FUL | Firenze Urban Lifestyle #40

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nov-dic Ęź19



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ELIO GERMANO teatro

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GIACOMO ZAGANELLI

novembre-dicembre ʼ19

ful - n. 40

www.firenzeurbanlifestyle.com

arte

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ALESSANDRO RICCIO teatro

Il problema è che comunichiamo male. E non ci rendiamo conto che comunichiamo sempre: a tu per tu, attraverso i social, al telefono, ma anche con i nostri gesti e le nostre espressioni, i nostri silenzi e le risposte mancate. Senza una buona comunicazione è facile creare delle incomprensioni e talvolta arrivare alla violenza. Questo è vero non solo nei rapporti tra le persone, ma anche in quelli tra le nazioni e i popoli. È quindi essenziale comunicare bene per vivere meglio. In ogni ambito della nostra vita. Ogni tanto è bene ricordarselo e noi ce lo ricordiamo ora: nel numero 40! Per comunicare a tutti voi lettori e a chi ha contribuito nel tempo a rendere la nostra rivista sempre più bella e ricca un enorme e sentito GRAZIE!

La creatività non conosce confini: fotografia, moda, danza, musica, design, viaggi, letteratura, cinema, teatro, natura... qual è la vostra musa? Contattateci per proporre collaborazioni, articoli, eventi. Like us on Facebook. Tweet us. Follow us. Read us. Love us. www.firenzeurbanlifestyle.com FB: ful.magazine IG: ful_magazine Twitter: ful_magazine

DYNAMO energie

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LA BOTANICA DI LEONARDO mostre

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FLORENCE UNCONVENTIONAL LINK

Annalisa Lottini

AVETE QUALCOSA DA RACCONTARE?

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fumetto Aut. del Tribunale di Firenze n. 5838 del 9 Maggio 2011 Direttore responsabile Riccardo Basile Proprietario FMP Editore e realizzazione grafica Ilaria Marchi

Ideazione Marco Provinciali e Ilaria Marchi Coordinamento editoriale Annalisa Lottini Comunicazione e progetti Jacopo Visani Se sei interessato all’acquisto di uno spazio pubblicitario: marco@firenzeurbanlifestyle.com tel. 392 08 57 675 Se vuoi comunicare con noi ci puoi scrivere ai seguenti indirizzi: ufficiostampa@firenzeurbanlifestyle.com redazione@firenzeurbanlifestyle.com commerciale@firenzeurbanlifestyle.com Copertina: Exit Enter Titolo: Florence for sale

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EMILIO CAVALLINI moda

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VENTUNO BISTROT gusto

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TREKKING SAN QUIRICO D'ORCIA natura

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SPAZI SOSPESI architettura

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GENERAZIONE SLASHER rubrica

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GABRIELE PROVENZANO pagina dell'artista

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ful teatro

UN SEGNALE D’ALLARME REALE IN REALTA VIRTUALE Lo spettacolo teatrale “La mia battaglia” di Elio Germano è stato trasposto dall’attore stesso e da Omar Rashid di Gold in un film in realtà virtuale. Testo di Jacopo Visani, Foto di Gold e Enrico De Luigi

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a mia battaglia è uno spettacolo teatrale scritto da Elio Germano e Chiara Lagani, nel quale l’attore romano mostra tutta la sua abilità interpretativa in un lungo e provocatorio monologo. La rappresentazione ha girato molti teatri dello stivale con grande successo ma facendo anche molto discutere e sollevando qualche polemica. A Firenze, Omar Rashid di Gold ha avuto l’idea di trasformare questo spettacolo in una pellicola in realtà virtuale, moltiplicando così innumerevoli volte l’esperienza della visione a teatro. Lo spettatore, infatti, una volta indossato il visore, si trova seduto in prima fila, circondato da altri spettatori, pronto a godersi l’esibizione. Questa

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coinvolgente esperienza immersiva ha preso il titolo di Segnale d’allarme e sta girando l’Italia in un tour che ha fatto tappa anche alla Mostra del Cinema di Venezia. Siamo stati all’Auditorium Stensen di Firenze alla prima proiezione italiana in realtà virtuale a 360 gradi. Una volta indossato il visore, oltre alle persone in carne e ossa che ci erano sedute accanto, ci siamo ritrovati circondati da spettatori virtuali. Ma il senso di disorientamento si è amplificato durante la visione. Tutta l’opera – del cui contenuto promettiamo solennemente di non svelare niente –, infatti, gioca con i rapporti reale-virtuale e verità-finzione. Che ruolo sta impersonificando l’attore? Crede davvero in quello che


dice? Dove ci sta portando? Le persone sedute accanto a noi sono veramente solo degli spettatori? In un crescendo durante il quale i toni si esasperano fino a giungere a uno sconvolgente finale. Il visore, insomma, contribuisce a esaltare ancora di più il cortocircuito tra realtà e finzione già contenuto nello spettacolo teatrale originale. Dopo essercelo tolto, ancora un po’ spaesati e non sicuri del piano di realtà di appartenenza, abbiamo incontrato l’attore per fargli qualche domanda. Come è nata l’idea dello spettacolo La mia battaglia? In un momento storico nel quale spesso si demanda il proprio pensiero ad altri considerati come punti di riferimento, uno stimolo per la nascita di questo spettacolo è stata la riflessione sullo sproporzionato potere di influenzarci e manipolarci che possiede chi si innalza su un palco e sull’altrettanto grande influenza che ha la massa nel condizionare le nostre scelte e posizioni. Un altro mio bisogno più personale ha sicuramente contribuito: riconoscere per primi in noi stessi ciò che manifestatamente aborriamo. Prima di condannare certi aspetti della nostra storia e dei nostri atteggiamenti, che chiaramente restano e resteranno sempre da condannare, sarebbe opportuno riconoscere quanto questi possano essere “umani” e appartenenti, magari in modo edulcorato, a ognuno di noi, per essere poi capaci di superarli veramente e non solo di facciata. Riconoscere il lato seducente del male è fondamentale per avere degli anticorpi nei suoi confronti. Qual è a tuo parere il segnale d’allarme nella nostra società? È sicuramente la tendenza ad appiattire il pensiero e a renderlo quasi unico. Questa dinamica è generata dalla sempre più pervasiva presenza degli slogan che dal mondo del marketing hanno invaso e pressoché monopolizzato il linguaggio della politica. Dietro a uno

slogan non c’è né riflessione né critica, ma solo un ragionamento strumentale volto alla creazione del consenso. Il segnale d’allarme è la scomparsa del pensiero critico individuale sostituito dall’adesione a suon di “mi piace” o “non mi piace” a uno slogan o a una mera manifestazione di carisma. Questo aspetto emerge sicuramente in modo molto efficace nello spettacolo. Perché secondo te gli slogan funzionano così bene in politica? Gli slogan spesso sono privi di un vero e proprio contenuto sostanziale e a pelle risultano pienamente condivisibili da tutti, non a caso i politici si richiamano spesso al cosiddetto buon senso. Ma come si calano questi slogan nella realtà e nelle leggi? Quello che inizialmente sembrava così condivisibile può molto facilmente incarnarsi in misure raccapriccianti. Il personaggio che hai portato sul palco ha delle connotazioni estreme. Com’è stato per te a livello umano impersonificarlo? È stata sicuramente un’impresa dura che mi ha generato non pochi problemi interiori. In primo luogo ho esercitato una violenza nei miei confronti, sia come attore che come personaggio pubblico. D’altro canto la medesima violenza ha inevitabilmente coinvolto anche chi si recava al teatro o si recherà a vedere Segnale d’allarme avendo giustamente una certa aspettativa nei miei confronti. È stato veramente difficile, ma ho trovato le risorse per farlo nell’importanza e nell’urgenza degli argomenti trattati. Cosa conferisce e cosa toglie la versione in realtà virtuale rispetto alla spettacolo teatrale originale? Sicuramente gli spettatori sono portati a essere più concentrati e ciò è dovuto all’immersività del medium che implica l’impossibilità di controllare il telefono o di interagire con la persona che ci siede accanto. La realtà virtuale ci permette di guardarci intorno e soffer-

Il visore contribuisce a esaltare il cortocircuito tra realtà e finzione già contenuto nello spettacolo originale.

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marci anche a lungo a osservare chi ci circonda, atteggiamento che al teatro non faremmo con tale disinvoltura. Questa trasposizione inoltre ci consente di diffondere maggiormente lo spettacolo, potendolo riprodurre ovunque in modo più facile. L’altro lato della medaglia è che, a differenza del teatro, ciò che accade nella pellicola non è irripetibile, ma sempre identico a se stesso. È stata dura, ma come promesso non vi abbiamo rivelato niente sul contenuto dello spettacolo. Siamo però sicuri che leggendo tra le righe ve ne siete potuti fare un’idea. Se vi siete incuriositi, non mancate alla prossima proiezione vicino a voi: sarà veramente un’esperienza unica! •

ENGLISH VERSION>>>> La mia battaglia (My battle) is a play written by Elio Germano and Chiara Lagani, in which the Roman actor shows his skills in a long and provocative monologue. In Florence, Omar Rashid had the idea to transform the show in a virtual reality movie. The viewer wears a visor and finds himself seated in the first row, surrounded by other people ready to watch the performance. This new immersive experience has been called Segnale d’allarme (Alarm sign) and is touring Italy and has been shown also at Biennale del Cinema in Venice. We went to Auditorium Stensen to the opening night of the first 360° Italian projection. With the visor on the sense of place is lost. The work plays on the relationship between reality-virtuality and truth-fiction. Which role is the actor playing? Does he believe in what he says? The people next to us are really just viewers? We interviewed Elio Germano. How was born the idea for the play? From the reflection on the power that who is on a stage has got on us and also from the great influence that the mass has on our choices. Also on a more personal note: from the need to recognize in us what we explicitly abhor. Recognizing the seduction of evil is fundamental to start building antibodies against it. What is the alarm sign in our society? It’s the tendency to conform our thought to the mainstream one. A dynamic that is generated by the pervasive presence of slogans that from marketing have conquered the language of politics. Behind a slogan there is no reflection or critic, only an instrumental thinking to create agreement. The character you brought on the stage has got extreme connotations. It’s been difficult to personify, but I had to find the resources because I was dealing with important and urgent topics. Compared to the original play, what does virtual reality add and take away? The audience is more concentrated thanks to the medium. They cannot check their phones or interact with people. With virtual reality we can look around and stare at the person nearby, in the theatre we couldn’t do it with the same freedom. In this way it’s also easier for the show to travel, on the downside what happens in the movie is always identical while the play is always different.•

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ful arte

GIACOMO ZAGANELLI: L’ARTE IN CONTESTO Giacomo Zaganelli, artista poliedrico che vive tra Firenze e Berlino, ci racconta del successo della mostra Grand Tourismo agli Uffizi, della sua visione artistica e dei suoi prossimi progetti. Testo di Rita Barbieri, Foto di Giacomo Zaganelli

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Giacomo Zaganelli

l termine della mostra Grand Tourismo, che ha ottenuto uno strepitoso successo presso il Museo degli Uffizi di Firenze, abbiamo raggiunto al telefono Giacomo Zaganelli – che avevamo intervistato in passato in merito al progetto La Mappa dell’abbandono – per chiedergli come e quanto sono cambiate le cose in questi ultimi anni. Giacomo è un fiorentino doc: nato a Firenze nel 1983 e laureato presso la Facoltà di Architettura in Disegno industriale, ha iniziato a lavorare al termine degli studi realizzando installazioni pubbliche e progetti curatoriali con un approccio multidisciplinare. Giacomo, tu sei un volto noto ai lettori di FUL: ti abbiamo intervistato in uno dei nostri primi numeri! Ci potresti riassumere cos’è cambiato in questi anni? In effetti, sono cambiate molte cose. In questi anni ho viaggiato molto per lavoro, soprattutto in Asia dove ancora trascorro almeno tre mesi all’anno e attualmente vivo a cavallo tra Firenze e Berlino. Sono sempre in giro, sempre in movimento, sempre alla ricerca di progetti nuovi da realizzare. A proposito dei tuoi progetti, ci vuoi parlare della mostra che si è appena conclusa agli Uffizi? Si è trattato di un grandissimo successo! Effettivamente secondo le stime del museo, si tratta della seconda mostra più vista di sempre con un’affluenza di visitatori davvero impressionante ed è stata prorogata per più di un anno, da luglio 2018 a settembre 2019. Sono davvero orgoglioso e soddisfatto di questo risultato. Ci sono addirittura visitatori che, dopo averla vista, mi hanno scritto per dirmi quanto e come si sono sentiti colpiti dal mio messaggio e la cosa mi fa estremamente piacere. Qual era il messaggio che volevi veicolare? In realtà questa mostra prende le mosse da un’esposizione che avevo fatto a Taiwan, dal titolo Superficially. Visitando il loro Paese

Le mie installazioni cercano di svegliare le coscienze, aprire gli occhi e soprattutto, creare spazi condivisi.

Façades Superficially - MOCA Taipei, 2017

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per la prima volta, ero rimasto impressionato dal loro attaccamento – quasi ossessivo – nei confronti del telefonino: tutti ne erano letteralmente posseduti al punto che non era più uno strumento ma un nuovo paio di occhi con cui vedere il mondo. Ho deciso di approfondire questo tema e, pensando a una città come Firenze, mi è venuto spontaneo riflettere sulle orde di turisti che invece di godersi i monumenti e la città, passano il tempo a scattare la foto perfetta. Così quando sono stato chiamato dal direttore degli Uffizi per organizzare la mostra, ci siamo subito trovati in sintonia su cosa fare. E i numeri, a quanto pare, ci hanno dato ragione. Analizzando un po’ la tua carriera, costellata di successi internazionali, sembra di trovare un comune denominatore: il contesto in cui l’installazione si inserisce. Perché? Dal mio punto di vista l’arte non può assolutamente prescindere dal contesto, anzi deve valorizzarlo e migliorarlo. Penso per esempio a La mappa dell’abbandono, uno dei miei progetti più riusciti tanto che è anche diventato un libro (pubblicato da Centro Di nel 2018, ndr). Girando per la Toscana mi sono accorto che c’erano una quantità di spazi dismessi, caduti in disuso: ospedali psichiatrici, caserme, abitazioni che potevano essere riutilizzate e adibite ad altro. Spazi che potevano acquisire una nuova forma, una nuova vita, attraverso la creazione artistica. Sembra che per te l’arte non sia semplicemente forma estetica ma che abbia più una funzione sociale... Sì, è così. L’arte non è e non può essere soltanto ammirazione del bello, strettamente fine a se stessa. L’arte come la intendo io è un modo per veicolare un contenuto, sociale e urbano. Un’arte che è anche politica, nel senso greco di polis, di amore e cura per la cosa pubblica. Le mie installazioni cercano di svegliare le coscienze, aprire gli occhi e soprattutto, concretamente, di creare e ricreare spazi condivisi all’interno o fuori della città. A proposito di città, che rapporto hai con Firenze? Sono molto legato a Firenze, sono cresciuto per le vie di Santo Spirito e ancora ci Grand Tourismo - Galleria degli Uffizi, 2018 torno molto spesso. Purtroppo però devo dire, con un po’ di amarezza, che la città è molto cambiata in questi anni. È diventata vittima e preda di un turismo massivo e consumistico, che non porta niente di costruttivo ma che anzi la invade e la affolla. Mi dispiace notare come le istituzioni, a differenza di quelle di altre città europee, non abbiano fatto niente per arginare il fenomeno: è un vero peccato.

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Un’ultima domanda: potresti accennarci qualcosa dei tuoi prossimi progetti? Sono tantissimi e vari. Diciamo che ci sono diverse possibilità interessanti che si stanno aprendo sia in Asia che in Africa: nuovi spazi e nuovi ambienti che sono per me linfa vitale per creare e realizzare. Chissà allora quali altre sorprese ci regalerà Giacomo... A noi di FUL allora non resta che dire: «Ciao Giacomo, alla prossima intervista!» •

Illusion still, 2017

Fluire - Setouchi Triennale, Giappone 2019

ENGLISH VERSION>>>> At the end of the exhibition Grand Tourismo, held at Uffizi Gallery with great success, we talked to Giacomo Zaganelli – we interviewed him in the past regarding his project Map of the abandon. Giacomo is a real Florentine: born in Florence in 1983, with a degree in Industrial Design, he started to work at the end of his studies producing public installations with a multidisciplinary approach. Giacomo, our readers know you, what happened in the last years? Actually, many things. In the last years I travelled a lot for work, especially in Asia, where annually I spend at least three months, and I live between Florence and Berlin. What can you tell us about your latest exhibition at Uffizi? According to the museum’s data, it is the second most visited exhibition. I am very proud of this success. Some visitors have written to me to tell me how impressed they have been by my message. Which was the message? In Taiwan I organized an exhibition called Superficially. Visiting their country I was hit by the obsessive attachment they have for their phones. So I decided to analyze this theme in depth and thinking about Florence it was natural to reflect on the hordes of tourists that just want to shoot the perfect picture. All your career and successes seem to circle around the context in which installations are set. Why? From my point of view, art can never be separated from its context, its aim should be to increase its value. Art for you is not just aesthetic but should have a social function… Yes, that’s right. Art is not just admiring beauty, it’s a way to transmit a social and urban message. Art is politics, from the Greek polis, love and care for the public things. My installations try to awaken the conscience of people and recreated shared spaces inside and outside cities. What is your relationship with Florence? I am very attached to Florence, I was brought up in Santo Spirito’s streets and I go there often. But I have to say, bitterly, that the city has changed a lot in the last few years. It’s a victim of the tourism. What about your next projects? There are many, also interesting possibilities in Asia and Africa: new spaces and environments that are nourishment for my creativity. •


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ful teatro

DIETRO LE QUINTE CON ALESSANDRO RICCIO La vita, gli spettacoli, il metodo di Alessandro Riccio, attore comico trasformista fiorentino, eclettico e instancabile. Testo di Annalisa Lottini, Foto di Luca Brunetti

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ome si annulla la realtà che ci circonda per trasformarla in un mondo altro, dove poter essere diversi, migliori o persino peggiori? Dove poter sperimentare altre vite e imparare da loro preziosi insegnamenti? A teatro. Ne abbiamo parlato con Alessandro Riccio: attore preparatissimo, impresario, insegnante di recitazione, presenza fissa della programmazione teatrale fiorentina che registra sempre il tutto esaurito. Lo abbiamo incontrato nella sede del Laboratorio Teatrale dell’Associazione Tedavi ’98, una location a dir poco meravigliosa: un teatro segreto, uno studio, una scuola di recitazione, un ufficio, il giardino segreto, la stanza dei trucchi, le scale del diavolo. La creazione di una vita: un museo di costumi di scena, quadri, suppellettili, pareti intere di scarpe e di parrucche utilizzati per l’allestimento dei suoi spettacoli e disponibili anche per il noleggio. Alessandro, classe ’72, ha cominciato da giovanissimo a fare corsi per videomaker e a creare cortometraggi, vincendo anche qualche premio, ma il richiamo del palcoscenico è stato più forte e presto ha richiesto tutte le sue energie. Allievo di Bob Marchese e Fiorenza Brogi, anti-divi per eccellenza che gli hanno insegnato non solo la recitazione ma soprattutto il rispetto, il gusto di stare con il gruppo, l’ascoltarsi, dopo essersi misurato con produzioni importanti come quelle del Teatro Stabile del Veneto, ha deciso di rischiare e fondare la casa di produzione Tedavi ’98, sfruttando non solo il suo talento artistico ma anche quello pratico coltivato negli anni di Economia e Commercio. E tutti sanno quanto sia fondamentale nel mondo dello spettacolo far quadrare i conti, saper gestire un budget, stimare i ricavi. Alessandro è autore, regista e attore di molti dei suoi spettacoli, si occupa del casting, della produzione e della promozione. Se questo non bastasse è anche docente di recitazione. Dove trovi il tempo e l’energia per tutte queste attività è davvero un mistero, ma parlando con lui abbiamo capito che la magia che riesce a creare sul palco non è il frutto di un incantesimo, bensì di un allenamento quotidiano, di studio e preparazione, di esperienza, di determinazione che sono il necessario completamento di passione e bravura. Gli spettacoli di Riccio spaziano nel tempo, nei luoghi e nelle tematiche affrontate, dall’attualità ai grandi classici della letteratura, dell’opera, del teatro. In H come amore af-

Gli spettacoli di Riccio spaziano nel tempo, nei luoghi e nelle tematiche affrontate, dall’attualità ai grandi classici della letteratura, dell’opera, del teatro.

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fronta il tabù della sessualità per i disabili interpretando Stefanino, un bambino nel corpo di un trentaseienne che gioca con le macchinine ma ha impulsi sessuali come un qualsiasi uomo della sua età. A capire questo suo bisogno è la madre che deciderà di chiamare una “professionista dell’intrattenimento” interpretata da Gaia Nanni. Gaia e Alessandro hanno lavorato insieme per la prima volta nello spettacolo La meccanica dell’amore; lei nei panni del robot Chambermaid 780 che le è valso una candidatura ai premi Ubu, lui in quelli di un anziano solo e testardo che ha bisogno di aiuto. Riccio è un mago della trasformazione: Malagigio è un buffone di corte deforme disposto a tutto pur di far ridere la sua padrona; in Bruna è la notte è una cantante di serie B ormai appesantita e disillusa. In 26 anni di carriera è stato Gabriele D’Annunzio, l’Arcangelo Michele, Brunelleschi, il Re Sole. Ha interpretato testi di Pirandello, Shakespeare, Branagh, Congreve, Tasso, Brecht, Dürrenmatt. Per dieci anni ha realizzato gli spettacoli del Mese Mediceo di Firenze calandosi nei panni più o meno puliti di regine, papi, mecenati e guerrieri della dinastia dei Medici. E poi ci sono i musical e il filone operistico: dal Rocky Horror alla versione teatrale di Gianni Schicchi, per finire in bellezza con l’accompagnamento dell’Orchestra della Toscana nei panni di Don Giovanni. Riccio ha studiato canto lirico e si sente, ma soprattutto è capace di tenere il

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palco da solo, per ore, facendo ridere a crepapelle il pubblico e dando chiavi di lettura interessanti sul famoso latin lover impenitente. Nel corso degli anni ha creato un vero e proprio metodo che gli permette di trasformarsi nei suoi mille personaggi, alterando voce, fisicità, gesti. Partendo dal presupposto che la mente influisce sul corpo tanto quanto il corpo influisce sulla mente, cerca di dare forma visibile al messaggio che vuole trasmettere creando veri e propri manuali di studio del personaggio. Si prepara analizzandone le caratteristiche fisiche (le menomazioni, l’altezza, il peso, l’andatura, la postura) tanto quelle psicologiche (immagini evocative, modelli, rapporto attorepersonaggio). Ma qual è il segreto di questo attore che ha conquistato i teatri fiorentini? Mettersi continuamente alla prova, imparare sempre, educare il pubblico spettacolo dopo spettacolo alla diversità, a non aspettarsi di vedere sempre la stessa storia. Per lui il teatro deve aiutare lo spettatore a riflettere, ad aumentare la sua sensibilità, a riconoscere e superare le proprie difficoltà. Il futuro di Riccio è sicuramente già molto affollato di impegni e potete trovare il calendario dei prossimi spettacoli sul suo sito e sui suoi social. Da qui a fine anno in ordine cronologico Bruna è la notte, Un maestro come me, Ore piccole. Il proposito che anima la sua attività è quello di portare a Firenze attori sempre più bravi coi quali collaborare e noi speriamo che si realizzi presto! •

ENGLISH VERSION>>>> How do you transform reality into another world, where you can be different, better or even worse? Where you can experiment with the lives of others and learn from them? In theatre. We talked about it with Alessandro Riccio: experienced actor, producer, teacher, point of reference in the Florentine theatrical programme. We met him in the location of Tedavi ’98 Theatre Lab: a place that is at the same time a secret theatre, an office, an acting school with a secret garden, a make-up room, the devil’s staircase, a museum full of costumes and shoes. Alessandro started from a very young age to study video making and create short movies but the call of the stage was stronger. He then studied with Bob Marchese and Fiorenza Brogi, who taught him not only acting but above all to respect people, to enjoy to be part of a group and to listen. After important productions with Teatro Stabile del Veneto, he decided to risk and found his own company, Tedavi ’98, thanks to his artistic talent and to his preparation in economy. Alessandro is author, director and actor for many of his plays, he takes care of the casting, the production and the promotion. On top of that he also teaches acting. We don’t know how he can cope with so many activities but we understood that the magic he is able to create on the stage is not a spell, it is the product of a daily effort, experience, study and preparation that match his determination and passion. Riccio’s plays range in time, space and themes, from the actuality to the classics of literature, opera and theatre. In H come amore (H as love) he deals with the taboo of sexuality for disabled. He is a grown-up with the mind of a kid while Gaia Nanni is the “professional” called to fulfill his sexual needs. Gaia and Alessandro worked together for the first time in La meccanica dell’amore (The mechanic of love) and she was shortlisted to Ubu prize for her role in the play. Riccio is a wizard of transformation: in 26 years of career he has been Gabriele D’Annunzio, Archangel Michael, Brunelleschi, the Sun King. He has interpreted plays by Pirandello, Shakespeare, Branagh, Congreve, Tasso, Brecht, Dürrenmatt. For ten years he has realized the shows of the Medici Month and then there are the musicals and the operas: from Rocky Horror to Don Giovanni with music by Orchestra della Toscana. Riccio studied opera singing and is able to entertain the public for hours all by himself. During the years he developed a method to build his characters, changing his voice, body and mimic. Since the mind influences the body in the same way as the body influences the mind, he tries to give visible form to the message he wants to transmit creating a study manual for each character. But which is the secret that allowed him to conquer the Florentine theatres? To challenge himself constantly, continuing to study and trying to educate the public, show after show, with different stories. For him theatre has to help the viewer to think, to heighten his sensibility. Check his website and socials for the full programme of his shows. •

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IL RINASCIMENTO ENERGETICO TARGATO DYNAMO Quando l’estetica danza con la filosofia green e la tecnologia diviene forma magica. Testo di Federica Gerini, Foto Dynamo Energies

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ynamo Energies è il brand nato in Toscana pronto a rivoluzionare il mondo. Grazie a tre semplici parole chiave – indipendenza, sostenibilità, eleganza – questa idea, tutta Made in Italy, crea un’alchimia potente. Fortissima. Che possiamo definire “tecno-magia”. Arthur C. Clarke, padre di Odissea nello spazio, scrisse: «Qualsiasi tecnologia sufficientemente avanzata non è distinguibile dalla magia.» Bene. Proprio seguendo questa linea guida è stata sviluppata l’idea di Dynamo. Un sistema tecnologico con la funzione di creare, immagazzinare e rilasciare energia green al 100%. Semplice da installare e intuitivo da comprendere, costituito da poche micro-regole ci fa vivere l’energia in maniera totalmente immediata e spontanea. Un oggetto dal design ricercato che rimanda a fisionomie primordiali. Una piramide, un dodecaedro, un cubo, un monolite. E se il monolite di Kubrick era protagonista dell’Impartizione dell’intelletto, Dynamo è la perfetta macchina che produce e gestisce energia. Tramite l’utilizzo di fonti rinnovabili e pannelli solari ci è concesso di passare dalla fantascienza alla realtà. A impatto zero, nel rispetto del pianeta. Questo sistema si riferisce sia al mondo domestico che a quello pubblico. Dynamo può - e deve - essere impiegato anche nelle

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nostre città. Ed è così che è nato Green Hub. Tale progetto vuole la creazione di una moderna smart city in cui piramidi e dodecaedri monitorano la qualità dell’aria e al tempo stesso la purificano, generano energia, fungono da illuminazione, offrono il servizio di info point, wi-fi e di ricarica (non solo per i cellulari ma anche per cicli e motocicli elettrici). Un primo esempio è già stato installato a Rapallo, in Liguria – coordinate 44°21'N 9°14'E. Il progetto ha preso vita grazie alla collaborazione di Ferrovie dello Stato con Sirti e Verde21 – che ha ideato e sviluppato l’idea Dynamo fino a renderla tangibile. Nella cittadina ligure è stato così sperimentato il primo innovativo Green Hub in una stazione ferroviaria. La riqualificazione e la riprogettazione di uno spazio pubblico tramite il sistema Dynamo, per migliorare la user experience di chi vive quel luogo. Che siano cittadini o turisti, tutti beneficiano della tecnologia di D8 PIRAMIDE. Qui è nato il nuovo archetipo di Agorà. Ma questo è solo un piccolo trampolino di lancio. Costellata di altri mille progetti futuri, Dynamo Energies, vuole essere la porta di accesso verso una nuova era. Uno Stargate. Un Rinascimento energetico dove alla base troviamo lo sviluppo di nuove configurazioni di bellezza declinate alla scienza. Una piattaforma indipendente che utilizza solo forme di energia pura. Acqua, aria, sole e vento. Elementi naturali prestati alla tecnologia. Un incontro tra amuleti magici e pannelli fotovoltaici. •

Un sistema tecnologico con la funzione di creare, immagazzinare e rilasciare energia green al 100%.

ENGLISH VERSION>>>> Dynamo Energies is the Tuscan brand that will revolutionize the world thanks to three simple key words: independency, sustainability, elegance. This Made-in-Italy’s idea creates a strong alchemy that we can define “techno-magic”. Arthur C. Clarke, father of A Space Odissey, wrote: «Any sufficiently advanced technology is indistinguishable from magic.» Following this guideline Dynamo developed his idea. A technological system that is capable of creating, storing and releasing 100% of green energy in a simple object of design: a pyramid, a cube, a monolith. Like Kubrick’s monolith, Dynamo is the perfect machine that produces and manages energy through solar panels and renewable sources, with zero impact on the planet – both on the domestic and public world. So Green Hub it’s a project that wants to create a modern smart city in which pyramids and polyhedrons monitor the quality of the air and at the same time purify it, they generate energy, light the city and are info, wi-fi and recharge points. The first example is already installed in Rapallo thanks to the collaboration with Ferrovie dello Stato, Sirti and Verde21. This is just the beginning: Dynamo Energies has got thousands new projects for the future. It wants to become a Stargate for a new era. An energetic Renaissance in which beauty is declined by science. •

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ful mostre

LA BOTANICA DI LEONARDO Gli studi sulla botanica di Leonardo da Vinci in mostra fino al 15 dicembre nel Complesso Monumentale di Santa Maria Novella. Testo di Miriam Belpanno, Foto di La Botanica di Leonardo

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hiunque abbia letto il libro Il giardino segreto di Burnett, non può non aver immaginato un cancello di rovi che si apre verso un luogo incantato, ricco di fiori e piante, che dà l’idea di qualcosa di mistico, etereo, come se fosse il Giardino dell’Eden. Così come in quell’immagine, la mostra La Botanica di Leonardo, sembra trasportarci in un mondo primitivo e prosaico in cui vivono alchimisti con le loro pozioni, i primi farmacisti medievali, o i primi umanisti che cercano di capire l’essenza delle cose, la natura e l’uomo. Ma soprattutto, portando alla luce i grandi e poco conosciuti studi di Leonardo da Vinci sulla botanica, sugli alberi, la vegetazione e l’acqua. L’apertura della mostra nel maestoso Chiostro Grande della Basilica di Santa Maria Novella con i cinque monumentali poliedri regolari (disegnati da Leonardo per compendio al De Divina Proportione di Luca Pacioli) espone innanzitutto la ricerca di Leonardo nella relazione tra uomo ed ecosistema, universo e una forma divina. Una questione attuale anche oggi, nella consapevolezza di voler riconoscere che siamo tutti elementi collegati in un unico meccanismo e che la vita, di qualsiasi forma essa sia, non è fine a se stessa. Un meccanismo che si ripropone all’interno del percorso che prosegue nel Dormitorio, articolandosi come un “organismo vegetale” con enormi pannelli a led e installazioni multimediali, che offre la possibilità di apprezzare in forma scenografica l’opera leonardiana – i suoi disegni, i suoi dipinti, i suoi scritti – e di vivere in chiave interattiva alcune delle sue importanti intuizioni nel campo della botanica. Ed ecco qui gli studi sulla dendrocronologia, lo studio sugli anelli degli alberi di cui Leonardo fu il primo a sostenere che ne indicassero l’età; quelli sul fototropismo o sul geotropismo che espongono come la natura si adatti all’ambiente; le regole della fillotassi e la teoria della costanza dei flussi all’interno di un albero, fino al progetto mai costruito di un macchinario che avrebbe consentito la depurazione dell’acqua, anche oggi elemento di analisi e studio.

Siamo tutti parte di un unico meccanismo.

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Proseguendo poi con l’anatomia vegetale, in cui Leonardo è riuscito a cogliere i dettagli più minuti di un fiore, di un ramo o di una foglia proposti in maniera virtuale. Il percorso è sempre scandito da tre preziosi fogli originali del Codice Atlantico della Veneranda Biblioteca Ambrosiana (f. 197v, f. 663r, f. 713r), e che pur sempre ne dimostrano il genio partendo dal suo modo di scrivere, di riflettere e di dimostrare. Infine, un’installazione rivisitata dell’uomo vitruviano, che non siamo altro che noi, uomini del futuro, che anche se dimentichiamo la grande connessione tra noi e ciò che ci circonda, ne facciamo parte. •

ENGLISH VERSION>>>> Whomever read Burnett’s The secret garden, cannot but have imagined a fence made of blackberry bush that opens onto a magic place, full of flowers and plants, something heavenly, mystical, like a sort of Garden of Eden. Like this evocative image, the exhibition La Botanica di Leonardo (the Botanic of Leonardo) seems able to take us to a primitive world in which there are alchemists, medieval chemists, or the first humanists who are trying to decipher the essence of things, of nature and man. But is above all, a study of the less known works of Leonardo da Vinci on botanic, trees, vegetation and water. The exhibition is held in the wonderful Chiostro Grande of Basilica di Santa Maria Novella with the five monumental polyhedrons (designed by Leonardo as a complement to the De Divina Proportione by Luca Pacioli) and centres mainly on the relationship between the man and his ecosystem, the universe and the divine. An actual topic, as we should be aware that we are all connected by the same mechanisms. The itinerary goes on in the Dormitorio and unfolds like a “vegetal organism”, with gigantic led panels and multimedia installations. The studies on dendrochronology, tree rings, phototropism and geotropism; the laws of phyllotaxis and the project – never built – of a machine to purify water. The original folios of Codice Atlantico from Veneranda Biblioteca Ambrosiana (f. 197v, f. 663r, f. 713r) are also part of the exhibition and show Leonardo’s genius starting from his writing, thinking and way of proving theories. •

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STAGIONE TEATRALE 2019/2020 LUCCA COMICS & GAMES e TEATRI D’IMBARCO IN COLLABORAZIONE CON BAO PUBLISHING PRESENTANO

TRATTO DALL’OPERA OMONIMA DI

ZEROCALCARE CON (IN ORDINE ALFABETICO)

MASSIMILIANO ACETI, LUIGI BIAVA, FABIO CAVALIERI, FRANCESCO GIORDANO, CARLOTTA MANGIONE ALESSANDRO MARMORINI, DAVIDE PACIOLLA, LORENZO PARROTTO, CRISTINA POCCARDI, MARCELLO SBIGOLI E I GIOVANI ATTORI DELLA COMPAGNIA TEATRI D’IMBARCO MUSICHE ORIGINALI MIRKO FABBRESCHI – VIDEO DESIGN COSIMO LORENZO PANCINI - ASSISTENTE ALLA REGIA CRISTINA MUGNAINI – MASCHERE LAURA BERTELLONI LUCI GIOVANNI MONZITTA - FONICA ALICE MOLLICA - COSTUMI CRISTIAN GARBO - CONSULENZA ARTISTICA - VLADIMIRO D’AGOSTINO DISTRIBUZIONE ANTONELLA MORETTI - ORGANIZZAZIONE CRISTIAN PALMI DIREZIONE ARTISTICA BEATRICE VISIBELLI GRAPHIC NOVEL THEATRE È UN PROGETTO DI

LUCCA CREA A CURA DI CRISTINA POCCARDI E NICOLA ZAVAGLI

ADATTAMENTO E REGIA

NICOLA ZAVAGLI

moni ovadia

dio ride nish koshe di e con moni ovadia con le musiche dal vivo della moni ovadia stage orchestra maurizio dehò, luca garlaschelli, albert florian mihai, paolo rocca, marian serban regia moni ovadia

luci cesare agoni, sergio martinelli scene, costumi ed elaborazione immagini elisa savi progetto audio mauro pagiaro produzione ctb centro teatrale bresciano, corvino produzioni

direttore tecnico cesare agoni, direttore di scena e macchinista nicola pighetti, capo elettricista sergio martinelli, fonico mauro pagiaro, tecnico video giacomo brambilla, scene realizzate nel laboratorio del ctb centro teatrale bresciano, responsabile della costruzione oscar valter vettore, scenografa realizzatrice rossella zucchi, fornitura costumi atelier brancato, ufficio stampa ctb véronica verzeletti, ufficio comunicazione ctb sabrina oriani, ufficio stampa e comunicazione corvino produzioni susanna berti, foto di scena umberto favretto

22 - 23 novembre ore 21.00

28 novembre ore 21.00

29 - 30 novembre ore 21.00

1 dicembre ore 21.00

FATTORE

5 dicembre ore 21.00

6 dicembre ore 21.00 7 dicembre ore 18.30 8 dicembre ore 16.45

10 dicembre ore 21.00

13 - 14 dicembre ore 21.00

30 dicembre ore 21.00 31 dicembre ore 22.00 2 gennaio ore 21.00

4 gennaio ore 21.00 5-6 gennaio ore 16.45

silhouette di Pinocchio di Leo Mattioli

12 dicembre ore 21.00

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ful moda

EMILIO CAVALLINI: INTERVISTA A UN’ICONA L’uomo che ha reinventato la moda ci ha raccontato come tutto è nato, di Mary Quant, delle sfilate, dei suoi pensieri di oggi e di dove desiderava essere da sempre. Testo di Federica Gerini, Foto di Emilio Cavallini

E

milio Cavallini, San Miniato, classe 1945. Dio della moda e grande artista. Poco più che ventenne si trasferisce nella pulsante Swinging London, dove incontra Sua Maestà la Regina Mary Quant. Oltre a collaborare con lei, sono molte le case di moda con cui lavora. Dior, Céline, Balenciaga, Gucci, fino ad arrivare ad Alexander McQueen per citarne alcuni. Negli anni ’80 nasce il suo brand, un twist di bianco e nero, di pois e di arte. Tantissima arte. Quell’arte che oggi è ancora – e soprattutto – al centro del suo universo. Partiamo dal principio, se dovessi pensare alla scintilla che ha dato il via a tutto il tuo lavoro: quale sarebbe? Perché da studente di Economia sei andato a Londra? Come è nato Emilio Cavallini, il marchio? Le mie vacanze preferite da quando avevo 15 anni erano a Londra. Sia per imparare l’inglese, sia per visitare musei, sia per le grandi novità che trovavo nel comperare abiti a poco prezzo in Carnaby Street che nella musica. La mia passione per la moda mi portò nello studio Boutique di Mary Quant. Facevo l’ultimo anno di Economia e per pagarmi gli studi lavoravo part-time in un calzificio. Quando venni a conoscenza che a Mary Quant serviva un produttore di calze – anzi in giro le calze autoreggenti erano già sostituite da calze collant – mi presentai e mi presi l’impegno di far produrre all’azienda in cui lavoravo le prime collant spesse e colorate. Non fu facile perché l’azienda non credeva nei collant ma ben presto mi dette la possibilità di aprire in società STILNOVO, per produrre solo collant spessi e a fantasia. Avevo già prodotto collant a righe e a stelle. Le calze devono essere un accessorio per la moda, per cui iniziai a seguire tutte le sfilate e a progettare calze di conseguenza. Nacquero le calze a pois, quelle di pizzo senza cucitura dietro e poi quelle a rete. Un successo mondiale a cui si aggiunsero le calze da uomo, le prime con interno in lycra perché stessero sempre in alto. Le tue non sono state mai delle semplici calze. Sono state – e sono tutt’ora – delle avanguardie. Da dove hai tratto ispirazione? Nel 1970 oltre a produrre per Mary Quant, Dior, Valentino e altri, cominciai col mio marchio Emilio Cavallini a fare una vera e propria collezione proveniente dal mio intuito. Appassionato di

Negli anni ’80 nasce il suo brand, un twist di bianco e nero, di pois e di arte. Tantissima arte.

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arte – da quella della Grecia classica a quella contemporanea di Manzoni e Fontana – traevo sempre ispirazione dall’arte. Il genio di Emilio Cavallini è arrivato immediatamente ad avere un successo planetario e insieme alla fama sono giunti anche riconoscimenti e onorificenze. Come è stato incontrare due Presidenti della Repubblica e ricevere il Leone d’oro a Venezia per la moda? A quale ricordo sei più affezionato? Non sono mai stato alla ricerca di premi, sono venuti e basta. Non ho ricordi particolari. Ormai giravo il mondo, abitavo a New York, potevo esprimermi non solo con la moda. Anche se dagli anni ’70 ho iniziato vere e proprie collezioni di moda con sfilate a Milano e Parigi, l’arte era la mia vera passione. Era lì dove volevo arrivare. E la moda di oggi, come la interpreti? Piena di estro creativo? Oppure volta al passato, dove conta più il lavoro di archivio che presentare delle novità? La moda delle calze oggi non esiste. Si rinnovano disegni del passato, un anno le reti, un anno i pizzi, un anno le righe ecc... Dal 2010 ti occupi totalmente d’arte e nel 2011 la Triennale di Milano ti ha dedicato una retrospettiva. Se dovessi esprimere il tuo concetto e la tua visione artistica con tre parole, quali sarebbero? L’arte per me in tre parole: «espressione dell’animo». I tuoi lavori mi ricordano i labirinti di Escher e le visioni di Piranesi, con un tocco di Ettore Sottsass e un po’ di Enrico Castellani. Personalmente, invece tu, a quale corrente artistica ti senti più vicino? La mia corrente è un prolungamento del costruttivismo astratto di László Moholy-Nagy, di Malevič e del suprematismo, di Albers. Dove possiamo ammirare le tue opere? Ho uno studio a New York e uno a San Miniato, forniti di oltre 600 opere. Poi ci sono le gallerie che mi rappresentano: Opera Gallery Paris, GR Gallery New York e Valmore Vicenza. Ultima domanda – un po’ leggera. Colore preferito? Colore preferito… Varia da stagione a stagione, dal bianco/nero al blu cobalto, dal rosso al verde. In questo momento: turchese o ciano, il colore della luce. •

ENGLISH VERSION>>>> Emilio Cavallini, San Miniato, class of 1945. Fashion god and great artist. At twenty he moved to London, where he met Her Majesty the Queen Mary Quant. He worked with her and many others: Dior, Céline, Balenciaga, Gucci, up to Alexander McQueen. In the ’80s he created his own brand, a twist of black and white, pois and art. A lot of art. The same art that is still at the centre of his universe. Let’s start from the beginning, if you had to think to the sparkle that started all your work: which would have been? Why did you move to London and how did you start your own the brand? Since I was 15 my favourite holidays were in London. To study English, visit museums, buy clothes in Carnaby Street and for the music. The passion for fashion lead me to the Boutique of Mary Quant. I was studying Economy and to pay the school I was working part-time in a hosiery factory. When I discovered that Mary Quant was looking for a hosiery manufacturer I turned up and I committed to produce the first thick and coloured stockings in the factory where I was. It was not easy because the factory didn’t believe in stockings but soon I was able to open another factory. I had already produced stockings with stripes and with stars. They have to be a fashionable accessory, so I started to follow all the runaway shows and the pois stockings were born, afterwards the ones in lace without seams and finally the fishnet ones. Yours were never simple stockings. They were – and are – avanguard. Where did you get inspiration? In 1970 on top of Mary Quant, Dior, Valentino and others I started my brand and my own collection. I am passionate about art – from antic Greece to

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Manzoni and Fontana – and I draw inspiration from art. The genius of Emilio Cavallini arrived immediately to success and gathered many prizes. How was to meet two Presidents of the Republic and receive the Leone d’Oro for fashion in Venice? I’ve never been interested in prizes, they just arrived. I don’t have particular memories. How do you see fashion today? Full of creativity or looking back to the past? Today stockings’ fashion doesn’t exist. It’s all about brushing up the designs of the past. Since 2010 you are involved in art and in 2011 Triennale di Milano dedicated a retrospective to you. What is art for you in three words? It’s an «expression of soul». Your works remind me of Escher’s labyrinths and Piranesi’s visions, with a touch Ettore Sottsass and Enrico Castellani. What is the artistic current you feel closer? The abstract constructivism of László Moholy-Nagy, of Malevič and the suprematism, of Albers. Where can we admire your works? I have two studies: one in New York and one in San Miniato. And then in Opera Gallery Paris, GR Gallery New York and Valmore Vicenza. Last question – on a lighter tone. What’s your favourite colour? It changes with the season, from white/black to cobalt blue, red or green. In this moment is turquoise, the colour of light. •


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ful gusto

LO CHEF SIMONE GORI ATTERRA A PERETOLA E DELIZIA FIRENZE CON IL VENTUNO BISTROT! Prendete carta e penna e segnate il nome di questo ristorante per la prossima cena con la quale vorrete sorprendere qualcuno. Testo di Marco Provinciali, Foto di Alessio Li

G

iovane ma navigato, Simone Gori è uno chef con un’idea di cucina e di ristorazione ben chiara. Dopo varie stagioni passate nel nord Italia alla corte di ristoranti stellati e, una mezza annata sabbatica da dedicare alle sue passioni (è riuscito a terminare la scorsa Maratona di Firenze), era giunta l’ora di tornare alla base, in Toscana (lui è di Prato), per aprire un ristorante finalmente suo. L’ambizione di una vita, il sogno di molti, lo spazio giusto cercato non nella giungla del centro bensì nel cuore della periferia fiorentina.

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Il Ventuno Bistrot si trova, infatti, in via de’ Vespucci 21, una via tranquilla con case basse e piccoli giardini che si imbocca all’incrocio tra il traffico di via Baracca e quello di via Pistoiese. Il ristorante vi colpirà per l’arredamento classico ma moderno, con uno stile che strizza l’occhio al nord Europa e una cucina che invece vuole mixare le ricette della tradizione a twist di sapori talvolta esotici ma ben calibrati. Come avrete capito il 21 è un numero importante per il Bistrot di Simone, infatti ogni 21 del mese, complice un’attenzione particolare alla stagionalità dei prodotti, il ristorante cambia le sue portate che,


esclusi i dolci, sono sempre 12. Piatti che una volta seduti al tavolo vi saranno serviti e raccontati dallo stesso chef (o dai suoi fedeli collaboratori), che sa benissimo quanto al cliente facciano piacere certe attenzioni. Qui nel menù il peposo non lo troverete come secondo, bensì come ripieno di fantastici e succulenti ravioli mentre se cercate la fiorentina siete nel posto sbagliato, perché la cucina di Simone tende a valorizzare tagli di carne meno famosi ma altrettanto buoni. Vi potrà capitare di trovare in carta una morbidissima rosticciana (di cui probabilmente chiederete il bis) che al retrogusto dell’affumicato (viene cotta in un bellissimo forno a legna dove cuociono ogni giorno il proprio pane) abbina una salsa thailandese a immancabili ingredienti toscani come l’aglio e il rosmarino. Potrete provare anche la vostra amata tartare qui arricchita da arachidi e da un tuorlo d’uovo precedentemente affumicato che vi lascerà un piacevolissimo sapore in bocca. Interessante e convincente è anche la carta del bere che, finalmente, dà attenzione alle birre artigianali (toscane e nazionali) con le quali, come giustamente ricorda lo chef, è talvolta più divertente giocare nei contrasti di sapore. La mano dello chef Simone Gori è la mano leggera di chi ha lavorato per anni in cucine stellate e i piatti sono tutti ben calibrati così come giusti e, a portata di portafogli, sono i prezzi decisamente contenuti rispetto alla grande qualità delle pietanze servite. Insomma di prendere carta e penna e di segnare il nome del ristorante ve lo abbiamo già detto all’inizio dell’articolo, adesso dovrete solo googlare per trovare il numero del ristorante e prenotare. •

Ogni 21 del mese, il ristorante cambia le sue portate che, esclusi i dolci, sono sempre 12

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ENGLISH VERSION>>>> Young but experienced, Simone Gori is a chef with a clear idea of fine dining. After some seasons in the starred restaurants of the North of Italy and a sabbatical (to run the marathon), he opened his own restaurant just outside Florence. Ventuno Bistrot is located in via de’ Vespucci 21, a quiet street with small houses and little gardens. The interior design is classic but modern, with a style that looks up North to Scandinavia and a cuisine that aims to mix tradition and exoticism. Every 21st of the month, Simone changes the menu according to the season and there are always 12 dishes (dessert excluded). The chef himself will come to the table to present you the courses. In his menu, peposo is not a second course, but a filling for his succulent raviolis, while if you want a fiorentina you’re definitely in the wrong place, because Simone’s kitchen values less famous cuts of meat. You can find a tender rosticciana served with a thai sauce, rosemary and garlic while the tartare comes with peanuts and smoked egg yolk. In the drinking menu, an interesting selection of artisanal beers. Chef Simone Gori’s hand is light and all his dishes are well balanced, as the bill. The prices are contained for the great quality of the food. So what are you waiting? Hurry up and book a table.•

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ful natura

I LOVE TREKKING: SAN QUIRICO D’ORCIA FRA CIPRESSI E SAPORI Situata nel cuore della campagna toscana, la Val d’Orcia accoglie borghi e paesaggi celebrati da pittori e fotografi di tutto il mondo. Pennello o fotocamera alla mano che sia, l’importante è avere ai piedi un paio di scarpe outdoor per godersi al meglio questo territorio incredibile, soprattutto il suo fiore all’occhiello: San Quirico d’Orcia e i suoi dintorni. Testo e foto di Benedetta Perissi

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vete presente quella foto con la chiesetta, i cipressi tutt’attorno e le colline? Sì, quelle colline, quelle che hanno reso la Toscana famosa nel mondo, quelle a cui pensano i tedeschi o affini quando ti fermano in via dei Cerretani per chiederti qualche consiglio su dove mangiare e dove andare per una giornata fuori Firenze, alla scoperta della campagna toscana. Linee sinuose si perdono in un mare verde o dorato a seconda della stagione, un flusso che si interrompe solo per qualche ottima pausa-gusto e la risposta più spontanea che ti viene in mente è: andate in Val d’Orcia! A San Quirico d’Orcia, suggerirei, per la precisione. Posto in cima a un colle, il piccolo quanto ameno borgo di San Quirico d’Orcia sovrasta senza dominare la vallata circostante offrendo panorami mozzafiato. Fluidamente inserito nei movimenti ondulatori delle colline, come anche gli altri due famosi borghi della Val d’Orcia, Montalcino e Pienza, può essere ritenuto il fulcro ideale per esplorare con tutti e cinque i sensi questo territorio a sud delle mura di Siena e che si estende fino al confine laziale. Il borgo è antichissimo, pare che affondi le sue radici in epoca etrusca, e l’impatto attuale è medievale, come anche il periodo del suo principale sviluppo: si trovava sul tracciato dell’antica Via Francigena, l’itinerario che dal Nord Europa conduceva a Roma, percorso soprattutto nel Medioevo da pellegrini, viandanti e commercianti. Tutt’oggi è tappa, fra l’altro una delle più belle in Toscana, dell’odierna Via Francigena, resa nuovamente fruibile per scopi sempre religiosi, storici ma soprattutto escursionistici. Una posizione strategica che permise ad arte e architettura di fiorire all’interno delle sue mura, con esempi che sublimano gli occhi del va-

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gabondo di turno, come la Collegiata dei Santi Quirico e Giulitta e gli Horti Leonini. Le papille del vagabondo invece vengono sublimate dai numerosi ristorantini che costellano il borgo e che mettono in tavola i sapori autentici del territorio accompagnati da un ottimo bicchiere di vino, giusto per non disattendere le aspettative che qualsiasi essere umano formula quando pensa al fuoriporta toscano. Arte, storia, gastronomia, ma è la natura il piatto forte di San Quirico d’Orcia, una natura particolare, dove la mano dell’uomo ha lavorato con sapienza e rispetto, regalando un paesaggio unico al mondo e raro caso di collaborazione armonica tra uomo e natura. Il tutto, giustamente, tutelato dal Parco Artistico Naturale e Culturale della Val d’Orcia e inserito dall’Unesco nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Un territorio solcato da numerose strade bianche e sentieri che tra campi coltivati, vigneti e boschetti, conducono il vagabondo fiorentino e non, a estasiarsi a ogni passo e ad interrompere l’andatura per tirar fuori la fotocamera e immortalare quel paesaggio, che sembra uscito dal pennello di un pittore e rievoca pensieri degni di uno scrittore. “Questa valle… dove verdeggia di annose e foltissime boscaglie cosparse di selci, di asce di pietra e di bronzo, fa testimonianza del primo passo della vita umana; dove serva spezzati gli archi di un ponte, ricorda la forza di Roma; nei castelli serba la potenza feudale, nelle pievi quella religiosa, nelle “grancie” quella ospitaliera, dappertutto quella della natura e degli elementi, dall’urto del vento che stroncò le cime dei faggi, allo scroscio dell’acqua che travolse il villaggio…” Fabio Bargagli Petrucci Vi ricordate la famosa chiesetta con i cipressi di inizio articolo, la Cappella della Madonna di Vitaleta? Oltre che in foto, si può ammirare dal vivo, nella campagna a due passi dal borgo. Anzi, meriterebbe più di due passi, un giro alla scoperta della Val d’Orcia, proprio un giro, completo, un bell’anello che parte da San Quirico e ritorna a San Quirico, passando per Vitaleta e fra le colline più suggestive al mondo. A piedi ovviamente, il modo migliore per godersi il borgo e i suoi dintorni, in una facile escursione adatta a tutti, dato il pochissimo dislivello in salita. Una giornata di trekking e colline da terminare in bellezza con una lauta merenda e un buon bicchiere di vino in mano, circondati da un paesaggio incomparabile e amato da pittori e fotografi di ogni epoca; una giornata per capire cosa rispondere con esattezza ed entusiasmo al prossimo tedesco sperduto. •

ENGLISH VERSION>>>> Do you remember that picture with the small church, the cypresses and the hills? Yes, those are the hills that made Tuscany famous all over the world. The winding lines of the green or golden see (according to the season) of Val d’Orcia. San Quirico d’Orcia is a small village at the top of a hill that overlooks the valley below offering a breathtaking view. It is, together with Montalcino and Pienza, the ideal centre from which start exploring with all your senses the land south of Siena. The hamlet is very ancient, his roots date back to the Etruscan times but the actual buildings are mainly medieval. It is set on the itinerary of Via Francigena, walked by pilgrims, wayfarers and merchants going from North Europe to Rome. A strategic position that allowed art and architecture to flourish inside his walls, with examples such Collegiata and Horti Leonini. There are also many little restaurants where you can eat traditional local dishes and wine. Art, history, food, but it’s nature the strength of San Quirico d’Orcia, a particular nature, where the hand of man worked with great skill and respect. Between the fields, the vineyards and woods there are many gravel roads and hiking path. Now it is protected by the Natural Parc of Val d’Orcia and Unesco. So the famous little church with the cypresses that I was telling you about at the beginning is called Cappella della Madonna di Vitaleta and you can visit it. It’s just a few steps away from the village. To discover Val d’Orcia you can actually walk making a ring that starts and finish in San Quirico, passing through Vitaleta and the most evocative hills in the world.•

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ful architettura

ARCHITETTURA PER IMMAGINI per immaginare lʼarchitettura a cura dellʼOrdine e della Fondazione degli Architetti PPC della provincia di Firenze www.architettifirenze.it

spazi sospesi

I dintorni di Piazza Vittorio Veneto. Settembre 2019. Bianca Ingino. «Mi piace questa natura fuori controllo e l’acqua ferma con il riflesso degli alberi, il muschio e le edere che corrono sul muro in mattoni, il cerchio nero profondo del tunnel. Poi c’è questo muro alto in corten che separa l’imperfezione degli spazi cittadini dimenticati dalla perfezione del nuovo parco della musica, con l’erba perfettamente tagliata e le nette geometrie del teatro.»

Spazi Sospesi ha l’obiettivo di indagare aree irrisolte di Firenze. Piazzale Vittorio Veneto, Viale Tanini, Piazza Luigi Dalla Piccola e l’esedra della palazzina reale sono i luoghi dimenticati che stiamo studiando in workshop periodici. Vi invitiamo quindi a passeggiare in questi posti, ma anche in altri da voi individuati con le stesse caratteristiche, e a osservarli per capire cosa dell’esistente è così bello da poter essere salvato tanto da divenire il punto di partenza della rinascita di un luogo. L’architettura non è fatta solo di progetto, ma anche di comprensione e valorizzazione dell’esistente. Mandaci la tua fotografia partecipando alla call “spazi sospesi” www.architettifirenze.it/2019/09/20/spazi-sospesi-call-fotografica

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generazione slasher

TOMMASO LANZA FB: @TommasoLanza | IG: @tommasolanzaartworks | IG: @oranoneilmomento

Tommaso Lanza, 28 anni, vive a Firenze dalla nascita. Slasher decennale, appassionato di fumetti, insieme al suo collega Edoardo Ciarpaglino ha dato vita a “Ora non è il momento”: un progetto che vuole raccontare la città di Firenze e la realtà che ci circonda in versione fumetto. Le loro strisce stanno avendo già un importante successo. Tommaso è dunque uno “slasher” che “ce la sta facendo”.

Qual è la tua barra? Ricambista/insegno fumetti/costruisco sculture in filo di alluminio/realizzo fumetti per il progetto “Ora non è il momento”. La tua giornata tipo? Sveglia alle 7, lavoro ai ricambi auto fino alle 12.30. In pausa pranzo disegno per il progetto di fumetti. Rientro alle 14.30 e alle 17.00, il martedì e il giovedì, insegno a scuola. Alle 19.00 torno a casa e mi dedico nuovamente ai fumetti. Tendenzialmente sfrutto i weekend al massimo per esporre le mie opere in filo e poi si riparte… Obiettivi per il futuro? Prendermi del tempo per dedicarmi al progetto iniziato con Edoardo Ciarpaglini. Tramite i fumetti noi parliamo di tante cose, e soprattutto della realtà: problemi riguardanti la città di Firenze, tematiche sociali, ma anche filosofia e questioni esistenziali. Come vivi il fatto di non avere tempo? Sono una persona che tendenzialmente inizia centinaia di cose e non ne conclude mezza. Mi tormento, perdo la lucidità, l’attenzione e non faccio più nulla. Ora la vivo bene e sono abbastanza ottimista perché vedo dei risultati. Prima mi deprimevo parecchio e cercavo di svagarmi per non pensarci. Uscivo, facevo chiasso con gli amici. Per indole ero portato ad abbandonare tutto, ma con l’aiuto di Edoardo adesso riesco a concentrarmi di più e a credere in quello che voglio fare. Allo stesso tempo, questa vita mi porta a demoralizzarmi. Ma è proprio il non accettare questo sentimento che mi dà la forza di sfruttare al meglio il poco tempo libero che ho – come la

pausa pranzo, o un’ora la sera – disegnando. Con l’Ipad pagato vendendo autoricambi, ovviamente. Soffri d’ansia? Raggiunta l’età adulta penso che sia normale sentire l’ansia dell’incertezza. La mia è più ansia che depressione. Se penso a cinque anni fa, mi dicevo: “Col cazzo che aiuto babbo con i ricambi. Piuttosto, una volta che tocca a me, vendo tutto”. Eppure adesso lo faccio. Ho lavorato per anni come cameriere, lavapiatti, in contesti in cui non venivo retribuito e mi succhiavano l’anima. Ogni anno mi venivano fatte promesse di promozioni che puntualmente non venivano mantenute. Tutto questo può farti stare male. Ma se non ti arrendi e se ti piace quello che fai, continui per la tua strada e pian piano le cose sembrano avere un senso. Come ti vedi fra dieci anni? Tra dieci anni vorrei formare una famiglia e dare ai miei figli le stesse opportunità e gli stessi insegnamenti che ho ricevuto dai miei genitori: ho imparato a creare, a non mollare. I miei genitori sono stati – e sono – una grande spinta per me. Mia madre mi diceva: “Che combini a 30 anni? Fai lezioni di fumetto e il cameriere la sera!”. Eppure, allo stesso tempo, mi spronava. Se hai persone che credono in te e ti supportano, ti senti più motivato e pensi di potercela fare davvero. Cosa ti rende diverso dagli altri, qual è la tua “marcia in più”? La passione. Che mi porta a mettermi sotto a disegnare anche se sono stanco la sera. La passione mi dà quella scossa che accelera la mia creatività e mi fa credere in quello che faccio. •

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ful pagina dell'artista

per il numero XL è a cura di

GABRIELE PROVENZANO IG: gabriele__prov_ | gabriprox@gmail.com

“Ricordi taglienti” - Incisione su zinco, acquatinta e tecnica personale Sono un grafico d’arte e artista, ho scelto Firenze per il mio percorso di ricerca e sperimentazione. Nel bene e nel male la concretezza della condizione umana è il mio campo di indagine, e per esprimerla uso qualsiasi mezzo che stimoli la mia curiosità, dalla fotografia all’incisione. Nei miei lavori la stratificazione di segni, linee, volumi, grovigli apparentemente casuali tendono alla “ricerca” di una resa materica e onirica, che sia essa il frutto di un’improvvisa gestualità o la percezione lucida della realtà sociale. I am an art graphic and artist, I chose Florence for my research and sperimentation journey. In good and bad the reality of the human condition is my field of exploration, and to express it I use any means that stimulates my curiosity, from photography to engraving. In my works the stratification of signs, lines, volumes, apparently casual tangles aim to give back a matter and oniric result, that is both the fruit of a sudden gesture or a lucid perception of the social reality.•

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