Almanacco_Novembre_2011

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FATTO & DIRITTO

La cronaca giudiziaria secondo gli esperti

Anno 2011, Novembre, Numero 4

La pratica rubrica in versione sfogliabile, consultabile, condivisibile, scaricabile e stampabile per avere ogni mese tutti i nostri articoli e focus gia' raccolti in ordine cronologico e di pubblicazione.

Quando una pelliccia è irrimediabilmente macchiata di sangue

Doping e stupefacenti, con Internet vola il consumo.

Processi: Restivo e Stasi


Novembre 2011 - In questo numero...

ITALIA

Delitto dell' Olgiata

L'ergastolo per l'ex domestico Reves Sapete quanti schiavi lavorano per voi?? Fondi per il terremoto in Abruzzo La schiavitù nel III Millennio Mondadori querela Report Recanati: due crolli alle spalle del Duomo e una famiglia in pericolo. ESTERO “Dopo tre anni vogliamo responsabilità e verità” Intervista esclusiva a Monica Malizia Il bicchiere mezzo vuoto... Luca Toni resta senza patente Algeria Quattro persone arrestate per il sequestro della cooperante italiana Fondi per il terremoto in Abruzzo. Algeria Quattro persone arrestate per il sequestro Mondadori querela Report della cooperante italiana Yara: svolta nell’inchiesta. REGIONE Trovato Dna di un familiare Picasso amaro Battuta all'asta per 2 mln una copia del Busto di Donna Danilo Restivo rischia 30 anni La prima udienza l'8 novembre a Salerno Doping e stupefacenti, con Internet vola il consumo. Recanati: due crolli alle spale del Duomo Inchiesta esclusiva e una famiglia in pericolo "Dopo tre anni vogliamo responsabilità e verità" Colombia: ucciso Alfonso Cano. Intervista esclusiva a Monica Malizia Leader della guerriglia FARC Morte Michael Jackson SPECIALI Processo per Murray vicino alla conclusione Garlasco: appello per Alberto Stasi Imputato per l’omicidio di Chiara Poggi Processo Calciopoli Condannato Moggi per associazione a delinquere Delitto dell’Olgiata L’ergastolo per l’ex domestico Reves Russia: profana tombe Ruba cadaveri di donna e vive con 29 mummie Sapete quanti schiavi lavorano per voi?? La Schavitù del III Millennio Boom di cosmetici falsi E' allarme salute FOCUS Parigi: processo per il terrorista Carlos Detto “lo sciacallo” Cassazione Assolto il pusher condannato per la morte di Marco Pantani Dopo due anni di esami anni arriva la diagnosi: cancro alla prostata. Ormai però è troppo tardi Cingoli: precipita elicottero. Morti tre professionisti

FOCUS: Rock & Diritto

La "nera" gelosia di Bertrand Cantat


Novembre 2011 - In questo numero...

FOCUS ROCK & DIRITTO La “nera” gelosia di Bertrand Cantat Cellulari e aumento dell’incidenza di tumori pericolo sventato Assalto armato alla villa dell’ex pilota Franco Uncini La figlia in ostaggio CALCIOPOLI La Juve ricorre al TAR Sentenza Thyssen Condannato a 16 anni l’A.d. per omicidio volontario Fendimetrazina Sostanza anti-obesità vietata forse causa tre morti Amore omicida Un giorno di ordinaria follia in Italia Milano Impiantato cuore artificiale controllabile sul web L’odissea di una famiglia recanatese Senza casa da 9 mesi nel silenzio delle istituzioni. Maxiprocesso alla ‘ndrangheta lombarda 110 condanne, mille anni di carcere Omicidio Serena Mollicone Slitta il test del Dna Non è un mondo per donne Tre ragazzine ad Ancona, Lecce e Francia vittime di stupro Tangenti Enav-Finmeccanica Ora tocca ai politici Il processo per la morte di Lea Garofalo Sciolta nell’acido, deve ricominciare. Roma Giornata Mondiale contro la violenza sulle Donne. Bufera su Giovanni Scattone Ora insegna nel liceo di Marta Russo. Quando una pelliccia è irrimediabilmente macchiata di sangue Inchiesta 2 milioni di cani randagi in Romania. Uno sterminio annunciato L’allevamento della morte di Brescia deve chiudere. Appello anche sul web

ITALIA

Omicidio Serena Mollicone

Slitta il test del Dna

ESTERO

Sentenza Thyssen Condannato a 16 anni l’A.d. per omicidio volontario

REGIONE

Assalto armato alla villa dell’ex pilota Franco Uncini La figlia in ostaggio

SPECIALI

Non è un mondo per donne Tre ragazzine ad Ancona, Lecce e Francia vittime di stupro

Fendimetrazina

Sostanza anti-obesità vietata forse causa tre morti

Viale Della Vittoria 1, 60123 ANCONA Apertura 6.00-22.30 . weekend 6.00-24.00 . aperto anche la domenica Colazio, pranzo, aperitivo, cena, panineria e piadineria, pizzeria, gelateria www.caffediana.it


La Redazione Avv. Tommaso Rossi Fondatore - Capo Editore Commentatore, Moderatore Talita Frezzi Co-Fondatore - Direttore Capo Redattore, Moderatore Avv. Valentina Copparoni Commentatore Avv. Alessandra Gualazzi Commentatore Andrea Dattilo Redattore Cronaca Dott. Giorgio Rossi Commentatore Medico Federica Fiordelmondo Redattore Cronaca Eleonora Dottori Redattore Cronaca Avv. Sabrina Salmeri Collaboratrice Lorenzo Berti Web Strategist & Analist Giorgio Di Prossimo Webmaster, Webdesign, Developing Graphics & Almanacco Desing


Sapete quanti schiavi lavorano per voi? La schiavitù nel III Millennio NEW YORK, 1 NOVEMBRE '11 – Incuriosito dalla notizia sono andato nel sito internet Slavery Footprint e ho scoperto che ho 55 schiavi che lavorano per me. Scioccante. A rivelarcelo è un’applicazione web che si pone appunto l'obiettivo provocatorio di dimostrare, attraverso un breve questionario sulle nostre abitudini di vita, quanti schiavi, senza saperlo, lavorano ogni giorno per noi. L’innovativo sito internet nasce dall'organizzazione no profitt Call Response, che si batte da anni per porre fine alla schiavitù, in collaborazione con l’Ufficio per il monitoraggio e la lotta al traffico di persone del Dipartimento di Stato Usa diretto da Hillary Clinton. «La schiavitù purtroppo è ovunque afferma Justin Dillon, responsabile di Slavery Footprint -, ogni oggetto della nostra quotidianità viene realizzato sfruttando in maniera disumana ed illegale manodopera a basso costo». L’iniziativa promossa dall'Organizzazione ha come finalità quella di mettere con le spalle al muro le multinazionali e far luce sulle loro pratiche «schiaviste», rendendo i consumatori più consapevoli su una piaga sociale che oggi affligge 27 milioni di persone, molte delle quali bambini. La schiavitù, nonostante sia stata vietata quasi in ogni paese civile e ufficialmente proibita con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e con la

Convenzione di Ginevra del 1956, resta un problema di assoluta drammaticità e di cui si parla troppo poco. In Italia esiste il reato di riduzione in schiavitù, che punisce con la reclusione da 8 a 20 anni chiunque eserciti su una persona poterci corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovvero chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa costringendola a prestazioni lavorativo o alla prostituzione o all'accattonaggio mediante violenza, minaccia, inganno o approfittando di una situazione di inferiorità. Certo, sono lontane anni luce, almeno nei nostri Paesi occidentali, le forme di schiavitù che la storia ci riporta alla mente, non ci sono più persone che costruiscono per noi piramidi, ma le forme di schiavitù contemporanee sono più subdole e si nascondone nelle pieghe della normalità sociale che il mondo consumistico ci impone. La schiavitù si incontra tutti i giorni nelle strade buie delle periferie urbane, dove si incontrano sogni illusi di giovani ragazze dell'est e laidi sogni infranti di vite borghesi infelici. La schiavitù si incontra ogni giorno nei laboratori cinesi di maglieria dove decine di donne riempiono le mensole dei negozi dei nostri centri commerciali e i nostri armadi. La schiavitù si vede negli occhi dei bambini africani che cuciono palloni e scarpe per innescare il rutilante mondo del

calcio-spettacolo. La schiavitù è, purtroppo, anche nelle tante vite normali di persone normali che lavorano 10 ore al giorno, vengono pagati per 6, hanno un contratto per 4, non avranno una pensione e sono pure considerati un ostacolo per la crescita economica del Paese per le troppe garanzie di cui godono. La provocazione multimediale di Slavery Footprint contro la schiavitù non si ferma qui. L’obiettivo è riuscire dove le politiche governative hanno fallito: debellare definitivamente la schiavitù coinvolgendo in prima persona noi consumatori. Il prossimo passo annunciato sarà un’applicazione per telefonini con la quale si potrà conoscere direttamente dalle aziende più responsabili e votate alla trasparenza se il prodotto che si vuole comprare è stato realizzato da lavoratori costretti in condizione di schiavitù. E quando passeggiamo nelle vie belle delle nostre città e incrociamo gli occhioni di quei troppi bambini costretti all'accattonaggio, proviamo per una volta a non pensare che è "cosa che non ci riguarda", che in fondo sono Rom e si son scelti quella vita. Proviamo, per una volta, a pensare che forse siamo noi, con i nostri 55 schiavi, a costringerli a quella vita che non appartiene a nessun essere umano. AVV.TOMMASO ROSSI


Recanati: due crolli alle spalle del Duomo e una famiglia in pericolo. “Dopo tre anni vogliamo responsabilità e verità” Intervista esclusiva a Monica Malizia RECANATI 27 ottobre 2011 – Il 12 dicembre del 2008 è cambiata la vita ad una famiglia di cinque persone residenti a Recanati, in via della Residenza, proprio alle spalle del bellissimo duomo di San Flaviano riaperto da qualche mese dopo ben 13 anni di chiusura. Andiamo proprio a quel fatidico giorno. Dicembre 2008: il primo crollo. Nella città di Leopardi e Gigli è tutto addobbato a festa poiché il Natale è alle porte e si percepisce chiaramente la piacevole atmosfera di questo periodo dell’anno. Una giornata tranquilla ma caratterizzata da una pioggia incessante che fin dal mattino insiste sul territorio. In via della Residenza, una strada senza sbocco, sono tante le auto posteggiate visto il parcheggio gratuito e la strategica vicinanza al centro storico. All’interno di una di queste macchina c’è Tania Pietanesi, una ragazza all’epoca poco più che ventenne che si accinge a fare manovra per accompagnare a casa il fidanzato Mattia. Tania vive con la famiglia proprio in questa via, in una casa che già i suoi nonni avevano comprato con mille sacrifici. Sono circa le 19 e la pioggia non accenna a diminuire. La ragazza sfila di retromarcia la sua macchina dal resto della fila e in quell’istante un fiume di detriti sommerge tutto. È allarme nella zona. I due ragazzi sono sepolti sotto le macerie di un muro che si è sgretolato come un biscotto e anche la circonvallazione è in pericolo visto che via della Residenza si affaccia proprio su questa importante arteria che abbraccia il centro della città. Risultato del crollo: qualche contusione per Mattia e una spalla

rotta per Tania, cinque auto danneggiate e una famiglia evacuata, quella di Simone Pietanesi e Monica Malizia, genitori di Tania e di altri due ragazzi, che abitano proprio a margine del muro ceduto. In molti intanto sono accorsi sul posto, tra questi anche l’allora sindaco della città Fabio Corvatta. A colpire maggiormente chi quella sera era lì, è stato senz’altro lo sguardo disperato di Simone che col cuore in gola spera che alla sua bambina non sia successo nulla di grave e quello perso nel vuoto della signora Malizia, avvolta in un maglione per proteggersi dal freddo. Lei sapeva che qualcosa sarebbe successo, quel muro aveva già dato segni di instabilità, si era rigonfiato per via delle infiltrazioni dell’acqua e stava danneggiando anche la sua casa, tanto che prima nel 2006 e poi nel 2007 con una raccomandata aveva segnalato questi timori alla Curia Vescovile: “E’ venuto l’ing. Ruffini, spiega la signora Malizia, aveva predisposto dei lavori da svolgere in accordo con un altro esperto, l’ing. Bravi, contattato da noi. Sono necessari degli interventi, avevano concluso gli esperti, perché il muro spinge sull’abitazione provocando l’instabilità di tutta l’area, occorre quindi sistemare dei pali trivellati in cemento armato perché il muro non ha fondamenta. Questi lavori non sono mai stati fatti, ma un altro intervento viene portato a termine. Vengono tolti 6 metri di asfalto dal muro verso il piazzale, messo del ghiaione, quindi materiale drenante, e sono state sistemate delle caditoie per raccogliere l’acqua a poca distanza dal muro”. Il terrapieno che ha spinto giù il muro in passato era un orto, ma

poi la destinazione dell’area è stata cambiata e vi sono stati realizzati dei posti auto. L’utilità che aveva la terra coltivata era fondamentale perché l’acqua veniva assorbita cosa che non avviene con il cemento. È per questo motivo che il terreno ha divelto il muro, perché l’acqua non poteva sfogare da nessuna parte se non verso l’esterno, in direzione della strada. Dal 2008 ad oggi questa via è accessibile solo ai residenti e nessun’altro può più parcheggiare qui l’auto. Maggio 2011: un nuovo crollo. Lasciamo da parte, per ora, i rapporti intercorsi tra comune, Curia e la famiglia recanatese a seguito del crollo e procediamo con i fatti. A dicembre 2010 per mezzo di un comunicato stampa, il comune (nel frattempo si sono svolte le elezioni amministrative e il sindaco è Francesco Fiordomo, ndr) informava che a breve sarebbe partito un progetto di sistemazione dell’area con la costruzione di box auto e parcheggi. E sempre per mezzo dello stesso comunicato la Curia faceva sapere che era intervenuta per mettere in sicurezza le parti non crollate del muro, e che al momento le stesse erano solide come stabilito da due ingegneri incaricati dalla sede vescovile. A maggio 2011 però un nuovo crollo nella zona: questa volta si tratta di una struttura disabitata che si trova dalla parte opposta del muro rispetto alla casa dei Pietanesi. Una bella giornata di sole evidenzia un gran buco sul tetto dello stabile. Nuovi problemi quindi per i residenti di via della Residenza che devono fare il giro della circonvallazione per andare a casa poiché la strada viene


chiusa. Al nuovo crollo si pone rimedio subito con diversi operai a lavoro che sistemano una copertura sopra il tetto e transennano l’area. E’ tutto sicuro, dicevano gli uomini a lavoro, ma a passarci accanto vengono i brividi visto che a terra continuano a cadere mattoni. I danni all’interno della casa dei Pietanesi. Da anni ormai la casa dei Pietanesi non è più la stessa. Si è detto infatti che qui sono vissuti i genitori di Simone Pietanesi che mai avevano registrato una situazione simile. Adesso invece a causa della spinta che subisce continuamente la casa alcune finestre non si aprono più, le crepe sono ovunque, il parquet si è rigonfiato e non capita di rado che la notte qualcuno della famiglia debba alzarsi a chiudere la porta d’ingresso che si è aperta da sola. Nel giardino dell’abitazione sono stati posti dei grandi pali di legno che dovrebbero sostenere il terrapieno, ma questi piloni si stanno girando su se stessi, tanto è forte la spinta sovrastante. La spiegazione di questi movimenti è all’esterno della casa: sopra le crepe del torrione sono stati posizionati dei vetrini graduati, o fessurimetri, che in soli 15 giorni hanno evidenziato un ampliamento delle crepe di 3 millimetri e di 5 in un mese, visto che con la pioggia i problemi aumentano. “L’ing. Brodoloni del comune all’epoca del crollo, spiega ancora la Malizia, ci aveva detto che potevamo rientrare in casa ma che i lavori erano necessari perché non potevano essere esclusi altri crolli”. Per la serie se proprio non volete lasciare la casa dormite con un occhio aperto. Ma i Pietanesi un’altra casa non ce l’hanno e neppure le possibilità economiche per pagare un affitto.

Allarme e immobilismo. Una situazione tragica e tragicamente “congelata”. Chi è il proprietario del terrapieno che ha fatto crollare il muro e che spinge ancora oggi sulla casa dei Pietanesi? E perché chi di dovere non fa questi benedetti lavori? Domande da un milione di dollari: “Il muro è di proprietà della Curia, spiega la signora Monica, lo spiegano i documenti conservati alla Curia Vescovile di Fermo. Ma la Curia non vuole riconoscere questa paternità. Se però non fosse proprietaria non potrebbe neppure realizzare box auto e parcheggi” (progetto descritto nel comunicato del 2010 di cui si è accennato sopra, ndr). E che c’entra il comune in tutto questo? Secondo Monica c’entra perché a questo punto in via della Residenza c’è un problema di pubblica incolumità, infatti i rischi di ulteriori crolli sono evidentissimi. Per questo sta cercando un appuntamento con il primo cittadino da settimane. Tentativo per ora vano. Eppure il comune dovrebbe essere solidale con la famiglia visto che anche l’ente ha subito dei danni dal crollo. Intanto ci sono meno parcheggi pubblici e poi le macerie del muro e gli altri cedimenti hanno ostruito una strada pubblica costringendo non solo i Pietanesi ma anche gli altri residenti della via (tra cui anziani e disabili, ndr) a raggiungere le loro case passando per la circonvallazione e da qui su per una scalinata. Tra l’altro un telex dei Vigili del Fuoco datato 13 dicembre 2008, il giorno dopo del crollo, evidenzia il carattere di urgenza con cui il comune dovrebbe mettere in sicurezza e ripristinare il muro. Quello che è stato fatto fino ad oggi lo si vede dalle immagini. La versione di Monica Malizia.

“Non ho mai avuto nessun colloquio con la Curia se non qualche appuntamento con il loro avvocato”, spiega Monica stanca dello scaricabarile tra i due per la proprietà del muro. Infatti a chiunque appartenga una cosa è certa, la famiglia Pietanesi vive in una situazione critica e chiede che la sua casa venga messa in sicurezza. “Abbiamo accettato tre proposte che la Curia ci ha fatto per quanto riguarda i danni fisici per Tania e Mattia e per l’auto in cui sono rimasti intrappolati. Uno firmato a febbraio 2009, l’altro firmato a dicembre 2009 e l’altro che ci è stato sottoposto questa estate, ma a tutt’oggi non abbiamo ancora visto una lira. Noi abbiamo dimostrato la nostra disponibilità e non abbiamo fatto ancora partire nessuna causa ma a questo punto non possiamo più accettare che ci si nasconda dietro un dito. Siamo stanchi delle menzogne e dell’ipocrisia”. Ma quanto costa garantire una vita serena a queste cinque persone? Monica racconta che il perito del tribunale non si è sbilanciato ma secondo una prima perizia dei lavori più evidenti, senza fare interventi invasivi ma garantendo la sicurezza della casa, parla di 200 mila euro. Anche la trasmissione televisiva di Canale 5, Striscia la Notizia, con l’inviato Moreno Morello, si è interessata della vicenda e noi di Fatto & Diritto avevamo già dedicato alla vicenda il giusto spazio e il consueto approfondimento ai profili giuridici ( http://www.fattodiritto.it/striscia-lanotizia-a-recanati-per-un-crollo-del2008/). ELEONORA DOTTORI


Il bicchiere mezzo vuoto... Luca Toni resta senza patente MODENA, 2 NOVEMBRE -Questa volta è toccato a Luca Toni, trentaquattrenne juventino e campione del mondo nel 2006, pagare la rigidità della normativa in tema di guida in stato di ebbrezza. Sabato sera è stato fermato da una pattuglia della Polizia Municipale di Modena che lo ha sottoposto alla prova dell’etilometro: il test è andato male, e Toni si è visto ritirare la patente, sospesa per tre mesi e dovrà pagare una multa. Il giocatore stava rientrando nella sua casa di Serramazzoni dopo aver trascorso la serata con alcuni amici e con la sua fidanzata, versione poi confermata dalla nota ufficiale resa dal club bianconero che ha anche specificato che il risultato del test è risultato di poco superiore alla soglia consentita ( 0,5 g/L ). Il centravanti, che nel 2006 è stato anche Scarpa d’oro quale miglior cannoniere d’Europa, sta vivendo un momento poco fortunato e oramai da diversi mesi non scende in campo con i compagni della Juventus, che probabilmente sabato sera stavano festeggiando il successo a S.Siro con l’Inter, mentre il bomber ‘ inciampava’ nell’alcoltest.

limite previsto, quale è la sanzione e per quanto tempo è sospesa la patente? R: Quando il tasso alcolemico accertato sia superiore a 0,5 g/l ma non superiore a 0,8 g/l è prevista una sanzione amministrativa ossia il pagamento di una somma da 500 a 2000 euro e la sospensione della patente di guida per un periodo da 3 a 6 mesi. D: Quando è reato la guida in stato di ebbrezza? R: Il reato di guida sotto l’influenza dell’alcol che è previsto e sanzionato dall’art. 186 del Codice della Strada che stabilisce il divieto di guidare in stato di ebrezza e punisce la condotta in modo graduato a seconda del tasso alcolemico accertato. Nei caso meno gravi, con tasso alcolemico comrpeso tra 0,5 e 0,8 g/l è un illecito amministrativo e non un reato. Sopra lo 0,8 è reato. L’ipotesi di reato più grave, che prevede la pena dell’ammenda da 1.500 a 6.000 euro e l’arresto da 6 mesi ad 1 anno, sussiste quando viene accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro. E’ prevista altresì la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di A.D. guida da 1 a 2 anni. E’ altresì D: Quando, come nel caso di Toni, disposta la confisca del veicolo salvo il tasso è di poco superiore al che appartenga a persona estranea al

reato. D: E’ possibile rifiutare di sottoporsi all’alcol test e, nel caso, cosa implica tale rifiuto? R: Sì è possibile rifiutarsi di sottoporsi all’accertamento però ciò costituisce reato che è pertanto punito con l’ammenda da 1.500 a 6.000 euro e l’arresto da 6 mesi ad 1 anno. Ma non solo. Infatti la condanna per il rifiuto di sottoporsi all’accertamento comporta anche la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo da 6 mesi a 3 anni e la confisca del veicolo (tranne quando appartiene a persona estranea alla violazione). D: Cosa comporta la confisca del mezzo e quando può essere disposta? R: In materia di guida sotto l’influenza dell’alcol, la confisca del veicolo viene disposta in sentenza dal Giudice, anche in caso di patteggiamento, quando il tasso alcolemico accertato del guidatore sia superiore 1,5 grammi per litro oppure quando c’è stato il rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolemici; tale provvedimento comporta il trasferimento di proprietà del mezzo all’amministrazione statale che potrà poi procedere alla vendita. AVV.TOMMASO ROSSI


Algeria Quattro persone arrestate per il sequestro della cooperante italiana ROMA, 2 NOVEMBRE - E' il quotidiano algerino el Khabar a registrare le parole di una fonte bene informata e ad aprire finalmente uno spiraglio sulla vicenda dei tre cooperanti rapiti in Algeria domenica scorsa, tra cui vi è anche un'italiana. Stando a quanto riportato dal quotidiano, infatti, i servizi di sicurezza algerini avrebbero arrestato a Tamanrasset e Bechar quattro persone sospettate di avere legami con il gruppo di Al Qaida per il Maghreb islamico che ha rapito i tre operatori umanitari europei. Secondo el Khabar, un mediatore avrebbe riferito che la cooperante italiana Rossella Urru, rapita lo scorso 23 ottobre assieme ad altri due operatori umanitari, è viva ed è in mano ad Al Qaida. I tre cooperanti, di cui si sono perse le tracce domenica, sono stati rapiti nel campo profughi Saharawi Rabuni, nel sud ovest dell'Algeria, dove lavoravano. Rossella Urru, 29enne di origine sarda, si è laureata a Ravenna e nella cittadina romagnola ha cominciato la sua attività di collaborazione col progetto sahawari. Oggi è rappresentante del Comitato Italiano Sviluppo dei Popoli (CISP) e da due anni collabora nel campo profughi algerino. Gli altri due cooperanti, di nazionalità spagnola Ainhoa Fernandez de Rincon e Enric Gonyalons - rappresentano, invece, rispettivamente l'Associazione amici del popolo saharawi e l'organizzazione spagnola Mundobat. Il mediatore impegnato a negoziare la liberazione di Rossella e dei suoi due compagni ha raccontato, inoltre, particolari che la dicono lunga sull'ambiente in cui i tre cooperanti si

trovavano ad operare "I combattenti dell'Aqmi (Al Qaida per il Maghreb, ndr) entrati nei campi del Polisario ... non erano armati - spiega il mediatore - avevano dei complici nel campo, membri e simpatizzanti di Aqmi, che hanno fornito le armi e indicato gli ostaggi da sequestrare. Sappiamo che due uomini armati e con l'uniforme del Polisario hanno lasciato partire i veicoli che trasportavano gli ostaggi». Una storia intrisa di collusioni e acquiescenza, dunque. Come ricorda il quotidiano el Khabar, gli arresti eseguiti dall'esercito algerino sono stati 8, nell'ambito di una vasta operazione finalizzata a colpire la rete di Al Qaida nel Maghreb, nei distretti dell'Algeria meridionale. Gli sforzi messi in campo per intercettare il gruppo terrorista che ha in mano i tre cooperanti, però, al momento non ha ancora portato alla loro liberazione. Da mesi le forze armate algerine sono impegnate in operazioni di questo tenore e si servono, nella lotta all'Aqmi, anche di unità eree (elicotteri e caccia). FEDERICA FIORDELMONDO D: In che cosa consiste in Italia il reato di sequestro di persona? Con che pena viene punito? R: Il reato di sequestro di persona consiste nel privare qualcuno della libertà personale ossia della libertà di movimento e locomozione in modo da impedire anche solo parzialmente, azioni e movimenti che fanno parte della vita di relazione. La pena prevista è la reclusione da 6 mesi fino ad 8 anni ma è aumentata (da 1 a 10

anni) qualora il fatto venga commesso in danno di un ascendente, discendente o coniuge o da parte di un pubblico ufficiale con abuso dei propri poteri. Qualora invece il sequestro venga compiuto per conseguire, per sé o altri, un profitto ingiusto come prezzo della liberazione, si parla di “sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione” per il quale la reclusione è da 25 a 30 anni; se dal sequestro deriva la morte della persona sequestrata la pena è aumentata a 30 anni di reclusione mentre se la morte è cagionata volontariamente si applica la pena dell’ergastolo. D: Gli ospiti del campo profughi sembrano aver facilitato il rapimento dei tre cooperanti; ipotizzando di muoverci all'interno dell'ordinamento giuridico italiano, di quali reati potrebbero essere accusati? R: Nel nostro ordinamento si dovrebbe accertare in concreto quali siano state le condotte tenute dagli ospiti del campo profughi in quanto potrebbe ravvisarsi il reato di favoreggiamento personale che punisce con la reclusione fino a 4 anni chi dopo la commissione di un reato aiuta il colpevole ad eludere le indagini o a sottrarsi alle ricerche. Qualora, invece, emerga una condotta di vera e propria collaborazione materiale o morale con i rapitori nella commissione dell’azione criminosa, allora risponderebbero di concorso nel reato di sequestro di persona o sequestro di persona a scopo di rapina o estorsione. AVV. VALENTINA COPPARONI


Fondi per il terremoto in Abruzzo. Mondadori querela Report MILANO, 2 NOVEMBRE ‘11 - La trasmissione d’inchiesta giornalistica “Report” di Rai3 a rischio querele da Mondadori, per aver svelato gli interessi “poco trasparenti” di una società partecipata per il 70% dalla Mondadori (presidente Marina Berlusconi e quindi riconducibile al Premier) sui giochi online i cui proventi sarebbero stati destinati alla ricostruzione in Abruzzo. La trasmissione, in onda domenica scorsa, ha messo in luce meccanismi sospetti sull’assegnazione da parte dello Stato. L’inchiesta è partita dal decreto legge sull’Abruzzo che assegna alla ricostruzione postterremoto i fondi dei giochi online. Inutile dire che la finalità benefica ha aumentato il ritorno d’immagine e segnando un ulteriore sviluppo dei giochi. “Report”, in un servizio firmato dal giornalista Sigfrido Ranucci, in onda domenica 30 ottobre, ha però svelato che solo una parte dei fondi destinati allo Stato va ai terremotati e al commissariato per la ricostruzione: su una media di 500 milioni annui di entrate dai giochi, ne uscirebbero solo la metà. Il mercato redditizio ha attirato l’attenzione di una società riconducibile al premier: la Glaming, per il 30% del Gruppo Bassetti e per il 70 di Mondadori. Nel servizio, “Report” parla anche di una fiduciaria dai titolari ignoti (contravvenendo chiaramente alla normativa antimafia secondo cui i nomi dei fiduciari andrebbero invece dichiarati) che avrebbe emesso la concessione a giugno, mentre le nuove norme sarebbero datate luglio.

L’inchiesta del giornalista di “Report” porta poi alla luce i benefici contabili trasferiti direttamente dalla Glaming alla Mondadori “in difficoltà finanziaria”, affermazioni queste ultime che avrebbero scatenato le ire della società della famiglia Berlusconi, la quale ha risposto annunciando querele. “Per tutelare i propri interessi illecitamente lesi, così come quelli di tutti gli azionisti” fa sapere il Gruppo Mondadori attraverso i suoi legali, specificando inoltre che la situazione di indebitamento non è così grave come descritto nel servizio di Rai3, ma “significativamente migliorata negli ultimi anni come si può facilmente evincere dalla lettura dei bilanci del Gruppo”. Immediata quanto decisa la risposta di Milena Gabanelli. “La questione più importante è un'altra: è opportuno che in un paese con la più alta evasione, il presidente del Consiglio implementi il gioco d'azzardo, con il quale tanta gente si rovina? E che abbia anche un interesse diretto? Questa è la domanda alla quale occorre rispondere”, ha dichiarato la conduttrice di “Report” in una nota e in un video su Corriere.it nel quale solleva inoltre un altro dubbio sulla trasparenza dell'intera operazione. “Mondadori è entrata a giugno e si occupa della raccolta dei giochi on line - dichiara la Gabanelli nella nota - ma mentre le norme introdotte dalla legge di stabilità in merito alla trasparenza e ai requisiti di onorabilità dei concessionari che si occupano della raccolta dei giochi

fisici sono entrate in vigore a giugno stesso, quelle per le società che si occupano di giochi online sono entrate in vigore solo da luglio, cioè dopo l'entrata di Mondadori. A firmare la legge, datata 14 luglio 2011 - osserva ancora Milena Gabanelli - è lo stesso presidente del Consiglio insieme con il ministro Tremonti. E questo lo dice lo stesso dirigente dei monopoli intervistato da Report. Se le norme sulla trasparenza e sui requisiti di onorabilità fossero state applicate anche in questo caso, forse la concessione non avrebbe potuto essere assegnata, perché c'è di mezzo una fiduciaria, i cui proprietari sono sconosciuti e perchè il Premier è di fatto proprietario al 53% di Mondadori e ha in corso un processo per frode fiscale”. TALITA FREZZI D: Per cosa potrebbe essere querelata la trasmissione Report? R: Per il reato di diffamazione, che punisce con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a 1032 €, chiunque offende l’onore o il decoro di altri comunicando con più persone.La pena è aggravata (reclusione fino a due anni o multa fino a € 2065) se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto specifico e determinato. La pena è ulteriormente aggravata se la diffamazione è compiuta a mezzo stampa, come in questo caso. Per quanto riguarda la diffamazione a mezzo stampa, esclude il reato il “diritto di cronaca” purchè sussistano contemporaneamente tre


condizioni: che la notizia data sia vera, che esista un interesse pubblico alla conoscenza di quei fatti e che siano rispettati i limiti in cui tale interesse sussiste mantenendo l’informazione entro i confini dell’obiettività.

D: Chi ha in corso un processo per frode fiscale è interdetto dalle operazioni di mercato? R: L'interdizione è una pena accessoria alla condanna oppure, come in questo caso, una misura cautelare che il GIP può applicare in

sede di indagini in presenza dei gravi indizi di colpevolezza e del pericolo di reiterazione del reato. In particolare è il divieto di esercitare determinate attività imprenditoriali o professionali AVV.TOMMASO ROSSI

Yara: svolta nell’inchiesta. Trovato Dna di un familiare MILANO, 3 NOVEMBRE ’11 - C’è una svolta nelle indagini sulla morte della piccola Yara Gambirasio, la ginnasta di 13 anni sequestrata il 26 novembre scorso a Brembate Sopra (Bergamo) e poi uccisa e rinvenuta alcuni mesi dopo (il 26 febbraio 2011), poco distante da casa. Secondo indiscrezioni, riportate anche in un servizio durante la trasmissione “Chi l’Ha Visto?” di Rai3 ieri sera, gli investigatori avrebbero una pista. Sarebbe infatti stato rinvenuto un Dna appartenente a un familiare, maschio e italiano, della persona che ha lasciato tracce biologiche sui leggins e sugli slip che quel drammatico giorno del rapimento indossava la piccola Yara. Il confronto sarebbe stato effettuato sulle migliaia di profili genetici acquisiti dalle forze dell’ordine in questi lunghi mesi di indagini, in cui sono stati chiesti e prelevati Dna da concittadini, parenti, amici e perfino dalle insegnanti di ginnastica artistica della Polisportiva frequentata da Yara. Tutto il paese di Brembate si è mobilitato per aiutare le ricerche del responsabile di questo tremendo omicidio che ha scosso tutta Italia, anche per le circostanze temporali e logistiche e della dinamica - con cui il sequestro e

l’omicidio di Yara ricalcavano quello più drammaticamente mediatico della giovanissima Sarah Scazzi, sparita il 26 agosto scorso e il cui cadavere è stato fatto rinvenire dallo zio Michele Misseri il 6 ottobre in un pozzo. Una tragedia anche familiare di cui ancora non si riesce a vedere la fine. E che tutti auspicano non assomigli alla vicenda della piccola Sarah. Ora la Procura di Bergamo dovrà analizzare tutti gli elementi raccolti e capire a chi appartiene quel Dna maschile isolato dagli abiti di Yara. Sembra sia un parente dell'omicida, che al momento si esclude possa essere uno degli operai del cantiere di Mapello, più volte indicato come il luogo dove si trovava la piccola nei giorni delle ricerche. Forse, stavolta siamo vicini alla verità. La scomparsa di Yara. Il dramma di Yara Gambirasio inizia il 26 novembre 2010, quando si allontana da casa intorno alle 18,30 per andare al Palasport di Brembate di Sopra a riportare una cassetta audio con le musiche del saggio alla sua insegnante. E’ una commissione veloce che doveva svolgere la sorella maggiore di Yara, ma per uno scherzo del destino va lei, la piccola Gambirasio. Il Palasport dista una

manciata di metri da casa, pochi minuti di camminata svelta. Dopo 15 minuti il suo cellulare con i pochissimi numeri in memoria, è già spento e non si riaccenderà più. La famiglia da l’allarme, si cerca Yara ovunque. La piccola sembra sparita nel nulla. La Procura di Bergamo apre un fascicolo per sequestro di persona. Le ricerche e le piste d’indagine. Il 28 novembre, mentre centinaia di volontari cercano la piccola ginnasta ovunque e si respinge il clamore mediatico per dare spazio ed energie alle sole ricerche e al dolore, un diciannovenne del paese (Enrico Tironi) racconta alla polizia di aver visto Yara proprio la sera della scomparsa parlare con due uomini accanto a un’auto rossa ammaccata, non lontano dal Palasport. Un racconto, sentito più volte ma giudicato inattendibile dagli inquirenti. Il 30 novembre le ricerche si concentrano a Mapello, paesino di confine con Brembate, dove è allestito un cantiere per la realizzazione di un nuovo centro commerciale. Sono i cani con il loro fiuto a portare gli inquirenti lì. Ma ancora niente. Vengono sentiti anche gli operai al lavoro, ma nessuno sembra sapere nulla. Sono mesi di


angoscia e di preghiera a Brembate, dove ogni elemento sembra far restare attaccata la speranza che Yara possa essere da qualche parte ancora viva. Anche il 3 dicembre, quando viene ritrovato quel giubbino nero da ragazzina, simile a quello che Yara indossava il giorno della scomparsa sopra la tuta da ginnastica. Indumento ritrovato grazie alla segnalazione di una donna che avrebbe raccontato di aver visto un’auto in corsa gettare un sacchetto dal finestrino. Ma ancora un buco nell’acqua, non è di Yara quel giubbino. L’arresto del marocchino Fikri. Il 4 dicembre la nave diretta in Marocco con a bordo il marocchino Mohammed Fikri, 22 anni, operaio al cantiere di Mapello, viene fermata e l’uomo fatto scendere e portato in Questura per essere sentito su quella partenza strana e improvvisa per l’Africa. Ma le accuse verso il giovane scricchiolano sulla traduzione dall’arabo. Nelle intercettazioni sembrava di aver risolto il giallo e trovato il colpevole, invece l’arabo era stato mal tradotto e quel biglietto per il Marocco che il giovane aveva prenotato e comprato molti mesi prima della scomparsa di Yara fanno cadere anche questa pista. Mohammed Fikri, inizialmente in carcere, viene scarcerato e rilasciato. Può partire per il Marocco da uomo libero. E’ il 7 dicembre. Le false piste e le lettere anonime. Gli inquirenti battono la pista del conoscente, visto che Yara era una bambina riservata che non avrebbe mai dato confidenza a uno sconosciuto. Non si esclude nemmeno l’ipotesi di un rapimento a scopo estorsivo o intimidatorio legato all’ambiente lavorativo del

padre della piccola, Fulvio Gambirasio, dipendente in una ditta che avrebbe avuto rapporti con la Camorra e che sarebbe stata impiegata nella costruzione del cantiere di Mapello. Il padre respinge ogni accusa, si dichiara uomo senza segreti e senza nemici. Il 21 dicembre, un altro colpo al cuore dei Gambirasio: spunta una nuova pista che secondo la polizia avrebbero rintracciato notizie di Yara su un sito elvetico. Forse Yara è stata sequestrata e portata in Svizzera. Anche questa pista non porta a nulla. Il 22 dicembre viene trovato un paio di scarpe in una siepe, ma per fortuna anche quelle, come il giubbino nero precedentemente rinvenuto, non sono della piccola scomparsa. Siamo al 26 dicembre. E’ un Natale triste a Brembate dove le ricerche non si sono mai fermate, anche sotto una coltre di neve pesante che ammanta il paesaggio come una coperta ma non ferma il lavoro di volontari, soccorritori e forze di polizia. Con la tremenda ipotesi e paura che la figlia sia stata sequestrata, i genitori di Yara il 28 dicembre rompono il loro silenzio di angoscia e dalla tv lanciano un accorato appello ai sequestratori, che abbiano pietà e liberino la loro bambina. Silenzio. Gennaio si apre con gli interrogatori. Vengono sentite e risentite le cento persone di Brembate ascoltate finora e stavolta emerge un nuovo elemento, quel furgone scuro che transita piano, quasi a passo d’uomo per le vie di Brembate. Poi, l’8 gennaio, quella lettera anonima che è come un coltello nel cuore di quanti cercano Yara: “è nel cantiere”. Si scatenano i media su quella notizia, ma i genitori chiedono il silenzio stampa, per

poter pregare in pace per la liberazione della figlia. Il 20 gennaio si cerca Yara a Udine in una zona montana impervia, perché quella zona è stata indicata da una medium ai carabinieri di Bergamo tramite segnalazione anonima. Ma niente. Il 23 gennaio arriva un’altra lettera anonima dello stesso tenore della precedente. “Cercate bene nel cantiere di Mapello”. Ma nel cantiere non c’è traccia della piccola. Il ritrovamento della piccola Yara. Il 26 febbraio, quasi una beffa del destino: dopo aver cercato Yara battendo a tappeto ogni centimetro quadrato attorno a Brembate, il piccolo corpicino viene rinvenuto in un campo a Chignolo d’Isola, appena una decina di chilometri dal Palasport dove era scomparsa mesi prima, sempre il 26, numero che ricorre ancora in questa tragedia. E’ la fine delle ricerche e delle speranze. TALITA FREZZI

D: Il fascicolo in Procura è stato aperto contro ignoti? Quali le accuse? R: Inizialmente e reato di sequestro di persona, poi per omicidio volontario. Il sequestro di persona consiste nel privare qualcuno della libertà personale ossia della libertà di movimento e locomozione in modo da impedire anche solo parzialmente, azioni e movimenti che fanno parte della vita di relazione. La pena prevista è la reclusione da 6 mesi fino ad 8 anni. Qualora invece il sequestro venga compiuto per conseguire un profitto come prezzo della liberazione, si parla di


“sequestro di persona a scopo di estorsione” per il quale la reclusione è da 25 a 30 anni; se dal sequestro deriva la morte della persona sequestrata la pena è aumentata a 30 anni di reclusione mentre se la morte è cagionata volontariamente si applica la pena dell’ergastolo. D: Il testimone ‘non attendibile’ (Tironi) potrebbe essere accusato di qualcosa? R: Potrebbe essere accusato di favoreggiamento personale, se sentito dalla P.G. di iniziativa; il reato punisce con la reclusione fino a 4 anni chi dopo la commissione di un reato, aiuta il colpevole ad eludere le indagini o a sottrarsi alle ricerche. Se sentito dal Pm nel corso delle indagini, o dalla PG delegata, il reato che si configura è quello di false informazioni al pubblico ministero, punito con la reclusione fino a 4 anni. D: E la medium che avrebbe fatto indirizzare le ricerche in un’altra zona? R: Direi nulla di penalmente rilevante, a meno che a sua volta non venga indagata per favoreggiamento laddove si dimostri

che volontariamente abbia fornito quelle informazioni per sviare le indagini. D: Per il prelievo del Dna serve una richiesta del magistrato? R: Sì certo è un attività di indagine e pertanto va chiesta dal PM. In ogni caso la prova del DNA , cosi come tutte le altre c.d. prove scientifiche, sarà in seguito, dal punto di vista processuale, un elemento di carattere indiziario. Ciò significa che necessiterà di ulteriori riscontri che consentano di fargli assurgere il rango di vera e propria prova a carico di un soggetto e possa fondare un’affermazione di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio. D: Cosa si intende per tracce biologiche? R: Per traccia biologica si intende qualunque reperto di origine organica umana, rilevato sulla scena del crimine, (sangue, saliva, sperma, pelle, unghie, capelli…) di cui è possibile ricavare, attraverso particolari tecniche , il profilo genetico, ovvero la carta di identità naturale, di una persona. Tale profilo viene poi confrontato con quello appartenente alle persone sospettate

di aver commesso il delitto per verificarne la corrispondenza o, almeno, la compatibilità. D: Cosa significa DNA? R: Con il termine DNA si intende l’acido desossiribonucleico che contiene le informazioni genetiche dell’individuo. La disposizione in sequenza di alcuni nuclei azotati della molecola del DNA, costituisce l’informazione genetica, leggibile attraverso il c.d. codice genetico, che è praticamente unico ed inconfondibile per ogni individuo, con l’eccezione dei fratelli gemelli monozigoti. Le zone altamente variabili del DNA sono dette anche “polimorfismi”. Lo sviluppo della scienza ha permesso di passare dallo studio delle variabilità fenotipiche, cioè quelle osservabili dell’individuo, come le caratteristiche facciali, le forme delle orecchie all’analisi delle impronte digitali, alla variabilità genetica dove risiede il presupposto di tale diversità.

AVV.TOMMASO ROSSI


Picasso amaro Battuta all'asta per 2 mln una copia del Busto di Donna BOLOGNA, 4 NOVEMBRE ’11 Oltre due milioni di euro per il “Busto di Donna” di Picasso. Ma era una banale copia, riconoscibile anche con una fotografia. S’è salvato da una colossale truffa il gallerista italiano proprietario di una Galleria a Parigi che avendo dei sospetti, prima di cedere quei due milioni di euro, si è rivolto ai carabinieri del Nucleo tutela dei beni culturali di Bologna che hanno indagato e sventato la tentata truffa. Il gallerista, interessato al pregiato pezzo d’arte, avrebbe concluso l’affare se non fosse per uno scrupolo legato a un precedente “poco chiaro” del mercante d’arte bolognese cui si era rivolto per acquistare il Picasso: il bolognese Italo Spagna, già coinvolto in un una maxi-inchiesta della Procura emiliana per il fallimento pilotato della storica “Galleria Marescalchi” di Bologna. Uno scrupolo che si è fatto poi legittimo sospetto che qualcosa di losco gravitasse attorno a quel presunto “affare” tanto che il gallerista si è rivolto ai carabinieri, i quali hanno scoperto la truffa con l’aiuto della Fondazione Picasso di Parigi. Il “Busto di donna” infatti, ben presto si è rivelato una costosissima copia da due milioni di euro. Un’imitazione talmente grossolana da essere riscontrabile anche solo con il confronto con una fotografia. La tela è stata sequestrata il 26 ottobre a Milano, dove si trovava presso una società di spedizione, pronta a raggiungere l’acquirente truffato a Bologna. Spagna e il proprietario della copia del Picasso sono stati

denunciati per ricettazione, tentata truffa e per violazione dell’articolo 178 del Codice dei beni culturali (relativamente al commercio e vendita di opere contraffatte). Sarà fissata a breve la data per l’udienza preliminare dell’inchiesta sul fallimento pilotato della galleria d'arte, in cui Spagna è accusato di essersi impossessato di opere di Morandi, Magritte, Chagall, Campigli, De Pisis e Alechinski e di aver modificato le scritture contabili per nascondere il dissesto finanziario, ricorrendo a fatture per operazioni inesistenti per circa 5 milioni di euro. Accuse che il mercante d’arte bolognese respinge, dicendo che quel Picasso non è suo, di essere stato contattato dal proprietario del dipinto (l'altro indagato) che gli avrebbe chiesto di valutarlo e di provare a venderlo. Spagna ha dichiarato di aver suggerito al proprietario di rivolgersi a una galleria d’arte di Parigi per una verifica dell’autenticità, ma di essere totalmente estraneo ai fatti. TALITA FREZZI D: In che consistono i reati contestati al mercante d’arte (ricettazione, tentata truffa e per violazione dell’articolo 178 del Codice dei beni culturali relativamente al commercio e vendita di opere contraffatte)? R: Il reato di ricettazione consiste nella condotta di chi, senza concorrere nel reato, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve o occulta denaro o

cose provenienti da un qualsiasi delitto o in ogni caso si intromette nel farli acquistare, ricevere od occultare. La pena prevista è quella della reclusione da 2 a 8 anni (e di una multa). La truffa è il reato che punisce chi, con artifici o raggiri, induce taluno in errore procurandosi un profitto con altrui danno ed è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni. Per il tentativo, cioè la condotta perfettamente orientata a commettere il reato, quando l'azione non si compie o l'evento non si verifica, la pena è diminuita di un terzo rispetto al delitto portato a termine (consumato). Il reato di contraffazione di opere d'arte punisce con la reclusione da tre mesi fino a quattro anni e con la multa da euro 103 a euro 3.099: a) chiunque, al fine di trarne profitto, contraffà, altera o riproduce un’opera di pittura, scultura o grafica, ovvero un oggetto di antichità o di interesse storico od archeologico; b) chiunque, anche senza aver concorso nella contraffazione, pone in commercio come autentici, esemplari contraffatti di opere di pittura, scultura, grafica o di oggetti di antichità, o di oggetti di interesse storico od archeologico; c) chiunque, conoscendone la falsità, autentica opere od oggetti d'arte. Se il colpevole è un commerciante professionale la pena è aumentata e alla sentenza di condanna consegue l’interdizione. D: Ma cosa succederà ora


all'opera contraffatta? R: E’ sempre ordinata la confisca delle opere d'arte contraffatte, alterate o riprodotte salvo che si tratti di cose appartenenti a persone estranee al reato. Delle cose confiscate è vietata, senza limiti di tempo, la vendita nelle aste dei corpi di reato.

D: Che cos’è il codice dei beni culturali? R: Il Codice dei beni culturali e del paesaggio è un testo uniche che è stato approvato nel 2004 e ha come oggetto la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale, raccogliendo e ordinando tutta la disciplina previgente. Il patrimonio

culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici. Vi sono tutta una serie di norme amministrative, civilistiche e anche previsioni di reati. AVV.TOMMASO ROSSI

Danilo Restivo rischia 30 anni La prima udienza l'8 novembre a Salerno ROMA, 4 NOVEMBRE '11 - Parte il processo a Danilo Restivo, l'uomo accusato di aver ucciso Elisa Caps 18 anni fa. La prima udienza del processo, che si svolgerà con rito abbreviato, si terrà l'8 novembre a Salerno. Restivo, attualmente detenuto in Inghilterra per l'omicidio della sarta inglese Heather Barnett, ha però rinunciato a partecipare all'udienza, in videoconferenza. A non mancare in Camera di Consiglio sarà invece Filomena, la mamma di Elisa, la cui determinazione in questi anni è stata fondamentale per l'approdo delle indagini al nome di Restivo. Il presunto assassino di Elisa rischia una condanna a 30 anni. L'imputato ha infatti scelto il giudizio abbreviato, che comporta la riduzione di 1/3 della pena; inoltre il quadro, per l'accusa, è complicato dalla intervenuta prescrizione di altri reati a carico di Restivo. Improbabile, dunque, che si arrivi ad una condanna al massimo della pena, cioè all'ergastolo. Inoltre, il processo, in virtù del rito abbreviato, verrà condotto sulla base di carte e prove già acquisite, dunque alcune delle domande della famiglia potrebbero rimanere definitivamente

irrisolte. La famiglia Claps, da sempre convinta che sia Restivo l'assassino di Elisa, non ha mai smesso di pensare che sulla scena del crimine si siano "alternate" altre figure, oltre a quella dell'assassino e non è intenzionata a fare sconti. "Non ci fermeremo" fa sapere l'avvocato Giuliana Scarpetta, legale della famiglia di Elisa. ''La famiglia Claps ha sempre sostenuto che il colpevole era Restivo - dice il legale - fa rabbia il fatto di aver dovuto aspettare 18 anni per arrivare a questa conclusione. Sia chiaro che non ci fermeremo e continueremo ad andare avanti per individuare tutti gli altri responsabili, chi lo ha aiutato Danilo, lo ha coperto, i suoi sodali. Non ci fermeremo fino a quando non li vedremo sul banco degli imputati''. Stretti attorno alla voglia di verità e di giustizia, i Claps in questi anni hanno inoltre puntato il dito contro tutti quelli che, a loro parere, hanno ritardato il il rinvenimento del corpo di Elisa e l'incriminazione di Restivo. Contro la chiesa, che potrebbe aver coperto l'uomo e che avrebbe taciuto il ritrovamento del corpo della studentessa e contro i magistrati, che avrebbero, secondo i

Claps, condotto le prime indagini in modo superficiale. L'avvocato Scarpetta tempo fa ha inviato a Giorgio Napolitano, in veste di presidente del Csm, una richiesta di approfondimento sulla condotta di Felicia Genovese, il magistrato che indagò per prima sulla scomparsa di Elisa. La condotta della Genovese era stata precedentemente vagliata dai magistrati di Salerno che non avevano ritenuto, però, di doverla censurare. I Claps, invece, convinti che abbia insabbiato il caso, contestano al magistrato fatti come il mancato sequestro degli abiti insanguinati di Restivo, lo stesso giorno della scomparsa di Elisa. Restivo, infatti, si era presentato, con i vestiti insanguinati, al Pronto Soccorso dell'ospedale di Potenza per farsi medicare un taglio alla mano, riferendo di esserselo procurato in seguito ad una caduta. La ferita, tuttavia, sembrava essere stata causata da una lama. UNA STORIA LUNGA 18 ANNI Elisa era scomparsa a Potenza la domenica del 12 settembre 1993. Al tempo sedicenne, era una studentessa al terzo anno del Liceo Classico di Potenza. Secondo le testimonianze,


la ragazza aveva detto ad un'amica di dover incontrare una persona nella Chiesa della Santissima Trinità, in via Pretoria, nel centro storico di Potenza. Successivamente si scoprì che la persona incontrata da Elisa era Danilo Restivo. Il corpo di Elisa fu ritrovato il 17 marzo 2010 nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità di Potenza, a un passo dalla casa dei Claps e dai luoghi che Elisa frequentava abitualmente. Oltre ai resti umani di Elisa vennero ritrovati anche un orologio, i vestiti e i resti di un paio di occhiali. Le perizie dimostrarono poi che non solo il corpo era da tempo in quel luogo, ma che era già stato scoperto (di questo si sta occupando un filone dell'indagine). DANILO RESTIVO Danilo Restivo, oggi 38enne, ossessionato dalle donne tanto da tagliare loro ciuffi di capelli, il 31 Giugno 2011 è stato condannato all'ergastolo per l'omicidio della sarta, sua vicina di casa, uccisa il 12 novembre 2002 a Charminster (Inghilterra). Come hanno raccontato diversi quotidiani italiani e inglesi, nel pronunciare la sentenza di condanna il giudice inglese Michael Bowes si è rivolto a Restivo dicendo: "Lei non uscirà mai di prigione...Lei è recidivo. È un assassino freddo, depravato e calcolatore...che ha ucciso Heather come ha fatto con Elisa. Ha sistemato il corpo di Heather come fece con quello di Elisa. Le ha tagliato i capelli, proprio come Elisa...Merita di stare in prigione per tutta la vita". L'ACCUSA PER L'OMICIDIO CLAPS Nel caso Claps, l'accusa per Restivo è di omicidio pluriaggravato. Le aggravanti riguardano il tentativo di

violenza sessuale e il fatto che l'omicidio sia stato commesso per motivi abietti e con crudeltà. Nelle mani dei magistrati ci sono accertamenti, studi e le perizie di ben sette consulenti. Le indagini dei Ris di Parma e di Roma hanno, in particolare, consentito l'individuazione della "prova regina". Cioè la presenza del dna di Restivo sulla maglia di Elisa. In un punto dell'indumento è stata trovata la saliva di Restivo, mista al sangue di elisa; in un altro il solo sangue dell'uomo. Il dna di Restivo, invece, non era stato individuato dalla prima perizia del medico legale Vincenzo Pascali, inseguito alla quale la Procura di Salerno chiese un incidente probatorio bis. FEDERICA FIORDELMONDO D: Cosa comporta il giudizio abbreviato per l'imputato? Qual'è la ratio di questo strumento giuridico? R: Il Giudizio abbreviato è un rito alternativo che può chiedere l’imputato, esercitando una sua liberà facoltà, nel corso dell’udienza preliminare celebrata avanti al Giudice dell’Udienza preliminare (GUP). In sostanza l’imputato accetta di farsi giudicare sulla base degli atti di indagine fin lì raccolti dal pubblico ministero ed eventualmente anche dal difensore mediante le indagini difensive. Ciò comporta una notevole deflazione del carico della giustizia, in quanto si evita di celebrare il dibattimento, cioè il processo vero e proprio in cui vengono nuovamente assunte tutte le prove precedentemente raccolte nelle indagini oralmente ed in contraddittorio tra le parti davanti al Tribunale. In cambio l’imputato

ottiene lo sconto di pena di un terzo. Il giudizio abbreviato può essere condizionato dall’imputato che lo chiede ad alcune acquisizioni di prove in contraddittorio avanti al GUP, ma questa volte il Giudice ha facoltà di concederlo e non è invece obbligato. D:Cos’è la costituzione di parte civile? Chi ne ha diritto? R: La costituzione di parte civile consiste nell’ingresso nel processo penale della persona danneggiata dal reato, cioè la persona che ha un qualche interesse che viene colpito dalla commissione del reato. Quindi non solo la persona offesa dal reato, ma ad esempio i suoi familiari, oppure anche un ente in caso di reati che lo possano coinvolgere (es. il WWF per un reato ambientale). Mediante la costituzione di parte civile, il danneggiato, anziché rivolgersi separatamente al giudice civile per ottenere il risarcimento danni, lo fa nel processo penale, ed in più può partecipare ad esso come una parte a tutti gli effetti, quindi ad esempio depositando memorie, portando i propri testimoni, etc. D: Restivo è anche accusato in Inghilterra dell'omicidio di Heather Barnett: In materia di diritto internazionale, una condanna presso un tribunale estero incide sulla giustizia italiana e sull’eventuale sentenza? R: L’art. 12 del codice penale italiano prevede la possibilità che venga dato riconoscimento ad una sentenza penale straniera , mediante una procedura descritta dall’art. 730 c.p.p. da svolgersi presso la Corte di appello , su richiesta del Procuratore generale rpesso la Corte di appello cui la sentenza viene inoltrata dal Ministro della Giustizia. La sentenza


straniera può essere riconosciuta solo per stabilire la recidiva del soggetto, per applicare in Italia una pena accessoria o una misura di sicurezza personale o quando la sentenza straniera prevede la condanna al risarcimento del danno. Per darsi riconsocimento deve essere pronunciata da un’Autorità giudiziaria di uno Stato estero con il quale esistano trattati di estradizione. Con i Paesi della Comunità europea, tra cui appunto il REgno Unito, la materia è disciplinata dalla Decisione quadro 2008/909/GAI,

che prevede il reciproco riconoscimento, tra gli Stati dell’Unione Europea, delle sentenza penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione oltre i confini nazionali. D: Il legale della famiglia Claps ha parlato di persone che potrebbero aver coperto e aiutato Restivo; eventualmente, di che cosa potrebbero essere accusati questi soggetti? R: Potrebbero essere accusati di favoreggiamento personale coloro

che si suppone abbiano coperto e aiutato Restivo; il reato punisce con la reclusione fino a 4 anni chi dopo la commissione di un reato, aiuta il colpevole ad eludere le indagini o a sottrarsi alle ricerche. I soggetti sentiti dal Pm nel corso delle indagini, o dalla PG delegata, potranno essere accusati del reato di false informazioni al pubblico ministero, punito con la reclusione fino a 4 anni. AVV.TOMMASO ROSSI

Doping e stupefacenti, con Internet vola il consumo. Inchiesta esclusiva ANCONA, 5 NOVEMBRE '11 Basta un click per entrare nel mondo delle droghe. E non serve essere un hacker, né avere la maggiore età come per acquistare alcol e sigarette. Basta cercare e neanche con troppo affanno. Il migliore amico degli adolescenti di oggi, specie di quelli che nella rete vogliono scovare lo sballo, è il computer. Non il pc dei videogiochi, ma quello che tramite il “www” ti fa entrare in ogni tipo di mondo possibile, anche (specialmente) quello del proibito. Grazie a Internet si possono trovare facilmente siti che vendono on-line sostanze stupefacenti, dalle cosiddette droghe leggere naturali (cannabis e derivati) a quelle chimiche (Lsd, ketamina e la miriade di pasticche di ecstasy col sorriso marchiato o accattivanti icone). Ma si possono anche trovare erbe, sostanze allucinogene, funghi psichedelici, additivi chimici o sostanze per migliorare le prestazioni sessuali (spesso spacciate come afrodisiaci, vedi il “popper”) e

fisiche. Sostanze per aumentare i muscoli, non sentire la fatica o il dolore, utilizzabili come doping. Quelle vietate nel mondo dello sport, quelle che garantiscono risultati, ma distruggono il sistema renale e linfatico, quelle che affaticano il cuore e compromettono la capacità riproduttiva, creando dipendenza psicologica e fisica. Droghe e consumo: i dati. Il contrasto alla detenzione e allo spaccio di sostanze stupefacenti è uno degli obiettivi primari delle forze dell'ordine. Ma secondo i dati Istat, nonostante i controlli e la rigidità imposta su droghe e doping, l’Italia si attesta lo stesso la nazione europea con il più alto consumo di cocaina tra i giovani: il 5,9% dei ragazzi tra i 15 e i 19 anni l’hanno provata almeno una volta. Il 2,9% ha fatto uso di eroina; il 31,9% dei teenager preferisce la cannabis. Da un recente studio di Eurispes, emerge che il miglior alleato degli spacciatori sia proprio il web. Attraverso la rete l’acquisto di

droghe chimiche aumenta in maniera esponenziale. Per il 2011 si stima che si avrà addirittura una crescita del 30%. L'allarme non è solo tra i giovanissimi, considerando che la soglia dei consumatori medi di sostanze stupefacenti si è notevolmente abbassata, ma anche tra gli sportivi. Il doping, allarme rosso nello sport. Parallelamente alla droga consumata dagli adolescenti in discoteca, durante rave party e perfino a scuola, c'è una crescente preoccupazione e attenzione verso il mondo dello sport, che anche ai livelli amatoriali si alimenta di un sottobosco di sostanze proibite per accrescere le prestazioni e migliorare le condizioni sotto sforzo dell’atleta. La cronaca delle ultime settimane (abbiamo trattato il caso nell'articolo “Milano: doping alla figlia nella maxi inchiesta, 12 arresti e cento indagati” che potete rileggere su:

http://www.fattodiritto.it/milano


-doping-alla-figlia-nella-maxi- essere automaticamente inviati al completato l'acquisto, ma ci siamo “negozio on-line”: su “Shayana resi conto concretamente di come sia inchiesta-12-arresti-e-centosito bellissimo, facile accedere a questo tipo di indagati) parla addirittura di Shop.com”, genitori che rifornivano di anabolizzanti e ormoni i figli prima di gare sportive. I siti e la vendita on line. Il doping, così come le droghe, è un veleno che si espande con le sue radici anche su Internet. Addirittura nei siti specializzati nella vendita di sostanze considerate 'proibite' ci sono le istruzioni on-line su come prepararle, con tanto di dosaggi e consigli su quando consumarle per ottenere i migliori risultati possibili. I siti poi, non sono troppo nascosti. Certo, per chi li frequenta abitualmente è semplice risalire o passare da un link all'altro a seconda del bisogno o della disponibilità economica. Ma non serve essere habitué della rete o hacker per rintracciare i siti di vendita di droga o doping. Spesso sono mascherati da nomi bizzarri, per eludere i controlli della polizia postale e localizzati su server esteri difficilmente rintracciabili. Altre volte giocano sulle assonanze dei nomi delle sostanze stesse, o sono dei link contenuti in siti di erboristeria o vendita di prodotti 'naturali'. E per comprare non ci sono limiti, la rete permette tutto. Basta essere in possesso di una banalissima Postepay e il gioco è fatto. Due click o poco più e si diventa clienti, 'amici' di questo o quel sito. Lo specchio dei tempi. Ci sono siti come www.drugsplaza.com in cui si entra senza troppa difficoltà e si accede a una fornitissima vetrina di prodotti che vanno dalla marijuana alle erbe allucinogene ai funghi magici. Basta un click sul prodotto di interesse per

coloratissimo e accattivante scritto in italiano, si può comprare di tutto, come al supermercato e oltretutto, a prezzi modici. Ci sono capsule a 10 €, funghi allucinogeni a 30 €, cactus psichedelici e fiori, il Catmint a 8 €, oltre alla classica e gettonatissima Salvia Divinorum (40 €), semi di cannabis (dai 45 ai 50 €) e poi pillole e pasticche a 10 €, spacciati come afrodisiaci ed energizzanti ma dagli effetti simili a quelli delle anfetamine. Per la vendita on-line si può rimbalzare anche al sito “azarius.net”, scritto addirittura in tutte le lingue, dal server ovviamente nascosto, in cui oltre allo shop si trovano anche consigli e news sulle legislazioni antidroga nel mondo. La prova. Ci siamo messi nei panni di un adolescente qualunque alla ricerca dello sballo tramite Internet, magari per portare stupefacenti a una festa con gli amici o prima della discoteca. Siamo entrati, ci siamo qualificati con un nome fittizio e dei dati (che nessuno mai controllerà) e abbiamo frugato tra le offerte: ci sono prodotti, prezzi, dosi, effetti e consigli per la spedizione in modo da eludere i controlli, accorgimenti antipolizia insomma. Tutto on-line, tutto in vetrina, tutto in vendita. Abbiamo compilato i campi dell'acquisto armati solo di una semplicissima Postepay - e tutto è filato liscio. Il nostro acquisto, se avessimo concluso l'ordine con i dati della nostra carta, sarebbe stato concluso in pochi click e presto avremmo ricevuto per posta il nostro bel pacchetto di sostanze stupefacenti. Non abbiamo volontariamente

vendita on-line in cui età, stato di salute, condizione sociale non contano perché l'unico requisito necessario è il poter pagare. E di siti come quelli sperimentati ce ne sono a bizzeffe, con le medesime caratteristiche e disponibilità. Il web ne è pieno. La vendita di stupefacenti o sostanze dopanti spesso è anche abbinata ai siti di sexyshop o di palestre, quasi fosse un “servizio” in più per il cliente, al pari dell'intimo sexy o dei corsi con personal trainer. Cambiano i profili dei consumatori medi, cambiano i modi di acquisto e cambia anche lo smercio di sostanze stupefacenti. Non si passa più soltanto tramite i pusher, figure arcaiche e demodé appartenenti a un immaginario collettivo ormai retaggio del passato: niente più scambi di droga in cambio di denaro nascosti in qualche angolo buio dei giardini o in macchina di sera. Oggi, come accertato da recenti fatti di cronaca, l'acquisto di sostanze stupefacenti o dopanti passa attraverso una spedizione postale ben avvolta in contenitori che disorientino i controlli dei cani antidroga in aeroporto o in stazione postale. Accorgimenti, anche questi, neanche a dirlo reperibili in rete. TALITA FREZZI D: Com’è possibile che non via sia un controllo e un monitoraggio (con misure anche repressive, se necessario) di questi siti che vendono sostanze stupefacenti? R: In genere è la polizia postale e delle telecomunicazioni a disporre l'oscuramento di un sito internet mediante il quale vengono promosse


attività illecite di varia natura. Il sito quindi viene sottoposto a sequestro probatorio e/o preventivo da parte dell'Autorità Giudiziaria, per raccogliere elementi probatori ed evitare che l'attività delittuosa possa essere portata ulteriormente avanti attraverso il funzionamento del sito stesso. Il problema è che molto spesso questi siti sono ospitati su server stranieri difficili da rintracciare e di Paesi con i quali non sono previste convenzioni internazionali in materia di misure di polizia. Nel caso di siti che vendono le c.d. “smart drugs”, il fatto è che molto spesso queste sostanze non sono inserite ancora nelle tabelle ministeriali allegate al DPR. 309/'90 che definiscono gli elenchi delle sostanze considerate illecite, e pertanto non è possibile far nulla contro questi siti. Dovrebbe essere il Ministero della Salute, con decreto, di tanto in tanto ad inserire nelle tabelle delle sostanze stupefacenti le nuove sostanze che vengono “scoperte” e immesse sul mercato di continuo per finalità droganti, di modo che la loro vendita diventi reati. Finchè ciò non viene fatto vi è, in pratica, una sorta di cono d'ombra nel quale, pur sapendo che la sostanza ha un utilizzo stupefacente, non è possibile per lo Stato perseguire chi la immette sul mercato. AVV. TOMMASO ROSSI D: Che cosa si intende per sostanza stupefacente? R: Per droga o "stupefacente"si intende qualsiasi sostanza psicoattiva, naturale o artificiale, con effetti sul sistema nervoso e che altera l'equilibrio psicofisico dell'organismo. Alcune sono usate

senza controllo dalle autorità sanitarie e giudiziarie, come la nicotina, la caffeina e l'alcool (in parte). Alcune, come gli psicofarmaci, sono inserite nelle Tabelle apposite ed usate a scopo curativo. Ma parlando di consumo di droga, ci si riferisce esclusivamente all'abuso o uso voluttuario e non terapeutico di sostanze psicoattive che, se usate per lungo tempo, possono provocare tolleranza o assuefazione. Si tende, pertanto, ad aumentare le dosi, sino ad arrivare alla dipendenza, che può essere fisica, psichica o entrambe. D: Quando si ha dipendenza? R: Per dipendenza fisica si intende l'incapacità dell'organismo a funzionare senza una sostanza esterna alla quale si è adattato aumentandone le dosi. La dipendenza psichica è molto più subdola e insidiosa; resta anche quando il fisico è stato disintossicato e si manifesta con il desiderio spasmodico della droga o con la convinzione di non poterne fare a meno. In base al principale effetto, si suddividono in sedativeantidolorifiche-allucinogene, eccitanti-stimolanti. D: Quali sono le droghe leggere? E quali gli effetti sull’organismo? R: Sono stato sempre contrario alla distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, soprattutto per quanto riguarda la Marijuana, rappresentando un facile giustificativo nel suo utilizzo. Ma non vanno sicuramente sottovalutati gli effetti terapeutici già dimostrati e quelli in fase di studio sperimentale. Per quanto riguarda il THC (tetraidrocannabinolo) principio attivo della marijuana e dell'hashish è ancora in discussione se crei

dipendenza fisica o psichica. Io propendo per la seconda, sviluppandosi in individui con un particolare habitus mentale o che frequentano particolari compagnie che li predispongono a passare, se non altro per curiosità, alle cosiddette droghe pesanti. Purtroppo, non si pone sufficiente attenzione all'alcool come alla marijuana, a causa di una legislazione ancora inadeguata. Si dice che con la marijuana si spostano "milioni di voti e miliardi di dollari"! Così, probabilmente, anche per la nicotina e per la caffeina. In questi ultimi mesi si assiste alla graduale svolta storica del legislatore olandese che sta via via restringendo sempre di più il consumo legalizzato all'interno dei coffee shops. A mio avviso, ma questa è solo una personale opinione, non dovrebbe esistere distinzione tra marijuana e eroina o cocaina, essendo stata evidenziata con la Risonanza Magnetica,che la cannabis provoca la distruzione dei neuroni e riduce lo spessore corticale della sostanza grigia soprattutto nei lobi frontali. Di conseguenza si viene ad avere un cervello malato. Tra gli effetti nocivi della marijuana si possono enumerare disturbi mentali e depressione grave; attacchi di panico, confusione mentale, apatia, incapacità di programmare la vita. Se stimolati, possono scatenarsi in azioni violente, ma sembra meno frequentemente che in seguito ad etilismo acuto. In giovani adolescenti può essere causa di slatentizzazione della schizofrenia! Tra gli usi terapeutici dimostrati si possono annoverare l'effetto sul dolore neuropatico e spastico, nel dolore tumorale, nei sintomi dolorosi


della sclerosi multipla (spasticità, sintomi della vescica, qualità del sonno). Meno documentati gli effetti sulla anoressia e cachessia e sulla nausea e vomito, soprattutto durante chemioterapia. In fase di studio nell'asma, la depressione, glaucoma, ansia, epilessia, ipertermia e cancro. Logicamente, l'uso deve essere controllato dai sanitari. Anche l'Alcool è una droga, come a tutti noto, usato e a volte abusato: vino, birra o superalcolici. Oggi lo sballo si chiama "binge drinking" ed è riservato ai giovani che usualmente non fanno uso di alcoolici e poi al sabato notte bevono dosi "cavalline" fino alla perdita di conoscenza. Quindi, a seconda delle dosi ingerite, l'alcool può avere un effetto euforizzante, disinibente, stimolante o calmante. Ma può dare assuefazione e dipendenza. La sindrome da astinenza è molto più drammatica di quella da eroina. Si manifesta, prima, con tremori alle mani, sino alle convulsioni e delirio (delirium tremens). Provoca mancata coordinazione dei movimenti, lentezza dei riflessi, difficoltà a parlare e tendenza all'aggressività. Provoca il più alto livello di violenza verso se stessi e gli altri. Anche la Caffeina è una droga molto comune, ma non molto dannosa. Cento tazzine provocherebbero la morte; 10 tazzine quasi certamente farebbero addormentare; 2 o 3 tazzine agirebbero da stimolante. L'Arsenico è considerato un veleno, ma, in piccolissime quantità, agisce da stimolante e, in dosi ben calibrate, da sonnifero. Alcuni decigrammi provocano la morte. D: Quali le droghe pesanti? E i loro effetti sull’organismo?

R: Tra le droghe "pesanti" occupano un posto importante la cocaina e l'eroina, entrambe responsabili della tolleranza, della dipendenza e della sindrome da astinenza. La Cocaina deriva dalla "coca" che, nel linguaggio Indios significa "albero"; è ricca di vitamine e 60 gr. di foglie masticate al giorno, sono sufficienti per il supporto vitaminico di un individuo umano. Il thè "MATE" viene usato nella malattia da altitudine. A volte usata come anestetico locale. Viene somministrata in vena o sniffata e provoca eccitazione, loquacità, disinibizione, potenziamento dell'attività mentale e aumento del lavoro muscolare con ridotto senso di fatica. Lucidità di coscienza, sicurezza e fiducia in se stessi. Inappetenza e aumento del desiderio sessuale. Insonnia. Insorge la tolleranza e l'aumento delle dosi provoca ansia, irritabilità, sospettosità, allucinazioni visive, uditive e tattili. Nella sindrome da astinenza compare depressione, incapacità a provare piacere, tristezza, malinconia, e desiderio impellente di provare sensazioni precedenti. In caso di assunzione cronica, compaiono cefalea, tremore, dimagramento, crisi epilettiche, perforazione del setto nasale e impotenza. A volte anche in singole assunzioni si possono avere aumento della frequenza cardiaca, gravi aritmie, infarto miocardico e ictus cerebrale. L'epatite acuta è causata da residui tossici che si formano nell'organismo. L'Eroina è un derivato semisintetico dell'oppio, prodotto per la prima volta dalla Bayer, per curare le tossicomanie da morfina. Viene iniettata o sniffata. Provoca un “flash” dopo pochi

minuti e può durare circa due ore. Agisce sul sistema nervoso centrale provocando sensazione di piacere, senso di tranquillità, riduzione del pensiero e del linguaggio, sonnolenza e rallentamento dei movimenti. Senso di piacevole distacco dalla realtà e forte egocentrismo. Rilassamento dei muscoli intestinali e dello stomaco. Difficoltà ad urinare. E' mortale in caso di overdose o per miscele errate. La sindrome da astinenza provoca freddo, caldo, brividi, crampi diffusi, nausea, diarrea, starnutazione, ridotta frequenza respiratoria e stato di agitazione. Midriasi. Le Anfetamine sono sostanze sintetiche ad azione simpaticomimetica stimolanti il sistema nervoso simpatico. Appartiene alla classe delle fenetilamine. Numerosi sono i suoi effetti sull'organismo, a partire dal Sistema Nervoso Centrale con ridotta percezione della fatica, aumento delle capacità intellettive, aumentata concentrazione e attenzione, euforia, senso di benessere e sprezzo del pericolo. Aumento della frequenza cardiaca e respiratoria e della pressione arteriosa. Ipertermia. Perdita dell'appetito. Utilizzato nel Doping in ambito sportivo e dietetico, ma illegalmente. Si può avere la morte per disordini cardiaci gravi in seguito a dosi eccessive con soppressione del senso della fatica. Possono comparire allucinazioni, bruxismo, cefalea, diarrea, vomito, secchezza delle fauci, irrequietezza. In terapia viene usata nel morbo di Parkinson e nella narcolessia. Quando viene usato come stupefacente, l'abuso porta ad accumulo nel cervello, nel fegato,


nei reni e polmoni. Viene eliminata dopo 6-32 ore. Porta a deperimento psicofisico e alla morte. Purtroppo può essere acquistata con molta facilità via Internet. D: Cosa sono le smart-drugs? Sono in libera vendita? R: Si intendono le cosiddette "droghe furbe" o "droghe intelligenti": perché, poi, non si sa. Vengono distribuite negli smart shops e via internet. Sono diventate lo sballo preferito di molti giovani in discoteca e nelle palestre. Oltre al già citato "binge drinking" che provoca lo sballo con l'alcool. Sono sostanze legali, ma molto pericolose. Sostanze vegetali contenenti sostanze psicoattive che agiscono sui neurotrasmettitori dell'adrenalina, dell'acetilcolina e della dopamina. L'epinefrina, ad esempio, è un farmaco che si può comperare anche senza ricetta medica. Sono fortunatamente sparite la spice gold e la sniff coca che provocavano sballi devastanti. Comunque, la Tabella ufficiale non riesce a star dietro alla diffusione di sempre nuove droghe. L'elenco delle smart drugs è lungo e tutte con effetti nocivi in quanti ne fanno uso-abuso con l'illusoria convinzione procurarsi attimi di fuga dalla realtà o di senso di benessere psicofisico che si può avere molto più facilmente raggiungibile con una salutare frequenza di una palestra o facendo jogging. D: Cos'è la Salvia Divinorum, di cui spesso si parla? R: La SALVIA DIVINORUM fa parte della famiglia della menta ed è lontana parente della salvia da cucina. Principio attivo è il Salvinorin Ache, che provoca allucinazioni, altera lo stato di

coscienza, fa perdere il senso della realtà, dà senso di lievitazione extracorporea, a volte causa di suicidio (gettandosi dall'alto). Per questo se ne consiglia l'uso affiancati da un "tutor". Crea dipendenza psicologica. D: Quali altri esempio di “droghe furbe”? R: La SIDA CORDIFOLIA il cui principio attivo è l'EFEDRINA, viene usata per la cefalea, bronchite e asma. Produce aumento di energia, emozioni e senso di benessere. Molto attiva sul sistema cardiocircolatorio e nervoso. Può essere causa di gravi aritmie e morte per infarto miocardico. Usata nella medicina Ayurvedica, si è ipotizzato che la recente morte di un ragazzo asmatico possa essere attribuita a simile trattamento. POPPER è un potente vasodilatatore; contenuto in bottigliette o fialette, viene inalato. Ha il mito di procurare prestazioni sessuali eccellenti. Dopo pochi secondi da inalazione produce euforia e sensazione breve di essere energici e vitali: ma le prestazioni sessuali devono essere interrotte per incrementare le insufflazioni, da cui, l'aumento dei rischi per la conseguente ipertensione e tachicardia. REDBULL, comune bevanda che agisce per sinergismo tra caffeina e TAURINA, aminoacido presente nel cervello e cuore di adulto, con virtù antiossidanti, sensibilizzante il sistema immunitario e facilitante l'eliminazione di tossine per via renale. Aumenta del 20% il volume di sangue pompato dal cuore, da cui, miglior ossigenazione cerebrale con aumento di rendita dell'attività di veglia, idonea per la guida notturna. Ma, di converso, le è stata

recentemente attribuita responsabilità per eventi cardiaci. AFRODISIACI MASCHILI del gruppo Sex-e provocano eccessivo impegno del sistema cardiocircolatorio con gravi aritmie e stati di ansia. AFRODISIACI FEMMINILI aumentano la sensibilità dermica di tutto il corpo e non solo delle aree pubiche. RIVEA CORIMBOSA pianta magica azteca, ha come principio attivo l'acido lisergico, ma è meno potente dell'Lsd. Possibile effetto psicotico con rischio di tendenza al suicidio. X PLORE classificata come migliore ecstasy sul mercato, nasce dalla pianta della famiglia dell'efedra. Aumenta la resistenza alla fatica, al dolore e provoca senso di benessere. Ma aumenta la frequenza cardiaca e l'ipertensione con il rischio di morte per infarto. K.CEREMONY conosciuta come "bevanda della pace", produce stato di spensieratezza; usato da chi cerca una "comunione spirituale con se stesso", e per essere disinibito. Prima agisce come stimolante, poi depressivo sino alla paralisi dei Centri del Respiro. KHAT detto "fiore del paradiso", viene masticato; produce effetti simili alle anfetamine. E' euforizzante. PIRACETAM è la più diffusa e più reperibile. Effetto descritto come un"reale risveglio della mente". E’ un potente stimolatore cerebrale, usato nella demenza senile e nell'etilismo cronico. Nei sani produce aumento della capacità di attenzione e concentrazione, oltre a migliorare il processo di integrazione delle informazioni. HYDERGINA ottenuta dall'ergotamina, fungo della segale cornuta. Usata come "antietà" negli anziani. Migliora i tempi


di reazione, la memoria, l'attenzione e lo sviluppo di pensiero astratto. D: Quali sono i criteri con i quali vengono determinate e aggiornate le Tabelle ministeriali che definiscono quali sostanze sono stupefacenti? R: Ritengo che si faccia riferimento alla possibilità delle sostanze sospette a provocare tolleranza, assuefazione, dipendenza, fisica e psichica e la sindrome da astinenza. D: Quali sono i principali effetti delle sostanze dopanti su un organismo “sano”? Ci sono casi in cui le stesse sostanze sono utilizzabili dagli atleti in presenza di determinate patologie? R: Abbiamo già parlato degli effetti di alcune sostanze che vengono usate a scopo dopante. Tra queste, la cocaina, l'eroina e le anfetamine che, se usate erroneamente o se abusate, possono produrre condizioni di dipendenza, sino a portare a gravi conseguenze, anche mortali. Basti pensare alle anfetamine che alterano il termostato dell'organismo e, associate al caldo ambientale e conseguente allo sforzo fisico, possono provocare collasso e colpo di calore. Tanto più, se viene aggiunta cocaina. Sembra quasi impossibile, ma risulta che un atleta abbia confessato di aver assunto 10 sostanze in una sola giornata. Per quanto riguarda l'INSULINA, essa viene considerata il principale farmaco usato come dopante, in associazione asteroidi anabolizzanti e con gli stimolanti. L'effetto ipoglicemizzante provoca senso di fame, capogiri e alterazioni della vista. In fase acuta si ha il coma e

anche la morte. Per quanto riguarda gli STEROIDI che vengono usati come anabolizzanti per ottenere lo sviluppo delle masse muscolari, sono assai numerosi gli effetti dannosi, a partire dalla aggressività, cefalea e acne. Ma ben più gravi sono l'ittero, gli strappi muscolari, l'alterazione del sistema immunitario (con maggior predisposizione alle infezioni), l'impotenza, la sterilità, la ginecomastia negli uomini, la mascolinizzazione nelle donne, il sanguinamento, malattie cardiovascolari, e lo shock anafilattico. La CAFFEINA, usata come stimolante, non deve superare la concentrazione di12 microgrammi per millilitro (8 o più tazzine di caffè). Provoca insonnia, irritabilità, confusione, palpitazioni e aritmie, e si va incontro ad astinenza. I NARCOTICI, tra cui morfina, eroina e metadone usati come analgesici aumentando la soglia del dolore sono assolutamente banditi per i già noti e gravi effetti. Producono sindrome da astinenza. I DIURETICI vengono usati per perdere rapidamente peso e rientrare in determinate categorie (come i pugili). Provocano perdita di acqua e di sali minerali organici con grave ipotensione sino al collasso e grave ipokaliemia sino all'arresto cardiaco. Inoltre, insufficienza renale ed epatica. L'ORMONE DELLA CRESCITA (detto GH) usato per l'effetto lipolitico e anabolizzante. La GONADOTROPINA CORIONICA, estratta dalla placenta, viene usata per rimediare agli effetti degli ormoni anabolizzanti, ma può produrre

ginecomastia, depressione ed emicrania. Più nota è l'ERITROPOIETINA (EPO) sintetizzata dai reni e dal fegato, modula la produzione dei globuli rossi e controlla l'ematocrito. Aumentando i globuli rossi, l'atleta può aumentare la disponibilità di ossigeno, migliorando le prove di resistenza, ove conta il metabolismo aerobico, quello in cui l'ossigeno viene costantemente bruciato insieme alle sostanze energetiche. Altro metodo è l'AUTOEMOTRASFUSIONE o passando un certo periodo in camera IPERBARICA. Ma l'aumento dell'ematocrito (globuli rossi) comporta l'aumento della viscosità del sangue e conseguente rischio di trombosi ed infarto miocardico. I BRONCODILATATORI BETA 2 STIMOLANTI possono essere usati in soggetti asmatici, ma solo se dichiarati anticipatamente (come i CORTISONICI) alla commissione tecnica, somministrati per via inalatoria. Certamente, a parte l'asma bronchiale e il diabete, che possono consentire di svolgere la propria attività sportiva, con l'uso di farmaci idonei, non penso che individui affetti da grave anemia possano consentirsi di dedicarsi ad attività sportive, ricorrendo magari all'EPO, sia a livello professionale, ma anche dilettantistico. Gli atleti non devono diventare dei robot. Non basta una pillola o una decina di pillole per diventare campioni. Prima di tutto serve una predisposizione genetica, poi un duro allenamento fisico e un'adeguata preparazione tecnica. DOTT. FRANCESCO BRAVI


Colombia: ucciso Alfonso Cano. Leader della guerriglia FARC BOGOTA’, 6 NOVEMBRE '11 - Dal 2008, quando era morto il leader storico Manuel Maruanda, era lui a capo delle Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia): Guillermo Leon Saenz Vargas, detto Alfonso Cano, è stato ucciso durante un bombardamento effettuato dall’esercito regolare nella zona di Cauca. Ad annunciare la notizia è stato lo stesso Presidente Josè Manuel Santos. Le Farc, che si fanno chiamare anche esercito del popolo, sono un’organizzazione di guerriglieri dichiaratamente marxisti, nata nel 1964 e operante un po’ in tutta la Colombia con circa 8000 ‘soldati’. Camo in passato si era mostrato più moderato rispetto ai suoi predecessori e alla ricerca di soluzioni politiche sulle varie questioni, tanto da cercare anche un dialogo effettivo con il Governo. Era considerato l’ideologo del gruppo. La diffidenza della polizia e dell’esercito nei suoi confronti non era però calata e così si è arrivati al bombardamento dei giorni scorsi che, a detta dell’ex commissario governativo per la pace con i guerriglieri Victor Ricardo, rappresenta ‘un grave colpo al morale delle Farc’. Cano era nato nel 1948 a Bogotà, era stato arrestato negli anni ottanta e poi liberato dopo l’amnistia concessa dal Presidente Belisario Betancur. Il Governo colombiano ha anche diffuso una foto che ritrae il cadavere di Cano.

D: Cosa prevede il nostro ordinamento nei confronti di organizzazioni paramilitari? R: Potrebbe ravvisarsi il reato di banda armata, che consiste nel formare o partecipare ad una particolare associazione a delinquere con lo scopo di commettere uno o più tra i più gravi dei delitti contro la personalità dello Stato (art. 306 c.p.). Rispetto all’associazione a delinquere si differenzia per il diverso fine (la commissione di reati contro la personalità dello stato) e per la presenza di armi che, a differenza della circostanza aggravante di scorrere in armi le campagne o le pubbliche vie prevista dall’art. 416 c.p., nel delitto di banda armata è elemento costitutivo del reato. Per la costituzione di una banda armata la pena è della reclusione da 5 a 15 anni. Per la partecipazione la pena è della reclusione da 3 a 9 anni. Oppure il reato di associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico è disciplinata dall’art. 270bis c.p. Viene punito con la reclusione da sette a 15 anni chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni che si propongono il compimento di atti terroristici o di sovvertimento dell’ordine democratico. Il partecipe invece viene punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Viene punita la messa in pericolo per l’ordinamento democratico dello Stato. La stessa finalità di terrorismo viene A.D. considerata anche quando gli atti di violenza sono rivolti verso uno stato

straniero o un organismo internazionale. D: Che cosa è l’amnistia e quando può essere concessa nel nostro Paese? R: L'amnistia è una causa di estinzione del reato: è un provvedimento generale di clemenza, ispirato in teoria a ragioni di opportunità politica e pacificazione sociale, in pratica spesso solo a motivi di sovraffollamento delle carceri.Può estinguere il reato mentre il procedimento è in corso (amnistia propria) o intervenire dopo che è stata pronunciata una sentenza definitiva di condanna (amnistia impropria). Prevista dall'art. 79 della Costituzione, l'amnistia si applica ai reati commessi anteriormente alla data di presentazione del disegno di legge in Parlamento. A partire dal 1992 l'amnistia viene disposta con Legge dello Stato, votata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, mentre in passato era un atto che promanava dal Presidente della Repubblica. I reati oggetto dall'amnistia vengono di regola individuati con riferimento al massimo edittale della pena ma possono essere utilizzate altre modalità: possono essere previste preclusioni oggettive per tipo di reato. L'amnistia non si applica ai recidivi aggravati o reiterati, ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza. L'indulto invece estingue solo la pena. AVV.TOMMASO ROSSI


Morte Micheal Jackson Processo per Murray vicino alla conclusione LOS ANGELES, 7 NOVEMBRE '11 - Il nome di Conrad Murray è ormai noto. Sicuramente lo conoscono i milioni di fan di Micheal Jackson che, sparsi per tutto il mondo, piangono ancora la morte del "Re del Pop". Il Dottor Murray è il medico che il 25 giugno 2009 forse ha somministrato al celebre cantante la dose di Propofol che gli fu fatale. In questi giorni Murray è imputato davanti alla Superior Court di Los Angeles per la vicenda ed è accusato di omicidio involontario. Venerdì, dopo 49 testimonianze e sei settimane di udienze, la giuria, composta di sette uomini e cinque donne, si è riunita in camera di consiglio per deliberare sulla colpevolezza o meno del medico, ma non ha emesso alcun verdetto. E' atteso quindi per oggi il verdetto dei 12 giurati; una decisione che deve però essere presa all'unanimità e che potrebbe quindi slittare ancora. David Walgren, avvocato dell'accusa, nel suo discorso conclusivo ha affermato che il caso è "abbondantemente chiaro" e ha giudicato le prove presentate durante il processo schiaccianti. Secondo Walgren, infatti, Murray avrebbe agito in maniera negligente, iniettando al cantante un farmaco che andrebbe somministrato solo in ospedale, dal momento che si tratta di un potente anestetico chirurgico. Opposta, invece, la tesi dell'avvocato della difesa, Ed Chernoff, che nella sua arringa difensiva ha ribadito che sarebbe stato lo stesso cantante a iniettarsi il Propofol provocandosi un arresto cardiaco. Secondo l'accusa,

l'imputato non deve quindi, essere considerato responsabile di quanto è accaduto. Da parte sua Christopher Rogers, il medico legale che ha eseguito l'autopsia sul corpo di Jackson, ha poi rilasciato una testimonianza che potrebbe segnare un punto a favore dell'accusa. Il medico legale ha infatti dichiarato che, secondo lui, è impossibile che Jackson si sia iniettato o abbia ingerito da solo la dose del farmaco. A sostegno della tesi difensiva è intervenuto, invece, il Dott. Paul White, esperto di medicina anestetica. White ha giudicato plausibile l'ipotesi che il cantante si sia iniettato il Propofol nella flebo che era gia' collegata alle sue vene, non rendendosi conto della pericolosita' di quanto stava mettendo in atto. Durante il processo, in cui si sono alternate le dichiarazioni di numerosi testimoni, ci sono stati momenti particolarmente toccanti. Nell'aula sono infatti state proiettate le immagini shock del corpo nudo e ridotto all'osso di Jackson sulla tavola dell'obitorio, prima dell'autopsia e poi è stata trasmessa la voce registrata del cantante sul telefono di Murray. Una voce impastata, quella di Jackson, che fantasticava su un futuro ritorno alle scene. Un ritorno alla ribalta che in effetti avrebbe dovuto concretizzarsi in occasione del grande tour di Londra di luglio 2009 per cui Jackson si stava impegnando con grande ostinazione. E di questo ha parlato Kenny Ortega, considerato un testimone chiave nel processo.

Ortega è il regista dei concerti di Londra e in aula ha raccontato dei giorni delle prove in cui Micheal alternava momenti di benessere a momenti in cui non era nemmeno in grado di stare in piedi a causa del suo fisico indebolito. I giurati che compongono la giuria popolare chiamata a decidere sul caso, in questi giorni sono stati riuniti in una sala del tribunale di Downtown Los Angeles, mentre i media, com'era prevedibile, si sono accampati nei pressi del palazzo in attesa della sentenza. Ad essere presente attorno al palazzo di giustizia anche una piccola folla di fan di Michael Jackson che ha manifestato ancora una volta il suo affetto per la star del pop. La sorella di Micheal, La Toya, invece, dalle pagine di Twitter si è detta in apprensione per la sentenza. Se sarà giudicato colpevole Murray potrebbe rischiare 4 anni di carcere, mentre se sarà dichiarato innocente dovrà poi essere giudicato anche dalla commissione medica di California, Nevada e Texas e la sua licenza medica potrebbe essere revocata. FEDERICA FIORDELMONDO D: L'accusa per Murray è di "omicidio involontario", qual è il corrispondente italiano per questo reato? Che pena viene applicata? R: In Italia potrebbe ipotizzarsi il reato di omicidio colposo ovvero non volontario ma causato da negligenza, imprudenza o imperizia per il quale il nostro codice penale prevede la pena della reclusione da 6 mesi a 5 anni e la procedibilità


d’ufficio. D: Che ruolo ha negli Usa la giuria? In Italia esistono i giudici popolari? R: Negli Stati Uniti i giurati che formato la c.d. giuria popolare vengono estratti tra tutti i cittadini in regola ed incensurati; la corte prepara una lista di 50 giurati fra i quali verranno scelti 16 che poi faranno parte della giuria. Ci sono giurati professionisti, cioè persone che si iscrivono volontariamente nelle liste dei giudici popolari e quelli che invece vengono scelti fra la popolazione sulla base di elenchi.I giurati vengono chiamati in aula qualche settimana prima dell’inizio del processo e vengono sentiti prima dalla pubblica accusa e poi dai difensori. i quali hanno la possibilità di escluderne 3. Il verdetto della giuria

popolare deve essere preso a maggioranza ed in caso di colpevolezza la decisione della pena spetta al giudice il quale ha un mese di tempo per quantificarla. Nel sistema giudiziario statunitense ci sono giurie popolari in tutti i casi perché i giurati decidono sul merito ed i giudici sulla pena di diritto quindi c’è un’indipendenza totale della giuria popolare. Anche in Italia esiste la figura del giudice popolare che è un cittadino italiano, di età compresa tra i 21 e 65 anni, iscritto in un apposito Albo, che viene chiamato soltanto nei processi dinnanzi le Corti di Assise e nelle Corti di Assise d'Appello per affiancare i giudici togati assistendoli nelle udienze e partecipando alle decisioni contenute nelle sentenze. Detto ufficio è obbligatorio (salvo particolari e motivate ragioni di esonero), la

nomina avviene mediante sorteggio ed è subordinata ad alcuni requisiti necessari. Le decisioni vengono prese a maggioranza e soltanto in caso di parità la decisione spetta al presidente della Corte. D: Che cosa succede in Italia quando un medico viene accusato di omicidio (colposo)? Quali potrebbero essere le conseguenze sulla sua professione? R: Di regola viene aperto un parallelo procedimento disciplinare da parte dell’ordine di appartenenza che rimane sospeso fino all’esito definitivo del processo; in alcuni casi, però, in via cautelare, vengono applicate sanzioni disciplinari (es. la sospensione) anche prima della definizione processuale e ciò in relazione alla gravità del reato e della condotta tenuta dal medico. AVV.VALENTINA COPPARONI


Garlasco: appello per Alberto Stasi Imputato per l’omicidio di Chiara Poggi MILANO, 9 NOVEMBRE ’11 Giallo di Garlasco, si torna in aula. Ieri mattina nella prima Corte d’Assise d’Appello di Milano è iniziato il processo d’appello per l’omicidio di Chiara Poggi, 26 anni uccisa la mattina del 13 agosto 2007. Unico indagato per l’omicidio, il fidanzato Alberto Stasi, assolto in primo grado con formula dubitativa dal gup di Vigevano, Stefano Vitelli (dicembre 2009). Ora Stasi - che nel frattempo si è laureato in Economia all’Università Bocconi di Milano e ha effettuato uno stage presso uno studio di commercialisti - è tornato al banco degli imputati dopo che il procuratore generale Laura Barbaini e il legale di parte civile Gianluigi Tizzoni hanno chiesto la rinnovazione del processo. Stasi è accusato di essere l’assassino di Chiara e di averla uccisa con crudeltà. Ora si ricomincia dalle nuove perizie disposte in realtà su quelli che erano tutti i punti chiave di un anno e mezzo di processo contro Stasi: le scarpe Lacoste che Stasi indossava quella mattina del 13 agosto 2007 quando rinvenne il corpo ormai senza vita della fidanzata sulle scale della villetta di via Pascoli e che stranamente non si sporcarono di sangue seppur tutto l’ambiente attorno al cadavere della povera Chiara ne era contaminato; la telefonata che il giovane fece al 118 (“credo che abbiano ucciso una persona”). Nuove perizie disposte anche su un capello biondo corto rivenuto nella mano di Chiara quando era già morta; su un martello

mai analizzato e su una bicicletta nera da donna finora mai sequestrata e un computer. Alberto Stasi è arrivato in aula con trenta minuti di ritardo e una borsa piena di fascicoli e documenti. Tranquillo, almeno apparentemente. In aula anche la famiglia Poggi e la mamma, Rita, che dopo l’assoluzione di Alberto Stasi in primo grado, stavolta vuole davvero giustizia per la memoria di sua figlia. L’udienza si è svolta a porte chiuse. Due ore circa durante le quali Alberto Stasi ha reso dichiarazioni spontanee, ribadendo la sua innocenza. Non ha aggiunto null’altro. Le prossime udienze sono state fissate per il 22 novembre (per la discussione del sostituto procuratore generale Laura Barbaini e per le parti civili), per il 24 e 25 novembre (per la discussione dei difensori). Il 6 dicembre i giudici dovrebbero entrare in camera di consiglio e pronunciare la sentenza o decidere per una rinnovazione parziale del processo con la disposizione delle nuove perizie come chiesto dalla pubblica accusa. TALITA FREZZI D: Che significa ‘assoluzione con formula dubitativa’? Come si concretizza? R: Significa che il Tribunale non ha raggiunto la certezza oltre ogni ragionevole dubbio della colpevolezza dell'imputato. Ricordiamo infatti che il nostro sistema penale prevede che si

assolva sempre l'imputato laddove non si sia certi della sua colpevolezza. Ed infatti il processo penale dovrebbe avere come scopo dimostrare da parte della pubblica accusa (il PM) la colpevolezza dell'imputato, e non dimostrare da parte dell'imputato la sua innocenza. Ma spesso, però, non è così. D: In quali circostanze si può chiedere la rinnovazione del processo? R: La rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale- cioè la nuova acquisizione di prove nel contraddittorio in sede di appellopuò essere sempre richiesta in appello dalla parte che ne ha interesse. I Giudici della Corte potranno disporla in tutti quei casi in cui si ritiene che le prove acquisite in primo grado siano incomplete e non sufficienti a fondare una pronuncia certa. Ricordiamo infatti che normalmente il processo di appello si basa sugli atti che costituiscono il fascicolo di primo grado e già oggetto del primo giudizio. D: Quali le accuse contestate ad Alberto Stasi? Quali le aggravanti? R: Omicidio volontario aggravato dalla crudeltà: la pena potrebbe arrivare all'ergastolo. D: Cosa accade in camera di consiglio? R: I Giudici si riuniscono e discutono per arrivare ad una decisione, anche votando quando sono un collegio come in Appello. AVV.TOMMASO ROSSI


Processo Calciopoli Condannato Moggi per associazione a delinquere NAPOLI, 9 NOVEMBRE '11 -La sentenza è arrivata ieri in serata ed è stata dura. Sono state sostanzialmente accolte le tesi dei pm della Procura di Napoli: la nona sezione del Tribunale di Napoli presieduta da Teresa Casoria ha emesso 16 condanne fra dirigenti sportivi, arbitri e guardalinee e 8 assoluzioni. Il ciclone calciopoli investì il mondo del calcio nel 2006, travolgendo grandi club fra cui il Milan, la Lazio e la Fiorentina, ma soprattutto la Juventus che si vide sottrarre 2 titoli di Campione d’Italia e fu retrocessa, per la prima volta dalla sua fondazione, in serie B. ( http://www.fattodiritto.it/dossier%e2%80%93-manette-e-pallone/). A capo dell’organizzazione che ha gestito Calciopoli, condizionando interi campionati e traendo vantaggi dalle relative scommesse, è stato riconosciuto Luciano Moggi, ex Dg della Juventus, condannato a 5 anni e tre mesi di reclusione e che ieri si è allontanato dal Tribunale senza rilasciare dichiarazioni, ma evidentemente deluso dalla pronuncia. Per lui ha parlato il suo legale, Maurilio Prioreschi che nell’annunciare il ricorso ha commentato: ‘ Non ci aspettavamo una sentenza così, ora Attendiamo le motivazioni’. Soddisfatto invece il pm Stefano Capuano che ha visto accolte le sue tesi e che ha ribadito come tutta questa vicenda non fosse una farsa o una chiacchiera da bar come qualcuno si ostinava a sostenere, ma bensì una vera truffa sportiva che aveva falsato il campionato di calcio più bello del

mondo ( almeno una volta era cosìNdR ). Vi sono poi state altre condanne eccellenti sempre per frode sportiva, fra cui quella a un anno e tre mesi per i fratelli Diego e Andrea Della Valle, rispettivamente patron e presidente della Fiorentina, che si sono detti profondamente amareggiati. Stessa condanna anche per a Claudio Lotito, presidente della Lazio, che era stato indagato per diverse partite del club biancoceleste nel 2005 (fra cui anche un Lazio Fiorentina terminata 1-1).Una condanna a un anno e 8 mesi è stata pronunciata anche per il presidente della Reggina Pasquale Foti. Numerose le pronunce anche nei confronti di designatori arbitrali, arbitri e guardalinee: in particolare rilevano le condanne a 3 anni e 8 mesi a Paolo Bergamo, quella a un anno e 11 mesi a Pairetto e De Santis e quelle di poco inferiori a a Dattilo, Racalbuto e Bertini. Condannati inoltre un ex dirigente del Milan, due assistenti arbitrali e l’ex vice presidente della Figc, Innocenzo Mazzini. Le assoluzioni son state 8, le richieste di risarcimento danni inoltrate, fra l’altro, dalla Juventus e dalla Rai, saranno esaminate in sede civile. Per Moggi, colpevole di associazione a delinquere e frode sportiva, è inoltre scattata l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Per tutti e 16 gli imputati è stata disposta la misura accessoria con divieto di accedere ai luoghi ove si svolgano manifestazioni sportive e si effettuino scommesse. Una vera e propria ‘cupola’ che gestiva i calendari e le partite, condizionando

tutto perfino le ammonizioni a quanto pare. E’ solo il primo grado a cui seguiranno l’appello già preannunciato e presumibilmente il ricorso in Corte di Cassazione, ma di certo già si può dire che questa è una pagina assai triste per tutto lo sport italiano, nello stesso anno in cui, paradossalmente, Fabio Cannavaro sollevava la Coppa del mondo a Berlino. ANDREA DATTILO D: Quando si può parlare di associazione a delinquere? R: L’associazione a delinquere, prevista dall’art. 416 c.p., si realizza quando tre o più persone si riuniscono allo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti. Il reato sussiste al momento stesso in cui l’associazione è costituita senza che sia richiesto l’inizio dell’attività delittuosa. E’ necessario che sussista una minima organizzazione che permetta di realizzare il programma criminoso progettato. In questo caso il reato di associazione a delinquere sarebbe stato finalizzato alla frode sportiva. D: La frode sportiva è assimilabile al reato di truffa? R: E' simile come struttura ma diverso è il bene giuridico tutelato. La truffa è un reato contro il patrimonio, ma frode sportiva invece tutela la regolarità delle competizioni sportive. La regolamentazione del reato di “frode in competizioni sportive” fu introdotta con legge n.401/1989. Il reato si configura nell’ipotesi in cui, qualunque soggetto collegato ad una società e


capace di determinarne il comportamento, si faccia carico di turbare il regolare svolgimento di una competizione sportiva, al fine di conseguire un vantaggio. L'art. 1, L. n. 401/1989 testualmente recita : Chiunque offre o promette denaro o altra utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti ad una competizione sportiva organizzata dalle federazioni riconosciute dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), dall’Unione italiana per l’incremento delle razze equine (UNIRE) o da altri enti sportivi riconosciuti dallo Stato e dalle associazioni ad essi aderenti, al fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione, ovvero compie altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo, è punito con la reclusione da un mese ad un anno e con la multa da lire cinquecentomila a lire due milioni. Nei casi di lieve entità si applica la sola pena della multa. Le stesse pene si applicano al partecipante alla competizione che accetta il denaro o altra utilità o vantaggio, o ne accoglie la

promessa. - Se il risultato della competizione è influente ai fini dello svolgimento di concorsi pronostici e scommesse regolarmente esercitati, i fatti di cui ai commi 1 e 2 sono puniti con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni. D:Quando può essere disposta la interdizione perenne dai pubblici uffici e quando quella temporanea? R: L'interdizione dai pubblici uffici è una pena accessoria di tipo interdittivo, può essere perpetua o temporanea. La condanna all'ergastolo e la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni importano l'interdizione perpetua del condannato dai pubblici uffici, così come la condanna ad un reato commesso con violazione dei doveri o abuso dei poteri inerenti ad un pubblico ufficio; la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni importa l'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.

D: Il divieto di accedere ai luoghi ove si svolgano manifestazioni sportive, può essere sospeso se si impugna la sentenza di primo grado? R: No, perché non è una pena accessoria ma una misura di polizia irrogata dal Questore, indipendentemente dalla condanna definitiva, ma semplicemente a seguito di denuncia. L'art. 6 della medesima legge del 1989 prevede che, nei confronti delle persone che risultano denunciate o condannate anche con sentenza non definitiva nel corso degli ultimi cinque anni per uno dei reati in materia di armi , ovvero per aver preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza, il questore può disporre il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive specificamente indicate e se del caso imporre l'obbligo di firma durante l'orario delle competizioni sportive. AVV.TOMMASO ROSSI


Delitto dell’Olgiata L’ergastolo per l’ex domestico Reves ROMA, 8 NOVEMBRE ’11 – Sta per chiudersi, dopo molti anni, il caso del Delitto dell’Olgiata sull’omicidio della contessa Alberica Filo Della Torre, avvenuto il 10 luglio 1991 nella sua villa all’Olgiata, zona esclusiva a nord di Roma. La nobile è stata strangolata con un lenzuolo. Dalla sua villa sono spariti gioielli di grande valore. Per molti anni il delitto è rimasto irrisolto, catalogato come uno dei più agghiaccianti misteri italiani. A distanza di vent’anni, nel 2011 arriva la prova del Dna a inchiodare un cameriere filippino, Manuel Winston Reves, ex dipendente della signora, indagato per l’omicidio. Il filippino confessa l’omicidio il primo aprile 2011. Risolutivi ai fini delle indagini gli accertamenti che gli esperti scientifici del Ris dei Carabinieri hanno svolto sul lenzuolo usato per strangolare la contessa e sul Rolex che la nobildonna indossava al momento dell’omicidio, reperti analizzati e sui quali sono state rinvenute tracce ematiche dell’ex domestico filippino, Manuel Winston Reves. Il domestico è accusato di omicidio volontario e rapina, avendo sottratto alla vittima preziosi gioielli. Il processo è in corso e si sta celebrando con rito abbreviato. Il pm Francesca Loy nel corso dell’udienza davanti al gup Massimo Di Lauro ha chiesto la condanna all’ergastolo per il filippino, che oltre ad aver confessato l’omicidio ha chiesto perdono al marito della contessa l’imprenditore Pietro Mattei e ai loro figli. La sentenza dovrebbe essere

pronunciata dal gup il 14 novembre. La vittima. Lacontessa Alberica Filo Della Torre, nobildonna romana, all’epoca del delitto nel 1991 aveva 42 anni, era sposata da dieci con l’imprenditore Pietro Mattei cui aveva dato due figli, Manfredi e Domitilla. La mattina dell’omicidio, quel 10 luglio 1991 si trovava nella loro villa all’Olgiata insieme al marito, i figli, due domestiche filippine (tra cui Violeta Alpaga che troverà il cadavere della contessa), la baby sitter inglese Melanie e quattro operai che stavano allestendo la villa per la festa d’anniversario dei coniugi Mattei che avrebbe dovuto svolgersi proprio quella sera. Il delitto. In villa i preparativi per la festa iniziano presto: alle 7 la cameriera gli operai iniziano a preparare il giardino, alle 7,45 viene servita la colazione alla contessa e ai bambini. La nobildonna scende al primo piano alle 8,30 per poi salire di nuovo in camera un quarto d’ora dopo. Dalla sua stanza non uscirà viva. Alle 9,15 – secondo la ricostruzione fatta dai domestici agli inquirenti – la cameriera Alpaga insieme alla bambina bussano alla porta della camera della contessa. La stanza è chiusa dall’interno. Nessuna risposta. Fra le 10,30 e le 11 la domestica e Domitilla tornano a bussare, ancora nessuna risposta. Niente anche dal telefono interno. Riescono a entrare solo con una seconda chiave e trovano il cadavere della contessa a terra, con le braccia

aperte in posizione di resa e la testa avvolta in un lenzuolo insanguinato. C’era sangue ovunque: sulle pareti, sulla moquette e sulla camicia da notte della contessa. Le indagini e le false piste. Secondo le perizie svolte sul cadavere, si scopre che la donna è stata prima tramortita con un violento colpo inferto con un corpo contundente (forse uno zoccolo, ma l’arma del delitto non sarà mai trovata) e poi strangolata. Sul collo, i segni delle mani dell’assassino che la stringono fino a ucciderla. Sul luogo del delitto mancano alcuni preziosi, ma il grosso dei gioielli di famiglia non era stato toccato. Così come il Rolex al polso della vittima, per questo inizialmente non si ipotizzò la rapina come movente all’omicidio. Inizialmente la pista fu quella del delitto passionale: l’omicidio poteva essere maturato a seguito di un raptus di follia, ma ben presto questa tesi lasciò il posto a un’altra basata sul rapporto di fiducia della vittima con l’omicida, una persona che avrebbe potuto avere libero accesso in casa. I primi sospetti caddero sul figlio dell’insegnante di inglese dei bambini, un giovane con disturbi psichici (Roberto Jacono) inquisito per delle macchie di sangue sui suoi pantaloni. Ma sarà poi scagionato dall’esame del Dna. Poi, i sospetti si spostarono su un cameriere filippino licenziato poco tempo prima, Manuel Winston, anche lui scagionato con la prova del Dna. Nell'autunno del 1991 le indagini


sono a un punto morto. Riprendono corpo nel 1993 con lo scandalo Sisde che coinvolge l’allora Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. L’indagato per la costituzione di fondi privati tramite i fondi del Sisde, Michele Finocchi era il capo della polizia e uno dei primi ad accorrere sul luogo del delitto della contessa. Intervenuto subito per una questione di soldi non di indagine, almeno secondo le ipotesi della Magistratura. Il Pm scopre e sequestra dei conti bancari a Zurigo intestati alla contessa contenenti svariati miliardi. Troppi per una famiglia di conti e imprenditori. Si scrisse e disse molto su questo intricato delitto. Emerse anche che la contessa voleva divorziare dal marito il quale avrebbe avuto un’amante. Notizia che gettò la famiglia nello scandalo e il marito Pietro Mattei sotto i riflettori. Ma a carico dell’imprenditore ci sono solo chiacchiere e nessuna prova concreta: i suoi abiti sono puliti e risultati negativi al test del Dna. Oltretutto ha un alibi di ferro (all’ora dell’omicidio si trovava in un bar, come confermato dal barista). Nel 1996 una rogatoria internazionale consente di venire a capo della questione finanziaria della contessa e di scoprire ingenti trasferimenti di denaro dalla Svizzera al Lussemburgo, ma le indagini si arenano di nuovo. Nel 2004 il caso viene riaperto concentrandosi su un dettaglio relativo alla morte: la contessa sarebbe morta per una particolare forma di soffocamento provocata dalla pressione del dito sulla carotide, tecnica tipica delle arti marziali di cui un imprenditore di Hong Kong, Franklin Yung, amico di

famiglia e residente poco distante dalla villa della tragedia era esperto conoscitore. E’ solo l’ennesima ipotesi che finisce con il nulla. Il caso dell’omicidio della contessa Filo Della Torre viene definitivamente archiviato a giugno del 2005. Nel gennaio 2007 su richiesta del marito della vittima di rivedere le prove raccolte e sottoporle a nuove tecniche investigative con l’utilizzo di macchinari più sofisticati, il Procuratore accoglie l’istanza e riapre il caso. Novità arrivano in Procura a giugno 2008: gli esami individuano tracce di sangue su un fazzoletto rinvenuto sul luogo del delitto. Tracce ematiche che non appartengono ad alcuno dei precedenti sospettati. Alla lista si aggiunge intanto, nel giugno 2009, alcune nuove dichiarazioni da un'amica della contessa: la signora Lisa Marianne Jorgensen, che racconta agli inquirenti delle confidenze della contessa e delle sue preoccupazioni sul fatto di esser spiata da uno sconosciuto. Inoltre, la nuova testimone rivela anche che poco tempo prima la vittima aveva rifiutato a Franca Senapa (madre di Jacono) un prestito e che tale rifiuto era terminato con un'accesa discussione. Il Gip Cecilia Demma decide di riaprire il caso sulla base di questi nuovi elementi. Nel 2010 il Pm Francesca Loy, che si occupa del caso, affida una duplice analisi al Ris: una sul Rolex che la contessa aveva al polso al momento dell’omicidio e una sul lenzuolo. Dopo qualche mese, l’avvocato del marito della contessa chiede al Pm di acquisire agli atti un’agenda segreta della contessa, che secondo la sua tesi, conterrebbe “nomi illustri”. Il

26 novembre 2010 un’amica della vittima, Emilia Parisi Halfon, si presenta ai carabinieri per consegnare un cellulare che sarebbe appartenuto alla contessa e che le sarebbe stato consegnato dal marito della contessa Della Torre, il quale, all'epoca, l'aveva pregata di tenerlo nascosto. Il 29 marzo 2011 il test del Dna accerta la colpevolezza in modo definitivo del cameriere filippino licenziato poco tempo prima del delitto e inizialmente sospettato, Manuel Winston, che ha confessato il primo aprile 2010. Nel 2009 inoltre, il giornalista Bruno Vespa viene condannato a 1.000 euro di multa per diffamazione nei confronti di Pietro Mattei, condanna con sentenza definitiva della Cassazione. Il giornalista Rai, in una puntata di “Porta a Porta” del 2002 avrebbe accostato Mattei all'omicidio per i presunti fondi neri del Sisde e per evitare il divorzio dalla moglie, la quale aveva scoperto che il marito aveva un'amante. Mattei rimarrà il principale sospettato fino alla confessione del domestico. L’assassino. Il filippino Manuel Winston Reves, reo confesso dell’omicidio della contessa il delitto il primo aprile 2010. Era stato licenziato dalle dipendenze della contessa poco tempo prima della tragedia. Ora che la Procura chiede che sia condannato all’ergastolo, l’ex domestico chiede perdono al vedovo Mattei e ai figli della vittima. “Non volevo fare del male, mi dispiace, perdono” avrebbe detto Winston Manuel Reyes in aula. Il 14 novembre la sentenza. TALITA FREZZI D: In che consistono le accuse di


omicidio volontario e rapina contestate all’imputato? R: Il reato di omicidio volontario consiste nella condotta di chi cagiona la morte di un uomo volontariamente ed è punito con la reclusione non inferiore ad anni 21 ma si arriva all’ergastolo in caso di ipotesi aggravate. Il reato di rapina, invece,è la condotta di chi per procurare a sé od altri un ingiusto profitto s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, mediante violenza o minaccia alla persona. Si differenzia (ma non per la pena) dalla c.d rapina impropria che si ha quando la violenza o minaccia viene adoperata immediatamente dopo la sottrazione per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta e per procurare a sé od al altri l’impunità. D: In che consiste la condanna all’ergastolo? R: Si tratta di una pena detentiva prevista per la commissione di delitti e che in teoria è perpetua ma di fatto non lo è, dato che nel nostro ordinamento il condannato può usufruire di diversi benefici e sconti di pena (a seconda della condotta tenuta e del tempo che ha trascorso in stato di detenzione). La pena è scontata in uno degli stabilimenti a

ciò destinati, con l'obbligo del lavoro e con l'isolamento notturno. Inoltre il condannato all'ergastolo può essere ammesso al lavoro all'aperto. Nel caso di giudizio abbreviato, come nel caso in questione, alla pena dell’ergastolo è sostituita quella della reclusione di 30 anni mentre alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno è sostituita quella dell’ergastolo. D: Agli altri “protagonisti” della vicenda che nel corso dell’indagine hanno reso dichiarazioni messe agli atti e poi archiviate, potrebbe venire contestato qualcosa? R: Potrebbero essere accusati di favoreggiamento personale se viene accertato che con la loro condotta abbiano in qualche modo depistato le indagini; il reato in questione infatti punisce con la reclusione fino a 4 anni chi, dopo la commissione di un reato, aiuta il colpevole ad eludere le indagini o a sottrarsi alle ricerche. I soggetti sentiti dal PM nel corso delle indagini o dalla Polizia Giudiziaria delegata, potranno invece essere accusati del reato di false informazioni al Pubblico Ministero che viene punito con la reclusione fino a 4 anni. D: Il reato di diffamazione a mezzo stampa viene punito solo con una multa?

R: No, la diffamazione a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità o con atto pubblico è punita con la reclusione da 6 mesi a 3 anni in alternativa ad una multa non inferiore a 516 euro. D: In quali casi un’indagine può essere riaperta dopo che ne è stata disposta l’archiviazione? R: All’esito delle indagini preliminari, il Pubblico Ministero deve decidere se chiedere il rinvio a giudizio della persona nei cui confronti è iniziato il procedimento oppure chiedere al giudice delle indagini preliminari (GIP) l’archiviazione quando la notizia di reato è infondata e quindi l’accusa non potrebbe essere sostenuta in giudizio, quando sussiste una causa di improcedibilità dell’azione o di estinzione del reato, oppure quando non si è riusciti ad individuare i colpevoli rimasti pertanto ignoti. Il GIP può accogliere la domanda di archiviazione e disporla oppure può anche non accoglierla e fissare un’apposta udienza all’esito della quale avrà diverse possibilità ovvero disporre l’archiviazione, indicare al PM ulteriori indagini da compiere, ordinare al PM di formulare entro 10 giorni l’imputazione. AVV.VALENTINA COPPARONI


Russia: profana tombe Ruba cadaveri di donna e vive con 29 mummie MOSCA, 8 NOVEMBRE ’11 Viveva con 29 mummie di donne tra i 12 e i 15 anni, sedute con le gambe accavallate in camera da letto o gettate sul pavimento del garage. Tutte agghindate come macabre bambole dal pallore non di porcellana ma della morte. Autore della macabra convivenza, un 45enne di Nizhni Novgorod, paesino a 500 chilometri da Mosca. L’uomo Anatoli Moskvin - studioso di toponomastica con un dottorato sulla cultura celtica e già autore di alcune pubblicazioni di toponomia e di onomatica, collezionava cadaveri femminili che vestiva, truccava e pettinava per trasformarli in bambole da tenere in casa. Sembrava la scena madre del film “Psicho” di Hitchcock, quella che si è presentata agli occhi della polizia quando ha fatto irruzione in casa dello studioso per arrestarlo. Contro di lui le accuse di profanazione di luoghi sacri e vilipendio di cadavere. L’inchiesta è partita lo scorso anno su segnalazione dei direttori di alcuni cimiteri locali che denunciavano la profanazione di tombe e i cadaveri di giovani donne spariti. Immediatamente i sospetti erano caduti sull’azione di gruppi estremisti o sulle sette sataniche ma dopo un anno di indagini e l’appostamento di un agente in un piccolo cimitero locale hanno svelato una verità forse ancora più agghiacciante. Lo studioso era stato colto in flagranza di reato mentre usciva dal cimitero con un grosso borsone in spalla che conteneva il cadavere di una ragazza appena

sepolta. Da lì sono scattate le perquisizioni domiciliari. E si è scoperchiato un vaso di Pandora pieno di demoni e di incubi agghiaccianti, di cui i genitori di Moskvin sembravano essere del tutto all’oscuro fino all’irruzione della polizia. Nella stanza del ricercatore, 28 cadaveri travestiti da bambole, alcuni dei quali gettati sul pavimento, altri sistemati tra gli scaffali della libreria, altri ancora seduti con le gambe accavallate. Per agghindarli usava gli stessi vestiti usati dai famigliari per la sepoltura. L’uomo, che secondo gli investigatori avrebbe visitato oltre 700 cimiteri negli ultimi anni, all’interrogatorio della polizia ha sostenuto che andava per cimiteri a scopo culturale, era sua intenzione scrivere una guida. Ma non ha spiegato il perché rubasse quei corpi, li portasse a casa, travestendoli da bambole. TALITA FREZZI D: In che consistono i reati di profanazione di luoghi sacri e vilipendio di cadavere? R: La profanazione di luoghi sacri è prevista dal nostro codice penale dall’art. 408 (vilipendio di tombe) che punisce chiunque in cimiteri o altri luoghi di sepoltura commette vilipendio di tombe, sepolcri o urne o di cose destinate al culto dei defunti ovvero a difesa o ornamento dei cimiteri, con la reclusione da 6 mesi a 3 anni. La violazione di cadavere, invece,

punisce la condotta di chi compie atti vilipendio sopra un cadavere o sulle sue ceneri ed è punito con la reclusine da 1 a 3 anni mentre se il colpevole deturpa o muta il cadavere o commette su di questo atti di brutalità o di oscenità è punito con la reclusione da 3 a 6 anni. D: In che consiste la flagranza di reato? R: Significa che un soggetto viene colto nell’atto di commettere un reato oppure subito dopo il reato è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone oppure è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima (c.d. quasi flagranza). D: Nel corso dell’indagine, come vengono disposti appostamenti, intercettazioni ambientali e perquisizioni personali/domiciliari? R: E’ il Pubblico Ministero titolare del procedimento che decide le tipologie, modalità e tempi statica di compimento delle indagini anche attraverso l’ausilio della polizia giudiziaria che può essere delegata al compimento di taluni atti. D: I famigliari di Anatoli Moskvin potrebbero essere indagati per favoreggiamento o coinvolti nel procedimento a carico del figlio? R: Nel nostro ordinamento i famigliari potrebbero essere coinvolti, ad esempio a titolo di favoreggiamento personale, qualora dalle indagini venga accertato che con la loro condotta abbiano in qualche modo aiutato il colpevole ad


eludere le indagini o a sottrarsi alle ricerche, dopo la commissione del reato. Qualora poi fossero stati anche sentiti dal PM nel corso delle indagini o dalla Polizia Giudiziaria delegata e venga accertato che abbiano mentito, potrebbero essere accusati del reato di false informazioni al Pubblico Ministero. Qualora invece emerga che i famigliari abbiano aiutato il figlio

nella commissione dei fatti, anche attraverso un sostegno morale, rischierebbero di essere coinvolti a titolo di concorso nei reati commessi dallo stesso. D: I famigliari delle donne morte i cui cadaveri sono stati trafugati e profanati, potrebbero costituirsi parte civile nel processo e chiedere un risarcimento danni? R: Se i fatti fossero accaduti in Italia,

potrebbero certamente richiedere un risarcimento del danno in qualità di danneggiati dai reati commessi oppure potrebbero esercitare un’apposita azione civile in tal senso. In quest’ultimo caso però l’azione in sede civile è alternativa alla richiesta risarcitoria nell’ambito del processo penale. AVV. VALENTINA COPPARONI

Boom di cosmetici falsi E' allarme salute ROMA, 10 NOVEMBRE '11 Costano poco e nessuno li ha mai sentiti reclamizzare, ma promettono effetti miracolosi sulla pelle, gli stessi che magari attraggono la nostra attenzione dalle pubblicità con le modelle e solo perchè una diva giura di usarli quotidianamente come arma di seduzione, costano tantissimo. Sono i cosmetici, i migliori amici della bellezza femminile. Tante le marche di prodotti che possiamo trovare nelle profumerie con un ventaglio di prezzi dal modico all'esagerato, ma ce ne sono anche molti che si trovano nei supermercati a low-cost o addirittura nei bazar cinesi. Proprio per questi ultimi, graziosi nelle confezioni e a prezzi minimi, a livello nazionale è scattato l'allarme. Secondo alcune stime, negli ultimi tre anni il consumo di questi prodotti sarebbe aumentato del 128% e ci riferiamo soprattutto a profumi e cosmetici "falsi", quelli Made in China o chissadove, quelli senza le relative indicazioni di legge per la tutela della salute, quelli che magari hanno il marchio contraffatto di noti

profumi francesi e invece a spruzzarli hanno una spiccata base di borotalco. Nel 2010 ne sarebbero state sequestrate circa 40.000 confezioni dalla Guardia di Finanza e dai Nas. Vengono prodotti anche in Italia, ma provengono per il 40% dalla Cina e per il 20% dall'Indonesia, molti di questi prodotti vengono immessi sul mercato dalla Camorra. I rischi per la nostra salute provengono anche da quel 5% di dentifrici e 10% di profumi falsi che annualmente sono prodotti in 25 e 85milioni di confezioni. Dopo l'allarmemelamina, composto chimico con cui erano state contaminate delle partite di latte e latticini cinesi e che mesi fa aveva causato la morte di quattro bambini, ora da parte della Comunità Internazionale e del Ministero della Salute c'è massima attenzione e ancora più rigidità in materia di frode alimentare e sanitaria. Il nostro Paese ha lanciato linee guida ispirate a un principio di massima cautela sia per i prodotti già presenti sul territorio (sottoposti ad attenti controlli sanitari) sia per

quelli destinati a essere introdotti sul territorio nazionale. TALITA FREZZI D: Chi produce e mette in commercio profumi e prodotti "falsi" che potrebbero arrecare danni alla salute, di cosa potrebbe essere accusato? R: Certamente di lesioni personali volontarie se i danni si arrecano e se era prevedibile che ciò accadesse. I reati ipotizzabili sono la vendita di prodotti industriali con segni mendaci (art. 517 c.p.) , l’introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 c.p.) ed eventualmente anche il reato di truffa. D: Nel caso specifico si procede solo con una denuncia all’autorità giudiziaria e con il relativo sequestro della merce, o anche con la chiusura (temporanea) dell’attività? R: In caso di accertate e reiterate violazioni in materia, è ipotizzabile quale sanzione accessoria la sospensione e nei casi più gravi anche la revoca delle licenze o


comunque delle autorizzazioni commerciali. D: Nel caso in cui i prodotti venduti abbiano arrecato danni alla salute del consumatore/acquirente, questi come potrebbe rivendicare il proprio diritto alla salute su merce palesemente contraffatta? R: Potrebbero essere esercitate azioni risarcitorie nei confronti dei soggetti che hanno fabbricato ma anche messo in vendita o comunque distribuito le merci contraffatte o comunque prive dei requisiti necessari e richiesti dalla legge a tutela della salute dei consumatori. Infatti in caso di vendita di prodotti non a norma sul piano meramente contrattuale il rapporto di compravendita è nullo per cui si può procedere alla relativa restituzione ad anche alla richiesta di risarcimento dei danni eventualmente subiti. D: Nel caso in cui l'uso o l'ingestione di tali prodotti provochi intossicazione, la persona intossicata e che ha acquistato il prodotto cinese, potrebbe avere rivalse sul commerciante? R: Certamente sì, a meno che a sua volte il commerciante italiano che vende tali prodotti non riesca a dimostrare di esserne totalmente inconsapevole e magari truffato nell'acquisto da parte del distributore.

coloranti per capelli low-cost venduti nei bazar? R: A partire dall'alcol, che viene usato nei conservanti, nei profumi e nei coloranti, provocando irritazioni e facilitazione dell'assorbimento di sostanze allergizzanti, vi sono altre sostanze che possono arrecare danni anche più gravi. Si trovano, poi, sostanze naturali che provocano irritazioni cutanee, mentre non sono presenti antibatterici perchè troppo costosi, ma che ostacolerebbero la proliferazione di batteri, causa dinfezioni cutanee. D: A cos'altro dobbiamo fare molta attenzione quando si tratta di profumi o cosmetici falsi? Quali gli effetti? R: Non bisogna sottovalutare i metalli pesanti (Cromo3 e Cromo4, Nickel e Cobalto) che pur non provocando esiti letali - data la modesta concentrazione - sono comunque responsabili di reazioni allergiche locali (in prevalenza dermatite da contatto). Ma è giusto rammentare che il Cromo a concentrazioni elevate, se inalate o ingerite,(malattie professionali) possono causare asma, bronchite cronica e cancro del polmone e dei seni paranasali e morte. Per quanto riguarda il Nickel, i dati statistici rilevano che il 10% delle donne presenta allergie, per l'uso di piercing, orecchini, bigiotteria ed altro. In particolare, sono affette da dermatite da contatto, con eritema, AVV.TOMMASO ROSSI desquamazione e vescicole, sino D: Quali in danni alla salute dei all'eczema. profumi made in China o dei D: E per gli alimenti, come nel

caso del latte contaminato da melamina? R: Purtroppo, anche l'ingestione di alimenti (e sono tanti: tonno, sgombro, cipolla, pomodoro, tè, cioccolato, birra, vino ed altri), contenenti nickel, può causare lesioni cutanee di tipo eczematoso. D: Quali altre sostanze possono risultare tossiche? R: Il Cobalto, anch'esso presente nei cosmetici e usato nelle protesi amovibili dentarie, può provocare dermatite. Si tratta di una gradazione del blu. E' tossico solo ad elevate concentrazioni. La Formaldeide è ubiquitaria, come prodotto di combustione, nell'edilizia e nella fabbrica di mobili, nei detersivi, vernici, ammorbidenti, lucido per le scarpe, fumo di sigaretta, battericidi e nell'imbalsamazione. Purtroppo, si trova anche nei cosmetici: indurenti delle unghie, lozioni per capelli, fondotinta, mascara, creme per il viso o il corpo. Può provocare irritazione delle mucose con congiuntiviti, faringiti e con iperreattività bronchiale e conseguente asma bronchiale. Inoltre, dermatite. Se inalata produce stanchezza, angoscia, emicrania, nausea, sonnolenza e vertigini. E' riconosciuta come causa di tumori del naso e della gola. Quindi è molto più sicuro acquistare prodotti cosmetici puri, non falsi, presso le profumerie, farmacie e grande distribuzione, escludendo le bancarelle, i bazar e via Internet". DOTT.FRANCESCO BRAVI


Parigi: processo per il terrorista Carlos Detto “lo sciacallo” PARIGI, 10 NOVEMBRE – Illich Ramirez Sanchez ‘Carlos’, detto lo sciacallo, e’ uno dei terroristi più famosi al mondo anche per il compimento di azioni eclatanti come il sequestro nel 1975 alla sede dell’Opec di Vienna dove rapì e tenne ostaggi una 60 persone. E’ ritenuto responsabile di numerosi attentati in Francia negli anni settanta-ottanta, con l’esplosione di autobombe e l’ attacco a vari treni fra cui quello su cui avrebbe dovuto viaggiare il presidente Jaques Chirac e quello al treno d’alta velocità Marsiglia- Parigi.Sarebbe responsabile anche della bomba alla stazione di Marsiglia.Ha iniziato le azioni terroristiche nel Fronte Popolare per la liberazione della Palestina, per poi dar vita ad una organizzazione propria composta da mercenari: la Organizzazione Araba per la Lotta Armata. Nella sua carriera ha dichiarato di aver ucciso con le sue azioni fra le 1500 e le 2000 persone e risulta coinvolto in numerosissimi attacchi, fra cui anche l’uccisione degli atleti israeliani nelle olimpiadi di Monaco ’72. Si pensa ad una sua collaborazione con i servizi segreti di paesi ex

comunisti e qualcuno ritiene che potesse essere un agente del Kgb. Rifugiatosi in Sudan nel ’94, fu consegnato alla Polizia francese e condannato all’ergastolo nel ’97 per l’omicidio di due agenti francesi e un libanese. Nei giorni scorsi, Carlos è tornato avanti alla Corte d’Assise di Parigi dove è imputato per il compimento di 4 attentati dove rimasero uccise 11 persone e vi furono decine di feriti: è la prima volta che Carlos dovrà rispondere per atti terroristici. Il processo dovrebbe finire a metà dicembre. Lo ‘sciacallo’ è entrato in aula salutando la platea a pugno chiuso e al giudice ha detto di essere ‘un rivoluzionario di professione’. In carcere scrisse anche un libro intitolato Islam rivoluzionario in cui c’è anche un’esaltazione di Usama Bin Laden e dei suoi attacchi all’occidente. A.D. D: Carlos, ricercato quale terrorista, fu consegnato dalle autorità sudanesi alla Francia, cosa significa estradizione? uno Stato può opporsi all’estradizione di un criminale che si trova nel suo

territorio? R: L’estradizione è la consegna da parte dello Stato cui perviene la richiesta allo Stato richiedente, di una persona ricercata o nei cui confronti deve essere eseguita una sentenza di condanna definitiva ad una pena detentiva o ad una misura di sicurezza (c.d. estradizione esecutiva) o perchè deve essere eseguita una ordinanza di custodia cautelare (c.d. estradizione processuale). Inoltre può essere passiva (consegna dall’Italia ad uno Stato estero) oppure attiva (consegna da uno Stato estero all’Italia). Uno Stato può anche opporsi all’estrazione di un criminale che si trova sul proprio territorio quando per il reato per il quale l'estradizione è stata domandata, la persona è stata o sarà sottoposta a un procedimento che non assicura il rispetto dei diritti fondamentali; quando vi è ragione di ritenere che l'imputato o il condannato verrà sottoposto a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona. AVV. VALENTINA COPPARONI


Cassazione Assolto il pusher condannato per la morte di Marco Pantani ROMA, 10 NOVEMBRE '11- Per ben due volte, sia in primo grado che in appello, era stato ritenuto lui il principale artefice della morte di Marco Pantani nel febbraio 2004 a causa di un’overdose di cocaina. Ora la Cassazione ha assolto Fabio Carlino, il pusher che aveva venduto la partita di cocaina purissima che uccise ‘il Pirata’. Insieme a Carlino erano accusati Fabio Miradossa e Ciro Veneruso. La condanna a quattro anni e sei mesi e ad una multa di 300 mila euro da pagare alla famiglia Pantani era stata confermata in appello: l’accusa era morte come conseguenza di altro reato, ma il sostituto procuratore della Cassazione Oscar Cedrangolo si era detto non convinto di quelle pronunce, sostenendo che i giudici potevano essere stati influenzati dalla eccessiva spettacolarizzazione dell’inchiesta sulla morte del campione di Cesenatico. Nella sua requisitoria, Cedrangolo ha affermato che non è certo che fu il Carlino a rendere noto agli altri 2 spacciatori che consegnarono la droga, dove risiedesse Marco Pantani, ne’ che il pusher fosse a conoscenza di un precedente malore del ciclista che avrebbe reso, come poi purtroppo fu, letale quella dose. E’ stato così chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza a carico di Carlino per il reato di morte come

conseguenza di altro reato, mentre è stata chiesta la conferma per il reato di spaccio. La Cassazione si è ora pronunciata assolvendo Carlino perché ‘il fatto non costituisce reato’. Si chiude così la vicenda giudiziaria sulla triste morte di un grande campione che è entrato nella storia: nessuno scorderà mai il Pirata. ANDREA DATTILO D: La Cassazione è giudice di legittimità e non di merito, si pronuncia sulla applicazione del diritto piuttosto che sui fatti: come è possibile che due precedenti pronunce siano ribaltate? R: La Cassazione decide sempre sulla base degli atti a sua disposizione, non acquisendone di nuove e non andando a valutare il merito dei fatti ma la legittimità, cioè l’aderenza alla legge e la logicità della motivazione della sentenza o ordinanza impugnata. Ha funzione di giudice di ultima istanza e anche funzione c.d. nomofilattica. L’aggettivo “nomofilattico” deriva dal greco e si intende la funzione di garantire l’esatta ed uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale. Tale funzione è attribuita dal nostro ordinamento alla Corte di Cassazione che deve, da un lato, garantire l’attuazione della legge nel caso concreto e dall’altro fornire

indirizzi per un’interpretazione uniforme (attraverso uniformità della giurisprudenza) per mantenere una unità dell’ordinamento giuridico. D: Cosa vuol dire cassare una sentenza con o senza rinvio? R: La Cassazione può confermare il provvedimento che diventa definitivo, oppure annullarlo (cassarlo), in tutto o in parte. L’annullamento può essere senza rinvio, ed è la stessa Cassazione ha procedere all’irrogazione del provvedimento che ritiene necessario; oppure con rinvio al Giudice che ha pronunciato il provvedimento, che deve provvedere uniformandosi alle determinazioni suggerite dalla Cassazione nella sentenza di annullamento. D: Cos'è il reato di morte come conseguenza di altro reato? R: Il reato di morte come conseguenza di altro delitto punisce il fatto preveduto come delitto doloso da cui sia derivata, quale conseguenza non voluta, la morte o la lesione di una persona. La Cassazione richiede comunque la sussistenza di un coefficiente di riferibilità psicologica, a titolo di colpa, dell'evento non voluto. In questo caso il reato voluto era lo spaccio, la conseguenza non voluta la morte. AVV.TOMMASO ROSSI


Dopo due anni di esami anni arriva la diagnosi: cancro alla prostata. Ormai però è troppo tardi FANO, 11 novembre 2011 – E’ una storia incredibile quella che ha visto coinvolto il fanese Pietro Stellone, morto a 67 anni a causa del cancro, nonostante le visite mediche e gli esami avessero diagnosticato in qualche modo il problema già da qualche tempo. Ricostruiamo la vicenda: Pietro Stellone ha 59 anni quando decide di sottoporsi a degli esami ematologici, anche alla ghiandola prostatica. Pratica sport, è un ciclista appassionato, e fisicamente sta bene quindi sua intenzione era quella di fare un semplice controllo. E invece dalle analisi emerge che un valore della prostata è troppo alto rispetto alla norma. Tuttavia all'ospedale Santa Croce di Fano, dove l'uomo ha fatto gli esami, questo dato sembra essere regolare tanto che non viene segnalato in alcun modo. Stellone ha un valore dell’antigene prostatico pari a 4.59 ng/ml, ma le indicazioni del nosocomio menzionano il limite di 10 ng/ml per rientrare nella norma. L'anno successivo il fanese decide di ripetere gli esami e questo valore aumenta fino a 6,15 ng/ml. Niente di preoccupante neppure in questo caso perchè il limite di 10 non è stato superato e anche il medico di base dell'uomo non sembra dare peso ai risultati. Nessun approfondimento viene richiesto finché nel 2005 Stellone si sottopone all'ennesimo controllo e questa volta il valore della prostata fa saltare sulla sedia tutti: 33, 68 ng/ml. Il dato allarmante questa volta preoccupa anche il medico di base che prescrive quindi un approfondimento con ecografia dalla quale emerge un carcinoma della prostata. Anche l'esame istologico conferma la

diagnosi e Stellone si vede costretto a sottoporsi ad un intervento chirurgico. Due anni dopo l'intervento, però, per l'uomo non c'è più nulla da fare. Stellone è morto per una diagnosi arrivata con due anni di ritardo. Infatti, a quanto pare, il valore limite per gli esami alla prostata sarebbe pari a 4, una soglia già superata sin dal primo controllo. Adesso la famiglia di Stellone vuole vederci chiaro e, dopo essersi vista riconoscere dall’assicurazione dell’ospedale fanese un risarcimento per l’attività del laboratorio analisi, ha citato in giudizio il medico di base. Il processo presso il Tribunale di Fano prenderà il via a dicembre. ELEONORA DOTTORI D: Per quale reato è stato citato in giudizio il medico di base? R: Per il reato di omicidio colposo ovvero non volontario ma causato da negligenza, imprudenza o imperizia per il quale il nostro codice penale prevede la pena della reclusione da 6 mesi a 5 anni e la procedibilità d’ufficio. D: Secondo i valori dell'ospedale Stellone non aveva nulla di cui preoccuparsi fino alla terza occasione. Può essere un'attenuante per il medico di base? R: In genere gli esami di laboratorio compiuti presso un ospedale restano “sotto il controllo”, quanto alla loro valutazione, del medico che li ha prescritti, in questo caso il medico di base, a meno che in ospedale non ci si rivolga al reparto specialistico, in questo caso ad un medico oncologo. D: Che cosa succede in Italia quando un medico viene accusato di omicidio (colposo)? Quali

potrebbero essere le conseguenze sulla sua professione? R: Di regola viene aperto un parallelo procedimento disciplinare da parte dell’ordine di appartenenza che rimane sospeso fino all’ esito definitivo del processo; in alcuni casi, però, in via cautelare, vengono applicate sanzioni disciplinari (es. la sospensione) anche prima della definizione processuale e ciò in relazione alla gravità del reato e della condotta tenuta dal medico. AVV.TOMMASO ROSSI D: Che tipo di esame è stato eseguito?Qual'è il valore limite per questo tipo di analisi? R: Il PSA (antigene prostico specifico) ha assunto un rilevante ruolo nella diagnosi del tumore della prostata per la sua elevata sensibilità e specificità. Ciò vuol dire che è in grado di rilevare precocemente la patologia e con una buona specificità per il tumore. Per il suo dosaggio è sufficiente un semplice prelievo di sangue. La prostatite è la patologia non tumorale che può ugualmente dare valori alti . Comunque è diventato test fondamentale in tutto il mondo per la diagnosi del tumore della prostata tanto che le linee guida ne suggeriscono l'esecuzione ad iniziare intorno ai 55-60 anni. Il range della normalità è entro 4-4,5. Con valori superiori il test va ripetuto a distanza di 2-3 mesi e, se confermato va anche eseguita l'ecografia della prostat e meglio anche una visita urologica con esplorazione rettale per la valutazione dell'organo. DOTT. GIORGIO ROSSI (ONCOLOGO)


Cingoli: precipita elicottero. Morti tre professionisti CINGOLI (MACERATA), 11 NOVEMBRE ‘11 - Il cielo velato di nebbia sopra Marcucci, località nel comune di Cingoli, nel Maceratese, si tinge di nero. Il nero del lutto, il nero del fumo, il nero della morte. Un elicottero è precipitato questa mattina dopo aver volato a lungo a bassa quota. Tre le vittime accertate, in quella tragedia che presto si è trasformata in rogo. I corpi ormai carbonizzati dell’imprenditore Ermanno Sarra, 46 anni amministratore delegato del Gruppo Ospedaliero Ars Medica e di due fratelli gemelli romani Enrico Maria Mastroddi avvocato e Stefano Mastroddi, 40 anni commercialista, sono stati recuperati non lontano dai rottami del velivolo. Difficili e lunghe le operazioni di spegnimento del fuoco che si è sprigionato inevitabile e con ferocia dopo l’impatto dell’elicottero al suolo. L’incidente si è verificato tra San Severino e Cingoli. L’elicottero modello A109 blu con la pancia argentata siglato HBZJN e immatricolato in Svizzera - era stato noleggiato da Sarra che appassionato di volo, si trovava anche al comando. L’elicottero di proprietà di una società svizzera, doveva trasportare gli imprenditori da Roma a Falconara, sembra che questo viaggio fosse una sorta di sopralluogo di lavoro visto che Sarra

aveva interessi nelle Marche e in particolare rivolti a una casa di cura di Montecarotto. Stando alle testimonianze di alcuni, il velivolo avrebbe volato a bassa quota - forse a causa della fitta nebbia di stamattina che potrebbe aver impedito la visibilità - tentando un atterraggio in un campo coltivato. Ma appena toccato terra, l’esplosione. L’agenzia nazionale per la sicurezza del volo (ANSV) ha aperto l’inchiesta di sua competenza e inviato sul luogo della sciagura un investigatore che dovrà raccogliere elementi durante il sopralluogo utili a chiarire i contorni della vicenda e le eventuali responsabilità. Sul posto anche i vigili del fuoco di Macerata e Jesi, i carabinieri e il 118.

TALITA FREZZI

D: L’indagine interna condotta dall’ANSV influirà su quella della Procura? R: Certamente sì, in quanto gli accertamenti prettamente tecnici che compirà per ricostruire la dinamica dell'evento potranno essere utilizzati anche dal magistrato che conduce l'indagine, ferma restando la sua possibilità di avvalersi di altri consulenti tecnici che ricostruiscano

la dinamica e le eventuali responsabilità. D: La Procura aprirà un fascicolo per la tragedia? R: S', tendenzialmente quando accade una sciagura del genere si apre un'indagine contro ignoti per verificare se vi possano essere delle responsabilità colpose (magari del pilota, o della torre di controllo che ha dato l'ok al volo, o da chi aveva controllato l'aereo) o, invece, l'evento sia solo stato causato da motivi imprevedibili o eneti atmosferici. D: Alla società dove l’elicottero è stato noleggiato potrebbero essere contestati dei reati? Quali? R: Certamente il primo compito di chi svolge le indagini sarà capire se sia stata fatta l'esatta manutenzione del velivolo, se sia stato riempito di carburante e se tutto fosse a posto da questo punto di vista. D: Qualora la causa dello schianto sia da imputare al maltempo (nebbia) e alla scarsa visibilità, come si procederà nell’inchiesta? R: Verrà archiviato tutto, a meno che non si dimostri che queste condizioni vi erano sin dall'autorizzazione al volo, che non sarebbe pertanto nemmeno dovuto partire. AVV.TOMMASO ROSSI


FOCUS ROCK & DIRITTO La “nera” gelosia di Bertrand Cantat 13 NOVEMBRE 2011- Bertrand Cantat è stato per anni il leader del gruppo rock alternativo francese Noir Désir formatosi negli anni ‘80 e all’apice del successo, soprattutto in territorio francese, dalla fine degli anni ‘90. Il gruppo, espressione di una musica energica ma dalle tonalità a tratti violente, è stato impegnato anche in una fervida lotta sociale contro il capitalismo.Il 29 marzo 2004, proprio nel momento di maggiore successo della band, il leader Bertrand Cantat viene condannato da un tribunale della Lituania a scontare 8 anni di reclusione per l’omicidio della compagna Marie Trintignant, attrice e figlia d’arte del celebre attore francese Jean-Louis Trintignant e della sua seconda moglie. I due vivono da tempo una relazione molto passionale ma anche burrascosa ed è il 23 luglio 2003 quando Marie si trova nella camera dell’albergo di una cittadina lituana, Vilnius, insieme al suo compagno che ha deciso di raggiungerla durante le riprese del suo film “Colette”. Quella sera d’estate i due festeggiano la fine delle riprese del film con alcool a fiumi quando all’improvviso si scatena l’inferno. Bertrand, accecato dai fumi dello champagne e dalla gelosia per aver letto un messaggio dell’ex marito di Marie, inizia a picchiarla con violenza fino a farla svenire; la

nebbia in cui è avvolta la sua mente non svanisce neppure di fronte alla gravità della situazione tanto che i soccorsi vengono chiamati soltanto alle prime luci del mattino quando ormai per Marie, purtroppo, c’è poco da fare. E’ in coma per un edema cerebrale e nemmeno le due operazioni cui è sottoposta riescono a salvarle la vita. Marie Trintignant muore il 1 agosto 2003 in Francia dove viene riportata dai suoi familiari.Le indagini della polizia si concentrano subito su Bertrand Cantat che se inizialmente è accusato soltanto di omissione di soccorso poi, all’esito degli accertamenti e della ricostruzione dei fatti, viene incriminato per omicidio. Al processo il cantante viene condannato ad 8 anni di reclusione. Nel 2007 gli viene concessa la libertà condizionale ed il 29 luglio 2010 è ufficialmente libero. A fine novembre 2010 viene annunciato anche lo scioglimento del gruppo Noir Désir. Una fine tragica che in Italia avrebbe portato Bertrand Cantat ad un’accusa per omissione di soccorso dato che il cantante ha chiamato aiuto per la compagna soltanto dopo ore dai tragici fatti e probabilmente per omicidio preterintenzionale (ossia oltre le intenzioni) che prevede la reclusione da 10 a 18 anni per chi cagiona la morte di una persona con atti diretti a commettere percosse o lesioni. Il

fatto poi che la mente del cantante fosse annebbiata dall’alcol non esclude né diminuisce l’imputabilità dello stesso anzi, qualora lo stato di ubriachezza, risulta preordinato al fine di commettere un reato o di prepararsi una scusa, la pena viene aumentata. Anche nel nostro ordinamento esiste la possibilità per un condannato di ottenere la c.d. liberazione condizionale qualora ricorrano sia requisiti oggettivi (aver scontato almeno 30 mesi o comunque almeno metà della pena; qualora la pena residua non superi i 5 anni; aver scontato almeno 4 anni di pena e non meno di 3/4 della pena irrogata, in caso di recidiva aggravata o reiterata; aver scontato almeno 26 anni di pena in caso di condanna all’ergastolo; aver scontato almeno 2/3 della pena, fermi restando gli ulteriori requisiti e limiti sanciti dall’art. 176 c.p., in caso di condanna per i delitti di cui all’art. 4bis legge 354/75) e soggettivi (aver tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il proprio ravvedimento; aver assolto le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che il condannato dimostri di trovarsi nell'impossibilità di adempierle). Che forse il nome del gruppo Noir Désir fosse un triste presagio per il leader?

VALENTINA COPPARONI


Cellulari e aumento dell’incidenza di tumori pericolo sventato MILANO, 13 NOVEMBRE ’11 – Cellulari e aumento dell’incidenza dei tumori: un caso che ha destato da sempre correnti di pensiero contrapposte e su cui la scienza medica da anni studia e si interroga. Davvero l’uso prolungato di telefonini cellulari, ormai divenuti quasi un’interfaccia del nostro quotidiano vivere, possono provocare tumori al cervello? Le onde elettromagnetiche sono cancerogene? Domande a cui è difficile dare risposte definitive, ma grazie a uno studio - il più grande e duraturo mai effettuato prima - i cui risultati sono stati riportati sul prestigioso “British Medical Journal” pare che il cellulare, indagato speciale per provocare tumori cerebrali, sia stato sollevato da questa orrenda responsabilità nei confronti di una comunità sempre più abituata all’uso continuo del cellulare, sempre più a confronto con l’elettrosmog. Per capire meglio di cosa parliamo, ci facciamo spiegare lo studio e i suoi risultati dal nostro esperto, l’oncologo Giorgio Rossi. TALITA FREZZI I campi elettromagnetici a radiofrequenze da vari anni sono "osservati speciali" per i loro potenziali effetti sulla salute. L'ambiente che ci circonda è carico di tali campi, tanto che si è coniato il termine, un po’giornalistico, di "elettrosmog ". Le principali fonti di emissione sono gli elettrodotti ad

alto voltaggio (bassa frequenza),infrastrutture per telecomunicazioni, i ponti radio, apparati wireless e i telefoni cellulari, ecc. (alta frequenza ). L'effetto sugli esseri viventi delle onde elettromagnetiche è quello di provocare un surriscaldamento con danni termici ai tessuti e pertanto alle cellule; per tale motivo è stata ipotizzata la loro possibile azione cancerogena. Sono, però, gli studi epidemiologici che hanno sollevato i maggiori sospetti avendo indicato anche se mai in modo definitivo una maggiore frequenza di tumori nelle persone esposte. Nello specifico i maggiori indiziati sono, appunto, i telefoni cellulari che provocherebbero un aumento dei tumori cerebrali (gliomi). Data la portata del problema si consideri che sono calcolati ben 5 miliardi di abbonamenti di telefonia mobile in tutto il mondo. La IARC (International Agency for Research on Cancer), un'agenzia dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, nel maggio 2011 ha formato un gruppo di lavoro composto da 31 scienziati di tutte le nazionalità riuniti per alcuni giorni a Lione (sede ufficiale dell'Agenzia) affinché valutassero la letteratura internazionale sull'argomento. Pur concludendo che i dati della letteratura non potevano essere considerati conclusivi, hanno evidenziato, però, un maggior rischio di

sviluppare gliomi nella classe di persone che utilizza il telefono cellulare mediamente più di 30 minuti al giorno per più di 10 anni. Da qui le raccomandazioni per ridurre l'esposizione come quella di usare i dispositivi di viva voce e gli SMS. L'articolo apparso ad ottobre 2011 sulla prestigiosa rivista scientifica “British Medical Journal”, fa tirare un sospiro di sollievo. Riporta i risultati dello studio di ricercatori della Danimarca (primo autore Patrizia Frei) sulla possibile causa dei telefoni cellulari di sviluppare tumori cerebrali e conclude dicendo che non esiste un aumento del rischio. Lo studio è di elevato valore scientifico in quanto è uno studio prospettico, cioè valuta il verificarsi dell'evento nel corso del tempo. Infatti, nel caso specifico, sono state arruolate circa 400.000 persone che avevano stipulato un contratto di telefonia mobile, tutte sane, seguite successivamente per 18 anni per verificare l'insorgenza di eventuali tumori cerebrali. Molti altri studi presenti in letteratura sono invece retrospettivi, cioè partono da persone in cui si è verificato il tumore e tramite intervista risalgono all'uso dei cellulari. Comunque la scienza, prima di affermare in modo definitivo un dato, ha bisogno di più conferme; pertanto al momento è forse più prudente non abbassare la guardia. DOTT. GIORGIO ROSSI


Assalto armato alla villa dell’ex pilota Franco Uncini La figlia in ostaggio RECANATI, 14 NOVEMBRE ’11 Assalto armato alla villa dell’ex pilota Franco Uncini. Non era la prima volta che dei balordi prendevano di mira l’abitazione della gloria del motociclismo degli anni ‘80 Franco Uncini. Appena un mese fa i ladri avevano fatto irruzione nella villetta, che si trova in via Pintura del Braccio al civico 7, e si erano portati via una Audi A3. Ieri sera, l’altro colpo. I banditi erano in cinque, tutti col volto travisato. Sono entrati in azione verso mezzanotte, convinti che a quell’ora i residenti dormissero già. Un colpo facile nella villetta bifamiliare di un campione di motociclismo degli anni ’80, in cui si laureò vincitore del motomondiale nel 1982 in classe 500cc in sella alla Suzuki, risultato storico per un pilota italiano, bissato in seguito nel 2001 da Valentino Rossi con la Honda. Invece, quel colpo facile non lo è stato, perché da furto si è trasformato in una rapina quando la figlia maggiore, Veronica (29 anni) che stava rientrando a casa proprio in quel maledetto istante, si è trovata di fronte la banda. Vigliacchi, i cinque non sono certo desistiti di fronte alla ragazza, anzi minacciandola con una pistola si sono fatti aprire il portone di casa. I rumori all’ingresso hanno destato l’attenzione del padre Franco e della madre Cinzia, che aspettando alzati il rientro delle due figlie Veronica e Ludovica (25 anni), erano appena andati in camera ma non erano ancora addormentati. Franco Uncini si è dunque reso conto drammaticamente di cosa stesse accadendo e senza perdere la calma,

ma anzi cercando di mantenere i nervi saldi, ha sbarrato la porta del corridoio che conduce alle camere e ha chiamato sia il fratello Enrico, che vive al piano di sopra, e il 112. Urlando a quei balordi di lasciare sua figlia, di andarsene che stava dando l’allarme ai carabinieri. Mentre sul posto arrivavano a sirene spiegate i carabinieri della stazione di Recanati comandati dal maresciallo Silvio Mascia e del Radiomobile della Compagnia di Civitanova Marche diretti dal capitano Domenico Candelli, i malviventi hanno tentato di farsi aprire la porta, ma quando Uncini ha gridato che era in linea con il 112, spaventati si sono dati alla fuga a bordo di una Bmw station wagon di colore bianco. Veronica, spaventata ma incolume, è subito corsa ad abbracciare i genitori. Quando sono arrivati i carabinieri per il sopralluogo e per raccogliere la denuncia delle vittime, la ragazza tenuta in ostaggio ha raccontato agli inquirenti di aver riconosciuto in quel modo di parlare un accento tipico dell’est europeo. Immediate sono scattate le ricerche su tutto il territorio. Il comandante della Compagnia di Civitanova ha istituito posti di blocco su tutta l’area per intercettare quella potente Bmw bianca, su cui sono scappati i malviventi, che potrebbe a sua essere rubata. Nella villetta sono stati raccolti anche impronte e reperti durante il sopralluogo, elementi utili a indirizzare le indagini.

TALITA FREZZI

D: Quando un furto si trasforma in rapina? R: La rapina si ha quando qualcuno, per procurarsi un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, si impossessa di beni altrui sottraendoli da chi li detiene. La differenza con il furto, rispetto al quale è considerato un reato più grave anche in termini di pena (da tre a dieci anni di reclusione senza aggravanti, fino a venti anni nelle ipotesi aggravate oltre alla multa), consiste proprio nella violenza o minaccia esercitate nel reato di rapina. L’aggravante delle armi fa aumentare, come detto, la pena fino a venti anni.. Il furto in abitazione è invece una ipotesi aggravata di furto procedibile d’ufficio e punito con la reclusione da 1 a 6 anni. La tutela del domicilio è un valore di rango costituzionale, per questo il furto in abitazione è considerato più grave del furto semplice o del furto compiuto in un luogo diverso da una privata dimora. D: Quali reati saranno contestati ai malviventi? R: Rapina pluriaggravata dall'uso delle armi, dall'essere le persone travisate e in gruppo, e dall'aver posto le vittime in uno stato di incapacità di agire. La pena prevista è della reclusione da 4 anni e 6 mesi a 20 anni. D: Il precedente furto, qualora si accertasse in sede d’indagine che è stato commesso dalla stessa banda, costituisce un’aggravante? R: No, sarebbe una ipotesi autonoma di reato di furto aggravato dal fatto


di aver commesso il reato al fine di eseguirne un altro (appunto, la rapina) e di averlo compiuto su un mezzo esposto per necessità sulla pubblica via (e per questo considerato meno tutelabile). Tra i due reato potrebbe configurarsi la continuazione, che si ha quando lo stesso soggetto compie una serie di reati, anche in tempi diversi, e anche di tipologia diversa, originati da un medesimo disegno criminoso, cioè da una unitaria determinazione

iniziale a compiere una serie di delitti individuati. In questo caso si applica la pena prevista per il reato più grave, aumentata fino al triplo D: Come si effettua un sopralluogo tecnico? Quali i reperti utili alle indagini? R: In questo caso i Carabinieri intervenuti provvederanno a ricercare e repertare impronte delle dita lasciate sulle porte ad esempio, delle scarpe, di eventuale materiale biologico lasciato (come spesso

accade) su sigarette; provvederanno a ricostruire l'identikit dei rapinatori, e raccogliere la descrizione delle voci per capirne l'accento e la provenienza, e a ricostruire ogni elemento dell'azione che potrebbe rivelarsi utile per spunti investigativi.

ricorso attaccano la Federazione accusandola di ‘mancanza di parità di trattamento’ nel processo su Calciopoli: in specie si fa riferimento al mancato coinvolgimento nell’inchiesta proprio dell’Inter dopo le ultime intercettazione che vedrebbero coinvolti anche i nerazzurri nella vicenda. Il 9 settembre scorso, era stato il TNAS (Tribunale Nazionale di Arbitrato dello Sport) a rimettere le richieste risarcitorie della Juventus al Tar. Il danno stimato sarebbe di circa 450 milioni di euro a causa del danno ingiusto subito dall’esercizio illegittimo dell’attività amministrativa e dal mancato adempimento di quella obbligatoria da parte della Figc. Durante la consegna a Milano del premio Facchetti a Michel Platini, il presidente della Federcalcio Abete ha ribadito i diritti della Juventus sostenendo però che il ricorso, se inoltrato in un altro momento, avrebbe dato un segnale diverso e più conciliante anche perché la Federazione per scelta non

commenta le vicende giudiziarie su Calciopoli. Intanto, il presidente Moratti fa sapere che a riconsegnare lo scudetto del 2006 ‘ non ci pensa nemmeno’.

AVV.TOMMASO ROSSI

CALCIOPOLI La Juve ricorre al TAR MILANO, 15 NOVEMBRE –I dirigenti bianconeri lo avevano ampiamente preannunciato dopo la sentenza che ha visto la condanna dell’ex Dg Luciano Moggi (http://ww.fattodiritto.it/processocalciopoli-condannato-moggi-perassociazione-a-delinquere/) e così è stato. La Juventus, che già dopo la condanna emessa nell’inchiesta Calciopoli dal Tribunale di Napoli la scorsa settimana aveva preso le distanze da Moggi dichiarandosi estranea ai fatti e perciò parte lesa, ha ora inoltrato ricorso al Tar del Lazio per ottenere il risarcimento dei danni subiti per colpa della vicenda. Il ricorso è stato mosso nei confronti della Figc e dell’Inter per i danni che la società bianconera avrebbe subito dal 2006 al 2011 a causa dei mancati introiti commerciali e televisivi, della perdita di chanches e dalla svalutazione del marchio oltre che per i costi e le spese sostenute dopo la retrocessione forzosa in serie B nella stagione 2006-2007. Alla Juve vennero anche revocati 2 scudetti. I legali della società torinese nel

ANDREA DATTILO D: La sentenza emessa a Napoli su Calciopoli ha rilevanza penale: può un giudice penale pronunciarsi sul risarcimento alla parte lesa? R: Certamente sì, se vi è costituzione di parte civile all'interno del processo penale il Giudice valuta il diritto al risarcimento dei danni causati al danneggiato dal reato dalla condotta delittuosa dell'imputato. D: Perché la Juventus per il risarcimento del danno ha agito innanzi al giudice amministrativo anziché a quello civile R: In questo caso si chiedono dei danni per violazione di diritti soggettivi della Società Juventus per le conseguenze che ebbe lo scandalo Calciopoli che vide la retrocessione della Juventus in serie B e la perdita a tavolino dello scudetto, e quanto ne


seguì per la faticosa risalita della Juventus a livelli che le competevano. Non c'è nessuna correlazione diretta con il processo penale di Napoli e con i danni che le condotte degli imputati potrebbero aver causato ai soggetti danneggiati dal reato. D:Il ricorso al Tar del Lazio parla

di ‘disparità di trattamento’, di cosa è accusata in pratica la Federazione? R: Di aver trattato in maniera differente la situazione della Juventus da quella di altre squadre, ed in particolare dell'Inter, nell'ambito dell'affaire Calciopoli. In questo senso il ricorso si rivolge

anche all'Inter, non come produttrice diretta dei lamentati danni, suppongo, ma come soggetto controinteressato al ricorso amministrativo che dovrà pertanto intervenire nel giudizio per tutelare le proprie ragioni. AVV.TOMMASO ROSSI

Sentenza Thyssen Condannato a 16 anni l’A.d. per omicidio volontario TORINO, 16 NOVEMBRE ‘11 Tragedia della multinazionale dell’acciaio Thyssenkyupp: la sentenza del giudice della Corte d’Assise di Torino Paola Dezani condanna l’amministratore delegato Herald Espenhahn (45 anni, tedesco) a 16 anni e sei mesi di reclusione per omicidio volontario con dolo eventuale. Sono state rese note le motivazioni della sentenza che crea un importante precedente in materia di prevenzione, sicurezza nei luoghi di lavoro e morti bianche. Secondo i giudici, le morti di quei sette operai investiti dal fuoco il 6 dicembre 2007 nello stabilimento torinese della Thyssen si potevano evitare e furono causate dalla “scelta sciagurata di non fare nulla” in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro. L’importante investimento destinato alla sicurezza e alle misure antincendio per la linea 5 era stato trasferito al trasloco dell’impianto a Terni, lasciando quindi la linea 5 in balìa degli eventi: con gravi carenze strutturali, con gli estintori scarichi e la vita degli operai in quel settore lasciata alla roulette russa del destino visto che si erano già verificati in passato altri incendi di cui si sarebbe

dovuto tenere conto (per i quali l’assicurazione aveva anche aumentato la franchiglia). L’amministratore è dunque colpevole di aver bloccato un investimento nel tentativo di rispettare l’interesse economico dell’azienda e pur di dare un piccolo vantaggio alla fabbrica si è pagato un prezzo troppo alto in termini di vite umane. La sentenza ha dell’eccezionale. E’ la prima volta infatti che in Italia viene applicato questo articolo del Codice a una tragedia sul lavoro. La vicenda. Il 6 dicembre 2007 nell’acciaieria Thyssen di Torino- sede ormai prossima alla chiusura - in piena notte si sviluppò un piccolo incendio nella linea 5 dove si trovavano al lavoro in quel momento otto operai. Improvvisamente il fuoco attaccò uno dei macchinari e gli addetti furono investiti da una violentissima vampata di fuoco incandescente che provocò loro ustioni gravissime e profonde su tutto il corpo. Sette morirono, uno per miracolo, riuscì a salvarsi. Le vittime. Nel terribile incendio sviluppatosi alla Linea 5 della Thyssen persero la

vita sette operai: Giuseppe De Masi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo, Bruno Santino e Antonio Schiavone. Solo uno degli operai, Antonio Boccuzzi, riuscì miracolosamente a sopravvivere. Nel corso del dibattimento la difesa ha tentato anche di screditare le dichiarazioni del superstite, ma per i giudici è invece “del tutto attendibile”. Si è anche tentato, e questo sarà approfondito nel corso di un’altra inchiesta della Procura, di condizionare le testimonianze di altri lavoratori. I giudici hanno riconosciuto che le vittime non hanno colpe e se anche si fossero accorti del focolaio un po’ in ritardo già è anomalo, secondo i giudici, che in tali condizioni precarie gli operai fossero sempre riusciti finora a “fronteggiare situazioni analoghe”. La condanna. L’amministratore delegato della Thyssen è stato condannato a 16 anni e sei mesi di reclusione per quelle sette morti. Il minimo della pena, in quanto i giudici gli hanno riconosciuto le attenuanti generiche del buon comportamento processuale e del risarcimento danni ai familiari


delle vittime. La sentenza condanna Espenhahn per omicidio volontario con dolo eventuale e qualora venisse confermata in Appello e in Cassazione, segnerebbe un enorme passo avanti nella giurisprudenza in materia di prevenzione, sicurezza nei luoghi di lavoro e morti bianche. Nelle 465 pagine di sentenza le responsabilità dei sei imputati in questo processo vengono divise tra omicidio colposo “con colpa cosciente” (per cui sono stati condannati cinque dirigenti a pene tra i 10 e 13 anni e mezzo per la loro convinzione che non sarebbe mai accaduto nulla del genere alla fabbrica) e omicidio volontario “con dolo eventuale” (solo Espenhahn, che accettò il rischio di un possibile disastro come quello poi avvenuto). La fabbrica di Torino, ormai prossima a chiudere, versava in condizioni gravi sia in termini di personale rimasto al lavoro, sia rispetto agli standard qualitativi e quantitativi di sicurezza richiesti per quel genere di attività. Nonostante queste gravi carenze strutturali (proprio alla linea 5) si continuò lo stesso la produzione. I giudici contestano all’amministratore delegato la responsabilità di “aver azzerato gli investimenti azzerando così anche la sicurezza nell’interesse del suo personale ma anche dell’azienda”.

TALITA FREZZI

D: In che consiste l’accusa di omicidio volontario “con dolo eventuale”? E quello “con colpa cosciente”?

R: Il “dolo eventuale” è una forma di imputazione del reato (in questo caso del reato di omicidio) che consiste nell’aver agito rappresentandosi la concreta possibilità di realizzazione del fatto di reato e accettando il rischio del verificarsi dello stesso. La “colpa cosciente” o “con previsione” (che è una aggravante comune che comporta un aumento fino ad un terzo della pena prevista per ipotersi di reato colposo semplice) è una forma della colpa che consiste nell’aver agito con rappresentazione della mera possibilità di realizzazione del fatto di reato senza però accettazione del rischio ossia con convinzione che il fatto medesimo non si sarebbe verificato. Nel caso della Thyssen è stato contestato e riconosciuto, per la prima volta nell’ambito degli infortuni sul lavoro, il reato di omicidio volontario con dolo eventuale a carico dell’amministratore delegato e ciò perché quest’ultimo avrebbe rimandato gli investimenti economici previsti per il miglioramento dei sistemi antincendio della sede di Torino nonostante l’impianto fosse ancora in piena funzione. Tali condotte costituirebbero l’accettazione del rischio da parte dell’amministratore delegato del verificarsi di un grave incidente allo scopo di risparmiare sulle spese necessarie per dotare lo stabilimento di impianti di rilevazione e spegnimento di incendi. D: In che modo la Procura aprirà un’inchiesta per accertare come l’azienda abbia tentato di condizionare le testimonianze di altri lavoratori nel dibattimento sulla tragedia?

R: Con l’apertura di un procedimento penale che, se ancora non sono stati accertati i responsabili delle presunte pressioni sui lavoratori della Thyssen, sarà a carico di ignoti. Poi, quando saranno individuati i nomi dei (presunti) responsabili, i nomi di quest’ultimo saranno iscritti nel registro degli indagati. I reati che potrebbero essere contestati sono quelli di “induzione a non rendere cihiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria” che punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque con violenza o minaccia o con offerta o promessa di denaro o altra utilità, induce a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci, una persona chiamata a rendere davanti all’autorità giudiziaria dichiarazioni utilizzabili in un procedimento penale, quando quest’ultima ha la facoltà di non rispondere oppure il reato di “intralcio alla giustizia” che punisce chiunque offre o promette denaro o altra utilità alla persona chiamata a rendere dichiarazione davanti all’autorità giudiziaria ovvero alla persona richiesta di rilasciare dichiarazioni dal difensore nel corso dell’attività investigativa, o alla persona chiamata a svolgere attività di perito, consulente tecnico o interprete, per indurla a commettere i reati previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373 c.p. Per i testimoni, invece, che nel corso del processo hanno reso testimonianze false o reticenti potrebbe aprirsi un procedimento penale per il reato di falsa testimonianza. D: I manager e l’amministratore


delegato, tutti condannati a pene che vanno dai 10 ai 16 anni e mezzo di detenzione, le sconteranno in carcere? O essendo incensurati e grazie ai benefici di legge e attenuanti generiche, la pena sarà loro sospesa? R: Per ora i condannati non andranno in carcere in quanto la sentenza della Corte di assise di

Torino non è definitiva essendoci ancora la possibilità del ricorso in appello e l’impugnazione in Cassazione. Soltanto quando la condanna sarà definitiva allora i condannati dovranno scontare la pena comminata che, però, nel caso di specie non potrà essere sospesa in quanto il beneficio della sospensione condizionale della pena (sospensione

per 5 anni in caso di delitti e 2 anni in caso di contravvenzioni) viene concesso soltanto quando la pena della reclusione o arresto, da sola o congiunta alla pena pecuniaria, non sia superiore ai 2 anni. AVV.VALENTINA COPPARONI

Fendimetrazina Sostanza anti-obesità vietata forse causa tre morti ROMA, 19 NOVEMBRE ’11 Essere belle ed esili, come le modelle della pubblicità, come quelle impalpabili ed eteree taglie 38-40 cui il mondo della moda ha dichiarato una guerra formale in nome della salute. Belle e magre, un binomio assoluto perché al di là dei messaggi anti-anoressia, delle campagne informative e degli slogan per una vita sana anche in passerella, poi gli stereotipi da abbinare a bellezza, successo e popolarità sono sempre gli stessi: donne esili e slanciate, donne che il cibo lo guardano e non lo mangiano, donne che fingono di godere del piacere di una fetta di torta. E’ così in tv e nel cinema, nella moda e sulle pubblicità. E questi messaggi ci bombardano quotidianamente: la donna, icona di bellezza, dal seno perfetto che vada in una coppa di champagne, è un emblema di successo che tante ragazzine inseguono. Anche a costo della salute. Anche a costo di ingerire pasticche vietate, anfetamine. Anche a costo di rischiare la vita. Si è molto discusso sull’anoressia. Si è molto scritto, detto. Ma non sembra essere

mai abbastanza, specie quando si leggono notizie disarmanti come quella di giovani la cui vita è stata stroncata a causa di farmaci antiobesità o pillole dimagranti. Ora la Procura di Roma ha aperto un’inchiesta per accertare se vi sia stato un omesso controllo sulla commercializzazione, l’uso e la prescrizione di un farmaco. Si tratta di una sostanza anoressizzante per combattere l’obesità la “Fendimetrazina” - vietata nei mesi scorsi dal Ministero della Salute perché ritenuta pericolosa. La Procura sta indagando dopo tre decessi analoghi, nel corso degli anni, di giovani che sembra assumessero tutti questa sostanza per dimagrire. Si tratta di un uomo e due donne, tra cui la ventinovenne Silvia Lolli, morta nel 2003 per una crisi di asma acuta. La giovane donna era in cura presso un centro estetico di Roma e stava seguendo una terapia farmacologica. Nel suo appartamento, il giorno della tragedia, gli inquirenti rinvennero molti flaconi di farmaci contenenti anfetamina e regolarmente acquistati in farmacia, forse autonomamente

dalla ragazza, forse prescritti dai medici del centro estetico. Il suo caso aveva attirato l’attenzione dei media di tutto il mondo. Ora si torna a parlarne e forse stavolta, si arriverà anche alla verità sulla morte di quella bella ragazza e di altre due persone, convinte che per annientare il mostro delle proprie insicurezze bastasse eliminare un po’ di chili, anche a costo della vita.

TALITA FREZZI

D: Nel caso di omesso controllo sulla commercializzazione, l’uso e la prescrizione di un farmaco ritirato dal commercio, di chi sarebbe la responsabilità penale? R: In questo caso la responsabilità eventualmente sarebbe dei medici che hanno continuato a prescrivere un farmaco ritirato dal commercio e dai farmacisti che ancora somministravano un farmaco non più commercializzato inq uanto considerato pericoloso. D: Se la Procura accerterà che Silvia Lolli e le altre due persone


sono morte per l’assunzione di quel farmaco che è stato vietato solo alcuni mesi fa, come procederà l’autorità giudiziaria? R: Potrebbe procedere per omicidio colposo o addirittura per omicidio volontario con il dolo eventuale, a carico di chi-come detto- ha continua a prescrivere e vendere un farmaco ritirato in quanto pericoloso, accettando il rischio che potesse prodursi l'evento morte a carico di un assuntore del farmaco. D: Se il farmaco assunto da Silvia Lolli dovesse rivelarsi quello letale e dovesse emergere che le era stato prescritto dai medici del centro estetico nell’ambito della terapia farmacologica, questi potrebbero essere accusati di omicidio colposo? R: Come detto sopra, l'omicidio colposo sarebbe diciamo così l'accusa minima. E poi, in questi casi, in genere si accerta sempre che in queste strutture estetiche pseudo mediche i soggetti che vi esercitano siano regolarmente iscritti all'ordine dei Medici e che non si possa configurare l'esercizio abusivo della professione medica, altro reato pesantemente sanzionato.

D: Che tipo di farmaco è la “Fedimetrazina”? R: La “Fedimetrazina” è un farmaco dimagrante ad azione anoressizzante. Il meccanismo di azione dei farmaci della classe delle “fenilalchilamine” è di ridurre il senso di fame attraverso l'aumento dei livelli di noradrenalina e dopamina. D: Quali gli effetti collaterali sull’organismo? R: Come tutti i farmaci veri è dotato di effetti collaterali: è un eccitante del sistema nervoso, aumenta la pressione arteriosa con possibili problemi cardiologici, può provocare disturbi dell'umore e del comportamento fino alla psicosi tossica. D: Può dare dipendenza? R: Diciamo che genera fenomeni di abuso, con necessità di incrementare la dose per tolleranza, con sindrome astenenziale alla sospensione. D: Era dunque in commercio nonostante questi gravi effetti collaterali? R: E' un vecchio farmaco in commercio con il nome di “Plegil”, prescritto forse con un po’ di leggerezza sia a scopo dimagrante ma anche a scopo eccitante (assunto AVV.TOMMASO ROSSI spesso anche da studenti universitari

per aumentare il rendimento). Da sempre è considerata una sostanza da somministrare in presenza di "imprescindibili motivi patologici" e comunque per un periodo di tempo non superiore ai tre mesi. D: Chi poteva prescriverla? R: Proprio perché si tratta di una sostanza da somministrare solo per imprescindibili motivi patologici e per non più di tre mesi, poteva essere prescritta dai soli medici specialisti in Endocrinologia, Scienza dell'alimentazione, Diabetologia e Medicina interna. D: Quando è stato ritirato dal commercio? R: Solo di recente il prodotto è stato ritirato dal commercio ed il farmaco è stato reso prescrivibile soltanto come preparazione magistrale, cioè nei laboratori delle farmacie. Con Decreto del 2 agosto 2011 in Italia è vietato fabbricare, importare e commercializzare, anche via Internet, la Fendimetrazina.

DR.GIORGIO ROSSI


Amore omicida Un giorno di ordinaria follia in Italia ANCONA, 19 NOVEMBRE ’11 Quando l’amore e quel pizzico di sana gelosia che lo rende piccante degenerano in malattia. Fino all’ossessione del controllo, al senso soffocante di possessione del partner, una morbosità senza via d’uscita. Quando insomma l’amore degenera in prigionia fino alla morte, unica liberazione da quella schiavitù. Sono 127 le donne uccise nel 2010 per mano dei loro mariti, fidanzati, compagni di vita. Omicidi dal movente passionale, culmine di una lenta e progressiva violenza domestica che si palesa nei maltrattamenti spesso taciuti dalle vittime, nei comportamenti ossessivi del partner divenuto col tempo un’ombra costante che copre la luce di cui ogni persona ha bisogno per vivere senza essere annullata e schiacciata. Assassinate dall’uomo che diceva di amarle. Numeri da bollettino di guerra. Gli ultimi dati nazionali sugli omicidi attestano un allarmante incremento di uxoricidi o femminicidi (il 25%). Numeri impressionati, tragici, spaventosi: in Italia sono 650 le donne uccise dai loro partner dal 2005 al 2010. Nel 2009 gli omicidi di donne sono stati il 25% di tutti gli omicidi commessi nel Paese. Nel 70% dei casi, queste donne sono vittime dei loro mariti o fidanzati o conviventi e l’omicidio viene consumato proprio tra le mura domestiche. Rari i casi di omicidi commessi da estranei in luoghi sconosciuti alle donne o per strada. Rafforziamo l’orrore dei numeri con le pagine della cronaca nera nazionale di oggi e con alcuni casi

eclatanti di appena pochi giorni fa. Un viaggio nell’amore omicida, in tutte le sue drammatiche e morbose forme, che ci porta a una riflessione in quasi ogni regione. Reggio Emilia, uccide la moglie a martellate. Sembra esserci un movente passionale dietro l’omicidio di una donna marocchina di 39 anni, madre di due bambini piccoli, uccisa oggi intorno alle ore 13. La donna è stata uccisa a martellate nella sua abitazione a Sorbolo, frazione di Brescello (bassa Reggiana). Il cadavere è stato rinvenuto ancora riverso sul pavimento, in quell’appartamento dove la donna viveva con l’uomo che si è poi costituito ai carabinieri come l’assassino. Ha 35 anni ed è marocchino, ha confessato di aver ucciso sua moglie. Bologna, litiga con la convivente e la uccide a coltellate. Una lite come tante, di quelle che all’interno di una coppia possono capitare anche tutti i giorni. Invece oggi pomeriggio un artigiano di 45 anni originario di Medicina e residente in via Primodi, nella zona del Policlinico Sant’OrsolaMalpighi, ha perso la testa. Forse a causa di una feroce gelosia che l’ha accecato fino al punto di rottura, l’uomo ha impugnato un coltello serramanico e ha sferrato due fendenti contro la convivente, una donna dominicana di 50 anni, uccidendola. In un attimo di lucidità, essendosi reso conto di averla ammazzata, ha tentato di togliersi la vita con una coltellata al torace. Poi

ha chiamato il 118. Sul posto sono intervenuti i carabinieri di Bologna e i sanitari. Il ferito è stato trasportato all’ospedale Maggiore, dove è stato sottoposto a un delicato intervento chirurgico. E’ in stato di arresto per il reato di omicidio. Crotone, ucciso imprenditore: era l’amante della moglie dell’assassino. Movente passionale dietro l’agguato a scopo di omicidio consumato nella notte del 15 novembre scorso a Cutro (Crotone). La vittima, Carmine Bonifazio, 42 anni, imprenditore del settore zootecnico è stato assassinato da un imprenditore edile (Domenico Gallo), reo confesso che voleva lavare col sangue l’onta della relazione sentimentale che la vittima aveva con sua moglie. Gallo aveva scoperto la relazione clandestina da alcuni sms rinvenuti su un cellulare nascosto in una borsetta, che Bonifazio aveva regalato alla moglie di quello che poi sarà il suo assassino. Roma, 15enne violentata dal branco: otto giovani sotto processo. Non solo amore criminale, ma vera prevaricazione del maschio sulla femmina, del maschio che spesso ha bisogno del branco per sentirsi forte e autoritario, prepotente e vincente. Un branco che incita e che spalleggia, che aiuta e che condivide anche nella violenza. E’ stato fissato per il 22 dicembre l’inizio del processo per lo stupro di gruppo consumato da otto ragazzi (allora minorenni) che nel 2007 abusarono di una ragazzina 15enne a Montalto


Castro, nel Viterbese. La Corte di Cassazione oggi ha respinto i ricorsi dei difensori di due degli imputati, che chiedevano l’annullamento del decreto del Gup del Tribunale dei minori di Roma che disponeva il giudizio. Ora la violenza del branco su una ragazzina, poco più che una bambina, finirà alla sbarra. Genova, sotto effetto di droghe strangolò la compagna. E’ accusato di aver strangolato sotto l’effetto di droghe, la sua compagna - Paola Carosio, 44 anni - uccisa nel loro appartamento a Genova, lo scorso dicembre. Ma lui, il presunto omicida, Germano Graziadei, ingegnere di 43 anni, era stato scarcerato per una sentenza della Corte Costituzionale secondo la quale la custodia cautelare in carcere per un delitto commesso sotto l’effetto di stupefacenti o alcol, non è più obbligatoria se l’imputato in attesa di giudizio nel frattempo si è disintossicato. Ora l’uomo, sorpreso dai carabinieri in stato di ubriachezza in più occasioni, è tornato in carcere. Alla base del

nuovo ordine di custodia cautelare, emesso oggi, vi sarebbero non solo i comportamenti dell’imputato ma anche i risultati di una nuova perizia medico legale che aggraverebbe la situazione di Graziadei. Livorno, prostituta uccisa: in due condannati all’ergastolo. Condannati all’ergastolo gli esecutori dell’omicidio di una prostituta ecuadoriana trovata morta il luglio dello scorso anno nella sua abitazione di Vada, con mani e piedi legati e un pezzo di stoffa infilato in bocca che la soffocò. Sono stati condannati all’ergastolo i brasiliani Fernando Gomes Da Silva e Carvalhais Ribeiro Diogo, i due esecutori materiali dell’omicidio della lucciola Jessica Karina Munoz Labezzaris. Condannata, ma a una pena minore, la prostituta Judit Dolores Vejo, mandante dell’omicidio di quella “collega” troppo richiesta dai clienti. Varese, uccisa a sediate da un conoscente al culmine di una lite. E’ stato arrestato nella notte, dopo poche ore di latitanza, l’uomo che il

15 novembre scorso, al culmine di una lite, avrebbe ucciso una donna di 36 anni nella sua abitazione a Samarate, nel Varesotto. La donna, sposata, madre di una bimba di sette anni e dipendente presso una cooperativa di servizi per anziani di Gallarate, è stata rinvenuta cadavere nel suo appartamento, in un pozzo di sangue. Da una prima ricostruzione dei fatti e da un’analisi del medico legale, sembrava essere stata colpita più volte alla testa da un corpo contundente, forse una sedia. Ma in casa non vi erano segni di effrazione, ne di colluttazione, segno che era stata uccisa da una persona che conosceva e che lei stessa aveva fatto entrare in casa. A confessare il delitto ai carabinieri di Busto Arsizio, un uomo di 42 anni di Gallarate, conoscente della vittima e ora sottoposto a fermo. Secondo la confessione resa al sostituto procuratore, l’uomo avrebbe ucciso la giovane mamma al culmine di una violenta lite. TALITA FREZZI

Milano Impiantato cuore artificiale controllabile sul web MILANO, 20 NOVEMBRE ’11 - Le frontiere della medicina, della ricerca e della vita incontrano il web. Ora Internet potrà essere utilizzato anche per monitorare i battiti del cuore e il regolare funzionamento di una pompa artificiale a sostegno del cuore malato. L’innovazione arriva dall’Istituto Clinico Humanitas di

Rozzano dove il dottor Ettore Vitali responsabile del Dipartimento Cardiovascolare e direttore dell’equipe chirurgica ha impiantato il primo cuore artificiale di nuova generazione su un paziente di 65 anni di Novara. L’innovazione consiste in questo: il cuore artificiale (“VAD”), tramite una consolle,

permette al paziente di collegarsi a un computer e scaricare i suoi dati per poi inviarli via Internet, il che consentirebbe un controllo a distanza e avere in tempo reale lo stato di salute del paziente, grazie ai parametri forniti dalla pompa. Il controllo riguarda il flusso sanguigno, la potenza utilizzata e la


velocità della turbina (impiantata all’apice del ventricolo sinistro). Il “VAD”, congegno elettronico di ultima generazione, del peso di appena 100 grammi e di piccolissime dimensioni, è un apparecchio per l’assistenza ventricolare meccanica che supporta il cuore malato e ripristina le normali condizioni dei parametri vitali. E’ stato impiantato in 18 pazienti in tutto il mondo entrati a far parte della sperimentazione clinica avviata negli ospedali e centri cardiochirurgici di Berlino e Bruxelles e di cui Humatitas è la prima clinica italiana a farne parte. Uno sguardo al futuro, una speranza per chi soffre di scompensi cardiaci e che potrebbe garantire un’ottima qualità di vita. Presto, come annunciato dal dottor Ettore Vitali, si avrà anche l’evoluzione del “VAD”, “un ulteriore dispositivo, una nuova consolle - dichiara il luminare munita di una sim card che trasmetterà i dati di continuo senza bisogno, come adesso, della base. Il dispositivo sarà sempre in comunicazione ovunque sia presente una rete cellulare”.

Device), ovvero “dispositivo di assistenza ventricolare”, consiste in un apparecchio meccanico che si affianca al cuore in quella che rappresenta la sua funzione principale e cioè quella di pompare il sangue dal ventricolo sinistro alla periferia. D: Tecnicamente come funzionerebbe? R: La “VAD” è di fatto una pompa di piccole dimensioni e di peso molto basso che viene posizionata, mediante intervento chirurgico, all'apice del ventricolo sinistro. Con questo viene creata una comunicazione da dove riceve il sangue che poi, tramite la creazione di un'ulteriore comunicazione, pompa direttamente in aorta. D: In che consiste la novità di questo dispositivo? R: Il dispositivo tramite cavi elettrici che fuoriescono dalla cute è collegabile ad una fonte di energia per la ricarica delle batterie ed anche - ecco la novità - ad una consolle per comunicazioni a distanza, come è il caso impiantato all'Humanitas di Rozzano. D: Se la VAD è il futuro, quale apparecchio ha rappresentato TALITA FREZZI l’inizio della sperimentazione? R: Risale al lontano 1994 la prima registrazione di un tale apparecchio, naturalmente molto più D: In che consiste la “VAD”? rudimentale, da parte della FDA R: La “VAD” ( Ventricular Assist negli Stati Uniti. Da allora c'è stato

un importante perfezionamento della tecnologia ma anche delle indicazioni. Nata come terapia "ponte" per i pazienti con scompenso cardiaco congestizio grave non più controllabile con la terapia medica, in attesa di ricevere il trapianto cardiaco. Nel tempo, in alcuni casi selezionati, è diventata anche terapia base, sempre comunque, dopo il fallimento della terapia medica. D: Ci sono dei rischi (ovviamente calcolati) per il paziente? R: La metodica comporta, come spesso in medicina, anche dei rischi rappresentati soprattutto dall'aumentata probabilità di infezioni e dalla ipercoagulabilità del sangue che viene a contatto all'interno della pompa con materiali non biologici. Entrambe tali condizioni possono essere prevenute con adeguate terapie farmacologiche. D: E il futuro della medicina cardiovascolare? R: Naturalmente sono attesi importanti sviluppi che sicuramente non tarderanno ad arrivare, visto come la tecnologia è in grado di evolvere velocemente. Ciò comporterà sempre maggiori possibilità di combattere una patologia che ha un indice di mortalità pari ai grandi "killer" come il cancro della prostata o del polmone. DR. GIORGIO ROSSI


L’odissea di una famiglia recanatese Senza casa da 9 mesi nel silenzio delle istituzioni. RECANATI, 21 NOVEMBRE 2011 - Quella che andiamo a raccontare è l’incredibile storia di una famiglia recanatese, gli Amichetti, rimasta senza casa dallo scorso marzo, quando le abbondanti piogge che hanno messo in ginocchio questa della regione Marche hanno gravemente danneggiato la loro abitazione, sita al civico 97 in località Addolorata. I fatti. Mario Amichetti, pensionato di 61 anni, la moglie Anna Maria Crucianelli, 54 anni, e i due figli Sara di trent’anni e Alessandro di 24, un ragazzo portatore d’handicap, la mattina del 2 marzo hanno cominciato ad avvertire dei rumori insoliti, “come dei mattoni che si rompevano” ricorda la giovane Sara. Nel giro di un paio d’ore la loro casa ha iniziato a scricchiolare e le solide parenti hanno evidenziato numerose crepe. Anche il pavimento del piano terra si è aperto. Erano giorni di piogge incessanti quelli che hanno caratterizzato l’inizio del mese di marzo, la terra non riusciva più ad assorbire le precipitazioni tanto da provocare delle frane. Come quella che si stava portando via la casa degli Amichetti che hanno quindi avvertito un amico di famiglia, di professione ingegnere, per avere il suo giudizio sulla casa. Il professionista ha subito capito che il problema veniva dalle fondamenta ed ha presentato immediatamente una richiesta di sopralluogo al comune. Dopo due giorni sono arrivati i tecnici per le rilevazioni che hanno confermato la presenza di una frana che stata spingendo sulle

fondamenta dell’abitazione. Anche all’esterno il terreno si stava aprendo, proprio in concomitanza con le crepe dell’abitazione. Il 5 marzo il comune di Recanati invia l’ordinanza di sgombero e da allora per la famiglia è cominciata un’odissea. L’odissea. I quattro Amichetti avevano già lasciato casa la sera stessa dei primi movimenti, appoggiandosi da parenti, confidando che le cose si sarebbero potute risolvere in breve tempo. Era evidente che lo smottamento era stato causato dalle abbondanti piogge anche perché la casa mai prima d’allora aveva mostrato alcun segno di cedimento. “Quando ci hanno notificato l’ordinanza di sgombero perché la casa non era agibile, sottolinea Sara, ci hanno chiesto se sapevamo dove andare e noi abbiamo risposto che provvisoriamente ci saremmo sistemai da alcuni parenti. Tuttavia questa poteva essere solo una situazione temporanea e quindi eravamo d’accordo con il comune che ci avrebbe cercato un’abitazione adatta alle nostre necessità”. Una settimana dopo l’accordo sembrava cosa fatta, il comune aveva individuato una nuova sistemazione per Mario, Anna Maria, Sara, Alessandro e i loro due cani. Nel frattempo però un geologo del comune si era recato a casa degli Amichetti, mentre loro non erano qui, per un ulteriore sopralluogo che doveva stabilire con certezza che i danni all’immobile erano provocati dal maltempo. Ovviamente però non essendo i proprietari di casa in loco

il geologo non ha potuto far altro che visionare lo stabile dall’esterno dove avrebbe visto qualcosa non lo ha convinto: la grande crepa esterna, che taglia proprio sopra porte e finestre dividendo esattamente il primo piano dal secondo. “Avevano messo dello stucco per riempire la crepa, spiegano Sara e il padre Mario, perché continuava a piovere senza sosta da ore e vedendo la crepa abbiamo avuto paura. Abbiamo pensato che riempiendola i danni sarebbero stati limitati e invece nemmeno lo stucco ha retto”. Secondo il geologo quindi erano necessari altri rilievi, perizia che sarebbe stata a carico della famiglia e che avrebbe dovuto stabilire un nesso tra i danni alla casa e la frana nel terreno. “Noi abbiamo presentato questa perizia che oltre a stabilire questo collegamento aveva individuato una frana sotterranea, responsabile dei danni. Perizia che, continua Sara, non ha mai ricevuto risposta”. Nel frattempo visto che dovevano essere fatti questi ulteriori accertamenti, la questione dell’alloggio era rallentata. La perizia geologica degli Amichetti viene presentata a maggio e della sistemazione non c’era ancora traccia anzi ai recanatesi viene detto che visto che il legame con l’alluvione non era evidente non spettava al comune cercare loro una sistemazione. Un lungo peregrinare. “Non avevamo più dove andare, racconta Sara, ma fortunatamente alcuni amici ci hanno prestato una casa a Porto Recanati dove siamo rimasti fino a luglio quando abbiamo


deciso di rientrare a casa per qualche giorno spostando la zona notte nella parte della casa meno danneggiata. La situazione però era troppo pericolosa e quindi siamo tornati a Porto Recanati. I miei contatti con il comune andavano avanti e alla fine dell’estate eravamo d’accordo che ci avrebbero aiutato a trovare una casa visto che noi da soli avevamo auto difficoltà a reperire un alloggio. È passato un mese e mezzo da allora e non ci hanno fatto sapere più nulla. Siamo quindi tornati in comune a chiedere spiegazioni e a quanto pare nessuno si è mai mosso per cercarci una casa”. Solo a questo punto agli Amichetti è stato dato il nominativo di un ragazzo che aveva appartamenti in affitto ed è proprio qui, sempre a Recanati ma in una zona più centrale, che sono sistemati da inizio settembre. I recanatesi intanto avevano presentato al comune alcuni documenti per ottenere un contributo sociale ma secondo l'amministrazione non c'erano i termini per intervenire, e alla Regione avevano fatto la richiesta di accedere ad un fondo che era stato stanziato proprio per quelle famiglie che avevano subito un’ordinanza di sgombero in seguito all’alluvione. Il fondo non è cospicuo e i tempi burocratici sono lunghi ma gli Amichetti a testa bassa

continuato con assoluta compostezza ad aspettare buone notizie. Al silenzio delle istituzioni locali si è però aggiunto quello del governo centrale che seppure aveva riconosciuto lo stato di calamità alle Marche per quei terribili giorni non aveva stanziato aiuti economici. Per gli Amichetti è l’ennesima cattiva notizia. In città intanto la loro storia ha destato interesse e così gli organi di informazione locali hanno segnalato questa incredibile storia: “Solo quando la nostra storia è divenuta di pubblico dominio sono ripresi i contatti con il comune, evidenzia Sara che aggiunge, ho parlato con l’assessore Galassi, e quindi con il sindaco Fiordomo che si sono scusati”. Gli aiuti. La città di Recanati però non è stata a guardare e alcuni ragazzi dell’associazione ricreativa culturale “Su la Testa” hanno proposto di realizzare delle serate utili per raccogliere fondi e aiutare gli Amichetti con l’affitto. Tanti i cittadini, i commercianti, gli artisti e i musicisti che si sono dati da fare per dare vita al “Mese della Solidarietà”, tanti eventi che partiranno il 25 novembre prossimo (vedi il programma per intero su http://www.ilcittadinodirecanati.it/no tizie/12141-progetto-qaiutiamolinoiq-nasce-il-qmese-di-solidarietaqpromosso-dall-associazione-su-la-

testa-per-la-famiglia-amichetti). Per loro c’è anche uno speciale conto corrente IT 49 Y 07601 13400 001001775764. La denuncia di Sara Amichetti. “Nessuno sta pretendendo dei soldi per fare i lavori, sappiamo che dobbiamo chiedere un prestito e lo faremo però quello che va sottolineato è la totale indifferenza nei nostri confronti che ci ha fatto più male. Volevamo solo un aiuto per trovare un’abitazione e che magari il comune potesse consigliarci come avere un prestito agevolato o il nome una ditta per fare i lavori. Tra l’altro in un primo momento si era pensato di procedere con una ristrutturazione e invece a la casa dovrà essere demolita visto che col passare del tempo le cose erano peggiorate. Non c’è mai stato un briciolo di comprensione nei nostri confronti neppure dal punto di vista umano. Non sapevamo nemmeno dove andare a dormire e avevamo paura che cominciando i lavori potevamo perdere il diritto ai fondi della regione, nessuno ci ha consigliato cosa fare. Adesso per noi si prospetta una spesa di 250 mila euro per i lavori alla casa e la speranza di poter accedere ai fondi della Regione, anche se questa situazione al momento è in stallo”. ELEONORA DOTTORI


Maxiprocesso alla ‘ndrangheta lombarda 110 condanne, mille anni di carcere MILANO, 20 NOVEMBRE '11 – La pronuncia del Gup di Milano Roberto Arnaldi è arrivata sabato pomeriggio, ponendo termine al maxiprocesso alla c.d. cupola lombarda della ‘ndrangheta e ha visto la condanna per 110 dei 119 imputati fra cui numerosi boss della zona e faccendieri, ma anche imprenditori, amministratori lombardi e anche un sindaco del pavese. L’operazione (soprannominata ‘infinito’) che aveva portato agli arresti nel luglio 2010, è stata condotta dalla DDA milanese con a capo Ilda Bocassini e in stretta collaborazione con la DDA di Reggio Calabria che in parallelo ha coordinato l’operazione ‘Il crimine’. Le indagini sono durate circa 4 anni portando a numerosissimi arresti compiuti fra la Calabria e l’hinterland milanese. Alla fine furono 174 gli imputati per reati che vanno dall’usura, al traffico di stupefacenti e d’armi, alla corruzione per ottenere appalti pubblici ma anche omicidi ed estorsioni. I 119 processati nei mesi scorsi, hanno scelto il rito abbreviato che prevede uno sconto di pena. Dure comunque le condanne: la pena maggiore di 16 anni di reclusione è stata inflitta al boss di Pioltello (comune milanese) Alessandro Manno, 14 anni son stati inflitti all’altro boss Vincenzo Mandalari e a Cosimo Barranca, considerato il capo della cosca operante a Milano. Pasquale Zappia, considerato il capo dei capi della ‘ndrangheta lombarda, dopo la sentenza che lo ha condannato a 12 anni di reclusione,

si è sentito male ed è stato trasportato via in ambulanza: Zappia era già conosciuto alle cronache perché la sua ‘elezione’ a massimo vertice dell’organizzazione malavitosa che avvenne nel 2009 nel centro intitolato a Falcone e Borsellino a Paderno Dugnano (MI) , venne ripresa dalla polizia e trasmessa anche ai telegiornali. Vi sono poi state sei pronunce di non doversi procedere (5 per “ne bis in idem” e uno per morte) e due assoluzioni, fra cui quella di Antonio Oliviero, ex assessore provinciale nella giunta di Filippo Penati. La sentenza è giunta dopo 32 ore di camera di consiglio ed ha sostanzialmente confermato la ricostruzione della Bocassini e degli altri pm che avevano parlato di una vera e propria cupola ‘ndranghetista operante in Lombardia divisa in 15 ‘cosche’ e che gestiva grossi flussi di denaro sporco, mantenendo stretti rapporti sia con gli amministratori locali che con gli imprenditori. E’ stato una sorta di ‘nuovo’ maxiprocesso, ma alla ‘ndrangheta lombarda piuttosto che a Cosa Nostra come negli anni ’80 su creazione del giudice Antonino Caponnetto. Alla lettura del dispositivo, i detenuti si son messo ad applaudire i giudici urlando fragorosamente e dandogli dei ‘ buffoni’. Vi è poi stato il riconoscimento dei danni d'immagine , da determinarsi in separata sede civile, a favore del ministero dell'Interno e della presidenza del Consiglio, della Regione Lombardia, dei Comuni di

Pavia, Bollate, Paderno, Desio, Seregno e Giussano, e della Federazione antiracket, costituitisi parti civili per le ripercussioni patite dal territorio a causa dei traffici illeciti. ANDREA DATTILO D: Cosa si intende per associazione a delinquere di stampo mafioso R: L’art. 416 bis del codice penale punisce chiunque faccia parte di un’associazione di tipo mafioso formata da 3 o più persone con la reclusione da 7 a 12 anni mentre è prevista la reclusione da 9 a 12 anni per chi promuove, dirige o organizza l’associazione. Sono previste poi ipotesi aggravante ad esempio se l’associazione è armata (ossia ha la disponibilità di armi o materie esplodenti per il conseguimento delle finalità dell’associazione), se le attività economiche che l’associazione intendere assumere o controllare sono finanziate con il prezzo, prodotto o profitto di delitti. Tale disciplina si applica anche alla camorra, alla ‘ndrangheta e a tutte le altre associazioni comunque denominate che perseguono i medesimi scopi delle associazioni di stampo mafioso avvalendosi anch’esse della forza intimidatrice del vincolo. D: Quale è lo sconto di pena se si richiede il rito abbreviato?Quali differenze tra il rito abbreviato e l’ordinario? R: Lo sconto di pena per l'abbreviato è di un terzo. Il rito ordinario è il processo dibattimentale che si svolge davanti al tribunale, per questo


genere di reati in composizione collegiale (tre giudici); in quella sede vengono nuovamente introdotte oralmente davanti ai giudici tutte le prove raccolte nel corso delle indagini, nel contraddittorio tra le parti. Quindi, per esempio, i testimoni ascoltati dalla polizia o dal Pm nel corso delle indagini vengono nuovamente ascoltati da accusa e difesa durante il processo, e la prova che entra è proprio quest’ultima (salvo alcune possibilità di far entrare prove raccolte nel corso delle indagini). Il rito abbreviato, invece, si svolge davanti al giudice dell’udienza preliminare (o nei caso di citazione diretta a giudizio, davanti al tribunale in composizione monocratica), sulla base degli atti già

raccolti nel corso delle indagini (allo stato degli atti, salvo la possibilità di condizionare il rito ad alcune ulteriori acquisizioni probatorie), in cambio di uno sconto di pena come detto di un terzo. Nel dibattimento, cioè, si rischia di più ma si ha il vantaggio di poter introdurre molte nuove prove e riascoltare tutte le persone già sentite, rivalutare le intercettazioni telefoniche, cioè in sostanza tutto può cambiare. D: Che differenza c’è fra sentenza di non doversi procedere e sentenza di assoluzione? R: L'assoluzione è una valutazione nel merito dei fatti compiuta dal Giudice, che certifica che l'imputato non li ha commessi, oppure i fatti non costituiscono reato ovvero che il

fatto storico è diverso rispetto a quello indicato dall'accusa e non è reato. In una pronuncia di non doversi procedere, invece, la valutazione del giudice non scende nel merito, ma prende atto che l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita, in quanto sono venute meno le ragioni che la legittimavano. In questo caso, ad esempio, si è preso atto della morte di uno degli imputati, circostanza questa che estingue il reato, e del fatto che altri imputati erano stati già condannati per i medesimi fatti. E' il cosiddetto “ne bis in idem”, cioè il divieto di essere giudicati due volte per il medesimo fatto. AVV.TOMMASO ROSSI

Omicidio Serena Mollicone Slitta il test del Dna ROMA, 22 NOVEMBRE ’11 Ancora altro tempo per far luce sull’omicidio di Serena Mollicone, la studentessa 18enne scomparsa e ritrovata morta ad Arce, piccolo paese del Frusinate nel giugno del 2001. Oggi doveva svolgersi il test del Dna sui reperti, come disposto dalla Procura di Cassino presso la sede della polizia scientifica. Ma non si è proceduto e l’esame è slittato al 5 dicembre prossimo. Pertanto gli inquirenti hanno solo riordinato e fotografato tutti i reperti e il materiale relativo al caso, sottoponendolo al perito professor Giuseppe Novelli al quale la Procura ha affidato l’incarico di svolgere il test. Si allungano ancora dunque i

tempi per la ricerca della verità sulla morte di questa giovanissima studentessa. Il caso. L’omicidio di Serena Mollicone è ancora un caso irrisolto. E sono passati 11 anni. Entrato a far parte dei misteri d’Italia, quei gialli che hanno tenuto col fiato sospeso l’Italia intera e che hanno riempito pagine e pagine di cronaca nera, il “delitto di Arce” come è stato spesso identificato, tarda ancora nella sua ricerca della verità. Serena Mollicone era una studentessa di 18 anni. Abitava nel piccolo paesino di Arce, in provincia di Frosinone. Il primo giugno 2001 scomparve misteriosamente. E solo due giorni dopo, il suo cadavere venne rinvenuto tra le sterpaglie del

boschetto di Anitrella. Serena aveva mani e piedi legati, la testa infilata in un sacchetto di plastica. Una morte orribile, un’esecuzione. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, la ragazza sarebbe morta per asfissia, a causa del sacchetto di plastica sulla testa. Sul suo corpo non furono rinvenute tracce di colluttazione, di resistenza, di aggressione. Pare anche - e questa è una piccolissima consolazione per i poveri genitori che Serena non abbia subìto violenza sessuale. Anzi, l’ipotesi della Procura è che la ragazza sia stata tramortita con un colpo in testa infertole con un corpo contundente, forse una tavola di legno e poi trasportata ancora viva, ma svenuta,


nel boschetto dove sarebbe stata abbandonata al suo destino e dove avrebbe trovato la morte per asfissia. La scomparsa. Il primo giugno 2001, il giorno della scomparsa, Serena non era andata a scuola ma all’ospedale di Isola del Liri (a 10 chilometri dal suo paesino, Arce) per sottoporsi a una radiografia dentaria. Alle 9,30 finita la visita, la ragazza sarebbe entrata in una panetteria per comprare quattro pezzi di pizza e quattro cornetti prima di salire sull’autobus per rientrare ad Arce. Alle 13,15 alcuni testimoni riferiranno alla Procura di averla vista nella piazzetta del paese. Serena aveva un appuntamento a Sora con il fidanzato in uno studio dentistico, ma da quel momento di lei si perdono le tracce. Alle 21 il padre ne denuncia la scomparsa. Le ipotesi e i misteri. In un primo momento si era ipotizzato che la giovane avesse perso quella coincidenza della corriera per Sora e che, pur di raggiungere il fidanzato, avesse accettato il passaggio in auto da qualcuno. Ma Serena era riservata e non si sarebbe mai fidata di qualcuno che non fosse stato un parente o un conoscente. Mai sarebbe salita nell’auto di uno sconosciuto. Inoltre, la ragazza avrebbe dovuto avere con sé il telefono cellulare. Una settimana dopo la scomparsa e qualche giorno dopo il ritrovamento del cadavere, suo padre rinvenne il telefonino che la figlia avrebbe dovuto avere con sé, in un cassetto della scrivania in camera. I sospetti degli inquirenti si concentrarono allora proprio su questo: se fosse stata Serena a rientrare e lasciare in camera il suo telefono cellulare o se qualcun altro fosse entrato in casa per farlo

ritrovare lì. Nello stesso cassetto, appena dieci giorni dopo, venne trovata una bustina di hashish. Depistaggi, secondo gli investigatori, tentativi di disseminare la casa dei Mollicone di falsi indizi per allontanare dalla verità sulla morte di Serena. Le contraddizioni. Oltre al ritrovamento del telefonino di Serena e della bustina di droga nella sua stanza, gli investigatori rilevarono anche delle contraddizioni nelle testimonianze rese da alcune persone sentite circa la scomparsa della studentessa. Tre testimoni dichiararono di aver visto Serena con un’altra ragazza a Isola Liri tra le 11 e le 11,30 proprio il giorno in cui scomparve, il primo giugno. Invece un conducente di corriera sostenne di aver visto Serena scendere dal mezzo pubblico alle 11,25 (quindi la ragazza sarebbe salita sulla corriere a Isola Liri alle 10,45). Attendibile invece la testimonianza di un’amica della vittima, che ha dichiarato agli inquirenti di aver visto Serena al mercato del paesino tra le 11,30 e mezzogiorno. La svolta nelle indagini. A fine 2002 il rapporto stilato dall’Unità di Analisi crimini violenti della polizia permette di concentrare i sospetti su un uomo, Carmine Belli, 36 anni, carrozziere residente ad Arce. L’uomo viene trovato in possesso di un biglietto scritto da Serena. E’ l’unico sospettato per la morte della studentessa. Il 6 febbraio 2003 il carrozziere viene arrestato dalla squadra mobile di Frosinone con l’accusa di essere l’assassino di Serena Mollicone. Ma due anni dopo, l’accusa crolla. La difesa nomina un perito di grande spessore, il criminologo Carmelo Lavorino, grazie al quale il pilastro accusatorio

si sgretola. La corte d’Assise di Cassino assolve Carmine Belli, il quale torna ad Arce da uomo libero. Il mistero sulla morte di Serena Mollicone è ancora insoluto. Gli inquirenti stanno lavorando su altre piste che condurrebbero al mondo dello spaccio di droga ad Arce e nei paesini limitrofi, e addirittura alla Camorra, ma si procede nel più stretto riserbo. Per i genitori di Serena non c’è ancora la verità, non c’è ancora pace. TALITA FREZZI D: Su quali reperti è possibile estrarre il Dna? R: Praticamente da qualsiasi oggetto che presenti tracce di materiale biologico: si è riusciti persino ad estrarre il DNA dell’uomo preistorico di Neanderthal da reperti fossili. Le tecniche di repertazione però richiedono grande cautela, perchè le tracce biologiche possono trasferirsi con facilità: basta che, semplicemente, un oggetto venga toccato da un essere umano che, poco prima, aveva toccato altre tracce biologiche perchè avvenga un trasferimento che, logicamente, renderebbe inattendibile il risultato. Talvolta non è possibile stabilire quale sia la natura della traccia biologica: se esigua e risalente nel tempo, infatti, non si riesce a distinguere se si tratti di saliva, sangue od altro reperto biologico, anche se magari rimane possibile estrarre il codice genetico di chi l’ha lasciata. D: Come vengono nominati i periti dalla Procura? R: Sarebbe più corretto parlare di “consulente tecnico” piuttosto che di perito. La seconda definizione


riguarda l’esperto nominato dal Giudice. Comunque l’ambito di competenza è lo stesso e la nomina è necessaria quando sono richieste, per la valutazione di un fatto o di una traccia, competenze tecniche o scientifiche specifiche, che esulano dalla preparazione giuridica del Giudice o del Pubblico Ministero. La differenza, rispetto al testimone consiste proprio nella possibilità di esprimere pareri o valutazioni: il testimone invece può solo riferire fatti. La regola dell’art.233 del Codice di Procedura Penale prevede che non sia possibile nominare più di 2 periti per ciascuna parte del processo (difensori compresi). D: In che consiste il reato di omicidio? R: In una azione volontaria o solo colposa, che provoca la morte di una persona. D: Quale rilevanza ha il ruolo del

criminologo per le perizie di parte? R: Varia caso per caso, poichè la “criminologia” è contemporaneamente disciplina scientifica ed umanistica, che indaga però non sul reato/caso specifico, ma sul reato in generale. Insomma, non può parlarsi di scienza esatta poichè il reato, di per se stesso, è costituito da un’insieme di variabili storiche, sociologiche, politiche, culturali e normative. Quello che oggi è reato non lo era magari 100 anni fa, poichè non lo prevedeva la legge, ovvero quello che 100 anni fa era considerato spregevole dalla società, tanto da divenire un crimine, oggi è perfettamente legale. Vale persino per l’omicidio! D: Come si procede nei casi di depistaggi o inquinamento delle indagini? R: L’autore può rispondere, a sua

volta, di un reato di favoreggiamento ovvero di simulazione di reato oppure di calunnia. L’ultimo reato è piuttosto grave e se si cercasse di incolpare taluno di un reato punito con l’ergastolo, come nel caso in questione, si potrebbe rischiare una pena fino a 20 anni. D: Quali sono le conseguenze di una archiviazione e di una assoluzione? R: Diversissime. In caso di semplice archiviazione, il caso può essere riaperto se emergono nuove prove. In caso di assoluzione invece, il soggetto assolto per un determinato fatto non potrà più essere processato per la medesima accusa, anche se vi fosse prova certa della sua colpevolezza. AVV. DAVIDE TOCCACELI

Non è un mondo per donne Tre ragazzine ad Ancona, Lecce e Francia vittime di stupro ANCONA, 22 NOVEMBRE ’11 – Agnese, 16 anni di Ancona. Agnese 16 anni, di Lecce. E Agnès, solo 13 anni, della Francia. Accomunate dal nome di fantasia, dall’età vicina alla fanciullezza, dall’essere vittime del più orrendo dei delitti contro una donna: la violenza sessuale. Per una di loro, la più piccolina, Agnès, il suo aguzzino ha riservato una fine orribile. Deflorata e poi bruciata viva, come una piccola strega di cui nessuno avesse più dovuto occuparsi. Tre giovani donne umiliate, stuprate, sopraffatte, rovinate per sempre. Tre vite distrutte nel fiore degli anni. Oggi queste tre brutte notizie non saranno

impaginate nel regionale e nelle categorie ‘Italia’ ed ‘esteri’, ma saranno una sola storia con tre volti e un drammatico epilogo. Vite spezzate, comunque. Perché se la piccola Agnès e i suoi tredici anni non ci sono più, Agnese di Ancona e Agnese di Lecce devono crescere con addosso i segni e il peso di quella violenza, più profonda di una cicatrice che non sbiadisce con il tempo. Tre casi: nella nostra regione, nella nostra Italia e nel mondo. Violenze sessuali ai danni di minorenni. Li racconteremo, li analizzeremo, confronteremo i numeri e spiegheremo le conseguenze di uno stupro, forse per

arrivare all’ipotesi che questo non è un mondo per donne, forse solo per aiutare gli uomini a riflettere sul diritto inviolabile di avere tempo per diventare donne e vivere la sessualità con rispetto. ANCONA. La chiameremo Agnese, nome di fantasia, per rispetto dei suoi 16 anni e del dramma che ha vissuto a fine ottobre questa ragazzina di Ancona. Il weekend di Halloween, quello dove è di moda giocare con la paura per esorcizzare violenza, spettri e incubi, lei la paura più grande l’ha vissuta sul serio. La studentessa passeggiava in centro, lungo il corso, in pieno pomeriggio, con gli occhi attratti dalle vetrine luminose e dai


vestiti. Ha sedici anni, era un suo diritto sognare riflessa in un vetro. Stando a quanto è stato possibile apprendere – dato che sul caso la Procura della Repubblica presso il Tribunale dei minori di Ancona sta procedendo nel più stretto riserbo e con tutte le cautele dovute – la ragazzina sarebbe stata agganciata da due coetanei (o comunque under 18, di poco più grandi di lei) con ogni probabilità rom, che l’avrebbero convinta a fare un giro in scooter fuori città. La trappola. Lei e l’ingenuità dei suoi 16 anni hanno detto sì e quando si sono allontanati è stato l’inizio dell’incubo. I due l’avrebbero portata in spiaggia, lungo il litorale di Falconara Marittima, e lì sarebbe scattata la violenza. La Procura ha aperto un fascicolo per far luce sulla torbida vicenda, i cui contorni sono ancora incerti e sfocati. L’input è arrivato dal social network Facebook dopo che un’amica della giovane vittima avrebbe postato in bacheca un accenno alla vicenda. Da due settimane gli investigatori coordinati dal sostituto procuratore Franco Venarucci stanno indagando. La violenza c’è stata. Agnese è stata costretta ad avere rapporti sessuali. Lo attesta un certificato medico allegato al referto di pronto soccorso in cui si attesta che “è stato consumato un rapporto sessuale traumatico”. Le poliziotte della Procura sono al lavoro con professionalità e delicatezza per rompere quel muro di silenzio che la ragazzina ha costruito in due settimane di sofferenza e di vergogna. In Procura c’è un fascicolo per violenza sessuale su una minore che aspetta ulteriori conferme e i nomi dei giovani

aguzzini. LECCE. Anche lei è Agnese, nome di fantasia per quest’altra studentessa stavolta di Brindisi, fatta ubriacare da due amici che poi hanno abusato di lei. Un’altra storia di prevaricazione. Agnese di Brindisi ieri mattina aveva marinato la scuola con due “amici” - uno maggiorenne l’altro minorenne - con i quali era andata a Lecce per fare shopping. I due ragazzi l’hanno fatta bere, poi insieme l’hanno violentata nei bagni della stazione ferroviaria. “Ero ubriaca e non sono riuscita a impedirglielo”, sono le parole choc con cui la ragazzina ha denunciato agli investigatori della Squadra mobile lo stupro subito. Si è sfogata con la polizia, dopo essersi fatta medicare al pronto soccorso. Ha rivelato i nomi dei suoi aguzzini, entrambi di Brindisi. Ora saranno gli investigatori ad accertare cosa è accaduto ieri mattina in quella stazione a Lecce. Stando a una primissima ricostruzione dei fatti, sembra che dopo la violenza i due ragazzi abbiano abbandonato l’amica-vittima sull’ultimo vagone del treno regionale diretto a Bari delle 14,37 e poi si siano dati alla fuga. L’allarme è scattato alle 14,30 quando il personale delle Ferrovie dello Stato ha notato la ragazzina che stava male, in lacrime, ancora ubriaca e sotto choc. Sono intervenuti i sanitari del 118 e gli agenti della Polfer. Trasportata al pronto soccorso dell’ospedale “Vito Fazzi”, dove sono intanto arrivati anche i genitori della ragazzina, la verità è emersa in tutto il suo orrore. A rafforzare la denuncia, il referto della visita ginecologica cui è stata sottoposta e del tampone vaginale che oltre a dare conferme della

brutale violenza subita ha fornito anche il dna dei due aguzzini, la cui faccia – nel caso gli elementi a disposizione della Procura non siano sufficienti – sono impresse nei filmati delle telecamere a circuito chiuso della videosorveglianza installate nella stazione ferroviaria di Lecce. Gli occhi elettronici potrebbero anche aver filmato la scena della costrizione verso i bagni, verso il luogo della violenza. FRANCIA. Agnès Marin aveva 13 anni ed era una bella bambina anche se come tutte le tredicenni voleva sembrare già grande. Agnès e la sua storia tragica chiudono oggi il drammatico trittico di vicende di ragazzine stuprate dal branco o dagli amici. La chiude nel modo peggiore, perché oltre alla violenza sessuale c’è l’atto finale, quello del disprezzo, quello brutale con cui lo stupratore si lava le mani con il fuoco, bruciando viva la sua vittima. Agnès e la sua fine orribile, violentata in un bosco e bruciata viva da un compagno di scuola, oggi fanno piangere tutta la Francia, tutto il mondo. La tragedia si è consumata la settimana scorsa, nella cittadina Chambon sur Lignon, zona dell'Alta Loira. Agnès era studentessa in un prestigioso college semi privato. E’ scomparsa da casa mercoledì. Attirata in un bosco da un compagno di scuola - Mathieu, 17 anni, già arrestato ad agosto 2010 per aver stuprato una ragazzina vicino Nimes e condannato a 4 mesi di carcere - Agnès è stata prima violentata e poi uccisa. Secondo il medico legale che ha effettuato l’autopsia, la piccola è stata uccisa proprio mercoledì. Sul suo corpicino violato e dato alle fiamme, Mathieu potrebbe anche aver infierito. Gli investigatori hanno spiegato che il


ragazzo era “in possesso di oggetti” usati forse per infierire con crudeltà e depravazione sulla sua vittima. Se anche questa agghiacciante ipotesi troverà riscontro con le perizie medico-legali, per il giovane omicida potrebbe anche profilarsi l’aggravante della premeditazione del reato. Il Procuratore che coordina le indagini parla di “uccisione in maniera estremamente violenta e brutale”. Il corpo della piccola Agnès è stato rinvenuto venerdì scorso su indicazioni dello stesso omicida, che messo alle strette dagli investigatori ha ammesso tutto. La violenza e l’uccisione. La famiglia Marin, comprensibilmente sconvolta dal dolore, lascia però trasparire l’indignazione per il prestigioso college dalla retta annuale a tre zeri, che conoscendo i precedenti penali del ragazzo non avrebbe dovuto ammetterlo solo in virtù delle leggi sulla privacy. Nel mirino anche le autorità, additate per non aver trattenuto Mathieu in prigione dopo averlo condannato per la precedente violenza sessuale. Ma il rilascio, come sostenuto dalle autorità francesi, era stato legittimato e suffragato dalle perizie medico legali che davano il nulla osta per la fase di riabilitazione sociale. A poco più di un anno dal primo stupro, la drammatica storia che si ripete e stavolta in maniera orrenda, portandosi via il sorriso e gli occhi lucenti di una bambina che stava per diventare grande. I DATI. La violenza sulle donne, specie minorenni, in qualsiasi forma si presenti è uno dei fenomeni sociali ancora taciuti e più nascosti nel sottobosco della vergogna, dell’umiliazione, del pregiudizio sociale e della minaccia. In Italia i

centri antiviolenza si sono riuniti nella Rete nazionale dei centri antiviolenza e delle Case delle donne. Nel 2008 è nata una Federazione nazionale che riunisce 58 centri antiviolenza in tutta la penisola (“D.i.Re”, Donne in Rete contro la violenza). Secondo i Dati del Viminale, le vittime di violenza sessuale sono per lo più donne 85,3% e di nazionalità italiana (68,9%); gli autori di stupro sono italiani nel 60,9% dei casi, il 7,8% sono rumeni e il 6,3% marocchini. I casi di stupri di gruppo sono incrementati del +10% nel 2007 e diminuiti del 24,6% nel 2008. Le violenze sessuali sono aumentate rispetto al 2006 per un numero complessivo da 4821 a 5.062 casi. Le possibili conseguenze sulla salute delle donne possono essere fisiche (lesioni addominali, disabilità, lacerazioni e abrasioni, funzione fisica ridotta, disturbi gastrointestinali…), sessuali e riproduttive (disturbi ginecologici, sterilità, complicazioni della gravidanza/aborto spontaneo, malattie a trasmissione sessuale compreso Hiv/Aids, aborto in condizioni di rischio e gravidanze indesiderate), psicologiche e comportamentali (abuso di alcol e droghe, depressione e ansia, sensi di vergogna e di colpa, fobie e attacchi di panico, disturbi da stress posttraumatico, fumo, comportamenti suicidi e autolesionisti..) fino a conseguenze mortali (mortalità legata all’Aids, mortalità materna, omicidio e suicidio).

R: La violenza sessuale di gruppo è un reato più grave della violenza sessuale semplice, e consiste nella partecipazione di più persone riunite ad atti di violenza sessuale. La pena è della reclusione da 6 a 12 anni per tutti i partecipanti, salvo aggravanti. La pena è invece diminuita per il partecipante che abbia avuto un ruolo di minima importanza nella preparazione o nella esecuzione del reato. D: L’aver fatto ubriacare la vittima, costituisce aggravante ai fini della pena? R: Sì, è una aggravante l’aver compiuto il reato con l’uso di sostanze alcoliche o stupefacenti o narcotiche o altri strumenti lesivi della salute della persone. Nella violenza sessuale semplice l’aggravante in questione parta la pena alla reclusione da 6 a 12 anni, nella violenza di gruppo determina un aumento di pena che deve intendersi di un terzo come per ogni aggravante. D: Quali altre aggravanti si possono ravvisare? R: Nel terribile caso della ragazzina francese l'ordinamento italiano reagirebbe in maniera durissima. Un omicidio compiuto in occasione di una violenza sessuale su minorenne (ai fini del reato è considerato minore l'infraquattordicenne) comporta la pena dell'ergastolo. In questo caso poi vi sarebbe l'ulteriore aggravante delle sevizie e crudeltà. D: Che cos'è la recidiva? R: In sede di applicazione della pena il nostro ordinamento prevede che se un soggetto è già stato condannato TALITA FREZZI (con provvedimento passato in D: In che consiste il reato di giudicato quindi non impugnabile) violenza sessuale di gruppo? per un delitto non colposo e commette un altro delitto non


colposo, lo stesso può essere sottoposto ad un aumento di 1/3 della pena da applicare per il nuovo delitto. Si parla della c.d. recidiva. La pena può essere aumentata fino alla metà nelle ipotesi di recidiva aggravata ossia 1) se il nuovo delitto non colposo è della stessa indole; 2) se è stato commesso nei 5 anni dalla

condanna precedente; 3) se il nuovo delitto non colposo è stato commesso durante o dopo l’esecuzione della pena oppure durante il tempo in cui il condannato si è sottratto volontariamente all’esecuzione della pena. Infine esiste l’ipotesi della c.d. recidiva reiterata che si verifica quando un

soggetto già recidivo commette un altro delitto non colposo. In tale caso l’aumento della pena per il nuovo reato è della metà nel caso di recidiva semplice, di 2/3 nel caso di recidiva aggravata. AVV.TOMMASO ROSSI

Tangenti Enav-Finmeccanica Ora tocca ai politici ROMA, 22 NOVEMBRE ‘11 – L’inchiesta romana su EnavFinmeccanica rischia di travolgere il mondo politico: mentre il titolo in borsa affonda tanto da costringere i vertici aziendali a volare in America per spiegare il tracollo finanziario alle agenzie di rating e agli investitori (Finmeccanica ha perso 358 milioni in 9 mesi), le dichiarazioni rese da Tommaso Di Lernia, titolare dell’impresa Print Sistem e da Lorenzo Cola, ex superconsulente di Finmeccanica ( entrambi arrestati in passato), rischiano di rivelare nel dettaglio il meccanismo truffaldino che si era creato fra politica e imprese di Stato per finanziare illecitamente i partiti e per ottenere favori incanalando concessioni di appalti attraverso la costituzione di fondi neri. Guido Pugliesi, Amministratore Delegato di Enav è stato posto ali arresti domiciliari per finanziamento illecito ai partiti, mentre in carcere sono finiti il commercialista Marco Ianilli e Manlio Fiore, direttore generale della Selex Servizi Integrati (società controllata da Finmeccanica). Le altre accuse sono falsa fatturazione, creazione di fondi neri e frode

fiscale. Cola è uno dei più stretti collaboratori di Pierfrancesco Guarguaglini , presidente di Finmeccanica ed indagato nell’inchiesta insieme alla moglie Marina Grossi a sua volta a capo della Selex. Da quanto emerge dalle dichiarazioni rilasciate ai pm, Guarguaglini e signora erano a conoscenza e anzi avrebbero favorito il giro di corruzione che si era venuto a creare attorno alle aziende a cui erano a capo. Per entrambi si è parlato di possibili prossime dimissioni che anzi sono state esplicitamente richieste alla Grossi dall’Amministratore Delegato di Finmeccanica Giuseppe Orsi per ragioni di opportunità. I due vertici aziendali avrebbero coperto le attività illecite volte ad ottenere favori, indirizzare nomine e a corrompere politici: il giro di tangenti e fatture false emesse a tal fine venivano definite come un ‘fare i compiti’. I soldi ai politici venivano erogati attraverso Lorenzo Borgogni, direttore centrale delle relazioni esterne di Finmeccanica autosospesosi nei giorni scorsi e che sta collaborando nelle inchieste su Enav delle Procure di Napoli e

Roma. Anche per lui il pm aveva richiesto l’arresto, non concesso dal Gip. Come detto sono molti i nomi di politici di spicco emersi dalle dichiarazioni di Di Lernia e Cola. Si parla di una mazzetta da 200000 euro versata nel febbraio 2000 da Di Lernia accompagnato da Pugliesi al tesoriere dell’Udc Giuseppe Naro da consegnare direttamente a Pierferdinando Casini. Il tesoriere ha smentito e il leader centrista ha annunciato la querela dichiarandosi amareggiato ma sereno. A essere tirati in ballo però son stati anche gli uomini della ex An romana, vicini al sindaco Gianni Alemanno: le bustarelle destinate al politico di turno sarebbero state ritirate direttamente nello studio di Pugliesi. Fra gli altri sono stato fatti i nomi di ex Ministri quali Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri, ma anche quello del segretario dell’Udc Lorenzo Cesa. Anche l’ex Ministro Altero Matteoli sarebbe coinvolto avendo caldeggiato la vendita di un ramo di azienda di Optimatica ( a lui vicina ) ad Enav per 15 milioni di euro, cifra largamente gonfiata in cambio del sostegno a Pugliesi per la riconferma come Amministratore


Delegato di Enav. Cola ha parlato di un incontro a tre in un bar di via Veneto fra Matteoli, Pugliesi e Tulliani ( di Optimatica). Di Lernia ha invece tirato in ballo anche l’ex vicepresidente del Consiglio Marco Follini, ex Udc e ora senatore Pd: sulla società ‘Costruzioni e Servizi’, vicina al politico, sarebbero stati pilotati appalti per lavori da effettuare nella città di Venezia. A quanto pare, pur se coinvolti tutti i partiti al Governo in quegli anni ( sembrerebbe anche un esponente leghista ), particolari rapporti furono mantenuti proprio con l’Unione di Centro. In una intercettazione ambientale Giampaolo Pinna, responsabile Enav per la security ed ora indagato, parlando con Pugliesi e riferendosi al Pubblico Ministero sosteneva che ‘ questo Ielo vuole fare il milanese , ma a Roma le cose si fanno alla romana. O si calma o lo calmano". A quanto sembra, però, l’inchiesta è oramai entrata nel vivo e più che calmarsi rischia di scatenare una nuova bufera sui palazzi della politica. ANDREA DATTILO D: In cosa consiste e che pena prevede il reato di finanziamento illecito ai partiti? R: La legge 195/1974 all’art. 7 vieta

i finanziamenti o i contributi, sotto qualsiasi forma ed in qualsiasi modo erogati, da parte di organi della pubblica amministrazione, di enti pubblici e di società con partecipazione di capitale pubblico (superiore al 20%), a favore di partiti, loro articolazione e di gruppi parlamentari. Sono vietati altresì i finanziamenti di partiti da parte di società non comprese tra quelle sopra dette, salvo che tali finanziamenti o contributi siano stati deliberati dall’organo sociale competente e siano regolarmente iscritti in bilancio (purchè non siano comunque vietati dalla legge). Per chi corrisponde o riceve contributi in violazione dei divieti sanciti è prevista la pena della reclusione da 6 mesi a 4 anni e della multa fino al triplo delle somme versate in violazione della presente legge. L’art. 4 della legge 659/1981 e successive modifiche hanno esteso l’ipotesi di reato di cui al suddetto art. 7 anche ai finanziamenti e contributi in qualsiasi forma o modo erogati, anche indirettamente, ai singoli membri del Parlamento nazionale oltre che ai membri italiani del Parlamento europeo, ai consiglieri regionali, provinciali e comunali, ai candidati alle predette

cariche, ai raggruppamenti interni dei partiti politi e a tutti altri soggetti elencati nella norma. D: Ma allora come devono essere “regolamentati” i contributi ai partiti? E’ possibile l’interdizione dai pubblici uffici per i politici eventualmente coinvolti? R: La legge prevede che in caso di erogazioni di finanziamenti o di contributi (per un importo annuo superiore a 50.000 euro) sotto qualsiasi forma, compresa la messa a disposizione di servizi, il soggetto erogante e chi li riceve debbano entro tre mesi dalla loro percezione farne una dichiarazione congiunta da depositare presso la Presidenza della Camera dei Deputati oppure possono essere autocertificati se relativi a campagne elettorali. La violazione di tale obbligo o dichiarazioni non veritiere comportano la multa da 2 a 6 volte l’ammontare non dichiarato e la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici. D: Nel caso in cui un politico venga condannato, cosa succede al suo ruolo? R: Il ruolo parlamentare resta intatto se non è lo stesso politico a presentare le dimissioni o il suo partito a sfiduciarlo o ad espellerlo. AVV.VALENTINA COPPARONI

Il processo per la morte di Lea Garofalo Sciolta nell’acido, deve ricominciare. MILANO, 24 NOVEMBRE ’11 – La macchina della giustizia si inceppa. Un giudice manca e uno dei processi che maggiormente destò scalpore a Milano rischia di essere azzerato permettendo quindi ai suoi imputati di tornare in libertà. Ci

riferiamo al processo che si sta svolgendo da qualche mese in corte d’Assise contro i presunti assassini di Lea Garofalo, la collaboratrice di giustizia fatta sparire il 24 novembre 2009 – esattamente due anni fa – e sciolta nell’acido. Lea Garofalo (35

anni) era l’ex convivente di Carlo Cosco, un esponente del clan calabrese di Petilia Policastro, e nel 2002 diventa collaboratrice di giustizia. I due avevano avuto una figlia di 17 anni, Denise, che vive da tempo sotto protezione e in questo


processo si è costituita parte civile contro il padre e gli zii, indagati per l’omicidio di sua madre. Sei persone furono arrestate per questo cruento omicidio: Carlo Cosco, ex convivente ed ultima persona ad averla vista viva quel 24 novembre di due anni fa, i fratelli del padre Vito Cosco (autore della strage di Rozzano) e Giuseppe “Smith” Cosco, Massimo Sabatino (37enne spacciatore di Quarto Oggiaro), Carmine Venturino e Rosarcio Curcio. Sono imputati di aver rapito, torturato, ucciso e sciolto in 50 chili di acido Lea Garofano su un terreno di San Fruttuoso. Il processo, che stava andando avanti da alcuni mesi, ora si è interrotto e forse dovrà ripartire da zero a causa della nomina del presidente della Corte d’Assise Filippo Grisolia a capo di gabinetto del neo ministro di giustizia Paola Severino. In vista del cambiamento della composizione della corte, le difese non hanno acconsentito a mantenere valide le prove finora agli atti e raccolte nel corso del dibattimento. Verrà quindi annullata anche la testimonianza di Denise, ora diciannovenne e parte civile. Il prossimo luglio 2012 scadranno i termini di custodia cautelare per gli imputati (che si trovano tutti in carcere dall’arresto, avvenuto nell’ottobre 2010, in attesa di giudizio) e se entro quella data non si arriverà ad un processo di primo grado, potrebbero tutti tornare a piede libero. E la ‘ndrangheda avrebbe vinto. TALITA FREZZI D: Quali le accuse per l’omicidio di Lea Garofano? R: Omicidio premeditato aggravato

dalle sevizie e crudeltà e dai rapporti parentali tra gli autori e la vittima. Pena prevista, dato che si procede con il dibattimento ordinario, l'ergastolo. D: Quando scadono i termini di custodia cautelare in carcere che succede? R: Che gli imputati sono immediatamente rimessi in libertà. I termini di durata di ogni misura si devono intendere in relazione ad ogni fase del procedimento (ad ogni cambio di fase ricomincia a decorrere), secondo un complicato meccanismo differenziato per tipologia di reato e per fasi appunto. Nel complesso però l’applicazione di misure cautelari non può superare i due anni per i reati per i quali la legge prevede una detenzione nel massimo di sei anni, i quattro anni per reati con pena non superiore a venti anni, e i sei anni per reati che comportano la pena dell’ergastolo o la reclusione superiore a venti anni. Per la fase che va dall’inizio della custodia fino al rinvio a giudizio la durata non può suoperare 1 anno, prorogabile di altri sei mesi in presenza di gravissime esigenze cautelari in relazione ad accertamenti di indagine particolarmente complessi. Il Pm, nel tal caso, deve chiedere ed il Giudice decide se concedere la proroga. D: Come vengono protetti i collaboratori di giustizia? Quali i loro diritti e quali i doveri? R: Nel 2001 è stata approvata la legge sui c.d. collaboratori di giustizia che è andata a modificare la precedente normativa risalente a 10 anni prima; la testimonianza di tali soggetti, imputati a loro volta, comporta per gli stessi sconti di pena, misure di protezioni ad hoc ed

anche misure di assistenza economica ed anche legale a condizione però che il collaboratore riferisca ciò che sa entro un tempo limitato (6 mesi) da quando si dichiara disponibile a collaborare (pena l’inutilizzabilità), sconti almeno ¼ di pena per avere benefici penitenziari legati allo status di collaboratore di giustizia. Inoltre è prevista la revoca delle misure tutorie e assistenziali accordate quando il collaboratore non rispetta gli impegni assunto al momento dell’inserimento nel programma di protezione ed anche la revisione dei processi nei quali siano state concesse riduzioni di pena conseguenti ad una falsa, incompleta o reticente collaborazione. In ogni caso le dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia necessitano, per assumere valore di piena prova, di un riscontro sia sull’ attendibilità soggettiva del dichiarante sia sull’ attendibilità estrinseca della dichiarazione resa ossia la sussistenza di riscontri oggettivi . In questo caso, invece, si tratta di "testimoni di giustizia", cioè persone in grado di riferire circostanze utili su gravi fatti di reato. In relazione alle determinate circostanze concrete posso essere ammesse ad un programma di protezione stilato dallo Stato, che può constare di cambiamento di residenza, di identità, aiuti economici e protezione di polizia. D: Come è possibile che il processo debba ricominciare? R: Nel nostro sistema processuale è previsto che il dibattimento si svolga nell'oralità e immediatezza avanti ad un giudice terzo ed imparziale che forma il suo convincimento sulla


base di quello che ascolta in udienza. Quando cambia la composizione della Corte o cambia il singolo giudice è previsto che o le parti

danno il consenso all'acquisizione la nuova composizione giudiziale. degli atti processuali assunti avanti AVV.TOMMASO ROSSI al precedente giudice, oppure si deve riiniziare il dibattimento daccapo con

Roma Giornata Mondiale contro la violenza sulle Donne. ROMA, 25 NOVEMBRE '11 - Si celebra oggi la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne indetta dall’Assemblea generale della Nazioni Unite nel 1999. Negli scorsi giorni ci siamo occupati troppo spesso di gravissimi episodi di violenza contro le donne con la approfondita indagine condotta dal direttore Talita frezzi nell'articolo http://www.fattodiritto.it/non-e-unmondo-per-donne-tre-ragazzine-adancona-lecce-e-francia-vittime-distupro/. La giornata di oggi deve essere un momento di riflessione oltre che di indignazione e difesa dei diritti. Se si leggono i dati sulle violenze di genere che riguardano l'Italia, le cifre fanno raccapriccio: sette milioni di donne. Sette milioni. Un esercito spesso silenzioso ed invisibile che non fa scalpore. Una donna su tre, tra i 16 e i 70 anni è stata vittima nel corse della sua vita dell'aggressività di un uomo e nel 63% dei casi, alla violenza hanno assistito i figli (dati Istat). Il maggior numero delle donne colpite dalla violenza maschile risiede tra le donne più giovani, quelle tra i 16 e i 24 anni, ma nella quasi totalità dei casi le violenze non sono denunciate: il 96% delle donne non racconta le violenze subìte. Nei casi denunciati di stalking il 75 % del numero degli stalker è uomo, solo il 25 % è donna. Spesso il muro del silenzio e della

vergogna viene rotto soltanto quando la violenza colpisce i figli. Una ricerca internazionale dal titolo «Daphne III Violenza sulle donne: il danno indiretto provocato sui bambini», condotta dalla Facoltà di Scienze della formazione di Roma Tre dimostra che il danno subito dai bambini è tale che nella gran parte dei casi gli stessi perdono ogni fiducia nella possibilità di formare una famiglia e di avere una relazione sentimentale stabile.Nell'occasione della ricorrenza odierna, l’associazione nazionale Donne in rete contro la violenza (Dire),ricorda in una nota indirizzata al Governo l'assoluta necessità e urgenza “di firmare la Convenzione Europea per la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne, sottoscritta a maggio a Istanbul” e già sottoscritta da 16 Paesi europei che si sono impegnati a superare la violenza di genere. La celebrazione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999, è anche l'occasione per fornire alcune informazioni sulla tutela che l’ordinamento giuridico italiano presta, in via preventiva e in via successiva, alla donna e alle situazioni in cui questa può diventare vittima di comportamenti violenti o persecutori di terzi soggetti,

normalmente di sesso maschile. D: Quali sono le condotte antiguridiche che, più di altre, coinvolgono la figura della donna come vittima? R: I delitti previsti dal codice penale che più di altri coinvolgono la donna, nella posizione di vittima, sono quelli di violenza sessuale (artt. 609bis c.p. e ss.), percosse (art. 581 c.p.), pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (art. 583bis c.p.), maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.), atti persecutori (art. 612bis c.p.). Tralasciando le prime tre figure delittuose, che possono esaurirsi con un’unica condotta, spendiamo qualche parola sui reati di maltrattamenti in famiglia e atti persecutori (c.d. stalking). L’elemento comune a dette fattispecie delittuose consiste nella necessaria reiterazione di determinati comportamenti che, ove ripetuti nel tempo o considerati nella loro complessità e connessione, realizzano il reato punito dalla legge penale. Le vittime di tali reati sono, molto più di frequente, donne: ciò in quanto, si tratta di situazioni che si consumano nell’ambito dell’ambiente familiare – per quanto riguarda i maltrattamenti in famiglia – o nell’ambito di coppia – per quanto attiene gli atti persecutori, contesti ove la donna talvolta risulta soggetto più fragile rispetto alla


figura maschile, che prevale almeno nella forza fisica. D: In cosa consiste il delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.)? R: La legge punisce “chiunque… maltratta una persona della famiglia…“, senza specificare in cosa consistano questi maltrattamenti. Certamente vi rientrano tutti i fatti che ledono e pongono in pericolo l’incolumità personale, la libertà, l’onore nonchè tutti i fatti che producono, nel soggetto che li subisce, sofferenze fisiche o morali, come l’angoscia e lo spavento. Tuttavia, l’assenza di una definizione della condotta di “maltrattamenti” affida al saggio apprezzamento del giudice l’individuazione di tali condotte, il quale dovrà tenere conto anche delle condizioni sociali e culturali dei soggetti componenti il nucleo familiare all’interno del quale avvengono i maltrattamenti. D: Qual’è la pena prevista per il delitto di maltrattamenti in famiglia? R: Il codice penale punisce i maltrattamenti in famiglia con la reclusione da uno a cinque anni. La pena aumenta, gradatamente, nel caso in cui dai maltrattamenti scaturiscano lesioni personali sul soggetto maltrattato: in particolare, la pena sarà da quattro a otto anni di reclusione, se dal maltrattamento deriva una lesione che comporta una malattia superiore ai 40 giorni; da sette a quindici anni, se ne deriva una lesione che comporta l’indebolimento permanente di un senso o di un organo; da dodici a vent’anni, se dalla lesione ne deriva la morte del soggetto maltrattato. Nelle ipotesi aggravate esposte, la

lesione non deve essere, tuttavia, provocata intenzionalmente: deve cioè trattarsi di lesioni preterintenzionali (oltre le intenzioni), in quanto se fossero volute, sarebbero applicabili le norme specifiche previste per il delitti di lesione grave, gravissima e omicidio. D: Quali misure cautelari possono applicarsi nel caso in cui si proceda per il delitto di maltrattamenti in famiglia? R: Le misure cautelari personali applicabili nel caso di procedimento penale avente ad oggetto il delitto di maltrattamenti sono tutte quelle previste dagli artt. 280 e ss. c.p.p. (Misure coercitive), dagli artt. 287 e ss. c.p.p. (Misure interdittive). La misura cautelare personale più frequentemente applicata è quella dell’Allontanamento dalla casa familiare, prevista e disciplinata dall’art. 282bis c.p.p., con la quale il giudice prescrive all’imputato di lasciare immediatamente la casa familiare, o di non farvi rientro, e di non accedervi senza l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria che procede, con la quale possono essere previste le modalità di visita. Il giudice inoltre, ove sussistano esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, può prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, quali il luogo di lavoro o il domicilio della famiglia di origine. Con l’allontanamento, poi, il giudice può anche ordinare il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto dell’allontanamento, rimangono prive di mezzi di sostentamento.

D: In che cosa consiste il delitto di atti persecutori (c.d. Stalking) previsto dall’art. 612bis c.p.? R: Il reato di stalking è stato inserito, di recente (con decreto legge 23 febbraio 2009, n. 11), tra i delitti contro la libertà morale, all’art. 612bis c.p. Anche in questo caso si tratta di un reato abituale, in quanto si realizza con la verificazione di continui e ripetuti episodi di molestie e minacce. Le condotte di molestie e minacce devono essere tali da causare nella vittima un perdurante e grave stato d’ansia o di paura, ovvero da ingenerare un fondato timore per la propria incolumità fisica o per quella di un familiare o persona ad essa legata affettivamente ovvero da costringere la vittima a modificare le proprie abitudini di vita. Anche in questo caso le condotte criminose non vengono decritte dalla legge, spettando quindi al giudice il compito di qualificarle, considerando anche la loro reiterazione nel tempo, come condotte idonee a produrre gli effetti di cui sopra. I comportamenti minacciosi, rilevanti per la sussistenza di questo delitto, possono individuarsi in espressioni verbali pronunciate in presenza della vittima o dei suoi familiari, l’invio di lettere, sms, messaggi di posta elettronica o di pacchi dal contenuto minaccioso; le molestie, invece, possono realizzarsi attraverso pedinamenti, appostamenti sotto casa della vittima, invio di sms o messaggi di posta elettronica, telefonate mute e quant’altro costituisca un’interferenza ripetuta nel tempo nella sfera di libertà altrui, tale da provocare una fastidiosa intromissione nella vita privata della vittima. L’insieme di questi


comportamenti deve provocare nel soggetto degli stati d’animo che alterano la normale conduzione della propria esistenza. D: Qual’è la pena prevista per il delitto di stalking? R: La pena prevista per la forma “semplice” del delitto di stalking va da sei mesi a quattro anni di reclusione e subisce un aumento, a discrezione del giudice, se il fatto è commesso dal coniuge separato o divorziato o da persona che sia legata da relazione affettiva alla vittima. La pena subisce, poi, un aumento fino alla metà se il fatto viene commesso nei confronti di persone “deboli”, quali minori, donne in stato di gravidanza o disabili. D: Qual’è il termine per la proposizione della querela? R: Diversamente dalle ipotesi ordinarie, il termine per la proposizione della querela è di sei mesi, mentre si procede d’ufficio (senza necessità dell’iniziativa della vittima) ove il fatto sia commesso in danno di un minore o un disabile, in ragione della lolo minore capacità di autotutela.

D: Quali sono le cautele preventive e processuali adottabili dalle autorità? R: La cautela “preventiva” (cioè quella adottabile prima di presentare querela contro il proprio stalker) consiste nell’avanzare al Questore richiesta di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta, esponendo i fatti all’autorità di pubblica sicurezza. L’ammonimento – misura di prevenzione prevista dall’art. 8 del decreto legge 23 febbraio 2009, n. 11 che ha introdotto il delitto di atti persecutori) consiste in un avvertimento verbale con il quale il Questore invita il soggetto ammonito a mantenere una condotta conforme alla legge: se, nonostante l’ammonimento, il soggetto ammonito persevera nella sua condotta offensiva, il delitto in argomento diventa perseguibile d’ufficio e la pena è aumentata. Il citato decreto legge 11/2009 ha introdotto anche una nuova misura cautelare coercitiva applicabile ove sia già iniziato un procedimento penale nei confronti dello stalker, ovvero quando l’autorità giudiziaria

ha già provveduto ad iscrivere il reato nel registro delle notizie di reato. Si tratta del Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, previsto dall’art. 282ter c.p.p. In base a questa norma, il giudice può vietare all’imputato di avvicinarsi a luoghi determinati frequentati dalla persona offesa e/o dai suoi familiari nonchè di mantenere dalla stessa una certa distanza spaziale, e può vietare all’imputato qualsiasi forma di comunicazione, con qualsiasi mezzo con la persona offesa o suoi familiari. (Un ringraziamento all'avv.Alessandra Gualazzi) In conclusione, nel ringraziare tutte le donne della nostra redazione per l'appassionato e competente lavoro che svolgono per Fatto&Diritto, invito tutti i lettori a digitare nella funzione CERCA del sito, le parole "violenza donna". Vi renderete conto con i vostri occhi della misura, varietà e purtroppo quotidiana attualità del problema violenza sulle donne. AVV.TOMMASO ROSSI

Bufera su Giovanni Scattone Ora insegna nel liceo di Marta Russo. ROMA, 25 NOVEMBRE '11 - Il nome di Marta Russo è di quelli che non si dimenticano facilmente. La sua vicenda ha attraversato per anni le pagine dei giornali italiani e il caso giudiziario legato alla sua morte è stato considerato, anche per la mancanza di un movente, uno dei più complessi mai avuti nella storia del Paese. Marta era una studentessa

di Giurisprudenza all'Università La Sapienza di Roma e la mattina del 9 maggio 1997 venne freddata da un colpo di pistola mentre stava percorrendo un vialetto della "Città universitaria". Morì il 14 maggio, a 22 anni, lasciando i genitori, la sorella e l'opinione pubblica intera nello sgomento per quella perdita così inspiegabile. Le indagini, che

utilizzarono tra l'altro le più moderne tecniche scientifiche, portarono all'individuazione della finestra da cui era stato esploso il colpo e successivamente all'incriminazione di due giovani assistenti universitari del dipartimento di Filosofia del Diritto: Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro. Secondo le testimonianze degli studenti, nelle


lezioni di Ferraro e Scattone era ricorrente il tema del "delitto perfetto". Si arrivò così a credere che i due ricercatori volessero provare, senza però fare vittime, la tesi secondo cui è possibile sparare da una finestra dell'università solo per creare allarme e poi andare a casa indisturbati. Dopo una lunga vicenda processuale (che ha visto perfino una sentenza di appello annullata con rinvio da parte della corte di Cassazione), il 15 dicembre del 2003 la V Sezione Penale della corte di Cassazione ha condannato in via definitiva Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro per aver esploso accidentalmente, in direzione della finestra dell'aula 6 dell'Università, il colpo che fu fatale a Marta. Scattone è stato condannato per omicidio colposo e detenzione illegale di arma da fuoco a 5 anni e 4 mesi di reclusione, mentre Ferraro a 4 anni e due mesi per favoreggiamento e detenzione illegale di arma da fuoco. Nel maggio 2011 la XIII sezione del tribunale Civile di Roma ha inoltre condannato Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro al risarcimento di un milione di euro ai familiari della studentessa ed al pagamento delle spese giudiziarie, stabilendo anche che La Sapienza non può essere ritenuta responsabile della morte della ragazza. Ferraro è stato inoltre condannato a versare all'università 28 mila euro come risarcimento danni all'immagine. I due ex ricercatori, oggi 40enni, si sono però sempre proclamati innocenti e dopo aver scontato la pena sono tornati alle loro vite. Ed è proprio Giovanni Scattone, la mano che impugnò la pistola che tolse la vita a Marta, che oggi torna ad accendere la polemica. Infatti Scattone, che non è stato

interdetto dai pubblici uffici e che da 7 anni è un insegnante precario, da settembre insegna storia e filosofia proprio nel liceo in cui ha studiato Marta, il liceo Cavour di Roma. Uno scherzo beffardo del destino che ha riacceso l'indignazione e la rabbia nel cuore della mamma di Marta. LE REAZIONI "Ti senti come perseguitato dal destino, ma tanto è inutile perchè non ci si può far nulla", dice Aureliana Russo. “All'inizio dell'anno la madre di una alunna del Cavour mi telefonò sconvolta racconta - per dirmi la novità: Scattone insegnava lì. Mi disse che volevano fare qualcosa per protestare, ma poi non ho più sentito nessuno, nè tantomeno ho telefonato io. Del resto con chi me la potrei prendere? Con l'ultima sentenza Scattone non è più interdetto dai pubblici uffici, quindi... Capisco che si debba guadagnare il pane ma dovrebbe fare un altro mestiere. Dopo un delitto così atroce, lui non può essere un educatore di giovani; proprio lui non puo' insegnare filosofia. Certe notizie - spiega la madre di Marta - mi sconvolgono sempre e minano il mio precario equilibrio, raggiunto negli anni a fatica. Ma soprattutto non mi aiutano a voltare pagina, cosa che ho cercato di fare intitolando un'associazione a Marta per la donazione degli organi". "Un ottimo insegnante, molto preparato e sempre disponibile", dicono gli studenti all'uscita da scuola. "Sappiamo perfettamente chi sia Giovanni Scattone, sappiamo del suo passato, ma questo non ci ha mai impensieriti. Forse solo un po' all'inizio. Anche i nostri genitori non

hanno mai avuto alcun problema. È davvero un bravo professore, diverso anche dagli altri. Viene in classe con il pc, ci fa vedere video ed interviste sui filosofi, ci dà le schede delle lezioni, insomma davvero un ottimo professionista". Ma c'è anche chi come Livio non nasconde il suo timore: "Io ho paura". Divisi gli insegnanti: "Non dovrebbe essere qui - sostiene Franco Lombardi, insegnante di scienze - ma il problema non è suo, sono le norme che non vanno, andrebbero riviste". Non è dello stesso avviso un altro professore che dice: "Posso essere sincero? A me fa tenerezza, è molto timido, riservato, dimostra molti anni in meno rispetto a quelli che ha. Non sono sorpreso che insegni qui, ne ho viste talmente tante...''. Si appella invece alla burocrazia Tecla Sannino, Preside del liceo romano: ''Rispetto la sentenza della Cassazione e le normative vigenti" dice. "Pur partecipando al dolore della famiglia di Marta Russo, e condividendo la perplessita' dell'opinione pubblica spiega la preside - in qualita' di dirigente scolastico e in qualità di rappresentante legale dell'istituto, sono tenuta a rispettare la sentenza della Cassazione e le normative vigenti che prevedono nomine di docenti supplenti secondo le graduatorie provinciali, curate dall'Uff ambito territoriale''. Immediata anche la reazione dello stesso Scattone: "Io mi sono sempre dichiarato innocente. Con tutto il rispetto per i parenti di Marta Russo io sono sereno e non vedo perché non dovrei insegnare storia e filosofia. La Cassazione ha cancellato questa interdizione, che era un errore tecnico. Di fatto non c’è mai stata interdizione" ha detto.


FEDERICA FIORDELMONDO volontà ma solo per imprudenza e con evento conseguente (la morte D: Perchè Scattone, nonostante la della ragazza) magari previsto, ma condanna, può continuare a non voluto. Il primo processo in lavorare nella Pubblica Corte d'Assise ritenne più grave il Amministrazione? reato di "Omicidio Colposo" rispetto R: L'"Interdizione dai Pubblici al "Porto e Detenzione abusiva di Uffici" è una delle sanzioni previste Arma", che invece è delitto "doloso", dalla legge penale e viene cioè un crimine voluto. La pena fu considerata una "sanzione quindi calcolata prendendo come accessoria" rispetto a quella pena principale quella del delitto principale, che può invece consistere colposo con l'aggiunta di un aumento in una restrizione della libertà per quello doloso.Di fatto quindi, pur personale ovvero nel pagamento di avendo subito una condanna per una somma di denaro: se la pena delitto superiore a 5 anni, che per supera i 5 anni di reclusione la legge comporta l'interdizione sanzione accessoria è perpetua ed perpetua dai pubblici uffici, egli ha obbligatoria (art.29 Codice Penale). subito la maggior parte della Ritengo che il punto chiave della condanna per delitto colposo e quesito sia proprio questo. Scattone quindi non può comminarsi anche la ha subito una condanna per un sanzione accessoria (art.33 Codice "delitto", quindi per un crimine che Penale). Legittima quindi la la legge italiana riconosce come possibilità di intraprendere la grave, però non "doloso" ma carriera scolastica nella scuola "colposo", quindi non commesso con

pubblica, una volta esaurita la pena detentiva. Va detto che il Pubblico Ministero propose appelli e ricorsi più volte, per far condannare gli imputati per Omicidio Volontario: il difetto di calcolo della pena sarebbe stato irrilevante se avesse ottenuto la condanna per tale reato. D: Perchè ha subito una condanna ad una pena che sembra così mite? R: In realtà la condanna di Scattone è ben spiegata nelle varie sentenze, che puntualizzano la gravità del fatto. L'omicidio colposo di tipo comune è punito con pena massima di anni 5 (art.589 Codice Penale, primo comma), che arriva a dodici nel caso di morte di più persone. Pertanto egli ha subito una pena prossima al massimo previsto dalla legge, con un aumento per la detenzione dell'arma. AVV. DAVIDE TOCCACELI

Quando una pelliccia è irrimediabilmente macchiata di sangue Inchiesta MILANO, 27 NOVEMBRE 2011 – Muoiono dopo atroci sofferenze solo per diventare costose pellicce. Pratiche barbare quelle impiegate dai cacciatori che garantiscono un mantello bellissimo alle prede facendole agonizzare per giorni. Nel 1991 la Comunità Europea aveva vietato l’uso di tagliole, che invece è una delle tecniche più utilizzate, e qualche anno dopo nel 1998 aveva stabilito, in accordo con gli Stati Uniti, un verbale con la Federazione Russia e il Canada per esportare le pellicce di animali presi in natura ma solo a patto che venissero rispettate le regole per la cattura senza crudeltà. Ammesso che sia possibile

catturare un animale per prenderne la pelliccia senza crudeltà. Infatti nonostante gli accordi e internazionali e le regole diverse da un Paese all’altro, sono tantissimi i bracconieri che schiacciano il torace delle volpi per soffocarle e quindi privarle del mano, affogano altre bestione premendo il loro muso sott’acqua o che utilizzano proprio le tagliole per infliggere dolori lancinanti alle prede catturate. Un agonia che dura per giorni. In Europa i dati ufficiali parlano della cattura degli animali esclusivamente volta alla gestione della fauna selvatica e delle specie cosiddette invasive, dopodiché di questi animali

è possibile utilizzarne il manto ma in alcuni Paesi la cattura è consentita anche solo a quest’ultimo scopo. Principalmente le specie più cacciate sono quelle che non si trovano negli allevamenti come le donnole, alcune specie di topo, le linci, i coyote, gli opossum che vengono prelevate e uccise direttamente nel loro habitat naturale. Celebri purtroppo le immagini di pinguini uccisi a colpi di bastone e lasciati agonizzanti in un lago di sangue. Ma che si tratti di metodi brutali e contro la legge o di specie protette o comunque non destinate a questi scopi, come cani e gatti, sono ben dieci milioni gli animali all’anno, cioè il 15% del


totale, coinvolti in questa barbarie, secondo i dati forniti dalla Lav, la Lega AntiVivisezione. Anche in Italia e in Europa arrivano prodotti provenienti da questa cattura sanguinaria e va detto che neppure agli animali fatti crescere negli allevamenti viene riservato un trattamento migliore. La Lav si era rivolta anche all’ex ministro degli Esteri, Franco Frattini, affinché portasse la questione al centro del dibattito europeo e per chiedere che venissero svolte delle indagini utili per contrastare questo sanguinoso mercato. Già perchè di mercato di tratta visto che secondo le stime tra il 2010 e il 2011 dagli Stati Uniti sono arrivati in Italia 43 mila pelli ancora da lavorare di opossum, lontre, coyote e altre specie, oltre quattromila sono quelle di volpe e altrettanti di nutria (http://www.lav.it/index.php? id=1100). Le immagini di questo massacro saranno utilizzate proprio dalla Lav nel corso di una campagna di sensibilizzazione che sarà promossa su scala nazionale i prossimi 10 e 11 dicembre.

ELEONORA DOTTORI D: Cosa prevede la legge italiana in merito? R: In Italia non esistono un corpus unitario di norme a tutela degli animali "da pelliccia", siano essi selvatici o d'allevamento, ma in ogni caso ci sono diverse norme applicabili sia di carattere sovranazionale che interne tra le quali la Convenzione Europea sulla protezione degli animali negli allevamenti, adottata a Strasburgo il

10 marzo 1976 e recepita dall'Italia con legge 14 ottobre 1985 n. 623, che si occupa anche degli allevamenti di animali "da pelliccia"; la Convenzione di Washington, che tutela le specie in via di estinzione o minacciate di estinzione; la legge n. 623 del 14 ottobre 1985 stabilisce delle regole relative al trattamento degli animali negli allevamenti per quanto riguarda le caratteristiche degli impianti, l'igiene dell'alimentazione, l'accudimento; la Direttiva 93/119 CE del 22 dicembre 1993 relativa alla protezione degli animali durante la macellazione o l'abbattimento, che all'allegato F prevede i metodi di uccisione degli animali da pelliccia. Per quanto riguarda il possesso personale di pellicce di animali protetti da parte di privati, la legge 150/1992, come modificata dal decreto legge 2/ 1993 convertito nella legge, n. 59/1993 contiene la disciplina dei reati relativi all'applicazione in Italia della Convenzione di Washington. In particolare questa deroga dalla denuncia, a partire dalla data del 5 giugno 1992, i possessori di pellicce, anche se di specie protette, a meno che non debbano essere messe in vendita. Inoltre è del 2004 la legge n. 189 contenente le “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate”. . Più recente, di qualche mese fa, un altro intervento a livello europeo. Il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva il regolamento sull’etichettatura del tessile per cui le industrie tessili dovranno indicare

specificatamente se il capo d’abbigliamento contiene parti in pelle o pelliccia. D: Il c.d. bracconaggio come è disciplinato?E’ un reato? R: Per l’ordinamento giuridico, il bracconaggio,termine che deriva dal francese “bracconage” ovvero caccia con l’utilizzo del bracco (tipo di cane da caccia), è chiamato anche “caccia di frodo” ed é quella tipologia di caccia che viene esercitata violando la legge vigente ovvero abbattendo specie protette dalle normative, utilizzando sistemi di cattura definiti illegali, sparando fuori dai periodi stabiliti o dalle zone consentite, senza licenza e porto d’armi. La disciplina del c.d. bracconaggio ha fonti sovranazionali ossia dell’Unione Europea (es. direttiva 79/409/CEE del 2 aprile 1979 sulla conservazione degli uccelli selvatici; direttiva 92/43/CEE del 21 maggio 1992, sulla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche). In Italia la vecchia legislazione, legge n. 968/1977, permetteva la quasi totale impunità di coloro che praticavano il bracconaggio, sanzionando solo a livello amministrativo eventuali infrazioni commesse da cacciatori. Con la legge 157/1992 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” la materia è stata regolamentata in maniera più severa prevedendo una serie di condotte illecite come l’esercizio della caccia a stagione venatoria chiusa, l’abbattimento, la detenzione e il commercio di specie protette, l’utilizzo di mezzi vietati, la pratica


dell’uccellagione, che integrano gli estremi di fattispecie criminose punite con le sanzioni penali dell’arresto e/o dell’ammenda (anche se spesso però queste pene sono oblazionabili ossia estinguibili attraverso il pagamento di una somma di denaro). Inoltre in base alla legge costituzionale n. 3/2001 che ha modificato, tra gli altri, l’art. 117 della nostra Costituzione, la

potestà legislativa in materia di caccia, non essendo stata espressamente riservata alla legislazione dello Stato, spetta alle Regioni (mentre allo Stato è riservata solo la potestà legislativa sulla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema). Attraverso questa sorta di trasferimento di competenze e poteri, ogni Regione si può disciplinare con proprie leggi la

gestione e la tutela della fauna selvatica. Con lo scopo di controllare in modo più attento e continuo, è stato anche attivato uno speciale nucleo antibracconaggio del Corpo Forestale dello Stato che, insieme alle guardie volontarie di varie associazioni, svolge controlli nelle aree più a rischio. AVV.VALENTINA COPPARONI

2 milioni di cani randagi in Romania. Uno sterminio annunciato MILANO, 27 NOVEMBRE 2011 – Il cane è il miglior amico dell’uomo ma l’uomo, in Romania, può diventare il peggior nemico del cane visto che, se passerà il referendum, i sindaci delle città rumene potranno uccidere i cani randagi. E la legge sarà dalla loro parte. Numeri spaventosi, sono infatti quasi due milioni i cani che rischiano di fare questa fine. In realtà va detto che nonostante il sondaggio richiesto ai cittadini per dare il via libera agli abbattimento il Parlamento rumeno e la Camera dei Deputati hanno approvato già questa settimana la proposta con 14 astenuti, 111 contrari e 18 voti favorevoli. Un iter lungo e duramente contestato ma che alla fine ha dato la vittoria ai promotori della legge, il Presidente Traian Basescu e il ministro del Turismo Elena Udrea. Una situazione questa che non è passata inosservata alle associazioni animaliste che l’hanno resa nota in tutto il mondo spiegando che la legge di per sé ha dei contenuti positivi come l’istallazione di microchip negli animali e la possibilità per i comuni di sterilizzarli piuttosto che ricorrere ad

una soluzione definitiva ma in realtà molto più semplice da applicare. Ecco perché secondo gli animalisti si preannuncia una vera e propria strage che non andrà a risolvere il problema alla base visto che non verranno presi provvedimenti a favore di una riproduzione controllata. Il problema del randagismo, anche in termini sanitari, infatti è molto serio, infatti in alcune zone della Romania questi branchi animali hanno letteralmente preso il sopravvento colonizzando quartieri e aree di campagna. “Risolvere” la cosa in questo modo però non solo è deprecabile ma anche molto costoso infatti l’associazione “Save the dogs and other animals”, che da anni opera in questo Paese, per sterilizzare un animale e vaccinarlo chiede 20 euro contro gli 80 che servono ad agenzie specializzate per abbatterlo. Proprio gli stessi soggetti che per risparmiare e introitare di più stipano centinaia di animali nei canili, lasciandoli senza cibo né acqua e poi ucciderli per avvelenamento oppure provocando loro un’embolia, ma chiedendo allo Stato il rimborso, con fatture false, per i medicinali che avrebbero

dovuto utilizzare per garantire una morte meno dolorosa. Due milioni di randagi però sono tantissimi e quindi la questione non si risolve esclusivamente con la sterilizzazione, che comunque andrebbe allargata anche agli animali con padrone, ma tutti andrebbero identificati e inseriti in una sorta di anagrafe. Solo con provvedimenti seri e disciplinati infatti nel giro di 10 anni in Romania non vi saranno più animali malati a zonzo per le città. Va detto inoltre che la Romania ha un esempio di fallimento della pratica che si accinge ad attuare nell’India dove dal 2006 si è scelto per un programma di vaccinazione, piuttosto che di abbattimento perpetrato per 30 anni, ha permesso di fare importanti passi in avanti contro il fenomeno del randagismo. La Romania inoltre è un Paese con problematiche ben più gravi come la povertà e l’emigrazione di giovani donne e madri che vengono in Italia per lavorare e mantenere i loro figli che invece rimangono in patria. Nonostante ciò però la questione, sempre a detta di “Save the dogs and other animals”, non sarebbe molto sentita dalla cittadinanza e che


quindi andrebbe istruita, partendo proprio dai più piccoli. Per questo motivo “Save the dogs” sta portando avanti esperimenti con i bambini disabili di Pet-Therapy con gli asinelli. ELEONORA DOTTORI D: In Italia come viene disciplinato il randagismo? R: La legge 281 del 1991 disciplina la tutela degli animali da affezione e la prevenzione dal randagismo. E' previsto che i cani vaganti ritrovati o catturati non possono essere soppressi né destinati alla sperimentazione.I cani vaganti catturati, regolarmente tatuati, sono restituiti al proprietario o al detentore. I cani vaganti non tatuati catturati, nonche' i cani presso le strutture devono essere tatuati; se

non reclamati entro il termine di sessanta giorni possono essere ceduti a privati che diano garanzie di buon trattamento o ad associazioni protezioniste, previo trattamento profilattico contro la rabbia, l'echinococcosi e altre malattie trasmissibili. I cani ricoverati nelle strutture appositamente previste, possono essere soppressi in modo esclusivamente eutanasico, ad opera di medici veterinari soltanto se gravemente malati, incurabili o di comprovata pericolosita'. D: Uccidere un cane è reato nel nostro Pese? R: Il Codice penale, nel 2004, ha inserito un apposito capo che prevede deireati contro gli animali, che in precedenza invece non avevano alcuna tutela. La normativa

è stata recentemente modificata con legge 4 novembre 2010, n. 201 Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, fatta a Strasburgo il 13 novembre 1987, pubblicata in GU n. 283 del 03/12/2010. In questo caso si applicherebbe l’art. 544 bis (Uccisione di animali) chepunisce con la reclusione da 4 mesi a 2 anni chiunque uccide un animale senza necessità o per crudeltà. Ovviamente, quindi, restano esclusi tutti i casi incui un animale viene ucciso per la sua destinazione alimentare o in quantomalato.Il reato è procedibile d’ufficio ed è di competenza del Tribunale monocratico. AVV.TOMMASO ROSSI

L’allevamento della morte di Brescia deve chiudere. Appello anche sul web BRESCIA, 29 NOVEMBRE '11 - Il nome inglese gli conferisce uno stile e un'eleganza che poco hanno a che vedere con la realtà dei fatti. Già, perchè Green Hill, l'allevamento di cani beagle situato nel bresciano, in realtà è una sorta di miglio verde proprio come nel film con Tom Hanks dove il carcere di Cold Mountain viene detto il “Miglio Verde” perché qui i detenuti condannati a morte trascorrevano gli ultimi giorni di vita e percorrevano, appunto, l'ultimo miglio prima di arrivare al patibolo. La collina verde che si trova a Montichiari in provincia di Brescia infatti alleva beagle che poi saranno inviati nei

laboratori di tutto il mondo dove saranno vivisezionati e quindi utilizzati per esperimenti scientifici. “Fermate Green Hill” gridano i sostenitori della Lav, Lega Anti Vivisezione, che parlano di oltre 2500 cani adulti stipati nei cinque capannoni di Montichiari dove vivono senza luce né aria naturale visto che l'impianto di illuminazione e areazione è artificiale. Alla Lav si è unito anche il comitato “Fermare Green Hill” che oltre a raccogliere adesioni su Facebook invitano i cittadini che vogliono partecipare alla protesta a scrivere una lettera di dissenso, http://www.greenme.it/informarsi/nat

ura-a-biodiversita/3457-fermaregreen-hill-lallevamento-bunker-dibeagle-la-mobilitazione-si-spostasul-web, e inviarla alla Asl della Regione Lombardia. Oltre ad essere un bunker vero e proprio viste le condizioni in cui vivono questi cani, Green Hill è come dicevamo sopra il miglio verde di queste centinaia di cani che ogni mese partono, nell'ordine di 250 esemplari, diretti presso i laboratori di tutto il mondo per esperimenti di vario genere. Su di loro possono essere iniettate patologie, medicinali o altre sostanze per valutarne gli effetti e le reazioni, possono essere mutilati e perfino esposti a radiazioni sempre nel nome


della scienza. Da non sottovalutare il fatto che mentre vengono fatti questi esperimenti gli animali in questione sono vivi, almeno finché questo particolare è ancora utile alle analisi scientifiche, dopodiché è possibile che le sofferenze causate provochino la morte. Ma torniamo alla Collina Verde del bresciano, una delle poche aziende che al momento non soffre la crisi anzi ha persino visto un aumento di lavoro causato dalla chiusura di un altro allevamento bunker, la Stefano Morini di San Polo d’Enza. Anche la trasmissione tv “Striscia la Notizia” si è occupata del canile lager, ecco il video andato in onda su Canale 5 http://www.striscialanotizia.mediaset .it/video/videoextra.shtml?13932. «Rimando le richieste al mittente: se vogliono che l'allevamento Green Hill chiuda devono manifestare perchè vengano cambiate le normative italiane ed europee». Così ha commentato il sindaco di Montichiari Elena Zanola. «L'Asl, che è l'autorità comunale di controllo competente - prosegue - ha certificato più volte che nell'allevamento è tutto in regola». «Se ne revocassi l'autorizzazione – ha ribadito la Zanola - un giudice annullerebbe il mio provvedimento nel giro di un'ora». «Siamo stanchi e scocciati per le continue invasioni di persone incivili». Già, i manifestanti (accorsi il 19 novembre da tutta Italia in circa 3000) che gli scorsi giorni hanno chiesto a gran voce la chiusura del canile, sarebbero persone incivili.... ELEONORA DOTTORI

D: In Italia come è regolata la sperimentazione animale? R: In Italia la sperimentazione animale è regolamentata principalmente dal Decreto Legislativo n. 116 del 27 gennaio 1992 "Attuazione della direttiva (CEE) n.609/86 in materia di protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici" . Tale decreto ha introdotto un articolato regime di controllo che impone a qualsiasi ricercatore, persona fisica o giuridica, pubblica o privata, il rispetto di precisi requisiti, limiti e condizioni stabiliti in ciascuna fase di utilizzazione degli animali. In altre parole la sperimentazione è ammessa e lecita soltanto nel rispetto di criteri molto restrittivi al di fuori dei quali (escluse le possibile deroghe), si configura un illecito di natura amministrativa e nei casi più gravi, di natura penale. In particolare il decreto legislativo 116/1992 prevede che chiunque voglia intraprendere un'attività di ricerca con utilizzo di animali deve in ogni caso rispondere a specifiche esigenze imposte dalla normativa stessa e cioè dimostrare che non è possibile ricorrere ad altri metodi scientificamente validi che non comportino l'uso di animali,dimostrare la scelta del ricorso ad una determinata specie, mettere in atto procedure che evitino sprechi, ripetizioni e sofferenze inutili , operare con strumenti adeguati in strutture autorizzate, esercitare l'autocontrollo con dimostrata preparazione al corretto uso dell'animale, operare sotto il controllo sanitario permanente di un medico veterinario a ciò preposto. Gli esperimenti possono essere fatti

solo previa comunicazione al Ministero della Sanità o se prevista, dopo aver ricevuto l'autorizzazione in deroga a divieti prescritti dallalegge. Gli esperimenti devono essere eseguiti conformemente al protocollo inviato al Ministero e ogni comunicazione deve essere comunicata. Tra i divieti espressi quello di eseguire sperimentazioni su cani, gatti, primati, specie in via di estinzione, di eseguire esperimenti senza anestesia, generale o locale, di eseguire sperimentazioni a solo scopo didattico, di praticare procedure che inducano forti dolori e privazioni. Deroghe a tali divieti possono essere concesse dal Ministero della Sanità per ricerche considerate di elevato contenuto scientifico. La c.d. obiezione di coscienza alla sperimentazione animale è regolata invece dalla Legge n. 413 del 12 ottobre 1993 "Norme sull'obiezione di coscienza alla sperimentazione animale”. D: E' possibile che una raccolta firme cambi le cose? R: Magari può sembrare un’ utopia ma sicuramente è un modo per tenere viva l’attenzione sul fenomeno, che spesso diventa un problema, che è quello della sperimentazione sugli animali, a volte al limite della regolarità. Un modo per tentare di sensibilizzare quei soggetti che avrebbero il potere di far cambiare o migliorare le cose, almeno in parte. D: Come può il sindaco lavarsi così le mani? R: Il sindaco si è limitato a valutare l’aspetto giuridico-amministrativo della vicenda per cui senza alcuna documentazione che accerti la


violazione da parte di Green Hill di norme di legge esso non può emettere alcun provvedimento che sarebbe considerato illegittimo. Come sopra visto la sperimentazione in Italia è ammessa seppur con dei limiti molto ristretti, ma se alcuna

autorità accerta la violazione di tali limiti si rimane nell’ambito della regolarità, al di là delle considerazioni etico-morali. In realtà ciò che forse è paradossale è proprio questo ossia che nonostante le immagine viste in tv

nel servizio messo in onda da “Striscia la Notizia”, la struttura sia considerata in regola sotto tutti i punti di vista, anche igienicosanitari. AVV. VALENTINA COPPARONI


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