Festival del Verde e del Paesaggio / Quinta edizione

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2015



al paesaggio italiano



ROMA AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA - PARCO PENSILE 15 16 17 MAGGIO 2015


ROMA AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA - PARCO PENSILE 15 16 17 MAGGIO 2015 Ideazione e coordinamento progetto Gaia Flavia Zadra Direzione creativa Ciriaco Campus Segreteria organizzativa Maria Michela De Mita Comunicazione e web Alessandro Bertolini Ideazione e cura Follie d’Autore Franco Zagari Supervisione Avventure creative Fabio di Carlo Supervisione Balconi per Roma Franco Panzini Ideazione Racconto breve sotto le foglie Giovanna Salvia Collaborazione tecnica, segreteria concorsi Elisa Capparella Assistente all’organizzazione Alessandra Tocci Ufficio Stampa Barbara Manto & Partners Media Partner Gardenia, Dimensione Suono Due, Wanted in Rome

WWW.FESTIVALDELVERDEEDELPAESAGGIO.IT


Sospesa sulla parete della scalinata d’ingresso: “Ti disegno un bosco?” Installazione di Gianmaria Sforza (Playarchitecture) e Cristina Martone


Un festival inimitabile Gaia Flavia Zadra Ideatrice del Festival del Verde e del Paesaggio

Giunti alla quinta edizione del Festival possiamo fare un primo bilancio. Pur dovendo lavorare con un budget limitato che negli anni, complice una crisi ormai sistemica, ci ha creato qualche difficoltà, abbiamo raggiunto risultati importanti. Già dall’anno scorso abbiamo superato i 21.000 ingressi, ospitato nomi importanti della scena architettonica internazionale (quest’anno Torres e Martinez Lapeña), ideato tre concorsi (due di progettazione ed uno di scrittura), dedicato la Giornata del Verde alle scuole elementari, invitato innumerevoli personalità che hanno raccontato, presentato, discusso di paesaggio e di giardini. Questi risultati sono il frutto di una reale e proficua collaborazione tra il gruppo organizzatore (accanto a me, Marilina De Mita, Alessandro Bertolini e Ciriaco Campus) e gli insostituibili Franco Zagari, Fabio Di Carlo e Franco Panzini, oltre a tutti i giurati e moltissimi altri che sarebbe troppo lungo elencare. Con loro abbiamo dato consistenza ad una formula nuova che nel tempo si è rafforzata tanto da essere spesso, e con nostra grande soddisfazione, imitata. I prossimi cinque anni saranno dedicati a rafforzare il Festival e a renderlo...inimitabile!


Crescita sostenibile Carlo Fuortes Fondazione Musica per Roma

Se ne è parlato poco, troppo poco, ma quella dello scorso 13 agosto è stata, per il 2015 e per l’umanità intera, una data particolare. Da quel giorno, infatti, siamo “in rosso”, abbiamo cioè esaurito le risorse prodotte nel corso dell’anno dalla Terra. Significa che tutto ciò che è stato consumato nei mesi successivi è andato al di là di quello che la natura fornisce in modo rinnovabile. Significa che noi tutti stiamo vivendo chiedendo un prestito al futuro, cioè togliendo ricchezza ai nostri figli e ai nostri nipoti. Il problema è che la situazione peggiora e che questa data arriva sempre prima. Il primo anno in cui l’uomo ha utilizzato più risorse di quelle offerte dal pianeta è stato il 1986, ma quella volta il cartellino rosso si alzò il 31 dicembre. Nel 2005 l’Earth Overshoot Day è caduto il 2 ottobre. Quest’anno eccoci, appunto, al 13 agosto. E secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, l’anno in cui – se non si prenderanno provvedimenti – il rosso scatterà il primo luglio sarà il 2050. Vuol dire che alla metà del secolo avremo bisogno di un secondo pianeta a disposizione. Non sembri un’esagerazione, ma in fondo stanno anche qui le ragioni di una manifestazione come il “Festival del verde e del paesaggio”: nella necessità di affermare una nuova cultura che significhi rispetto dell’ambiente e consapevolezza della finitezza delle risorse naturali, con modelli di sviluppo che comportino crescita e benessere, ma che siano anche ecologicamente sostenibili. Sono scelte che spettano innanzitutto ai potenti della Terra, non c’è dubbio. Se c’è però una speranza, questa è legata anche al diffondersi di comportamenti positivi e di buone pratiche tra i singoli individui, all’interno delle comunità cittadine, tra i più piccoli soprattutto, che saranno le donne e gli uomini di domani. La sesta edizione del Festival, allora, sarà bella e ricca anche per questo: perché per tre giorni, dal 13 al 15 maggio 2016, trasformerà l’Auditorium di Roma in una “oasi verde” in cui far crescere, grazie alle competenze di tanti paesaggisti, garden designer e produttori di piante, grazie alle migliaia di visitatori che interverranno, una dimensione diversa, più curata e piacevole del vivere quotidiano, nel segno della qualità della vita, dell’ambiente e di un futuro migliore.


Cultura del paesaggio Ilaria Borletti Buitoni Sottosegretario MiBACT Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Questo festival, che è anche una vera e propria festa aperta a tutti, grandi e piccoli, e che ho potuto molto apprezzare già nelle passate edizioni, è un buon modo per ricordarci quanto sia importante il legame tra i cittadini e il paesaggio che ci sta accanto. Questo è il valore che il paesaggio dovrebbe avere: motore di azione per chi vive nel territorio e motivo d’ispirazione per chi viene a visitarlo. Riscattare e salvaguardare ciò che ci sta attorno è allora un dovere al quale tutti noi siamo chiamati. L’Italia affonda le sue radici in un territorio stupendo e di sfaccettata ineguagliabile bellezza. Come un diamante che stupisce con le sue infinite sfumature prodotte dalle diverse angolature della luce, così il nostro Paese con il suo paesaggio e il suo patrimonio artistico mostra angoli sempre diversi e sempre capaci di stupire. Questa realtà è frutto di secoli di duro lavoro, quest’ambiente “visivo” è la nostra storia, un’eredità difficile ma bellissima, una sfida affascinante alla quale non possiamo sottrarci, da costruire - o ricostruire - giorno dopo giorno, da difendere dai soprusi dell’ignoranza, da far diventare fonte di sviluppo e progresso sociali, partendo da un’idea etica profonda di armonia e bellezza. La globalizzazione e i cambiamenti climatici, le politiche alimentari sostenibili, la protezione della biodiversità, le attività dal basso come la rinascita dell’orticoltura urbana, la sempre crescente sensibilità ecologica, i progressi nella disciplina del restauro dei giardini storici, o la progettazione dei nuovi parchi urbani e del paesaggio, sviluppata soprattutto nei paesi del nord Europa, sono temi di grande attualità che rilanciano la centralità

della cultura del verde in modo trasversale a tanti campi disciplinari e al contempo ne allargano l’orizzonte. Il contenimento del consumo del suolo, il riuso dell’edificato e il recupero del paesaggio degradato devono essere le parole chiave cui associare una attuale e vincente idea di sviluppo, che non può più essere legata alla cementificazione indiscriminata. Come sa bene chi si occupa di paesaggio, la natura modellata dall’uomo è un ecosistema inestricabile e interdipendente. Se ne modifichi una parte, la figura complessiva si spezza e non puoi ricostruirla. Il risultato è uno solo: l’inarrestabile danno a un patrimonio collettivo. Un danno irreversibile. Nella mia passata attività, così come oggi in qualità di Sottosegretario di Stato - nell’ambito delle competenze che mi vengono dalla delega al Paesaggio e nel presiedere l’Osservatorio nazionale per la qualità del paesaggio -, mi sono adoperata e mi sto adoperando su tutti i fronti perché questi temi siano sempre più al centro dell’attenzione e si comprenda come il paesaggio sia un bene comune la cui protezione è fondamentale per il nostro futuro. Nell’ambito dell’Osservatorio si sta lavorando per dare nuovo impulso alla stesura dei Piani paesaggistici, per avere un maggior coordinamento tra l’Osservatorio nazionale e quelli regionali, per elaborare strumenti di maggior tutela dei centri storici e rendere maggiormente compatibile lo sfruttamento delle energie rinnovabili con la qualità del paesaggio. Preservare per questa generazione e quelle future queste espressioni uniche rappresenta un grande onore e ancor più una grande responsabilità. È un’attività che non finisce mai, che deve coinvolgere tutta la comunità e basarsi sulla condivisione della conoscenza e una stretta collaborazione tra comitati, associazioni, cittadini e istituzioni, pubbliche come private e del terzo settore. Iniziative come questo Festival, quindi, volte a diffondere la cultura delle piante, del giardinaggio e della progettazione paesaggistica, sono importantissimi strumenti per accrescere la sensibilità verso questi temi da parte dei cittadini, che spesso in passato, e nuovamente oggi, hanno saputo essere motore di cambiamento e più attenti al futuro rispetto a molta parte della classe dirigente.


Passione aggregante Nicola Zingaretti Presidente Regione Lazio

Considero il “Festival del Verde e del Paesaggio” molto più che una bellissima occasione di festa e divertimento. Questo appuntamento ha infatti saputo intercettare in maniera intelligente una passione di tanti cittadini, come quella per il giardinaggio, ma ha anche colto un fenomeno sociale più profondo: dopo tanti anni in cui l’amore per il verde è stato vissuto quasi esclusivamente in una dimensione privata, siamo entrati in una fase diversa. Oggi abbiamo moltissimi esempi in cui la cura del verde si rivela uno straordinario fattore di aggregazione sociale e una leva per costruire esperienze comuni, specie nelle aree urbane. Un fenomeno crescente che sta coinvolgendo anche tantissimi giovani. Mi sembra un bel segnale di speranza che le amministrazioni pubbliche hanno il dovere di cogliere e incoraggiare. La Regione Lazio lo sta facendo, con investimenti sul verde pubblico, sulla qualità urbana, sulla valorizzazione dei nostri beni paesistici. Il festival romano è anche un’ottima occasione per promuovere la cultura del verde e, quindi, per rafforzare un progetto di sviluppo intorno ai valori della terra, del verde, del paesaggio.


Il valore del verde Giuseppe Gerace Presidente II Municipio, Comune di Roma

Siamo lieti e orgogliosi di patrocinare ancora una volta il “Festival del verde e del paesaggio”, manifestazione esemplare che ottiene di anno in anno un successo, di stampa e di pubblico, sempre maggiore. Il Festival, giunto ormai alla sua quinta edizione, rappresenta un evento consolidato e un punto di riferimento per tutte le realtà aventi come obiettivo la valorizzazione dell’ambiente e del paesaggio. Anche quest’anno è la splendida cornice del parco pensile dell’Auditorium Parco della Musica di Renzo Piano ad ospitare questo grande spettacolo verde che, con 25.000 mq di esposizione, affascina migliaia di visitatori, grandi e piccini. Questo Festival offre loro una vera e propria “esperienza verde” ricca di colori variopinti e profumi avvolgenti. Grazie a percorsi studiati appositamente l’ospite è catapultato in un incredibile mondo verde dove, finalmente, può recuperare il suo rapporto con l’ambiente circostante sempre più logorato dalle costrizioni tipiche degli spazi urbanizzati e cementificati della città. Un’occasione unica per riscoprire la bellezza del rapporto uomonatura e per cogliere stimolanti spunti e informazioni sui temi dell’ecologia e della conservazione del territorio. Tre giorni di incontri con esperti del settore, mostre, letture tematiche, spettacoli teatrali e musicali, concorsi creativi, corsi di formazione e attività per bambini: un programma sempre più ricco che ci rende ancor più fieri di ospitare questa manifestazione. Altro punto di forza del Festival è il coinvolgimento delle nuove generazioni: sono previsti corsi di formazione per ragazzi sui temi dell’ecologia oltre a numerosi laboratori gratuiti per bambini a tema ambientale. Condividiamo pienamente questo approccio perché sono proprio i più giovani coloro che, in futuro, dovranno operare scelte virtuose nel rispetto del territorio e della tutela ambientale. Col passare degli anni questa manifestazione ha contribuito notevolmente a far maturare nel nostro territorio una cultura del verde sempre più sentita, sia dai cittadini che dall’Amministrazione locale. La volontà del Municipio II, nonostante le difficoltà e le risorse esigue, è infatti quella di contribuire attivamente alla riqualificazione e alla valorizzazione del territorio, nel rispetto degli spazi verdi e a misura d’uomo.


Si ringrazia il Servizio Giardini del Comune di Roma per la fornitura delle piante


I Premi del Festival Premio Avventure creative: walk on the wild side - variazioni sul tema del percorso. “La vertigine dell’infinito” di Mattia Proietti Tocca, Simone Antonelli, Alex Tucci, Matilde Forte, Simona Russo Per l’originalità della proposta progettuale e l’efficacia realizzativa dell’opera realizzata. La capacità di spostare le modalità usuali di percezione dello spazio del giardino e dei suoi elementi, ci costringe a ribaltare, almeno temporaneamente, le nostre consuetudini di valutazione, e ci offre nuove forme di comprensione.

Presidente di giuria: Fabio Di Carlo Giuria: Paolo Camilletti, Ciriaco Campus

Premio Balconi per Roma: “Balconi di Roma” di Sarah Amari, Giovanni Friso Il progetto si distingue per l’assoluta originalità dell’ideazione che propone di riconvertire il balcone in un economico home theater per la riproduzione domestica di contenuti visivi in forma elettronica. Contenuti visivi i quali propongono a loro volta brani di paesaggio urbano romano, sia dell’ambito storico che delle periferie, colti da posizioni elevate, quindi da balconi artificiali o naturali. Se la chiusura del balcone per la creazione dello home theater può apparire una rinuncia al confronto con lo spazio esterno, la sequenza delle proiezioni evidenzia invece come la città di Roma abbia proprio nell’unicità del suo paesaggio, percepibile da punti di osservazione elevati, una delle sue maggiori qualità e potenzialità. Le proiezioni che si scoprono con un effetto di sorpresa all’interno dell’installazione, richiamano così i progettisti contemporanei ad un utilizzo consapevole

del paesaggio visuale nella costruzione della scena urbana, sulla scia della secolare tradizione della città. La Giuria ha insieme determinato di assegnare una menzione al progetto ‘Le balcon à habiter’ di Francesco Ticchiarelli, Chiara Maccari, e Giuseppe Domicoli, per la forte identità scultorea della composizione e il suo carattere giocoso. Il balcone sperimenta infatti il riuso creativo di frammenti di recupero di un impianto termo-idraulico domestico, che è stato convertito in un sistema capace di alloggiare fioriere irrigabili e sedute. Si propone così come un microambiente, segnato da una ironica identità decostruttivista, in cui si conciliano la cura delle piante, il riposo e l’esercizio fisico necessario alla messa in azione della pompa idraulica.

Presidente di giuria: Franco Panzini Giuria: Vincenzo Cazzato, Bianca Maria Rinaldi, Lucilla Zanazzi

Premio Giardini in terrazza: “Hortus romano” dell’Orto Botanico dell’Università di Roma Tor Vergata La giuria ha deciso di premiare l’installazione di verde creata dall’Orto Botanico dell’Università di Tor Vergata. Un vero “giardino archeologico”, che ha visto una ricerca molto accurata, dove alle più antiche piante mediterranee si sono aggiunte nuove specie della nostra area: e tutto, secolare e moderno, è stato riproposto al pubblico con le particolari caratteristiche di ogni fiore, di ogni cespuglio, di ogni albero. Una ricerca che mette bene in evidenza la parte scientifica che oggi richiede qualsiasi tipo di piantumazione e che è stata particolarmente esaltata dall’università di Tor Vergata, anche come contributo alla biodiversità. Dalle essenze tipiche della macchia, ai frutti, ogni verde ha visto ricostruita la sua storia ed ha avuto il suo “targhettino” con i suoi nomi: lavoro importante soprattutto per il futuro riutilizzo di piante antiche con poche esigenze di fertilizzanti e dalla bella crescita spontanea.

Presidente di giuria: Lilli Garrone Giuria: Elisabetta Margheriti, Bernardino Pinzari, Francesco Rinalduzzi


Premio Vivai: Frutticoltura Orvieto La giuria, quest’anno, ha deciso di premiare all’unanimità Giulio Leonardi della Frutticoltura Orvieto 97) per il lavoro di ricerca svolto sia nel recupero e nella valorizzazione di piante da frutto autoctone sia nell’innovazione e nella creazione di varietà fruttifere ornamentali, ottenute con la pratica degli innesti.

Presidente di giuria: Bruna Pollio Giuria: Orlando Gentili, Bruno Filippo Lapadula

Premio Silvia Provera al miglior espositore: La Quercia 21 ‘’Un eclettico contenitore di idee, materiali e tecniche’’: la giuria intende premiare quest’anno La Quercia 21. Nato dall’incontro di tre falegnami e un fabbro, il laboratorio La Quercia 21 di Narni realizza ogni volta e in maniera artigianale un pezzo che può dirsi unico.

I materiali utilizzati e rinnovati sono il legno, il ferro, la resina, le stoffe fino a parti di vecchi mobili e infissi, compresi gli scarti di parquet. Ogni volta un incastro diverso, una laccatura nuova, una finitura inconsueta danno vita a librerie, madie, sedie, tavoli, credenze. Nello spirito del Festival e del Premio abbiamo deciso quindi di premiare la creatività di questo gruppo e la loro passione.

Presidente di giuria: Fiorella Scarvaglieri Giuria: Marianna Aprile, Ritanna Armeni, Pierluigi Battista

Premio Racconto breve sotto le foglie: ex aequo “Adagio”di Duccio Del Matto “Il giardino d’inchiostro” di Laura Daniele Giuria: Cecilia Ribaldi, Giovanna Salvia, Donatella Stasio I premi del Festival del Verde e del Paesaggio sono opere originali in terracotta policroma ideate e realizzate da Ciriaco Campus. Rappresentano un albero, simbolo iconografico di solidità, energia e generosità del paesaggio e della natura.


Miglior espositore

Miglior vivaio


Avventure Creative

Balconi per Roma

Racconto breve sotto le foglie


La lezione di Peschici Franco Zagari

Dopo quattro anni di Follie d’Autore, ho deciso per il 2015 di sospendere (temporaneamente? Non so. E comunque dipende anche dal Festival) questa esperienza perché sentivo crescere la difficoltà degli autori a trovare degli sponsor e poi perché non sempre repetita juvant, stava diventando per me una forma di collezionismo un po’ ripetitivo. Così ho solo dato qualche consiglio, e partecipato a dei piccoli cenacoli. Questo momento sabbatico mi ha fatto vedere con maggiore distacco i comportamenti del pubblico, e mi ha confermato un’impressione molto chiara che ho maturato in questi anni: questo pubblico è in attesa, è una grande macchina da guerra armata di tecnica e di poetica, e strumenti, ogni sorta di vasi, dispositivi, ammennicoli, per piantare, piantare, piantare. È trincerato nel privato, ma vuole la città. Lo shock dell’abbandono a Roma di ogni forma di manutenzione del verde pubblico, la città in stato di degrado come non si ricordava dal dopoguerra, non ha dissuaso queste migliaia di volontari, anzi, li ha ancor più motivati a fare di terrazzi, balconi e giardini privati un fronte di reazione molto deciso. Questo al festival si vede e si sente con la forza di un virus di cui il pubblico ha perfettamente capito il gioco intelligente e generoso, le mille occasioni e i mille incontri, la sicurezza di trovare degli amici, e di trovare piante bellissime, su e giù sottratte e asportate con eleganti carrioline, tre giorni di demolizione e di esodo di un eden apparentemente infinito, di anno in anno sempre più diverso e sempre più familiare. In questo quadro che insegna che le crisi dell’ambiente e del paesaggio non

sono tanto un effetto, quanto piuttosto una causa e fra le più rilevanti della crisi economica e finanziaria, ci si può stupire per la necessità di staccarsi da un’immagine del paesaggio da cartolina Alinari e invece passare a ricapire il nesso fra paesaggio e lavoro. Se questo può apparire difficile da credere si rifletta bene e si vedrà che le ricadute sociali e economiche sono sempre molto più importanti degli effetti diretti delle nostre azioni sul paesaggio. Ecco qui questa repubblica parallela, discreta quanto determinata, questo splendido pubblico che nel Festival ha trovato quello che cercava, qualità, e che anche quest’anno ha dato vita a tre giornate meravigliose. Ma non è del tutto vero quello che vi dico, perché se quest’anno io un miracolo non lo ho fatto è pur vero che lo ho indotto, un miracolo subliminale del quale la gente sembra non essersi accorta in principio ma che rimane invece nella memoria e credo abbia segnato non poco questa edizione. Io ho proposto ai fratelli Biscotti, Rocco e Giuseppe di esporre alcune loro ceramiche, tutto qui. Artigiani scevri e severi non lasciano mai il loro laboratorio delle Ceramiche Granmichele, che è nel centro storico di Peschici, e invece per me lo hanno fatto, anzi proprio per farmi piacere hanno addirittura disegnato una linea originale di vasi in cobalto, sono vasi dalle forme armoniche che ricordano alcuni quadri di Giorgio Morandi, che loro credo non abbiano mai visto, e io ne sono diventato un estimatore appassionato e in due casi mi sono ispirato alle loro curve posteuclidee che ho sempre sotto gli occhi


nel mio studio, per alcuni progetti. Con le loro mani al tornio creano figure che sembrano persone, maschili e femminili, alcune alte e sottili, altre più morbide. La sequenza dei vasi forma delle famiglie, una natura morta che è piena di tensione e di vita. Loro non sono venuti al Festival per vendere, ma piuttosto per fare un’esperienza di dialogo con il pubblico, hanno disposto i loro pezzi con armonia in un prato, in un unico motivo circolare, che chi si fermava temeva quasi comprando un pezzo di interrompere un legame corale, ed era vero. Sapevo che fossero scesi da un mondo antico e colto, mantenendo una purezza che era lo spirito stesso della loro arte, ma la loro lezione è proprio quella di veri artisti, essere autentici e al tempo stesso misteriosi. Questo piccolo grande miracolo è accaduto. Io non ho fatto nulla ma ne sono stato testimone. Ne sono felice e orgoglioso. Il Festival cresce grazie a un bel clima di tolleranza, ascolto e insieme fermezza che Gaia e Ciriaco sanno garantire. Mille piccoli passi hanno stabilito a Roma una centralità che non c’era in questo settore, una fiera di gardening ha preso presto lo spessore di un Festival che è diventato un riferimento nazionale. Bisogna meditare su queste suggestioni, sui tanti progetti di cui si parla fuori delle liturgie consolidate, il canto delle ceramiche di cui vi ho parlato è solo un punto in una costellazione di molte azioni preziose. Il Festival sempre più chiaramente parla proponendo un comune linguaggio sociale, economico, politico. Ci troverà accanto con tutte le nostre forze.


Méxicobarragántaco xxx

Giardino intimo semi misterioso, omaggio all’architetto Luis Barragán (Guadalajara 1902 - México df 1988)

Designers José Antonio Martínez Lapeña Elías Torres ARCHITETTI www.jamlet.net

Collaboratori Monica Sgandurra – architetto-paesaggista Adrià Orriols – architetto (Jamlet) Costruzione MN / emme enne s.n.c. di Ciuchicchi Marcelo & C. Sponsor Escofet







Italian Selfies Ciriaco Campus

La pietra impressionata dalla scrittura fa sempre effetto: sempre suggerisce un conflitto tra la vita e la morte, tra fluidità del movimento e immobilità della materia. E le traduce l’una nell’altra. L’una per l’altra. Fa impressione scrivere sulla lussuosa consistenza del marmo parole triviali derivate da almanacchi e elenchi di consultazione: parole che, grazie al loro uso personalizzato, vivono al di qua e al di là della scrittura. Questa scelta è straordinaria dopo tanto dire sul precipitare della carta nel mondo senza spessore del digitale. Son giorni da arti espositive. L’Expo 2015 deve contendere spazio alla vita mediatica italiana. Le abitudini correnti nell’uso della telefonia mobile e delle reti consistono nelle pratiche ormai collettive e virali di una sconfinata esposizione universale: selfare e bannare è il gergo di un bisogno istintivo di ostentazione insieme interiore e esteriore. Una necessità esistenziale. Una condizione di sopravvivenza. Una passione. Una via crucis. Vi si rivela la necessità di autorappresentare se stessi in una immagine di esclusiva proprietà privata e insieme l’urgenza di renderla pubblica. Banner deriva dalla radice di bando cioè di annuncio pubblico, ragione per cui “corte bandita” è festa pubblica tra sovrano e sudditi; e imbandire una tavola allude al rito di annuncio e offerta per i commensali. I selfie sono sussulti di vita aumentata, ottenuta ricorrendo al silenzio eloquente di un volto, un paesaggio, un cibo. Sono tipici fenomeni di consumo produttivo, di consumi consumati. Dietro a merci siffatte – che si pretende realizzate attraverso superfici immateriali, per le quali non a caso si è parlato di vetrinizzazione del mondo – c’è il loro fantasma. Lastre di marmo su cui come si trattasse di tavole della legge sono tracciate parole di vari universi gastronomici o ludici o viari o economici. La loro meticolosa elencazione alfabetica equivale ai maniacali cataloghi della pornografia … nessun ornamento, nessun erotismo, sola ripetizione. Coazione a ripetere. Non c’è più nulla da cercare e immaginare al di là. L’intimo impulso a bannare e selfare ogni luogo e pratica della vita quotidiana ha la sua più autentica rappresentazione in una pietra tombale. Italian Selfies o anche, se si vuole, tavole bandite. Alberto Abruzzese


Si ringrazia Vivai Esotica per la fornitura degli ulivi




Avventure creative: walk on the wild side - variazioni sul tema del percorso

Il tema proposto per le ‘Avventure Creative 2015’ interrogava i partecipanti sul ruolo del percorso nel progetto di giardino e di paesaggio, sia come dispositivo strumentale alla conoscenza e fruizione dello spazio, sia come supporto per una progettualità propria e autonoma. Come spesso accade, i risultati di un concorso vanno ben al di là delle attese o previsioni. I progetti realizzati hanno dimostrato una varietà e una maturità ideativa che è andata molto oltre, che fa ben sperare in una nuova generazione di paesaggisti e\o giardinieri e\o designer di spazi esterni, pronti ad affrontare sfide più importanti.

Concorso di progettazione

In realtà si è trattato proprio di un percorso in senso ben più ampio, dell’espressione di un ragionamento sul fare giardino e paesaggio attraverso sette diverse sensibilità e modalità di approcciare ad un tema ricorrente nel progetto di paesaggio: camminare dentro il giardino, come esperienza e narrazione di interessi, tendenze, curiosità. L’attraversamento quindi come strumento di conoscenza e svelamento di un’idea; il percorso come meccanismo rappresentativo ed espositivo - di piante e di elementi, come di idee, riflessioni o tendenze del progetto - è stata la scelta prevalente alla base di molti dei progetti realizzati.

Fabio Di Carlo

In alcuni è prevalsa ad esempio l’idea del giardino come luogo per esprimere una ricerca sul design degli elementi costitutivi. In Cammini di sospensione, vince l’idea di ritracciare e disegnare il giardino ad una quota più vicina all’osservatore, appunto ‘in sospensione’ e di sottolineare, attraverso la forza del colore dei supporti, una vegetazione ridotta quasi al minimo. Anche Border-line solleva, sospende ed espone un ‘giardino blu’, il cui suolo quasi scompare grazie alla trasparenza dei supporti e dove la precisione della realizzazione esalta la dialettica tra ordine e disordine, tra artificio e natura. In altri il discorso sul giardino come forma di esposizione e conoscenza si rende direttamente più evidente. Malerbe esplicita un modo tipico del fare giardino che rimanda ad un’idea di naturalità


dei processi e trasforma degli elementi di natura tra i più casuali le piante infestanti in ambiente urbano - in elementi di un percorso espositivo, quasi con dignità ‘museale’. Istagarden preferisce invece associare un’organizzazione quasi ‘pop’ del giardino - tra elementi di recupero reinterpretati e piante vistose e apparentemente usuali – ad un livello di conoscenza innovativo e più alto, un database informatico al quale collegarsi via smartphone, ricco delle informazioni colturali e culturali delle specie utilizzate. Ancora un racconto tra design, biodiversità e tecnologia è quello di Natural gallery, dove con la purificazione dell’acqua attraverso le piante – e i pesci – il ragionamento sulle tecniche di bio-fitodepurazione delle acque si svolge al completo, condensando in pochi metri una sorta di ecomuseo con i suoi contenuti. Lento passare ha ribaltato il concetto, preferendo stimolare i caratteri tattili dell’attraversamento di uno spazio, rispetto a quelli visivi. L’attenzione necessaria per il passaggio non facile, per la scelta del tragitto e la ricerca dell’equilibrio, appare quasi compensata dalla morbidezza delle piante che ci sfiorano e dalla loro luminosità. Il progetto vincitore, La vertigine dell’infinito, ci sposta completamente dai canoni usuali di fruizione di uno spazio, portando il giardino nel cielo e obbligandoci, quasi con un torcicollo, ad immergere occhi e naso tra agli ornamentali, agapanti e altro. Quasi con un paradosso, il percorso a terra perde apparentemente qualsiasi ruolo, mentre acquista forza quello nel cielo. Suolo e cielo si integrano e coincidono in un unico piano e si è trasportati verso una visione talmente anomala da costringerci ad un reset totale della nostra percezione abituale.

I progetti La vertigine dell’infinito Mattia Proietti Tocca - Simone Antonelli - Alex Tucci - Matilde Forte Simona Russo Instagarden Alessio Pea - Riccardo Aleotti - Laura Alessi - Mirco Fiume - Simone Perticarini - Francesca Romanelli Border-Line Terra In-colta (Raffaella Siano) - Stefania Annucci - Laura Mandolesi Roberta Rovelli Cammini di sospensione Paola Tassetti Malerbe Alice Ruschena - Miranda Secondari Lento passare Valeria Mercuri - Carlo Giannone - Lollo Decembrini Natural Gallery Carmelo Puccia - Cristina Crisalli - Pietro Diano


La vertigine dell’infinito di Mattia Proietti Tocca Simone Antonelli Alex Tucci Matilde Forte Simona Russo Realizzato con il contributo di Vivaio One Shop di Tucci Claudio

Vertigine dell’infinito vuole cambiare il solito punto di vista che l’uomo ha camminando nel paesaggio. Stravolgere i sensi, uscire dalle solite visioni, trovare un nuovo modo di attraversare il paesaggio e scoprire che spesso non è cosi scontato, che non si ferma all’atto del guardare, ma se ci fermassimo scopriremmo che ci sono paesaggi inesplorati. La vertigine crea nell’uomo un senso di rotazione, che comporta un’alterazione dei sensi e quindi la percezione di un paesaggio capovolto. Tutto è a testa in giù, il paesaggio, la vegetazione , il percorso; e cosi l’uomo si sente avvolto da un senso di smarrimento, che conduce la sua mente verso infinite idee. L’intento di vertigine è di traslare il solito punto di vista, di uscire dalla logica formale, e dunque di ampliare il nostro raggio visivo quando camminiamo.



Instagarden di Alessio Pea Riccardo Aleotti Laura Alessi Mirco Fiume Simone Perticarini Francesca Romanelli Realizzato con il contributo di Tre Emme Service Gruppo Bricosi s.r.l.

Il progetto [InstaGARDEN] vuole essere un giardino interattivo. Questa interazione è data da un QR-Code posizionato vicino ad ogni pianta, che permette attraverso un’applicazione di ricevere informazioni relative alla pianta che ci troviamo di fronte. Come contenitori del nostro giardino si è scelto di utilizzare elementi di riuso come le cassette “alimentari”, che generano un disegno pixelato in cui la natura è posizionata all’interno di esse. Il giardino è di forma rettangolare con asse ruotato di circa 30° con una superficie di 19,3 mq. La scelta delle essenze vegetazionali e la loro disposizione è scaturita dalla volontà di dare un aspetto selvaggio e naturale al giardino inserendo piante che ben si adattano al clima di Roma.



Border-Line di Terra In-colta (Raffaella Siano) Stefania Annucci Laura Mandolesi Roberta Rovelli Sponsor Fablab – Roma Makers Cottage Garden Beatrice

Border-line è quella linea di confine che separa l’opera umana dal lato oscuro della natura. Linea non solo simbolica ma fisica, senza la quale nessun giardino sarebbe mai nato. Ma “walking on the wild side” rappresenta la necessità di superare questo limite, andando oltre ogni spazio rassicurante. Un percorso border line accoglie l’invito a guardare i confini in modo diverso, oltrepassandoli ed esplorando le zone selvagge e gli spazi oscuri della natura e al tempo stesso della nostra mente. Il progetto proposto trae ispirazione dallo spazio offerto: in parte alberato e in parte no. E da quella città di Italo Calvino in cui “L’uomo cammina per giornate intere tra gli alberi e le pietre. Raramente l’occhio si ferma su una cosa, ed è quando l’ha riconosciuta per il segno di un’altra…”. (Le città invisibili). Il percorso progettato offre al visitatore la chance di poggiare lo sguardo su giardini sospesi fra suolo e cielo, oltrepassando i confini dello spazio e della propria esperienza.



Cammini di sospensione di Paola Tassetti Realizzato con il contributo di Garden 78 Gazzosa Cerolini

Cammini di sospensione nasce dall’idea e dalla visione nutrita da tempo di poter “sperimentare”odori colori e visioni lungo il proprio cammino. Scaturisce infatti dall’intuizione di rialzare da terra il proprio sentiero, per sentirsi “sospesi” camminando! sentirsi vicini agli odori e poter passare le mani percorrendo la via, perché un vero tragitto delineato ci radica sempre nel tempo presente, qui e ora. Mentre in sospensione non vi sono scopi da ottenere, né obiettivi da raggiungere, perché tutto è diverso e curioso, questo è il dono della scoperta. Ora, respirando tutta la bellezza del luogo, tuffandomi nel suo mistero, comprendo questa sensazione e la rappresento per mezzo di elementi assestanti che però, uniti ad un tracciato, creano la strada da percorrere. Attraversando quindi lo spazio, si compie una esperienza sorprendentemente segnata dalla possibilità di toccare e odorare la stessa conformazione del cammino, e per mezzo di 150 sfere vestite a verde che delineano l’itinerario (80 sfere nel lato destro e di 70 in quello sinistro).



Malerbe di Alice Ruschena Miranda Secondari Realizzato con il contributo di Florovivaistica del Lazio Blasi Legnami

“Cos’è una malerba? una pianta le cui virtù non sono ancora state scoperte” Ralph Waldo Emerson Malerbe è l’esposizione di una collezione di quelle piante che vengono designate come “piante nel posto sbagliato”. Piante che crescono lungo i cigli delle strade, nelle crepe del cemento o nelle fessure di vecchi muri, potrebbero far parte della nostra vita quotidiana eppure passano inosservate o più semplicemente vengono identificate come “infestanti”. Il nostro progetto ha come scopo quello di dare valore a queste specie che prosperano nei luoghi sovvertiti dall’essere umano, rendendo spontaneo e naturale anche un paesaggio antropico. Fonte di ispirazione è la nostra città, Roma, dove nella noncuranza degli spazi urbani ecco spuntare queste piccole ribelli. Con loro vogliamo dare vita ad una “collezione di erbacce”.



Lento passare di Valeria Mercuri Carlo Giannone Lollo Decembrini Realizzato con il contributo di Hobby flora

Il cammino/are ha portato l’uomo ad attraversare una moltitudine di paesaggi, a volte luoghi impervi in cui bisognava prestare attenzione ad ogni passo, luoghi selvaggi in cui la direzione presa poteva essere interrotta/deviata da ostacoli. Per affrontare corsi d’acqua o acquitrini, prima dei ponti si usavano i passatoi. La caratteristica forse più bella sta nella sensibilità paesaggistica di questo tipo di ponti che tendono a mimetizzarsi con l’ambiente circostante.



Natural Gallery di Carmelo Puccia Cristina Crisalli Pietro Diano Realizzato con il contributo di Cooprogetti Soc. Coop. Arqoo Green Design

Il progetto nasce dalla volontà di fondere la tradizione agricola del nostro Paese, con la tecnologia bio-sostenibile a nostra disposizione. L’idea è incorniciata da un design minimal, dove tutto ha una sua funzione specifica. I portali segnano l’ingresso e la fine del progetto, la cui lettura sarà medesima in ogni senso in cui venga percorso. Gli elementi si presentano come un pezzo continuo, che, nella parte iniziale, funge da seduta. Un pannello pieno fa da schienale diventando portale. Questo sarà per due terzi forato per consentire giochi di ombre e la possibilità di guardarci attraverso. Il sistema si chiude con due vasche concentriche che permettono la coltura in acquaponica. Dalla vasca di pesci l’acqua trasborda nella vasca più grande che contiene pietre e lombrichi che fungono da filtro bio-meccanico. Un tubo in pvc trasporta l’acqua ai letti di crescita, all’interno di questi, sulle coltivazioni a zattera, è prevista la coltura di lavanda, rosmarino, timo e peperoncino.



Balconi per Roma Concorso di progettazione under 30 Franco Panzini

Per una città di suoni e profumi Se non fosse già stata usata dai saccheggiatori di turno della capitale, quella di ‘mondo di mezzo’ sarebbe una definizione calzante per i nostri balconi di Roma. Prendendo in considerazione gli ambienti diversi in cui la casa

si struttura, con le relative sfumature di permeabilità che li contraddistinguono, il balcone costituisce una soglia che integra caratteri attinenti alla sfera privata e a quella collettiva. È la soglia di un’abitazione privata, ma si affaccia sull’ambiente urbano pubblico contribuendo alla sua caratterizzazione. Da qualche anno, visti i modesti risultati sin qui ottenuti nelle varie iniziative di riqualificazione delle periferie, è emersa l’idea che occorra rivedere drasticamente le modalità di lettura della scena urbana, sostituendo alle pratiche tecniche consuete, un’urbanistica con un carattere più sensoriale basata sulla scoperta dell’esperienza percettiva personale. Alla lettura della topografia e delle relazioni formali fra edifici su cui si basa l’urbanistica tradizionale delle nostre città, dovrebbe cioè aggiungersi un atlante delle emozioni, che includa gli esseri umani che abitano la città e le loro modalità di percepire e costruire i propri spazi di vita. L’adozione di questa geografia emozionale come strumento di valutazione, permetterebbe di rivendicare l’intimità e la soggettività come criteri d’interpretazione e di fondare una nuova urbanistica dei


sensi. Il mondo tedesco ha da tempo adottato per questo processo di valutazione dei luoghi, il termine di atmosfera, che integra alla vista del sito i disparati stimoli sensoriali ed emozionali che da esso provengono. I parametri attraverso i quali valutiamo la qualità dell’ambiente urbano potrebbero dunque variare con l’introdursi dei dati, in passato ignorati, legati alla percezione sensoriale. D’altra parte ognuno di noi sa quanto importanti siano per la qualità della vita quotidana l’ambiente sonoro, luminoso, termico, olfattivo, e chi si occupa di architettura vede come l’innovazione si rivolga costantemente alla dimensione sensoriale, con l’introduzione di facciate respiranti, involucri vegetali, rivestimenti tattili, nicchie sonore. Dobbiamo cambiare il modo di parlare, descrivere, progettare le nostre città, le quali sono prima di tutto luoghi in cui vivono i nostri corpi. E riscoprire le possibilità che esse offrono per gli aspetti di suono, clima, tattilità, visione, profumo. Siamo prossimi a una rivoluzione sensoriale? Vale a dire alla riscoperta che il carattere associato ad un luogo non deriva esclusivamente dalla sua condizione visiva, ma anche da tutta l’esperienza sensoriale ad esso associata? Diciamo che siamo di fronte alla consapevolezza che la progettazione dello spazio collettivo deve ridurre la sua dipendenza dalla mera visione e arricchirsi di parametri percettivi; il che comparta la collaborazione fra progettisti, architetti, urbanisti e utenti capaci di aggiungere tutti quegli elementi che creano l’atmosfera dei luoghi. E di questo processo i balconi, piccolo ambiente in cui la soggettività dello spazio privato si fa tassello della scena pubblica, costituiscono un momento privilegiato. Perché possono ampliare lo spettro percettivo della scena urbana, aggiungendovi una dimensione sensoriale. Le soluzioni progettuali adottate nei diversi balconi realizzati per il Festival propongono finiture materiche e tattili, soluzioni per il controllo di luminosità, tono acustico, temperatura e umidità, idee per volgerli in fucine di odori: caratteri fondamentali nella definizione dello spazio privato, ma utili anche a quello collettivo. Se la sfida del passato è stata la costruzione di una città igienica, quella del futuro è la creazione di una città dei suoni e dei profumi. La rivoluzione sensoriale della città passa attraverso i balconi.

I Balconi Balconi di Roma Sarah Amari - Giovanni Friso 5 p.m Davide Di Meglio - Francesca Ugolini - Maria Giulia Rubeca Verde immagine Valerio Ventura Tanto profumo tanto gusto Giulia Laura Agricoltura urbana - orto a km 0 Elisa Piccino Le balcon - à - habiter Francesco Ticchiarelli - Chiara Maccari - Giuseppe Domicoli Reflection of about space Alessandra Scaramozzino The frame life Simona Alesi - Stefano Piccinini Guerrilla balconing Davide Pellegrino - Irene Castiello


Balconi di Roma

Sarah Amari Giovanni Friso

5

Davide Di Meglio Francesca


p.m

Verde immagine

Ugolini Maria Giulia Rubeca

Valerio Ventura


Tanto profumo tanto gusto

Giulia Laura

Agricoltura urbana

Elisa


orto a km 0

Piccino

Le balcon Ă habiter

Francesco Ticchiarelli Chiara Maccari Giuseppe Domicoli


Reflection of about space

The frame

Alessandra Scaramozzino

Simona Alesi


life

Stefano Piccinini

Guerrilla balconing

Davide Pellegrino Irene Castiello


Terrazzi prêt-à-porter Carlo Contesso

Una bella terrazza diventa velocemente uno degli angoli più amati della casa: tutto l’anno per farci giardinaggio, più spesso di quel che s’immagina per intrattenere, mangiare, leggere, rilassarsi, prendere il sole e tanto altro. Ma le terrazze – così esposte ai venti, arroventate o perennemente all’ombra – non sono l’ambiente più facile per le piante, quindi una scelta oculata di queste ed anche dei vasi e degli arredi che completano il tutto sono fondamentali per aver successo. Prendendo ad esempio uno spazio di dieci metri quadrati, né tanti né pochi, ecco quattro terrazze romane pensate per usi e gusti differenti: quattro esempi e tante idee per creare il nostro paradiso privato anche al settimo piano.

Si ringrazia Di Francesco & Paternò per le pedane delle terrazze e l’Accademia delle Belle Arti di Roma per la decorazione dei fondali.





Giardini in terrazza Nelle pagine che seguono:

L’orto urbano, l’orto fattibile e fai da te Progetto di Rosa Palazzi per Botanikos Oltre la siepe Progetto di arch. Mariapaola e Roberto Aleotti per Tre Emme Service Hortus romano Progetto di Orto Botanico Università di Roma Tor Vergata Centro di studi delle biodiversità e della conservazione Il Giardino Stupefacente Progetto di Arch. Maria Elena Marani, arch. Daniele Saccuti, designer Patrizia Fabri. Realizzato con il contributo di LGmarmi





I vivai del Festival Nelle pagine che seguono alcuni dei vivai del Festival:

I kumquat di Agrumi Lenzi Alcuni grandi esemplari della Floricola Grossi La collezione di dianthus di Floricoltura Billo Le rose del Mondo delle Rose La salvia elegans di Vivai Esotica I papaveri di Cottage Garden Beatrice





Gli espositori del Festival Nelle pagine che seguono alcuni degli espositori del Festival:

Le decorazioni per laghetti di Eta Beta I mini paesaggi di Terrarium Arredamento d’epoca di Miele Gli arredi e le peonie di Ethimo I tessuti e i colori di Blu di Prussia La sala da tè di Babington Le collezioni di mobili per esterni di Emu















Racconto breve sotto le foglie Concorso letterario

Da quando questo concorso è stato istituito, è via via aumentato il numero dei concorrenti – quest’anno 150 – ed è migliorata la qualità dei racconti, dal punto di vista letterario e dei contenuti. Siamo quindi molto contenti di questo risultato nonché dello sforzo – anch’esso crescente – di interpretare il “tema” del “Racconto breve sotto le foglie” non necessariamente in modo letterale ma sapendo cogliere e sviluppare i molteplici spunti che offre, anche in chiave politica e sociale, con riferimento ad esempio, ai temi dell’ambiente, del carcere, dell’immigrazione, della violenza sulle donne, del conflitto generazionale, delle discriminazioni sessuali. Tant’è che quest’anno la selezione dei vincitori è stata più difficile perché molti erano i racconti meritevoli. Lo dimostra il fatto che non ne abbiamo un solo ma due, ex aequo, e che il terzo classificato (con una bel racconto sul carcere) li ha tallonati fino alla fine. I due racconti vincitori si intitolano Adagio e Il giardino d’inchiostro, scritti, rispettivamente, da Duccio Del Matto e da Laura Daniele. In entrambi, i protagonisti sono due persone anziane: un nonno nel primo caso, un vivaista in “pensione” nel secondo. Il filo che li attraversa

entrambi – pur nella loro diversità - è la visione prospettica della vita, in cui passato, presente e futuro sono uno spazio e un tempo in continuo divenire, che però si saldano grazie a un rapporto profondo con la natura, quasi simbiotico, che consente di ricordare, progettare, costruire, sognare. Si premiano i due autori per aver saputo descrivere, con elevate qualità stilistiche, la capacità di non lasciarsi avvilire dalle contingenze negative della vita, ritrovando nella natura, reale o immaginata, la capacità di riscatto e il significato della propria esistenza.

Adagio, che dà il titolo e anche il ritmo al primo racconto, sembra essere il movimento che scandisce da sempre la vita di un vecchio al passo con quello della natura circostante. Un movimento che sarà assimilato dal più giovane nipote che lo guarda lavorare la terra piano, senza percuoterla, finché non s’addolcisce. In quel giardino crescono anche i ricordi, come quelli di “lunghi perfetti silenzi” vissuti da due vecchi che si sentono “completi come le bestie dei campi”. Una mancanza. Ma anche un passaggio di consegne al giovane uomo che lo ascolta, condensato in poche, suggestive parole: “Ci vuole una vita intera per costruire un silenzio”. Il giardino d’inchiostro, geniale per l’intuizione che lo ha ispirato, è un inno alla vita, una sinfonia di suoni e di profumi di carta, che solo l’immaginazione di chi ha vissuto piantato a terra, e ne porta i segni sul corpo, può trasformare in realtà, anche nelle situazioni peggiori. “La passione è dura da estirpare” e, quando c’è, anche un cortile grigio, malridotto, che non vuole nessuno, può diventare un “rifugio verde che rallegra gli animi”. Basta saper aspettare e, parafrasando l’autore, “un giorno tutto questo sarà nostro”.



Adagio Duccio Del Matto

Le viole quest’anno non sono spuntate. Nonno le cerca chino e rivolta col palmo erba e insalata, una strappa, l’altra carezza. Mi dice che di viole lì ce n’era un guanciale, nascevano ogni primavera da più di settant’anni, da quando mia nonna giovinetta trapiantò una zolla di ciglione carica di fiori. Solleva il busto e mi guarda, dice che alle cose ci si abitua presto, e poi sembra che ci siano sempre state, e sempre ci saranno. Zappa. Smuove la terra gravata d’inverno, rovescia all’aria zolle compatte, e quando si ferma mi indica al monte macchie di trigno bianco fiorite. Mi vuole insegnare, gli vado vicino, ride quando afferro il bidente, ho la mano gentile. Mi pianta i piedi al suolo, fermi a non pestare terra nuova, mi indica la mezzaluna da finire prima di spostarmi indietro e ricominciare. Dice che dev’essere il peso stesso della zappa a piantarla a fondo, la schiena va risparmiata. La gatta ci sente e viene vicino, miagola intorpidita di sole. Mi fermo per non colpirla. Ci guarda, si stira spalancando gli artigli, socchiude gli occhi abbagliati ed avvolge la coda rossa al legno del manico. Ride nonno, e la prende in collo. La tiene stesa lunga sull’avambraccio, testa sul palmo, e mi guarda finire il mio tratto a colpi troppo forti. Scuote la testa, la terra va lavorata, non percossa. Pianto il ferro e mi chino, raccolgo pietre e le lancio lontano in un piccolo mucchio bianco, la gatta spia la traiettoria e drizza le orecchie curiosa al suonare di sasso. Non a tutti è dato lavorare questa terra. È un privilegio, un’iniziazione. Il giardino è cosa privata, unica come opera d’arte. Ha pochi passi

per lato, una siepe al confine carica di tralci di vite, l’ombra del nocciolo lo accarezza materna, ogni giorno, da decenni, levigando paziente asperità e contrasti. Fiori e verdure convivono insieme nei vaghi filari. Qui non si distingue tra ciò che è bello e ciò che nutre, è tutto parte della vita. Nonno spesso si perde, e allora racconta di mia nonna, di lunghi perfetti silenzi, di due vecchi seduti sotto i tralci di una vite, vicini, completi come le bestie dei campi, abbandonati al sole basso, occhi socchiusi, come ramarri sulle zolle accaldate. Quello che più gli manca sono quei silenzi, quella pacata compagnia, la serena certezza di essersi fatti ormai della stessa, ruvida sostanza. Ci vuole un’intera vita per costruire un silenzio. È il suo augurio per me. Mi stringe un polso, forte tra le palme spesse, lo trascina in ampie volute mentre parla, indica il terreno su cui poso. Dice che spesso sente il vuoto nelle cose, e allora abbandona tutto, prende per i campi e si rifugia tra queste siepi. Poi affonda i piedi nella terra fin sopra le caviglie, lucida coi palmi il manico arcuato del bidente, quello buono, di ornello, e zappa. Zappa lentamente, con cura, che quel giardino gli è amico, e quando ha finito ricomincia dall’inizio, sempre piano, finché la terra non si è fatta docile, cangiante alla luce come un velluto. E a volte accade che il vento si posi, ed il sole, basso alle sue spalle, cominci a carezzargli affettuoso la nuca. Allora distende le braccia, dirizza la schiena, ed abbandona il capo da un lato, come fa chi riposa. D’intorno l’ombra freme al saluto del pioppo, l’aria si colma di un brivido sereno. A tratti lo sfiora il latrare di un cane, il raglio di un somaro, lo stridere acuto del nibbio che incrocia lento spalancando nel vuoto la coda forcuta. È proprio allora che gli pare di sentire, ma solo per pochi, vaghi istanti, come tutto abbia ordine e misura, senso e proporzione, e di nuovo si abbandona in quel silenzio, e socchiude gli occhi al sole basso, completo e felice come le bestie dei campi. Lavoro, più adagio adesso, lui non mi guarda, mi volto, lo sento distratto. Guarda il cielo, il mulinare delle nubi sul cono del monte, lo stagno di nebbia alla piana dei cerri, annusa il vento. Ha la coppola alta sulla fronte chiara. Dice che parte per viole, il tempo regge, chiede se voglio seguirlo.


Il giardino d’inchiostro Laura Daniele

Lì, sulla destra, ho messo delle siepi di camelia, la fioritura bianca nel periodo autunnale inebria i sensi e rasserena gli spiriti più cupi. Nell’angolo ci sono i sempreverde della daphne, diventa rosa porpora a inizio primavera e resiste al clima sostenuto dell’inverno, più avanti l’ortensia color malva, confido nel buon auspicio dell’etimologia latina, colei che cura gli orti e i giardini. E poi, via via, siepi di biancospino, forsizia, ibisco, rampicanti tenaci, agrumi profumati. Lo contemplo sulla soglia questo mio eden ombroso e appartato, questo rifugio verde che rallegra gli animi. Arriva anche Arturo, mi segue con la lingua penzoloni fino alla panchina davanti al biancospino. Mi siedo e mi appoggio allo schienale, l’albero di oleandro mi rinfranca con la sua ombra densa. Il cane mi si accuccia accanto, gira la testa, mi guarda con i suoi occhi pazienti. “Lo vedi Arturo”, scherzo, “un giorno tutto questo giardino di carta sarà tuo”. Arturo mi osserva mansueto, una corrente calda si insinua nella corte, i fogli si sollevano e sembrano annuire. Mi guardo attorno nella corte grigia, soffocata dai rottami arrugginiti. Copertoni negli angoli, scatole e scatoloni ammassati contro il muro, attrezzi corrosi dallo scorrere del tempo, due biciclette con le ruote sgonfie, un frigo rotto. A essere sinceri è questo il panorama. Ma io sono tenace e non mi lascio di certo scoraggiare. Così ho tirato dei fili in alto, lungo le pareti di

cemento, con delle mollette da bucato ho appeso dei foglietti e sui foglietti ho scritto i nomi delle piante. Fuchsia pumila, camellia sinensis, gardenia jasminoides... nomi maestosi, densi di promesse. È il mio giardino di carta svolazzante, uno spazio sospeso in un tempo in divenire, un giardino per ora soltanto immaginato, ma folto e rigoglioso dentro alla mia mente, quasi sfacciato in tutti i suoi colori, le gradazioni del verde dal più tenero al più scuro, le sfumature del rosa intenso, del lilla delicato, del rosso magenta, del rubino. Ho lavorato in un vivaio per così tanti anni che ho i calli sulle mani, le braccia tatuate dalle cicatrici lasciate dagli arbusti, la schiena rovinata da tutto quel sarchiare, zappare, concimare. Adesso sono anziano, ma ancora vigoroso, la mia passione è dura da estirpare. Questo cortile malridotto, adiacente a un fabbricato tetro, nessuno lo voleva, così l’ho preso io. Vengo qui tutti i giorni, immagino, progetto, mi preparo. So aspettare. Per adesso la carta mi va bene, i fogli si accumulano sui fili come un minuscolo bucato, a ogni capriccio del tempo li raccolgo, sostituisco la carta avvizzita con nuova carta impregnata di inchiostro fiducioso. Mi prendo cura dei miei fiori con caparbietà e costanza, li guardo, li accarezzo, rileggo i loro nomi. Smuovo il terriccio con il piede, la punta della scarpa sbriciola torba e argilla, foglie, residui vegetali. Questo terreno presto germoglierà, dapprima timido e quasi riluttante, per poi scoppiare in foglie, fiori e frutti, celebrerà i passaggi di stagione, sarà un luogo di incontri e di letizia. La luce nel frattempo è scolorita, le ombre hanno preso possesso del cortile, si è fatto tardi e non me ne sono accorto. Le mie piante di inchiostro si muovono gentili, si stiracchiano preparandosi alla notte. “Andiamo Arturo, è ora di rientrare.” Arturo muove la coda a un ritmo senza tempo, mi alzo dallo scatolone che mi ha fatto da sedile, saluto le mie piante che continuano a frusciare sferzate da questo vento di scirocco. Mi avvicino al foglio della lavanda, lo annuso e chiudo gli occhi, ricordando a memoria il profumo resinoso e intenso. Apro gli occhi, sorrido. Anche l’odore della carta è buono.


Pubblicazione edita da Miligraf S.r.l. Via degli Olmetti 36 - 00060 - Formello (Roma) Tel: 06 9075142 - Fax: 06 90400189 edizioni@miligraf.it www.miligraf.it Fotografi Yamile Benvenuto, Gianfranco Bove, Alice Favi, Federica Leone, Claudia Mariani, Sabrina Martin, Adamo Pinto

Copertina Ciriaco Campus Progetto grafico Alessandro Bertolini Stampato da Miligraf (RM)

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prima edizione Gennaio 2016 Tutti i diritti riservati Vietata la riproduzione anche parziale




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