmente grave e fuori controllo a Terai, regione meridionale del paese. In alcuni distretti, come Rupendehi, Dhanusha e Mahottari, oltre il 50% delle spose ha meno di 12 anni.


NotiCUM

FRONTIERE DELLA MISSIONE

n.5 - maggio 2014

Europa

O

ggi la percentuale degli europei che non ha fiducia nel parlamento comunitario supera di 8 punti quella di coloro che invece si fidano. Solo qualche anno fa i suoi estimatori erano oltre il 30% in più dei suoi detrattori. Ancora più accentuata è la perdita di fiducia nei confronti della Commissione, del Consiglio e soprattutto della Banca centrale. Eppure a Bruxelles si decidono le sorti di mezzo miliardo di cittadini di 28 paesi. Scegliere una lista e individuare un candidato da votare, quindi, non possono essere atti stanchi e inconsapevoli. Il voto del prossimo 25 maggio è lo strumento – l’unico – in nostro possesso per indicare un nuovo percorso, per incamminarci sulla strada di un’altra Europa: quella dell’eguaglianza, dei beni comuni, dell’accoglienza, della pace. Per questo, come riviste missionarie, riteniamo che i rappresentanti eletti a Strasburgo e Bruxelles debbano avere a cuore almeno cinque grandi tematiche: gli Epa (Accordi di partenariato economico); la pace e il commercio delle armi; l’emigrazione e l’immigrazione; la cooperazione internazionale e il volontariato; e la libertà religiosa. Con gli Accordi di partenariato economico, l’Ue chiede ai paesi Acp (Africa, Caribi, Pacifico) di eliminare le barriere protezionistiche in nome del libero scambio. Le nazioni africane, togliendo i dazi e aprendosi alla concorrenza, permettono all’agricoltura europea, che vende i suoi prodotti a basso costo perché sostenuta da denaro pubblico, di invadere i loro mercati, con conseguenze potenzialmente drammatiche. Sono pertanto accordi da rivedere. Per uscire dalla crisi, Bruxelles vuole sostenere lo sviluppo delle capacità militari continentali, con l’obiettivo di fare dell’industria armiera un volano economico. Una scelta intollerabile per chi ricerca le vie del dialogo e del disarmo per risolvere situazioni di tensione e ostilità. Ci vuole un nuovo modello di difesa che trasformi l’Europa in una potenza di pace, a cominciare dalla costituzione dei Corpi Civili di Pace europei, come forza d’intervento tesa alla prevenzione e ricomposizione nonviolenta dei conflitti. I casi della Siria e dell’Ucraina sono un monito per tutti. Sui temi dell’immigrazione, è urgente una riforma del regolamento di Dublino: introdotto nel 2003 per chiarire le competenze dei singoli stati sulle domande di asilo politico, si è rivelato uno strumento inadeguato e in contrasto con il principio di protezione dei rifugiati. Più in generale, l’Europa deve dimostrare che quello dell’accoglienza è tra i suoi principi fondativi. A ciò contribuirebbe l’omogeneizzazione delle legislazioni nazionali in tema di cooperazione. L’Europa, tramite i suoi paesi, è il primo donatore per l’Africa. Ma spesso le sue azioni sono dispersive, non legate a un progetto comune, e quindi poco efficaci. La cooperazione deve diventare lo strumento principe per una politica di pace che voglia garantire la convivenza e il benessere,

UNA BUSSOLA PER L’EUROPA Le elezioni europee del 25 maggio nel rispetto dei diritti fondamentali di tutti i cittadini e valorizzando il contributo gratuito e volontario della società civile. Infine, c’è il tema della libertà religiosa: parrebbe un diritto garantito e tutelato nel Vecchio Continente. Invece ha bisogno di un buon restauro perché l’Europa non è immune da casi di violazione della libertà di credo, di attacchi a membri delle minoranze religiose sulla base delle loro convinzioni, e di discriminazioni per motivi religiosi. La stessa attenzione che chiediamo alle istituzioni europee nei confronti dei paesi non europei, la chiediamo anche nei confronti dei paesi membri dell’Ue. I candidati parlamentari attraverso i loro programmi che manifestino sensibilità su questi temi, i cittadini attraverso la scelta di tali candidati, possono far imboccare all’Ue la strada del cambiamento. Fesmi* *Questo testo è sottoscritto dalle testate missionarie italiane aderenti alla Fesmi (Federazione della Stampa Missionaria Italiana) di cui la nostra rivista è parte.

Panoramica

LA FAMIGLIA SEMPRE IN AGENDA L’impegno della Chiesa a tutela della famiglia

N

o alla dittatura del “pensiero unico”. No alla manipolazione educativa su bambini e giovani. Un monito forte quello lanciato oggi da Papa Francesco in occasione dell’udienza a una delegazione del Bice (Bureau International Catholique de l’Enfance), un’organizzazione che si è sempre impegnata a promuovere la tutela dei diritti dei minori collaborando costantemente con gli uffici della Santa Sede a New York, Strasburgo e Ginevra. “Occorre ribadire - ha detto il Papa - il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva. Ciò comporta al tempo stesso sostenere il diritto dei genitori all’educazione morale e religiosa dei propri figli”. È a questo punto che il Papa ha lanciato un forte monito: “A questo proposito vorrei manifestare il mio rifiuto per ogni tipo di sperimentazione educativa con i bambini. Con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti; conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa di modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del «pensiero unico». LE SETTIMANE SOCIALI E LA FAMIGLIA Dopo aver approfondito i fondamenti della visione cattolica sulla famiglia, il documento conclusivo delle Settimane Sociali di Torino prende in considerazione alcuni aspetti legati all’attualità politica e culturale, parlando delle “priorità” che “l’agenda della politica” del Paese dovrebbe assumere riguardo alle famiglie, che rappresentano il tessuto portante della società. Il testo afferma: “Non abbiamo

paura di chi pone il problema della identità e del ruolo pubblico della famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna. Né abbiamo paura che il problema sia posto. Abbiamo paura di chi vuole imporre una soluzione evitando che la questione sia pubblicamente discussa e che le alternative in gioco e le loro principali implicazioni appaiano per quello che sono. E abbiamo paura di chi minimizza la scala dei problemi che coinvolgono la famiglia e anche di chi strumentalizza le questioni familiari riducendole a bandiera ideologica”. L’appello alla politica è perché “riconosca” la famiglia come uno dei soggetti principali “titolari di diritti che precedono lo Stato e che diversamente, ma in misura non minore, concorrono al bene comune”. Da questo, il convincimento che “quando la politica opera per modificare la città in qualcosa che va stretto alla famiglia è fatale che la famiglia divenga anche e immediatamente questione politica, con ricadute economiche di non poco conto”. “La famiglia costituita da un padre, una madre e dei figli non è omologabile a nessun altro tipo di unione”, ha detto mons. Arrigo Miglio, arcivescovo di Cagliari e presidente del Comitato scientifico-organizzatore delle Settimane Sociali dei cattolici italiani, presentando l’11 aprile scorso a Roma il documento conclusivo dell’ultima edizione delle Settimane Sociali, quella di Torino del settembre 2013. Titolo del testo: “La famiglia fa la differenza. Per il futuro, per la città, per la politica”. La famiglia, ha sottolineato mons. Domenico Pompili, “resta la ‘differenza fondamentale’ tra una società aperta alla relazione plurale e una società chiusa in un individualismo autosufficiente”.

11


NotiCUM

FRONTIERE DELLA MISSIONE

UltimaPagina

n.5 - maggio 2014

SpazioCedor

I

n occasione della Giornata Internazionale della Famiglia presentiamo film e libri sulla famiglia e la sua evoluzione. I film mostrano, con immagini crude e realiste, diverse fisionomie che le relazioni possono assumere; in diversi ambienti e classi sociali descrivono affetti, ambizioni, timori, per mostrare sempre comunque i valori fondamentali della vita. I due libri ci portano in Somalia e in India e ci aprono a modelli in evoluzione, condizionati dagli eventi storici e dalle dinamiche economico-sociali locali e internazionali. Alejandro Gonzalez Inarritu Biutiful 2010 - DVD 142’ Uxbal è un uomo pieno di contraddizioni: protegge gli immigrati dalla legge mentre lui stesso sfrutta il loro lavoro, è un uomo di strada che ha un dono spirituale speciale ma per metterlo a disposizione richiede del denaro, è un padre di famiglia con due figli che ama ma che non fa altro che rimproverare. Quando si scopre malato terminale, perde il controllo sulla sua vita quotidiana. Dopo la disperazione iniziale, cerca di prendere in mano la situazione e riordinare i vari aspetti della sua vita. Walter Salles, Daniela Thomas Linha de passe – La vita è come te la vivi Roma – 01 Distribution – 2009 - DVD 110’ Il film racconta la storia di quattro fratelli, figli della stessa madre ma di padri diversi, che vivono in Brasile nella metropoli di Sao Paulo. Tra mille difficoltà ognuno cerca di reinventarsi la vita in modo diverso e offrono uno spaccato della crisi di identità che vive non solo la famiglia ma il Brasile stesso. Uno sguardo sul mondo dei giovani apparentemente privo di speranza ma di fatto carico di un desiderio di denuncia che diviene esso stesso stimolo per il cambiamento.

Kaha Mohamed Aden Fra-intendimenti Roma – Nottetempo - 2010 L’autrice ci racconta due tipi d’esperienza del conflitto che ha insanguinato la Somalia: nella prima la guerra civile fra i clan somali, le riunioni dei saggi sotto le acacie, i bambini soldato. Nella seconda, i pregiudizi che accolgono la sua nuova vita in Italia e la costringono a un’identità che non sa più nulla dei poeti, dei guerrieri, degli spiriti degli antenati. Uno sguardo ironico che descrive il passaggio fra due mondi e mostra modelli e falle di sistemi sociali antichi e contemporanei. Sudhir Kakar, Katharina Kakar Gli indiani. Ritratto di un popolo Vicenza – Neri Pozza – 2007 Viaggio nell’anima del popolo indiano, la seconda popolazione più numerosa al mondo. Gli autori ci presentano l’identità culturale di questa popolazione che, sebbene divisa tra diverse professioni religiose, sterminate identità regionali e linguistiche, mostra alcuni punti in comune che determinano l’”indianità”: una concezione dei rapporti in generale, e dei rapporti familiari in particolare, derivante dall’istituzione della famiglia allargata; una visione profondamente gerarchica delle relazioni sociali influenzata dall’istituzione delle caste; un’immagine del corpo umano e dei processi fisiologici basata sul sistema medico dell’Ayurveda; un immaginario culturale condiviso ricco di miti e leggende che sottolineano una visione “romantica” della vita umana e un modo di pensare relativistico e contestuale. Tutto il materiale segnalato è disponibile al prestito presso il “Cedor” - Centro di documentazione della Fondazione Cum

L’opinione

In libreria

di Maurilio Guasco

DALLA PAPOLATRIA ALLA PAPOFOBIA

P

er alcuni mesi, prevaleva la novità: il papa si comportava (cosa stranissima) come tutte le altre persone: saliva su un aereo portandosi la borsa, mentre tutti i grandi hanno i portaborse; metteva le scarpe che aveva sempre messo, e non quelle più consone al suo ruolo; parlava in modo che tutti capissero, e non un linguaggio raffinato ma spesso comprensibile solo agli addetti ai lavori (quali?); rideva quando era il caso e si commuoveva quando era il caso, ecc. Poi la luna di miele è finita, almeno per alcuni. Sono cominciate le critiche, e qualcuno ha iniziato a suggerirgli ciò che dovrebbe dire in certe circostanze o su alcuni argomenti. Si fa notare che non tace quasi mai, ma evita accuratamente di dire qualche parola chiara su determinati problemi. Gli atei devoti, o se si vuole i cristiani non credenti, hanno iniziato una sottile campagna di denigrazione, ospitando nei loro giornali anche voci di credenti critici, ma che giustamente pensano che anche il papa ha bisogno di qualche consiglio. In alcuni casi, i suoi atteggiamenti hanno spiazzato anche chi non fa né il denigratore né l’adulatore di professione. Cito, ma è solo un esempio tra i tanti, certe lettere che giungono alle riviste cattoliche, alcune delle quali sono anche state pubblicate: si veda, come esempio, una lettera pubblicata nel mese di aprile da “Vita Pastorale”, dove un parroco (con il solito metodo molto italiano di non concludere la lettera con il proprio nome: ma possibile che quasi sempre chi esprime opinioni anche serie non voglia mai che si dica la fonte di simili opinioni, cioè il suo nome?), un parroco dunque, forse memore di alcuni aspetti che hanno dato origine alla rivoluzione francese, presenta un lungo elenco di cahiers de doléances, spiegando le ragioni, non trascurabili, per cui certi atteggiamenti di papa Francesco hanno finito per mettere a disagio lui e molti suoi parrocchiani. Papa Francesco ha ragione (un buon cattolico non può che dire così), ma anche quel parroco ha ragione, anche se non dice il suo nome. Ancora una volta, e non sarà certo l’ultima, siamo davanti a due ecclesiologie, ugualmente fondate, che rischiano di confliggere tra loro: un’ecclesiologia giuridica e fondata sulla legge, un’ecclesiologia di comunione, fondata sulla misericordia. Sia l’una che l’altra hanno meriti e difetti, pregi e rischi: e non è molto facile farle convivere. Chi legge i testi del Concilio Vaticano II, e soprattutto le discussioni che hanno portato a quei testi, si rende conto che anche in Concilio succedeva la stessa cosa. I vescovi, checché ne dicano alcuni autori lefebvriani, non avevano come scopo di distruggere la Chiesa, ma cercavano i modi migliori per parlare oggi al popolo di Dio: e spesso provocavano il conflitto. Alcuni testi del Vaticano II ne sono la prova: spesso oscillano tra le due tendenze, o trovano frasi magari un po’ ambigue, poiché sono alla ricerca del consenso di tutti. È la situazione della Chiesa di oggi: più la storicizzi, e più hai l’impressione che si perdano valori importanti; più la dogmatizzi, e più hai l’impressione che ci si dimentichi la misericordia. Forse bisognerà proprio pensare come mettere insieme la legge e la misericordia.

RINNOVA IL TUO CONTRIBUTO: LEGGI E DIFFONDI NOTICUM Noticum è un’iniziativa editoriale con la quale il CUM vuole raccontare mensilmente al pubblico italiano la missione, i missionari italiani, la vita del CUM. Attraverso Noticum il Centro Unitario Missionario vuole aiutare anche economicamente i bisogni dei missionari italiani e stranieri che entrano in contatto con questo centro di formazione della Chiesa italiana. Noticum si regge unicamente sulle offerte dei suoi lettori. Noticum viene spedito solo a chi, durante l’anno, invia un’offerta. Se non l’hai già fatto, ti invitiamo a usare il conto corrente allegato per inviare un’offerta a sostegno di Noticum per il 2014 e delle iniziative del CUM a favore dei missionari.

12

Periodico di formazione sulla missione universale e di informazione sulle realtà del sud del mondo Edito dalla Fondazione Cum - Centro Unitario per la cooperazione Missionaria tra le chiese promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana Direttore responsabile Francesco Ceriotti Direttore Crescenzio Moretti Comitato di Redazione Paolo Annechini, Amedeo Cristino, Giandomenico Tamiozzo, Ugo Piccoli, Beppe Magri

Segreteria CInzia Inguanta Redazione e direzione Lungadige Attiraglio, 45 - 37124 Verona Tel. 045 / 8900329 - Fax 045 / 8903199 www.fondazionecum.it e-mail: noticum@fondazionecum.it Impaginazione Francesca Mauli Stampa Stimmgraf - Verona Autorizzazione Tribunale di Verona: N° 1319 del 7/5/1998 Tiratura: 5.000 copie c.c.p.: 18641373


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.