FUL | Firenze Urban Lifestyle #37

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LUCA BARCELLONA arte

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MANFREDI LUCIBELLO cinema

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AURELIO AMENDOLA

Testimoniare la città, essere presenti e raccontarvela, esserci: questo è il nostro compito. Ma esserci è anche il vostro: che sia guardare uno spettacolo, visitare un museo, passeggiare in centro o mangiare fuori, scegliere consapevolmente è fondamentale. Non riteniamo sia il nostro compito primario schierarci politicamente, ma non abbiamo mai voluto nascondere le nostre posizioni su temi che ci stanno a cuore e soprattutto in questo periodo sentiamo l’esigenza di manifestare la nostra avversione verso un certo tipo di politica che è coercizione, razzismo, xenofobia. Noi vogliamo una Firenze multiculturale e aperta (non a caso abbiamo avuto per molti anni una rubrica dedicata agli stranieri a Firenze e ai fiorentini all’estero), attenta all’ambiente e a chi è meno fortunato. Una città europea, moderna, dove la storia conviva con l’innovazione. Insomma, avete capito dove sta il nostro cuore, riflettete dove sta il vostro e recatevi alle urne! Annalisa Lottini, Marco Provinciali, Jacopo Visani

AVETE QUALCOSA DA RACCONTARE? La creatività non conosce confini: fotografia, moda, danza, musica, design, viaggi, letteratura, cinema, teatro, natura... qual è la vostra musa? Contattateci per proporre collaborazioni, articoli, eventi. Like us on Facebook. Tweet us. Follow us. Read us. Love us. www.firenzeurbanlifestyle.com FB: ful.magazine IG: ful_magazine Twitter: ful_magazine

Aut. del Tribunale di Firenze n. 5838 del 9 Maggio 2011 Direttore responsabile Riccardo Basile Proprietario FMP Editore e realizzazione grafica Ilaria Marchi

Ideazione Marco Provinciali e Ilaria Marchi Coordinamento editoriale Annalisa Lottini Se sei interessato all’acquisto di uno spazio pubblicitario: marco@firenzeurbanlifestyle.com tel. 392 08 57 675 Se vuoi comunicare con noi ci puoi scrivere ai seguenti indirizzi: ufficiostampa@firenzeurbanlifestyle.com redazione@firenzeurbanlifestyle.com commerciale@firenzeurbanlifestyle.com Copertina: Rmogrl8120 Titolo: Linea rossa Tecnica mista su legno 56x61cm - 2018

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L’EXTRAVERGINE IN TAVOLA gusto

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CANDREVA musica

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TREKKING CAPRAIA natura

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NEGRONI cocktail

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VALERIO AIOLLI libri

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PODERE LA REGOLA vini

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DUCCIO MARIA GAMBI design

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MANIFATTURA TABACCHI cultura

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SPAZI SOSPESI architettura

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ILLUSTRE FRECCIA pagina dell'artista

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ful arte

LUCA BARCELLONA DALLA SCENA HIP HOP ALLA CALLIGRAFIA Da writer e MC negli anni ’90 a calligrafo di fama mondiale: abbiamo incontrato Luca Barcellona per un’interessante chiacchierata sulla sua arte, sul suo stile, sui suoi lavori e per qualche curiosità su Firenze. Testo di Jacopo Visani, Foto di Luca Barcellona

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iao Luca, partiamo dalle tue origini: la “scena hip hop” e il writing degli anni ’90. Cosa ti ricordi di quell’epoca e come ha influenzato quello che fai adesso? Un periodo bellissimo, in cui nessuno si rendeva realmente conto che stava mettendo le basi per quello che ci sarebbe stato dopo. Eravamo semplicemente impegnati a farlo, in maniera entusiasta e quasi maniacale. È stato formativo in tutti i sensi, il movimento hip hop mi ha dato un’identità e una collocazione in un’età in cui in genere si è molto confusi e smarriti. La mattina andavo a scuola di grafica, poi dipingevo un vagone in deposito, o andavo da Wag a vedere le fanzine e i dischi che uscivano, poi ma.4

gari alla Pergola al concerto dei Sangue Misto, e poi, sulla macchina dei pochi che l’avevano, ancora a dipingere un treno. Le mie giornate passavano così. È chiaro che tutto questo ti segna e ti rende diverso. Non ne sono uscito del tutto indenne, ma sono fiero di averlo vissuto, ripeterei tutto. Quali altre influenze hanno contribuito a sviluppare il tuo stile? Ovviamente non solo influenze nel campo del lettering; l’ispirazione può venire da qualsiasi forma che siamo capaci di vedere. Può essere un elemento architettonico o di design, che poi applichi alle lettere. Attingo quasi sempre dal passato: copertine di libri, dischi, insegne. Bisogna saper guardare dove gli altri non vedono. Poi si tratta di met-


tere in correlazione i diversi linguaggi, come ho fatto con la calligrafia tradizionale e le forme più spontanee del writing. Credo abbia funzionato, dato che molti stanno facendo lo stesso. Come definiresti il tuo stile e come lo si può posizionare rispetto alla calligrafia “tradizionale”? Fortunatamente non credo di avere un solo stile, inteso nel senso calligrafico del termine. Anzi, è una cosa dalla quale rifuggo perché ne puoi diventare succube. Direi piuttosto che c'è una riconducibilità ai diversi tratti che ho esplorato. Quello che faccio è assolutamente consequenziale alla calligrafia del XX secolo. Cambiano il contesto e gli strumenti. Ma mi sento parte della storia della scrittura, nella misura in cui non avrei potuto dare il mio contributo senza i grandi maestri del passato, e allo stesso tempo sviluppando una mia visione contemporanea. Il rapporto allievo-maestro è fondamentale. Che rapporto c'è tra forma e contenuto nelle tue creazioni? Beh, penso il medesimo che c'è nello scegliere il carattere tipografico giusto per un testo. Con la differenza che con la calligrafia non si utilizza un sistema modulare, ma si crea un lettering ad hoc ogni volta. Questo mi spinge a trovare sempre nuove soluzioni, o a usare il “mestiere”, ovvero applicare l’esperienza alla situazione. Si può enfatizzare un concetto con il lettering giusto (pensate al gotico per il genere horror o metal), oppure ribaltarlo completamente, scrivendo ad esempio un affettuoso messaggio di auguri con un carattere violentissimo che gronda sangue! La calligrafia può essere anche molto ironica, come succede nei miei workshop di “Lettering nel cinema”: l’ultima volta

uno studente ha sostituito il titolo della locandina di un Peplum con un lettering perfetto che diceva “Maciste contro il Milanese imbruttito”, con la M che richiama la forma del Duomo. Divertentissimo! Immagino che il rapporto con alcuni dei tuoi committenti non sia facile. Come fai a trovare il giusto compromesso per rispettare il tuo stile e garantire i loro interessi? Lo dico sempre: è una questione di dialogo con l’utilizzatore finale. Bisogna tirar fuori l’idea che il tuo cliente ha, perché ne ha sempre una, anche quando dice “fai tu, mi fido”. Servono sempre riferimenti visivi, perché chi ti chiede di risolvere questo problema non ha le competenze per spiegarti completamente quello che vuole con i termini giusti. Bisogna spiegare, parlare, proporre, se serve anche lottare, per arrivare a un risultato che soddisfi entrambi. E nel frattempo si fa cultura sull’argomento. Quali sono i lavori ai quali sei più affezionato e hai in serbo qualche progetto interessante per il futuro? I lavori che ricordo con più piacere sono di due tipi: i lettering per packaging molto popolari come Absolut, e quelli per lo spettacolo, come C’era una volta a Roma e le performance con il karateka Dario Marchini e il pianista Cesare Picco al teatro Dal Verme a Milano. Ho ancora i brividi a pensare a quella performance. Progetti in cantiere ne ho parecchi, di sicuro un paio di libri di imminente uscita. Poi ci sono quelli lavorativi, che mi impegnano quotidianamente: loghi commerciali per grandi aziende e piccole cose per progetti in cui credo, come le copertine di dischi autoprodotti per amici o eventi come il Bike Pride. Cerco sempre di tenere un equilibrio tra questi impegni,

Bisogna saper guardare dove gli altri non vedono.

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anche distanti tra loro. Per quanto riguarda la musica, mi interessa far conoscere quello che scopro nel digging con la radio (WAX UP! su radioraheem.it) e nei Dj Set. Ai live ho detto basta nel 2016, ma non è detto che non registri cose nuove. Per me resta una grande passione. Cosa ne pensi della scena hip hop contemporanea italiana? Mi interessa altra musica, quella che colleziono in vinile. Fra questi anche classici hip hop anni ’90. Però sono felice che persone come Johnny Marsiglia, EGreen, e artisti più conosciuti come Salmo abbiano portato gran spolvero a questo genere. Tutto il fenomeno trap invece non mi interessa, perché non penso che parli alla mia generazione. È giusto che la ascolti un pubblico più giovane, che ci si riconosce. Francamente mi preoccupano i miei coetanei che la ascoltano! In generale, la musica è un viaggio infinito e bellissimo, non mi limiterei mai a un solo genere. Cosa pensi di Firenze? Hai qualche ricordo particolare della nostra città? È la mia seconda casa! A Fiesole abitano dei carissimi amici, ho pensato più volte di trasferirmi lì! Ricordo una performance nella quale proiettavo la mia scrittura sulla facciata di Santo Spirito con Andrea Mi che metteva la musica di Umiliani, Piccioni e Trovajoli. È stato veramente incredibile! Grazie Luca, allora ci rivediamo presto a Firenze! • www.lucabarcellona.com

ENGLISH VERSION>>>> We met Luca Barcellona, writer and MC during the ’90s and actually one of the most famous calligrapher, to chat about his art and style. Luca, let’s talk about your origins: hip hop and writing. Which are your memories and how much did they influence you? It was a wonderful period: we were all enthusiast and we didn’t know that we were putting the basis for our future. Hip hop gave me an identity in a period in which I was so confused and lost. In the mornings, I went to graphic school or to Wag to look for fanzines and cds, and after to the concerts of Sangue Misto or to paint a train in a deposit. How much these influences contributed to create your own style? Inspiration comes up from everything you see: not only lettering but also design or architectural elements. I draw a lot from the past: books’ covers, old vynils, signs and much more. It’s a matter of correlating these languages with others as I did with calligraphy and lettering. How would you define your style? I think I don’t have just one style – calligraphy speaking, but there is a common ground between the various traits I tried. What is the relationship between form and content in your creations? It’s like choosing the right typographical font for a text, with the difference that in calligraphy we create ad hoc lettering every time. This pushes me to find new solutions every time. Which are your favourite artworks and which are your new projects? My favourites are the lettering for a very popular packaging (as Absolut) or shows (as C’era una volta a Roma) and performances like the one with karate man Dario Marchini and pianist Cesare Picco. I have different new projects as publishing books and commercial logos for products and events (as Bike Pride). And what about hip hop? I’m still interested in Italian hip hop music and I like artists as Johnny Marsiglia, E Green and Salmo but I’m not really interested in trap music: it’s definitely not my kind of music What do you think about our city? It’s my second home. Some of my dearest friends live in Fiesole and many times I thought about moving there. I remember a performance in which we projected my writings over Santo Spirito façade with the music of Umiliani, Piccioni and Trovajoli. It was awesome! • .6


ful cinema

TUTTE LE MIE NOTTI IL PRIMO FILM DI MANFREDI LUCIBELLO L’opera prima di Manfredi Lucibello, un noir avvincente con interpreti di richiamo e produzione dei fratelli Manetti. Testo di Rita Barbieri

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na ragazza giovanissima e bellissima che corre, con il vestito strappato, in piena notte in mezzo a un bosco. Sembra l’incipit di una favola dei fratelli Grimm, ma non lo è. È invece l’inizio, in medias res, del primo lungometraggio di Manfredi Lucibello, presentato ad aprile 2018 alla Festa del Cinema di Roma. Un thriller psicologico, con connotazioni drammatiche e colpi di scena. Tutto accade in una notte, una notte che rivoluzionerà per sempre le vite dei tre personaggi interpretati da Barbora Bobulova, Benedetta Porcaroli e Alessio Boni. Una notte che sembra lunghissima, dilatata e dilagante, in cui tutto può e deve succedere: confidenze, segreti, bugie, misteri e decisioni che, con le prime luci dell’alba, troveranno il loro giusto ordine. Perché la ragazza corre disperata? Da chi o da che cosa sta fuggendo? Perché una donna adulta, matura, si ferma e la carica in macchina? Qual è il ruolo del protagonista maschile in questo triangolo, che di regolare non ha nemmeno i vertici? Ne abbiamo parlato con il regista. Manfredi come nasce l’idea di questo film? Inizialmente volevo raccontare la storia dal punto di vista del prota-

gonista maschile, Vincenti, interpretato da Alessio Boni. Un imprenditore schiacciato dalla crisi che, per salvare se stesso, ricorre a tutto, compresi mezzi illegali. Ma poi, sono rimasto irretito dal fascino di queste due figure femminili: Veronica, alias Barbora Bobulova e Sara, Benedetta Porcaroli. Ho visto la storia cambiare insieme al loro punto di vista: come in un caleidoscopio che, a seconda di come lo guardi, modifica la realtà. Non sono riuscito a resistere e ho deciso di cogliere la sfida e dipanare la trama da un’altra prospettiva. Infatti le due protagoniste femminili, pur essendo molto diverse tra loro, nel corso di una sola notte si trovano ad affrontare paure e decisioni che, invece, sono fin troppo simili... Esatto. Si tratta di due personaggi quasi opposti: una giovane, trasgressiva, annoiata e inesperta, una più adulta, matura, affermata e rispettata. Una prostituta e un avvocato. Due personaggi che nascondono ombre, pericolosi anfratti bui e paure totalmente umane. Due donne che, ciascuna a suo modo, lottano per scoprire e ricostruire una verità che si rivela a momenti e a tratti. Due donne che possono scegliere di coalizzarsi o di allontanarsi e separarsi, andando alla deriva. Al vertice della vicenda c'è il protagonista maschile. Qual è il suo ruolo? 7.


Vincenti è un po’ il deus ex machina che mette in moto l’azione: senza di lui le due donne non avrebbero motivo né occasione di incontrarsi e si può dire che, senza di lui, l’intera vicenda non sarebbe potuta accadere. Nonostante nel film il protagonista maschile compaia poco, la sua presenza è determinante ai fini dello sviluppo della trama. Questo film è stato classificato sia come thriller che come dramma, tu come lo definiresti? Volendo cercare una collocazione direi che ha tutti gli elementi per rientrare dentro quella categoria di ‘cinema di genere’ che è il noir: che sento mio e a cui ho voluto tendere. Questo è un film che vuole portare alla luce, letteralmente, le tenebre che abitano la psiche di ognuno. È una storia di anime nere, sole, che disperatamente cercano di salvarsi. Ma è anche un film con un forte messaggio positivo, perché parla della ricerca della verità, della luce che non è in fondo al tunnel ma al termine della notte. Ed è anche un film con valori forti come l’alleanza e la solidarietà femminile, l’etica e la crescita individuale. Com’è stato lavorare con degli attori di questo calibro? Emozionante e bellissimo. Si sono rivelati tutti e tre dei professionisti molto seri e dei collaboratori affidabili: se Barbora e Alessio sono facce note per il pubblico italiano, Benedetta invece, quando l’ho scelta, era proprio agli inizi. Si è dimostrata fin da subito un vero talento e sono sempre più convinto di aver fatto la scelta giusta ad affidarle il ruolo. Come sei arrivato, a meno di 35 anni, a realizzare il tuo primo lungometraggio? Qual è stato il tuo percorso? Direi che il mio è stato il più canonico dei percorsi. Mi sono laureato al DAMS a Bologna e nel 2010 ho scritto e diretto il mio primo corto: Storia di nessuno. Il film, che ha partecipato a più di 20 festival in tutto il mondo, è stato l’unico italiano presente al Los Angeles Film Festival e all’European Independent Film Festival di Parigi, ed è stato scelto per rappresentare l’Italia alla Biennale dei Giovani Artisti del Mediterraneo del 2011. Ha vinto numerosi premi internazionali tra cui il Prix Courts du Polar 2011, premio per il miglior cortometraggio al festival internazionale del Noir di Lione. Nel 2013 ho realizzato Centoquaranta .8

Il regista Manfredi Lucibello


- La strage dimenticata, film documentario sulla strage del Moby Prince, vincitore del Fondo Toscana Cinema, e nel 2015 ho girato un altro documentario: Il paese perduto insieme allo storico Ernesto Galli della Loggia. Dopo questi passaggi, ho sentito che era giunto il momento di fare il passo e lanciarmi nell’impresa di scrivere e girare il mio primo film: il soggetto e la sceneggiatura sono frutto del mio lavoro e di quello di Andrea Paolo Massara, mentre tra i produttori figurano i fratelli Manetti e Carlo Macchitella, sempre disponibili a sovvenzionare opere che intendano percorrere strade poco battute dal cinema nostrano. Mi sono sentito onorato della fiducia che mi hanno accordato: nonostante si tratti di un film low budget, l’investimento è comunque serio e sono felice di aver avuto questa opportunità. Il cinema italiano contemporaneo si sta aprendo sempre di più ai registi giovani e questo è un grande incoraggiamento. Il cinema italiano, sia classico che contemporaneo, ha senz’altro prodotto ottimi film. Qual è il tuo preferito? Tanti. Troppi. Così su due piedi ti citerei quel grandissimo capolavoro che è C’era una volta il west con la sceneggiatura di Sergio Leone, Bernardo Bertolucci e Dario Argento: con una triade così, non poteva che essere un grandissimo film. Indimenticabile. «Domani torniamo a essere quelli di ieri» dice Federico Vincenti, alias Alessio Boni, in una battuta del film. Forse. Ma ci sono notti che segnano e che cambiano. Notti in cui tutto è possibile, in cui complice l’oscurità, l’anima umana rivela uno dei colori primari della sua tavolozza: il noir. •

ENGLISH VERSION>>>> A young beautiful girl running in a forest in the middle of the night: it’s not the beginning of a Grimm’s fairytale but the first movie of Manfredi Lucibello, presented in April 2018 at Festa del Cinema di Roma. A psychological and dramatic thriller, where everything is happening in a single night, a night that will change the life of the three characters, played by Barbora Bobulova, Benedetta Porcaroli and Alessio Boni. We talked about it with the director. Manfredi, how was the idea of this movie born? At first, I wanted to tell the story from the male’s point of view but then, I was fascinated by the two female’s characters and I suddenly decided to tell the story from their point of view. I couldn’t resist this big challenge! Both women are strong personalities, even if they are almost opposites: one is a young prostitute, unconventional and immature, the other is a respectable lawyer, mature and well-known. Both hide their shadows and fears and are fighting to find out the truth, which is revealed very slowly. On the other side, there is the male’s character: although he rarely shows up, his presence is decisive to the plot. How would you define this movie? I think it has all the elements to be considered a ‘noir’: it’s a movie that tends to bring to light, literally, all the shadows hidden in human psyche. It’s the story of lonely and dark souls, who are desperately trying to save themselves. But it’s still has a strong positive message, because it deals with the truth and the light – which is not at the end of the tunnel, but at the end of the night. How did you succeed in shooting your first own movie before 35? I got a degree in DAMS in Bologna in 2010 and then I directed my first short film Storia di nessuno which was presented in more than 20 international festivals and won the Prix Courts du Polar 2011 in Lione. In 2013 I realized Centoquaranta La strage dimenticata a docu-movie about Moby Prince tragedy, and then in 2015, together with the historian Ernesto Galli della Loggia, I directed another documentary, Il paese perduto. After these experiences, I felt that it was the moment to try to write and direct my first feature film: subject and screenplay are made by me and Andrea Paolo Massara, while for the production I can thank Manetti Bros and Carlo Macchitella, very attentive to new talents. • 9.


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AURELIO AMENDOLA IL FOTOGRAFO DI MICHELANGELO Con le sue immagini dei capolavori mondiali, il maestro della fotografia di scultura ha permesso di ripensare alla storia dell’arte con occhi nuovi. testo di fabrizio gitto, fotografie di aurelio amendola

Firenze -1980

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razie ad abili giochi di luci e a prospettive insolite, Aurelio Amendola (Pistoia, 1938), nel corso della sua carriera, ha fatto conoscere i maestri della scultura italiana in modo inedito, permettendo un contatto e una contemplazione con i capolavori come mai prima. Del 1994 è Un occhio su Michelangelo, volume dedicato alla Sagrestia Nuova di San Lorenzo a Firenze, con il quale vinse il Premio Oscar Goldoni per il miglior libro fotografico italiano, mentre di dieci giorni fa è la sua ultima pubblicazione per Treccani, un’edizione limitata di lusso sui capolavori di Bernini. 11.


Con un’umanità e una genuinità ormai rare, l’autore ci ha accolto nello studio di Pistoia per parlare insieme della sua passione per la scultura. Ha raccontato in varie interviste della sua formazione da autodidatta e dei suoi esordi come fotografo di cerimonie. Com’è avvenuto il passaggio alla fotografia artistica? Nel 1964 conobbi, attraverso l’amico Marino Marini, lo storico dell’arte Gian Lorenzo Mellini che mi propose di fotografare il pulpito trecentesco di Giovanni Pisano nella chiesa pistoiese di Sant’Andrea. Fu una scoperta lavorare con la scultura e dovetti sperimentare molto. Negli anni Sessanta, infatti, nessuno fotografava questo tipo di soggetto e non avevo punti di riferimento validi. Immediatamente, però, mi resi conto che ero nato per fotografare la scultura. Dai primi anni Settanta iniziai ad alternare la fotografia d’arte a quella di cerimonie, fino a quasi la metà degli anni Ottanta, quando la prima mi permise di mantenermi autonomamente. Lei è riconosciuto colloquialmente come ‘il fotografo di Michelangelo’. Come ha ‘conosciuto’ il genio cinquecentesco? Fotografare le opere di Michelangelo era un mio grande desiderio. L’occasione venne agli inizi degli anni Novanta, quando il presidente della Cassa di Risparmio di San Miniato mi propose la pubblicazione di un libro con soggetto libero. Io non credetti alle mie orecchie e, senza pensarci due volte, proposi la Sagrestia Nuova di San Lorenzo, da cui venne fuori il volume del ’94. Negli anni mi misurai anche con le tre Pietà e il David e tornai a fotografarli più volte perché sentivo l’esigenza di trovare nuove soluzioni estetiche. Si nota bene, infatti, come nelle ultime fotografie la sensualità delle figure michelangiolesche viene esaltata come non mai, grazie soprattutto a un nuovo gioco di scorci e di luci. Quindi, potremmo dire, che l’illuminazione, ancor prima della macchina fotografica, è il suo strumento principale... Quando allestisco i faretti cambia tutto e solo così posso dar voce alle sculture. Durante la mia carriera ho sperimentato molto: nel passato includevo il contesto architettonico circostante, mentre oggi il soggetto scultoreo viene circondato dal buio totale e illuminato in modo tale da sembrare in carne e ossa. Proprio a causa della luce, impiegai un anno per fotografare gli interni della Basilica vaticana di San Pietro. Lì dovetti lavorare solamente con luce naturale e l’affluenza giornaliera di fedeli la sconvolgeva. Lavoravo dalle 7 alle 11 di mattina e prima del tramonto, quando la chiesa era meno affollata e la luce era ancora presente. Questo è stato il lavoro più difficile, ma alla fine sono riuscito a fotografare San Pietro vuota. Qual è il suo rapporto con il digitale e la tecnologia in generale? Le fotocamere digitali non mi piacciono e quelle dei cellulari le lascio utilizzare ai giovani. Ho notato, però, che le fotografie di

Sono dell’idea che bisogna fare le cose per bene, metterle da parte e aspettare il momento giusto per tirarle fuori.

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Duomo di Firenze - 2014

Benvenuto Cellini, Piazza della Signoria. Perseo con la testa di Medusa - 2006


scultura su Instagram ottengono molte visualizzazioni: vuol dire che c'è un interesse per questo tipo di lavoro. Io ancora oggi fotografo solo in analogico e ogni mattina alle 7 stampo nella camera oscura che ho in casa. Capisco che il digitale ha migliorato le dinamiche, soprattutto per il reportage, ma la mia arte non ne ha bisogno. Le sculture necessitano di silenzio, tempi lunghi e contemplazione: ogni mia fotografia ha una lunga gestazione, quello che scatto è quello che pubblicherò, senza l’esigenza della post-produzione. Senza dubbio, il ritratto di Giuliano de’ Medici della Sagrestia Nuova è la sua fotografia più conosciuta. Ci racconti come l’ha realizzata. Volevo fotografare il volto della scultura in modo perfettamente frontale e provai a sporgermi dal ponteggio con il mio banco ottico per avvicinarmi il più possibile. Tutt’ora non riesco a capire le vere dinamiche e a replicarle. Ha anche lei qualche ‘non finito’ come Michelangelo? Be’ come ogni fotografo ho dei progetti ancora in itinere. Per esempio, devo completare quello sul Duomo di Milano e quello su Canova, così da avere nel mio repertorio la triade dei più importanti scultori italiani: ho fotografato Michelangelo e Bernini e mi manca solo lui di cui ho del materiale, ma non ancora sufficiente. Poi, è da trent’anni che fotografo scorci insoliti di Firenze. Io sono dell’idea che bisogna fare le cose per bene, metterle da parte e aspettare il momento giusto per tirarle fuori. •

Giuliano De Medici (Michelangelo) - Cappelle Medicee 1992

ENGLISH VERSION>>>> Aurelio Amendola was born in Pistoia in 1938 and, during his long career, he presented us the masters of Italian sculpture in a new way, allowing a new contact and contemplation of art. In 1994 he won the Oscar Goldoni for the best photographic book with Un occhio su Michelangelo about Sagrestia Nuova of San Lorenzo in Florence and, just few weeks ago, he published a limited edition’s book about Bernini masterpieces. You start as a self-taught and wedding photographer, how did you become an artistic photographer? In 1964 I met, through my friend Marino Marini, the art historian Gian Lorenzo Mellini who asked me to take pictures of the pulpit of Giovanni Pisano in Sant’Andrea church in Pistoia. It was a huge challenge working with sculpture and I had to experiment a lot, but I immediately understood that I was born to be a sculpture photographer. In fact, you are known to be ‘Michelangelo’s photographer’, how did you make it? Take pictures of Michelangelo’s artworks was one of my desires, the chance came up when the president of Cassa di Risparmio of San Miniato proposed me to publish a book on a theme of my choosing. I decided for Sagrestia Nuova in San Lorenzo, soon after we published the book in 1994. In the following years I tried to work with the three Pietà and David too.

We should say that lightning, even before the camera, is your main device, isn’t it? Yes, when I set the spotlights everything changes and I can make the sculptures speak. Due to my researches on light effects I spent almost a whole year to take pictures of San Pietro Vatican Church: I worked from 7 to 11 am and before sunset, when the church was almost empty and the light was still present. What is your relationship with digital technology? I don’t like digital cameras but I noticed that pictures of sculpture are really appreciated on Instagram: it means that there is a kind of interest for this type of job. I still work in a traditional way: every morning at 7 am I print my own photos in my dark room. I don’t need digital technology for my art. Sculptures need time, silence and contemplation: each picture has a long process. The portrait of Giuliano de’ Medici is your most famous photo: how did you realize it? I wanted to take a frontal picture of the sculpture’s face and I tried to get as closer as possible, leaning on the scaffold: I really don’t understand how I was able to do it! Do you have any ‘unfinished’ project like Michelangelo? As all the photographers, I have some projects in itinere as Milan’s Duomo and one on Canova, and it’s almost 30 years that I am shooting the hidden corners of Florence: I think that we must do things properly, put them aside and wait for the right time to take them out again. •

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ful gusto

L’EXTRAVERGINE IN TAVOLA!

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’Italia è la nazione che in termini di cultivar olearie ha la biodiversità più estesa di tutto il panorama mondiale; da nord a sud del nostro stivale sono oltre 500 le tipologie di olive da cui otteniamo il nostro amato prodotto, una vastità assoluta che regala agli chef (attenti) una immensità di gusti e sapori con i quali giocare, divertirsi e far divertire. Basta questo breve incipit per capire quanto l’extravergine sia un prodotto importante per la nostra cultura gastronomica, oro verde che ha ancora moltissimi segreti da svelarci. In effetti parliamo di olio solamente nel periodo della frangitura quando, da ottobre a dicembre, l’extravergine specialmente in Toscana diventa il protagonista assoluto delle nostre tavole... e dopo? E dopo per molti torna ad essere un semplice condimento, spesso anche per ristoratori e chef, e questa è una delle note più negaTesto di Marco Provinciali, Foto di Luca Managlia tive della nostra cultura olearia. Avendo a disposizione questa incredibile ricchezza abbiamo bisogno di conoscere in maniera meno superficiale questo prodotto simbolo della nostra cultura. Ne dovremmo parlare sempre! E ci riferiamo alla stampa e gli addetti ai lavori... Prima di tutto perché l’olio fa bene: a dicembre 2018 è stato riconosciuto a tutti gli effetti un medicinale dalla Food and Drug Administration, e poi perché, in autunno come in estate, l’olio, gli oli sono in grado di regalare ai nostri piatti incredibili varietà di gusto e sapore. Negli ultimi 10 anni l’interesse verso l’extravergine si sta evolvendo, sono nate molte realtà che organizzano corsi per approfondirne la conoscenza, (vi abbiamo parlato spesso dei corsi organizzati a Firenze dall’associazione A.I.R.O.), la letteratura in merito all’extravergine è sempre più ricca ma, soprattutto, stanno nascendo sempre più di frequente oleoteche e ristoranti che dedicano un’attenzione verticale al nostro oro verde. Ecco che vi portiamo alla scoperta di due realtà fiorentine dove “tuffarvi” nell’extravergine sarà un assoluto piacere.

In estate c'è più gusto! Alla scoperta di due ristoranti fiorentini in cui l’olio di qualità è alla base del servizio.

ENGLISH VERSION>>>> Italy has a huge biodiversity in terms of olive’s cultivar: from north to south there are more than 500 types of olives from which we obtain our oil and chef can play with their different flavours. Usually we talk about oil only during the period of pressing, between October and December, and afterward? It becomes just a seasoning, but we should pay more attention to the green gold. First of all because extra virgin olive oil is good for our health: on December 2018, it was declared a medicine by the Food and Drug Administration and then because in every season, oils are able to add incredible flavours to our dishes. In the last ten years the interest towards EVO oil has increased: many associations organize courses and oil tastings (e.g. AIRO in Florence), the literature on olive oil is getting richer and, most importantly, more often restaurants dedicate a special attention to oils. There are two restaurants in Florence and surroundings that are devoted to oil: Olivia, in Pitti Square and Ristorante al 588, inside Relais Borgo i Vicelli, close to Bagno a Ripoli. Olivia is a spin off restaurant of Santa Tea oil’s mill. Here, the owner Serena Gonnelli has created her own paradise. In this Olive Oil Concept space you can buy 15 different kinds of oil, eat at the restaurant the exclusive oil-based recipes created by chef Giacomo Piazzesi, or attend some courses. Ristorante al 588 with its amazing location was opened by Giulia Franco, who entrusted the kitchen to chef Andrea Perini. He is called “the extravirgin’s chef ” and likes to experiment with different oils, creating extraordinary and unique dishes. He uses more than 100 different varieties of EVO oil, because every dish has his own perfect oil! • .14

OLIVIA

Ristorante al 588


La prima che vi presentiamo si chiama OLIVIA,si trova in piazza Pitti ed è il ristorante spin off del frantoio di Santa Tea. Qui la titolare Serena Gonnelli ha creato il suo angolo di paradiso, il suo punto di incontro tra il mondo dell’olio in cui è cresciuta e quello amato della ristorazione. In questo spazio Olive Oil Concept, potrete acquistare ben 15 tipologie di olio differenti, prodotte con maestria dal frantoio di famiglia. Qui potrete anche approfondire la vostra conoscenza dell’extravergine con i vari corsi che il ristorante organizza per piccoli gruppi di persone. Se invece avrete voglia di stuzzicare il vostro palato con le delizie del menù basterà affidarvi alle mani del bravissimo chef Giacomo Piazzesi che seguendo i ritmi della stagionalità dei prodotti non mancherà di esaltare ogni suo piatto con il più adatto degli oli a sua disposizione. Che cosa vi consigliamo?

Semifreddo al lime con cantucci di Prato alle mandorle e caviale di olio: olio Raccolta di Oliva Nera.

Blend di frittini misti in olio evo: olio Piave della produzione Santa Tea.

La seconda realtà fiorentina che tutti gli amanti dell’extravergine devono conoscere è il Ristorante al 588, interno al relais Borgo i Vicelli di Bagno a Ripoli, una fantastica location a due passi dalla città dove Giulia Franco, la proprietaria, ha affidato la cucina allo chef Andrea Perini definito da tutti lo chef all’extravergine. Il motivo di questa “etichetta” è facile da spiegare, di fatto lo chef impiega nell’arco dell’anno oltre 100 tipologie di olio che siano monocultivar o blend provenienti da tutta Italia. Questo perché appunto, ogni piatto ha il suo olio. Che cosa vi consigliamo?

Caro nonno: olio in abbinamento Ruggente di Castel Ruggero Pellegrini.

Gin e tartare: olio in abbinamento Selezione Grandis della Ranocchiaia. 15.


ful musica

CANDREVA: L’INDIE AL TEMPO DELLA MUSICA USA E GETTA Si sono già affacciati nel panorama musicale italiano e stanno per lasciare il segno, intervista a Nicola e Michele, in arte: Candreva. Testo di Annalisa Lottini, Foto di Martina Ridondelli

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icola Donati e Michele Ciaffarafà sono due giovani, due musicisti, due amici: Nicola, è graphic designer, Michele geofisico. Si sono conosciuti sei anni fa a Pisa, dove Nicola vive e Michele è andato a studiare. Accomunati dalla passione per la musica hanno cominciato a suonare insieme e così è nato il progetto Candreva. Can-dre-va: come un misterioso acronimo da sciogliere sillaba per sillaba? No, Candreva come il calciatore che una sera, durante un ritiro musicale sull’Amiata, si sono ritrovati a guardare in tv. Era l’estate degli ultimi mondiali, quelli in cui l’Italia non si è qualificata, e Antonio Candreva spiccava non solo per la sua barba un po’ hipster .16

ma anche per la sua generosità, e aveva un cognome che suonava proprio bene... Dopo mille altre ipotesi, Candreva piaceva a tutti ed è rimasto, ha preso forma e sostanza. Se frequentate il lungarno del Tempio nelle luminose e calde serate dell’estate fiorentina, potreste averli già incontrati. Infatti, lo scorso agosto il Ci giri in tour li ha portati a Monza, Firenze, Pisa e in Basilicata, con i loro brani: Ci giri intorno, I Natali a colori e altri inediti. Da allora sono passati pochi mesi, ma i Candreva si sono dati incredibilmente da fare: hanno attivato un crowdfunding per coprire parte dei costi di produzione del loro primo album, hanno scritto molte altre canzoni, hanno vagliato una serie di produttori e adesso


stanno collaborando con l’etichetta Clinica Dischi di Sarzana. A giugno uscirà un nuovo singolo, Sbagli, e in autunno Supermercati, il primo album, che abbiamo potuto ascoltare in anteprima: ritmi e arrangiamenti elettronici, testi originali e melodie che ti entrano in testa. Nicola e Michele hanno una visione disincantata del mondo di oggi e in Supermercati hanno cercato di trasmettere dei contenuti importanti in maniera leggera. Si tratta di un album che si pone come uno specchio della nostra società: «Supermercati parla di due persone. Due persone sole che, al centro di un ciclone fatto di bisogni sempre nuovi, e oggetti o idoli da desiderare, smettono di desiderarsi e diventano oggetti» dice Nicola, cantante, bassista nonché compositore dei testi. In questa società effimera e di consumo consideriamo le persone come oggetti svuotati, come «ostriche senza perla», scegliamo le persone come prodotti sullo scaffale per poi disfarcene come «gli ombrelli al cinema quando non piove più» o «come sigarette bruciate male baciate e poi gettate via» – così recitano i testi delle loro canzoni. La noia non esiste più perché siamo abituati a stare sempre al cellulare, ed è tutto sempre più ridotto alla dimensione del singolo, tutto è mono-porzione. Anche la musica è diventata «one-bite» e la tendenza è quella di non ascoltare gli album nella loro interezza ma i singoli. Come se non ci fosse più il tempo da dedicare alla scoperta di nuovi brani e autori e la calma necessaria a far sedimentare le loro creazioni. Eppure, come non mai, viviamo in un’epoca in cui – un po’ come nell’editoria – tutti possono cimentarsi e produrre dei brani, ma quelli che li ascoltano e si interessano ai nuovi talenti sono sempre di meno. Non c'è più spazio per la sperimentazione, c'è così tanta

ogni cosa che muore per esempio quello che senti oggi sotto il mare può rinascere

scelta che per la maggior parte delle persone è molto più semplice ascoltare quello che propone il mercato. «Specialmente per un musicista è importante ascoltare tanta musica e tanti generi diversi, perché ogni genere ha le sue peculiarità» dice Michele, che sta alla tastiera e si occupa degli arrangiamenti. I Candreva si sono formati ascoltando Bluvertigo, Moderat, Cani, Mac DeMarco, Tame Impala, Radiohead e anche riferimenti più cantautorali come Tenco, Gaber, De Andrè e Battiato. Ma continuano ad ascoltare di tutto, anche e soprattutto gruppi indipendenti. Dei due, Nicola è quello più impulsivo mentre Michele quello più preciso e razionale, due spiriti diversi che si complementano, che stanno crescendo e costruendo il loro mondo musicale affidandosi all’istinto e cercando di delegare il meno possibile agli altri. «L’importante è essere sinceri in quello che si fa» dice Nicola, «metterci se stessi». Non ci resta che fargli un enorme in bocca al lupo e aspettare l’uscita del loro album.• ENGLISH VERSION>>>> Nicola Donati and Michele Ciaffarafà are two young musicians and friends: Nicola is a graphic designer, Michele is a geophysicist and they met six years ago in Pisa, where Nicola lives and Michele went to study. They started playing together and then Candreva’s project was born: Candreva as the last name of a famous Italian football player they were watching on tv. Last August they played their music across Monza, Florence, Pisa and Basilicata with “Ci giri intorno” tour, and then they started a crowdfunding campaign to cover the costs for the production of their first album, they wrote a lot of new songs and they are now cooperating with Clinica Dischi label. In June, they will release a new single, Sbagli (mistakes), while in autumn will come out their first album, Supermercati (supermarkets): electronic arrangements, original texts and catchy melodies. They both have a jaded vision of the world and they try to transmit meaningful contents in a subtle and light way. Their album is a mirror of our society: «Supermercati is about two people, in the middle of a storm made of new needs, objects or idols to desire, who stop desiring each other ending becoming like objects» Nicola says. In this flimsy and consumerist society, we consider people as empty objects, as «oysters without pearls», we choose people like products on the shelves, only to get rid of them like «umbrellas in the cinema, after the rain stops» as their lyrics say. Boredom doesn’t exist anymore, because we are used to scroll our phones all the time and everything is single-serve. Candreva is a project made of two different spirits: Michele more rational and precise, Nicola more impulsive, they complete each other and they are growing up, creating their own musical world. «The important thing is to be honest in what you’re doing and putting yourself out» says Nicola. • 17.


ful natura

I LOVE TREKKING: CAPRAIA, LA SELVAGGIA La solita isola bagnata da un mare cristallino? No, Capraia non è questo, non solo almeno. L’indomita atmosfera rende spettacolari le sue scogliere, i suoi rilievi, le sue acque, risveglia in chi la visita un primordiale senso di stupore e libertà. Testo e foto di Benedetta Perissi

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iù Corsica che Toscana, l’isola di Capraia emerge dalle acque del Tirreno con tutta la sua forza vulcanica, ben due sono i vulcani da cui ha avuto origine, per regalarci paesaggi infiniti e sensazioni ancestrali. Brulla, incontrare anche un pino a Capraia è cosa rara, è ricoperta interamente dalla macchia mediterranea, dai suoi profumi, dai suoi colori, soprattutto in primavera. I corbezzoli, gli asfodeli, i cisti, il mirto e l’elicriso, inebriano aria e occhi con le loro essenze; uno stato di estasi che può essere interrotto soltanto dall’irresistibile voglia di un bagno, appena ci si trova al cospetto di una delle cale bagnate da acque cristalline. Una delle sette perle che compongono l’Arcipelago Toscano, è la più occidentale, dista circa 30 chilometri dalla Corsica e 60 da Livorno, e fa parte del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, anzi, ne è stato proprio il nucleo iniziale, per tutelare il suo pregio naturalistico e la sua natura selvaggia. Circa 2/3 dell’isola sono disabitati, non ci sono strade se non sentieri, il centro abitato si estende con poche case dal porto fino al paese che sovrasta il golfo: tutto il resto è mare, scogliere, panorami mozzafiato. Il ridottissimo impatto antropico è probabilmente dovuto alla presenza dell’ex Colonia Penale, attiva fino a una trentina di anni fa. Sembra impossibile che Capraia, così bella, quieta e con pochissime barriere edilizie e arboree che permettono allo sguardo di spaziare oltre l’orizzonte, sia stato luogo di sbarre alle finestre e sconto di pene. Il carcere e la detenzione delle sue anime hanno però reso Capraia libera, libera da flussi turistici di massa e speculazioni edilizie, hanno reso la natura libera di prosperare e tu, fiorentino che con ogni probabilità non ci sei mai stato, libero di scegliere e cambiare destinazione. Sì, perché al largo della costa toscana, non c'è solo l’Elba. E ognuna delle sette isole dell’arcipelago è uno scrigno di natura, bellezza e salsedine, ognuna con .18


le sue peculiarità, ognuna con i suoi ottimi motivi per prendere un traghetto e andarla a visitare. Montecristo ha motivazioni in quantità per essere visitata ma essendo riserva integrale ha un accesso limitatissimo, e se la coda dal vinaino già vi spaventa, quella per approdare all’isola vi terrorizzerà: la lista d’attesa è lunga anni!

dito corso che mai altrove sembra così vicino. Per terminare, dopo circa 8 km, un bel dislivello (partendo dal paese) e un tratto finale di sentiero piuttosto disconnesso, alla bellissima Punta dello Zenobito, con la sua torre d’avvistamento, la spettacolare scogliera e la caratteristica terra rossa che dà il nome alla cala che fiancheggia

Nonostante il suo aspetto vergine che sembra il risultato di una tutela rigidissima come quella adoperata per Montecristo, per andare a Capraia non è necessario aspettare anni, servono poco meno di tre ore di traghetto da Livorno; di più rispetto alle altre isole, ma è anche un po’ più lontana dalla folla e frenesia a cui si è abituati, purtroppo anche in vacanza, a volte. Conoscere Capraia in barca solcando le sue acque, alla scoperta delle falesie che si incuneano nel mare blu, le grotte scavate al loro interno, la fauna ittica, è assai piacevole, ma la sua anima selvaggia si scopre solo se si solcano i suoi sentieri e si scollinano i suoi rilievi. L’isola è irradiata di percorsi escursionistici, che conducono alla scoperta di angoli nascosti e panorami altrimenti inediti. In circa tre giorni a piedi si gira quasi tutta l’isola, che è la terza per estensione dell’arcipelago dopo Elba e Giglio, per la precisione, e la difficoltà dei trekking che offre sono vari e per tutti. Per esempio, per raggiungere la bellissima Cala dello Zurletto basta un brevissimo trekking di 20 minuti che ha inizio dal paese, facilissimo quanto bellissimo sarà immergersi nelle acque limpide che bagnano questa cala. Un po’ più impegnativo da un punto di vista fisico, dato il dislivello iniziale in salita, ma percorribile facilmente, è l’itinerario trekking che conduce nell’area dell’ex carcere; salendo lungo la strada sterrata, oltre ai bei panorami sul porto si stagliano gli edifici abbandonati dell’ex casa di pena, in un’atmosfera quieta e al contempo turbata dalla storia del declino materiale e umano di quegli edifici. Per aspiranti selvaggi un po’ più allenati, il trekking che porta alla Punta dello Zenobito è perfetto: su mulattiere cinquecentesche, fra una fitta macchia mediterranea, al cospetto di panorami che si aprono fino al

il promontorio. Promontorio che altro non è che il camino di uno dei due antichi vulcani dell’isola. Dopo essersi goduti questi paesaggi unici però c'è da tornare indietro, tenete conto quindi di dover fare un percorso trekking di 16 km circa, con un bel dislivello, senza copertura arborea, ma dall’infinita soddisfazione. Capraia è stata detenzione per alcuni, vera evasione per altri, un ambiente aspro quanto straordinario, lontano dal caos, più vicino alla libertà, quella indomata.

Conoscere Capraia in barca è assai piacevole, ma la sua anima selvaggia si scopre solo solcando i suoi sentieri

Una trek experience di Andare a Zonzo www.andareazonzo.com ENGLISH VERSION>>>> More similar to Corse than Tuscany, Capraia island arises from Tirreno sea with its vulcanic nature, its breathtaking panoramas and ancestral sensations. It’s the most occidental of the seven pearls composing the national park of Tuscan archipelago, and it is 30 km far from Corse and 60 km far from Livorno. It was the original nucleus of the national park due to its wild nature and its naturalistic value. The major part of the island is uninhabited, there are no streets but just footpaths, only few houses close to the port and the gulf surrounded by the sea. The low human impact it’s probably due to the presence of the ex-penal colony, opened until almost 30 years ago: this kept Capraia free of massive tourism and building speculations. It takes only three hours by ferry to arrive to Capraia from Livorno, a little bit further than the other islands but is definitely more isolated and less crowded than the others. You can reach Capraia also sailing but you can really discover its wild nature only by walking its routes: the island is covered with hiking paths. It takes approximately three days to getting around the island, the third largest after Elba and Giglio, and trekking and hiking routes are of various degree of difficulty. For example, reaching Cala dello Zurletto it’s just a 20 minutes easy walk, but reaching Punta dello Zenobito it’s a little bit more challenging and hard. Capraia has been a center of detention for some and place of evasion for others: a harsh environment, extraordinary, out of chaos and close to indomitable freedom.• 19.


ful cocktail

CENT'ANNI E NON SENTIRLI Il Negroni compie 100 anni. Cronostoria della creazione di un mito... Testo di Julian Biondi

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orse non tutti sanno che il cocktail Negroni, quel delizioso threesome tra il voluttuoso Campari, il dolce Vermouth di Torino e quella piperina inglese chiamata Gin, questʼanno compie centʼanni. La storia di questo drink a Firenze è entrata così dentro la cultura popolare che il libro di Luca Picchi (Il cocktail negroni, Giunti Editore) ormai lo si trova sopra i comodini dei bambini insieme a Collodi e la Rowling. Comunque, per chi ancora non conoscesse la storiella, ci piace pensarlo così, quel giorno di cent'anni or sono: il conte Cam(m)illo Negroni, un gentiluomo dal passato rocambolesco e dal gomito facile, forse sul finire di una giornata lunga e particolarmente tediosa, entra al Caffè Casoni. È uno di quei bar che oggi verrebbero definiti de “la movida fiorentina”, ed è molto cool andare lì a sorseggiarsi un cocktail alla moda americana. È stanco, è nervoso, o forse è molto felice e vuole festeggiare qualcosa. Insomma fatto sta che chiede a Fosco, il suo barman di fiducia, di aggiungere una dose di Gin a quel solito aperitivo fatto di Vermouth e bitter. «È buono!», esclama tra sé e sé, e decide che da quel momento ne custodirà gelosamente la ricetta. Pensò: basterà ordinare “il solito del Conte” al fidato Fosco, e io continuerò a diffondere quellʼalone di mistero che tanto mi rende celebre in città e ammirato dalle dame. Il piano del conte era geniale, se non fosse che talvolta di questo suo drink se ne beveva perfino cinquanta (storia vera, ma badate, i bicchieri erano molto più piccoli), per cui chissà che un giorno non gli sia scappato di dire a qualcuno la ricetta del suo fenomenale aperitivo. A Firenze si sa, i segreti duran poco, e in due balletti eccoche il cocktail Negroni è sulla bocca di tutti e diviene la bevanda più ganza della città (un poʼ come il “moscomiuller” oggi). Pensate che uno dei primi menù in cui appare questo drink – e siamo nei primi anni cinquanta – è nientemeno che a Cuba! Ebbene sì, allʼaltro lato del mondo il Negroni è sopravvissuto al proibizionismo e alla seconda guerra mondiale, e i benestanti americani se lo vanno sorseggiando alla Bodeguita del Medio (o forse a La Floridita, per questi chiarimenti tecnici sempre meglio passare a Caffè Gilli, dal sopracitato Luca Picchi). Di strada ne ha fatta, e oggi in tutto il mondo viene giustamente celebrato come un simbolo del bere allʼitaliana, come il re dei cocktail dal gusto dolceamaro che tanto ci sono cari allʼora dellʼaperitivo. .20


Il Negroni fa parte del nostro orgoglio patriottico, del nostro bagaglio culturale, del nostro heritage. Secondo le più recenti classifiche è persino il secondo drink più consumato al mondo. Ci rendiamo conto?! Tra tutti i gintonici, i cuba libre, gli sprizzettini e i whiskey sour consumati nel mondo, un drink nato per caso a Firenze dai vezzi di un conte scapestrato oggi primeggia su tutti. Sì, tutto molto bello. Ora che però ci siamo gonfiati il petto, facciamo tutti un piccolo esame di coscienza: pensiamo a cinque, forse dieci anni fa, a quando ci capitava di ordinare un Negroni in un bar. I casi erano due, e solo due: o eravamo in discoteca e volevamo sbronzarci velocemente, oppure eravamo a fare un aperitivo e volevamo spaccarci in due prima di andare in discoteca. Non fingiamo che non sia così, non cʼè niente di male se fino a ier lʼaltro il Negroni era una delle tre alternative insieme al Long Island o il Quattro Bianchi alla fragola. Non cʼè nulla di male anzi, questo non può far altro che servirci di lezione: ogni volta che siamo tristi, che il nostro morale è a terra e che pensiamo che forse non riusciremo mai a guadagnarci una fetta di felicità, pensiamo alla storia del Negroni: pensiamo come in poco tempo la sua reputazione si sia elevata al punto da essere celebrato e amato in tutto il globo. Pensiamo anzi che, se ce lʼha fatta lui... ce la possiamo fare tutti. Il Negroni oggi ha riconquistato le nobili origini che aveva in passato, e di bar in bar a Firenze si può incappare in tante varianti più o meno fedeli alla ricetta originale. Ne abbiamo raccolte alcune che consideriamo da provare.

Il Negroni fa parte del nostro orgoglio patriottico, del nostro bagaglio culturale, del nostro heritage.

RICETTE APERITIVO A BASE DI CARCIOFO LA MANIFATTURA

PANE, BURRO & MARMELLATA MAD SOULS&SPIRITS

Gin Luxardo Campari Bitter Cynar 70

Polugar N°1 Rye&Wheat Vermouth alla marmellata d'Arance Campari al burro

BOURBONI LOVE CRAFT Bourbon Wild Turkey Rosso Nardini Chocolate Bitters Velluto di Campari

NEGRONI DOPO CENA PLAZ Bourbon Campari Frangelico Vermouth Bitter al cacao

ENGLISH VERSION>>>> Maybe you don’t know that Negroni cocktail, that delicious threesome of Campari, Vermouth and Gin, this year is going to turn 100! The history of this Florentine drink is so popular that also the book by Luca Picchi (Il cocktail negroni, Giunti Editore) can be found in all children’s night tables together with Collodi and J.K. Rowling. However if you still don’t know him we like to imagine him this way: Count Cam(m)illo Negroni, known to be a food and drink lover, probably after a long day, entered in Caffè Casoni and asked to the barman to add some gin to his usual aperitif made of Campari and bitter. It was so good that he kept on ordering it. He was able to drink 50 of them in a day! (But the glasses were smaller...) In Florence secrets have very short life, you know: that’s why Negroni quickly became one of the coolest drinks of the city and was exported overseas too, we can find it in the cocktail lists of bar in Cuba and USA! Negroni is part of our national pride and cultural heritage but we should never forget that, only five or ten years ago, it was ordered mainly to get drunk as faster as possible before entering in clubs! So, when you’re sad and you think that you will never achieve a glimpse of happiness, think about Negroni: if it was able to be celebrated and loved all over the world, it can happen also to you! •

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ful libri

VALERIO AIOLLI, TRA RIFLESSIONI E STORIA Tra i 12 semifinalisti del Premio Strega 2019, il romanzo Nero ananas di Valerio Aiolli è un libro più che mai necessario, che ricostruisce, con frammenti di vita quotidiana, gli eventi drammatici dal 1969 al 1973 in Italia. Testo di Giulia Farsetti

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ero ananas è l’ultimo romanzo del fiorentino Valerio Aiolli, un libro che ci mette vis-à-vis con alcuni fantasmi del passato: dalla strage di piazza Fontana del 12 dicembre del 1969 alla strage della Questura di Milano del 17 maggio 1973. Una moltitudine di personaggi, un proliferare di storie, una policromia di voci che diano al lettore «un senso di vertigine, pensando che quello che ha letto, come se fosse un giallo, è qualcosa di molto simile a ciò che è accaduto nel nostro paese», si auspica Aiolli. Capitolo dopo capitolo, i punti di vista si alternano dando voce al ragazzino che deve fare i conti con la sparizione della sorella, agli estremisti anarchici di destra, e ancora a politici e agenti segreti, che commentano, ricordano, pianificano e influenzano. Abbiamo incontrato l’autore e abbiamo ripercorso insieme a lui quei momenti drammatici e i suoi 20 anni di carriera fino alla seconda nomination al Premio Strega 2019. Come mai ha scelto la formula del romanzo corale? E, considerando il tempo e le vicende narrate, potremmo definirlo anche un romanzo politico? Per me è innanzitutto un romanzo. Di solito racconto storie di personaggi che hanno, in misura diversa, un ruolo nella vita sociale, civile e a volte anche politica. In questo caso, alcuni di loro hanno molto a che fare con le istituzioni politiche o fanno parte di quel sottobosco che le sta combattendo. Quando ho pensato di raccontare questa storia, ormai tanti anni fa, mi sono reso conto che i personaggi coinvolti erano molti, ognuno avrebbe dato un suo contributo agli eventi e, quindi, non sarebbe stato possibile utilizzare un solo punto di vista. Com’è nata l’idea di scrivere un romanzo che ha come sfondo gli attentati italiani negli anni dal 1969 al 1973? È nata nel momento in cui vennero alla luce le inchieste e i primi processi, quando i giudici andavano a rivedere le trame nere degli anni ’70. Quelle ricostruzioni giudiziarie aprirono nuovi scenari e misero in luce personaggi fino a quel momento mai visti. Io ho scelto uno di questi scenari, quello che mi sembrava più verosimile e più utile a raccontare quel periodo. Così ho cominciato a lavorare sull’idea di ricostruire l’immaginazione e l’architettura di un attentato terroristico come quello del 17 maggio del 1973 alla Questura di Milano, un fatto legato al mondo della strage di piazza Fontana. La strage di piazza Fontana è definita come il momento in cui l’Italia perse l’innocenza; può essere considerato anche una sorta di “big bang”? D’altronde, c’erano stati attentati anche prima, ma solo da quel momento si inizia a parlare di strategia della tensione… È assolutamente un big bang perché prima c’erano stati solo piccoli attentati .22


preparatori oppure scontri di piazza tra fazioni opposte, ma alla luce del sole. Improvvisamente accadde questo fatto eclatante che rimase senza spiegazioni o con spiegazioni del tutto strumentalizzate, come l’accusa all’anarchico Pietro Valpreda; da quel momento si susseguirono una serie di attentati simili, in cui non sono mai state chiare le responsabilità. Dopo la strage di Piazza Fontana è cambiata anche la vita sociale italiana: si è persa quella sorta di gioiosità, anche un po’ irresponsabile, che c’era nella seconda metà degli anni ’60 e ci siamo scontrati con il male assoluto, con qualcosa di ignoto che tentava di intimorire e riequilibrare la situazione che evidentemente stava sfuggendo di mano a chi la voleva sotto controllo… Nietzsche diceva: «Quando guardi a lungo nell’abisso, l’abisso ti guarda dentro». Ha mai rischiato di essere risucchiato dalla voragine aperta quel giorno nella coscienza del nostro paese così come nella rotonda della banca Agricola di Milano? Ci sono stati momenti di sconforto? Questa frase vale per tutti i miei libri perché guardo sempre dove c'è il caos. Il mio lavoro è tentare di accoglierlo e ritrasmetterlo in altra forma in quello che scrivo. Questo libro in particolare è stata una sorta di “discesa agli inferi”: entrare dentro le teste di persone che sognavano, pensavano, ideavano uccisioni di massa è stato particolarmente toccante. Inoltre, ho avuto molte perplessità sulla possibilità di trattare una materia così sensibile, un argomento ancora non del tutto superato dalla storia, con vittime tutt’oggi sofferenti; ma mi sono sempre risposto che la letteratura, se fatta onestamente, ha il diritto di dire la sua su qualsiasi argomento, privatissimo o estremamente pubblico. Ho proseguito e sono felice di averlo fatto! In tutti i suoi libri affronta momenti oscuri della storia politica e sociale italiana: che cosa la anima, che cosa la porta a scrivere di questi temi? Ho sempre amato tantissimo la storia: è una fonte inesauribile di storie. Innamoramento, sentimenti verso le persone, la paura della morte, sono da sempre emozioni che accomunano gli animi umani, ma il modo in cui vengono declinati ed esperiti cambia a seconda delle condizioni sociali, politiche, tecnologiche ed è per questo motivo che amo indagare su momenti specifici del nostro passato. In Nero ananas c'è anche un po’ di Firenze… Se c'è un personaggio fondamentale mi piace ambientarlo nella città che conosco meglio, la mia. In questo caso Firenze non ha un ruolo basilare in quanto gli avvenimenti più importanti si svolgono altrove, ma mi piace raccontare la mia città, anche se con semplici gesti quotidiani. Il libro è tra i 12 semifinalisti del Premio Strega, così come accadde 20 anni fa con la sua opera prima; com’è cambiato Valerio Aiolli in questi 20 anni e come affronta la candidatura al più famoso premio letterario italiano?

Questo libro è stato una discesa agli inferi

L’altra volta fu una nomination del tutto inaspettata, arrivata 10 giorni dopo la pubblicazione di Io e mio fratello… pensavo a tutto tranne una candidatura allo Strega! Adesso è un po’ diverso, sono passati 20 anni, 10 libri e la mia presenza al Premio Strega è sicuramente più consapevole. La mia attenzione al linguaggio, con un’accurata scelta delle parole, è rimasta invariata nel corso degli anni, ma in Nero ananas ho sperimentato e inserito un’architettura narrativa più ampia rispetto ai primi libri. •

ENGLISH VERSION>>>> Nero ananas is the last novel by Valerio Aiolli, a Florentine author, shortlisted for the latest edition of Strega prize. The novel is set during a particular period of Italian history: from the massacre of piazza Fontana, 12th December 1969, to the one of Milan’s police headquarters, 17th May 1973. Chapter after chapter, alternating different points of views, a boy is in search for his sister, facing right-wing extremists, politicians and secret agents at the same time. We met the author and we talked with him about that dramatic period and about his long career. Why did you choose to write a choral novel? Can you define it a political novel? To me it’s just a novel. While I was writing, I noticed that there were a lot of different characters involved and it would have been impossible to use just a single point of view. How did you have the idea for the subject of the book? The idea was born during the period in which processes and investigations came up and new scenarios opened showing hidden personalities and events. Piazza Fontana’s massacre is defined as the moment in which Italy lost its innocence, do you think it was a sort of “big bang”? It’s definitely true. Few isolated attacks took place before, but suddenly, this massive event happened and there were no explanations to the massacre. After that, even Italian social life changed, losing its irresponsible joyfulness. Nietzsche said: «If you stare into the abyss, the abyss stares back at you». How was dealing with it and remembering all these sad events? I always look where chaos is, my duty is trying to put it in order and transmit it through words. This book was like a descent into hell: I had to enter in the terrorist’s minds and it was very touching. I always have loved history: it’s an endless source of tales. Your book is among the 12 semi-finalists of Strega Prize, like 20 years ago. What had changed since that moment? Last time I was unprepared, the nomination arrived just ten days after the publication of Io e mio fratello… Now it’s a little bit different: 20 years and 10 books have passed, I’m definitely more aware of it. My attention to language and choice of words has remained the same across the years but in Nero Ananas I experimented more with the narrative architecture. • 23.


ful vini

PODERE LA REGOLA: TRA LE PIÙ BELLE CANTINE VINICOLE Podere La Regola, Riparbella, Pisa. Suggestivo luogo di incontro tra vino, territorio, arte e umanità. Testo di Federica Gerini, foto di Podere La Regola

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odere La Regola, in provincia di Pisa, è una tra le cantine vinicole più belle – non solo in Toscana. Respira il passato glorioso della storia e allo stesso tempo vive il futuro. Proprio questo la rende così speciale. Un legame indissolubile con chi anticamente abitava questa terra: gli Etruschi. Uno sguardo sempre volto al futuro. La cantina getta le sue fondamenta nei pressi di un’acropoli etrusca. Qui, già in tempi remoti, veniva prodotto il vino ed è come se questa tradizione non si fosse mai interrotta. Uno dei motivi per cui lo diciamo sta in ciò che sembra lampante parlando con i proprietari. Un grande amore, una grande passione e un’inarrestabile voglia di andare avanti guardando sempre anche a ciò che è stato. Negli anni ’90 Luca e Flavio Nuti creano La Regola, ma la storia inizia diverso tempo prima. La loro famiglia acquista nei primi anni del ’900 un piccolo appezzamento di terra e successivamente nel 1931 Rolando, il padre, dà vita ad un’azienda agro-meccanica. Così passo dopo passo è nata la cantina. Oggi dopo traguardi raggiunti e riconoscimenti vinti, è ancora di più proiettata verso il futuro, pronta a nuovi progetti e obiettivi. I vini di punta sono Merlot, Cabernet Franc e Sangiovese Riserva. In purezza. Una qualità eccelsa che è valsa a Podere La Regola i tre bicchieri del Gambero Rosso. A firmare l’architettura è Sergio Scienza, mentre il design è stato affidato a Giorgio Balestri. In questo piccolo gioiello è il dettaglio a stupire e serve imparare ad osservare. Tutto è curato, ogni singolo aspetto, soprattutto il rapporto simbiotico col paesaggio toscano – da ammirare

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attraverso le grandi vetrate e la terrazza. Un’espressione di raffinatezza ed essenzialità. L’elemento sostenibile e ambientale è alla base del progetto. Dall’orientamento solare, allo sfruttamento delle pendenze naturali per una climatizzazione naturale, sino all’uso della vegetazione per schermare la struttura. E poi l’arte. Nelle parole, sulle pareti. In un sogno – quello degli etruschi, quello della famiglia Nuti e quello del Maestro Stefano Tonelli che ha realizzato SOMNIUM. Un mondo onirico dove entrare in punta di piedi, con gli occhi chiusi. Un luogo dove scoprirete la meraviglia. Qualcosa a cui nessuna foto può rendere giustizia e di cui non vogliamo svelare nulla. Come per noi è stata una sorpresa, deve esserlo anche per voi. SOMNIUM è un regalo. Parla di mondi lontani, di passato presente e futuro, di felicità, di umanità. Chi vuole vedere Podere La Regola può decidere di farlo tramite una vasta gamma di possibilità. Le visite con degustazione sono nei giorni di martedì, giovedì e sabato – prenotazione obbligatoria. Un’ottima occasione è sicuramente quella della ventisettesima edizione di Cantine Aperte. Segnare in agenda: 25 e 26 maggio 2019. •

Respira il passato glorioso della storia e allo stesso tempo vive il futuro

ENGLISH VERSION>>>> Podere La Regola, near Pisa, is one of the most beautiful winery in Tuscany and not only... It’s built upon the ruins of an Etruscan’s glorious acropolis: it has a strong connection with the past and is projected towards the future. Wine has been produced here since the ancient Etruscan’s times and it never stopped. In the ’90s Luca and Flavio Nuti Nuti created La Regola but their story dates back to 1931 when Rolando, the father, bought a small plot and opened an agro-mechanical company. Step by step the cellar was born. Their finest wines are Merlot, Cabernet Franc and Sangiovese Riserva: an excellent quality that has been rewarded with three glasses by Gambero Rosso. The architecture is signed by Sergio Scienza and the design is realized by Giorgio Balestri: a dream, the one of Etruscans, Nuti family and Stefano Tonelli, came true with SOMNIUM. An oniric world in which you should enter on tiptoes, closing your eyes: there’s a mystery there and we will not reveal it. Who wants to visit Podere la Regola with a tasting experience should book in advance for the days of Tuesday, Thursday and Saturday. A good chance is also the 27th edition of Cantine Aperte, on 25 th and 26th May. • 25.


ful design

DUCCIO MARIA GAMBI LA FORMA PURA DEL CEMENTO A Firenze l’artista che tramuta il cemento in esperienza artistica creativa è Duccio Maria Gambi. Testo di Federica Gerini

Duccio Maria Gambi © Lea Anouchinsky .26

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uccio Maria Gambi, Firenze, classe 1981. Affascinato da materiali – per così dire – poveri in cui vede – e sa vedere – grandi potenzialità oltre a un’immensa ricchezza. Dei cinque sensi ne predilige uno in particolare: il tatto. Plasma, crea, forgia. Come un antico Efesto. Il dio greco del fuoco, delle fucine e della scultura – i cui simboli sono il martello da fabbro e l’incudine. In lui c'è un po’ di Firenze – un po’ di Milano, si aggiungono qualche grammo di Rotterdam e un bel pizzico di Parigi. Sì, perché Duccio Maria Gambi dopo gli studi a Firenze e Milano, approda prima all’Atelier Van Lieshout di Rotterdam e poi crea il suo laboratorio a Parigi nel 2012. Prova e sperimenta sia tecniche che materiali e colori. Nei suoi lavori c'è un chiaro riferimento al passato radicale della Firenze degli anni Sessanta e Settanta insieme ai colori vivaci di Ettore Sottsass. «C'è una visione d’insieme in cui tutto ruota intorno alla materia cementizia che fa da legante a re-

Séparer, 2018 © Duccio Maria Gambi


Zuperfici 2 © Pepe Fotografia

Museo ©Duccio Maria Gambi

sine e pietre». Insieme al grigio del cemento ci sono pigmenti colorati, giochi, scommesse e voli pindarici. Sogni, schizzi, scarabocchi, idee, pensieri. Esplosioni di gesti che da utopia divengono oggetto. Un processo che con le mani prende vita, ed è questo che attira da sempre l’artista: essere demiurgo. Conosce l’universo industriale ma anche quello artigianale. Realizza elementi di design, pezzi unici, per gallerie e odierni mecenate. Studia interventi site specific come quello per Ambienta a Roccamare. Allo stesso tempo ha anche collaborato con la Richard Ginori per cui ha realizzato una collezione esclusiva. Ha vinto il premio Cedit a Miart 2017 ed è entrato a far parte della collezione permanente della Triennale. Fra poco lo vedremo nuovamente nelle stanze fiorentine di Numeroventi e al Salone del Mobile di Milano. I suoi lavori, pensieri e opere d’arte sono da vedere sul suo sito e sul suo profilo Instagram. •

ENGLISH VERSION>>>> Duccio Maria Gambi was born in Florence in 1981. Fascinated by raw materials, as cement, in which he can see richness and opportunities, among the five senses he definitely prefers ‘touch’: he shapes and forges like an ancient Hephaestus. After his studies in Florence and Milan, he arrived in Atelier Van Lieshout in Rotterdam and then he created his own laboratory in Paris in 2012. In his artworks there are clear references to the radical past of Florence of ’60s and ’70s, together with the brilliant colors of Ettore Sottsass. «There is a global vision, in which everything moves around the concrete matter which is the binder between resins and stones». Together with the grey of the concrete there are coloured pigments, games, bets, dreams, ideas and thoughts. Explosions of gestures that from utopia become objects. A process that becomes alive through his hands, this is what attracts the artist: being a sort of Demiurge. He studies site specific interventions (Ambienta in Roccamare) and at the same time he collaborates with Richard Ginori for an exclusive capsule collection. He won the Cedit prize in Miart 2017 and he took part in the permanent collection of Triennale. In a while, we will see him again in Florentine rooms of Numeroventi and in Salone del Mobile in Milan. •

www.ducciomariagambi.com IG: ducciomariagambi

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ful cultura

MANIFATTURA TABACCHI NUOVO CENTRO DI RIGENERAZIONE URBANA La riqualificazione della Manifattura Tabacchi: oltre 100.000 mq riprogettati e rivisti. Nuovo centro, fuori dal centro, unisce formazione, arte, cultura, turismo e artigianato contemporaneo. Testo di Martina Scapigliati, Foto di Manifattura Tabacchi

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ontana dal centro, la Manifattura Tabacchi se ne sta oggi, enorme e decadente, a ricordarci il passato con la sua architettura che ha a che fare sia con l’ingegneria che con qualche strano mistero, con il business dell’edilizia e con ansie esistenziali. In un ambizioso progetto di riqualificazione e rigenerazione, allo storico edificio viene destinata nuova vita, metafora dell’esistenza attuale, disegno di quello che la società pensa di essere o vorrebbe essere. Coperture tecnologiche trasparenti faranno da tetto a mercati con negozi, botteghe artigiane, ristoranti, spazi per coworking; verrà realizzato un teatro sul retro dell’edificio che ospitava il dopo lavoro della Manifattura, non mancherà un nuovo Student Hotel e, all’interno dell’edificio monumentale che incorpora il portale d’ingresso, saranno organizzati spazi comuni al servizio dei residenti e del quartiere; un viale alberato farà da ponte di collegamento tra il quartiere Novoli e lo storico Parco delle Cascine, il Polimoda vi inaugurerà la sua terza sede, un lifestyle hotel d’ispirazione post-industriale prenderà il posto degli ex magazzini del tabacco, ed infine un birrificio sorgerà nella ex centrale termica, in corrispondenza della fermata della nuova tramvia. La superficie della Manifattura, esempio di architettura razionalista in Toscana è enorme: vi è anche spazio 29.


per l’arte, che prima di essere realizzata concretamente richiede di appartarsi, un “appartamento” nel senso letterale del termine – appartamento dalla città, dai suoi ritmi, le sue nevrosi. Le residenze d’artista realizzate all’interno del complesso sono un interessante progetto ideato e a cura di Sergio Risaliti, storico dell’arte e direttore artistico del Museo Novecento. In mostra, su oltre 700 mq di superficie, 15 opere in esposizione, individuali e collettive: sono il risultato del lavoro dei giovani artisti selezionati per la prima edizione delle Residenze (le prossime in estate), gli italiani Gioele Pomante, Matteo Coluccia, Stefano Giuri, l’albanese Lori Lako, l’iraniano Moshen Baghernejad Moghanjooghi e la slovacca Tatiana Stropkaiová, monitorati per i cinque mesi di residenza dai tutor Paolo Parisi e Robert Pettena, docenti dell’Accademia di Belle Arti di Firenze. Il progetto intende collegare il laboratorio di oggi con la tradizione della bottega rinascimentale di ieri e rientra in una pianificazione triennale che indaga il rapporto tra uomo e natura, spirito e corpo, istinto e cultura, miti e scienze, oltre l’antropocentrismo e in alternativa al vecchio umanesimo. 2018-2020. LA CURA - LA MERAVIGLIA L’ARMONIA, tre temi, uno per ogni anno, presi come area di indagine per lo sviluppo di processi creativi. La Cura è l’indagine di quest’anno: la riflessione parte dalle parole di Heidegger che, citando una favola di Igino, narra di un uomo fatto di corpo posseduto da Cura, ciò a cui l’uomo appartiene per tutta la vita: ciò che origina l’uomo è nel suo essere nella Cura. «Il concetto di Cura dunque, pur inflazionato, è ancora ricco e può avere declinazioni interessanti: cura verso la città, riflessione sulla sua storia, cura della selezione fatta sugli studenti delle accademie, non sulla dimensione mainstream degli artisti lanciati dalle gallerie più potenti, ma qual-

cosa che parte dal basso, dai giovani diplomati, che possa ridare anche una credibilità anche alle istituzioni» dice Robert Pettena. Elementi su cui riflettere sono stati la cura del progetto, del dettaglio, delle relazioni, dell’estetica, della comunicazione, della mediazione. Colpisce su tutti il lavoro di Stefano Giuri, indagine site specific tra lo spazio di oggi e quello di ieri: una serie di sculture in bronzo lucidato a specchio con degli Asshole, calchi di fori di proiettili sparati durante l’occupazione tedesca, di cui è rimasta traccia nelle pareti della Manifattura. Copie che vanno oltre l’originale – più originali dell’originale – interpretano nell’impronta il contatto con un’assenza, evocando un passato tragico. I bronzi appoggiano sulle rovine di colonne di un bassorilievo dei fasci littori che si trovavano nella piazza centrale della Manifattura. Lori Lako, due bracciali gonfiabili e fondale in pvc: l’artista ha lavorato partendo dal trattato del mineralogista tedesco Werner del 1814 per studiare il colore, dove trovarlo e come catalogarlo. Undici tonalità di blu sono il suo mare, dove si affanna un tentativo di volo. L’opera prende il titolo Schwimmflügel, dal termine tedesco che indica i braccioli da mare, la cui traduzione letterale in italiano è “ali da nuoto”. Decorativo e scenografico il lavoro Dama dell’iraniano Moghanjooghi, altro intervento site specific: lavorando con cemento, solfato di rame, intonaco, gessetto su tela, l’artista ha creato fiori di materiale cangiante, testimonianza dello spazio della Manifattura in trasformazione. «Moshen strappa gli intonaci e fa riemergere un germe di vitalità, una pianta, qualcosa che cresce dalle rovine» spiega Robert Pettena. Tatiana Stropkaiová propone lavori di pittura in ripetizione, non copie ma nuove entità. Matteo Coluccia ha realizzato un enorme portafotografie, al suo

Allo storico edificio viene destinata nuova vita, metafora dell’esistenza attuale, disegno di quello che la società vorrebbe essere.

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interno la scritta “FESTA”: «Il lavoro di Coluccia è una riflessione sulla festa come giorno in cui nel calendario gregoriano vi sono un posto e un momento di incontro: immagina cosa poteva essere il giorno di festa dentro uno stabile pieno di operai… Allo stesso tempo, FESTA è il contraltare della festa com’è intesa oggi, il modo in cui ti lasci andare, trasportare: non vi è più solo riposo e aggregazione, ci siamo spinti oltre. La riflessione comprende perciò vari tempi nello spazio», spiega Pettena. Gioele Pomante lavora con gesso e spray, crea paesaggi esterni che raccontano mondi interni, esprime una riflessione molto più concentrata su concetti astratti e scientifici, su geografie utopiche. Durante la residenza, gli artisti hanno dato vita a laboratori con scienziati, innovatori e creativi, ma anche con artigiani e urbanisti, uomini di scienza e di spiritualità, oltre a giornate di performance. La Residenza ha infatti compreso numerosi interventi di visiting artist quali Mario Airò, Vedovamazzei, Antoni Muntadas, Luca Vitone, Giuseppe Gabellone e Diego Perrone, Remo Salvadori, Marzia Migliora e di critici e storici dell’arte, come Giorgio Verzotti e Giovanni Iovane, che hanno tenuto workshop e lezioni culminati nell’ideazione di una serie di opere collettive. •

ENGLISH VERSION>>>> Far from the city center, Manifattura Tabacchi recalls our past with its enormous and decadent architecture. With an ambitious project of renovation, a new life is given to that decaying building, like a sort of metaphor of our lives and of what our society thinks or aims to be. Part of the new project are transparent roofs to markets and handcraft shops, restaurants, co-working spaces, a theater. There will be also a new Student Hotel, the third building for Polimoda Institute and a new lifestyle hotel that will replace the ex-tobacco’s warehouses. Manifattura’s surface is wide and there is enough space also for art, offering the concrete possibility for artists to be ‘apart’ from the city: in fact, thanks to a project by Sergio Risaliti (artistic director of Museo Novecento), some artists residencies have been realized in order to host different kind of artists coming from all over the world. The Manifattura’s area hosts their contemporary exhibitions: on a 700 mq surface 15 artworks are showcased, they have been selected for the first edition of Residenze and were created by Gioele Pomante, Matteo Coluccia, Stefano Giuri, Lori Lako, Moshen Baghernejad Moghanjooghi and Tatiana Stropkaiová. During the five-month-residency they were followed by tutors Paolo Parisi and Robert Pettena, professors of Accademia di Belle Arti of Florence. The project aims to link modern labs with the tradition, will last 3 years and will explore the relationship between man and nature, spirit and body, instinct and culture, myths and science. Every edition will explore a different theme, the first one is Cure, the second Wonder and the third Harmony. •

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ful architettura

ARCHITETTURA PER IMMAGINI per immaginare l'architettura a cura dell'Ordine e della Fondazione degli Architetti PPC della provincia di Firenze www.architettifirenze.it

spazi sospesi

Scalinata, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, Firenze, 2019 - Gianmarco Caroti

Lʼarchitettura è unʼarte, e come arte lo specchio di ogni uomo che condivide se stesso e la propria interiorità con il mondo esterno. Le barriere mentali diventano confini materiali, allontanandoci dal mondo circostante, e rendendoci prigionieri di noi stessi. Laddove le barriere sono state erette che sia lʼarchitettura ad abbatterle, a unire, a liberarci.

Questa rubrica, annualmente, girerà intorno ad un tema specifico. Questʼanno vogliamo mettere in evidenza tutte le Belle Architetture della provincia di Firenze che ci sono precluse a causa di barriere. Mandaci la tua fotografia seguendo il regolamento di “spazi sospesi” su www.architettifirenze.it architettifirenze@archiworld.it 33.


ful pagina dell'artista

per il numero XXXVII è a cura di

ILLUSTRE FECCIA

IG: @illustrefeccia | FB: Illustre Feccia | https://fecciax.blogspot.com/

Omaggio a Orso Tekoşer 21x29,7 cm Inchiostri su carta

Lorenzo Orsetti era un combattente internazionalista originario del quartiere di Rifredi (Firenze). Orso nel 2017 aveva scelto di unirsi alla lotta curda, della popolazione del Rojava, nel gruppo YPG. Era membro della formazione Tekoşîna Anarşîst, sotto il nome di Tekoşer e aveva combattuto nella difesa di Afrin, città siriana aggredita dallo stato turco e dalle maledette bande jihadiste. È stato ucciso in un’imboscata a Baghouz in Siria il 18 marzo 2019. Orso si dichiarava apertamente anarchico e internazionalista e i suoi ideali lo hanno spinto verso una solidarietà libertaria che è andata oltre ogni frontiera di filo spinato ed egoismo contro l’imperialismo, i fascismi e il patriarcato.

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Lyzard-KZ1 An innovative sound experience from a 0.5â€? high-efficiency driver | k-array.com In K-array concentriamo tutti i nostri sforzi e risorse nella progettazione e produzione rivoluzionaria di sistemi audio ad alta efficienza. Inutile dire che il nostro Lyzard-KZ1 è un diffusore incredibilmente piccolo. Infatti, misura 22 x 37 x 10 mm e pesa solo 23 grammi.

At K-array, we concentrate all our efforts and resources in the revolutionary design and manufacture of highlyefficient sound systems. Needless to say, our Lyzard-KZ1 is an astoundingly small loudspeaker. In fact, it measures 22 x 37 x 10 mm and weighs only 23 grams.


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