FUL | Firenze Urban Lifestyle #38

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GENERAZIONE SLASHER società

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Ci sono cambiamenti che uno attende per molto tempo, investimenti sul futuro che si riscuotono improvvisamente dopo una lunga, imprevedibile, attesa. E per quanto tu pensi di essere preparato, quando arriva il momento, l’onda d’urto dell’impatto emotivo è tale da farti vacillare. Non importa quanto hai lottato per la nuova casa, per la promozione, per la separazione: il cambiamento ora incombe, la tempesta va affrontata, non è più un nuvolone minaccioso all’orizzonte. Però, si sa, dopo il temporale il cielo torna sereno, quindi... vento in poppa! Time may change me But I can’t trace time Changes, David Bowie

La creatività non conosce confini: fotografia, moda, danza, musica, design, viaggi, letteratura, cinema, teatro, natura... qual è la vostra musa? Contattateci per proporre collaborazioni, articoli, eventi. Like us on Facebook. Tweet us. Follow us. Read us. Love us. www.firenzeurbanlifestyle.com FB: ful.magazine IG: ful_magazine Twitter: ful_magazine

ANGELO ZINNA viaggi

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ARCHITETTURA AI TEMPI DI INSTAGRAM design

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MASSIMO VITALI fotografia

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INTERVISTA A SIMONE INNOCENTI libri

Annalisa Lottini

AVETE QUALCOSA DA RACCONTARE?

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Aut. del Tribunale di Firenze n. 5838 del 9 Maggio 2011 Direttore responsabile Riccardo Basile Proprietario FMP Editore e realizzazione grafica Ilaria Marchi

Ideazione Marco Provinciali e Ilaria Marchi Coordinamento editoriale Annalisa Lottini Se sei interessato all’acquisto di uno spazio pubblicitario: marco@firenzeurbanlifestyle.com tel. 392 08 57 675 Se vuoi comunicare con noi ci puoi scrivere ai seguenti indirizzi: ufficiostampa@firenzeurbanlifestyle.com redazione@firenzeurbanlifestyle.com commerciale@firenzeurbanlifestyle.com Copertina: Rmogrl8120 Titolo: Linea rossa Tecnica mista su legno 56x61cm - 2018

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FLORENCE FACTORY artigianato

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BRANDO CHIESA tattoo

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SPAM arte

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TREKKING GIGLIO natura

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SPAZI SOSPESI architettura

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GINEH pagina dell'artista

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ful società

GENERAZIONE SLASHER: QUAL E LA TUA “BARRA”? Nasce Generazione Slasher, la rubrica che vuole dare voce agli slasher che vivono a Firenze, il cui problema non è come vivere, ma come sopravvivere, inventandosi sempre qualcosa di nuovo pur di non restare con l’acqua alla gola. Testo e foto di Miriam Belpanno

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ll’undicesimo minuto del film romantico sentimentale One Day, la protagonista Emma, che fa la cameriera in un locale messicano, chiede a un suo collega: «Qual è la tua barra?». Immobile, lui non comprende la domanda. Così lei replica: «Cameriere/cantante, cameriere/infermiere, cameriere/insegnante. Qual è la tua?». Sostanzialmente, dietro la domanda di Emma si nasconde una grande verità: una verità chiamata “Generazione Slasher”, ovvero, una generazione di ragazzi tra i 18 e i 30 anni che svolge diversi lavori o fa diverse cose per vivere, impegnandosi allo stesso tempo nella realizzazione dei propri sogni. Una generazione in cui la disoccupazione è diventata un fatto certo, più certo della morte. Il termine che Emma usa proviene dalla traduzione dall’inglese del segno “slash” (“/”), per l’appunto “barra”. In Inghilterra, il nome “slasher” viene usato già dal 2008 per indicare quel tipo di persone che combinano più ruoli occupazionali. Venne coniato da Marci Alboher con la pubblicazione del suo libro One person/Multiple careers (2007), in cui tratta argomenti riguardanti il mondo del lavoro e di chi è un X/Y/Z. In Inghilterra, come negli USA, il fenomeno slasher è già abbastanza conosciuto. Secondo le statistiche americane SME (Subject Matter Expert), circa il 30% dei giovani lavoratori sotto i 30 anni ha almeno due lavori, e in alcuni casi, anche tre. Negli ultimi anni il fenomeno slasher si è ampiamente diffuso su scala globale, colpendo anche la città di Firenze. Quasi sempre ci si imbatte in giovani che sono artisti/camerieri, ingegneri/commessi, avvocati/operatori call-center, per non parlare di un’enorme quantità di laureati in chimica/fisica che fanno gli artisti di strada, o laureati in lettere/filosofia che creano prodotti di artigianato. La .4

domanda «Che lavoro fai?» è ormai obsoleta. La nuova domanda da porre è: «Qual è la tua barra?». Una scelta volontaria o involontaria? Assolutamente involontaria, ed è per questo che non si può nemmeno parlare di una scelta, ma di una condizione il più delle volte necessaria, in cui la maggior parte dei giovani sono costretti a vivere. Perché? Il problema è sicuramente legato all’alto tasso di disoccupazione giovanile che affligge il nostro paese, ma non solo: sembra che il mondo del lavoro preferisca ragazzi giovani che riescono a svolgere più mansioni. Infatti, nonostante i dati dell’EUROSTAT secondo cui l’Italia è seconda in Europa per disoccupazione giovanile, (con una percentuale del 32,8%, seconda solo alla Grecia che ha il 39,5%), il tasso di disoccupazione di Firenze è in costante diminuzione. Il dato del 2018 è al livello più basso dal 2010. L’ammontare di residenti occupati passa da circa 171.000 nel 2017 a circa 175.000 nel 2018. Eppure, nonostante la forte crescita, il 50% dei giovani occupati svolge almeno due lavori. I ragazzi slasher di Firenze sono dei “collezionisti” di contratti a chiamata o di stage retribuiti 500 euro al mese, dato che al momento dei colloqui, i cosiddetti “recruiter”, esigono quasi sempre delle figure che possano essere dinamiche, flessibili e che possano ricoprire più ruoli autonomamente. Molti recruiter o HR (Human Resources) preferiscono chi riesce a svolgere più mansioni in quanto dimostra di avere maggiori abilità organizzative: saper bilanciare più lavori indica dunque avere una grande motivazione ed eccezionali doti pianificatrici. L’organizzazione è infatti una componente essenziale per chi deve incastrare la sua vita come i pezzi del Tetris. Nel contesto fiorentino è estremamente comune vedere questi “giocatori” svolgere un

La domanda «Che lavoro fai?» è ormai obsoleta. La nuova domanda da porre è: «Qual è la tua barra?».


lavoro part-time di 24 ore settimanali, generalmente dalle 10.00 alle 16.00, e un altro dalle 19.00 a notte inoltrata. Per non parlare dei giorni liberi o weekend in cui cercano di poter svolgere effettivamente il lavoro che gli piace, il cosiddetto dream job, a cui aspirano, per il quale ancora la scalata è ripida e lunga. Ma tutta questa pressione non fa nascere in loro solo l’ambizione: disturbi psichici, stress e depressione sono alcuni degli effetti collaterali della forte tensione lavorativa. La maggior parte dei giovani fiorentini affermano di non essere soddisfatti della propria vita. I motivi sono diversi, ma tra le principali motivazioni troviamo: il sentirsi costantemente sotto pressione, l’infelicità, la depressione, problemi del sonno dovuti a preoccupazione e ansia, l’incapacità di superare le difficoltà e la perdita di vitalità. A Firenze i ragazzi escono portandosi dietro lo Xanax, convivono quotidianamente con attacchi di panico, ansia, depressione, insoddisfazione, infelicità e mancanza di accettazione di se stessi. Abbiamo chiesto a una ragazza di 24 anni, laureata in economia aziendale, come si senta a svolgere uno stage di 30 ore settimanali sottopagato (350 euro mensili) che la costringe a lavorare la sera in un locale e come babysitter nei weekend. Ci ha risposto «Mi sento inutile». Inutile? A 24 anni? Possiamo accettare che una ragazza di soli 24 anni si senta così? E come lei, possiamo accettare una generazione di uomini e donne che si sentono inutili, potenzialmente sempre più apatici e insofferenti? Non possiamo accettarlo ed è arrivato il momento di parlarne. Nasce Generazione Slasher, la rubrica che vuole dare voce agli slasher che vivono a Firenze, il cui problema non è come vivere, ma come sopravvivere, inventandosi sempre qualcosa di nuovo pur di non restare con l’acqua alla gola. E tu, qual è la tua barra? Se sei un ragazzo slasher e vuoi raccontarci la tua storia invia un’email a redazione@firenzeurbanlifestyle.com. È arrivato il momento di far conoscere questo fenomeno e di cominciare a parlarne. •

ENGLISH VERSION>>>> At the eleventh minute of the romantic movie One Day Emma, working as a waiter in a Mexican restaurant, asks to her colleague: «What’s your slash?». He seems not to understand, so she replies: «Waiter/singer, waiter/nurse, waiter/ teacher, what’s your slash?» Behind this question, there is a hidden truth: the “Slashers’ generation”, a generation of young people from 18 to 30 years old, who are doing different jobs, trying to fulfill their dreams at the same time. The term is coming from the slash sign and it has been used since 2008 to indicate people covering different job positions. In her book One person/multiple career, Marci Alboher talks about this phenomenon in UK where, as in USA, it is a well-known reality: the 30% of people under 30 have two or three jobs at least. In recent years, the phenomenon has spread worldwide, even to Florence: the question «What’s your job?» seems to be obsolete, the new question is «What’s your slash?». It’s an unwitting choice, a condition which many young people are obliged to live in, due to the high youth unemployment rate. Furthermore, it seems that the business world prefers young people able to cover different positions. All this pressure creates stress, depression and mental illnesses in the slashers’ generation: the majority of Florentine young people declared not to be satisfied with their job and life. We asked a 24-year-old girl with a degree in Economy how she feels being an intern for 30 hours a week at 350 euros per month, and who is obliged to work at night in a pub and during the weekend as a babysitter. Her answer was: «Useless». Useless? At 24? We cannot accept that, it is arrived the time to talk about it. That’s why we thought to create a new column called Slashers’ Generation: we want to give voice to all the slashers living in Florence. «And you? What’s your slash?» Tell us your story, write to redazione@firenzeurbanlifestyle.com. •

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ful viaggi

ANGELO ZINNA: DA EMPOLI AL RESTO DEL MONDO CON UNO ZAINO IN SPALLA Doveva essere un viaggio di sei mesi e, invece, per il giovane toscano nato in Finlandia si è trasformato in un’esperienza lunga una vita, tra passione e lavoro. Testo di Giulia Farsetti, Foto di Angelo Zinna

Treno da Kazan a Volgograd

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ngelo Zinna, 30 anni, ha lasciato Empoli quasi dieci anni fa con l’idea di stare via sei mesi. Ha vissuto un anno in Australia, due anni in Nuova Zelanda, due anni in giro per l’Asia, due anni a Londra e da tre anni vive ad Amsterdam, dove si è laureato in Letteratura e Società. Angelo si è innamorato della regione dell’Asia Centrale e della Via della Seta dopo il suo viaggio di rientro in Europa dal Timor Est nel 2013 in cui ha preso 234 autobus, 104 treni, 54 navi, un centinaio di taxi, altrettanti tuk-tuk, una carrozza a cavallo, 17 jeep, una dozzina di passaggi in autostop e qualche volo aereo non previsto. «Mi sono appassionato a questa zona non ben definita tra Europa e Asia e di come il nostro concetto di confine influenzi la nostra identità», infatti, anche se potrebbe viaggiare ovunque, Angelo

preferisce tornare in quella parte di mondo: due anni fa è andato in Armenia in autostop e con i mezzi pubblici da Amsterdam e l’anno scorso da Murmansk, la più grande città nel circolo polare artico in Russia, è arrivato a Kerman, nel sud dell’Iran. Ad agosto 2019 porterà il suo primo gruppo in Kirghizistan, tra montagne e altopiani: «Da un paio d’anni lavoro come freelance collaborando con riviste di viaggi e fotografia, occupandomi anche di copywriting e traduzioni; a volte lavorare online può essere un po’ alienante e con questo viaggio spero di riportare un elemento umano nel mio lavoro». Durante i tuoi viaggi hai fatto esperienze veramente al limite (sei stato quasi arrestato al confine con il Turkmenistan, hai camminato per quaranta giorni sull’Himalaya perdendo la vista per tre giorni); potessi tornare indietro nel tempo, c’è qualcosa che cambieresti? No, credo che se mettessi fallimenti e successi su una bilancia 7.


Bukhara, Uzbekistan

il risultato sarebbe positivo. Nonostante i sacrifici riconosco il privilegio di poter fare quello che faccio, quindi non c’è niente che correggerei. “Casa”: in tutti i dizionari si legge più o meno che è una costruzione eretta dall’uomo come propria abitazione… per te, cos’è “casa”? Non lo so più, a dire la verità. Quando sono rientrato dal primo viaggio dopo quasi cinque anni ero contento di tornare a casa, in Italia, ma le cose non hanno funzionato e quando sono partito la seconda volta avevo coscienza del fatto che sarei potuto non tornare più stabilmente dove ero cresciuto. Mi piacerebbe avere un luogo da chiamare casa, ma semplicemente non c’è e mi sono abituato a convivere con questo aspetto della mia vita. È una conseguenza di tante scelte e me ne prendo la responsabilità, ma non nego che a volte sia un vuoto. Nei tuoi viaggi sei sempre partito e arrivato da solo, ma si è davvero soli quando si intraprendono viaggi del genere? In realtà quasi mai. Incontrare persone è abbastanza facile e non è mai stato un problema nel corso degli anni, anzi, alcuni tra i miei migliori amici li ho conosciuti proprio in viaggio! Ci sono stati dei viaggi particolarmente emozionanti e anche particolarmente economici? Tutti i viaggi che ho fatto sono stati economici, ho sempre preferito

allungare i tempi piuttosto che alzare il budget. L’anno scorso sono tornato in Iran spendendo circa 250 euro in tre settimane: mi sono spostato quasi esclusivamente con Couchsurfing, facendomi ospitare dalle persone del posto. Ho conosciuto un sacco di persone e raggiunto angoli del paese che da solo non avrei mai avuto modo di vedere. Improvvisare è meglio che programmare? Dipende, ognuno ha il suo modo di viaggiare. Nei due anni che ho passato in Asia, tra il 2013 e il 2014, non credo di aver mai prenotato niente. Arrivavo e in qualche modo mi orientavo, anche senza smartphone. In generale programmo poco e leggo tanto, anche se oggi le cose sono un po’ cambiate: viaggio con più cognizione di causa, costruendo il viaggio intorno a luoghi specifici che voglio vedere. A volte prenotare conviene, altre volte è necessario, ma tutti i miei ricordi più belli derivano da eventi che non ho programmato. Cerco sempre di lasciare lo spazio per qualcosa di inaspettato. Nell’anno e mezzo in cui ti sei fermato a Londra hai scritto il libro Un altro bicchiere di arak: percorrere la via della seta è stato di grande ispirazione… Arrivando in Iran mi è sembrato di trovare una storia che valesse la pena di essere raccontata: ho scritto di un luogo specifico e delle

Mi piacerebbe avere un luogo da chiamare casa, ma semplicemente non c’è e mi sono abituato a convivere con questo aspetto della mia vita.

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Angelo Zinna

Song Kul, Kirghizistan

persone che ho incrociato lungo la strada, cercando di mettere al centro quei luoghi e quelle persone piuttosto che me stesso. Spero di esserci riuscito! Viaggi on the road ai tempi di Instagram (o più in generale di internet): sei un backpacker o un flashpacker? Ormai siamo tutti un po’ flashpacker, credo. Spesso lavoro mentre viaggio quindi la tecnologia è diventata essenziale per me… ma è anche una scusa: ne sono dipendente come tutti. Cosa non dovrebbe mai mancare nel tuo zaino prima di partire per un viaggio? La macchina fotografica e un libro. Ma chi è Angelo Zinna? Un cittadino del mondo che non riesce a fermarsi, un ragazzo che ha raggiunto i propri sogni e obiettivi ancor prima di compiere trent’anni o un eclettico e poliedrico amante della vita? Sono sempre in difficoltà a definirmi. Nonostante comprenda che dall’esterno possa sembrare che una persona con esperienze così particolari debba necessariamente aver chiaro il proprio posto nel mondo, per me non è così. Mi sento abbastanza perso, ma credo sia questo sentirmi sempre in bilico che mi porta a essere aperto nei confronti di quel che incrocio per strada. Nel frattempo i miei sogni si sono evoluti, insieme a me, e mi sono reso conto che “arrivare” non è così importante e, anzi, un po’ di insoddisfazione è necessaria per procedere. Ho cambiato nuovamente città, mi sono iscritto all’università, ho aperto la mia minuscola attività, ripartendo da zero; cerco di approcciare la vita in modo creativo per mettermi in gioco in modi diversi, non solo partendo. •

ENGLISH VERSION>>>> Angelo Zinna, 30 years old, left Empoli almost ten years ago with the purpose of staying abroad just for ten months but then he spent one year in Australia, two years in New Zealand, two years travelling around Asia, two years in London. For three years now he’s currently been living in Amsterdam, where he got a degree in Literature and Society. In 2013 Angelo fell in love with Central Asia, coming back from Timor Est to Europe taking 234 autobus, 104 trains, 54 boats, hundred taxis and tuk-tuk and many other means of transportation. In August 2019 he will guide his first independent group to Kirghizistan: «I’ve been working as a freelance for the last two years, doing copywriting and translations for magazines, sometimes working online can be alienating, with this travel I hope to add more human factors to my job». During your travels, you made some extremely dangerous experiences, as walking for 40 days over Himalaya and losing your sight for three days. If you could go back in time, would you change anything? No, I don’t think so. I think that, if I could measure failures and successes, the result will be positive: in spite of the sacrifices, I am a privileged man in doing what I’m doing, so there’s nothing I would change. “Home”: in the dictionary we read that it’s a building made by man to live in, what does it mean to you? I don’t know it anymore, to be honest. I’d like to have a place to call home, but it simply doesn’t exist and I’m used to live with this awareness. It’s a consequence of many choices and I took all the responsibilities, but I admit that sometimes I feel this lack. You always travel alone but, are we really alone when we travel? And, are there any particularly emotional and economic travels you remember? Honestly, you are almost never alone: you meet so many different people and I made some of my best friends travelling. All my travels were low-budget, I always prefer to spend more time than money: for example last year I went to Iran spending just 250 euros in three weeks, using the Couchsurfing. Improvisation is better than organization? It depends, everybody has his own way of travelling. Generally I read a lot and plan a bit, but nowadays I build my travels around the specific places I want to visit. When you were in London, you wrote your book Un altro bicchiere di arak: the silk route has been an inspiration for you? Landing in Iran I thought I found a story that was worth to be told: I described some specific places and people and I tried to put them, rather than myself, at the centre of my book. I hope I succeeded. On the road travels at the time of Instagram: are you a backpacker or a flashpacker? I think we’re all flashpackers: often when I am travelling, I’m also working, therefore technology it’s very important to me, but this is a justification too, I’m technology addicted as anyone else. What should not be missing in your backpack? My camera and a book. But who is Angelo Zinna? It’s always hard to define myself: I feel lost but I think that this led me to be more open to new experiences. My dreams evolve with me: “arriving” it’s not that important anymore, being unsatisfied is necessary to keep going. I changed city again, I started university and my own business: I try to approach life in a more creative way, not only leaving for another trip. •

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ful design

RETAIL, MUSEI E SPAZI EFFIMERI: L’ARCHITETTURA AI TEMPI DI INSTAGRAM Incontro con gli architetti di PLS Design che ci svela i nuovi stimoli della progettazione contemporanea. Testo di Francesco Sani, Foto di archivio PLS

Koko Restaurant - Sushi Bar Firenze

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LS nasce nel 2002 dalla collaborazione tra gli architetti Lorenzo Perini e Lino Losanno, dopo alcuni anni di lavoro insieme come responsabili del settore retail alla Nardi Associates. Sono esperti riconosciuti a livello internazionale in architettura, restauro e design. Vantano lavori per importanti maison della moda e l’architetto Perini ha recentemente tenuto un corso all’Istituto Europeo di Design dal titolo “Progettazione degli spazi effimeri”. Per FUL è stata l’occasione per visitare il loro studio e chiedere a lui e al collega Mauro Strozzieri cosa sta contaminando l’ideazione dei luoghi che spesso fruiamo, come avventori o consumatori. Oggi cosa concorre a determinare l’ispirazione per un architetto? Instagram e Pinterest sono diventati veri e propri contenitori di idee. L’immagine sui social è rinnovata, condivisa e rielaborata in modo impensabile fino a qualche tempo fa. Poi l’arte con11.


temporanea, dai confini sempre più labili con il design, perché quest’ultimo è ormai esso stesso arte. Da non sottovalutare anche l’ispirazione che può arrivare dal cinema, inteso come un mondo dal grande potenziale comunicativo. Avete un’esperienza internazionale nel settore dei retail di moda. Tecnicamente cosa significa progettare gli “spazi effimeri”? Ci sono ambienti espositivi o commerciali che hanno la possibilità di essere reinterpretati nel tempo. Ad esempio, a Firenze, la celebre boutique Luisa Via Roma realizzata dal noto architetto Claudio Nardi nel 1984. Qui la direzione ha continuamente giocato con installazioni temporanee allo scopo di raccontare una storia o con decorazioni create appositamente per Pitti Uomo. Adesso sempre più velocemente il retail ha l’esigenza di rinnovarsi in maniera determinante, griglie decorative si sovrappongono all’occorrenza, magari seguendo una tendenza o le ultime proposte del Salone del Mobile di Milano. L’ultimo lavoro importante che avete svolto in città è la progettazione architettonica del Gucci Garden. Non proprio uno “spazio effimero”, giusto? Non in senso stretto, è pensato per durare… Ma forse non troppo, almeno finché non verrà ripensato di nuovo. Il Palazzo della Mercanzia è vincolato ma internamente abbiamo usato rivestimenti in legno e cartongesso, quindi elementi mobili. Il cambio della direzione creativa di Gucci, da Frida Giannini ad Alessandro Michele, ha portato alla reinterpretazione concettuale del museo. C’è un’area espositiva su due piani che si apre con una boutique di articoli unici: le forme di espressione più moderne della Maison come le nuove denominazioni – “Guccy”, “Guccify” e “Guccification” – nate da hashtag scoperti da Michele su Instagram. Al secondo piano della galleria due sale dalla scenografia che richiama i musei naturalistici e una in cui è possibile ripercorrere la storia della Maison attraverso oggetti e video. Tra le tende di velluto rosso si nasconde anche un auditorium con proiezioni di film sperimentali. Infine, il ristorante dello chef stellato Massimo Bottura. C’è sempre stata l’esigenza di accompagnare la fruizione dei luoghi con delle sensazioni? Potremmo fare l’esempio del cinema, c’è stata un’evoluzione dell’esperienza: all’inizio i film erano solo in bianco e nero e muti, poi è stato aggiunto il sonoro e infine il colore. Allo stesso modo nel nostro ambito fino agli ’90 il lighting design era la materia di studio imprescindibile, la luce è essenziale per mostrare al meglio quello che è in esposizione, sia un negozio o un museo. Poi, dagli anni 2000, è diventato fondamentale abbinare l’audio. La musica, soprattutto per i giovani, è una colonna sonora costante della giornata.

Adesso sempre più velocemente il retail ha l’esigenza di rinnovarsi in maniera determinante.

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K-array - Lyzard

Moncler - The Mall Florence


A questo proposito al Gucci Garden è stato creato un canale sensoriale con il suono che l’avventore non capisce da dove arriva. Com’è stato possibile? Grazie a dei “gioielli” chiamati Lyzard, speakers piccoli come una barretta di cioccolato Kinder, prodotti da un’eccellenza locale quale la K-array. L’azienda con sede nel Mugello ha vantaggi difficilmente riscontrabili in altri marchi, riescono ad abbinare ingegneria sonora ed estetica alla miniaturizzazione, con un’evoluzione incredibile nell’inserimento integrato negli ambienti. Dovevamo creare in un edificio pieno di vincoli architettonici un audio di qualità ma flessibile, data la diversità delle varie sale, ci siamo riusciti con questi speakers quasi invisibili che diffondono un suono avvolgente gestibile da remoto. L’audio sembra proprio un elemento immancabile. Oggi, in linea generale, è considerato importante qualunque sia la fruizione del luogo. È scientificamente testato che un bit elevato riduce la presenza nell’ambiente: nelle catene commerciali si trovano canzoni veloci, hit del momento e a volume piuttosto alto. Questo perché l’avventore deve entrare, comprare e uscire velocemente favorendo il ricambio delle presenze. Invece in un ristorante di lusso la musica è di sottofondo, non riconoscibile, perché i sensi si devono concentrare sul cibo. •

ENGLISH VERSION>>>> PLS was born in 2002 from the collaboration of two architects, Lorenzo Perini and Lino Losanno, who are both well-known experts in the field of architecture and design. We interviewed their colleague, Mauro Strozzieri, in order to get more information about their upcoming projects. What does inspire architects nowadays? Instagram and Pinterest are important hubs for new ideas. Images on social networks are constantly renewed, shared and transformed in a way that was unthinkable years ago. Even contemporary art and cinema are sources of inspiration. You have international experience in fashion retail. Technically, what does it mean to create ‘fleeting spaces’? There are some exhibitive and commercial spaces that can be re-interpreted over time: for example Luisa Via Roma boutique, realized by Claudio Nardi in 1984, in which the direction has played with installations. Nowadays, retail needs to be constantly updated and renewed. Your last important work in Florence is Gucci Garden: it’s not really a fleeting space, right? Not really: it has been thought to last, at least until the next renewal. Palazzo della Mercanzia is bound by law but, internally, we used wood and plasterboards covering, therefore mobile elements. There is a two floors expo-area with an exclusive boutique. At the second floor, there are two rooms with a scenography recalling naturalistic museums and, behind the curtains, there is an auditorium with experimental movies. At the end, the restaurant of chef Massimo Bottura. Talking about sensorial experiences, inside Gucci Garden the sound is conveyed in such a particular way that we don’t know where it’s coming from. How was it possible? It was possible thanks to small speakers, called Lyzard, produced by Karray: they can perfectly match sound engineering with contemporary aesthetic. We have to provide high quality audio system in a historical palace: we made it through this innovative system. •

Gucci Garden

Antony Morato boutique Parigi

Bund Restaurant, Firenze 13.


ful fotografia

LE PERSONE AL CENTRO DELL’OBIETTIVO LA FOTOGRAFIA DI MASSIMO VITALI Con gli scatti di quello che è conosciuto colloquialmente come “il fotografo delle spiagge” possiamo comprendere meglio il mondo e gli esseri umani. Testo di Fabrizio Gitto, fotografie di Massimo Vitali

Firenze via via, 1998 .14

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opo gli esordi da fotoreporter, dagli anni Novanta il fotografo Massimo Vitali (Como, 1944) ha iniziato a immortalare spiagge, discoteche, supermercati e altri luoghi della quotidianità. Da oltre 20 anni Vitali ragiona sulla fotografia attraverso un discorso che pone la vita della gente comune al centro della propria poetica. Come fosse un guardaspiaggia di un nuovo umanesimo fotografico, dal suo cavalletto alto più di 3 metri osserva la gente e fantastica sulle loro storie, dimenticando le geografie e immergendosi nel rapporto con gli abitanti dei luoghi. Abbiamo avuto l’occasione di discutere con lui e il suo team presso lo Studio Vitali che ha sede a Lucca. Com’è nata l’idea di dedicarsi al soggetto delle spiagge che l’ha reso celebre? Nell’estate del ’94 mi recai sulla spiaggia di Marina di Pietrasanta per collaudare una macchina fotografica e un cavalletto appena acquistati. Notai che gli scatti realizzati funzionavano e, così, decisi di esplorare la tematica più a fondo. All’epoca fotografare le spiagge era ancora un tabù: era raro vedere fotografi al mare perché c’era il rischio che la salsedine rovinasse le macchine. Oggi, con le nuove tecnologie che hanno rivoluzionato il modo di rapportarci alla fotografia, sulle spiagge ci sono quasi più apparecchi fotografici che granelli di sabbia! I soggetti che ritrae sono spesso impegnati in attività di poco conto, nessun evento particolare viene immortalato. Si direbbe attratto dalla banalità dell’ordinario? Sì, mi interessano le piccole storie quotidiane, da molti considerate irrilevanti. Dato che il mio modo di lavorare è lento e contemplativo – in una giornata non realizzo più di 8 scatti – ho bisogno di persone che si comportino in modo opportuno, permettendomi di ragionare sui loro movimenti e sulle loro azioni. Attraverso un punto di vista innalzato e una distanza adeguata dai soggetti, posso


seguire i loro percorsi fisici e fantasticare sulle loro vite. Le spiagge in questo si sono rivelate dei luoghi ideali. È interessante la contraddizione che per connettersi ai soggetti se ne distanzia fisicamente. La mia intenzione è sempre stata quella di catturare in un unico scatto più contenuti possibili, evidenziando le stratificazioni della realtà. L’utilizzo di macchine fotografiche ad altissima risoluzione Firenze Ponte Vecchio, 2016 mi permette di incorporare un’ampia gamma di dettagli, cosicché l’immagine realizzata risulti come un insieme di tante piccole fotografie. Sono dell’idea che è inutile realizzare tanti singoli ritratti quando con un solo negativo possono immortalare cento persone. Pensa che in 22 anni di lavoro ho premuto il pulsante di scatto solamente 4976 volte. Come si relaziona con la macchina fotografica? Mentre inquadro le scene e scatto non guardo mai in macchina ma cerco sempre un rapporto diretto con la gente che sto osservando. La macchina fotografica è solo un dispositivo tecnologico, non un medium visivo. Durante gli scatti, è fondamentale per me seguire visivamente i gruppi di persone per immaginare delle piccole storie, senza rimanere congelati nell’attimo immortalato. Cerco di trasmettere quest’essenza al mio pubblico, facendolo interagire fisicamente con le grandi stampe che realizzo: avvicinandosi possono ricercare i singoli dettagli, mentre allontanandosi possono contemplare la realtà nel suo insieme. Questa è l’anima del mio lavoro. I contesti cittadini le permettono di applicare la stessa metodologia di lavoro delle spiagge? Le città per me sono certamente più difficili. Qui i gruppi diventano folle di individui che non interagiscono più fra loro in modo costante, ma procedono in tutte le direzioni. Questo è quello che accade, per esempio, in Piazza Duomo a Milano, dove è difficile soffermarsi sui singoli. Firenze, invece, ha la particolarità di avere flussi turistici più o meno regolari, che riducono il movimento vago. In questa città, infatti, ho il tempo necessario per osservare e prendere decisioni. Firenze via via, uno dei miei scatti preferiti, è per esempio una delle poche fotografie in cui succede qualcosa: si vedono dei venditori ambulanti scappare dalla volante della polizia. Un evento, però, che in un luogo come Piazza Duomo a Firenze si ripete in media 3-4 volte al giorno, caratteristica che ne annulla la rilevanza e ne sottolinea la banalità da cui sono stato attratto. Secondo lei il mondo è un posto banale? Certamente sono contrario all’idea che la fotografia debba raccogliere esclusivamente atti importanti e irripetibili, per questo mi sono allontanato dal fotogiornalismo. Preferisco il resoconto visivo di un evento filmato dai telefonini di 60 persone, piuttosto che lo sguardo apparentemente oggettivo del fotografo-demiurgo che vede e sa tutto e fa leva sulla drammaticità delle scene. Non mi dispiace pensare al mondo e alla vita come relativamente banali; un po’ come per i personaggi delle mie fotografie. Per essere un bravo fotografo non ho bisogno di andare a tutte le feste! •

La mia intenzione è sempre stata quella di catturare in un unico scatto più contenuti possibili, evidenziando le stratificazioni della realtà.

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Firenze Belvedere, 1997 ENGLISH VERSION>>>> He started as a photo-reporter but from the 90's Massimo Vitali has become a daily life’s photographer, taking pictures of beaches, supermarkets and discos, putting real people and their real stories at the centre of his works. We interviewed him in his studio in Lucca. How the idea of taking pictures of beaches was born? In the summer of 1994 I went to Marina di Pietrasanta’s beach to test my new camera: I noticed that this kind of pictures ‘worked’ and I decided to explore this theme. At that time, shooting beaches was still a taboo: there was the risk that the sand and the salt could damage the cameras and all the photographic equipment. The protagonists of your pictures are involved in their daily routine, doing nothing special. Are you interested in ordinary life more than in special events? Yes, I’m interested in everyday life: I work in a slow and contemplative way – in a single day I don’t shoot more than 8 times – and I need people to behave normally, making me reflect on their movements and actions. To connect to the subject you distance from them, this is an interesting contradiction... My intention is to catch in a single shoot more content as possible, highlighting the stratification of reality. Using high resolution cameras allows me to catch many details, therefore the images are a collection of many smaller photos: in my opinion, it’s useless to realize many single portraits when, with only one, I can portray hundreds of people. In 22 years of career, I shot only 4976 times. How is your relationship with camera? I’m always trying to establish a direct contact with the people I’m observing: a camera, it’s just a technological device, not a visual medium. What about the cities? Do you apply the same techniques? Cities are more difficult for me: here we have crowds of people who are not interacting together, they proceed in different directions, for example in Milan it’s hard to focus on individuals. In Florence instead, with its regular touristic flux, it’s easier: here I have enough time to observe and take my decisions. Firenze via via, one of my favorite pictures, it’s an example in which something is happening: some street vendors are escaping from police. In your opinion, is the world a banal place?

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Firenze Ponte Vecchio, 2016

Calafuria, 2003 I’m definitely against the idea that photography must collect just important moments, that’s why I took distance from photo-reporting. I prefer the visual tale of 60 people’s smartphones than the omniscient demiurge-photographer’s eye, using the dramatic force of the events. I like to think to life and world as relatively banal, as my picture’s characters are. To be a good photographer, I am not supposed to go to every party! •


17.


ful libri

VANI D’OMBRA: INTERVISTA A SIMONE INNOCENTI In occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo Vani d’ombra, abbiamo intervistato Simone Innocenti, di professione cronista di nera per il Corriere fiorentino e autore. Testo di Rita Barbieri, Foto di Simone Innocenti

V

ani d’ombra è il romanzo d’esordio di Simone Innocenti, edito per la casa editrice Voland, dopo le precedenti pubblicazioni della raccolta di racconti Puntazza (Erudita editore) e della guida letteraria Firenze Mare (Perrone editore). Il romanzo, con una struttura noir e quasi brutale, segue la vita di Michele Maestri dalla prima adolescenza alla maturità, alla ricerca di una liberazione da ossessioni e traumi pregressi, in cui il protagonista cerca di affrontarsi e di risolversi: «Una vita fatta a frammenti, segnata da un dolore che non si può dire e che non si può evitare» come ha scritto la critica. Simone parliamo del tuo ultimo libro, cosa ci puoi raccontare? Il mio libro non si può raccontare: riassumerne la trama è impossibile! Non solo per non spoilerare – termine che odio – niente, ma anche perché è così complesso che rischierei di deprivarlo di aspetti importanti. Ha la struttura di un thriller, di un noir, ma è anche molto di più di questo. Tutto parte da un singolo evento che accade a un ragazzino di 16 anni in un’afosa e opprimente calura estiva, che lo segna per tutta la vita. Lasciamo la trama giustamente in ombra, vuoi parlarci invece dello stile? Coloro che lo hanno letto e recensito, l’hanno definito scritto con una «lingua sperimentale», «innovativa». Di fatto è vero che le voci in questo romanzo si mescolano in modo indefinito: si passa dalla prima alla terza persona senza che il confine sia netto, senza che si possa capire chi è che parla veramente. È il narratore o è il protagonista? È tutto un gigantesco gioco di specchi, anche linguistico e lessicale, che trasforma repentinamente le immagini e distorce i punti di vista. Un labirinto ossimorico, in cui la perdita dell’orientamento e dei punti fermi è la chiave. Come è nata l’idea di questo romanzo? Questo libro è nato al mare. L’ho scritto in pochissimo tempo: da cronista mi è rimasta l’abitudine di mettere su pagina tutto e subito. Avevo questa storia in testa e sentivo che, in qualche modo, dovevo ‘liberarme.18


ne’: l’unico modo per farlo era dargli voce, scrivere, narrare. Così avevo il manoscritto pronto ed è stato grazie all’interesse della casa editrice Voland che il mio libro è uscito dal ‘vano d’ombra’ del mio cassetto e ha visto la luce. Hai già pubblicato una raccolta di racconti, Puntazza, e una guida letteraria su Firenze che hanno avuto un grande successo. Vorresti parlarcene? Firenze ha una natura essenzialmente acquatica: si è ritagliata i confini e i quartieri strappandoli, come isole, a quel mare senza sale che è l’Arno. Firenze va navigata, come sa chi ci abita: d’altronde per le strade tutto riporta all’acqua e alla sua memoria, le targhe commemorative, i segni dell’alluvione, ed è in questo mare che troviamo nascosti i caffè, i luoghi di incontro e le dimore di alcuni importanti scrittori italiani del Novecento: Pratolini, Luzi, Palazzeschi e molti altri ancora sono traghettati, più o meno a lungo, da e per Firenze. Da questa riflessione e da un lungo lavoro di ricerca è nata la guida letteraria su Firenze, Firenze Mare, edita da Giulio Perrone editore, con una prefazione di Wlodek Goldkorn e devo dire che ha ottenuto un grande successo sia in termini di critica che di pubblico. Puntazza invece è una raccolta di racconti vorticosi edita da Erudita. Qui do voce ai personaggi più crudi, carnali e violenti: suore assassine, appassionati di tirwatching, trafficanti di animali e molto altro, accompagnati da un forte senso dell’assurdo e da un punto di vista estremamente ironico e satirico. Un «dietro le quinte della nostra società e delle maschere che ci cuciamo addosso ogni giorno», come giustamente è stato definito. Si dice che uno scrittore sia anche un forte lettore. Sei d’accordo? Assolutamente sì. Io leggo moltissimo, principalmente autori italiani e europei. Sono un vero e proprio appassionato di libri, soprattutto quelli fuori catalogo: posso dire che siano il mio unico vizio! Sono un po’ meno esperto di letteratura americana, nonostante ci siano grandi nomi che rispetto e ammiro, in particolare nel genere noir: McBain, Ellroy e altri ancora... Ma sicuramente è vero che per scrivere, bisogna leggere e leggere tanto. Su questo non ci sono dubbi. Quali sono i tuoi prossimi progetti? Io sono un giornalista e lo sono da 20 anni. Sono un cronista di nera e questo mi porta a essere in contatto costante con la realtà, a chiamare le cose con il proprio nome senza troppi fronzoli. Cerco di continuare a fare bene il mio mestiere, con tutta la fatica e la dedizione del caso. D’altronde, citando, «il giornalismo è l’atletica dell’indifferenza». •

Un gigantesco gioco di specchi, anche linguistico e lessicale, che trasforma repentinamente le immagini e distorce i punti di vista.

ENGLISH VERSION>>>> For the release of his latest book Vani d’ombra, we interviewed Simone Innocenti, author and crime reporter for Corriere fiorentino. Vani d’ombra is your first novel, after your successful short stories’ collection Puntazza (Erudita editore) and the literary guide to Florence, Firenze Mare (Perrone editore). Can you tell us more about the novel? Resuming the plot it’s quite impossible and I don’t want to spoil anything. The story just follows Michele Maestri’s life, since his youth to maturity, while he tries to get rid of his obsessions and traumas. It’s so complex that, telling you something, I would risk missing some other important aspects: it’s much more than just a noir. What about your style? It has been defined as ‘experimental’ and ‘innovative’ and it’s a fact that the voice of the characters are mixed in an indefinite way: we switch from third to first person narration without any clear line. How was born the idea of this novel? This book was born at the seaside, I wrote it in few days. I had a story in my head and I felt the need of putting everything on paper as soon as possible: I wanted to get rid of this sort of obsession and the only way was to write it. Your literary guide to Florence is a huge success. Can you tell us more? Florence has an aquatic nature: the city originally defined its limits taking off the quarters from the Arno river, as if they were small islands. In the city everything reminds us of water and, in this calm sea, many authors and artists sailed during the past: Pratolini, Luzi, Palazzeschi and many others. We say that a writer is also a good reader, do you agree with that? Definitely, I do. I read a lot, mainly European authors and I’m obsessed with rare books, they are my only vice! I’m not an expert of American literature but I like noir’s authors: in particular McBain and Ellroy. Which are your upcoming projects? I’ve been a journalist for 20 years and I am still a journalist. I write about crimes and for this reason I’m always in touch with reality and I try to call things with their proper name. I’m trying to do my job in the best way, with passion and sacrifice. • 19.


ful artigianato

FLORENCE FACTORY COSE CHE HANNO QUALCOSA DA RACCONTARE A Firenze, tra mille vetrine, c'è una boutique che espone il meglio dell’artigianato contemporaneo, oggetti che raccontano le storie degli altri. Testo di Camilla Pieri, Foto di Florence Factory

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ia dei Neri. Direzione Santa Croce. Di fronte alla famosa e storica Gelateria dei Neri. Si apre una vetrina. A fianco, una porta con uno specchio che ti invita a entrare. All’interno una miriade di colori e immagini, che come un caleidoscopio, ti portano in un viaggio dal quale non è facile tornare indietro. È da aprile 2018 che Florence Factory ha aperto le porte di una boutique dove fanno da padrona artigianato, unicità e ricerca. Perché è proprio dalla ricerca quotidiana e attenta che nasce un luogo dove molti artigiani riescono ad avere un loro spazio, un posto, fuori dalle convenzionali botteghe, dove poter esprimere e mostrare, donare e concedere, farsi vedere e guardare. Florence Factory è un posto speciale, che si fa contenitore di artigianato contemporaneo, spaziando da oggetti di design e moda, abbigliamento e accessori. Ogni pezzo racchiude l’unicità più integrale di un artigiano che viene appositamente scelto, ogni elemento ha qualcosa di unico da raccontare. Così come le persone che lo hanno realizzato. Cappelli di paglia, orecchini di ventagli, elefanti di legno, tazze dai toni rupestri, borse di juta: le opere che vengono fuori da questo spazio, raccontano di artigiani fiorentini e toscani, con qualche tocco nazionale, realizzati da abili mani che hanno fatto del loro talento arte e creatività. Ed è così che chi lavora con le mani riesce a uscire dal proprio laboratorio per avere una vetrina dove viene premiata arguzia, contemporaneità e vendibilità. Un network dove poter spaziare, conoscere e comprare. I clienti che si avvicinano, scoprono, indagano, sono soprattutto americani e asiatici, «I fiorentini vanno conquistati». Vi garantisco che basta veramente poco per lasciarsi ammaliare da qualche borsa di pelle fatta interamente a mano, occhiali visionari e anelli grandi che riempiono le mani.

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Una scatola dove convivono, senza competere, i progetti unici di chi ha scelto di raccontare con le mani. Ma chi è che ha avuto l’idea di racchiudere in un unico spazio gli artigiani e creare un format che racconta le storie degli altri? Sono Jacopo Lotti, fondatore e proprietario, e Lorenzo Bertini, co-ideatore e curatore. Viaggiano alla continua scoperta di nuovi progetti, collaborano con realtà ed eventi a Firenze e in Toscana, come Ditta Artigianale, la Florence Cocktail Week o la futura collaborazione con il Polo di Design di Sesto Fiorentino, attenti a quello che può o potrebbe piacere, arricchendo continuamente Florence Factory di quello che sta lì fuori. Ogni due settimane rinnovano la loro vetrina, una volta al mese fanno girare gli artisti, inserendone nuovi, portandosi dietro quelli più interessanti. Jacopo e Lorenzo collaborano ormai da anni, avvicinandosi a questo mondo grazie all’esperienza familiare. Nel 2016 poi, l’idea di aprire una galleria dove gli artigiani avrebbero potuto avere uno spazio condiviso di lavoro. Il progetto inizia a concretizzarsi con l’inserimento di un corner dedicato all’interno dell’Hotel Plaza Lucchesi, fino all’anno scorso, quando si spingono oltre e si inseriscono direttamente tra le vetrine di Firenze, aprendo la loro mostra del mercato contemporaneo: «A Florence Factory non siamo in Santa Croce, ma racchiudiamo tutta la città», dice Lorenzo mentre appoggia un Duovo sul tavolino. Forme pulite, mani quasi impercettibili. «Come si può definire un artigiano? Dove sta il limite tra perfezione ed errore umano che dona unicità?». In Giappone gli artigiani sono chiamati monumenti viventi, sono maestri che producono tesori da tutelare, riempiono le crepe con l’oro quando un vaso si rompe, e questo probabilmente serve a ricordarci che, anche se rotti, non siamo da buttare. Ma noi non siamo opere d’arte da acquistare. E dovete sapere che in questo mondo così prestigioso e ricercato l’errore non è previsto. •

Un luogo dove gli artigiani riescono a esprimere e mostrare, donare e concedere, farsi vedere e guardare.

ENGLISH VERSION>>>> Walking towards Santa Croce, in Via dei Neri, right in front of Gelateria dei Neri, there is a window with a glass door: entering it’s like starting a new journey made of colors, materials and details. Since 2018, Florence Factory it’s an exclusive artisanal boutique: a place in which many artisans can work, show and sell their products: bags, earrings, glasses and much more. But who are the founders? Jacopo Lotti and Lorenzo Bertini are two business men always searching for new projects and realities as Ditta Artigianale, Florence Cocktail Week and many others and they are always in touch with what people like and dislike. They try to bring new artisans and artists in Florence Factory, constantly renewing collections and products. The idea was born in 2016 and originally they created a specific corner in Hotel Plaza Lucchesi, until last year, when they found the right place in Florence: «In Florence Factory we’re not only in Santa Croce, we embrace the whole city indeed», they say. In Japan, artisans are called “living monuments”, they are masters producing treasures, filling with gold all the cracks when a vase is broken. This should remind us that we’re not to throw away, when we’re broken: we are artworks to buy, though. •

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ful tattoo

BRANDO CHIESA: IL TATTOO ARTIST FIORENTINO IDEATORE DEL PASTEL GORE Brando Chiesa, il tattoo artist fiorentino celebre in tutto il mondo per aver ideato il Pastel Gore: la nuova moda del tatuaggio che mescola bamboline Manga dark e sfondi con fiorellini rosa. Un successo da 700.000 followers. Testo di Miriam Belpanno, Foto di Brando Chiesa

C

hi è Brando Chiesa? Classe ’87, Brando inizia la sua carriera artistica tra le botteghe fiorentine. Dopo la perdita dei suoi genitori, comincia a intraprendere una strada del tutto nuova che lo porta a ideare il Pastel Gore e che in pochissimo tempo sta facendo il giro del mondo. Demoni, animali albini, e bamboline Manga fino a “Tyrex con vagine e lava che cola”, sono solo alcune delle immagini riprodotte su pelle ma nate tutte dalla sua mente. Le sue sono figure ibride, aliene ma anche segni incancellabili di personalità doppie, quasi a voler raffigurare il significato profondo che si cela dietro ogni anima che incontra ed è ciò che rende ogni suo pezzo unico. Il suo stile è fra i più apprezzati negli Stati Uniti, in città come New York, Miami, Los Angeles e tra i suoi clienti anche personaggi celebri come Cristina Scabbia dei Lacuna Coil, Oliver Sykes dei Bring Me the Horizon e Keith “Bang Bang” McCurdy. I pastelli e i colori rosati sotto una sfera macabra e dark, sono gli elementi essenziali del suo stile che rispecchiano anche molto l’anima dell’artista e il suo passato. Per questo abbiamo voluto incontrarlo. Quando hai iniziato a pensare di creare un nuovo genere? È iniziato tutto da un periodo di depressione dovuta alla perdita dei miei genitori. Per cinque o sei mesi non sono riuscito a lavorare. Mi sentivo insoddisfatto e questo si rifletteva anche nel mio lavoro ero troppo vincolato dai canoni del tatuaggio. Io stesso mi sentivo un canone: seguivo degli schemi ben precisi copiati da altri e regole dettate dai vari stili (Old School, Traditional, Non Traditional, Giapponese, ecc...). Essendo omologato, mi sentivo svuotato e non del tutto me stesso. Fu proprio in quel periodo che mi dissi: “Ora ricomincio da zero”. Cosa rappresenta il Pastel Gore per te? Rappresenta ciò che sono sempre state le due tendenze della mia vita: un mondo rosa, con fiori e un’aurea dolce, e la mia tendenza per lo stile Gore e il Dark. Il Pastel Gore è un ossimoro, un contrasto. Esso rappresenta sia la parte maschile che la parte femminile di me. Il mio stile, infatti, non ha la classica connotazione maschile vs. femminile tipica degli altri. Per me non esistono colori troppo femminili e troppo maschili. I colori non definiscono chi sei tu. Un colore è un colore. Hai tatuato personaggi come Cristina Scabbia dei Lacuna Coil, Oliver Sykes dei Bring Me the Horizon, Keith “Bang Bang” McCurdy. Cosa hai realizzato per loro? Non mi hanno dato linee specifiche da seguire, mi hanno solo detto cosa volevano esprimere. Cristina è una persona molto “dark” esteriormente, ma anche .22

Tatuaggio per bang bang ( Keith “Bang Bang” McCurdy )


molto dolce dentro. Voleva dunque qualcosa che legasse i videogiochi (nel ricordo dei suoi pomeriggi passati a giocare alla play), e un gatto nero. Oliver ha voluto tatuare i suoi cani in due versioni particolari. Gli altri mi hanno detto di fare ciò che volevo, in modo di poter avere un mio “pezzo” sulla loro pelle. La richiesta più strana/particolare che ti sia stata fatta? Sono strane e particolari per altri ma per me sono normali. Qualsiasi cosa che mi venga proposto non la reputo mai anormale, anche se è qualcosa di spinto (come ad esempio Tyrex con delle vagine e lava che cola). Di fatto, per quanto possa sembrare che io faccia solo Anime e Manga, nel mio stile c’è un sacco di erotismo. La maggior parte dei mie clienti hanno tutti una sorta di “fetish”. Vengono persone apparentemente “strong”, ma che vogliono qualcosa di molto rosa e molto dolce che ricordi loro i primi input sessuali che avevano da ragazzini. Non sono abituato a vederle però come “stranezze”, sono solo richieste particolari. Stai viaggiando in tutto il mondo per portare avanti dei nuovi progetti. Qual è quello che ti entusiasma maggiormente? Ci sono molte cose nuove nell’aria e sarà un anno un po’ di cambiamento. Sono entusiasta di tutte le cose che stanno uscendo che sono diverse dal tatuaggio, come le copertine di album per personaggi musicali. Adesso sto facendo una copertina per un artista di Brooklyn, Necro, a cui si sono ispirati tutti gli artisti italiani. Uscire dalla mia routine mi entusiasma generalmente pure più del solito. Collaborerò al brand d’abbigliamento di Oliver Sykes con una collezione sulle Anime e il Gore. Sono una persona curiosa e tutto ciò che può essere creativo mi attrae e mi gratifica. •

Per me non esistono colori femminili o maschili. Un colore è un colore.

ENGLISH VERSION>>>> Who is Brando Chiesa? Born in 1987, Brando starts his artistic career in the Florentine workshops. After losing his parents, he decides to take a new path and creates Pastel Gore: demons, albine animals, manga dolls are just some of the images he invented. Hybrid figures, aliens, with signs of double personalities. His style has been appreciated in the United States, also by famous customers such as Cristina Scabbia of Lacuna Coil, Oliver Sykes of Bring Me the Horizon and Keith “Bang Bang” McCurdy. Pink and pastel colours below a dark macabre design are his essential elements, that reflect his soul and his past, that’s why we met him. When did you decide to create a new genre? It all started when I was depressed for the loss of my parents and I couldn’t work. I felt dissatisfied and too binded by tattoo’s standard canons. I was feeling omologated and that’s when I said to myself: “Let’s start from scratch”. What does Pastel Gore represent for you? It represents the two tendencies of my life: a pink world with flowers and my dark gore style. Pastel Gore is a contrast, an oxymoron. For me there are no female or male colours, colours don’t define who you are. They are just colours. You tattooed various famous people, what did they ask you to do? I was not given any specific guidelines, they just told what they wanted to express. Cristina from Lacuna Coil is very “dark” outside, but also very sweet inside and wanted something related to videogames. What has been the “weirdest” request? All requests are normal for me, whatever I am being asked, even if there is something erotic. You are travelling the world with your projects. Which is the most exciting one? Many things are going to happen and I am particularly happy everything I am doing that is not related to tattoo. For example, album covers for musicians, covers for artists, a collaboration with Oliver Sykes clothes’ brand. I am a curious person and I am attracted and gratified by everything that is creative. •

Tatuaggio per Oliver Sykes cantante dei (Bring Me the Horizon)

Brando Chiesa

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ful arte

OLTRE LA SUPERFICIE, L’ARTE DEI GUERRILLA SPAM Chiacchierata fiume col collettivo Guerrilla Spam e Matteo Bidini della Street Levels Gallery a proposito di una street art sempre più decorativa e di una società italiana sempre meno accogliente. Testo di Jacopo Visani, foto di Guerrilla Spam

Excursus storico 1919-2018 (dettaglio), Marzabotto, 2018 Foto di Giorgia Bellotti .24

Q

uella che era una forma artistica di rottura ha ormai invaso i salotti delle famiglie. Ne è passato di tempo da quando la street art ha avuto il merito di far evadere l’arte dagli spazi e dal controllo delle gallerie e dei musei per riportarla nelle strade alla libera lettura delle persone. Negli anni ha acquisito sempre più vigore e prosperità, generando anche inediti e imprevisti esiti, ma ha suscitato anche un po’ di spaesamento nei suoi rappresentanti e nel suo pubblico, che di giorno in giorno si è fatto sempre più ampio. In tanti hanno percepito questo interesse e provato a dargli diverse risposte. Da una parte studiandola, interpretandola e divulgandola; la street art è così tornata dentro gallerie e musei per far sì che il suo complesso messaggio possa essere più facilmente apprezzato. All’estremo opposto è stata sfruttata per scopi strumentali, divenendo linguaggio pubblicitario, mezzo promozionale delle istituzioni e arredo urbano estetizzante con i dibattuti esiti di gentrificazione. In questo grande calderone non mancano però coloro che hanno un’idea molto chiara di cosa sia e, soprattutto, di come servirsene e per quali fini. Tra questi sicuramente il collettivo Guerrilla Spam, che nasce nel 2010 a Firenze «come spontanea azione non autorizzata di attacchinaggio negli spazi urbani». Proprio i loro primi anni fiorentini hanno condizionato la scelta di una delle loro tecniche predominanti: il contesto del centro storico li ha portati a sviluppare l’affissione dei poster in modo da poter veicolare il proprio messaggio nel rispetto del patrimonio storico-artistico. Le loro prime azioni lasciano trasparire un chiaro intento di critica sociale che si scaglia soprattutto contro il sistema dell’arte, la società del consumo e lo strapotere dei media. Con uno stile semplice e d’impatto – segnato da un uso pressoché esclusivo del forte contrasto tra il bianco e il nero – il collettivo mira manifestatamente a veicolare un contenuto più che alla mera offerta di un’esperienza estetica. Assegnare un’eccessiva – o addirittura un’esclusiva – rilevanza all’apparenza dell’opera, secondo loro, rischia di rendere l’arte una mera decorazione e svuotarla del messaggio culturale che dovrebbe sempre avere. Un esempio di questo esito è il grande muro dedicato a Mandela da poco realizzato a Firenze: un’opera che, nella sua rappresentazione iperrealistica e “piacevole”, finisce per trasformare un personaggio simbolo della lotta dei diritti umani in un ornamento urbano nel quale la patina estetica prevale sul contenuto. Anche per questa deriva contemporanea della street art, i

Con uno stile semplice e d’impatto il collettivo mira a veicolare un contenuto più che offrire una mera esperienza estetica.


Guerrilla Spam ci tengono a smarcarsi dall’etichetta e, usando termini presi a prestito dalla storia dell’arte, dividono le loro azioni in attacchinaggi non autorizzati e muralismo pubblico. Nel primo caso gli interventi sono piccoli, spontanei e provocatori; come è successo a Firenze e in altre città d’Italia con La voce del popolo – Istruisciti per non diventare come me, una serie di piccoli poster che sottolineavano l’importanza della cultura per non diventare intollerante. Un altro esempio è il poster Gemelli comparso anche a Firenze e protagonista della copertina di questo numero; un lavoro dal forte impatto che pone il tema della diversità, ma lo lascia aperto a un tipo di riflessione che può avere esiti ambivalenti. I grandi murales richiedono invece un periodo di preparazione più lungo, quasi sproporzionato rispetto al tempo dedicato all’esecuzione. In questi casi l’attenzione del collettivo è quella di far sì che l’intervento si inserisca in modo coerente nel territorio, sappia interagire con la sua storia e le sue problematiche e possa conservare il suo messaggio il più a lungo possibile. Ma il collettivo ha iniziato a operare anche a livello didattico soprattutto in occasioni di festival o all’interno di scuole. In questi contesti cercano di far convivere e interagire il momento laboratoriale con quello dell’azione,

La voce del popolo, Macerata, 2019 Foto di Sara Agostinelli

Murales contro le guerre, Roma, 2018 Foto di Alessandro Imbriaco

spesso comunque non autorizzata. Dopo i laboratori di poster art sono nati quelli che loro definiscono “meticci” perché i partecipanti sono sia italiani che stranieri, soprattutto provenienti dall’Africa. L’interesse verso le tematiche delle migrazioni, della conoscenza reciproca tra culture diverse e dell’inclusione dell’altro è nato anche dalla tragica situazione politica e sociale italiana nella quale il razzismo e l’intolleranza verso il diverso fanno purtroppo la voce sempre più grossa. Al collettivo piace pensare alle proprie attività artistiche come a diversi modi di esprimersi: se l’attacchinaggio illegale può essere paragonato a un grido, il grande murale prende le sembianze di una esposizione pacata, fino ad arrivare al laboratorio che instaura una vera e propria chiacchierata. A unire le loro diverse azioni ci sono molti elementi ricorrenti che vanno costituire i fondamenti del loro metodo. Il rapporto col passato è sicuramente uno di questi. Conoscerlo significa potersi muovere meglio nel presente, evitando di ripetere gli stessi errori o di farsi abbindolare 25.


Guerrilla Spam, Arezzo, 2016

La voce del popolo, Torino, 2018

da visioni del mondo propagandistiche che non hanno alcun fondamento storico. Le immagini vengono usate dal collettivo in modo narrativo sperando di scatenare un circolo virtuoso che dovrebbe partire con la curiosità, passare all’approfondimento del tema, portare alla riflessione su di esso e auspicabilmente approdare a un arricchimento culturale e allo sviluppo di un senso critico sempre più acuto. Le opere del collettivo si aprono a più interpretazioni stratificate per livello di complessità. Il nucleo è rappresentato dal tema e dal messaggio principali, ma, se l’opera riesce nel suo intento di incuriosire, si apre ad altri significati sempre più dettagliati. Come avviene nell’enorme e spettacolare Murales contro le guerre realizzato a Roma, nel quale il ricordo dei bombardamenti di San Lorenzo del 1943 non è che lo spunto per denunciare ogni altro conflitto contemporaneo. La missione dei Guerrilla Spam sembra essere quella di rompere la superficie: la superficie di un’arte che rischia di essere solo decorazione e la superficialità di certe posizioni che rendono la nostra società un luogo meno accogliente per tutti. E di un’arte che sappia veicolare cultura e senso critico, come di una società capace di arricchirsi grazie alle diversità reciproche, nell’Italia di questi giorni, ne abbiamo davvero urgente bisogno! • .26

ENGLISH VERSION>>>> Street art, after allowing art to escape from museums and galleries to reach the street and ordinary people, has come back to museums to be interpreted and studied more deeply, conveying its complex messages. On the other side, street art has been currently used by propaganda and advertisement too, becoming an advertising language and a promotional mean in itself. But there are still people with a clear idea of what street art really is and does: for example the Guerrilla Spam group. Born in 2010 in Florence as a «spontaneous action of not authorized attacking in urban spaces», in their first years, they decide to post their messages on walls, respecting the historical and cultural heritage of the city. Their first actions had some clear critical intents against society, art’s system and power of media: with their simple and impressive style, based on the contrast between black and white, they want to convey contempt more than a simple aesthetic experience. They divide their actions in ‘not authorized attacks’ and ‘public mural painting’. In the first case they make few small spontaneous and provocative interventions – as it happened in Florence and in other cities with poster’s claims like People’s voice – get an education to become like me or the poster Twins, the cover of our magazine. In the second case, it takes a long preparation to realize the murals, and they put all their effort to insert their intervention coherently in the surrounding environment. Theme and message are the center of the artwork but, if the wall painting can catch people’s attention, it can convey much more detailed meanings as the big Against wars’ graffiti in Rome in which the memory of 1943’s bombing is just an opportunity to denounce any other contemporary conflict. Their mission seems to be breaking the surface of art, in the sense of mere decoration, and criticizing the intolerant, close-minded politic: they wish art to able to convey culture and critical sense, in order to enrich society thanks to reciprocal differences, and in contemporary Italy we really need it! •


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ful natura

I LOVE TREKKING: I LOVE GIGLIO Al largo dell’Argentario, vi è un tesoro dei pirati mai andato perso; né dobloni né gemme preziose, solo natura, blu e orizzonti infiniti. Dalle acque tirreniche affiora con la sua modesta dimensione e il suo immenso splendore, l’isola del Giglio. Testo e foto di Benedetta Perissi

«L

’isola verde si distingueva dal mare per il forte contrasto: sopra verde, sotto blu… altrimenti sarebbero stati colori contrastati dal sole, che quando faceva maturà i grappoli e rinsecchire le foglie, diventava tutto arancio… T’immagini che meraviglia! E io, l’ho conosciuta questa meraviglia nella nostra isola.» Così le parole di nonno Gae raccontano questa perla che si erge di fronte al Monte Argentario dalle acque cristalline del Tirreno, una terra ricca di storie lontane, pervasa dalle fragranze mediterranee, ritmata da spettacolari scogliere che si incuneano nel mare. Come i pirati nel corso dei secoli hanno solcato terra e memoria di questa isola con le loro scorribande, anche il temibile corsaro Barbarossa ha “visitato” il Giglio; fare un’incursione lunga un weekend o più in questa perla tirrenica, è un’evasione dal caos fiorentino da prendere in considerazione tutto l’anno. In particolare al comparire della primavera o a fine estate, quando il via vai turistico, sebbene mai troppo intenso, non si impossessa dell’isola. Due momenti dell’anno in cui la bellezza selvaggia dell’isola emerge con tutto il suo fascino e che, grazie anche alle temperature non troppo alte, rappresentano i periodi migliori per esplorare la sua natura incontaminata con entusiasmanti trekking. Suggestive calette bagnate dal blu intenso del mare, faraglioni che si ergono dal mare, boschetti di leccio e macchia mediterranea che si punteggia .28

Un’incursione lunga un weekend o più in questa perla tirrenica, è un’evasione dal caos fiorentino da prendere in considerazione tutto l’anno.


di vividi colori soprattutto nel periodo primaverile, danno vita a paesaggi stupendi da godersi a piedi, attraverso i sentieri che solcano l’isola da est a ovest e da nord a sud. Ambienti che ospitano specie animali anche rare e da salvaguardare come le berte e il falco pellegrino, tra le specie avifaunistiche, e tra i mammiferi, i mufloni, avvistabili con una certa facilità nella zona del promontorio del Franco, a ponente dell’isola. La vacanza a piedi alla scoperta dell’isola può avere inizio appena si sbarca al Giglio. Dal porto, parte una stradella asfaltata in salita che conduce all’innesto con l’antica mulattiera che porta al Giglio Castello, il suggestivo borgo fortificato che domina il mare dalla

dorsale dell’isola. Il percorso, all’ombra di una bella lecceta, si snoda quasi interamente sul lastricato dei tempi che furono di questa via di comunicazione che univa i due centri principali, il porto e il castello; salendo, il bosco di lecci lascia spazio a magnifici panorami sulla baia dell’Arenella e la Caletta. In circa 45 minuti, tutti in salita, si sbuca accanto alla cinta muraria del castello. Se la bella giornata passata nella spiaggia dorata del Campese non fosse stata sufficiente a gratificare occhi e gambe, all’estremità sinistra (guardando il mare) della baia, parte il sentiero che attraverso la macchia a leccio e bellissime vedute sulle falesie e la baia del Campese, conduce alla punta del promontorio del Franco, di fronte al

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faraglione che si erge dal mare e che si vede dalla baia. Facile e panoramico, questo itinerario di circa 20 minuti e altrettanti per il ritorno, è da intraprendere poco prima del tramonto, per panorami indimenticabili. Invece per giornate intere di trekking nella natura, dal Giglio Castello parte verso sud l’itinerario che conduce dopo circa 2 ore e mezzo di cammino a Capel Rosso, l’estremo sud dell’isola. L’itinerario è segnalato e offre bellissimi scorci, per arrivare poi al pianoro della punta di Capel Rosso, dove si staglia il faro e ai suoi lati, le spettacolari scogliere erose dall’azione del mare. Altrettanto tempo serve a rientrare, forse qualcosa di più, perché quel che all’andata era in discesa, al ritorno diventa salita. Al Giglio, uomo e natura hanno collaborato in armonia, offrendo ambienti prosperi e selvaggi, tanto da essere inserito nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano a tutela della flora e la fauna, marina e terrestre, e dando vita a paesaggi unici da fare invidia alla più nota e frequentata isola d’Elba. • Una trek experience di Andare a Zonzo https://andareazonzo.com

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ENGLISH VERSION>>>> Giglio island is a pearl in front of Mount Argentario, in the clear waters of the Tirreno sea. A land reach in histories, permeated by Mediterranean fragrances, designed by spectacular cliffs. Spending a weekend or more in Giglio, it’s pure escapism from the Florentine caos that you should consider all year long. In particular we recommend you to go in spring or at the end of the summer, when there are not so many tourists. These are also the best periods for exploring the island by trekking. The environment hosts many rare protected species of birds and mammals that you can easily spot. The walking holiday can start right when you disembark. From the harbour, a steep street leads you to the intersection with the old mule track that arrives till Giglio Castle, the evocative fortified hamlet that dominates the sea. The path, under the shadow of oak trees, unites the two principal centres, the harbour and the castle in just 45 minutes. From the left side (looking at the sea) of Campese bay, there is another path that leads to the top of Mount Franco. It’s an easy walk, 20 minutes to go and 20 to come back, that offers an incredible view and it’s best done before sunset. If you want to have a full day of trekking instead, you can take the south itinerary from Giglio Castle that goes to Capel Rosso, the extreme south of the island in 2 hours and a half, a bit more to come back.•


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Cocktail bar - Ristorante - Live Music

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ful architettura

ARCHITETTURA PER IMMAGINI per immaginare lʼarchitettura a cura dellʼOrdine e della Fondazione degli Architetti PPC della provincia di Firenze www.architettifirenze.it

spazi sospesi

Giardino Vittime di via Fani, Lungarno Aldo Moro, Firenze, Giugno 2019 - Emanuela Paglia

Cancellate che cancellano, la continuità della sezione trasversale degli spazi aperti, spazi oggetto di studio dell’Architettura del Paesaggio. Cancellate i cui varchi, unici dispositivi di percezione di quelle “unità elementari” dei segni afferenti al fiume, come interruttori, determinano la sospensione notturna dello sguardo che riprende al mattino. Cancellate da cancellare per restituire paesaggio all’ ”abitante-paesaggista”.

Questa rubrica, annualmente, girerà intorno ad un tema specifico. Questʼanno vogliamo mettere in evidenza tutte le Belle Architetture della provincia di Firenze che ci sono precluse a causa di barriere. Mandaci la tua fotografia seguendo il regolamento di “spazi sospesi” su www.architettifirenze.it architettifirenze@archiworld.it 33.


ful pagina dell'artista

per il numero XXXVIII è a cura di

GINEH

www.ginevraboni.com | IG: @Ginevra.Gin

薔薇庭園 The Rose Garden, tecnica digitale Ginevra nasce a Fiesole, in un ospedale che non esiste più. Cresce in una famiglia molto giovane e dopo il diploma si trasferisce a Londra per 6 anni dove si laurea in animazione alla University of the Arts. Tornata a Firenze da poco, è freelance in animazione e illustrazione per BBC e per diversi clienti in UK, USA e Giappone. Il colore e la cosa più importante nel suo lavoro. Ancor prima di formulare un concetto arriva una palette. Lavora quasi esclusivamente in digitale/no waste a meno che non stia dipingendo sui muri, cosa che le piace molto. Il resto del tempo fa lunghi viaggi, contempla, assaggia, legge i fumetti, guarda molti film e ascolta serie musichine. Cose preferite: lo spazio, le piante, i dinosauri, l’estate e i pupperi. Ginevra was born in Fiesole, at a hospital that no longer exists. She grew up in a young family and got her college degree in engraving from Istituto D’arte in Porta Romana. Right after that she went to London and stayed there for 6 years where she also graduated first class in Animation at University of the Arts. She signed her first contract at Passion Pictures to then become an Editorial Illustrator at the BBC. Back in homeland she’s now freelancing as Animator and Illustrator for the BBC and other clients between the UK, US and Japan. Colors are the main thing in her work. Even before thinking of a concept she thinks of color palettes. Almost all her work is digital/no waste unless she’s painting on walls which she really enjoys. The rest of the time she takes long trips around the world, contemplates, tastes foods, reads comics, watches lots of movies and listens to some fine beats. Favorite things: space, plants, dinosaurs, summer and puppers. • .34


n i o c l a l o F Non c’è problema presenta

e s t i v r al F e m m u S

Comune di Follonica

#sempremeglio

Direzione Artistica Paolo Ruffini

3AGOUP&DOWN CRISTIANO 5AGO DE ANDRÈ OLL F 7AGO I N G R E SSONICA SO LIBERO ANTONELLO 9AGO VENDITTI 11AGO CARL BRAVE

4AGO PERSEFONE FIORELLA 6AGO MANNOIA KETA 8AGO M¥SS IVREATRONIC VIBRAZIONI 10AGO LEOPENING TRICARICO 12AGO TEDUA RKOMI ERNIA PARCO CENTRALE 13 PANARIELLO F O L L O N I C A AGO CONTI PIERACCIONI PAOLO RUFFINI

BIG NIGHT

OPENING LA MUNICIPAL

PREMIO

INGRESSO LIBERO A INVITO



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