FCRL Magazine n. 21-2021

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rivista della fondazione cassa di risparmio di lucca rivista della fondazione cassa di risparmio di lucca

IMT DESTINAZIONE FUTURO – MONDO FONDAZIONE – DAL TERRITORIO – CULTURA ANCORA CULTURA – SOCIALE PIANETA TERRA FESTIVAL – MONDO FONDAZIONE – CULTURA ANCORA CULTURA – DAL TERRITORIO – SOCIALE 21 | 2022

3 Editoriale

4 Pianeta Terra

7 Siamo qui perché c’è una Terra che ci ospita

10 Il concerto

12 Pianeta Terra chiama. Lucca risponde presente

24 Mondo Fondazione

25 Obiettivo 2023. La programmazione della Fondazione

28 Cultura ancora cultura

29 Leonardo Dudreville e il gruppo Nuove Tendenze

37 La ‘bella estate’ del Serchio delle Muse

40 Verdemura, Murabilia: le manifestazioni a misura di ambiente

46 Un ‘Pomario’ a Lucca: fra passato e presente

53 Lucca: il quadrante verde e la sua storia

56 La ‘macchia’ al Forte: il mondo di Fattori in 50 opere

60 Joëlette: ovvero la montagna per tutti

64 Notizie dal territorio – Piccolo è bello

65 Vivaci e solidali, a due curve dal mondo

72 La nuova palestra per le scuole di Lucca

78 Andrea Lanfri. Il sorriso sulla vetta dell’Everest

84 Attivare il margine di energia

88 ‘Io sono l’altro’

91 Tempi di guerra. Il sostegno al popolo ucraino

94 SIPARIO. Stagioni lucchesi tra passato e futuro

97 W Lucca junior

100 Sullo scaffale – Novità editoriali

Maria Teresa Perelli direttore

Andrea Salani

direttore responsabile

Comitato di redazione

Maria Teresa Perelli

Andrea Salani

FCRL MAGA ZINE 21 | 2022

hanno collaborato a questo numero Veronica Bernardini, Paolo Bolpagni, Iacopo Cervelli Lazzareschi, Barbara Di Cesare, Luciano Gallo, Barbara Ghiselli, Stefano Mancuso, Michele Morabito, Valeria Nanni, Maria Teresa Perelli, Valentina Picchi, Giulia Prete, Claudio Rovai, Andrea Salani, Paolo Emilio Tomei, Donatella Turri consulenza editoriale: Publied – Editore in Lucca progetto grafico e impaginazione: Marco Riccucci

© 2022, Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca

FCRLMAGA ZINE 21 | 2022 21 | 2022
Iscrizione al registro stampa del Tribunale di Lucca n. 1/20 del 17 gennaio 2020

Respirare. È questo che ci consentono gli alberi. Respirare è vita. Gli alberi, tutto il mondo vegetale rappresentano la vita, non solo simbolicamente, ma soprattutto materialmente attraverso la loro imprescindibile funzione. Solo qualche anno fa proporre un festival che parlasse di tutto questo, analizzando lo stato di salute del pianeta e dell’umanità sarebbe stato una piccola follia, un azzardo. Ma pochi sono stati i dubbi della Fondazione quando la casa editrice Laterza ha messo sul tavolo un progetto concreto, quattro giorni di altissimo livello culturale e scientifico per condividere e divulgare una, cento, mille visioni del mondo, tutte accomunate da un’idea comune di urgenza: non possiamo più esitare, il cambiamento di rotta deve avvenire adesso.

Di qui il sottotitolo di Pianeta Terra Festival, «una rivoluzione per la sostenibilità», perché dal 6 al 9 ottobre di questo si è parlato, di una necessaria inversione in cui siamo tutti protagonisti e promotori.

È stata una festa di tutti, di una città che ha vestito i colori verde, azzurro e rosso del festival, di un territorio che ha risposto prima con l’attivismo delle numerose associazioni locali coinvolte e poi con una partecipazione di pubblico oltre le più rosee aspettative.

Si tratta di una sfida vinta dalla Fondazione che da subito ha creduto nell’idea, garantendo un sostegno triennale alla manifestazione che avrà così modo di affermarsi in maniera solida e radicata, cementando il proprio marchio in una identificazione già forte con la città e le sue tante anime.

D’ora in poi contrassegneremo con il logo del Festival gli articoli che riguardano le tematiche della sostenibilità. Ampio spazio del Magazine è infatti dedicato a questo happening, nella speranza di essere riusciti a creare un solco netto tra un prima e un dopo. Un solco necessario per garantire il futuro. Il nostro e quello delle generazioni a venire.

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Maria Teresa Perelli
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Marcello Bertocchini, Stefano Mancuso Stefano Mancuso

Siamo qui perché c’è una terra che ci ospita

«In principio Dio creò il cielo e la terra». L’incipit più famoso della storia dell’umanità riguarda la Terra. Siamo qui perché c’è una terra che ci ospita. La Terra è la casa della vita, e nonostante si senta spesso dire che in un universo infinitamente grande la vita debba, necessariamente, essere molto diffusa, per ora e in attesa di improbabili sviluppi, l’unico luogo dell’universo in cui la vita prospera è proprio il nostro meraviglioso Pianeta. Non dappertutto, ma soltanto in un sottilissimo strato che da più o meno 10.000 metri sotto il livello del mare arriva fino a 10.000 metri al di sopra di esso. Questa sottile epidermide di 20 km che circonda il nostro Pianeta è l’unico luogo che conosciamo in cui sia presente la vita. La cosa non dovrebbe essere trattata come irrilevante. Ritenere la vita

qualcosa di comune, e quindi consumabile, è, infatti, uno dei problemi della nostra specie. Siamo circondati dalla vita e crediamo, per questo, che sia materia senza valore. Diamo finalmente un valore all’aria o all’acqua, ma non alla vita.

Viviamo nel paese del mondo con la più alta concentrazione di beni artistici. Potremmo dire che per noi italiani le meraviglie dell’arte siano merce piuttosto comune, eppure a nessuno di noi verrebbe mai in mente di radere al suolo il centro storico di uno qualsiasi delle nostre centinaia di borghi. La legge, comunque, non ce lo permetterebbe.

Non vedo perché il patrimonio biologico del nostro Pianeta dovrebbe avere minori tutele.

Ci disperiamo per la scomparsa di una singola irripetibile opera d’arte e dinnanzi alla distruzione di interi ecosistemi non battiamo

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ciglio. Eppure, quegli ecosistemi erano costituiti da migliaia di specie, irripetibili anche loro, e vive. Dall’invenzione dell’agricoltura ad oggi l’uomo ha dimezzato il numero di alberi presenti sul Pianeta e contribuito all’estinzione di innumerevoli specie viventi.

Siamo nel bel mezzo della sesta estinzione di massa; a causa dei nostri comportamenti, il tasso di estinzione delle specie procede a velocità mai registrate prima. E ognuna di queste specie che scompare ha un effetto fondamentale sulla rete della vita, le cui conseguenze non possiamo prevedere. Può sembrare stravagante, ma tutto su questo Pianeta è influenzato dalla vita. La Terra è la Terra perché è viva. I fiumi, i mari, il clima, le scogliere di Dover, il travertino sono frutto della vita. Chiamare il nostro Pianeta ‘Gaia’ considerandolo un unico grande essere vivente non è affatto una teoria naif, quanto un serissimo modo di interpretarne il funzionamento. Così, quando tagliamo una foresta, cancellando per sempre ecosistemi delicati che avevano impiegato milioni di anni a trovare un fragile equilibrio, mettiamo in atto trasformazioni i cui esiti finali non sono mai prevedibili. Tutte le aree dell’Africa centrale in cui fra il 2004 e il 2015 si è diffuso il virus Ebola erano state interessate da un fenomeno di deforestazione frammentata che, creando un’estesa e frastagliata linea di separazione tra zone ricoperte da foreste e quelle che ne erano state private per far posto a piantagioni di alberi da frutta, ha permesso il passaggio della malattia da scimpanzé, gorilla, pipistrelli della frutta, antilopi, istrici, etc. all’uomo. Vi ricorda qualcosa? È sempre difficile prevedere cosa si modifica agendo su un sistema complesso. E non c’è nulla di più complesso e delicato della nostra Terra. Custodirla al meglio delle nostre possibilità dovrebbe essere il compito primario dell’umanità. Stiamo, al contrario, fa-

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Ingresso a San Micheletto

cendo di tutto per danneggiarla irreparabilmente.

Bruciamo combustibili fossili, deforestiamo per dare spazio ad agricoltura e allevamenti intensivi.

Consumiamo a tassi crescenti risorse che non potranno mai più essere ricostituite. Azioni che stanno provocando un continuo innalzamento della temperatura media del Pianeta con conseguenti eventi climatici estremi e una irreparabile perdita di biodiversità.

La scienza è unanime: per preservare il futuro della nostra specie e di tutte le specie che oggi popolano la Terra, l’umanità deve ridurre le proprie emissioni del 45% entro il 2030 e raggiungere l’obiettivo net zero entro il 2050. Il futuro dipende dalle azioni e dalle strategie che adottiamo oggi.

Pianeta Terra Festival è rivolto a tutti coloro che vorranno esplorare questa nostra straordinaria casa comune e riflettere sui modi per preservarla e abitarla in modo sostenibile. Per parlare di ecosistemi, di clima, di nuovi modelli economici, di energia, di agricoltura, di alimentazione, di sviluppo urbano, ma anche di nuove visioni politiche, sociali, filosofiche, antropologiche, artistiche.

È una manifestazione multidisciplinare in cui si confrontano scienziati, economisti, architetti e urbanisti, scrittori, artisti, antropologi, politici, botanici, biologi, storici, giornalisti, medici, attivisti, filosofi, imprenditori, policy makers. Per affrontare la sfida ambientale, la più importante della nostra epoca, è necessario l’impegno di tutti sul piano, prima di tutto, culturale, di visione. È necessaria una rivoluzione economica, politica, sociale, culturale e industriale per perseguire l’obiettivo di un ambiente sano e di una società equa.

Proprio per questo «Una rivoluzione per la sostenibilità» è stato il titolo di questa prima edizione del Festival.

9 SIAMO QUI PERCHÉ C’È UNA TERRA CHE CI OSPITA FCRLmaga zine 21 | 2022
Un incontro alla Sala Studio Agorà L’intervento di Luca Parmitano all’inaugurazione

il concerto

auditorium del suffragio ezio bosso | sinfonia n. 2 – under the trees’ voice gian paolo mazzoli, direttore | carlo valli, voce narrante

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Gian Paolo Mazzoli
11 IL CONCERTO FCRLmaga zine 21 | 2022
Carlo Valli

Pianeta terra chiama. Lucca risponde presente

Questo Festival mi ha fatto pensare. Tanto.

È stata una chiamata, come quella senza appello che la Terra sta facendo da anni ormai all’umanità intera, tristemente inascoltata. Ho pensato anche alla bellissima Space Oddity di David Bowie e alle sensazioni del celebre Major Tom, impotente di fronte alla bellezza del pianeta visto dallo spazio: planet earth is blue and there’s nothing I can do… Lui non può fare molto di fronte al suo stupore ammirato e genuino, ma noi sì, il nostro futuro è nelle nostre mani, nei nostri pensieri, in come parliamo e in cosa diciamo. Anche per questo ho riflettuto molto prima di buttare giù le prime righe di questo pezzo. Non riuscivo a capire se fosse più adeguato e funzionale, ma anche più onesto e concreto, parlare delle quattro giornate di Pianeta Terra Festival a caldo, immediatamente, o far sedimentare i concetti e le emozioni, con uno sguardo al passato più lucido e obiettivo.

Come spesso mi capita, anche nei miei trekking appenninici, ho scelto un sentiero di mezza costa, cercando di evitare tanto le alture dei sentimenti quanto le pianure, piatte e asettiche, delle valutazioni analitiche.

È stata una festa pensante. Profonda nelle sue riflessioni ma capace di creare un’atmosfera di condivisione e ottimismo, anche a dispetto delle prospettive drammatiche che la scienza ci ha messo di fronte.

Per raccontare questo spirito nella maniera più aderente ed efficace sarebbe sufficiente ricordare un solo incontro: quello tra Stefano Mancuso, il neurobiologo vegetale che ha curato la direzione scientifica del festival, e Paolo Cognetti, il ‘ragazzo selvatico’, scrittore di successo che ha incarnato negli ultimi anni una maniera coinvolgente e immersiva di narrare la montagna.

Un incontro, dal titolo Alberi maestri, in cui si è parlato fondamentalmente di due alberi, quelli di fronte alla casa dello scrittore, per avventurarsi in un percorso tra scienza e filosofia, analizzando parallelismi e differenze tra la vita umana e quella vegetale. Immaginando le ‘lezioni’ che le piante stesse possono darci, in termini di adattamento, di ottimizzazione delle risorse. Ma la forza delle piante, dice Cognetti, è nel saper ‘stare’. Una forma di attesa attiva, che dovrebbe portare anche l’umanità a vedere il proprio progresso — ma soprattutto la propria salvezza — come una forma di adattamento e non come la continua ‘crescita’ sempre attesa e tanto auspicata.

Un incontro ‘manifesto’ per il Festival, che ha diffuso un senso di armonia, come una salita in montagna, con quel ritmo che Cognetti ha saputo dare al suo modo di scrivere e raccontare, la sua narrativa diretta e talvolta aspra, ma sempre placida e costante. Con quelle aperture che ricordano le emozioni di un frequentatore delle alture, chino sulle ginocchia durante una salita, che si ferma e respira per qualche secondo un panorama di pace e bellezza.

Un incontro che ne rappresenta altri settanta, tutti partecipati oltre le più rosee aspettative, anche in orari in cui poteva sembrare difficile, se non impossibile, riempire un auditorium, figuriamoci la Chiesa di San Francesco.

Denominatore comune: un approccio sempre aperto e divulgativo. Spunti multidisciplinari accessibili, in grado di interessare tutti, incuriosire e informare in maniera complessiva, con l’obiettivo dichiarato di seminare nella mente dei presenti tanto un’idea nuova, quanto il desiderio di diffonderla ulteriormente in famiglia, con gli amici, nella propria comunità.

E poi una forte sensazione di sana incompiutezza: percepire sempre la necessità di volerne sapere di più, di dover leggere e approfondire. Fertilizzante per le nostre conoscenze, aria fresca e nuova per guardare il mondo con occhi diversi.

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Paolo Cognetti

3 incontri su 70 | uno GUSTAVO ZAGREBELSKY | VITO MANCUSO LA TERRA

«Gli esseri umani sono delle belle cose… ma possono essere pericolosi».

Dalla Costituzione a Dio. O almeno ad un’idea di divino, di superiore. Profondissimo incipit per gli incontri del Festival tra il giurista e il teologo. Una riflessione sul lascito terribile per le future generazioni che parte dalla recente modifica dell’Articolo 9 in cui compaiono per la prima volta termini come ‘ambiente’, ‘ecosistema’, ‘biodiversità’, fino a giungere alle grandi novità proposte dall’enciclica di Papa Francesco Laudato si’ in cui, per Mancuso, si prende coscienza di un fallimento non solo dell’etica laica, ma pure di molti convincimenti dell’etica giudaico-cristiana, attingendo quindi a ideologie moderne con un’operazione di portata rivoluzionaria per il mondo cattolico. Riflessioni che partono dai testi ma si addentrano nell’analisi di un’ideologia condivisa, il cosiddetto ‘antropocentrismo’ ovvero l’idea dell’essere umano al centro del mondo, che del mondo stesso di tutte le sue risorse, può disporre liberamente. Sempre Mancuso ritiene però questa percezione come inevitabilmente connaturata all’uomo, che non può certo regredire dalle facoltà intellettive che gli conferiscono tale potere, bensì deve imparare a gestirlo a non abusarne a «tenere giù le mani», smettere di consumare e sfruttare senza limite: in questo sì, serve una ‘conversione’ nel senso quasi religioso del termine.

A tal proposito Zagrebelsky, spiazza tutti citando Martin Heidegger «Ormai solo un dio ci può salvare» e Mancuso gli risponde che sì, questo è vero. Perché il filosofo tedesco parla di ‘un’ dio, una entità superiore e anche il concetto di bene comune, condiviso, può essere eletto alla stregua di una divinità da ‘servire’ o verso cui tendere. Solo così ne usciremo infatti. Solo così consegneremo ai nostri figli il prestito preso indebitamente. Insieme e coinvolti per il conseguimento di un valore più grande di tutti noi, più potente del nostro desiderio di esercitare il potere che la natura stessa ci ha dato.

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Gustavo Zagrebelsky
NOSTRI
È UN PRESTITO DA RESTITUIRE AI
FIGLI
Gustavo Zagrebelsky Vito Mancuso
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Bruno Cucinelli Pubblico in San Francesco

3 incontri su 70 | due HERVÉ BARMASSE | GIOVANNI SOLDINI

GLI OCEANI E LE MONTAGNE: PRENDIAMOCI CURA DI TANTA SUBLIME BELLEZZA!

«Andare con Hervé?

Ma questo è tutto matto… io me ne sto nel mio elemento naturale, l’acqua!».

Giovanni

Due massimi interpreti della poesia che vede l’uomo corpo a corpo con la natura, in un confronto talvolta aspro, ma sempre carico di rispetto, di riverenza verso le montagne inesorabili e le onde imprevedibili.

Barmasse, l’uomo delle vie impossibili tra strapiombi e cime nevose. Soldini, il marinaio per eccellenza, già navigante solitario e ora pilota delle grandi performance transoceaniche. Una conversazione seria, ma anche molto divertente tra personalità forti, diverse ma perfettamente compatibili perché capaci di usare il linguaggio universale della natura. Quella natura che Hervé ha testimoniato violentata dalle spedizioni turistiche scriteriate sull’Everest, o che Giovanni monitora analizzando le acque dei mari del mondo con un apparecchio ipertecnologico applicato al suo catamarano. Hanno parlato di una natura al contempo bellissima e terribile, quella che sta presentando all’umanità un conto salato ma ampiamente motivato. Quella che nelle immagini proposte durante la serata ha trasmesso un’idea ora di pacificazione, ora di degrado. Vedere alcune di queste sequenze ha l’effetto di unghie che graffiano una lavagna: urtanti, immotivate, quasi gratuite.

La strada è quella del dialogo. Dialogo tra uomini e dialogo tra gli uomini e la natura stessa. Perché — ce lo hanno ricordato più volte — non è in questione la sopravvivenza del pianeta, ma quella del genere umano.

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Hervé Barmasse Giovanni Soldini

3 incontri su 70 | tre PIERGIORGIO ODIFREDDI NATURA: LA VERSIONE DI LUCREZIO

«Da ‘nascitura’ Lucrezio ha inventato la parola ‘natura’. La natura è sempre qualcosa che deve nascere».

Piergiorgio Odifreddi

Uno dei testi classici più celebri al mondo. Forse nessuno può immaginare quanta storia, quanta modernità siano racchiuse nel De rerum natura di Lucrezio, un monumento della letteratura scientifica latina conosciuto anche per la poeticità dei suoi passaggi, per la profondità delle riflessioni che contiene.

Piergiorgio Odifreddi lo affronta da matematico, da scienziato appunto, ma non può non commuoversi di fronte alla statura umana e culturale di quest’uomo del passato che tanto seppe interpretare la natura da darne descrizioni e valutazioni che lasciano di stucco se collocate nel primo secolo avanti Cristo. Il suo modo di parlare degli atomi, della loro indivisibilità e di altri concetti che la scienza moderna ha poi messo nero su bianco con trattazioni specifiche. Odifreddi accompagna in un percorso di meraviglia che insegna una cosa sopra tutte: l’importanza della cultura, della conoscenza, anche delle ‘cose’ passate, rappresenta un pilastro della formazione che oggi permetterà all’umanità di incontrare nuove strade e prospettive migliori.

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Piergiorgio Odifreddi didascalia?
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Max Casacci durante Earthphonia con Mario Tozzi Raj Patel

IL FESTIVAL IN 500 PAROLE

Settanta incontri. 150 protagonisti. Oltre 40 ore di festival. Sold out completo nelle 7 location.

Dopo l’apertura con Zagrebelsky e Vito Mancuso il Festival ha riscosso molto interesse per le dichiarazioni dell’imprenditore Brunello Cucinelli, in un incontro con Federico Marchetti, sulla necessità di abbreviare la settimana lavorativa. Lo scrittore Stefano Liberti e Carlo Petrini hanno poi parlato delle prospettive dell’alimentazione, con una riflessione sul turismo sostenibile e sulle ‘città-mangifici’. Isabella Pratesi di WWF ha ragionato con l’antropologo Eduardo Kohn e con il chimico Riccardo Balducci su una nuova ‘ecologia del sé’, sempre più cosciente delle interconnessioni globali tra persone e ambiente. Il fisico Roberto Battiston ha poi proposto un assolo sul tema delle catastrofi climatiche, scatenatesi come uscite da un vaso di Pandora scoperchiato dall’umanità, cui rimane una sola speranza: la scienza. Alba Donati ha dunque raccontato la sua incredibile (e felice) scelta di vita, aprire una libreria in un paesino di pochissimi abitanti, mentre la biologa Emanuela Evangelista ci ha portato nella sua Amazonia, la nuova casa che ha scelto per la vita a tre aerei due treni e un battello di distanza dall’Italia.

Il fotografo Paolo Verzone ci ha portato sottozero con le sue foto delle Isole Svalbard in un evento Photolux, Mario Boccucci e Riccardo Valentini ci hanno fatto ascoltare Il respiro delle foreste, Michele Serra ha proposto le sue ‘Storie di acqua e di terra’, l’architetto Marco

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Emanuela Evangelista Michele Serra con Leonardo Giovannini e il suo violoncello

Cucinella ci ha detto che un futuro verde per le nostre città è possibile, Raj Patel ha illustrato come nutriremo (con difficoltà) 10 miliardi di persone, Fabio Genovesi ci ha fatto sganasciare di sane risate, Max Casacci e Mario Tozzi hanno sconvolto e quasi ‘assordato’ il pubblico con un evento suggestivo ed esperienziale in San Francesco, e siamo arrivati a sabato.

Domenica la chiusura. Alla mattina un siparietto a tre gestito da Edoardo Camurri: la Lontra (Emanuela Evangelista), il Leccio (Stefano Mancuso) e il naturalista Jean-Baptiste Lamarck (Emanuele Coccia) hanno presentato le differenti prospettive da cui guardare il mondo. Barbara Mazzolai ci ha portato nel mondo meraviglioso delle piante in grado di parlare del nostro futuro e poi Donatella Bianchi (direttamente da Linea Blu) e Roberto Danovaro hanno spiegato come il mare può salvare il pianeta. Adrian Fartade ha presentato una fine del mondo ‘divertente’, il premio Nobel Esther Duflo ha dialogato con Enrico Giovannini sulle conseguenze economiche del disastro ambientale, Vittorio Lingiardi ci ha portato in un percorso psico-artistico tra capolavori, paesaggio e umanità, seguito da Melania Mazzucco, anche lei decisamente trascinante nel suo viaggio nella natura raccontata dalle opere d’arte.

Finale commovente con Stefano Mancuso abbracciato a Mario Brunello, a sua volta abbracciato al suo violoncello. Hanno appena costruito un parallelo mostruosamente bello tra la vita vegetale e la costruzione di un’opera di Bach. Sipario, e scusate se è poco.

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Melania Mazzucco Il ‘Red Cello’ di Mario Brunello

IL FESTIVAL DEI PICCOLI

Grande spazio dedicato anche ai più piccoli grazie a laboratori per bambini e ragazzi organizzati e coordinati dall’Associazione ‘Talea’ con la supervisione tecnico-scientifica dell’Orto Botanico di Lucca.

Proprio all’Orto si sono tenuti laboratori, tutti sold out in pochissimo tempo. Il laboratorio di botanica a cura di A.Di.P.A. si è occupato, ad esempio, di divulgare tra i ragazzi e le ragazze notizie e informazioni fondamentali sul mondo della natura: da dove vengono le nostre piante, che valore hanno i semi, i frutti? E poi spazio alle cosiddette ‘piante geniali’: studiamone il comportamento e traiamo un esempio. Il tutto condensato in incontri che si sono ripetuti con declinazioni diverse a seconda delle fasce d’età coinvolte.

L’Associazione ‘Immagina’ ha invece curato il laboratorio di lettura, contemplando le tematiche della natura, dei libri, degli album di natura e proponendo le Letture dell’orto: la lettura ad alta voce è infatti un’occasione preziosa capace di generare e di trasmettere messaggi profondi. Per questo sono stati organizzati due momenti di lettura a voce alta di un’ora ciascuno, tenuti negli spazi aperti dell’Orto Botanico. Non potevano poi mancare laboratori creativi sui temi del riuso e del riciclo, in questo caso curati dall’Associazione ‘Terra di tutti’. Esperienze che si sono concentrate sulle tecniche della stampa, sul riutilizzo di elementi metallici e tessuti per creare ombrelli, sulla stampa dei tessuti, sulla lavorazione della cartapesta e sul recupero del legno. Per tutti i gusti e per tutte le età, perché l’alfabetizzazione rispetto a queste tematiche non può che partire da un coinvolgimento dei più piccoli, talvolta legato al gioco, talvolta più serio e impegnato, ma sempre convinto e inclusivo.

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Laboratori all’Orto Botanico
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Un festival che non è piovuto dal cielo. La casa editrice Laterza ha fatto una proposta che la Fondazione ha ritenuto interessante al punto da impegnarsi, da subito, per realizzare la rassegna per almeno tre anni. Di qui un dialogo costante, lungo mesi, in cui i quattro giorni sono stati costruiti da Laterza nei contenuti e nello svolgimento, ma attraverso una continua interlocuzione con il territorio e le sue realtà: dagli sponsor alle tante associazioni che hanno dimostrato un’attenzione per le tematiche e una prontezza nel proporre ulteriori argomenti da presentare che ha meravigliato solo gli or-

ganizzatori, ma non la Fondazione, ben consapevole del tessuto culturale che ogni anno contribuisce a far crescere. Di qui è scaturito innanzitutto un prezioso passaparola, ma anche la definizione di incontri di livello decisamente alto, che hanno delineato una duplice impronta per la rassegna: il Mondo che arriva a Lucca e di qui torna verso il Mondo e il territorio che mette in mostra la concretezza di una proposta culturale ampia, variegata e fortemente connessa alle trame dell’attualità. Implicazioni del tessuto industriale, aspetti economici della crisi ambientale, rapporto

tra tecnologia e inquinamento, riverberi giuridici e morali delle pratiche ecologiche e molto altro ancora in oltre venti incontri tutti definiti grazie all’associazionismo lucchese e agli sponsor che hanno da subito sposato il progetto in una maniera in cui al sostegno economico è corrisposta un’adesione emotiva, poi tradotta in una proposta concreta per la costruzione di un evento specifico all’interno del Festival. Un’occhiata al panel delle collaborazioni, un colophon ampio e variegato, rende l’idea della collegialità con cui tutto questo è nato ed intende proseguire.

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IL TERRITORIO

Mondo

fonda zione

Obiettivo 2023. La programmazione della Fondazione

Èquando tutto appare difficile, tutto sembra dividere e indicare la via dell’individualità e dell’egoismo. È proprio allora che bisogna rimanere uniti, stimolare la condivisione, favorire la cooperazione. Pare un concetto banale, scontato, ma in questa epoca così complessa chiunque abbia la possibilità o la responsabilità di attuare politiche tese a sostenere la coesione del tessuto sociale è chiamato a promuovere modelli di società basati sulla solidarietà, sull’economia di sistema e sulla rivalutazione del concetto di bene comune.

Una sorta di idea base, un mantra sottointeso, che ha costituito il principio fondante cui la Fondazione si è ispirata nel redigere le linee del Documento programmatico pluriennale durante il 2021 e che troviamo confermato nelle pagine del documento dedicato al 2023.

Partiamo dalle cifre: ammontano in tutto a 24 milioni di euro le risorse che la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca metterà a disposizione del territorio durante il 2023.

Una cifra che di per sé non racconta niente di particolare, ma all’interno della quale troviamo la conferma di importanti impegni assunti un anno fa e una progettazione dedicata all’anno venturo che, come di consueto, riguarda tutti gli ambiti di azione: dal sociale alla cultura, dallo sviluppo del territorio alla sanità e poi crescita giovanile, istruzione, formazione e altro ancora.

ARee inteRne

Tra gli impegni confermati c’è quello legato alla risoluzione delle problematiche delle aree interne, vera priorità della strategia pluriennale. Il progetto ‘Proximity care’, che vede un impegno di 5 milioni tra 2021 e 2026, procede speditamente: si tratta di uno studio commissionato alla Scuola Sant’Anna di Pisa, con il coinvolgimento di tutti i soggetti

pubblici interessati, per elaborare un modello socio-sanitario applicabile alle aree interne della provincia (Valle del Serchio e Alta Versilia). Dopo più di un anno sono già stati individuati i percorsi su cui lavorare e proposte le prime possibili soluzioni per portare una sanità efficiente, realmente ‘di vicinanza’, in nome di un diritto alla salute che non dipenda dalla propria collocazione geografica. I temi sul tavolo: telemedicina, monitoraggio delle malattie croniche, implementazione delle

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cure oncologiche e grande attenzione alla salute mentale e al disagio giovanile e molto altro ancora.

Parallelamente va avanti anche ‘Abitare la Valle del Serchio’ che prevede 39 interventi in 18 diversi comuni in tema di social housing, rifunzionalizzazione di spazi pubblici, recupero di beni culturali e immobili di pubblica utilità, opere su beni di edilizia pubblica residenziale. La Fondazione partecipa con 1,9 milioni ad integrazione del finanziamento statale di 15 milioni nell’ambito del Programma PInQuA (Programma innovativo nazionale per la qualità dell’abitare).

SOSteniBiLitÀ

Il Festival Pianeta Terra e il suo successo strepitoso hanno testimoniato l’importanza del tema, su cui la Fondazione si era portata avanti con un Bando specifico da 3 milioni grazie al quale stanno partendo iniziative che vanno dalla divulgazione ambientale all’efficientamento energetico, alla promozione del turismo lento, solo per citare alcuni ambiti. ma c’è di più, anche al fine di compensare l’incremento di emissioni dovuto alla realizzazione di Pianeta Terra Festival, per il 2023 è previsto un nuovo intervento diretto con stanziamento di 200.000 euro finalizzato alla piantumazione di nuovi alberi – e alla loro cura nei primi anni di vita – nella Piana di Lucca. nuovo ossigeno per il territorio, che oltre a ‘risarcire’ rispetto alle emissioni prodotte rappresenta un segnale importante: coloriamo di verde le nostre città.

Beni CuLtuRALi e OPeRe PuBBLiChe

La rigenerazione urbana è un altro tema sensibile, tra l’altro connesso alla questione della sostenibilità, poiché rigenerare significa ottimizzare rispetto all’esistente e non consumare suolo ‘vergine’. In tal senso sono stati individuati nuovi immobili da inserire nel progetto strategico di riqualificazione proposto nel

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2021 per edifici su cui far valere i benefici fiscali dello strumento Art Bonus. Si tratta del recupero della scuola dell’infanzia di Quiesa a massarosa, di un immobile destinato ad housing sociale e della torre Ariostesca, entrambi a Castelnuovo di garfagnana. nell’ambito delle attività culturali rimane poi costante e solido il sostegno alle manifestazioni del territorio anche in questo caso attraverso specifici bandi che da anni ormai garantiscono varietà dell’offerta e continuità nella programmazione a grandi e piccole rassegne ed eventi.

i BAndi

Sono lo strumento privilegiato di interlocuzione tra la Fondazione e il territorio. Ammonteranno a 3 milioni le risorse del Bando Opere pubbliche che di fatto andrà incontro alle esigenze degli enti che non riescono a terminare i lavori per i pesanti rincari dei prezzi di materie prime ed energia, ma potrebbero contribuire anche alla progettazione di opere di particolare rilevanza ed urgenza per le comunità locali e al restauro di beni culturali pubblici. Un’iniziativa che deriva da un’analisi attenta della situazione attuale e che intende supportare le amministrazioni colpite dalla crisi dovuta all’infelice congiuntura storico-economica che stiamo vivendo.

A sostegno della cultura abbiamo 1,5 milioni per il Bando eventi e iniziative rilevanti ed 1 milione per il Bando Progetti e attività culturali, mentre nell’ambito del sociale 2 milioni per il Bando Welfare e 600mila euro per il Bando Sport e socializzazione.

Un quadro completo che ancora una volta definisce il ruolo sussidiario, ma sempre attivo e propositivo, della Fondazione nel contesto del territorio. Una sussidiarietà che significa confronto e co-progettazione, nel nome di quei principi già ricordati e che ben si sintetizzano in una parola: insieme.

27 OBIeTTIVO 2023. LA PROgRAmmA zIOne DeLLA FOnDA zIOne
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LEONARDO DUDREVILLE

E IL GRUPPO NUOVE TENDENZE

L’avanguardia artistica italiana degli anni Dieci protagonista della mostra alla Fondazione Ragghianti

Paolo Bolpagni

in apertura: Leonardo Dudrev lle Le quattro stagioni. Autunno, 1913, ol o su tela, Novara, Galleria G annon

1. Leonardo Dudreville Meriggio a Borgotaro, 1908, olio su cartone telato, Rovereto, Mart, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, Collezione VAF-St ftung

2. Leonardo Dudreville, Inverno a Borgotaro, 1908, olio su tavola, collezione privata

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La mostra della Fondazione Ragghianti (dal 15 ottobre 2022 all’8 gennaio 2023), curata da Francesco Parisi, ha posto al centro dell’attenzione la figura dell’artista Leonardo Dudreville (Venezia, 1885 – Ghiffa, Verbania, 1976), che nel 1913 diede vita al gruppo Nuove Tendenze. il suo percorso è esemplare per comprendere la situazione delle avanguardie degli anni Dieci, nella particolare congiuntura in cui si muovevano sia i Futuristi, sia quei giovani che, non riconoscendosi pienamente nei princìpi del movimento di Marinetti e Boccioni, cercavano vie autonome. Seguire le esplorazioni di Dudreville consente di tracciare una mappatura completa del periodo cruciale del primo anteguerra italiano, quando, con lo spostamento dell’asse futurista verso Roma, Milano divenne un centro aperto a diverse sperimentazioni. La mostra accompagna la sua carriera dalla fase divisionista, culminata con l’ingresso nella celebre galleria del mercante Alberto Grubicy, che tanto contribuì alla diffusione anche all’estero dell’arte derivata da Giovanni Segantini, fino alle esperienze astrattiste (fra i primi esempi italiani del genere), per concludersi con il riavvicinamento alla compagine futurista e alla stesura del manifesto Contro tutti i ritorni in pittura nel gennaio del 1920. il movimento Nuove Tendenze è esaminato nell’ambito di questo vivace contesto espositivo, che comprendeva anche le cosiddette mostre di ‘fronda’ che precedettero la formazione del gruppo (composto, oltre che da Dudreville, da Adriana Bisi Fabbri, Mario Chiattone, Carlo erba, Alma Fidora, Achille Funi, ugo Nebbia, Marcello Nizzoli, Giovanni Possamai e Antonio Sant’elia). in particolare, la Mostra di Arte Libera (1911) e la Mostra dei Rifiutati del Cova (1912), che, con l’esposizione Nuove Tendenze, costituirono i principali momenti in cui l’avanguardia milanese si propose come alternativa rispetto ai canali ufficiali legati al mondo accademico. Nell’itinerario espositivo una sezione è dedi-

cata proprio a opere e artisti presenti nella mostra del Caffè Cova, alcuni dei quali confluirono poi in Nuove Tendenze, come Carlo erba e Achille Funi, ma anche Mario Chiattone, che ne disegnò la copertina del catalogo in puro stile secessionista, rivelando l’affinità dell’esposizione alle similari esperienze europee (lo palesano, per esempio, alcuni dipinti di Aroldo Bonzagni).

Accanto ai lavori di Leonardo Dudreville eseguiti fra il 1905 e il 1919 – anno che segna il punto di passaggio verso un nuovo concetto di figurazione – le opere degli artisti aderenti al movimento accompagnano dunque il visitatore nel brillante clima culturale d’inizio secolo, in un percorso che va dagli avveniristici progetti architettonici di Mario Chiattone e Antonio Sant’elia alle indagini pittoriche di Adriana Bisi Fabbri, Carlo erba e Marcello Nizzoli, alla scultura di Giovanni Possamai

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3. Leonardo Dudreville Trilogia campestre. Quando suonano le campane. La Fiera, 1912, ol o su tela, Lugano, MASi – Museo d’arte della Svizzera taliana, Collezione C ttà di Lugano, donazione Chiattone 4-5. Sale espos tive

La stagione divisionista di dudReviLLe

L’antologia dei lavori d’esordio di Leonardo

Dudreville documenta uno dei processi di genesi delle avanguardie italiane d’inizio Novecento: il Divisionismo, che consisteva nell’accostare sulla tela minute particelle di colore puro, per rendere vibrante l’effetto della luce esso fu riconosciuto dai giovani artisti come una tecnica imprescindibile per un deciso e

necessario rinnovamento. Gli stessi Futuristi presero le mosse da questa lezione – «non può sussistere pittura senza divisionismo», scrissero nel loro Manifesto del 1910 –, seppure utilizzandola con alcuni aggiornamenti, come l’uso di una pennellata più lunga e di segmenti di colore spessi

A partire dall’opera Nei campi (1905) e da quelle realizzate durante il soggiorno a Borgotaro tra il 1907 e il 1908, culminate con Pae-

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saggio montano e Primavera in Valsassina (Pascoli), Dudreville assunse una personale modalità di scomposizione tonale, che dimostrava la sua piena maturazione e gli consentì di raggiungere quell’effetto di metallica luminosità tanto celebrato in Segantini. Parallelamente, però, andava raffinando una propria visione più moderna, con la manifestazione di un’attitudine alla libertà che lo portò a una sperimentazione in diverse direzioni. Durante il periodo in Liguria Dudreville aveva iniziato infatti ad articolare un Divisionismo che andava nella stessa direzione di Rubaldo Merello, animato da nuove soluzioni formali ed espressive, raggiunte grazie all’uso di toni squillanti e di impasti compatti, senza scomposizione cromatica, pur in alternanza con alcune tessiture di colore diviso. emblematico di una tenace ricerca attuata anche all’interno di una tecnica disciplinata come quella divisionista, il trittico dedicato ai suoni della natura, intitolato Trilogia campestre (1912), permise a Dudreville di aprirsi ulteriormente a soluzioni inedite, a preludio di sviluppi ancora più audaci che lo porteranno alla realizzazione del successivo ciclo dedicato alle Quattro stagioni

La MOSTRA DEI RIFIUTATI DEL COVA (1912)

Nella seconda sezione dell’allestimento creato negli spazi della Fondazione Ragghianti protagonista è la Mostra di Pittura e Scoltura Rifiutata, che, inaugurata nel Caffè Cova di Milano nell’ottobre del 1912, rappresenta uno dei momenti di organizzazione, a livello espositivo, del fronte avanguardista, e una delle premesse concettuali per la successiva vicenda di Nuove Tendenze il motivo della mostra fu il rifiuto consistente di opere di giovani artisti alla Nazionale Braidense del 1912: si trattava, in realtà, di lavori che erano già stati esposti ai concorsi accademici nel luglio dello stesso anno e che, per motivi di spazio, non furono inclusi nella rassegna maggiore. Approfittando di ciò, i ‘rifiutati’ si unirono, e, dopo il lancio di un proclama fu-

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uristeggiante, organizzarono nelle sale del Caffè Cova la mostra, che però finì per assumere un carattere tutt’altro che d’avanguardia sotto il profilo linguistico.

Se pittori come Bonzagni, Chiattone, Funi e P iatti erano più orientati verso una ricerca avanzata che rimeditava – specialmente nei emi e nell’adozione di un Divisionismo rivisitato – modelli futuristi, la maggioranza degli artisti presenti esprimeva tendenze disparate, che restituivano la consueta eterogeneità dele esposizioni braidensi Al di là dei risultati estetici raggiunti, la mostra dei Rifiutati rimane un capitolo fondamentale nella storia del contesto esistente attorno al Futurismo, perché costituisce un tentativo, da parte delle frange più sperimentaliste, di elaborare una strategia differente, capace di mettere in discussione la centralità delle rassegne ufficiali. Non a caso il proclama di Aroldo Bonzagni, che accompagnava il catalogo, parlava di un assalto alle accademie: un’idea velleitaria, che nei fatti non trovò possibilità di attuazione sia per la mancanza di un fronte organicamente strutturato attorno a una precisa idea estetica, sia per la sostanziale inefficacia della formula di un’esposizione di ‘rifiutati’ che, più che rivendicare un nuovo spazio, finivano per richiedere l’accesso ai poli ufficiali che erano oggetto di contestazione

nuove tendenze il cuore della rassegna della Fondazione Ragghianti è la ricostruzione della mostra del gruppo Nuove Tendenze, che fu inaugurata il 20 maggio 1914 e si concluse il 10 giugno. L’eterogeneo sodalizio si era costituito nel 1913 da un’idea di Leonardo Dudreville (il suo indirizzo di casa divenne la sede ufficiale) e del critico ugo Nebbia, e aveva proseguito con lettere e proclami all’‘arruolamento’ delle forze più giovani e dalle idee poco ortodosse Alla ‘chiamata’ risposero da subito il pittore e architetto Mario Chiattone, lo scultore Giovanni Possamai, gli architetti Giulio Arata e Antonio Sant’elia e i pubblicisti Carlo Bozzi, Decio Buffoni e Gustavo Macchi. Arata si ritirò poco

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6-7. Sale espos tive 8. Leonardo Dudreville, Nel bosco di castagni, 1916-1918, olio su tela, Cento, Galler a d’Arte Moderna ‘Aroldo Bonzagn ’

prima dell’inaugurazione della mostra, ma il gruppo si arricchì delle adesioni dei pittori Adriana Bisi Fabbri, Carlo erba, Achille Funi e Marcello Nizzoli, e della decoratrice tessile Alma Fidora.

Nell’esposizione del 1914 Dudreville ebbe il ruolo di protagonista, presentando quattro grandi tele dedicate alle stagioni e alcune opere astrattiste che testimoniavano un’inedita apertura alle avanguardie europee. A causa di diverbi di carattere ideologico, poco dopo la mostra Achille Funi prese le distanze dal gruppo, analogamente ad Antonio Sant’elia, che, dopo aver presentato le celebri ta-

vole della Città nuova, aderì al movimento marinettiano firmando il manifesto L’architettura futurista

Nuove Tendenze rappresentò un fenomeno di particolare importanza perché documentò la messa in atto – per quanto fugace – di un progetto espositivo autonomo, nato dalla volontà di artisti non sempre legati da una comune visione, che concretizzava un’alternativa alla logica delle mostre puramente contestative come, per esempio, quella dei Rifiutati del Cova allestita nel 1912.

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LeonaRdo dudReviLLe

daL 1914 aL 1919

Dopo la mostra di Nuove Tendenze nel 1914, Leonardo Dudreville continuò le proprie ricerche pittoriche, approfondendo quelle intuizioni che muovevano parallele agli sviluppi artistici di marca mitteleuropea (ne sono esempio le opere Bottega dell’Appaltina a Villafranca del 1916 e Nel bosco di castagni del 1916-1918). Del resto non trascurò soluzioni già sperimentate, riferite alla dimensione musicale e soprattutto alla rappresentazione dei cosiddetti ‘stati d’animo’, di cui è emblematica la tela Aspirazione (Autobiografico) del 1917. D’altra parte, Dudreville non venne mai

meno alla ricerca inerente alla personale attribuzione ai colori di emozioni e sentimenti, già codificata nei suoi scritti degli anni precedenti L’art i sta non sc i ols e i n man ie ra d e f i n i t i va i l gruppo Nuove Tendenze, ma proseguirà anzi a utilizzarne il nome in alcune piccole pubbl i ca zi on i , com e u n cal e ndar ie tto e d i to n e l 1917, nel quale traspose graficamente alcuni soggetti già realizzati in pittura. L’instancabile aspirazione a strade poco percorse, che caratterizzerà tutta la produzione di Dudreville, si rivela in Senso (1917-1918), dove il tema – una donna nuda – è trasceso mediante una scomposizione non formale, bensì cromatica. Pochi anni più tardi l’opera Il caduto (1919) segnerà il punto di svolta verso una nuova concezione figurativa. Dopo la morte di umberto Boccioni e l’allentamento dei rigidi precetti da lui imposti al gruppo futurista, Dudreville si muoverà in bilico fra il superamento di quella spinta avanguardistica che lo aveva annoverato tra i primi esponenti dell’astrattismo italiano e un lento avvicinamento al Futurismo, che nel gennaio del 1920 lo condurrà a firmare, con Achille Funi, Luigi Russolo e Mario Sironi, il manifesto Contro tutti i ritorni in pittura: un gesto che rivela l’esigenza di una più larga, ampia e sintetica visione plastica.

La mostra Nuove Tendenze. Leonardo Dudreville e l’avanguardia negli anni Dieci (15 ottobre 2022 – 8 gennaio 2023, Fondazione Ragghianti, via San Micheletto 3, Lucca) è stata realizzata in collaborazione con l’Archivio Leonardo Dudreville, con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, il contributo di Anthilia Capital Partners Sgr e il supporto di Banco BPM e gode del patrocinio della Regione Toscana e della Provincia e del Comune di Lucca. il catalogo, pubblicato dalle edizioni Fondazione Ragghianti Studi sull’arte insieme con Silvana editoriale, contiene i saggi del curatore Francesco Parisi e di Alessandro Botta, Niccolò D’Agati, Roberto Dulio, elena Pontiggia e Sergio Rebora.

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9. Leonardo Dudreville, Studio per ‘Autunno’, 1913, acquarello e graf te su cartonc no riportato su tela, collezione pr vata

Una delle realtà che animano le estati delle aree più interne della provincia, con la sua interessante proposta culturale, è l’Associazione Musicale il Serchio delle Muse. Nel 1996 a seguito della terribile alluvione che coinvolse molte frazioni della Valle del Serchio tra cui Fornovolasco, fra le più provate dalla calamità, furono organizzate diverse manifestazioni per raccogliere fondi. in quella circostanza venne coinvolto il Maestro Luigi Roni, basso di fama mondiale, che dopo aver calcato i più importanti palcoscenici del mondo si esibì nella sua terra natìa sostenendo la causa: a lui si deve la nascita de il Serchio delle Muse Questa è la premessa, la ragione di questo evento itinerante, che si consolida a partire dal 2002 con lo scopo di valorizzare il territorio, conquistando con la musica, la poesia e l’opera lirica gli abitanti che vi abitano e non solo.

L’edizione 2022 ha esordito il 13 luglio scorso a Vergemoli tenendo a battesimo un lungo e ricco tour che con le sue tredici date estive ha attraversato le più belle località della Valle del Serchio.

Da Vergemoli a Coreglia, da Sillico a Gallicano proseguendo per Castiglione di Garfagnana, Camporgiano, Loppia e Borgo a Mozzano. Nel bel mezzo della stagione estiva il Serchio delle Muse ha poi raggiunto Barga per l’evento clou, il consueto omaggio a Pascoli in occasione del 10 agosto. Dopo la serata pascoliana, la manifestazione ha fatto tappa a Villa Collemandina, in seguito al Rifugio Rossi in Pania per poi concludere il suo itinerario a Careggine e Fosciandora. entusiaste le parole del Presidente dell’associazione Fosco Bertoli, intervenuto nell’ambito della conferenza stampa di presentazione per il lancio della stagione: «Questo progetto – afferma Bertoli – nasce da una forte spinta promozionale sul territorio della Mediavalle e della Garfagnana grazie al coinvolgimento di tutti i Comuni che hanno dato la loro disponibilità.

il Serchio delle Muse da sempre persegue l’obiettivo di divulgare la musica ma ha anche il compito di far conoscere il nostro meraviglioso territorio».

La prima delle tredici tappe che ha ospitato il Serchio delle Muse è stata la serata organizzata nella suggestiva cornice dell’Anfiteatro di Vergemoli, paese natale del Maestro Roni Presente anche il presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca Marcello Bertocchini, a sottolineare il desiderio che questa iniziativa rappresenti simultaneamente un momento di arricchimento culturale ed una possibilità per valorizzare la proposta turistica locale. Protagonisti indiscussi gli artisti intervenuti alla serata: il soprano Alessandra Meozzi, il baritono Bruno Caproni, il ‘debuttante’ Vladimir Reutov tenore e Julian evans al pianoforte che hanno dato vita a uno spettacolo attraverso i più grandi nomi della lirica. il 18 luglio, alla Limonaia del Forte a Coreglia Antelminelli, un duo d’eccezione formato dal tenore Alessandro Fantoni e Roberto Barriali al pianoforte, attraverso un repertorio scelto della tradizione verdiana. i due artisti hanno accompagnato la voce di Luca Scarlini che, nella doppia veste di narratore e regista, ha regalato al pubblico una declamazione, dedicata all’avventurosa esistenza di Castruccio Castracani. Al termine gli artisti ed il presidente del Serchio delle Muse Bertoli hanno ricevuto il simbolo di Coreglia: ‘il gatto’ in gesso. La tappa del 23 luglio ha visto animarsi il bellissimo borgo di Sillico grazie al Trio Mila composto da Diana Colosi all’arpa, Federica Baronti al flauto e il soprano Delia Palmieri. il loro repertorio, particolarmente trasversale, ha saputo spaziare attraverso i grandi nomi dell’opera lirica come Gaetano Donizetti, Pietro Mascagni, Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini per poi proporre momenti musicali più attuali con nomi del calibro di Paul Baker e Astor Piazzolla. un’altra bella serata è stata quella vissuta a Gallicano in piazza San Giovanni, dove, il 27 luglio, la manifestazione ha proposto un bel

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La ‘bella estate’ del Serchio delle Muse
Veronica Bernardini
Il solito grande festival diffuso, nella memoria del Maestro Luigi Roni

programma di sala spaziando da Mefistofele di Arrigo Boito a O’ sole mio di Capua e Mazzucchi «Hanno ammazzato compare Turiddu»: il famoso intermezzo tratto da Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni ha invece riecheggiato il 30 luglio in piazza Vittorio emanuele ii a Castiglione di Garfagnana. Per l’occasione la manifestazione si è avvalsa della preziosa presenza del Controquintetto degli ottoni del Maggio Musicale Fiorentino, arpa e pianoforte, e il Coro di Montughi diretto dal Maestro enrico Rotoli il concerto della Diffusion Brass Quintet alla Rocca estense di Camporgiano ha invece inaugurato il mese d’agosto che è proseguito con l’atteso doppio appuntamento con lo Stabat Mater di Giovan Battista Pergolesi, rispettivamente il 4 agosto alla pieve di Loppia e il giorno seguente alla chiesa del Convento di San Francesco a Borgo a Mozzano. 10 agosto a Barga: serata omaggio al poeta Giovanni Pascoli con l’ensemble le Muse diretto dal Maestro Andrea Albertini. L’attore Giorgio Pasotti, già noto al grande pubblico come bravo interprete sia in televisione sia al cinema, ha prestato il volto e la voce a quello che da sempre è considerato l’evento più rappresentativo dell’estate barghigiana. Ancora protagonista l’ensemble le Muse, che si è esibito l’11 agosto al chiostro della Chiesa a Villa Collemandina per poi replicare il giorno seguente al Rifugio enrico Rossi, sulla Pania della Croce il Serchio delle Muse ha festeggiato Ferragosto alla pieve dei Santi Pietro e Paolo di Careggine con un concerto lirico: sul palcoscenico il soprano Angela Gandolfo, Katja Lytting mezzo soprano, il tenore Mario Malagnini una delle new entry del festival, il basso Francesco ellero D’Artegna e Roberto Barriali al pianoforte

L’opera buffa in piazza del Comune a Fosciandora nella frazione di Migliano ha invece allietato gli spettatori durante la serata conclusiva di questa edizione del Serchio delle Muse. Circostanza questa non priva di belle

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emozioni, una fra tutte quella suscitata dalinaugurazione della piazza dedicata a Luigi Roni. A presenziare l’iniziativa il sindaco Moeno Lunardi accompagnato dal figlio e dalle sorelle dell’artista scomparso nel 2020 a causa del Covid; in sottofondo l’inno d’italia eseguito dalla Banda Musicale del Giglio di Fosciandora.

A seguito della cerimonia d’intitolazione ha preso vita la serata e con lei l’ultima proposta musicale della kermesse che si è focalizzata su un percorso attraversato dalle più belle melodie di Strauss, Donizetti, Mascagni e Rossini. Sul palco un ottimo cast: dal soprano Linda Campanella che ha duettato con il basso Andrea Perrone al baritono Michele Govi e il Maestro Roberto Barriali

Non poteva dunque che concludersi così l’avventura de il Serchio delle Muse 2022 che anche quest’anno ha dimostrato di saper perseguire la propria straordinaria operazione culturale finalizzata alla diffusione ed alla promozione del nostro patrimonio musicale e culturale nella Valle del Serchio.

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Iacopo Lazzareschi Cervelli

Verdemura Murabilia

le manifestazioni a misura di ambiente

Giunte rispettivamente alla 21esima e alla 13esima edizione Murabilia e Verdemura –le mostre mercato del giardinaggio di qualità e del vivere all’aria aperta organizzate da Lucca Crea –rappresentano due fra le realtà italiane del settore verde di maggior rilievo nazionale. Meta di migliaia di visitatori dall’italia e dall’estero, le rassegne gemelle sono ambientate negli spazi storici delle Mura di Lucca: il più grande e amato giardino della città dove, accanto ai vivaisti italiani e stranieri, trovano posto iniziative culturali tematiche di grande interesse e attualità per tutti gli appassionati di orto e giardino. Murabilia nasce nel 2001 dalla collaborazione fra A.Di.P.A. – l’Associazione per la Diffusione delle Piante fra gli Amatori – il Comune di Lucca e l’opera delle Mura, l’istituzione strumentale creata pochi anni prima dal Comune per gestire il parco delle Mura urbane e l’orto Botanico di Lucca.

L’idea è quella di dare vita anche a Lucca a una mostra mercato di piante ambientata in un luogo di grande fascino, sulla scia delle splendide manifestazioni di questo tipo già afermate in europa e in italia come ‘Les Journées des Plantes à Courson’ (oggi spostata nel castello di Chantilly) o i ‘Tre giorni per il giardino’ organizzata nel castello di Masino dal Fondo per l’Ambiente italiano. L’inizio del mese di settembre è scelto come evento inaugurale del Settembre Lucchese e per la ripresa delle attività in giardino al termine della calura estiva e prima dei freddi e delle piogge autunnali La scelta di collocare la mostra mercato sulle Mura di Lucca fra i baluardi San Regolo e San Colombano è voluta per valorizzare il vicino orto Botanico fondato da Maria Luisa di Borbone nel 1820, sia per ravvivare e promuovere con un evento compatibile e verde, un monumento straordinario come le Mura di Lucca, architettura militare tardo-rinascimentale, uno dei parchi pubblici più singolari ed antichi d’europa. Ma gli scopi dei fondatori erano ancora più ambiziosi: realizzare un

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1-2. Murabi ia 2022 3. Cattelya maxima
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4. Fabio Chessa

evento dedicato alla diffusione della cultura botanica, orticola, del giardinaggio e del verde pubblico, sostenere e promuovere il rinnovamento e la specializzazione delle imprese florovivaistiche locali e nazionali, alle prese con una crisi strutturale del settore accerchiato da concorrenza internazionale molto aggressiva.

il 7, 8 e 9 settembre 2001 la prima edizione di ‘Murabilia – Mura in Fiore’ è un successo: 107 espositori di cui 30 collezionisti amatoriali, associazioni ed enti, 77 vivaisti e professionisti del settore. il variopinto manifesto con la wardian case vittoriana caratterizza la seconda edizione di Murabilia, il 6,7 e 8 settembre 2002: accanto ai 127 espositori, vivaisti, professionisti, collezionisti amatoriali viene articolato un vero e proprio programma

culturale con tavole rotonde, tre mostre fra cui una vasta pomologica e alcuni concorsi. Nel Complesso di San Micheletto si svolgono due convegni dedicati a frutticoltura e al genere Aloe. il 5,6 e 7 settembre 2003 Murabilia conta già ben 240 espositori in programma si arricchisce con una mostra di bonsai, le dimostrazioni di tree climbing, le visite guidate all’orto Botanico; due convegni a latere della manifestazione trattano del restauro e della manutenzione delle Mura di Lucca e del ruolo degli orti botanici per la conservazione della biodiversità. Viene inaugurata la nuova illuminazione dell’orto Botanico e pubblicata una nuova guida alla visita. P ia Pera presenta uno dei suoi capolavori L’Orto di un perdigiorno, confessioni di un apprendista ortolano

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Le edizioni 2004 (3-5 settembre) e 2005 (24 settembre) consolidano la formula di successo della manifestazione capace di attirare migliaia di visitatori da tutta italia, molte associazioni verdi iniziano a darsi appuntamento a Lucca dove arrivano anche vivaisti stranieri, soprattutto francesi e tedeschi. il grande esploratore e cacciatore di piante Gian Lupo osti parla delle peonie del Mediterraneo, fra i concorsi del 2005 spicca quello per giovani grafici pubblicitari che porta alla creazione dell’inconfondibile logo stilizzato ancora in uso con il germoglio nel vaso. L’edizione 2006 (1-3 settembre) vede la nascita dei temi conduttori delle edizioni con gli

agrumi e le piante a bassa manutenzione, nasce la mostra di illustrazione botanica che diverrà un elemento fortemente caratterizzante di Murabilia, mentre il francese Pepinieres Baud espone e racconta una collezione memorabile di varietà di fichi. Le variegature ed il bambù sono i temi scelti per l’edizione 2007 (7-9 settembre) mentre le passiflore con le laciniature e Sempervivum sono quelli dell’edizione 2008 (5-7 settembre) che vede assieme a Maurizio Vecchia la presenza a Lucca del Meeting europeo della ‘Passiflora Society international’. il 2009 (4-6 settembre) è l’anno in cui Murabilia celebra un importante ‘gemellaggio’ con un’altra grande manifestazione internazionale: Gardening Scotland; l’edizione è dedicata al grande mondo delle felci, dei Sedum e delle piante dai colori scuri. Partita dai due baluardi San Colombano e San Regolo, con la cortina che li collega e l’orto Botanico, la mostra dal 2009 si ingrandisce e si sposta verso est sui baluardi San Regolo, La Libertà e San Salvatore con una formula frammentata sui singoli

baluardi. Protagonisti dell’edizione 2010 (3-5 settembre) sono le Opuntia, orchidee e piante commestibili, viene sviluppata una sezione di conferenze ed incontri dedicata esclusivamente alle novità editoriali dell’anno, nell’orto Botanico presenta una collezione di Plumerie donate al giardino scientifico lucchese da un missionario bolognese. Da questo anno la mostra di pittura botanica prende nome Botalia ospitando nei dodici anni successivi le opere quasi 50 artisti italiani ai vertici di questa arte preziosa e raffinata.

Nel 2011 (2-4 settembre) si parla di Graminacee, Plumerie e colore oro e nasce il premio Luciano Noaro dedicato all’acclimatazione delle piante tropicali. Murabilia torna a un circuito compatto e unitario con l’edizione 2012 (7-9 settembre) che include i baluardi San Regolo, La Libertà e l’orto Botanico, sotto il segno delle Aloe, delle Hosta e del colore rosso. i cinquecento anni dalla fondazione delle Mura di Lucca sono festeggiati dal 6 all’8 settembre 2013 con rose e agavi. Le edizioni successive si addentrano in argomenti di grande attualità, dibattuti per il futuro sostenibile del nostro pianeta: nel 2014 (5-7 settembre) e nel 2015 (4-6 settembre) ‘piante cibo del mondo’ con rassegne ed esposizioni dedicate alle piante alimentari, soprattutto quelle meno note, patrimonio culturale delle varie civiltà umane, nel 2016 si parla della biodiversità e dell’importanza fondamentale dei semi.

Le edizioni di Murabilia 2017 (1-3 settembre), 2018 (7-9 settembre), e 2019 (6-8 settembre) sono incentrate sulla Cina e sul Giappone, due paesi caratterizzati da una enorme biodiversità origine di molte specie introdotte nei giardini europei di clima temperato. in questi anni negli spalti delle Mura sono allestiti concorsi ed esposizioni con ‘giardini effimeri’ creati da architetti e garden designer. Con la chiusura dell’opera delle Mura nel dicembre 2018, Murabilia e Verdemura vengono affidate dal Comune di Lucca alla società partecipata Lucca Crea che gestisce con grande successo il principale evento culturale della

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5. Murab lia 2022, Baluardo La Libertà 6. Daniel John H nkley Veitch Memor al Medal 2007 RHS e Abraham Rammeloo – Arboretum Kalmthout – Belgio

città Lucca Comics & Games e il Polo fieristico. Dopo lo stop imposto dall’emergenza sanitaria, Murabilia riparte con un’edizione ridotta nel 2021 dedicata alla biodiversità nell’orto e nel frutteto e con il 2022 ritorna alle dimensioni ordinarie coronando la 21esima edizione con la presenza del più grande paesaggista italiano: Paolo Pejrone La mancanza di una ‘versione’ primaverile di Murabilia fu colmata nel 2008 dalla nascita di Verdemura con un’ambientazione inizialmente differente, nella zona nord delle Mura, fra baluardo San Martino e Porta Santa Maria nell’ultimo weekend di marzo o nel primo di aprile. Verdemura nelle sue tredici edizioni ha dato spazio con interessanti approfondimenti dedicati a tutte le piante della primavera, con esposizioni tematiche dedicate a viole, ellebori, agrumi, salici, glicini e camelie, con nuove cultivar battezzate per l’occasione, ma anche a eccellenze di biodiversità locale come i fagioli. Verdemura nel marzo 2012 ospita il duca Amedeo di Savoia-Aosta, grande esperto e collezionista di succulente. Nel 2016 e 2017 grazie alla collaborazione con Maria Pacini Fazzi nascono due monografie di Michael Dale Myers – le prime in italiano –dedicate a Epatiche e Bucaneve, piccole preziose piante al centro di un collezionismo sfrenato nel Regno unito e in Giappone.

Murabilia e Verdemura nell’ultimo decennio sono state meta di ospiti di rilievo internazionale – provenienti dal Regno unito, dalla Francia, dagli Stati uniti, dalla Russia – fra cui giardinieri e paesaggisti quali Joseph Atkin, Razvan Chisu, Gabriel Rochard, ursula Drioli Salghetti, Connor Smith, Darran Jacques, Gianfranco Giustina; esploratori, collezionisti, cacciatori o vivaisti di piante rare come oliver Colin, Joseph Simcox, Bleddyn e Sue WynnJones, Kenneth Cox, John Fielding, Daniel John Hinkley; curatori di parchi, arboreti e orti e istituzioni botaniche come John Grimshaw, Abraham Rammeloo, Mikhail S. Romanov; giornalisti, autori e scrittori fra cui Stephen La-

cey, Francesca Marzotto Caotorta, Rosie Atkins, emanuela Rosa Clot e membri della Royal Horticultural Society come Christopher Brickell, Jim Gardiner, John David.

L’impatto delle due longeve manifestazioni sulla cultura e sull’economia lucchese riguarda principalmente l’aver contribuito all’allargamento della stagione turistica della città e all’aumento di quel pubblico di visitatori motivati e stanziali complementari al turismo veloce tipico dell’espansione economica degli ultimi decenni. Murabilia e Verdemura hanno offerto uno spazio alla riscoperta e divulgazione della tradizione agricola e vivaistica locale con la presenza di produttori storici della Provincia di Lucca come Gargini Sementi; Floricoltura Lari (Capezzano Pianore); Sandro Del Carlo (Porcari); Silvano Sonnoli (Montecarlo); Mauro Paoli (Capannori); Vivai Paola Favilla (Picciorana); Vivaio Francesconi; Guido Favilla (Picciorana). Ha inoltre sostenuto la nascita e crescita di nuove realtà adesso ben conosciute e apprezzate in italia e all’estero come il Vivaio Rho-

dodendron di Andrea Antongiovanni (San Ginese di Compito) custode delle varietà di camelie storiche della Lucchesia; il Vivaio La Casina di Lorenzo di Davide P icchi (Paganico) specializzato in piante tropicali e autoctone; il Vivaio Corazza di Lucia Cortopassi e Gianluca Corazza (P ietrasanta) specializzato in piante tropicali, succulente e bulbose rare e particolari; il Vivaio Giusti Massimiliano (Montecarlo) produttore di rare specie camelie cinesi; il Vivaio Le essenze di Lea di elisa Benvenuti e Marco Licheri (Altopascio) con una delle più grandi collezioni italiane di salvie; il Posto delle Margherite (Massa Macinaia) e La Terra dei Caspi (Paganico) specializzato in peperoncini

45 VeRDeMuRA, MuRABiLiA Le MANiFeSTAzioNi A MiSuRA Di AMBieNTe
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Paolo Emilio Tomei

UN ‘POMARIO’ A LUCCA:

UN ‘POMARIO’ A LUCCA:

FRA PASSATO

E PRESENTE

FRA PASSATO E PRESENTE

Fin dai tempi più antichi nei giardini alle piante ornamentali si aggiungevano anche quelle che producevano frutti commestibili; già nella Genesi, a proposito del giardino di eden, si dice: «il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare». in una tavola acquerellata eseguita dall’egittologo pisano ippolito Rosellini durante la spedizione franco-toscana in egitto, ripresa dalle pareti di una tomba tebana del Nuovo regno, è rappresentato un grande giardino; qui oltre a papiri e piante di ninfea cerulea crescono palme da datteri, sicomori e viti. Nel giardino di pietra del faraone Thutmosi iii compaiono la vite e il melograno.

A Babilonia si parla poi dei giardini pensili fatti costruire dal re Nabukadnezar e come riferisce Filone di Bisanzio, attivo intorno al 250 avanti Cristo «… lì sono piantati alberi a larga foglia dei più diffusi nei giardini, ogni varietà di fiori multicolori, e insomma quanto rallegra la vista e il palato con la sua dolcezza». Anche gli Assiri avevano giardini ed in una lunga iscrizione lasciata da Assurnazirpal ii (883-859 avanti Cristo) si legge: «L’acqua incanalata scendeva dall’alto fino ai giardini; i viali sono odorosissimi, le cascatelle brillano come gli astri del cielo in questo giardino di delizie. i melograni, coperti di grappoli di frutti come la vite di uva, ne aumentano il profumo. io Assur-nazir-pal, non smetto di cogliere frutti nel giardino della gioia, come uno scoiattolo».

omero nell’Odissea descrive il giardino di Alcinoo ricco di frutti: «Fuori dal cortile, da vicino alla porta, c’è un grande giardino / di quattro iugeri; e intorno ai due lati si prolunga un recinto. / Lì stanno piantati alti alberi sempre in rigoglio, / pere e melograni e meli dagli splendidi frutti / e fichi dolci e ulivi rigogliosi Mai, per tutto l’anno, / i loro frutti appassiscono né vengono a mancare, / sia inverno oppure estate, ma sempre il soffio di zefiro / gli uni fa spuntare gli altri fa maturare».

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(Canto Vii, 112-119). 1. Giard no egizio da Monumenti dell’Egitto e della Nubia a cura d ippolito Rosellin , 1832-1844 2. il ‘pomario’ della Fondazione Cassa di R sparmio di Lucca

Plinio tratta numerosi alberi da frutto che vanno dal fico al melo, dal giuggiolo al ciliegio; a molte varietà egli dice venivano attribuiti nomi di coloro che le avevano introdotte a Roma da paesi lontani. Nei dipinti pompeiani sono numerosi i frutti rappresentati, fra questi compare anche un agrume identificato come limone, più probabilmente si tratta di un cedro. Nel giardino medioevale era sempre presente un Pomarium dove crescevano le diverse varietà di fruttiferi allora conosciuti, e non erano pochi. La maggior parte aveva un’origine legata a specie selvatiche autoctone ma altre erano esotiche, se pur di antica introduzione

L’agronomo bolognese Piero De’ Crescenzi, attivo nel Xiii secolo, riguardo ai primi disquisisce su melo, pero, fico, nespolo, sorbo, susino, etc. Su quelle esotiche, che già avevano introdotto i romani, parla del pesco, del giuggiolo, della palma da datteri, del melograno. Col Rinascimento il numero delle cultivar diviene più numeroso e nuove specie si aggiungono alle precedenti, Pietro Andrea Mattioli tratta degli alberi da frutto e di alcuni nomina le varietà allora conosciute; ad esempio delle ciliegie ricorda 4 cultivar a polpa dolce (Marchiana, Duracina, Acquaiola e Corbi-

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na) e sei a polpa acidula (Amarine, Visciole, Marasche, Marine, Marinelle e Verule). il Mattioli descrive anche alcune specie erbacee allora arrivate da pochi decenni dalle Americhe; si tratta di fagioli, granturco, peperone piccante, girasole e fico d’india.

Nella Toscana nel Seicento di questa dovizia di frutti ne sono esempio i dipinti di Bartolomeo Bimbi che illustrano i diversi tipi che venivano imbanditi alla corte dei Medici; le varietà rappresentate ammontano a diverse decine

Nell’Agricoltore del pistoiese Cosimo Trinci, sono trattati ancora fichi, gelsi, ulivi, ciliegi, peri, castagni e agrumi. A Lucca con l’avvento dei Bonaparte si verificò un profondo mutamento nell’organizzazione dello stato e non solo. in questo ambito elisa Baciocchi progettò anche di allestire tre giardini, due a P iombino ed uno a Marlia. A P iombino un piccolo spazio verde doveva essere realizzato a palazzo Cittadella, residenza della principessa in città; di questo ne esiste la planimetria e si conoscono anche i tipi di alberi da frutto che vi sarebbero stati coltivati il secondo, molto più grande e indicato come ‘Giardino imperiale’, sarebbe dovuto nascere immediatamente fuori le mura; di questo non è stato ritrovato alcun progetto ma se ne conoscono alcuni aspetti da indicazioni sparse nei documenti di quel periodo. Numerose informazioni invece sono presenti negli archivi di Firenze relativi alle specie vegetali da introdurre. Dagli elenchi compaiono piante idonee per la costruzione di un giardino di paesaggio e per la realizzazione di un grande frutteto, i frutti nominati sono numerosissimi Per il giardino di Marlia, nella residenza di campagna oggi Villa Reale, la storia è del tutto diversa in quanto elisa intervenne su strutture già esistenti; dopo aver acquistato la proprietà orsetti, ampliata con l’annessione della finitima villa della Mensa Arcivescovile di Lucca e della casa con podere Ghivizzani, unì i giardini modificandoli; a tal fine introdusse specie ornamentali esotiche prima sconosciute in Lucchesia e numerosi alberi da frutto. All’Archivio di Stato di Lucca è conservato il carteggio fra i giardinieri di elisa e quelli della corte di Napoli: dai giardini partenopei, infatti, sarebbe stato possibile ottenere le piante desiderate. in questi elenchi sono indicate numerosissime specie ornamentali e anche molte varietà di fruttiferi; si tratta di: albicocche, giuggioli a frutto tondo e a frutto bislungo, avellani primaticci e tardivi, noci, cotogne, fichi, nespoli, peschi e susine. Stranamente non compaiono meli e peri. Particolare interesse è riservato agli agrumi, fra

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questi possiamo ricordare l’arancio massese e il cedro (o cedrato) di Firenze. A partire dal Cinquecento nel territorio di Massa la coltivazione degli agrumi era assai diffusa, probabilmente in relazione al clima dolce che contraddistingue questa porzione della Toscana settentrionale. Alberico Cybo, dopo aver ereditato la corona marchionale dalla madre Ricciarda Malaspina, nell’opera di riqualificazione della città, fece edificare anche un giardino di delizie dove le specie dominanti erano cedri, melangoli e limoni. È in questo ambito che nacque il cedrato fiorentino e nel tempo a venire l’arancio massese. il cedrato pare sia stato ottenuto da agricoltori del contado pietrasantino e l’attributo ‘fiorentino’ è legato all’intenso scambio in materia agrumaria fra i Cybo Malaspina e i Medici che fu sempre costante. elisa Bonaparte Baciocchi fece largo uso di questi agrumi nei suoi giardini aggiungendoli a quelli già presenti nel territorio lucchese Con il ritorno dei Borboni a Lucca, Maria Luisa realizzò l’orto Botanico e il direttore Benedetto Puccinelli metteva in vendita diverse varietà di

fruttiferi in esso coltivate. L’interesse per queste piante nella prima metà dell’ottocento è attestato anche da una collezione di modelli in gesso un tempo presente al Museo botanico Cesare Bicchi; la maggior parte dei campioni è andata perduta ma rimangono un centinaio di supporti con i nomi relativi che ne documentano la ricchezza.

Nelle Pratiche della campagna lucchese il marchese Antonio Mazzarosa raggruppa le piante generalmente coltivate nel Ducato di Lucca in sette classi, la quarta è dedicata agli alberi da frutto dove compaiono 24 peri, 17 meli, 7 peschi, 6 susini e numerosi altri che attestano la ricchezza di biodiversità costruita presente nella campagna lucchese oggi i tipi di frutta che possiamo ritrovare sul mercato sono in numero assai minore rispetto al passato e questo ha innescato un processo di erosione genetica che rischia di far scomparire tutto ciò che attraverso i secoli si era differenziato nell’ambito degli alberi a frutto commestibile, per evitare che ciò accada numerosi enti e privati cittadini hanno creato collezioni di queste piante sia in italia che all’este-

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3. Ci iegia cv. visc ola (da G. Gallesio, Pomona Italiana) 4. Marie Guilhelmine Benoist, Ritratto di Elisa Bonaparte 5. Ritratto del marchese Antonio Mazzarosa

ro. Anche la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca ha voluto recuperare questa memoria realizzando un ‘Pomario’ dove coltivare alcune delle antiche varietà un tempo frequenti nel territorio lucchese Si tratta di una collezione di 81 cultivar e precisamente: 19 peri; 13 susine; 10 peschi; 9 meli; 8 fichi; 6 albicocche; 4 ciliegie; 2 lazzeruoli; 2 mandorli, 2 giuggioli; 2 cotogni; 1 avellano; 1 noce; 1 sorbo; 1 nespolo. in effetti le varietà di fruttiferi presenti allora in Lucchesia, come abbiamo veduto, sarebbe-

ro state in numero maggiore ma per esigenze di spazio sono state scelte quelle che più frequentemente erano indicate negli elenchi ottocenteschi. La collezione oltre ad avere un interesse culturale perché legata alla storia del territorio rappresenta anche un presidio per contribuire alla salvaguardia di quel patrimonio genetico che oggi si cerca ovunque di conservare

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6. Fico cv. dottato

Il tardo 1500 vide in tutta l’italia centro settentrionale il progressivo affievolirsi di quel secolare fenomeno di crescita demografica che, dopo la grande peste del 1348, aveva ripopolato le campagne e dato forte impulso alla crescita della popolazione delle città. La previsione di una continua espansione dei centri urbani e del previsto aumento della loro popolazione, assieme alla necessità di incorporare nelle nuove cerchie difensive ‘alla moderna’, cioè in grado di resistere alle armi da fuoco, i ‘borghi’ che si erano sviluppati in prossimità delle antiche mura medievali determinò molte comunità a provvedere ad un considerevole ampliamento delle nuove cerchie fortificate includendo spazi necessari ad una espansione futura, ma che invece per secoli non sarebbero stati completamente urbanizzati. Questo era accaduto ad esempio a Ferrara, capitale del ricco Ducato estense, dove «l’Addizione erculea», cioè la razionale pianificazione di nuovi quartieri di espansione era stata affidata nel 1484 dal Duca ercole i all’architetto di corte Biagio Rossetti. Fortemente improntata al concetto urbanistico di città ideale propria dell’umanesimo, l’Addizione, che con la morte di ercole i e per i difficili tempi seguiti rimase incompiuta, rappresenta forse il primo tentativo in europa di recuperare i concetti urbanistici di derivazione ellenistica e vitruviana, restituendo una pianificazione armoniosa ed organica di una area assai vasta a continuazione del vecchio centro cittadino, prevedendone un ingrandimento che non si sarebbe più verificato. Gabriele D’Annunzio canterà, nelle Città del Silenzio delle sue Laudi, la bellezza di quel capolavoro incompiuto, le sue strade «piane e larghe come fiumane» ed i nobili palazzi immersi in una atmosfera malinconica e quasi rarefatta.

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Lucca: il quadrante verde e la sua storia
Claudio Rovai

il ‘Divino Poeta’, cantando anche Lucca, non fu ugualmente ispirato dalla grandissima area, quasi un terzo dell’intera superficie della città, che la nuova cerchia di mura rinascimentali (lavoro ciclopico, protrattasi dal 1514 al pieno Seicento), avevano annesso sul lato est della città medievale. in questo caso infatti non vi era alcun raffinato Duca vagheggiante la nascita di una città ideale, ma solo

la decisione del «Pacifico e Popolare Stato Lucchese» di proteggere con le nuove fortificazione i quartieri nati con il tempo fuori dalla cerchia medievale ed, ancor di più, di mettere in sicurezza i più svariati opifici (della seta, della lana, del cuoio, etc.), che sfruttavano per le loro lavorazioni e come fonte di energia l’acqua dei fossi correnti intorno alle vecchie mura.

Queste vitali attività produttive, presupposto della stessa importanza commerciale e finanziaria della Repubblica, occupavano però solo una piccola parte dello spazio annesso alla città antica, spazio che rimaneva nel suo complesso una area scarsamente abitata nella quale, tra campi ed orti, sorgevano le moli di antiche chiese (San Francesco, San Ponziano, San Micheletto, Santa Chiara) e dei

grandi complessi conventuali che a tali chiese facevano riferimento.

Alcune ville nuove e fastose (villa Buonvisi del Giardino, ora Bottini), altre recanti il segno del tempo, (quale la villa suburbana del Guinigi), con i loro parchi e giardini concorrevano a dare una immagine quasi agreste di questa area della città, per secoli in attesa di popolamento e sviluppo.

Alla depressione demografica ed economica di questa vasta superficie contribuiva in maniera determinante la totale separazione di essa dalla campagna, avendo le nuove fortificazioni sbarrato tutte le vie di comunicazione ed accesso tra l’interno ed esterno della cinta muraria, nel lungo tratto intercorrente tra la Porta di Santa Maria e quella di San Pietro. Tutto ciò per non indebolire la cortina difensiva proprio nel suo tratto sud orientale, più esposto alle potenziali minacce ed insidie della rivale Firenze

Così, come veniva da molti lamentato, i visitatori e le merci provenienti dal Gran Ducato – il cui confine distava meno di dieci miglia da Lucca – giunti in vista delle mura, erano costretti a costeggiare per un lungo tratto l’imponente cortina per essere ammessi in città dall’unica Porta di San Pietro.

Per questo prevalente motivo, in età napoleonica, quando la Principessa elisa aprì la Porta, ancora recante il suo nome, al servizio della via che conduce a Firenze, questo desolato quadrante della città sembrò essere chiamato a nuova vita.

Con Porta elisa, realizzata in asse – demolendo i vetusti conventi del Carmine e dei Cappuccini – con la Porta di San Gervasio e Protasio, principale accesso alla città medievale, si ripristinava l’antichissimo itinerario d’accesso alla città murata romana forse replicando il percorso di una antica ed importante via selciata, come dimostrerebbe il precedente nome di San Ponziano: San Bartolomeo in Silice L’ambizioso progetto napoleonico di ristrutturazione urbana che vedeva il suo asse in una larga via porticata di gusto francese che avrebbe dovuto raggiungere, secondo lo

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sconsiderato progetto – tra enormi demolizioni di edifici medioevali – la centralissima piazza di San Michele, fu provvidenzialmente interrotto dalla caduta dei Napoleonidi per la mancanza di risorse e di volontà politica del nuovo Ducato Borbonico. Si interrompeva così il progetto di rivitalizzazione dell’area, la quale rimase nelle stesse precedenti condizioni fin quasi ai nostri giorni. Solo negli ultimi anni questo quadrante della città sembra svegliarsi dal suo secolare torpore. il restauro e la rifunzionalizzazione di parte dei complessi conventuali a servizio dell’istituto Alti Studi (iMT), il formarsi di un campus residenziale in via di ampliamento, la nascita di nuove start up e di altre qualificate attività, sta rianimando le strade ed i solitari cortili di questo settore urbano prefigurando la valorizza-

zione delle sue rilevanti potenzialità, delle sue attrattive e delle sue aree ricche di verde. il bellissimo orto Botanico, di gusto neoclassico, istituito dalla Duchessa Maria Luisa nel 1820, gli orti delle monache di San Micheletto – dove la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca sta realizzando un Pomario di alto valore naturalistico e didattico, il giardino di villa Bottini in corso di miglioramento ed infoltimento, ma già luogo di aggregazione e socializzazione, i giardini di villa Guinigi e del Genio Civile, i molti orti claustrali e lo stesso, assai discusso, Giardino degli osservanti, sono altrettanti spazi verdi che caratterizzano questo quadrante: un imponente patrimonio che deve essere oggetto di una gestione e manutenzione complessiva in modo da aprirsi alla fruizione dei cittadini

un’opera di attenta riqualificazione che segua chiare linee guida per la gestione e la valorizzazione di tali aree costituisce uno dei compiti che la nuova Amministrazione Comunale di Lucca dovrà assumersi. A tale azione non mancherà certo il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, promotrice finora di questo importante processo di rinascita.

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1. Anton o Pelosi Mappa catastale della città di Lucca (1837-1838) l quadrante orientale 2. il ‘pomario’ della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca

un universo». Questo è il leitmotiv di una mostra che affronta la produzione del più celebre dei macchiaioli interpretando il suo percorso come una sorta di microcosmo, in cui l’artista seppe ricreare le suggestioni, le inquietudini, i sentimenti che attraversarono il suo spirito. un’esposizione preziosa, che la Società di Belle Arti, con il patrocinio del Comune di Forte dei Marmi, in collaborazione con Villa Bertelli, ha tenuto da luglio a settembre negli spazi del Forte Leopoldo i, per qualche mese teatro di una straordinaria selezione, importante nei numeri e nella qualità, di opere del maestro indiscusso della rivoluzione macchiaiola e precursore della modernità del XX secolo.

A circa vent’anni dall’ultima mostra versiliese dedicata al grande livornese, cinquanta opere hanno raccontato un’epopea personale, intima, ma anche rivoluzionaria ai più alti livelli della divulgazione artistica; il tutto attraverso un’intelligente e accorta suddivisione in sette sezioni tematiche, riscontrabile anche nel prezioso catalogo curato da Claudia Fulgheri, elisabetta Matteucci e Francesca Panconi, tra le più affermate studiose e profonde conoscitrici della vasta produzione fattoriana.

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La ‘macchia’ al Forte: il mondo di Fattori in 50 opere
Successo per la mostra dedicata al pittore livornese a Forte dei Marmi

L’universo di Fattori, come dicevamo, c’è tutto, nei suoi molteplici aspetti; l’evoluzione dell’idea di forma, il progresso della tecnica, le prime ricerche sulla ‘macchia’ nel racconto delle vicende belliche italiane, i commoventi ‘ritratti dell’anima’ in cui riconoscere l’intimismo quasi autobiografico e il tratto più rude del realismo, irrinunciabile DNA della pittura toscana.

e poi ancora paesaggio, l’amata Castiglioncello, la luce incantevole sulle marine, Firenze che muta il suo aspetto anno dopo anno, le campagne desolate, le bestie, il lavoro dell’uomo, ma non solo.

Sorprendente è infatti la serie di ritratti di amici e parenti che il pittore ‘chiama’ sulle sue tele quasi a testimoni oculari ed emotivi della sua vita, delle fasi della sua vita.

Tra le opere presenti al Forte, sicuramente da citare Soldati francesi del 1859, Posta militare al campo e l’inedito In marcia, e poi ancora le ariose La Punta del Romito e La Punta del Romito con barche e pescatori. Racconta bene il Fattori ‘rurale’, invece, Cavalli al pascolo del 1872, in cui in lontananza una linea dell’orizzonte accennata celebra l’incontro tra cielo e mare, in un luminoso contrasto con la radura in primo piano che inquadra gli animali nel loro contesto di selvaggia e balsamica libertà.

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l’artista

Nato a Livorno nel 1825 Giovanni Fattori fu il più importante pittore a fare della macchia la sua cifra stilistica e tra i principali esponenti del gruppo di artisti nato al Caffè Michelangelo di Firenze, dove i suoi esponenti si radunavano per parlare di temi artistici e politici il termine ‘macchiaioli’ venne utilizzato per la prima volta in tono spregiativo – come accadde anche agli impressionisti – da un anonimo giornalista della «Gazzetta del Popolo» che, nel 1862, recensì in maniera poco benevola una loro mostra caratterizzata appunto da immagini costruite attraverso macchie di colore giustapposte per dare il senso di ciò che l’occhio percepisce nell’immediato.

Ciò che caratterizzava l’unicità di Fattori, anche rispetto ai ‘colleghi di macchia’ fu in particolare la scelta di ritrarre soggetti realistici rifiutando tanto i toni celebrativi tipici del Neoclassicismo, quanti quelli nazionalisti

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Joëlet

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Giulia Prete

ovvero la montagna per tutti te

La bellezza degli spazi naturali è — finalmente — accessibile a tutti. La Joëlette, ideata in Francia ormai diversi anni fa ma ancora poco conosciuta, è infatti una carrozzella da fuori-strada che consente alle persone con difficoltà motoria di effettuare escursioni o di fare trekking — naturalmente con l’aiuto di accompagnatori — anche in sentieri più impegnativi. Questa particolare carrozzina prende il nome dal suo inventore, Joël Claudel, che la ideò per continuare a portare in montagna il nipote colpito da una grave miopatia. Grazie a lui, negli ultimi anni siamo riusciti a rendere possibile ciò che era sempre stato impensabile.

In Italia, le persone con disabilità sono oltre 5 milioni, ovvero circa il 10% della popolazione. Con la Joëlette, però, davvero tutti possono vivere la magia di un’avventura in alta quota, ammirare un panorama mozzafiato, correre durante una competizione o semplicemente passeggiare in riva al mare. Un’esperienza di solidarietà e grande altruismo che infrange la sensazione di isolamento che da sempre provano le persone con difficoltà motoria, facendo loro capire che hanno un ruolo sociale importantissimo ed è possibile per loro sentirsi parte attiva della società e delle nostre montagne, meraviglie della natura che appartengono a tutti, non solo a una fetta di popolazione. Una goccia nell’oceano, forse, ma importante per continuare a lavorare anche sull’eliminazione delle barriere architettoniche nelle città e per rendere accessibili e accoglienti tutti i luoghi, in modo che sia possibile portare queste persone dappertutto, anche negli ambienti più ‘impegnativi’.

Grazie all’unica ruota ed al suo sistema di sospensione, la Joëlette infatti può passare dove nessuna altra sedia a rotelle è mai riuscita ad andare: strade sterrate, sentieri… e persino in cima alle vette.

Una faticaccia? Niente affatto: il manubrio nella parte posteriore ed un paio di braccia in quella anteriore, consentono infatti agli accompagnatori di condurre la Joëlette molto facilmente, poiché il peso del passeggero poggia interamente sulla ruota. Naturalmente la guida della Joëlette richiede comunque una buona condizione fisica: è importante essere in grado di garantire la sicurezza dei passeggeri durante tutto il cammino che, per i più audaci, può durare anche diverse ore o addirittura giorni.

Essere in forma quindi non è affatto scontato: la Joëlette può essere utilizzata anche per fare corse, trail running e, pensate un po’, anche le maratone.

Ciò non significa che debba essere utilizzata solo da grandi atleti, poiché può essere impiegata per fare passeggiate anche su percorsi più ‘tranquilli’.

Facile da manovrare, certo, ma richiede comunque una buona formazione: solitamente i corsi organizzati per la formazione degli accompagnatori di

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persone con disabilità e/o a mobilità ridotta con la Joëlette sono gratuiti e, durante le lezioni, viene data una conoscenza basica della carrozzina, dove vengono spiegati anche assemblaggio, caratteristiche costruttive, regolazioni, manutenzione e modalità di uso, ma anche — fondamentali — le tecniche e le metodologie di approccio alla disabilità. Nel percorso formativo solitamente sono inserite anche esercitazioni pratiche, sia in luoghi chiusi che all’aria aperta.

Facile da montare e da richiudere (si chiude in meno di tre minuti!) la Joëlette entra perfettamente nel bagagliaio dell’auto e può essere trasportata veramente ovunque.

Come funziona

Ma parliamone del dettaglio. Spiegare cos’è e come funziona questa carrozzina è senza dubbio più facile a farsi che a dirsi. Fondamentale, come detto, è l’equipaggio: il numero di accompagnatori necessario per guidare una Joëlette può variare da 2 a 5 persone, in base alla difficoltà dell’itinerario, all’esperienza di guida degli accompagnatori e al peso del passeggero. Più persone ci sono, più si avrà modo di ‘fare a cambio’, soprattutto quando il percorso è piuttosto lungo o faticoso. Possono bastare anche solo due accompagnatori, purché siano in possesso di un’esperienza sufficiente e il percorso non sia estremamente difficoltoso. Un lavoro di squadra semplice, ma che deve essere molto affiatato. Il ruolo principale dell’accompagnatore posteriore consiste nell’assicurare l’equilibrio della Joëlette: il punto di equilibrio infatti, a causa delle irregolarità del terreno, va regolato costantemente dall’accompagnatore durante la progressione della Joëlette. L’accompagnatore posteriore, ovvero colui che equilibra la Joëlette, si assicura invece che il passeggero sia seduto correttamente: il sedile deve sempre essere in posizione orizzontale o lievemente inclinato all’indie-

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tro. L’accompagnatore anteriore, inoltre, ha un compito davvero fondamentale: oltre a dare l’energia di trazione per far avanzare la carrozzina è lui, infatti, che osserva con attenzione il percorso che ha di fronte e sceglie l’itinerario più scorrevole per il passaggio della ruota, evitando, per quanto possibile, anche gli ostacoli. Gli altri accompagnatori, come detto, sono fondamentali quando la stanchezza inizia a farsi sentire. Esistono poi diversi tipi di disabilità, ragion per cui gli accompagnatori devono attuare eventuali adattamenti (cinghie, cuscini etc.) al fine di assicurare il comfort di ognuno.

La Joëlette, che essendo una carrozzina piuttosto snella può sembrare fragile e con poca resistenza, ma regge in realtà un peso di 120 chili.

Generalmente si consiglia un percorso tracciato (o previsto in anticipo in quanto accessibile con la Joëlette) e di scegliere l’itinerario in base alle capacità fisiche e tecniche del gruppo di accompagnatori. Importantissimo, ovviamente, tenere d’occhio anche il meteo.

La Joëlette Twin

Per corse podistiche o gite su terreni accessibili, la doppia ruota è ideale perché assicura un equilibrio laterale e permette comunque di prendere alcune pendenze grazie al sistema pantografo. Un terzo ruotino d’appoggio fornisce inoltre un equilibrio supplementare. Come sul modello ruota unica, l’accompagnatore posteriore assicura l’equilibrio della Joëlette, mentre l’accompagnatore anteriore assicura la trazione e la direzione. Più stabile, la Joëlette Twin rispetto alle altre è più facile da guidare.

La Joëlette Kid

Molto confortevole e sicura, questo tipo di carrozzina ‘da strada’ è stata progettata per i bambini sotto i 25 chili. È molto facile da maneggiare e richiede, a differenza degli altri modelli, un solo accompagnatore. Ci sono due possibili configurazioni: la Joëlette Kid con il seggiolino, e quella con interfaccia per sedile scocca.

E-Joëlette

Questa carrozzina fornisce un aiuto elettrico pari a 6 chilometri orari e permette di alleviare la fatica degli accompagnatori durante lunghe escursioni con forte dislivello e in forti pendenze o, da non sottovalutare, anche quando i passeggeri sono pesanti.

La Joëlette nel territorio

La Joëlette elettrica la conoscono bene i volontari della Croce Rossa Italiana del comitato di Bagni di Lucca: il comitato, grazie alla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, possiede infatti una Joëlette ‘motorizzata’ che consente di trasportare le persone in modo più semplice e meno faticoso. Dal mese di maggio 2022, dopo un’adeguata formazione, i volontari svolgono il servizio di accompagnamento sulle montagne vicine per tutti coloro che lo richiedono. «Questo servizio è fondamentale per le persone che hanno difficoltà motorie ma che comunque hanno una grande voglia di fare questo tipo di esperienze — spiega la delegata all’inclusione del comitato, Marisa Frullani — Portare queste persone in posti che non hanno mai visto e che senza questa speciale carrozzina non avrebbero mai potuto vedere, è un’esperienza emotiva molto forte anche per noi volontari. Vederli contenti è infatti per noi una grande soddisfazione. Nel nostro comitato i volontari interessati a fare questo tipo di servizio hanno svolto un corso di formazione con rilascio di attestato. Al momento i volontari formati sono sette ma ci auguriamo che, col tempo, il numero cresca».

Il progetto che vede impegnati i volontari della Croce Rossa di Bagni di Lucca è nato in collaborazione con il Comune di Bagni di Lucca, il Gruppo trekking Pegaso e l’Associazione sportiva JurassikBike. Tutte le uscite saranno pianificate con i responsabili e gli esperti della Croce Rossa per garantire all’utenza la massima sicurezza e il massimo rispetto delle caratteristiche di ogni soggetto. Le uscite dovranno essere richieste per mail o presso il centralino della Croce Rossa di Bagni di Lucca (bagnidilucca@cri.it — tel.: +39 0583 805454).

Grazie alle associazioni, in Italia e nel mondo sono numerose, ormai, le iniziative che permettono alle persone con difficoltà motoria di vivere l’avventura della montagna e della competizione sportiva in Joëlette. Ma c’è ancora molto su cui lavorare per garantire una vera inclusione: ad esempio, la mappatura dei sentieri percorribili anche in carrozzina e la realizzazione di azioni culturali per superare — una volta per tutte — lo stigma e i pregiudizi nei confronti dei limiti delle persone con disabilità.

Questo particolare tipo di attività è ormai divenuta fondamentale per realizzare desideri — fino a poco tempo fa ritenuti impensabili — e donare forza alle persone con difficoltà motoria. Un invito a non smettere mai di lottare e, perché no, di sognare: niente — a quanto pare — è davvero impossibile.

63 JOËLETTE: OVVERO LA MONTAGNA PER TUTTI
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notiz ie da l territorio

Vivaci e solidali, a due cur ve dal mondo

Cerreta e Gallena, due frazioni-gioiello della Versilia storica

Michele Morabito

La Versilia Medicea è ricca di borghi piccolissimi, ma ricchi di storia: una storia legata alle vicende economiche del territorio, il lavoro nelle miniere, l’estrazione delle pietre, le fucine del metallo che un tempo si trovavano numerose in particolare lungo i corsi d’acqua. Alcune di queste comunità resistono al tempo. Due borghi particolarissimi sono quelli di Cerreta Sant’Antonio e di Gallena, che quasi si guardano, il primo collocato sul versante destro del fiume Vezza nel comune di Seravezza, l’altro sul versante sinistro del fiume appartenente al territorio del comune di Stazzema. Le due comunità hanno notevoli somiglianze: entrambe fino agli anni Settanta del secolo scorso non erano collegate alla strada di fondovalle, la Strada Provinciale di Marina che collega la piana della Versilia con lo Stazzemese e con la Garfagnana. Le case sono quelle costruite secoli fa che si trovano negli antichi censimenti, fieramente abitate dagli eredi di quegli antichi minatori che andavano a lavorare nelle miniere del Bottino o nelle fucine dei metalli, prima di dedicarsi alla povera agricoltura per mangiare. Allora come oggi queste comunità hanno i loro artigiani: un tempo il vasaio o il falegname, oggi l’idraulico, l’elettricista, il geometra che è il riferimento per tutta la comunità. Entrambe le comunità hanno una ottantina di abitanti e come accadeva una volta, ancora ci si incontra alla sera per chiacchierare, ciascuno portando la propria sedia da casa, con quello spirito di comunità che sopravvive solo nei paesi, dove chi non scende per lavorare al piano sorveglia le case degli altri. In entrambi i casi la strada finisce nella piazza della Chiesa, poi si prosegue a piedi in viottoli minuscoli e scalette nascoste che conducono alle abitazioni. Oggi non ci sono o meglio non ci sono più attività economiche. A Gallena resta l’insegna del posto pubblico per telefonare, che in realtà è una casa privata quando il telefono era un bene per pochi.

A Cerreta si arriva salendo al Palazzo Mediceo di Seravezza lungo la valle del Vezza: passato

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l’abitato di Valventosa e la piccola cappellina, si gira a sinistra e dopo un paio di chilometri di curve e tornanti si arriva al paese. Si deve parcheggiare nella piazza della Chiesa di Sant’Antonio o prima quando, e succede spesso, gli abitanti mettono fuori i tavolini per mangiare e stare assieme. Le case sono disposte lungo i due tracciati principali che si snodano dalla chiesa omonima e terminano presso la fonte pubblica affiancata da un’antica marginetta. Il panorama affaccia sulle Apuane che cingono la valle del fiume, sul Procinto ed il nona, sulle vecchie miniere del Bottino e i dirupi delle cave di marmo del monte Costa. Il mare non si vede, ma si intui-

sce nelle lontananze con una presenza di colori e riflessi. Il nome è una derivazione delle piante, il cerro, che circondano il paese. un toponimo di cui si ha traccia sin dal trecento come possedimento del comune di Pietrasanta. un tempo i cerretini erano impegnati nel lavoro delle fucine che abbondavano lungo il fiume. La chiesa dedicata a Sant’Antonio è del Cinquecento e consacrata dal vescovo di Luni a cui il territorio ecclesiastico apparteneva nel 1603, fu sottoposta a lavori di ampliamento e di restauro nella seconda metà dell’Ottocento, quando all’unica navata presente furono aggiunte le tre cappelle a monte e l’orchestra.

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La chiesa è inoltre dotata di un organo che fu realizzato a Viareggio e inaugurato nel 1902 da un famoso maestro del luogo. Il piccolo campanile fu costruito ai tempi dell’ampliamento ottocentesco della chiesa. Ha tre campane, piuttosto modeste, fuse rispettivamente nel 1883, 1885 e 1906. La costruzione attuale è, però, dovuta alla tenacia di don Luca Garfagnini che lo volle restaurare con personale sacrificio fra il 1907 e il 1915. La struttura aveva una lunga guglia, che, per motivi di staticità, è stata abbattuta dopo gli anni Cinquanta.

Di fronte, sul lato opposto del fiume, si trova Gallena che appartiene invece al comune di Stazzema. Gallena oggi è un borgo molto vivace e solidale. Ci fu un tempo che fu dominato da un castello, che assieme ad una rete di altri insediamenti fortificati sovrastavano il paese a sorveglianza dei preziosi bacini estrattivi. Gallena è legata a doppio filo alla storia dell’estrazione: la voce popolare, ma anche più accreditata, fa derivare il nome dal minerale detto Galena (solfuro di piombo in cristalli cubici o tetraedrici, o in masse metalliche compatte, in latino galenam).

Si arriva risalendo dal fondovalle la strada di Marina curvando a destra poco dopo il bivio per Cerreta. Di Gallena si hanno notizie sin dal Mille, ma il borgo trasse impulso dalla presenza di miniere di piombo argentifero (miniere del Bottino) e dalla lavorazione del marmo. Sono in pochi gli storici che si sono dedicati al paese, ma non mancano le citazioni antiche. Sopra il paese, fino alla seconda metà degli anni Settanta, si vedevano i resti di una costruzione murata a calcina, dall’aspetto molto antico, che gli abitanti del luogo chiamavano ‘casa dei gentili’ dove i romani portavano gli schiavi da far lavorare nelle miniere.

La chiesa venne edificata nel 1222, con una piccolissima canonica, dove risiedeva un cappellano mantenuto dalla propositura di Seravezza. Fu dedicata a Santa Barbara, protettrice dei minatori. La santa perseguitata dal padre per la sua conversione venne torturata con il fuoco, senza che essa si ustionasse,

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tanto da divenire protettrice di tutti coloro che rischiano la vita per il fuoco o le esplosioni. La santa è rappresentata in una bella scultura in bronzo di Mario Salvatori posta nel 1997, un galleno, che ha trovato fortuna in Francia con numerosi riconoscimenti. La sua casa a Gallena è un vero museo: nella scorsa estate ha trasformato lo spazio di fronte in un museo a cielo aperto, uno spazio magico, etereo, con muri di colore azzurro, guglie, una specie di Parc Güell in stile Gaudí, che incorniciato in mezzo ai boschi e ai monti della Versilia, sorprende e sconvolge un po’. nel mezzo alla

piazza, che dall’alto sembra una stella, denominata ‘Galassia’, a cui si arriva passando sotto L’uomo galattico, statue realizzate in carta e stucco con figure mitologiche e spaziali che si incontrano in uno spazio terreno. Cerreta e Gallena, due paesini in cui la vita sembra essersi fermata, a due passi da Seravezza e allo stesso tempo così diversi dal mondo che è lì a due curve, in cui la comunità è un valore assoluto, dove il noi prevale, in cui si raccolgono i soldi per sistemare l’unica asciugatrice che è buona per i mesi invernali, organizzando una merenda improvvisata.

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La nuova palestra per le scuole di Lucca

La ex Cavallerizza Ducale da antico maneggio a moderna struttura al servizio degli studenti del centro storico di Lucca

Luciano Gallo

Da maneggio coperto per le esercitazioni dei giovani studenti del Real Collegio nel 1800 a moderna palestra per le scuole superiori del centro storico di Lucca nei giorni nostri. Alla fine sono passati due secoli di storia, ma la destinazione dell’ex Cavallerizza Ducale — sita nell’omonima via del centro di Lucca, a ridosso della cerchia muraria, che unisce piazza Santa Maria a piazza San Frediano — rimane quella per i giovani lucchesi che qui, dopo due anni di lavori di ristrutturazione curati dalla Provincia di Lucca, potranno esercitarsi nelle discipline sportive in un ambiente che, esternamente, ha mantenuto le sue caratteristiche peculiari trattandosi comunque di un edificio vincolato.

Il recupero dello storico maneggio è stato reso possibile grazie ad un progetto della Provincia di Lucca che, nel 2018, era riuscito a dare gambe ad un precedente accordo con il Demanio Statale che permetteva all’ente di Palazzo Ducale di entrare nella disponibilità dell’immobile in comodato gratuito per poterlo recuperare, sulla scorta di quanto fatto in precedenza dalla provincia con l’ex convento di Sant’Agostino, divenuta sede del Liceo Musicale ‘Passaglia’ di Lucca.

Nel progetto si è inserita fin da subito la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca che ha contribuito all’intervento in prima battuta con 1 milione di euro, poi con successivi 200 mila euro per sostenere i maggiori costi di acquisto dovuti all’aumento dei materiali.

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Se contiamo il finanziamento del Miur di 1 milione di euro e i 400 mila assegnati dalla Regione Toscana il quadro economico dell’opera è di circa 2,6 milioni di euro complessivi.

Oggi quel vecchio rudere abbandonato che fino a qualche tempo fa si trovava accanto all’Ostello di Lucca, tra rovi rampicanti e muri cadenti, non c’è più. Al suo posto un edificio storico completamente rinnovato che sarà utilizzato sia dagli studenti delle scuole superiori del Centro storico, sia dalle società sportive in orario extrascolastico.

I lavori

L’intervento, nel suo complesso (il cantiere si è aperto nel novembre 2020) è stato realizzato in modo da salvaguardare le preesistenze morfologiche che risultano ancora riconoscibili, adeguandole alla conformazione funzionale del nuovo fabbricato.

Il progetto — curato dagli architetti dell’ente di Palazzo Ducale Francesca Lazzari e Fabrizio Mechini — prevedeva la ristrutturazione completa dell’edificio (830 mq) con la realizzazione di una struttura moderna e funzionale: una palestra principale con campo da gioco regolamentare di volley e uno spazio più piccolo, di servizio, dotato di attrezzature; spogliatoi al pian terreno e al piano superiore collegati tramite vano scale e ascensore, piccoli ambienti dedicati a uffici, spogliatoi docenti e infermeria di primo soccorso.

Dopo la rimozione di quel che restava dell’antica copertura e dei vecchi manufatti non più inclusi nel progetto di restauro, la ditta Giacchini Giuseppe srl di Ponte all’Ania (Barga) ha lavorato al consolidamento delle pareti esterne e, soprattutto, alla realizzazione della nuova copertura che ha richiesto diversi mesi di lavori sia per l’imponenza e la conformazione delle travi e della capriate, sia per la posa in opera del nuovo canale di gronda sul tetto ricreato in cotto, nonché delle nuove tegole sempre in

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cotto. In particolare il canale di gronda è stato riprodotto fedelmente sul disegno di quello ideato dall’architetto Lotrenzo Nottolini. Ed anche la volontà della provincia di lasciare le travi e le capriate a vista è un richiamo ai disegni della capriata a tre monaci dell’architetto lucchese. Sulla parte interna delle pareti è stato realizzato un cappotto termico per isolare energeticamente la palestra e ridurre al minimo la dispersione.

Sulle quattro facciate dell’edificio, dove sono stati montati nuovi infissi in ferro, è stato steso l’intonaco a calce lisciato a legno per ricreare un effetto particolare del tipo di quello usato per la facciata di Palazzo Buonvisi, sede del Liceo Artistico Passaglia in via Fillungo.

Internamente la palestra è stata rivestita da una pannellatura acustica anti riverbero in Celenit costituita da materiali di riciclo e naturali come legno, cemento, polvere di marmo ed acqua, definibile come un isolante naturale e sostenibile. Dal punto di vista dell’impiantistica il riscaldamento è a pavimento, mentre la palestra può contare su una ventilazione meccanica controllata per garantire il giusto ricambio d’aria e su un nuovo impianto elettrico. La pavimentazione del campo di gioco è in resina gommata.

L’accesso alla struttura è sul lato nord-est, ossia dalla parte della piccola piazzetta su via della Cavallerizza (in precedenza usata come parcheggio) che consente un ingresso e un’uscita in sicurezza da parte degli utenti.

Il progetto di ristrutturazione funzionale ha avuto il nulla osta dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici Storici Artistici ed Etnoantropologici per le province di Lucca e Massa Carrara, nonché il successivo via libera dal Consiglio comunale di Lucca.

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L’edificio nella storia

L’immobile è stato realizzato tra il 1821 e il 1823 ad uso governativo per il Ministero della Pubblica Istruzione che lo destinò a maneggio per le esercitazioni di equitazione degli studenti del Real Collegio e del Corpo militare dei Paggi. Da un punto di vista storico la struttura si colloca in una fase di transizione fra due governi: il primo costituito da Elisa Bonaparte con suo marito Felice Baciocchi e quello di Maria Luisa Borbone figlia del Re di Spagna che, proprio in questo edificio, intervennero con i loro architetti di corte: Giovanni Lazzarini per i Baciocchi e Lorenzo Nottolini architetto reale dei Borbone.

L’edificio, infatti, fu iniziato dall’arch. Lazzarini, tecnico di fiducia della famiglia Baciocchi e nel 1823 completato dal Nottolini su indicazione di Maria Luisa di Borbone. La realizzazione dell’immobile rappresentava il completamento del più ampio complesso del Real Collegio che dagli inizi del 1800 su volere di Elisa Bonaparte e del marito Felice Baciocchi, si proponeva di diventare un collegio-convitto in Lucca per l’educazione e l’istruzione di giovani paesani e forestieri appartenenti alla classe superiore.

Il Collegio fu presto frequentato da molti studenti stranieri provenienti dal Granducato di Toscana e da altri stati italiani. Dato che gli studenti erano tutti di buona, se non nobile, famiglia si ritenne opportuno dotare il Collegio di un maneggio coperto per permettere di apprendere l’equitazione nei mesi invernali. In seguito, in via provvisoria, la struttura fu utilizzata come centro raccolta profughi e, nel febbraio del 1956, su richiesta del Comune di Lucca, fu concessa in uso agli istituti scolastici cittadini sprovvisti di palestre e utilizzato a tale scopo presumibilmente fino agli anni Settanta.

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Andrea Lanfri

Il sorriso sulla vetta

dell’Everest

Due parole con l’uomo dei record che sogna le vette più alte del mondo, anche grazie al sostegno della Fondazione

Giulia Prete

Doveva essere una mattina come tante altre: la sveglia che suona per andare al lavoro, qualche carezza al cane, la moka di caffè sui fornelli. Eppure dopo quella mattina per Andrea Lanfri, che oggi tutta Italia e parte del mondo conosce per le sue folli imprese, nulla è stato più come prima.

Era il 21 gennaio del 2015. Andrea è stato portato di corsa in ospedale subito dopo un collasso: febbre altissima, brividi di freddo, dolori lancinanti che partivano dalle gambe fino a prendere tutto il corpo. Poi il coma, durato un mese, dopo il quale Andrea ha finalmente potuto sapere cosa gli fosse accaduto: meningite fulminante con sepsi meningococcica. Una bestia improvvisa e aggressiva che, dopo poco, gli ha portato via anche sette dita delle mani e parte delle gambe.

Nulla è stato più come prima, è vero. In qualche assurdo e paradossale modo, però, è stato tutto molto più difficile, sì, ma straordinario. In una situazione drammatica come quella c’è chi si sarebbe dato per vinto e lasciato prendere dallo sconforto, lui no. Quel normalissimo ragazzo con la passione per la montagna, cresciuto nelle campagne e nei boschi di un piccolo paesino del Compitese, è oggi un esempio per tutti noi. In quel letto di ospedale, nonostante il dolore straziante e la paura di non poter fare più le cose che tanto amava, Andrea ha sorpreso tutti, forse anche se stesso: «Non ho più le gambe, ma voglio correre», disse. Era vivo e, proprio per questo, si sentiva fortunato, eternamente grato alla vita che, nonostante tutto, gli aveva dato una seconda possibilità. E Andrea ha voluto ripartire proprio da lì: ha imparato

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ad apprezzare ciò che di lui era rimasto, senza pensare troppo a cosa non aveva più. Ha dovuto imparare nuovamente a cammi nare, a scrivere, persino a mangiare, ma la sua forza e la sua determinazione pochi an ni dopo lo hanno portato sulle vette più fa mose del mondo, sul podio più alto delle competizioni e resterà per sempre nella storia grazie ai suoi record: tra i tanti suc cessi, ben nove medaglie d’oro ai campio nati italiani assoluti, mentre il maggio scor so ha raggiunto addirittura la vetta del Monte Everest a 8849 metri, diventando il primo uomo a salire il tetto del mondo con pluriamputazioni. Sempre in quell’occasio ne, prima di iniziare la salita, Andrea ha registrato anche un Guinness World Re cords, correndo con le lame il miglio più veloce — in soli 9 minuti e 48 secondi — a quota 5.164 metri. Negli anni, Lanfri è sta to anche testimonial di diversi progetti cul turali nelle scuole, nelle fiere di settore, a congressi ed eventi sportivi.

Oggi il suo corpo porta ancora i segni di quella malattia, ma il sorriso non l’ha mai perso. Anzi, spesso ha dato speranza e for za anche agli altri. Un eroe senza maschera e mantello ma con le protesi in titanio e carbonio. Orgoglio lucchese, ma anche na zionale.

Il dolore resta, certo, ma siamo noi a deci dere cosa farne. Andrea da quel giorno lo porta in spalla con sé, sempre più in alto. Una sfida continua con se stesso. Uno schiaffo a ciò che sì, gli ha tolto le gambe, ma che, col tempo, lui ha saputo trasforma re in un bel paio di ali.

Come nasce questa voglia di raggiun gere l’impossibile?

Tutto è nato in quel letto di ospedale. Certo, un pizzico di follia e di voglia di sfida ce l’ho sempre avuta anche prima della ma lattia: sono sempre stato un appassionato di montagna ed ho sempre fatto sport fin da bambino, seppur non a livello agonisti co. Quando nel 2015 è successa quella ‘di

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savventura’ ho sentito la necessità di fare un dispetto al destino che voleva — o che perlomeno ha tentato — fermarmi. Il mio primo pensiero è stato: «Non ho più le gambe, bene, che posso fare adesso?». Io volevo correre. Volevo andare veloce. So che può sembrare un pensiero senza senso, senza ragione né logica, ma ci pensavo di continuo. Volevo tornare a fare tutto ciò che facevo prima e anche di più, anche se in quel momento per me era impossibile. Ho amplificato la mia voglia di sfida all’ennesima potenza. La mia prima grande battaglia è stata tornare alla mia normalità: tornare a casa dopo mesi in ospedale per me è stato sensazionale. Da lì in poi ho puntato sempre più in alto, un tassello per volta, e sono tornato a fare sport con le mie nuove protesi. Il peggior avversario di me stesso non potevo che essere io, e la montagna è quel luogo che mette a dura prova, più di tutti, la propria persona, fisicamente ma soprattutto mentalmente. In alta quota la mente è quella che cede prima e non la puoi allenare bene come fai con le gambe. Andare in montagna per me era una sfida nella sfida, e mi piaceva. Fare alpinismo e arrampicata è già difficile, nel mio caso, con le protesi, ho dovuto imparare di nuovo tutto daccapo e superare anche diversi ostacoli importanti».

Dopo la malattia ti senti profondamente cambiato o sei rimasto l’Andrea di un tempo?

Sono esattamente uguale a prima, almeno dentro. Certo, fisicamente sono molto diverso da allora, ma mentalmente sono ancora l’Andrea che c’era prima di finire in coma. Sognavo tanto di tornare a fare le stesse cose che facevo prima, mi dicevo «Ce la farò». Oggi posso dire che sbagliavo, perché ho fatto quelle cose e molto, molto di più. Però sono lo stesso: la solita passione per la montagna, la voglia di stare all’aria aperta, di vivere la natura. Mai avrei pensato di arrivare sulla cima dell’Everest. Se non fosse successo niente molto probabilmente avrei continuato la mia vita di sempre: qualche arrampicata, una corsetta ogni tanto, ma nulla di più. La malattia, paradossalmente, mi ha fatto vedere più avanti. Da quando non ho le gambe, infatti, penso più in grande: prima andavo a correre solo per allenarmi, la classica ‘corsetta della domenica’. Adesso che ho le protesi sono medaglia d’oro e record ai campionati italiani assoluti.

Tutta Italia ti conosce per le tue imprese, ma da bambino cosa sognavi di diventare?

Da bambino avevo due grandi sogni: il primo diventare un atleta, il secondo diventare un grande musicista. Il primo sogno, nonostante tutto e per vie molto strane, direi di averlo realizzato alla grande. Prima suonavo la chitarra elettrica ma a livello puramente amatoriale. Adesso, non avendo più le dita, per me è molto difficile continuare a suonare. Quando ero in ospedale ho pensato anche a

questo: «Adesso che non posso più suonare la chitarra — pensai — potrei imparare a suonare la batteria». Negli ultimi anni però è tornata prepotente la passione per la montagna, e sinceramente ho riempito le mie giornate solo di sport. Quel sogno l’ho decisamente abbandonato. Ma mai dire mai: ormai nella vita non escludo più niente, ho vissuto emozioni che mai avrei pensato di provare.

L’Everest, medaglie d’oro, record… tra queste qual è stata la tua più grande soddisfazione?

La mia più grande soddisfazione in realtà è stata tornare a Sant’Andrea di Compito a fare le passeggiate con il mio cane. Non scherzo. Sembra incredibile ma è così. Tornare alla mia normalità per me è stata davvero l’impresa più grande. In ospedale avevo paura di non poter fare più nemmeno le cose più banali, che in realtà non lo sono affatto, ma lo capisci solo quando hai paura di perderle. L’Everest indubbiamente è stata un’emozione incredibile, ma la normalità, tornare dagli amici e dalla mia famiglia, è stata la prima cosa che ho davvero ricercato. Il resto, ciò che è venuto dopo, è regalato. Un’altra grande soddisfazione per me è sapere che le persone mi vogliono bene e mi stimano, credo anche di essere stato un esempio per tanti: quando sono tornato a casa dopo l’ospedale mi hanno organizzato una festa a sorpresa, c’era tutto il paese. Mi sono commosso tanto. All’epoca non riuscivo nemmeno a camminare, ma avevo tanti sogni, tanta voglia di fare. Poco dopo ho dato il via ad una raccolta fondi perché volevo continuare a fare sport ma non avevo le protesi, per me erano davvero troppo costose. Una spesa che non potevo permettermi. Ho raggiunto cifre incredibili, il triplo di ciò che avevo chiesto: hanno donato anche gli ospedali in cui ero stato in quei mesi di calvario. Mi hanno aiutato davvero tantissime persone, grazie a loro ho avuto una possibilità. Sono potuto ripartire. Il detto dice «L’hai voluta la bicicletta? Ora pedala». Io volevo le protesi, volevo correre, volevo tornare in montagna, loro me le hanno regalate e arrivare sulle cime più alte del mondo per me è stata una grande emozione anche per questo. Era come se, in qualche modo, avessi ricambiato il gesto che le persone avevano fatto per me. Ce l’avevo fatta.

Hai altri sogni nel cassetto?

Il grandissimo sogno è andato, ovvero l’Everest. È stata davvero un’emozione incredibile: lassù avrei voluto gioire ma non ce la facevo più per la stanchezza. Dentro però correvo, saltavo, urlavo. In programma adesso ho la Seven Summit: ovvero la salita delle sette vette più alte del mondo. Nessuna vetta molto probabilmente sarà emozionante come l’Everest, ma la sfida mi piace. Affrontarle tutte per me sarebbe davvero una grande soddisfazione. Ora che ho appena conquistato le Ande, tappa valida per il continente sud americano, pian piano andrò avanti, sperando di poter fare anche

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tutte le altre cime. Sarei l’unica persona al mondo amputata a completare questa impresa. Paesi diversi, montagne diverse, di certo non mi annoierò. Questa impresa soddisferà anche la mia voglia di esplorare il mondo. Ogni spedizione per me richiede tanta organizzazione, ogni volta che parto pianifico sempre tutto nel minimo dettaglio. Tanta preparazione fisica, la preparazione delle protesi, dei materiali, dei trasferimenti… La parte più faticosa per me non è tanto salire, ma organizzare. La vera impresa infatti è riuscire a partire da casa: ogni volta che arrivo ai piedi della montagna che devo scalare tiro sempre un sospiro di sollievo perché so che da lì in poi è tutta discesa… anche se davanti, in realtà, ho ottomila metri di sola salita.

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Attivare il margine di energia

Ripensare il ruolo della Fondazione per la Coesione Sociale nella programmazione del prossimo triennio

La bussola della coesione

La Fondazione per la Coesione Sociale, fondata nel 2015 quale ente di scopo dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca per le tematiche connesse a marginalità e disabilità, porta nel suo stesso nome il vasto orizzonte della comunità e delle relazioni.

La coesione sociale è infatti stata un faro di orientamento per tutta l’analisi sociologica del Novecento, a partire da Durkheim, che la definiva come quell’insieme di fiducia, cultura e ricchezza economica e sociale che caratterizza una comunità.

Il termine coesione è poi connaturato al farsi stesso dell’Unione Europea, già dalla definizione del Comitato Europeo per la Coesione Sociale istituito nel 1998 dal Consiglio Europeo. Nella visione europea, la coesione sociale è richiamata come «la capacità di una società di assicurare il benessere [welfare] di tutti i suoi membri, riducendo le differenze ed evitando le polarizzazioni. Una società coesa è una comunità di sostegno reciproco di individui liberi che perseguono obiettivi comuni con mezzi democratici» (CDCS 2004). Con la Strategia di Lisbona (2000), la coesione sociale è infatti stata identificata come uno degli obiettivi fondamentali dell’Unione Europea e come uno dei pilastri su cui fondarla.

A partire da questo sfondo semantico, la sfida proposta alla Fondazione per la Coesione Sociale appare in tutta la sua pregnanza e il suo fascino: non si tratta solo di sostenere progetti di assistenza o servizi per soggetti vulnerabili o in situazioni di disagio.

Si tratta piuttosto di ripensare la città, la comunità che la abita prendendo come pietre angolari proprio quelle cittadinanze che rischiano di essere «diminuite, difettive», come le definiva Michelucci: «Non saprei vedere altra strada se non quella di indicare in coloro che sono considerati gli esclusi della città presente i protagonisti del suo rinnovamento».

A partire da questa prospettiva, il principio della ‘coesione sociale’ diventa una bussola utile a orientare la propria azione per supportare lo sviluppo di uno welfare di comunità, collaborativo, capace di generare valore aggiunto in termini di qualità e di pregnanza dei processi attivati e utile per ricreare legame sociale sui nostri territori.

Ripensare la contemporaneità

Questa prospettiva appare ancor più preziosa dopo la cesura epocale, la «catastrofe vitale» rappresentata dalla pandemia di Covid-19 e le conseguenze in termini di disuguaglianza e frammentazione che essa ha portato.

Lo scenario sociale nel nostro Paese è allarmante, con oltre 5 milioni di persone in povertà assoluta, di cui 1,4 milioni bambini: i dati peggiori da quando si è cominciato a misurare la povertà e che faticano a trovare un contenimento nell’attuale scenario di perdurante gestione della pandemia e di contrazione economica

dovuta al drammatico conflitto ucraino alle porte e alla crisi energetica in corso.

Nel contesto delle fragilità, poi, le persone con disabilità hanno spesso subito in misura maggiore gli effetti sia della pandemia (in termini di contagi e mortalità) che delle misure di distanziamento sociali adottate per il suo contenimento: si pensi, ad esempio, all’impatto prodotto sulle persone con disabilità e sui loro caregivers dalle iniziali chiusure dei centri diurni e alla sospensione quasi totale di servizi essenziali rivolti all’inclusione (ad esempio l’educativa scolastica) senza aver provveduto al necessario e tempestivo accompagnamento alle famiglie e alla riorganizzazione dei servizi, ove possibile, su base domiciliare.

Il capitale di fiducia e di relazione tra cittadini ed istituzioni si è a poco a poco eroso e si fa fatica oggi a ricostruirlo, benché tale fatica possa essere letta anche come una opportunità: «la ripartenza, il riavviarsi del sistema che si è fermato, non è sufficiente, e non è nemmeno possibile. Né auspicabile. Il mondo sociale non è una macchina. Nella macchina il funzionamento non altera la configurazione di partenza. Nella vita sociale, invece, non ci si limita a riprodurre il già dato. Ci sono scarti, gesti inediti che danno avvio a cambiamenti. Quella della ‘macchina che deve ripartire’ è una cattiva narrazione, che occulta le possibilità, inerenti a ogni crisi, di un cambiamento ‘trasduttivo’, di una riformulazione vitale degli elementi di criticità. La crisi ha radicalizzato ciò che già non funzionava, e spazzando via inerzie che pensavamo inamovibili ci apre uno spazio di libertà: far esistere, a partire da ciò che siamo, che abbiamo imparato, che già esisteva come potenzialità, qualcosa che ancora non c’è».

Alla luce di questa consapevolezza e della irrinunciabile necessità di rivedere la propria missione misurandosi sullo scenario attuale, la Fondazione per la Coesione Sociale ha impostato la propria programmazione per il prossimo triennio, provando ad interrogarsi radicalmente su che cosa possa significare oggi, in questo contesto di pesanti difficoltà ed insieme di grandi sfide per il nostro sistema

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sociale, essere ‘un soggetto di scopo’ di una Fondazione bancaria che «persegue esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico del territorio di propria competenza» e come poter mettere a terra le idealità che ne guidano le azioni, non insistendo solo sulla funzione erogativa. Nel qui e nell’ora del nostro territorio, misurati dalla prospettiva della costruzione nuova di una comunità solidale e resiliente dopo il trauma pandemico, come immaginare la propria azione? Come possiamo ambire ad essere ‘contemporanei’, al modo in cui Nietzsche definiva la contemporaneità: «appartiene veramente al suo tempo, è veramente contemporaneo colui che non coincide perfettamente con esso né si adegua alle sue pretese ed è perciò, in questo senso, inattuale; ma, proprio per questo, proprio attraverso questo scarto e questo anacronismo, egli è capace più degli altri di percepire e afferrare il suo tempo»?

Attivatori di comunità

Nella riflessione che in questi mesi ci ha impegnato, una soluzione possibile ci è parsa quella di definirci e operare sempre di più come possibili «attivatori di comunità».

La metafora dell’attivatore in chimica ci risulta particolarmente utile per spiegare il percorso che stiamo intraprendendo. Nel linguaggio tecnico scientifico, l’attivatore è infatti la sostanza in grado di innescare una reazione oppure di rendere più attivo o rigenerare il catalizzatore di una reazione.

La visione che orienta l’azione di Fondazione per la Coesione Sociale — e che sta nel suo stesso nome — è quella di una comunità coesa e solidale, dove la fragilità diventa una chiave di sviluppo e una strategia per guardare al benessere di tutti e di ciascuno. Anche in un contesto ricco di solidarietà e di passione civile come quello della provincia lucchese è sempre più necessario promuovere azioni di rete, che creino alleanze forti sul territorio, facilitino lo scambio delle esperienze, la messa in comune delle risorse e la condivisione degli obiettivi.

L’ampiezza delle sfide e la profondità dei problemi da un lato e il rinnovato panorama regolatorio e l’inedita disponibilità di risorse pubbliche per la strutturazione dei servizi e l’innovazione del sistema di welfare rese disponibili dal Pnrr e dalle altre misure europee ed anticrisi, dall’altro, richiede al territorio una supplementare capacità di organizzazione e di lavoro di squadra. In questo senso, la Fondazione per la Coesione Sociale, nel continuo dialogo con la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e proprio in ragione del suo status di soggetto strumentale rispetto agli indirizzi e agli obiettivi di quest’ultima, può giocare un ruolo sussidiario all’impegno delle molte realtà di terzo settore e alle istituzioni locali, in una visione di crescita di reti, sviluppo di comunità e innovazione sociale, a partire dalla traduzione di alcuni principi fondamentali:

• la coesione sociale quale chiave per superare disuguaglianze ed esclusione;

• il diritto all’autodeterminazione di ciascuno, a partire dai più fragili come finalità ultima del lavoro sociale;

• la comunità nella sua eterogeneità e con tutte le sue componenti (istituzioni, enti terzo settore, civismo, soggetti produttivi) quale player irrinunciabile del lavoro sociale;

• il lavoro di rete quale cifra costante di impegno;

• la co-progettazione quale strumento principe dell’organizzazione delle politiche sociali sul territorio;

• la partecipazione e la piena cittadinanza di tutte le persone alla vita della comunità, attraverso la garanzia delle pari opportunità di accesso.

Il 2023 sarà dunque per la Fondazione per la Coesione Sociale un ‘anno ponte’, utile a completare alcuni percorsi, sperimentare nuove risposte e consolidare la propria organizzazione per meglio tradurre in prassi i propri obiettivi, investendo sulla ricerca e la lettura del territorio, grazie al Centro di Ricerca Maria Eletta Martini, supportando azioni di capacity building e investendo su percorsi volti all’abitare sociale, l’inclusione e l’occupabilità, il welfare culturale e la socialità, la cura di chi si prende cura.

Attitudini da allenare: tessere cura, allenare lo sguardo, osare il nuovo L’estate del 2022, è diventata dunque un’ottima occasione per supportare piccole azioni che costituissero anche per noi un laboratorio di pratiche, micro-sperimentazioni per capire come agire e quanto potesse essere efficace la nostra ipotesi di lavoro. Raccontiamo di seguito brevemente 3 percorsi scaturiti da bisogni e assunti diversi, che possono costituire un’utile rassegna di altrettante possibili modalità di impegno per il futuro e che possiamo rappresentare con tre diverse attitudini: l’attitudine del tessere, quella del guardare e quella dell’immaginare.

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Tessere cura

Nella Valle del Serchio, è stato sostenuto l’ampliamento di laboratori artigianali di ceramica a cura dell’associazione Filo di Arianna rivolti a giovani adulti con autismo.

L’impegno della Fondazione per la Coesione Sociale ha allargato l’offerta di attività garantita tramite convenzione dall’azienda Usl Toscana Nord Ovest Zona Distretto Valle del Serchio, recependo i bisogni emersi dall’analisi del territorio: maggior necessità di accompagnamento da parte delle persone che usufruiscono dei laboratori, mutate modalità organizzative in seguito al Covid con riduzione del numero di ragazzi che è possibile far lavorare contemporaneamente, aumento dei costi energetici.

In questo caso, la pronta risposta ha garantito la continuità dell’esperienza e ha provveduto ad assicurare l’«efficacia del dettaglio», la cura delle piccole cose, dei minimi dispositivi progettuali, all’apparenza trascurabili, ma indispensabili per assicurare il buon esito dell’intero impianto operativo. È apparso evidente come un piccolo ‘di più’ di attenzione da parte delle Fondazione, nell’ambito di una cornice di lavoro estremamente solida, avrebbe tessuto piccole reti di protezione, sortendo effetti ben più grandi dell’impegno iniziale in termini di efficacia e di ricaduta sul territorio.

Allenare lo sguardo

Nella Piana di Lucca, si è partecipato al tavolo di co-progettazione per il progetto So.L.E — Sosteniamo L’Estate, riferito alla gestione di attività estive per il 2022 rivolte a studenti in situazione di grave disabilità (tra i 3 e i 23 anni) residenti nell’ambito territoriale della Piana di Lucca, costituendo una rete di risposte e/o offerte per giovani in situazione di disabilità certificata.

Il progetto So.L.E è il frutto di una co-progettazione che ha visto impegnati attorno al tema del tempo estivo per i soggetti con disabilità grave 22 soggetti: 7 comuni, 5 associazioni sportive: 3 associazioni di promozione sociale, 3 società cooperative sociali, 2 associazioni di volontariato, 2 fondazioni onlus.

Le attività proposte sono state distinte in 3 macro-categorie: attività ludico ricreative e riabilitative, interventi individualizzati e domiciliari, partecipazione in gruppo ad uscite sul catamarano Elianto.

Un’ulteriore possibilità per le famiglie che non ritenessero la proposta del progetto So.L.E idonea alle proprie esigenze si è concretizzata tramite l’erogazione di un voucher per l’assistenza. Hanno partecipato al progetto So.L.E 156 ragazzi e sono stati erogati 70 voucher.

La Fondazione per la Coesione Sociale ha curato, tramite il Centro Maria Eletta Martini una ricerca volta alla lettura partecipata dell’esperienza, con l’intento di descrivere e monitorare l’esperienza,

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indagando il punto di vista sia delle persone e delle famiglie destinatarie dell’iniziativa sia degli enti promotori del progetto, valutare l’impatto del progetto sui diversi contesti familiare e territoriale, raccogliere indicazioni su punti di forza e criticità del Progetto da molteplici prospettive, in un’ottica di efficientamento di risorse e proposte di azione, rispetto ad una eventuale nuova co-progettazione futura nel medesimo ambito.

In questo caso, il focus dell’azione è stato il tema della lettura e della possibile valutazione degli interventi proposti, per comprenderne meglio la portata e supportare un processo efficace di programmazione territoriale.

Si è trattato di sperimentare la ricchezza di offrire uno sguardo terzo sul complesso meccanismo della co-progettazione, per aumentare le consapevolezze degli attori, individuare le fragilità e i limiti delle ipotesi di azione e dissodare così il terreno per una corroborazione dell’esperienza nel prossimo futuro.

Osare il nuovo

In Versilia, si è sostenuta l’attività della Fondazione Mare Oltre tramite il catamarano accessibile Elianto. L’imbarcazione, progettata per accogliere persone con diverse disabilità grazie all’importante contributo di Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, offre uscite in mare aperto, l’osservazione del tratto di costa di fronte alla Versilia e del branco di delfini e cetacei che lo abitano e la possibilità di immergersi nel mare.

Il contributo della Fondazione per la Coesione Sociale ha consentito a circa 200 persone con disabilità di fare esperienza della bellezza, immersi nella natura in massima sicurezza.

Il supporto che il progetto Elianto ha da subito trovato nella Fondazione dice di una terza attitudine da sviluppare per interpretare la contemporaneità: saper immaginare il nuovo, credere alle possibilità, appassionarsi ai tentativi di bello.

Anche questa terza ‘postura’ ci appare oggi preziosissima, in un tempo in cui sempre più spesso sembra mancare l’immaginazione del futuro e lo slancio dell’innovazione sembra un lusso che non possiamo più permetterci.

Proprio nella creatività dell’affrontare un inedito, invece, pensiamo che si possa ripartire per tracciare quella strada che oggi non c’è, ma che «porta con sé impeccabili, innumerevoli domani».

Ridefinire ruoli, immaginare comunità

La ridefinizione del proprio ruolo che la Fondazione per la Coesione Sociale in continuo dialogo con la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca sta affrontando si colloca nell’orizzonte nazionale di riflessione circa il ruolo delle Fondazioni all’interno dei territori per la costruzione del nuovo welfare di comunità, oltre quello tradizionale, che guarda alla pluralità degli attori in gioco,

alla sostenibilità, l’equità, l’accessibilità e la promozione di comportamenti responsabili e di cittadinanza attiva.

Attivare nuove modalità di lavoro guarda all’obiettivo complessivo di contribuire a costruire nuove modalità di ‘tradurre’ l’idea di comunità, di concretizzarla in alternative nuove di solidarietà diffusa e di risposta sociale. Un modo di prendersi cura, di esercitare reciprocità che guarda allo sviluppo del territorio, crede all’inclusione come chiave di espressione dei talenti delle città e organizza processi fidandosi del potenziale dei territori.

Si tratta, in ultima analisi, di fidarsi fattivamente e di affidarsi senza retorica alla capacità di resistenza che le città esprimono e di contribuire ad organizzarla, svelare il «margine di energia» che percorre le nostre strade e le nostre piazze, che fonda le comunità, come ricordava l’urbanista Giancarlo Paba: «Credo nella capacità di trasformazione del territorio e della società locale, ho fiducia nel ‘margine di energia’ della comunità, come lo definiva Mumford, nel ruolo non adattivo, ma ‘insurgent’ delle pratiche di vita».

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‘Io sono l’altro’

Esiti importanti per il bando della Fondazione a contrasto di tutte le forme di discriminazioni

Io sono l’altro sono quello che spaventa sono quello che ti dorme nella stanza accanto. Io sono l’altro puoi trovarmi nello specchio la tua immagine riflessa, il contrario di te stesso.

Io sono l’altro sono l’ombra del tuo corpo sono l’ombra del tuo mondo quello che fa il lavoro sporco al tuo posto […].

Io sono il velo che copre il viso delle donne ogni scelta o posizione che non si comprende.

Io sono l’altro quello che il tuo stesso mare lo vede dalla riva opposta […].

Quelli che vedi sono solo i miei vestiti adesso vacci a fare un giro e poi mi dici.

Io sono l’altro, non è solamente il titolo della celebre canzone vincitrice del Premio Amnesty International 2020, ma anche quello del Bando sperimentale che Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca ha promosso per il 2022 nel tentativo di dare sostegno a un territorio, quello lucchese, che dimostra nel suo lavoro quotidiano un’attenzione viva e vibrante alla tematica del contrasto alle discriminazioni.

Un bando inedito, questo, nato dalle evidenze degli impatti che il Covid-19 ha avuto, non solo dal punto di vista sanitario, ma anche economico e sociale.

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(Niccolò Fabi, Io sono l’altro da Tradizione e tradimento, 2019)

Nel corso degli ultimi anni, infatti, la pandemia — che si è sviluppata a partire dalla primavera del 2020 — ha delineato una situazione critica ed emergenziale, impattando sulla vita e i diritti delle persone, soprattutto quelle più fragili, sia in Italia che nel resto d’Europa. La diffusione del virus e le ripercussioni dei lockdown sul piano economico hanno infatti esacerbato discriminazione e marginalizzazione (Human Rights Watch, World Report 2021, New York). L’intolleranza, la discriminazione e la violenza legate a motivi etnico-razziali o alle convinzioni personali e religiose, all’età, alla disabilità, all’orientamento sessuale e all’identità di genere sono infatti diffuse anche nel nostro Paese, e la pandemia ha fornito un pretesto per attaccare gruppi sociali che già subiscono discriminazioni, discorsi e crimini motivati dall’odio.

Questi, quindi, i motivi che hanno mosso Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca nel mettere in campo uno strumento di sostegno alle realtà pubbliche e private che promuovono, sul territorio della provincia di Lucca, azioni positive finalizzate a contrastare le discriminazioni, con particolare riferimento alle discriminazioni multiple, attraverso la realizzazione di progetti in ambito sociale, artistico/culturale e sportivo.

200.000 euro è stata la dotazione del bando che ha finanziato 30 progetti volti alla costruzione di un territorio aperto e accogliente, abitato da relazioni sociali forti e capace di gestire le diversità, rendendole fonte di arricchimento reciproco e non fattore di conflitto.

Tra questi, il progetto di calcio sociale ‘Dynamo Calafata’, promosso dalla cooperativa sociale Agricola Calafata (Lucca) e volto a smontare l’immaginario tipico percepito del calcio e riportarlo ad essere invece gioco e veicolo di divertimento, unione sociale e mitigazione dei conflitti fra giovani di etnie e culture differenti; il progetto ‘C’entra — Il teatro per la valorizzazione delle differenze’ della cooperativa sociale CREA (Viareggio), che intende promuovere laboratori di natura espressiva, nella zona della Versilia, con la finalità di sensibilizzare i giovani, e la comunità tutta, contro le discriminazioni, in particolare nei confronti delle persone disabili; e il progetto ‘Costruire e curare il benessere nelle relazioni’ di Non ti scordar di te APS (Gallicano), un percorso laboratoriale che nasce dall’esigenza di educare i giovani, fin dall’età adolescenziale, alle tematiche delle differenze e degli stereotipi di genere. In particolare, infatti, attraverso una linea specifica di intervento, con questo nuovo bando la Fondazione ha voluto sostenere iniziative integrate volte a favorire il riconoscimento e l’emersione dei

fenomeni di discriminazione e violenza di genere, prevenendone eventualmente l’insorgere prima che essi assumano le forme più pericolose.

Difatti, come registrato dalla Regione Toscana e dall’Osservatorio Sociale Regionale (Regione Toscana e Osservatorio Sociale Regionale (2021), Tredicesimo Rapporto sulla violenza di genere in Toscana. Un’analisi dei dati dei Centri e delle reti antiviolenza in Toscana — Anno 2021, Firenze), se la pandemia e la crisi economica a essa collegata hanno avuto un forte impatto su numerose categorie di soggetti, tra questi, un prezzo particolarmente alto è stato pagato dalle donne e, ancor di più, da quelle che vivono in situazioni di violenza. In Italia, il fenomeno della violenza contro le donne, già ampio, diffuso e sommerso, è diventato ancora più drammaticamente attuale a causa della pandemia, come confermato dall’incremento delle richieste di aiuto ai Centri Anti Violenza (CAV). La violenza di genere non rappresenta solo un rilevante problema sociale e culturale radicato nel nostro Paese, ma una violazione dei diritti umani, che mina l’uguaglianza e si pone come ostacolo allo sviluppo di una società democratica. Essa si esprime con modalità e forme diverse, investendo anche la dimensione economica, psicologica e sociale, intaccando l’identità e, spesso, l’esistenza stessa delle donne, che solo raramente denunciano le violenze subite e in molti casi non riescono nemmeno a raccontarle. Proprio in tale ottica, il bando ha quindi sostenuto iniziative come quella promossa dal Centro Antiviolenza Luna APS (Lucca) attraverso il progetto ‘C.A.R.E. Costruire Autonomia Resilienza Empowerment’, che mira a potenziare e attivare percorsi di accompagnamento e sostegno all’autodeterminazione, all’autonomia economica e abitativa di donne vittime di violenza e percorsi di sostegno per i minori, vittime di violenza assistita e non; o come ‘DAR — Dignità, Accoglienza, Ripresa’, l’iniziativa del Comune di Lucca che prevede l’attivazione di un cohousing per 4 donne vittime di violenza, con o senza figli minori, in carico ai servizi sociali, per riattivare percorsi di autonomia socio-economica e abitativa.

Un primissimo tentativo in definitiva, quello che la Fondazione ha fatto col Bando ‘Io sono l’altro’, di accendere — da una parte — un riflettore sulla tematica del contrasto alle discriminazioni; dall’altra di contribuire a generare comunità accoglienti, in cui ogni persona possa vivere con equi diritti e opportunità. Perché il nostro territorio sia veramente territorio di tutti, anche di chi «il tuo stesso mare lo vede dalla riva opposta».

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Tempi di guerra. Il sostegno al popolo ucraino

Numerosi i progetti sostenuti dalla Fondazione

Cassa di Risparmio di Lucca tramite associazioni a sostegno delle popolazioni colpite dal conflitto

«Da soli possiamo fare poco. Insieme possiamo fare molto». Questa frase della scrittrice, attivista e insegnante statunitense Helen Keller si adatta perfettamente ai progetti che sono stati realizzati grazie al finanziamento della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca da alcune organizzazioni del territorio lucchese in favore della popolazione ucraina così gravemente colpita dal conflitto in atto.

La Fondazione, infatti, ha aderito a un’iniziativa di sistema promossa da ACRI (Associazione delle Fondazioni di origine bancaria e delle Casse di Risparmio) con un contributo di circa 78 mila euro per i primi interventi di emergenza umanitaria, sanitaria e sociale. Ha inoltre raccolto le varie proposte ideate dagli enti del territorio per contrastare l’emergenza ucraina e le ha finanziate rendendo così possibile la loro realizzazione.

Gli enti che hanno ricevuto il finanziamento e che hanno potuto così concretizzare i loro progetti sono: la Caritas Diocesana di Lucca, la Croce Verde di Lucca Pubblica Assistenza ODV, la Scuola IMT Alti Studi di Lucca e infine la Fondazione Festival Pucciniano.

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Barbara

Partiamo dalla Caritas Diocesana, che è riuscita a ospitare fin dal primo mese di crisi circa 220 persone nelle case e negli appartamenti messi a disposizioni da privati, enti e comunità che si sono mobilitati per accorrere in aiuto di questa popolazione, in particolare delle donne e dei bambini.

Il direttore della Caritas, don Simone Giuli ha ricordato che con il progetto ‘Comunità è la nostra risposta: accoglienza profughi da Ucraina’ la Caritas Diocesana di Lucca è riuscita non solo ad accogliere i profughi ucraini ma anche a far sì che potessero integrarsi nella comunità. Ha aggiunto poi: «Questa proposta ha trovato un’importante e generalizzata solidarietà da parte dei cittadini lucchesi che hanno supportato l’impegnativo lavoro di accompagnamento dei profughi ucraini con offerte, raccolte di beni e iniziative di sensibilizzazione. È stato anche dato un contributo destinato ad attività di socializzazione e integrazione dei bambini, alla mediazione linguistica per l’inserimento scolastico dei minori e al supporto per la risposta ai bisogni primari delle persone accolte presso la rete informale dei congiunti e dei volontari». Per meglio comprendere com’è nato il progetto bisogna fare un passo indietro a quando, subito dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’Arcidiocesi di Lucca attraverso la Caritas ha organizzato un’accoglienza di tipo emergenziale per i profughi in arrivo sul nostro territorio. Tutto è cominciato da un appello dell’arcivescovo Mons. Paolo Giulietti in occasione della veglia di preghiera per la pace tenutasi nella cattedrale di San Martino il 28 febbraio, durante la quale ha dichiarato che anche la diocesi avrebbe messo a disposizione diversi spazi per l’accoglienza: dare un tetto a queste persone in fuga dalla guerra è stato chiaramente solo il primo passo.

Fin da subito, infatti, sono emerse molteplici necessità urgenti, come la regolarizzazione delle persone accolte, la verifica del loro stato vaccinale e il sostegno economico per i generi alimentari e di prima necessità per coloro che arrivavano dopo essere fuggiti dal loro paese con poco o nulla in tasca. Proprio per l’aspetto prettamente economico, un ruolo essenziale è stato quello svolto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca. La Fondazione ha permesso in concreto l’attività di operatori e volontari, in particolare sostenendo l’acquisto di generi alimentari e di prima necessità, assicurando così ai profughi ucraini un’accoglienza più completa e dignitosa. Questo ha permesso di dare tempo alle istituzioni di organizzarsi: inizialmente infatti, mentre questa forma di accoglienza emergenziale e ‘informale’ ha risposto ai bisogni dei tantissimi profughi arrivati nelle prime settimane, la Prefettura ha potuto potenziare la rete dell’accoglienza istituzionale per iniziare

a offrire in un secondo tempo una sistemazione nelle strutture della rete dei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) o del SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione).

Anche la Croce Verde di Lucca, appena cominciato il conflitto in Ucraina si è subito attivata come ha affermato il presidente Daniele Massimo Borella: «La nostra associazione è sempre presente laddove c’è bisogno: con questo spirito di solidarietà, che da quasi 130 anni anima la nostra Associazione, ci siamo impegnati anche a favore della popolazione ucraina. A partire dal mese di febbraio 2022, abbiamo operato su più fronti. Tra le varie iniziative c’è stata quella di inviare sei tir carichi di generi di prima necessità nella zona del conflitto ma anche quella di creare un ambulatorio medico gratuito per i rifugiati».

Ha spiegato inoltre: «Grazie ai viaggi in Ucraina per portare il materiale raccolto qui a Lucca siamo riusciti a creare un legame con la popolazione del luogo che ci ha richiesto in particolare un certo numero di brandine visto che l’emigrazione interna di profughi verso i più sicuri confini con l’Unione Europea aveva sovraccaricato di persone i piccoli villaggi in prossimità delle frontiere con la Romania e l’Ucraina. Questo aveva quindi portato all’individuazione di alloggi di fortuna all’interno di scuole, magazzini, chiese che però non avevano un numero di letti a sufficienza per tutti. Tutte le attività svolte hanno richiesto un grande impegno finanziario e la loro attuazione è stata resa possibile grazie alla generosità della cittadinanza lucchese attraverso una raccolta fondi e il sostegno ricevuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, che ha contribuito appunto all’acquisto di 30 brandine».

E il progetto della scuola IMT Alti Studi di Lucca?

Nel corso delle sedute degli Organi della Scuola IMT Alti Studi di Lucca dell’aprile 2022, è stata deliberata la proposta per l’accoglienza di ricercatrici/ricercatori e studentesse/studenti in fuga dall’Ucraina a seguito della rapida e tragica escalation della crisi ucraina all’indomani dell’invasione russa. Proprio con questo spirito, la Scuola IMT ha voluto lanciare un forte segnale di solidarietà, manifestando, attraverso diversi canali, la propria disponibilità ad accogliere studiose e studiosi costretti ad abbandonare i territori interessati dal conflitto. La Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca ha accolto la proposta con entusiasmo, mettendo a disposizione della Scuola IMT risorse per la realizzazione del progetto. Nell’ambito di tale proposta di accoglienza, la Scuola IMT sta infatti ospitando, a partire dal 7 settembre 2022, la professoressa Prokopenko, un’insegnante ucraina con la sua famiglia. La Scuola

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è stata contattata attraverso il portale ScienceforUkraine che ha come scopo quello di mettere in contatto gli atenei e i centri di ricerca di tutta Europa che offrono ospitalità ai profughi con le richieste di aiuto provenienti da studiose e studiosi in fuga dall’Ucraina.

Come infatti ha sottolineato Rocco De Nicola, rettore della Scuola IMT Alti Studi di Lucca: «La Scuola IMT ha da sempre supportato la difesa dei diritti umani, la libertà individuale e quella di espressione, questo è ciò in cui crediamo fermamente come uomini e donne, prima ancora che accademici e studiosi. Inoltre, in quanto comunità di persone che fanno parte di un’istituzione universitaria, in nome della difesa e della promozione del principio della libertà accademica, riteniamo che sia un dovere morale dare concreto sostegno e protezione a tutti quegli studenti e ricercatori in pericolo di vita o il cui lavoro di insegnamento o ricerca sia compromesso». Ha poi continuato: «Proprio per questo motivo siamo pronti ad aprire le porte a tutti quegli studiosi che siano in stato di grave necessità, proprio come nel caso della professoressa Valeriia Prokopenko. L’adesione della Scuola IMT a Scholar At Risk (SAR), la rete internazionale fondata nel 1999 all’Università di Chicago, con sede odierna presso la New York University, di cui fanno parte altre 450 università in 40 paesi e la risposta all’appello della ministra dell’Università e della ricerca Maria Cristina Messa a ospitare docenti, ricercatori e studenti ucraini, si inserisce proprio in questa sensibilità della Scuola IMT per tutte quelle situa-

zioni in cui la dignità e la libertà, sia umana che di parola, sono compromesse».

La Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca ha deliberato un contributo a favore della Fondazione Festival Pucciniano per una rappresentazione straordinaria della Bohème di una produzione del Teatro di Leopoli in scena al Festival Puccini di Torre del Lago. Un contributo volto a sostenere la ripresa delle attività artistiche e culturali, grazie alla musica, vista come veicolo di pace e solidarietà e un modo per offrire un sostegno agli artisti di un paese in guerra. Si è trattato anche di un omaggio al grande soprano ucraino Solomija Krusceniski, che ha vissuto più di 30 anni a Viareggio, nell’anniversario dei 150 anni dalla sua nascita, evento celebrato anche dall’Unesco il 23 agosto nel gran teatro all’aperto di Torre del Lago. «Per questo evento sono stati accolti a Torre del Lago 140 tra tecnici e artisti provenienti dalla cittadina ucraina di Leopoli, — ha evidenziato Maria Laura Simonetti, presidente della Fondazione Festival Pucciniano — l’iniziativa ha avuto il sostegno della Direzione per la diplomazia culturale, del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Abbiamo creduto sin dal principio che organizzare un concerto del genere potesse essere un modo per far sentire concretamente la nostra vicinanza agli artisti ucraini ed è con questa convinzione e con questo obiettivo che la Fondazione Festival Pucciniano di Torre del Lago ha accolto ‘fuori programma’ la serata speciale del 23 agosto». La serata, che ha visto anche la partecipazione dell’Ambasciata d’Italia a Kiev e dell’Istituto italiano di cultura, era disponibile in streaming e condivisa con il mondo intero; tutto reso possibile anche grazie e soprattutto al sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca.

Il direttore generale e direttore artistico del teatro di Leopoli Vasyl Vovkun ha dichiarato: «La bohème che abbiamo avuto l’opportunità di presentare a Torre del Lago è stata per noi una grande dimostrazione di solidarietà e sostegno durante il difficile momento di un conflitto che stiamo combattendo per conquistare la nostra indipendenza e preservare la nostra identità; un’iniziativa che è stata anche ulteriore testimonianza dello speciale legame culturale tra i nostri Paesi».

In segno di gratitudine Vovkun ha poi deciso di invitare il Maestro Alberto Veronesi, direttore musicale del Festival Puccini, il 23 settembre a Leopoli, nel Teatro nazionale della città ucraina, e di fargli dirigere l’orchestra, il coro e i solisti durante il grande Concerto di Gala per celebrare i 150 anni dalla nascita di Solomija Krusceniski.

93 TEMPI DI GUERRA. IL SOSTEGNO AL POPOLO UCRAINO
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1. in fuga dai loro paesi: la dottoressa afgana masuma nazari e la professoressa ucraina Valeriia Prokopenko, sono oggi a s curo tra e mura de campus imT d San Francesco. Qui nella foto col presidente della Fondazione CRL marcello Bertocchini e i D rettore imT Rocco de nicola

SIPARIO Stagioni lucchesi tra passato e futuro

L’estate 2022 ha visto la provincia di Lucca animarsi grazie alla bella proposta teatrale che ha attraversato i suoi confini. A partire dalla città natale di Giacomo Puccini che dall’inizio di luglio a settembre inoltrato si è resa palcoscenico ideale di molte iniziative.

Prima fra tutte la quarta edizione di ‘Real Collegio Estate’ nel chiostro di Santa Caterina a Lucca dove talenti emergenti ed associazioni ben consolidate hanno occupato, con ben quaranta eventi, il calendario cittadino con lo scopo di avvicinare un pubblico sempre più vasto, con un occhio di riguardo ai giovani.

Coinvolte nella kermesse molte delle realtà già affermate ed entrate di diritto nell’immaginario degli spettatori: dal festival di musica classica ‘Virtuoso & Belcanto’ del maestro Riccardo Cecchetti, al ‘Festival di musica da camera’ dell’Associazione scuola di musica Sinfonia diretta da Massimo Salotti. ‘Lucca Jazz Donna’ che ha debuttato l’8 luglio l’Opening Act con Ginevra Guerrini e Anastasia Cherkasova rispettivamente voce e pianoforte.

Spazio anche alla musica italiana con cinque date del ‘Real Collegio Estate’, la prima delle quali ha visto esibirsi la ‘Lym Academy’ con Sogno di una notte di mezza estate – melodie all’ombra del nostro campanile, spettacolo questo, promosso dall’associazione Don Franco Baroni.

Sono stati invece ben quattro gli appuntamenti con il teatro.

Alice attraverso lo specchio in cartellone nell’ambito di ‘Lucca Teatro Festival – Che cosa sono le nuvole?’ che ha chiuso il mese di luglio con lo spettacolo Favole al telefono.

Il teatro ha poi incontrato la storia nelle tre serate agostane dal 22 al 24, organizzate dall’Associazione Napoleone ed Elisa dedicate al mito di Napoleone Bonaparte con L’ultimo amore spettacolo che ha raccontato l’amore tra Paolina Bonaparte e Giovanni Pacini. Quattro inglesi in visita a Napoleone

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all’Isola d’Elba una conversazione con lo storico Peter Hicks concludendo con la proiezione del film Kolberg, la cittadella degli eroi

Provando ad uscire idealmente dalle bellissime mura cittadine pur rimanendovi è doveroso soffermarsi sulle celebrazioni per l’anniversario della morte di Alfredo Catalani celebre compositore lucchese che è stato omaggiato dalla Filarmonica Alfredo Catalani di Porcari che ha unito le forze con il Museo Catalani dando vita ad un’emozionante serata al Real Collegio. Se invece provassimo ad uscire veramente da Lucca ripercorrendo l’estate appena trascorsa e tutte le belle iniziative che l’hanno animata, e ci spostassimo lungo la Mediavalle del Serchio, è doveroso nominare ‘Il Serchio delle Muse’ iniziativa itinerante attraverso i più bei borghi della Media Valle, volta alla divulgazione dell’opera lirica e alla valorizzazione turistica e culturale del territorio.

Anche Coreglia Antelminelli quest’anno ha saputo proporre un ricco ventaglio di eventi culturali grazie al supporto della Fondazione Toscana Spettacolo in collaborazione con il comune di Coreglia e la Commissione Pari Opportunità. Tanti gli spettacoli e molti gli ospiti illustri: da Enzo Iacchetti a Paolo Ruffini, a Stefano Santomauro ad Elisabetta Salvatori. Anche le locations hanno giocato un ruolo determinante nella realizzazione di questa neonata manifestazione: dalla Limonaia del Forte, al Teatro Bambi che ha visto il ritorno sul palcoscenico della compagnia I mercanti d’arte. Ultimo ma non ultimo il Museo della Figurina di Gesso e dell’Emigrazione in cui si è esibito il Quartetto Dulce in Corde.

Dal 25 giugno al 25 luglio musica jazz e musica classica hanno dato vita ad un interessante mix in occasione della ‘Academy of Music Festival Italia’ a Castelnuovo di Garfagnana che ha utilizzato il linguaggio musicale per reinterpretare il rapporto tra città e campagna. Questo festival ha coin-

95 SIPARIO. STAGIONI LUCCHESI TRA PASSATO E FUTURO
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1. Lucca Teatro Fest va – Che cosa sono le nuvole?, Alice attraverso lo specchio

2. associazione napoleone ed elisa, Tre serate napoleoniche

3. academy of music Festival ita ia

4. Claud o B sio, La mia vita raccontata male

5. nino Formicola e max Pisu, La cena dei cretini

6. enzo acchetti e V ttoria Belvedere, Bloccati dalla neve

volto altri comuni quali Careggine, Cascio, Minucciano, Pieve Fosciana, Rontano e Rocca di Borgo a Mozzano. Proprio Borgo a Mozzano è annoverabile tra i comuni più virtuosi sul versante delle manifestazioni culturali anche d’impronta teatrale: il ‘Teatro di Verzura’ attivo da anni e diventato garanzia di qualità e ‘Borgo è Bellezza’ anch’esso un festival a vocazione itinerante che prova e riesce sempre a valorizzare attraverso rappresentazioni dal vivo, le piccole frazioni che sorgono intorno al Comune di Borgo a Mozzano.

Ma il circuito teatrale di Lucca e della sua provincia ha ancora in serbo molte altre sorprese e altrettante emozioni per la stagione 2022-2023.

Tornando in città la stagione di prosa del Teatro del Giglio è partita il 9 dicembre con Cyrano di Edmond Rostand per poi proseguire con una vera eccellenza del teatro: il vincitore del prestigioso Tony Awards, Stefano Massini che farà tappa a Lucca per presentare lo spettacolo Cosa nostra spiegata ai bambini: sul palco l’attrice Ottavia

Piccolo. L’anno nuovo inizia invece con Il gioco della verità portato sulla scena grazie all’adattamento in italiano di Lorenzo De Iacovo e Marco Lorenzi. Un gigante del teatro italiano qual è Eros Pagni, diretto da Luca De Fusco invece riporta in scena un classico del teatro italiano: Così è (se vi pare) di Luigi Pirandello.

A marzo arriva Silvio Orlando con La vita davanti a sé. La primavera continua all’insegna degli attori italiani con Claudio Bisio che reciterà in La mia vita raccontata male ed Emilio Solfrizzi con Il malato immaginario di Molière.

La stagione di prosa del Teatro del Giglio è stata organizzata in collaborazione con la Fondazione Toscana Spettacolo Onlus, Circuito Regionale Multidisciplinare per la programmazione e promozione dello spettacolo dal vivo.

In attesa della presentazione della prossima stagione teatrale del Teatro Differenti di Barga e della programmazione del Teatro Alfieri di Castelnuovo, è bello poter allargare lo sguardo verso il circuito versilie-

se che quest’anno vede la felice rinascita del Teatro dell’Olivo di Camaiore. Da novembre a marzo sul ritrovato palcoscenico camaiorese arrivano artisti di fama nazionale per animare la stagione con una bella proposta trasversale tra danza, commedia e letteratura. Da La cena dei cretini di Francis Veber, con Nino Formicola e Max Pisu allo spettacolo Dove ci sei tu interpretato da Gaia De Laurentiis e Fabrizia Sacchi, passando per Italia-Brasile 3 a 2 il ritorno. Ed ancora Ettore Bassi che porta in scena Il mercante di luce. Un occhio di riguardo anche ai grandi classici del teatro italiano con Uno nessuno e centomila di Luigi Pirandello, con Pippo Pattavina e Marianella Bargilli in programma a febbraio. Ed infine Enzo Iacchetti torna a Camaiore insieme a Vittoria Belvedere in Bloccati dalla neve, in programma venerdì 10 marzo. Si chiude con la danza giovedì 30 marzo quando al Teatro dell’Olivo sarà la volta di Riflesso Schubert con la danzatrice Angela Torriani Evangelisti.

Tutti a teatro! W il Teatro!

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W Lucca Junior

Lucca Comics & Games ‘Hope’ è stata l’edizione più emozionante di sempre, che ha segnato il ritorno a una nuova normalità, dopo la pandemia, e ha riportato a Lucca centinaia di migliaia di famiglie. Battuto ogni record, il festival si conferma il più importante d’Occidente con 319.926 biglietti venduti: un’edizione che vanta la conferma della Rai come media partner e che ha visto su RaiPlay una sezione dedicata all’evento, oltre alla presenza a Lucca di tutte le più importanti testate nazionali e internazionali.

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Un successo il ritorno in presenza dell’area dedicata ai bambini e alle famiglie al Lucca Comics & Games

Ad arricchire il successo, il gradimento dell’area dedicata ai bambini: Lucca Junior, realizzata nell’ex Real Collegio, che ha visto un programma culturale di altissimo livello con grandi ospiti, incontri, presentazioni di novità editoriali, laboratori e giochi. La sezione dedicata ai bambini e ragazzi di Lucca Comics & Games è stata un vero regno della fantasia accessibile a tutti, nel segno nella massima inclusione, volutamente lasciata ad ingresso libero, grazie anche all’importante sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca.

Un’edizione particolarmente attenta ai bambini, già a partire da qualche settimana prima del festival, quando, con una conferenza stampa apposita, ospitata nel complesso del San Micheletto, sede della Fondazione CRL, 100 bambini sono stati trattati come ‘mini giornalisti’, e solo a loro, sono stati anticipati i programmi della sezione Junior.

Fra gli eventi indimenticabili, al Teatro del Giglio, Sergio Bonelli Editore e Rai hanno presentato in anteprima mondiale a Lucca, i primi quattro episodi della serie animata Dragonero. I Paladini, tratta dal fumetto creato da Luca Enoch e Stefano Vietti, una coproduzione internazionale Sergio Bonelli Editore insieme a Rai Kids, PowerKids e NexusTV. Presentata a Lucca anche Super Ben-

ny, la prima produzione animata dedicata alla food star Benedetta Rossi, che ha potuto incontrare i suoi piccoli fan e le loro famiglie. E poi ancora tanto entusiasmo per gli incontri dal vivo coi personaggi dell’Albero Azzurro, con Dodò e gli altri protagonisti degli show Rai dedicati ai più piccoli. E dopo aver giocato al Laboratorio Puffoso, largo ai cartoni animati di Rai Yoyo e dei Peanuts, in una vera e propria maratona per festeggiare insieme i 100 anni dalla nascita dell’autore Charles Schulz. Spazio anche allo sport, con Spykeball: Andrea Lucchetta, il celebre ex pallavolista della nazionale, conduttore e commentatore sportivo d’eccezione, che ha guidato i ragazzi in una serie di attività dedicate al volley. E poi ancora personaggi amati dai bambini, reali o del mondo della fantasia, come: Laura Carusino, Mario Acampa, Masha&Orso, Topo Tip, Bluey, Lampadino e Caramella, Pinocchio&Freeda, Nina&Olga, Pimpa e Olivia Paperina.

I cinque giorni di festival hanno portato migliaia di bambini e ragazzi a incontrare decine tra i più grandi nomi della letteratura a loro dedicata, grazie alla collaborazione con i principali marchi editoriali e editori indipendenti per ragazzi come: Salani, Giunti, Mondadori, Piemme Il Battello a Vapore, Rizzoli, Edizioni EL – Ei-

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naudi Ragazzi – Emme Edizioni, Carthusia, Kite edizioni, Terre di mezzo, Logos, Artebambini, Minibombo, Lavieri e molti altri. Tra gli autori ospiti: David Almond Francesco D’Adamo, Pierdomenico Baccalario, Davide Calì, Angelo Mozzillo, Federico Taddia, Francesca Vecchioni; e illustratori e disegnatori come: Nicoletta Costa, Gary Frank, Otto Gabos, Marco Gervasio, Gud, Enrico Machiavello, Serena Riglietti e Laura Scarpa, con le novità delle case editrici del fumetto come Tunué, Editrice Il Castoro, Sinnos Editrice, Edizioni NPE, Bao Publishing, Sbam!, BeccoGiallo, Canicola, Allagalla, Shockdom.

Grande entusiasmo anche per gli Youtuber favoriti dai più giovani: Willy Guasti, Roby, Arex e Vastatore; mentre tante famiglie hanno provato i giochi da tavolo con le novità editoriali di Asmodee, DV Games / Ghenos, Haba, Mancalamaro e Oliphante! Molto partecipati i laboratori dedicati ai mattoncini Lego dell’Associazione Orange TeamLug e apprezzati i giochi digitali dedicati all’apprendimento di iSearch.

Spazio alla solidarietà con la partecipazione di Unicef, Amnesty International e Anffas Lucca. Il Family Palace ha ospitato anche alcuni splendidi percorsi espositivi con i migliori progetti selezionati dal Premio d’illustrazione editoriale Livio Sossi, il concorso di Lucca Comics & Games per i giovani illustratori. Affascinante l’esposizione Fumetti dal mondo! promossa da Bologna Children’s Book Fair: la fiera internazionale per l’editoria per giovani, che da anni ha stretto una collaborazione con il Lucca Comics & Games; e la Mostra dei Premiati degli Annual AI 2022, a cura di AI – Associazione Autori di Immagini. Ospite del festival anche uno dei più noti illustratori di opere per bambini: Chris Riddell, omaggiato con una mostra che ha celebrato la sua straordinaria carriera. Fra le mostre più visitate, quella dedicata ai 160 anni di storia, dell’editore Salani che ha portato nella suggestiva Chiesa di San Cristoforo, i disegni originali delle copertine delle edizioni italiane dei libri di Harry Potter. Lucca Comics & Games ha dedicato a bambini e ragazzi oltre 100 eventi in 5 giorni, portando le famiglie a riscoprire i valori dell’incontro, della condivisione delle passioni fra le diverse generazioni e della socializzazione. L’appuntamento è dal 1 al 5 novembre 2023.

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SULLO SCAFFALE

a cura di Valentina Picchi

Verde e dintorni

Zibaldone botanico lucense: è questo il suggestivo sottotitolo dell’ultimo lavoro di Paolo Emilio Tomei, per oltre trent’anni docente di Fitogeografia e Botanica sistematica presso l’Università di Pisa.

Una parola antica, dunque, piena di echi letterari, che richiama alla mente immagini di diari, quaderni, appunti, riflessioni sparse e volatili. Ma in realtà l’opera di Tomei è ben altro: un vero e proprio testo scientifico che combina nformazioni botaniche, morfologiche, fisiologiche, ecologiche e storiche, che rappresentano la chiave di lettura dell’attuale composizione del paesaggio vegetale che ci circonda e anche di quella che potrà essere la sua successiva evoluzione.

Un catalogo verde dedicato alla vegetazione di un territorio e di una città che ha proprio nell’«arborato cerchio» il suo simbolo più riconoscibile e amato, e in cui si celebra il ‘matrimonio’ tra paesaggio naturale e paesaggio urbano che caratterizza il territorio della nostra provincia.

La ricognizione degli alberi monumentali presenti in Lucchesia si apre con un excursus storico che descrive le trasformazioni subite dalla vegetazione del nostro territorio dal quaternario fino all’epoca storica, passando dalle specie subtropicali del Terziario agli abeti e alle betulle dell’ultima glaciazione, dai lecceti e querceti dei primi secoli dell’era cristiana all’introduzione delle specie coltivate che ancora oggi caratterizzano profondamente il nostro paesaggio: i castagni e gli olivi.

Tomei passa poi in rassegna le varie specie arboree presenti sul territorio lucchese, da quelle selvatiche a quelle coltivate, senza dimenticare gli alberi da frutto e le piante esotiche che abbelliscono i parchi e i giardini lucchesi, segnalando per ciascuna tipologia gli esemplari notevoli, dalla celeberrima Quercia di Pinocchio di Gragnano al leccio che fu conformato «a torre di verzura» all’interno del parco del Grande Albergo delle Terme di Bagni di Lucca, dall’olivo di Pian del Quercione, risalente al primo secolo dopo Cristo, alle camelie, che, partite dal Giappone e arrivate a Lucca all’inizio del XIX secolo, sono diventate in breve tempo presenza elegantissima e costante nei giardini lucchesi e versiliesi.

Arricchiscono il volume le fotografie di Claudio Lenzi e un contributo di Claudio Rovai dedicato allo strettissimo rapporto tra alberi, carta e territorio lucchese.

Paolo Emilio Tomei, Il paesaggio vegetale e gli alberi monumentali del territorio lucchese. Zibaldone botanico lucense, PubliEd, Lucca 2022

100 FCRL SULLo SCAFFALE. noVITà EdIToRIALI FCRLMAGA zInE 21 | 2022

Un libro crudelmente postumo questo Il denaro è cipria. Avventure e amori del conte Ottavio Sardi, cittadino del ’700. Prete mancato a Lucca, banchiere ad Amsterdam e colono in America di Giulio Giustiniani. Il giornalista fiorentino, infatti, è venuto a mancare dopo una breve malattia il 28 agosto scorso, prima che la sua ultima fatica vedesse la luce per i tipi di Maria Pacini Fazzi editore.

Giulio Giustiniani, nato nel 1952 a Firenze, è stato un giornalista come, forse, adesso, ne restano pochi: un uomo gentile e garbato, che rifuggiva la notizia gridata in favore dell’inchiesta approfondita, più un letterato che un cronista, che della cultura e dell’analisi aveva fatto la sua cifra. dopo gli studi classici e la laurea in scienza politiche, iniziò la carriera giornalistica alla Nazione di Firenze per proseguire poi al «Resto del Carlino». Lì rimase fino al 1987, quando, chiamato da Ugo Stille, all’epoca direttore del «Corriere della Sera», abbandonò Bologna per Milano. Giustiniani rimase al quotidiano di via Solferino fino al 1996, arrivando a diventarne vicedirettore, per poi passare alla direzione del «Gazzettino di Venezia». nella sua carriera anche la direzione del TG La7 e dell’agenzia di stampa APCoM.

Ma Giustiniani amava anche la storia e la letteratura e, sempre con Pacini Fazzi, nel 2011 aveva pubblicato Il sangue è acqua: il doge, il santo, l’avventuriero, il principe dei Mongoli e altri parenti, un raffinato e brillante racconto autobiografico in cui, attraverso gli occhi stupiti di un bambino, si rievoca un universo di memorie familiari rocambolesche e bizzarre. E proprio da questo variegato patrimonio familiare scaturisce anche il secondo libro – che sarebbe andato in stampa proprio nei giorni della morte dell’autore – dedicato al racconto delle avventure del conte ottavio Sardi, settecentesco banchiere lucchese fallito ad Amsterdam e ridottosi a fare il coltivatore nella Guyana olandese tra schiavi di colore dai sensi troppo accesi.

«Uno dei ritratti di famiglia – raccontava Giustiniani – di cui nessuno mi voleva raccontare la storia e che la mia incontenibile curiosità mi ha naturalmente spinto a cercare e ricostruire attraverso il carteggio Sardi oggi conservato in Archivio di Stato».

Il volume non a caso è uscito all’interno della nuova collana ‘Archivio delle Storie’ che raccoglie racconti e romanzi originati dalla lettura di documenti conservati in Archivio di Stato

Giulio Giustiniani, Il denaro è cipria. Avventure e amori del conte Ottavio Sardi, cittadino del ’700. Prete mancato a Lucca, banchiere ad Amsterdam e colono in America, Maria Pacini Fazzi editore, Lucca 2022

101 FCRLMAGA zInE 21 | 2022
Un ritratto storico e un ricordo commosso

Barga: manuale del Liberty

È un vero e proprio scrigno di tesori l’ultima pubblicazione realizzata dalla Fondazione Ricci con la cura editoriale di Maria Pacini Fazzi editore. Si tratta de La nuova Barga: architettura e arti decorative tra Liberty e stile eclettico (1900-1935), curato da Cristiana Ricci, catalogo dell’omonima mostra organizzata nel 2021 dalla Fondazione e dalla sezione bargea dell’Istituto Storico Lucchese. L’opera, ricchissima e affascinante, scaturisce, così come la mostra, da un lavoro di ricerca realizzato nell’arco di due anni e che aveva come obiettivo quello di censire le numerose ville e villini edificati all’esterno del centro storico del borgo in seguito all’espansione urbana che, nei primi decenni del novecento, segnò l’inizio di una vera e propria riprogettazione urbanistica della cittadina, creando, di fatto, un’altra Barga, una città ‘nuova’. La ricerca ha attinto a ogni tipo di documentazione archivistica esistente sul territorio, dando rilievo non solo alle singole costruzioni, ma anche ai progettisti e ai committenti, i veri protagonisti della ‘nuova Barga’. Un’indagine non solo artistico-architettonica, ma anche socio-economica e culturale che, impostata inizialmente con un censimento degli edifici liberty, déco ed eclettici presenti a Barga, ha proseguito con l’analisi delle tipologie, degli apparati ornamentali esterni, degli stili delle decorazioni e degli arredi nterni, fornendo notizie sulla storia delle commissioni, dei progetti e degli artefici.

oltre un centinaio gli edifici censiti, che emergono dalle pagine del volume n tutta la loro elegante leggerezza, fatta di fregi ornamentali rubati al mondo vegetale, di ringhiere in ferro battuto dalle linee curve e delicate, di graniglie policrome, di rosoni e vetrate dai motivi floreali.

Un lavoro certosino di ricostruzione che ci restituisce, oltre a quella della bellezza e dell’opulenza, anche un’altra narrazione, quella dell’emigrazione dei numerosissimi barghigiani che tra fine ottocento e inizio novecento lasciarono la loro terra per cercare fortuna in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Una narrazione di sradicamento e di sofferenza, certo, ma anche di lavoro e, spesso, di successo imprenditoriale che queste nuove, ampie e ariose abitazioni simboleggiano ancora oggi con grande forza.

La nuova Barga: architettura e arti decorative tra Liberty e stile eclettico (19001935), a cura di Cristiana Ricci, Fondazione Ricci, Barga 2022

102 FCRL SULLo SCAFFALE. noVITà EdIToRIALI FCRLMAGA zInE 21 | 2022

Sulle rotaie della solidarietà

nell’Italia distrutta e miserabile dell’immediato secondo dopoguerra fu promossa un’iniziativa che, letteralmente, contribuì a salvare la vita di moltissimi bambini ma che forse molti non conoscono ancora. Si tratta dei ‘treni della felicità’, progetto di solidarietà organizzato dal PCI, che, a partire dal 1946, permise a decine di migliaia di bambini del sud di trascorrere alcuni mesi ospiti di famiglie del centro-nord, soprattutto emiliane. Un progetto che tra 1945 e 1947 coinvolse oltre settantamila bambini e che salvò concretamente tantissimi piccoli da miseria, fame, malattie e analfabetismo creando, n un Paese devastato dalla guerra, una rete di accoglienza e solidarietà che oggi, in questo tempo ostile e rabbioso, pare fantascientifica. È attorno a questa esperienza misconosciuta che ruota Il treno dei bambini, il terzo romanzo pubblicato dall’insegnante-scrittrice Viola Ardone e il primo uscito per Einaudi.

Ardone ci racconta la storia di Amerigo, che ha sette anni finiti, vive a napoli, e la speranza la porta solo nel cognome che gli ha dato sua mamma

Antonietta. È attraverso il suo sguardo e la sua lingua, ingenua e irriverente, che assistiamo a questa vicenda, fatta di solidarietà, di tenerezza selvatica e di candore, ma anche di sradicamento, di solitudine e di maternità abdicata per amore.

Amerigo, improvvisamente, verrà strappato alla sua quotidianità per affrontare un percorso di formazione che lo cambierà profondamente e segnerà la sua vita. Salirà su uno dei treni dei bambini e raggiungerà Modena e la famiglia Benvenuti.

Il viaggio in treno da ‘giù’ a ‘sopra’, dal ‘re baffino’ al compagno ‘Lenìn’, conduce Amerigo verso il futuro ma lo allontana dalla propria identità, trasformandolo in un musicista di successo e in un mentitore in fuga costante. Ed è solo quando il percorso delle rotaie diventa circolare, e da ‘sopra’ si torna ‘giù’, che si può accettare la propria storia e rimettere a posto tutte le tessere di noi stessi.

È un romanzo bello Il treno dei bambini; non perfetto, ma semplice, diretto. Toccante.

Viola Ardone, Il treno dei bambini, Einaudi, Torino 2019

103 FCRLMAGA zInE 21 | 2022

Periodico della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca

Finito di stampare nel mese di gennaio 2023 da Tipografia Tommasi

Referenze fotografiche (con riferimento alle pagine della rivista)

Irene Taddei 27, 46-47, 49, 55, 56, 58, 59, 64-65, 66, 67, 68, 69, 70, 71

Adobe Stock: 4-5 (Anton Balazh), 84-85 (Stafeeva), 88-89 (freshidea), 91 (pronoia) – Archivio Fondazione per la Coesione Sociale: 86, 87 – Gilberto Bedini: 24 –Riccardo Bonuccelli: 40-41, 42, 43, 44, 45 – Ilaria Cariello: 80, 81, 83 (basso) – Andrea Lanfri: 78-79, 83 (alto) – Claudio Lenzi: 52 – Beatrice Speranza: 33, 34.

Le foto relative al Pianeta Terra Festival sono di Laura Casotti e Ilaria Genovesi

La Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, scusandosi anticipatamente per l’involontaria omissione di referenze fotografiche, è disponibile ad assolvere eventuali diritti.

FCRLMAGA zInE 21 | 2022

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