Catalogo Festival del Verde e del Paesaggio / Terza edizione

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al paesaggio italiano



ROMA AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA - PARCO PENSILE 17 18 19 MAGGIO 2013


ROMA AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA - PARCO PENSILE 17 18 19 MAGGIO 2013

Ideazione progetto e coordinamento Gaia Flavia Zadra Direzione artistica Ciriaco Campus Ufficio commerciale e amministrazione Gioia Inzirillo Segreteria organizzativa Maria Michela De Mita Comunicazione e web Alessandro Bertolini Ideazione e cura Follie d’Autore Franco Zagari Supervisione Avventure creative Fabio Di Carlo Supervisione Balconi per Roma Franco Panzini Ideazione Racconto breve sotto le foglie Giovanna Salvia Collaborazione tecnica Daniela Romanelli Assistente all’organizzazione Elisa Capparella Social media Valeria Bucco Ufficio stampa Barbara Manto & Partners Media partner Gruppo Sole 24 Ore

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Una grande festa popolare Gaia F. Zadra Ideatrice del Festival del Verde e del Paesaggio

Questo catalogo è un regalo per noi e per chi ha contribuito a realizzare il Festival: gli sponsor, gli autori delle Follie e dei vari concorsi, gli espositori, i vivai, le giurie e tutti gli amici e professionisti che ci confermano il loro appoggio impegnandosi per la riuscita di un appuntamento che oramai consideriamo una scommessa vinta. Tutto ciò è stato vissuto da un pubblico che ogni anno si rivela più numeroso, competente e partecipativo. Il Festival è sicuramente un’importante occasione di incontro tra professionisti, istituzioni e grande pubblico, ma non è solo questo, anzi, la parte più originale dell'appuntamento si esprime nella diversa combinazione degli ingredienti che lo compongono, per la loro quantità e diversità. L’obiettivo è infatti quello di realizzare una festa popolare ad elevato contenuto creativo e culturale, un’occasione di aggregazione collettiva colta e divertente, ogni anno nuova e sorprendente, capace di modificarsi e modellarsi, un grande contenitore che accoglie e amplifica quanto di innovativo e interessante accade intorno a noi.


La nostra natura Carlo Fuortes Amministratore delegato Fondazione Musica per Roma

Non c’è giorno, in questo nostro tempo complesso e carico di incertezza, in cui non si pongano domande o si sollevino problemi – spesso più che giustificati – sulla “questione ambientale”, sulla situazione del nostro ecosistema, sulle minacce che si addensano sulla vita del pianeta. Si pensi solo al tema del surriscaldamento globale o a quello della desertificazione, al progressivo deperimento delle risorse naturali o alla scarsità dell’acqua che colpisce tante aree e popolazioni del mondo. Oppure si pensi, per restare a problemi che riguardano più da vicino il nostro Paese, al dissesto idrogeologico di tanti territori, con il relativo carico di troppo frequenti tragedie, o alla terribile piaga dei reati ambientali e del diffondersi di quel vero e proprio sistema criminale che prende il nome di “ecomafia”. Ecco, tutto questo sembra tante volte far dimenticare, purtroppo, che l’ambiente, la natura, sono uno straordinario valore positivo, un patrimonio di cui ogni individuo, ogni comunità, ha il diritto di godere pienamente. È in fondo proprio qui, allora, una delle ragioni fondanti del “Festival del Verde e del Paesaggio”, che ha invaso l’Auditorium Parco della Musica di Roma. Dal 17 al 19 maggio del 2013 i visitatori, grandi e piccoli, hanno passeggiato nel “Mercato del Festival” e ammirato le piante più belle e originali dei migliori vivai italiani, si sono immersi negli originali contenuti delle diverse sezioni che compongono la manifestazione, restando affascinati dalle sperimentazioni delle “Follie d’Autore”, dalle installazioni di “Avventure creative”, dagli allestimenti di “Balconi per Roma”. Un’oasi verde nel cuore della città: l’Auditorium per tre giorni è stato questo, grazie alla professionalità dei tanti paesaggisti, garden designer e produttori di piante che sono intervenuti e soprattutto grazie alle migliaia di visitatori che hanno animato una manifestazione originale come poche, nel segno del verde e della qualità della vita.


Il paesaggio di domani Nicola Zingaretti Presidente della Regione Lazio

Sicuramente il successo che questo festival incontra fin dalla sua nascita deriva da un mix di fattori: la qualità degli espositori, la ricchezza del programma e degli eventi, il fascino della location costituita dal parco pensile dell’Auditorium di Renzo Piano. Ma io penso che alla radice di tutto questo ci sia soprattutto un’intuizione culturale: i temi della tutela e della promozione del verde, del paesaggio, della biodiversità, dell’ambiente rappresentano in questo momento uno degli assi fondamentali intorno a cui costruire un nuovo modello di sviluppo, capace di produrre ricchezza e, allo stesso tempo, di migliorare la qualità della vita. E sono temi intorno ai quali, per questa ragione, si concentra l’interesse consapevole, l’attenzione, il favore di un pubblico sempre più vasto e di un numero sempre più grande di gruppi organizzati o semplici cittadini. Per l’Italia, raccogliere questa sfida significa riappropriarsi di un fattore caratteristico della sua identità, riaffermando la centralità della bellezza, della cura del paesaggio, dell’equilibrio armonico tra uomo e natura (che sono parte essenziale dell’identità italiana nel corso dei secoli) non solo nella costruzione di un’agenda di governo, ma nel modo stesso in cui il Paese pensa se stesso e immagina il suo futuro. Ricollocandoli cioè dentro un campo di valori. Ma, come questo festival ci insegna a scoprire, parlare di bellezza e paesaggio oggi significa anche parlare di creatività, talento, competenze, raccontando le esperienze e le eccellenze di decine e decine di studi di architettura, designers, vivaisti, artigiani, aziende attraverso le loro idee e i loro progetti. E cioè fare una scommessa sui fattori di innovazione che il nostro Paese è in grado di esprimere, aprire nuovi spazi di sperimentazione culturale e nuove opportunità di crescita economica. Per questo, la Regione Lazio sostiene con entusiasmo la bellissima realtà di questo festival: non solo una vetrina, ma un momento di incontro che è parte integrante dell’idea di sviluppo che dobbiamo costruire insieme per determinare una svolta verde e una possibile, concreta, ripresa anche per il nostro territorio.


Lunga vita al festival verde Giuseppe Gerace Presidente II Municipio, Comune di Roma

E’ per me un vero piacere patrocinare questa manifestazione, ormai arrivata alla III edizione con straordinario successo di stampa e di pubblico. Nella splendida cornice del parco pensile dell’Auditorium Parco della Musica di Renzo Piano il Festival del Verde e del Paesaggio è un mix di colori, profumi, eleganza e grande qualità che trascina i numerosi visitatori in un’atmosfera ricca di bellezza e suggestione. Ma il valore dell’iniziativa non è solo nell’atmosfera coinvolgente che si vive nel percorrere gli ambienti così accuratamente studiati; è soprattutto nell’obiettivo che si prefigge: suscitare nell’immaginario del visitatore la scoperta del “verde interiore”, la necessità di un rapporto con la natura che una società troppo tecnologica ha sopito. I temi proposti sono linee guida disegnate per rispondere alle diverse sensibilità ed interessi delle persone, perché tutte possano contribuire a definire un’idea condivisa dello spazio vivibile. Il verde, sia pubblico che privato, è un elemento indispensabile per il benessere dell’uomo che la società moderna, con l’espansione incontrollata dei centri abitati, ha ridotto drasticamente, con conseguenze negative sulla qualità della vita. E’ per questo motivo che le realtà che fondano la propria ragion d’essere nella cultura del verde e del paesaggio e nell’educazione ambientale devono ricevere la massima attenzione ed un concreto sostegno da parte delle Istituzioni perché la sensibilità verso la natura si radichi e si sviluppi, fino a divenire un nuovo stile di vita. Il Municipio che presiedo, attento alla riqualificazione e valorizzazione del verde pubblico e nella convinzione che esso debba essere inviolato e inviolabile, è lieto di ospitare un evento che mi auguro abbia lunga vita e si consolidi come un punto di riferimento importante per tutte quelle realtà che hanno come obiettivo la protezione e il miglioramento dell'ambiente e del paesaggio che ci circonda.


I Premi del Festival

Premio Avventure creative: sedersi in giardino : “La panchina di Marcovaldo” di Emanuele Penna, Andrea Penna, Nicole Del Re

Premio Follie d’Autore: “Giardino del vento” di Daniela Colafranceschi

Presidente di giuria: Fabio Di Carlo Giuria: Ciriaco Campus, Alberto Orioli, Michela Pasquali

La scelta è ricaduta, dopo un denso scambio di idee, sul “Giardino del vento”, risposta emblematica al tema proposto per la sua capacità di porre al centro del concept tre importanti elementi: l’esperienza estetica intesa come percezione complessa della forza energetica che tutti noi possediamo; l’essenzialità radiosa e contaminante che indica noi stessi come produttori della energia trasformatrice del mondo; il presagio che nel contesto naturale tutto può essere ritrovato gratuitamente e che sono doni inclusivi, rinnovabili nel semplice atto dell’agire umano.

Presidente di giuria: Ana Claudia Mei Alves de Oliveira Giuria: Novella Cappelletti, Achille Maria Ippolito, Laura Laurenzi, Raffaele Milani, Henrique Pessoa Pereira Alves, Maria Cristina Tullio

La giuria all’unanimità ha scelto questo giardino come progetto vincitore. Il premio viene conferito per la capacità di trasmettere con una tensione onirica, l’idea di sintesi degli elementi e le sensibilità verso il paesaggio, con una realizzazione che per alcuni aspetti supera quanto già espresso dal progetto.

Premio Giardini applicati: Green Service con il progetto "Bosco urbano" dello Studio MASA La giuria ha deciso di premiare questa installazione per la sintesi e l'equilibrio tra progettazione architettonica e specie vegetali. Il risultato è spettacolare e coinvolgente.

Presidente di giuria: Lilli Garrone Giuria: Roberto Fagioli, Elisabetta Margheriti, Bernardino Pinzari

Premio Vivai: Il Fiore dei Fiori Premio Balconi per Roma: “Relax urbano” di Martina Mastrangeli Il progetto ha risposto pienamente ai requisiti previsti dal bando di concorso di offrire spunti pratici e suggestioni poetiche per ispirare i visitatori del festival: per la funzionalità e la facile replicabilità; per l'idea che propone di modificare la prospettiva visuale dell'utente del balcone, invitandolo a volgere lo sguardo non verso l'esterno, a volte poco amichevole, ma piuttosto ad un micropaesaggio intimo, interno al balcone stesso; per la gradevolezza della composizione che vede una comoda seduta posta di fronte a un quadro vegetale mutevole e da contemplare.

Presidente di giuria: Franco Panzini Giuria: Vincenzo Cazzato, Serena Savelli, Francesco Tonini, Lucilla Zanazzi

La giuria avrebbe voluto sinceramente premiare la qualità e l’impegno di tutti gli espositori, selezionati dagli organizzatori del Festival del Verde e del Paesaggio, di questa straordinaria edizione del 2013. È però dilaniata e di fatto impossibilitata ad assegnare 50 meritatissimi premi. Per questo motivo, all’unanimità, ha deciso di premiare la poeticità, l’eleganza e l’entusiasmo del vivaio Il Fiore dei Fiori di Recanati e la sua sofisticata collezione di Dianthus.

Presidente di giuria: Bruna Pollio Giuria: Orlando Gentili, Bruno Filippo Lapadula


Premio Silvia Provera al miglior espositore: Arredopallet Il voto unanime della giuria è andato ad Arredopallet per una ragione forse banale ma imprescindibile: incarna un modo semplice di reinventare, con eleganza, oggetti grezzi; di trasformare materiali legati alla fatica del lavoro in angoli cui associare benessere, relax, addirittura riposo, senza però mai dissimularne le origini operose. Perché dimostra come un’idea, la creatività e la passione siano i soli strumenti davvero necessari. Specie per chi ha scelto di fare della vita all’aperto il proprio terreno di lavoro. Il principio base di Arredopallet, quello del riciclo intelligente e ingegnoso, ha incontrato la piena adesione e le simpatie di tutta la giuria.

per ammazzare il tempo, ma un lavoro vero, e soprattutto l’opportunità di misurarsi con se stessi, con il proprio passato e con il futuro. Un’esperienza totalizzante che restituisce all’individuo, annientato dall’istituzione totale, capacità critica, fiducia, autodeterminazione: le leve per ricominciare a sentirsi finalmente liberi. Terra racconta la solitudine di chi, “dentro” il recinto, non cerca il perdono ma solo una strada, e sa che non ci sono scorciatoie; non solletica il voyeurismo di chi sta fuori il recinto e guarda al “dentro” come “altro da sé”; non indulge al buonismo verso l’umanità cancellata dal carcere. Fotografa un pezzo di vita dietro le sbarre con realismo e freddezza, scaldato dai sentimenti che germogliano a poco a poco. Ti fa sentire dentro, con i piedi sul cemento e poi nella terra viva. E capisci quanto poco ci voglia per rendere il carcere un luogo sensato e dare ai reclusi quell’“altra possibilità” a cui hanno diritto.

Presidente di giuria: Fiorella Scarvaglieri Giuria: Marianna Aprile, Ritanna Armeni, Pierluigi Battista

(Ritira il premio Ilaria De Marinis, Una meravigliosa giornata di primavera, 2° classificato ex aequo con Piero Angelo Ottusi, Merica)

Giuria: Cecilia Ribaldi, Giovanna Salvia, Donatella Stasio

Premio Racconto breve sotto le foglie: “Terra”di Maria Rosaria Fonso Cinquanta righe per narrare un percorso di rinascita nel luogo più ostile all’uomo – dove tutto, dall’architettura, al paesaggio, alla scansione del tempo, sembra contro natura – sono un piccolo gioiello in cui le parole – essenziali, dure, pudiche, sfrontate – scavano nell’animo umano come le mani nella terra, restituendo al lettore una storia umana. Un quadrato di terra in un recinto di cemento che priva uomini e donne della dignità e della speranza, può diventare l’occasione inaspettata di un cammino interiore e della scoperta di energie nuove e vitali. Non uno dei tanti “lavoretti” che il “potere sovrano” del carcere concede ai detenuti

Premio Festival del Verde e del Paesaggio a Rossella Sleiter Il Premio viene ogni anno assegnato ad una persona, gruppo o istituzione che si sia distinta nel promuovere la conoscenza, l'importanza e la cura del paesaggio come bene ambientale e culturale. I premi del Festival del Verde e del Paesaggio sono opere originali in terracotta policroma ideate e realizzate da Ciriaco Campus. Rappresentano un albero, simbolo iconografico di solidità, energia e generosità del paesaggio e della natura.




Follie d’Autore Cura vs crisi: sei magnifici progetti per un paesaggio diverso Franco Zagari

Dunque sei "Follie d'Autore", realizzate da Daniela Colafranceschi, Luca Emanueli/Ieaa, Gianmaria Sforza, Marco Navarra/Nowa, Claudio Bertorelli/Asprostudio, Made (Michela De Poli e Adriano Marangon), nel parco dell'Auditorium di Roma, nell'ambito delle iniziative del Festival del Verde e del Paesaggio 2013, una delle migliori manifestazioni europee di gardening, in soli tre giorni 16.000 visite. Da questa circostanza di una sinergia non comune fra fattori apparentemente indipendenti, qui di seguito sono tratte alcune considerazioni di carattere generale sul progetto del paesaggio e sulla sua crisi, con l'obiettivo di cogliere anche fermenti positivi di reazione, che si manifestano con sempre maggiore frequenza. Io ho solo chiamato sei testimoni attorno a un fuoco, a raccontare di loro stessi, del loro immaginario, delle loro città. Certamente sono visioni diverse, verità alterne e oscillanti, come in Rashomon, o nei personaggi di Pirandello: non perentorie, non assertive. Lasciamo al pubblico la libertà di trarre una propria verità. Alcuni obiettano ancora che il paesaggio non possa essere 'd'autore', che sia piuttosto opera collettiva. Ma io non credo che vi sia una grande differenza, l'atto determinante perché un paesaggio sia veramente tale può essere di un singolo o di molti, la vera differenza sta in quel patto, in quella consapevolezza, in quella cultura che solo un consesso democratico può esprimere. Attori e autori devono saper assumere le loro responsabilità, questo è il punto. Vorrei accostarmi a questi sei progetti senza pregiudizi, che si presentino da soli... Ma trovo che queste esperienze, così diverse per storie, interessi, luoghi, con latitudini sociali e economiche molto distanti, abbiano portato curiosamente anche a notevoli punti di contatto. Certe coincidenze singolari si sono prodotte senza che l'uno sapesse cosa stesse facendo l'altro. Così è avvenuto che tutti abbiano adottato un linguaggio radicale, e che abbiano disertato le suggestioni più sensuali del giardino, di esprimersi con le piante, le armi di Linneo. Nella migliore tradizione del giardino italiano, i sei scelgono un linguaggio forte con un know how umanistico e scientifico di eccellenza, non convenzionale, sperimentale, che ritorna a scommettere su


intuizioni di design originali, decantandole in narrazioni dalle sintassi anche molto complesse. E' comune ai sei una visione del giardino, come del resto è sempre stato nella storia, che affida all'idea 'follia' un compito metaforico, che ha loro permesso di agire in profondità, in tutti con la stessa carica di impegno civile, la stessa testimonianza di un percorso critico a tutto campo, aperti alla convergenza nel progetto di diversi saperi e, da quanto so, tutti adusi a una visione del progetto che pratica processi partecipativi, anzi alcuni di loro in questo sono maestri. Poi è comune un'attitudine positiva, di gente che sa, propone, costruisce, che ci prende per mano con un racconto che non evita il genere della tragedia ma sa percorrere anche il genere della commedia, con humour, con spirito amichevole, con cura appunto. In tutte e sei le follie si sente un comune impegno nella ricerca sulle tendenze in atto dell'abitare, che potremmo definire come le condizioni per saper vedere e interpretare i temi di una città del nostro tempo, che non è più naturale, né urbana, né rurale, ma è piuttosto un continuum di questi tre regni una volta separati, è la città del terzo millennio, che presenta caratteri ormai del tutto diversi dalla città nella quale siamo nati. Tutte e sei le opere sono forse prima ancora che giardini installazioni artistiche, sensibili all'affermarsi di una nuova epoca di forte insistenza delle arti figurative sul tema del paesaggio. Se è fatale che il paesaggio ancora una volta sarà un porto franco di rigenerazione di forme e idee per l'architettura e l'urbanistica, trovo che sia una novità del tutto inattesa un'improvvisa accelerazione umanistica sul tema della scienza, uno dei contenuti più spiccati del giardino in ogni epoca ma dai sei invece portato addirittura a manifesto. Tutti i più grandi artisti della nuova generazione insistentemente non sembrano parlare di altro. Ad esempio William Kentridge usa il paesaggio minerario sempre mutevole sul quale Johannesburg insiste e sprofonda ogni giorno un po', mentre Anish Kapoor lavora ossessivamente sullo spazio e sulle sue pieghe, portando le nostre dimensioni abituali al loro limite di instabilità, e Ai Weiwei è nel paesaggio che vede il media più ricorrente delle sue titaniche lotte per i diritti civili,

Cai Guo-Kiang estrae memorabili evocazioni di energia da monumenti e luoghi noti, rivisitandoli attraverso spettacolari azioni esplosive, Anselm Kiefer disegna mappe di relazioni misteriose fra le piante e l’astronomia, con la precisione scientifica dei codici della Nasa. Dunque ritengo che questi sei piccoli giardini siano dei sintomi potenti di una possibile risposta del progetto di paesaggio a trattare i temi della contemporaneità con gli stessi fenomeni di rapidità e flessibilità nel tempo e nello spazio che la caratterizzano: infatti lavorano per sistemi e per relazioni per ristabilire dei nessi di centralità, orientamento e tensione in contesti altrimenti inerti, ridotti a stereotipi o incoerenti, seguendone una logica interdisciplinare e interscalare, per attività e per flussi più che per aree, il processo attuativo che è loro familiare è concertato e partecipato, aperto e dinamico. Questo almeno in teoria, perché il progetto di paesaggio a tratti, inspiegabilmente, non mi sembra in questo caso, si ripiega in se stesso, è proprio come una corrente, che agisce su tutto il circuito creativo. Vorrei evitare l’equivoco di sostenere che abbia una sorta di primato su altri approcci. Se questo c’è, oltre alla sua competenza specifica, va cercato nella capacità di connettere e rigenerare gli altri progetti creativi, quello di architettura e di urbanistica, quello agronomico … Guai a non essere visitati dal dubbio. Sento crescere in me uno stato d’ansia, quando penso che una parte troppo importante di questo viaggio in Italia sulle orme di Rossellini e di Piovene, che da tanto tempo condivido con pochi maestri, compagni, allievi, possa rimanere alla fine senza risposta, che gli stessi obiettivi all’inizio apparentemente così chiari, verificati nell’esperienza delle nostre pratiche quotidiane, nei nostri comportamenti, nella nostra cultura materiale, siano sempre meno nitidi e si confondano. Ma sappiamo che questo percorso deve essere un viaggio, come dice Juan Manuel Palerm "... con devianza e scarroccio”, perché il marinaio per raggiungere una meta quasi mai la punta direttamente, tiene conto del vento, delle correnti, delle maree …




Giardino del vento di Daniela Colafranceschi con Alessandro Battaglia e Giuseppe Grant per 'Orizzontale' Realizzato con il contributo di Claudio Camarda

“Un giardino verticale di Tillandsie, pensato come un tessuto, una filigrana, una trama vegetale che separa, marca uno spazio e ne filtra la sua percezione. Una sequenza di pareti verdi, che scandiscono un ritmo di ambiti aperti, tra loro in relazione. Superfici vegetali che direzionano la percezione dello spazio a cui si aprono, e regalano una immagine sempre filtrata a distinte densità del suo intorno. Sono strutture flessibili e versatili che mettono in valore, come unica protagonista del giardino, questa meravigliosa specie di bromeliacea. Le Tillandsie vivono in condizioni critiche, si adattano e si piegano ad ogni carenza nutrizionale per alimentarsi solo di aria. Il vento che le pettina e le accarezza, sembra l’unica necessità per esprimere bellezza e poesia. Il giardino, nel suo carattere fortemente sperimentale e imprevedibile, vuole celebrare questa qualità, rendendola un manifesto. Tre differenti archi – come tre sono i differenti volumi dell’Auditorium – sostengono i tessuti delle pareti vegetali. La trama delle Tillandsie comporrà i ritmi dello spazio, nella maniera di viverlo e apprezzarlo, come ambiti speciali di giardino.”





Ranuncolo di Luca Emanueli leaa Luca Emanueli Carlo Ruyblas Lesi Gianni Lobosco Barbara Stefani Filippo Pesavento con Carlo Losi Miki Botanic Cardo atelier Realizzato con il contributo di Biancheri Creations®

“Un fiore. Ricerca, tecnica, sofisticazione. Cronaca di un processo che dura quasi 6 anni, coinvolge competenze e team di ricercatori, si realizza in fasi e scenari diversi, dalla serra al laboratorio in un continuo feedback di informazioni e accurati controlli. Abbiamo seguito l’esperienza di un’azienda - Biancheri Creations® - specializzata nella ricerca di nuove varietà di ranuncolo, per raccontare cosa c’è dietro un fiore. Attraverso la ricerca e selezione dei caratteri presenti in natura, il costante lavoro di ibridazione e l’indirizzo altamente sperimentale di tutto il procedimento si arriva alla produzione di linee da clone. Per migliorare le varietà di ranuncolo esistenti, crearne di nuove attraverso la moltiplicazione in vitro, incidere su dimensioni, durata, resistenza e aspetto delle piante. Un metodo che rappresenta, in estremo, il concetto di cura del paesaggio come reazione e antidoto alla crisi. Mettere in scena ciò che c’è dietro il progetto e la creazione di un fiore significa indagare un sistema complesso di relazioni tra persone, di metodologie, tentativi, ripensamenti e aspirazioni. L’idea di condensare parte di queste informazioni in un giardino/laboratorio rispecchia la volontà di restituire i valori della complessità, dell’innovazione, al progetto e all’immaginario che lo accompagna.”





Naturaleurbano di Gianmaria Sforza | Studio d'Architettura Gianmaria Sforza con Francesca Fornasari e Dora Pugliese con un intervento sonoro dell'artista Gianluca Codeghini Realizzato con il contributo di Teracrea Ecoservices Fablab Reggio Emilia Villa del Cigliano

“Un ambiente-giardino paradigma dei molti spazi urbani ordinari, legati alla nostra esperienza quotidiana, sospesi tra residuo e abbandono, indecisione e progetto, emblematici di una condizione variabile tra precarietà e bellezza, libertà, natura. Uno spazio disponibile alle trasformazioni nel tempo e all’interazione con gli individui, per usi anche diversi, tutti da scoprire sull’onda di una situazione, di un’occasione. Performance? Degustazione? Pubblica lettura? Pochi elementi si combinano originando multiple configurazioni, giorno per giorno, e di conseguenza cambiano ogni volta anche gli spazi all’interno, così da trovare sempre nuove relazioni col contesto immediato del festival e delle altre folies. Così ci immaginiamo un giardino dinamico che non rinuncia a una sua dimensione invisibile, quasi impercettibile, un’anima sonora perfettamente integrata, mimetizzata.”





Tavolo seminale di Studio_NOWA Marco Navarra con Claudia Cosentino Dario Felice Salvatore Interlandi Maria Marino Antonio Rizzo Consulente scientifico Daniela Romano Realizzato con il contributo di Radice Pura Gruppo Faro

“In uno stato di crisi incalzante il progetto deve mettersi in pericolo per interrogarsi sulla realtà contemporanea e per costruire una proiezione nel futuro. La storia del giardino ci racconta di movimenti attraverso i continenti e di miracolosi ibridazioni e innesti. Un archivio di semi del pianeta è la condizione minima per poter immaginare il giardino del futuro. Tavolo seminale è una collezione di semi che genera la geografia raccontando la potenza di un giardino planetario, è un manifesto che esplora nuovi scenari per la ricerca sui paesaggi. E’ una superficie riflettente modellata da 100 specie di semi in 2000 provette disposte nella posizione geografica originaria, configura potenziali geografie attraverso lo scambio di posizione dei moduli triangolari del Dymaxion per simulare l’attivazione di possibili innesti di specie di provenienze diverse.”





La sedia che scotta di Claudio Bertorelli / Asprostudio Claudio Bertorelli Alessandro Danese Nicola Mattarolo Paola Silvestrini Silvio Vezzaro Eleonora Bottin Laura Bolzan Realizzato con il contributo di Inox Designer Vivai Verdevalle

“Ideare, verificare, produrre, trasportare, presentare, raccontare, utilizzare, rimuovere e vendere la Follia 2013 in un solo mese. Perché la cura contro la crisi è anche trovare i tempi giusti, imprimere una forte narrativa ai progetti, darsi un programma di lavoro e immaginare quali comunità potranno condividerlo. Il tempo dunque. Nel 1996 il filosofo paroliere Manlio Sgalambro sa imprimere un senso di svolta a “La cura” di Franco Battiato: “…Vagavo per i campi del Tennessee (come vi ero arrivato, chissà). Non hai fiori bianchi per me? Più veloci di aquile i miei sogni attraversano il mare”. Vince evocando le distanze, ed è la mossa del cavallo. Altrettanto Giacomo Leopardi nel 1819, che si pone all’Infinito trasformando lo sbarramento di una siepe nel dispositivo immediato e poetico del proprio pensiero: “…E questa siepe, che da tanta parte de l’ultimo orizzonte il guardo esclude”. Così anche “La sedia che scotta”, una follia che proietta la vista del suo giocatore verso il fuoco dell’Auditorium. Essa non è per tutti, è d’obbligo raggiungerla attraverso un giardino acquatico. E più si ha coraggio di dondolarsi più si avrà modo di vedere quel fuoco geometrico nella cavea, per liberarsi in un volo temporaneo e libero. Libero dalla crisi e dalla cura. ”





Tappeto “Good design” di MADE associati Michela De Poli e Adriano Marangon Realizzato con il contributo di XXINTERIORS Verdevalle

“L’oggetto è costituito da 3 componenti. La parte verticale è composta da elementi morbidi e filiformi annodati in piccoli ciuffi che si dipartono da un nucleo centrale. Ogni elemento filiforme è disposto all’interno di una guaina, ha una colorazione verde con una punta che a seconda della provenienza è smussata, arrotondata, a barchetta o appuntita. La superficie è scabra per consentire all’acqua di fermarsi prima di depositarsi alla base. Dal nodo centrale dei fili verdi si dipartono in direzione opposta, gruppi di coni biancastri rigidi leggermente pelosi e contorti che con andamento sinuoso penetrano nello strato morbido sottostante. I coni fungono da sistema di ancoraggio e di assorbimento. Lo strato morbido è formato da un cuscino poroso di colore scuro leggermente compatto che costituisce il supporto e il serbatoio energetico per gli elementi sovrastanti. Il rigore metodologico con cui sono assemblate le diverse componenti rende il sistema modellabile tanto da poter essere arrotolato e spostato con facilità.”





Balconi per Roma Concorso di progettazione under 30 Franco Panzini

Sarà per il fatto che dal giardino dell'Eden venimmo scacciati da un padrone piuttosto burbero, aiutato da bravacci alati con spadone, e che pertanto di quei luoghi conserviamo un ricordo viziato da gran brutte sensazioni, ma sta di fatto che tranne per i mistici incalliti non è quello il vero archetipo del giardino terreno. Teorie e storie sul tema, scritte nell'arco dei secoli, individuano piuttosto un altro antenato nobile, altrettanto paludato e dalla frequentazione assai meno rischiosa: i giardini pensili di Babilonia. Mito o realtà che fossero, in quei giardini elevati, realizzati in terrazze stese al di sopra di bizzarre costruzioni abitate, si univano due concetti divergenti ma a noi cari, il senso della città e anzi della metropoli, e quello della naturalità a portata di mano. Un preannuncio di modernità ben colto dagli artisti che negli ultimi decenni del secolo XX ne fecero un soggetto molto frequentato. Edgar Degas dipinse una Sémiramis construisant Babylone, dove la regina Semiramide, accompagnata da uno stuolo di ancelle, dopo avere raccolto le sue giornaliere rose fresche nella terrazza


giardino, osserva la pulsante città che l'attornia: una sorta di Manhattan vista da Brooklyn; manca solo il ponte. Pochi sono del tutto consapevoli della rivoluzione che il secolo trascorso ha portato al nostro ambiente di vita. Che ha riguardato non solo la produzione industrializzata degli oggetti d'uso o il radicale mutamento delle tecniche di costruzione edilizia; ad essere investito da un mutamento copernicano è stato il rapporto fra il paesaggio costruito, l'ambiente urbano, e lo spazio naturale. Negli ultimi decenni la vicenda del rinverdimento dell'ambiente urbano ha prodotto una vera nouvelle vague creativa, un'esplosione di forme ibride, generate dalla rivisitazione dei concetti di naturalità e artificialità. Di cui le recenti due torri del 'Bosco Verticale' costruite a Milano su progetto di Boeristudio, come nuovo modello di densificazione in altezza del verde e implicita democratizzazione dei regali giardini di Babilonia, costituiscono solo l'ultimo esempio. Il concetto di paesaggio è mutato intorno a noi, anche se i fotografi di calendario non se ne sono accorti. La progettazione contemporanea impone di esplorare i territori delle forme ibride, popolati dalle compromissioni fra ciò che è reso vivo dalla clorofilla e quanto è immobilizzato dalla sua natura minerale. I nuovi creatori di forme e ambienti devono formarsi con un'attitudine aperta alla progettualità, pronta a valicare i confini che hanno separato la progettazione architettonica, il disegno dell'oggetto d'uso, la progettazione ambientale. Esplorare le potenzialità dell'interscambio, dell'intermodalità è appunto uno degli obiettivi del Festival del Verde e del Paesaggio che annualmente si tiene a Roma e che trova nel concorso Balconi per Roma uno dei suoi momenti di creatività applicata ad ambienti reali e diffusi. Balconi, terrazzi, tetti praticabili sono la nuova frontiera urbana dove sperimentare la sensorialità del mondo vegetale, la dinamicità dei mutamenti stagionali, i valori contestuali del micro-ambiente; uno strumento con cui costruire un paesaggio relazionale fra il singolo e la collettività. E i progetti proposti ne sono una testimonianza.

I Balconi Relax urbano Martina Mastrangeli Around Arundo Barbara Cucuzzo, Laura Carosi Formal farm superboxes Guglielmo Bartocci, Giovanna Perdichizzi, Silvia Groaz Bancali per Roma Elena Donnini, Loriana Alessia Bellia Balcone camaleonte Santi Valvo Libiamo Nicolina Pasquariello, Matteo Annovi Green cloud Tiziana Giuliano, Panfilo Ginestra, Antonio Pantano Vestirsi di verde Chiara Casciotta, Stella Clerici Prendi.me Francesca Coppola, Stefano Melli


Relax urbano

Martina Mastrangeli

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Barbara Cucuzz


Arundo

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Formal farm superboxes

Guglielmo Bartocci Giovanna Perdichizzi Silvia Groaz


Bancali per Roma

Elena Donnini Loriana Alessia Bellia

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Libiamo

Nicolina Pasquariello Matteo Annovi


Green cloud

Tiziana Giuliano Panfilo Ginestra Antonio Pantano

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Chiara Casciott


di verde

ta Stella Clerici

Prendi.me

Francesca Coppola Stefano Melli


Avventure creative: sedersi in giardino Concorso di progettazione

Il senso di “Avventure creative” era piuttosto semplice ed esplicito: riportare l’attenzione sulla componente creativa del fare giardino, che risulta spesso marginalizzata. Nel senso che tra gli opposti delle altissime questioni connesse al fare paesaggio e le più semplici questioni legate al mercato e alla diffusione commerciale di prodotti del gardening, spesso la questione dell’innovazione dei linguaggi e dei processi creativi rischia di passare in secondo piano. Ovvero si tralascia di evidenziare come queste occasioni, proprio per la loro estrema transitorietà ed effimerità, dovrebbero essere spunto di proiezioni in avanti di natura prevalentemente creativa, piuttosto che mere manifestazioni di capacità tecnica e\o organizzativa, di certo complementari in questi casi e necessarie nello svolgimento della professione, ma di certo insufficienti per un sano esercizio di innovazione.

Fabio Di Carlo Una cosa che ci aveva colpito durante la selezione dei progetti, era che lo stimolo creativo aveva guidato molti dei partecipanti verso ipotesi di lavoro che sono andate molto oltre gli input e che molti avessero proiettato il tema del “sedersi in giardino” in una dimensione più alta e concettuale. Non eravamo neanche certi che tutti i progetti potessero reggere con il passaggio all’attuazione, a causa delle frequenti difficoltà che durante un allestimento temporaneo possono ostacolare la realizzazione in forma coerente con gli intenti di progetto. Invece le opere erano, pur su versanti diversi e con molte gradazioni, tutte coerenti con le aspettative e, aggiungerei, capaci di mostrarci qualcosa di più di quanto avevamo capito quando li avevamo scelti tra le oltre sessanta proposte pervenute. “La panchina di Marcovaldo” è stato il progetto vincitore. La proposta mi aveva colpito molto, per l’idea in sé e per l’originalità della sua materializzazione, anche se non la avevo considerata da subito come possibile vincitrice, temendo una mia incapacità di separare la valutazione del giardino dal riferimento all’opera di Italo Calvino, che ho molto amato e studiato. Ma quando gli altri componenti della giuria, Alberto Orioli e Ciriaco Campus, l’hanno indicato come la proposta più suggestiva, non ho avuto alcuna esitazione ad unirmi a loro nel giudizio.


Parlando degli altri progetti, gli approcci sono stati tra i più diversi. Alcuni proponevano il tema dell’attraversamento di uno spazio. “Attraverso” era appunto un luogo formato da un pulviscolo di elementi diversi e vivaci, tenuti insieme da una sorta di forza di attrazione; “Guardallà” invece cercava di sintetizzare in un microcosmo tutti gli elementi tipici del giardino: la contemplazione e lo stupore di vedute, il passaggio insieme alla sosta, e soprattutto uno sguardo all’innovazione dei materiali, usati con grande maestria. “La tana nel bosco” e “The room” erano invece giardini per la sosta, in cui entrare per fermarsi, e raccontavano di un rapporto tanto profondo ed intimo con il giardino da rappresentare quasi degli archetipi. Il primo come vero e proprio rifugio, quasi claustrofobico come può esserlo un bosco; il secondo come rilettura di un modello ricorrente dell’abitare il giardino nella cultura giapponese. “Giardino seduto” e “Siamo sulle spine” sono quelli che più si sono avvicinati ad un ragionamento tra design e appropriazione informale dello spazio, legato spesso all’uso occasionale di elementi diversi. Il primo quindi trasformava la seduta stessa in un giardino, mentre il secondo utilizzava il riferimento alla condizione di precarietà per evocare altri temi del giardino. “La turbo seduta” e “Habemus vanitas”, infine, sono come due scene teatrali. Entrambi basati sul riuso di materiali di recupero, il primo evoca un mondo tra sensibilità ambientale e interattività con gli elementi di un giardino che contiene infiniti paesaggi; il secondo è invece una sorta di giardino errante, quasi una figura epica e ironica, pensato per viaggiare nei paesaggi italiani, seminando delle parti ed arricchendosi dell’esperienza del viaggio. Un ringraziamento e un augurio per tutti di continuare a produrre felicissimi giardini.

I progetti La panchina di Marcovaldo Emanuele Penna, Andrea Penna, Nicole Del Re Habemus vanitas Manuel Muñoz Segura The room Gianni Puri, Enrica Siracusa, Riccardo Santoro Guardallà Istituto Quasar: Isabella Rességuier de Miremont, Adam Schiappapietra, Martina Grascelli, Silvia Fiori, Lucrezia Didonna, Roberto Cominassi, Domenico Cutrone, Francesca Barbato, Lorenza Bartolazzi, Pierfrancesco Malandrino, Luca Catalano, Cristiana Costanzo, Claudia Clementini, Sante Simone Giardino seduto Sergio Capoccia, Margherita Brusca La tana nel bosco Simone Romaro, Nicola Coppo, Iride Filoni, Stefano Marcato La turbo seduta Francesca Cecconi, Andrea Ciocchetti, Federica Fruhwirth Siamo sulle spine Antonio Stampanato, Francesco Qualizza, Rocco Repezza Attraverso Caterina Micucci, Anna Merci


La panchina di Marcovaldo di Emanuele Penna Andrea Penna Nicole Del Re Realizzato con il contributo di Vivai Eretini

“La panchina di Marcovaldo è un sogno, un ideale, un percorso dell’immaginazione. Riesce a mantenere tutte le aspettative del protagonista solo fin quando resta desiderata. Può rimanere sogno e aspettativa purché non venga raggiunta. Esiste solo come oggetto del desiderio e in quanto tale può diventare ciò che vogliamo, così come raccontato da Italo Calvino nel suo romanzo. Intorno alla Panchina di Marcovaldo, fluttuanti sullo specchio d’acqua, si ergono le aspettative che ognuno di noi ha, proprio come il protagonista di Calvino, in relazione al gesto di sedersi in giardino: nuvole di pensiero, rappresentate dalle damigiane di vino, aleggiano intorno all’oggetto desiderato.”



Habemus vanitas di Manuel Muñoz Segura

“Gli uomini vivono recitando nel paesaggio […] teatralizzando le piccole e grandi imprese che danno significato alla loro vita, partecipando da attori o spettatori […]. Poi scompaiono […] e della loro esistenza […] resteranno nel paesaggio gli echi, sempre più deboli, le memorie tacite o sempre più fioche delle gesta di cui hanno riempito il palcoscenico, i brandelli dell’allestimento scenico con cui, attraverso l’azione pratica e utilitaria, e attraverso l’attività ludica e creativa, hanno costruito il paesaggio-teatro. (Il paesaggio come teatro, E. Turri; ed. Marsilio). L`installazione rappresenta il cum clave, dove i protagonisti sono le piante: i cardinali presenti al seggio sono i Cipressi, che rappresentano il legame tra la terra e il cielo, e la Mimosa pudica, che occupa il podio centrale più piccolo, concepito per accogliere il corpo di un bambino, è un arbusto sempreverde di piccole dimensioni, rappresenta l’idea del pudore dell’innocenza e della sensibilità dell’infanzia.”



The room di Gianni Puri Enrica Siracusa Riccardo Santoro Realizzato con il contributo di Università degli Studi di Roma Tre Dipartimento di Scienze

“Il progetto trae ispirazione dal rito giapponese della cerimonia del the. La figura generatrice dell’opera è il cerchio, che nel pensiero buddhista rappresenta l’universo, costruito con scarti vegetali, accoglie il visitatore in un luogo intimo e raccolto. A terra, un tappeto di corteccia di pino su cui vengono adagiati alcuni cuscini, invita i visitatori a sedersi. Secondo il rituale giapponese, la cerimonia del the si svolge in una stanza appartata della casa o, più spesso, in un padiglione apposito, solitamente collocato all’interno di un giardino, in perfetta armonia con esso. Il forte contenuto spirituale della cerimonia giustifica l’isolamento della stanza dall’abitazione, al fine di allentare le ansie e le preoccupazioni della vita quotidiana.”



Guardallà a cura di Istituto Quasar Isabella Rességuier de Miremont Adam Schiappapietra, Martina Grascelli Silvia Fiori, Lucrezia Didonna Roberto Cominassi, Domenico Cutrone Francesca Barbato, Lorenza Bartolazzi Pierfrancesco Malandrino Luca Catalano, Cristiana Costanzo Claudia Clementini, Sante Simone

Realizzato con il contributo di Istituto Quasar.com Il Giardino Malandrino

“Stare seduti all’interno di un giardino è un’azione propria del fare paesaggio, che coincide con l’azione del guardare, del costruire una veduta privilegiata. Il giardino si configura come un percorso stretto e obbligato, scandito da cilindri di cartone pressato riciclati, che con le loro differenti altezze creano affacci o davanzali, sedute singole e/o collettive, offrendo al visitatore le diverse modalità della sosta. La vegetazione erbacea rimanda all’idea della pausa e dello stare seduti: la pausa del tè. Finocchio, malva, melissa, echinacea, verbena sono alcune tra le specie più indicate per infusi, decotti e rimedi naturali: L’unica presenza arborea è la Tilia platyphyllos, che posta alla fine del percorso, funge da visuale di fondo del percorso stesso e costituisce una sosta ombreggiata.”



Giardino seduto di Sergio Capoccia Margherita Brusca Realizzato con il contributo di Florovivaistica del Lazio Tutto in un Fiore Arte Legno

“Il progetto è composto da un’unica struttura che, nascendo direttamente da terra, crea una serie di sedute identificate in due zone ben distinte: la prima zona è caratterizzata da una lunga panca che trova origine da una morbida “collinetta” in mezzo alla quale sono inseriti gli schienali. La seconda zona è quella delle sedute concentriche con 6 schienali rivolti verso il centro occupato da un esemplare arboreo. Queste due zone sono distinte tra loro sia per la forma sia per il tipo di seduta che offrono; infatti mentre la panca offre una seduta tradizionale e più “solitaria”, la seconda si pone come un centro dove il visitatore viene messo in relazione con le persone che occupano le altre sedute.”



La tana nel bosco di Simone Romaro Nicola Coppo Iride Filoni Stefano Marcato Realizzato con il contributo di Esedra editrice Azienda Agraria Cocchi F.E.R. Design

“Il progetto è composto da un boschetto all’interno del quale è posta una piccola serra raggiungibile attraverso un piccolo sentiero. La Tana nel bosco è l’esperienza primordiale dell’addentrarsi nel bosco, rintanarsi per curarsi dalle ferite e rigenerarsi. Questo processo che tiene conto del tempo e dei cambiamenti sarà descritto con tre diversi allestimenti. Venerdì – Il ricovero del ferito. L’interno della serra sarà allestito con rampicanti disposti alle pareti in modo da accentuare il senso di protezione. Una chaise longue farà da giaciglio. Sabato - Il periodo di convalescenza. L’interno sarà allestito in modo da lasciare libere le pareti ed osservare il mondo senza essere visti. Domenica - La rigenerazione è compiuta. All’interno rimarrà soltanto una seduta e una pianta nel pieno della sua fioritura.”



La turbo seduta di Francesca Cecconi Andrea Ciocchetti Federica Fruhwirth Realizzato con il contributo di AMA Roma LemonFlor

“Chi ha mai detto che la seduta debba essere un elemento statico, legato all’idea di riposo, contemplazione o attesa? E se fosse lei stessa, muovendosi, a dar vita agli spazi del giardino? Ecco allora che la seduta diventa unica, grande, dinamica, si sposta, traina, porta con sé oggetti del passato utili al presente, si muove in ogni dove, in una dimensione in cui tutto riprende vita! Al suo passaggio ogni oggetto perde il suo usuale scopo per acquistarne uno nuovo: la seduta si trasforma in una ‘Turbo Seduta’ in cui oggetti vari, vengono assemblati insieme a comporre un unico corpo snodabile. L’intero corpo sarà trainato da una bicicletta. Un piccolo giardino fai-da-te dove la seduta potrà essere spostata e posizionata nelle varie aree in base all’azione che si vuole svolgere: l’area laboratorio, l’angolo merenda, la zona riposo e la zona gioco.”



Siamo sulle spine di Antonio Stampanato Francesco Qualizza Rocco Repezza Realizzato con il contributo di Legnonord Il Giardino di Pan Pevere

“3 progettisti, 3 varietà di rose, 3 componenti di un unico dispositivo. Questa idea ruota tutta intorno al numero 3, espressione simbolica di creatività e rappresentazione percettiva di una convergenza anelata. Siamo sulle spine vuole essere un rimando ironico alla condizione vissuta dalla nostra generazione. Tensione riportata concettualmente, le spine rimandano con immediatezza ad un’idea di disagevole inospitalità. E’ subito apparso importante che il tema della seduta fosse intimamente integrato con la vegetazione. Secondo obiettivo è stato quello di esprimere attraverso il progetto le singole predisposizioni professionali dei componenti, ovvero paesaggistica, compositiva e tecnologica. L’unione delle tre competenze ha portato a realizzare un progetto dall’assetto radiale che, convergendo al centro dello spazio, crea una superficie condivisa che rappresenta l’elemento di unione.”



Attraverso di Caterina Micucci Anna Merci Realizzato con il contributo di Dhobben Flowers Spazio casa Pollici rosa…di rare piante Samar Vivaio Talenti

“Attraverso è un giardino che unisce diverse dimensioni spaziali e temporali. Il giardino è concepito come un incrocio di momenti irripetibili. In esso si combinano scale micro e macro, lo sguardo verticale e orizzontale, le interazioni tra le diverse manifestazioni vegetali ed umane. E’ un giardino flessibile, è uno spazio pubblico. Mediante l’elemento natura, inserisce nella città il fattore evolutivo e dinamico, tramutando l’oggetto in scultura vivente. Invia messaggi, siano essi profumi, colori, polline o semi. Appropriandosi e contaminando questi spazi, il giardino ricerca un’identità che tramuti lo spazio in luogo. L’allestimento si basa su materiali riciclati e a basso costo. E’ un’isola che invita i visitatori ad interagire, rilassarsi, trascorrere del tempo, conoscersi ed osservare, rapportandosi con la natura in uno spazio in continua evoluzione.”



Giardini applicati Lilli Garrone Ecco il «Bosco urbano»: due grandi pareti di legno di riciclo e il verde di piante che si potrebbero definire «estreme» per le loro caratteristiche, compresa quella di aver bisogno di poca acqua. È la creazione vincitrice di «Giardini applicati», una sezione tutta nuova nell’edizione 2013 del «Festival del Verde e del Paesaggio», dove la natura, le piante, i fiori, vengono innestati all’interno di un progetto architettonico preciso, dovuto alla mente e alla mano dell’uomo. Realizzato dallo Studio MASA per i Vivai Piante Green Service è stato premiato «per aver meglio coniugato la progettazione architettonica attraverso lo studio compositivo di quinte di riciclo, che ben si uniscono alla scelta delle specie vegetali proposte. Una coinvolgente installazione che cattura l’attenzione». Non è stata una scelta facile, perché ogni «applicazione» aveva fascino e catturava con idee innovative l’attenzione della squadretta dei quattro giurati. Come il «Verde a colori», il progetto di Laura Orazi in collaborazione con i «Legni di Pinocchio» per Florovivaistica del Lazio, con la sua grande quinta verde, o «Gira che ti rigira», de il «Tetto Casal fattoria onlus», con la progettazione dello studio Extramoenia, dove i ragazzi dell’associazione hanno dato vita a un angolo di giardino mediterraneo con una torre di metallo che, come una grande cerniera, attrae a sé tutti gli elementi coinvolgendoli in un motivo a spirale. Ed una giuria affiatata, dove tante professionalità differenti si sono misurate in un compito che più che premiare il paesaggio doveva esaminare soprattutto l’applicazione di un progetto alle piante e al verde: dove ognuno nello studiare le composizioni ha portato le proprie esperienze oltre che i propri gusti personali. E così un architetto come Bernardino Pinzari ha puntato sulla progettazione,

mentre una vivaista come Elisabetta Margheriti ha portato la sua esperienza sul verde e sulle piante; un dottore forestale come Roberto Fagioli è riuscito a valutare le caratteristiche dei materiali con grande curiosità e io, giornalista, un po’ di tutto: soprattutto l’impatto visivo di questi giardini applicati. Vi sono state delle menzioni speciali: ai Vivai Esotica «per la composizione di insieme e per la varietà delle piante proposte che donano un piacevole ed interessante impatto visivo unito ad una consapevole ricerca botanica» e per il già ricordato «Il Tetto Casal Fattoria onlus» per «l’originalità e per lo studio dello spaziogiardino anche attraverso l’uso di materiali semplici, naturali e per le idee di installazione delle piante e del verde». Ma basta chiudere gli occhi per rivedere i colori e la gioia di quelle giornate della metà di maggio sulle terrazze dell’Auditorium. Per rivedere i tanti fiori colorati delle installazioni, dove anche se c’è stato solo un vincitore tutti i progetti hanno lasciato il ricordo di come l’uomo possa trasformare la natura e – soprattutto nei giardini applicati – renderla diversa e molte volte perfino più bella. Anche se è sempre molto difficile. in ordine nelle pagine che seguono:

Bosco urbano Green Service, progetto Studio MASA

Gira che ti rigira Il Tetto Casal Fattoria Onlus, progetto Extramoenia

Sosta pausa fermata intervallo Linea Giardini, progetto di Andrea Veglianti con Artestenico

Giardino al femminile Progetto di Maria Elena Marani con Giuseppe Fabrini e Filippo Lucatello

Il giardino d’autore Vivai Esotica

Il filo d’erba 3Emme Service, progetto di MariaPaola Aleotti

Verde a colori Florovivaistica del Lazio, progetto di Laura Orazi in collaborazione con I Legni di Pinocchio







Premio Vivai Bruna Pollio Bruno Filippo Lapadula C’è sempre una gran confusione da noi quando si tratta di vivai. Sono nursery o garden center? Producono direttamente le piante o si limitano a venderle come un centro commerciale specializzato? Però questa confusione, alla fine, può essere piacevole. Almeno è stata piacevole durante il terzo Festival del Verde e del Paesaggio. Una selezione composta esclusivamente di nursery, che producono piante per esperti, sarebbe stata forse difficile e faticosa da percorrere per i non specialisti, desiderosi solo di abbandonarsi all’immediato piacere sensoriale di forme, colori e profumi senza voler approfondire il backstage del display floreale, la cura e l’attenzione che sono alla base di tanta gloria vegetale. Una fiera di garden center avrebbe portato ad una ripetizione un po’ scontata di piante belle e di sicuro ritorno commerciale, per assecondare il gusto del grosso pubblico senza troppo stimolarne l’impegno. Il mescolare le due tipologie di proposta botanica ha reso il festival piacevole, come dice l’etimologia della parola, una vera festa all’aperto. La compresenza di produttori e rivenditori di piante, assieme a progettisti del verde, studenti e scrittori in un unico spazio allestito come un giardino con al suo interno dei minispazi verdi sperimentali ha certamente contribuito ad orientare i neofiti ma anche gli esperti nel complesso mondo dell’arte dei giardini. Infatti tra gli stand di piante e piantine, belle e largamente diffuse nei giardini, c’era la possibilità di scoprire cose rare e sconosciute persino agli specialisti. Un’emozione che ci fa un po’ partecipi della meravigliosa stagione dei cacciatori di piante, ovviamente dei

cacciatori in pantofole, ma il piacere della scoperta c’è sempre! Un altro aspetto offerto dalla manifestazione - che è sempre un’esperienza straordinaria - è la possibilità di conversare con gli espositori, i veri protagonisti del festival. Si tratta di produttori che a passione e conoscenza associano orgoglio ed autorevolezza nel proporre piante di cui sono sicuramente invaghiti, siano esse zucche o camelie, rose indiane o peperoncini cubani. Condividono volentieri le loro esperienze, raccontano il perché della loro scelta, spesso dovuta a motivi curiosi o casuali: un nonno collezionista, un viaggio all’estero, una tesi di laurea, l’improvvisa folgorazione per un fiore non reperibile sul mercato nazionale, la scoperta nelle campagne di un frutto dimenticato, non particolarmente bello ma di una bontà desueta, la precisa osservazione della flora selvatica di cui evidenziano fascino e sostenibilità. In fondo i vivaisti appaiono sempre come degli angeli pronti a dare consigli ed a salvare le nostre amate piante dalla catastrofe. Chiamarli angeli non è casuale. Pare sia andata proprio così, almeno a leggere le belle favole raccontate nei testi apocrifi dell’Antico e del Nuovo Testamento. I nostri antenati, si sa, erano giardinieri un po’ maldestri ed ebbero il bisogno di essere istruiti dagli angeli che gli insegnarono tutto quello che era meglio fare per coltivare le piante del Paradiso che gli erano state affidate. Però in quel luogo felice tutto era facile, c’era ben poco da fare e da sbagliare. Una volta cacciati sulla terra, con i pochi semi che era stato concesso loro di portare con sé, fu tutta un’altra cosa. Dovette intervenire l’arcangelo Gabriele ad insegnar loro l’agricoltura, per addomesticare una natura ostile e per rendere fertili i campi. Ma non finì qui, successe un altro evento. Alcuni angeli, che si erano innamorati delle donne della terra, le istruirono, sulla coltivazione delle piante magiche e medicinali. Così le donne appresero tutto sulle virtù di semi, foglie, frutti e radici, trasformandosi in streghe herbariae. Quindi, il giardinaggio, l’agricoltura e l’erboristeria sono scienze angeliche, e noi abbiamo ancora un gran bisogno di angeli che salvino i nostri vasi e vasetti.





Premio Silvia Provera al miglior espositore Fiorella Scarvaglieri

Anche quest’anno l’Auditorium ha accolto i tre giorni del Festival del Verde e del Paesaggio. Forme e profumi di essenze che hanno costruito paesaggi e architetture nel verde. Il Premio Silvia Provera dedicato agli Espositori ha trovato nuovi personaggi e idee all’altezza della manifestazione. I linguaggi del paesaggio contemporaneo sono molteplici e la giuria, con voto unanime, ha premiato questo gruppo che più di altri ha saputo portare avanti e realizzare un’idea innovativa ed ecosostenibile, unendo armonia e utilità, caratteristiche fondamentali del Premio stesso: Arredopallet, i vincitori. ‘Non smaltire ma rigenerare gli scarti’, questo il loro concept. Premio meritato per una ragione forse banale ma imprescindibile: incarnano un modo semplice di reinventare, con eleganza, oggetti grezzi; di trasformare materiali, legati alla fatica del lavoro, in angoli cui associare benessere, relax, addirittura riposo, senza però mai dissimularne le origini operose. Hanno saputo dimostrare concretamente come un’idea, la creatività e la passione siano i soli strumenti davvero necessari, specie per chi ha scelto di fare anche della vita all’aperto il proprio terreno di lavoro. Il principio base di Arredopallet è il riciclo intelligente e ingegnoso, anche per questo ha incontrato la piena adesione e le simpatie di tutta la giuria. I comuni pallet industriali, il legno da smaltire o inutilizzato, diventano arredi e attrezzature, nel pieno rispetto dell’ambiente, in una visione contemporanea ed ecosostenibile della realtà. Abbiamo premiato la loro scelta di progettare con materiali che se smaltiti avrebbero causato ulteriore inquinamento; abbiamo premiato la scelta di bypassare lo smaltimento e con grande creatività e maestria realizzare momenti di aggregazione, nel pieno spirito del Premio.













Realizzato con Emu, l'azienda che da sempre si caratterizza per la qualità degli arredi garantita dalla produzione made in Italy, anche quest'anno ha arredato le zone dedicate agli incontri, al food ed al relax.

Il Gruppo Sole 24 Ore. La Scuola Agraria del Parco di Monza e l’Associazione Maestri di Giardino per i corsi di giardinaggio.

Florovivaistica del Lazio, che da oltre trent’anni si dedica alla progettazione, realizzazione e manutenzione di spazi verdi, ci ha affiancato con la competenza dei suoi tecnici e giardinieri.

L’Associazione culturale G.Eco per aver ideato e realizzato i laboratori ecologici dello Spazio Bambini.

Coverture, realtà con grande esperienza nella progettazione e realizzazione di coperture per l’esterno, ha fornito la pergotenda Corradi sotto cui si sono svolti corsi, incontri e premiazioni.

Gli allievi della Scuola Romana di Fotografia e Cinema, coordinati da Carla Magrelli, per aver scattato le fotografie di questo catalogo.

Arredopallet ha costruito, con legni di riciclo, pedane, banconi e piccole aree di sosta.

Di Salvo per l’impianto audio-video. I giovani artisti dell’Accademia di Belle Arti di Roma.

Green Service e MASA Studio, in sinergia con Deroma che ha fornito i vasi, hanno contribuito ad abbellire il chilometro di percorso con essenze mediterranee.

Un ringraziamento particolare a: Notebook Libreria dell’Auditorium

La scalinata di accesso al festival è stata allestita scenograficamente da Casamania, su progetto di Giuseppe Santangelo di Proarchs.

The Duke Hotel Insider Magazine

Il Tetto Casal Fattoria Onlus con Studio Extramoenia ha fornito il servizio carriole e le consulenze botaniche di Dr. Green.

Si ringrazia inoltre per la collaborazione: AMA SpA per l'opportunità offerta ai visitatori del festival di conoscere e approfondire le corrette pratiche della raccolta differenziata, con particolare attenzione al compostaggio domestico.



Racconto breve sotto le foglie Concorso letterario

Nell’ambito della terza edizione del Festival del Verde e del Paesaggio, è stato indetto un concorso letterario, intitolato “Racconto breve sotto le foglie”: 4000 battute per affrontare un tema – il giardino – che, a giudicare dalla quantità di testi pervenuti, ha saputo far risuonare in profondità corde molto sensibili. A qualunque età, e con una varietà di stili e di accenti che non avremmo immaginato. I racconti dei primi tre classificati (Maria Rosaria Fonso, Terra; Ilaria De Marinis, Una meravigliosa giornata di primavera ex aequo con Piero Angelo Ottusi, Merica) sono stati pubblicati sul sito, Terra potete leggerlo anche in questo catalogo. Sull’onda dell’entusiasmo per il successo ottenuto, e fiduciosi che i semi piantati daranno altri frutti, ritentiamo l’esperimento anche nel 2014.


Terra di Maria Rosaria Fonso Fin dal primo momento non avevo avuto aspettative su quel quadrato di terreno arido e sassoso così simile alla mia anima. Eppure mi ero resa disponibile al progetto, in faccia agli occhi della direttrice, stupiti davanti alla mia mano alzata. Abituata a vedermi abulica e inerte, sicuramente si era chiesta cosa mai stessi tramando. Sarebbe rimasta molto delusa se avesse saputo che quel braccio drizzato era stato estraneo anche a me stessa, come se l’input fosse partito da una testa che non era la mia. Ma presto, incontrandomi con la terra che avrebbe dovuto ricevere dalle mie mani la vita, compresi che con quelle zolle ostili avevo voluto regalarmi l’ennesimo fallimento, utile a scacciare la speranza che come linfa solleticava le mie radici per entrare in me. Non volevo dare dimora a sogni, non volevo farmi abitare da idee di un nuovo futuro. Il campo per la coltivazione era adiacente alla prigione, finiva a ridosso delle mura che custodivano la mia cattività. Quale pianta avrebbe potuto attecchire in un ventre pestato da piedi di donne senza cielo, occupate a contare i passi su pochi metri di mattonelle, lise dallo scandire di giorni a scontare il tempo? Quell’utero di terra, incastrato all’ombra di pietre di gabbia esigeva fiducia, passione, costanza, amore per poter concepire, nutrire, dare vita; abbisognava di una pioggia di fertilità originata dalle nuvole più alte, quelle così in cima all’aria da non conoscere la gravezza umana, cariche di lievità che zampilla solo di acqua buona. Le mie mani avevano procurato morte, la mia acqua era amara, i miei sentimenti erano schiacciati sotto il macigno di una colpa che, anche dopo aver scontato la pena, non avrei più saputo perdonarmi. Cominciai, scevra di entusiasmo, arida di attese: era un modo diverso per lasciarsi vivere. Superai presto il turbamento nato dal contatto con le nuove persone. Avevo temuto che i liberi, due giardinieri professionisti e alcuni volontari, mi assillassero

di premure e di sottintese domande. Ma non fu così: nessuna forzatura, nessun buonismo, nessuna condanna; solo una competente vicinanza. Bene, me ne sarei stata per conto mio! Non avevo però fatto i conti con la terra. Affondarci le scarpe – fino a desiderare di toglierle e muoversi a piedi nudi –, rivoltarla, liberarla, dissodarla, scavarci buche, tenerla tra le mani lasciando che le dita ne smantellassero i grumi, fu come rientrare nella mia anima, camminarci dentro, metterla a nudo, aprire cassetti, sciogliere nodi. Riaffiorarono ricordi incorniciati da bordi di pansé, memorie profumate di glicine: il piccolo giardino di mia madre, aiuole ingenue, cariche di fiori accostati casualmente, sfacciatamente colorati dentro allo sfondo di una strada asfaltata polverosa e grigia che presto mi aveva portata via. Il primo germoglio nato da un seme uscito dalle mie mani mi fece arrendere completamente: la meraviglia prese il posto dell’incredulità, la fiducia cominciò a irrigare i miei pensieri. Ora il mattino mi portava la pace di quelle ore immersa nella terra: dare dimora a una pianta le cui radici si sarebbero allungate prive di costrizioni, concimare, annaffiare, curare, era come irrorare la mia stessa anima, dissetarla, nutrirla, concederle quella libertà che il corpo non aveva. Solo il potare mi procurava disagio. Evitavo quell’operazione. Mi bloccava la paura di portare distruzione. ”Non devi temere di rovinare le tue sculture vegetali,” mi disse un giorno il giardiniere. “Non modelliamo pietra o legno inerti, diamo forma a piante vive. Loro hanno la capacità di riprendersi e di rigenerarsi anche oltre i danni che noi che le curiamo possiamo arrecare loro.” Ecco, credo che fu da quel momento che cominciai a perdonare a me stessa. Fiorì in me la voglia di darmi un’altra possibilità, di ricominciare una volta scontata la pena, magari come vivaista. Una nuova linfa prese a scorrere nei miei giorni di carcere: la speranza di rigenerarmi in un nuovo futuro.


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Fotografie Francesco Amorosino, Fabio Cameli, Agnese Capalti, Francesca Cervasi, Valeria Laureano, Ariel Mieli, Carlotta Valente

Copertina Ciriaco Campus Progetto grafico Alessandro Bertolini Stampato da Miligraf (RM)

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prima edizione Dicembre 2013 ISBN 978-88-96002-35-3 Tutti i diritti riservati Vietata la riproduzione anche parziale




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