F&D_Almanacco_Mese_Marzo_2012

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FATTO & DIRITTO La cronaca giudiziaria secondo gli esperti

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In questo numero... Terrore da 'Arancia Meccanica'

Anno 2012, Marzo, Numero 8

Ucciso durante la rapina in villaO Tolosa: Killer spara sui bambini alla scuola ebraica, 4 morti

Liberalizzazioni Il Governo pone la fiducia

L'ultimo Boss di Gomorra

Omicidio Melania

Sotto controllo il telefono della giornalista Ilaria Mura

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Marzo 2012 - In questo numero...

ITALIA

Roma: trent’anni, malato mentale. Chiuso in gabbia come una bestia Liberalizzazioni Il Governo pone la fiducia La 'ndrangheta è una e una sola giorni la sentenza Crimine destinata a fare epoca Perugia: Terrore da 'Arancia Meccanica Ucciso durante la rapina in villa Due film da Oscar 'The artist' e 'Hugo Cabret' Maxi-processo Crimine a Reggio Calabria 93 condanne e 34 assoluzioni Strage di via D’Amelio Al centro dell’indagine la presunta trattativa Stato-Mafia La Cassazione ha deciso Il processo a Dell’Utri è da rifare Lo scheletro trovato nel 2009 è di Placido Rizzotto Rapito dalla Mafia nel ‘48 Omicidio Melania Sotto controllo il telefono della giornalista Ilaria Mura I giudici di Firenze confermano la trattativa Stato- Mafia Ma Forza Italia non fu l’ispiratrice delle stragi Quando le idee ed i diritti fanno paura. Amnesty International lancia un appello per la liberazione dell’avvocatessa Nasrin Sotoudeth Richiesta choc dell’allenatore pedofilo al Gip ‘fatemi la castrazione chimica’ Feltrinelli 40anni dopo la morte. Tragico incidente o omicidio politico? Federico Aldrovandi “Hanno 'morto' un ragazzo” ma non il suo diritto alla verità Giovane castrato perchè gay Ancora episodi di violenza su minori dal passato, la chiesa olandese sotto shock. Il vaticano va in Sicilia Nel nome della legalità Giornata Nazionale contro il razzismo Manifestazioni in tutta Italia La Corte indiana non ha dubbi L'uccisione dei pescatori indiani è un atto di terrorismo Via Poma, il perito della procura Quello sul seno di Simonetta non è un morso Asta materiale BR Dell'Utri compra i volantini delle BR su Moro Torturata, uccisa e sciolta nell'acido Sei ergastoli per la fine di Lea Garofalo Bebe, la schermitrice senza braccia né gambe e il suo sogno La fiamma Olimpica

Maxi-Processo Crimine a Reggio Calabria 93 condanne e 34 assoluzioni

ESTERO

La corte indiana non ha dubbi L'uccisione dei pescatori indiani è un atto di terrorismo

REGIONE

Omicidio Melania Sotto Controllo il telefono della giornalista Ilaria Mura

DIRITTO ALLA CULTURA

Due film da Oscar

'The artist' e 'Ugo Cabret'

FOCUS

Bebe, la schermitrice senza braccia ne gambe e il suo sogno La fiamma Olimpica


La Redazione Avv. Tommaso Rossi Fondatore - Capo Editore Commentatore, Moderatore Talita Frezzi Co-Fondatore - Direttore Capo Redattore, Moderatore Avv. Valentina Copparoni Commentatore Andrea Dattilo Redattore Cronaca Dott. Giorgio Rossi Commentatore Medico Federica Fiordelmondo Redattore Cronaca Eleonora Dottori Redattore Cronaca Avv. Sabrina Salmeri Collaboratrice Antonio Luccarini Diritto alla Cultura Lorenzo Berti Web Strategist & Analist Giorgio Di Prossimo Webmaster, Webdesign, Developing Graphics & Almanacco Desing


Roma: trent’anni, malato mentale. Chiuso in gabbia come una bestia ROMA, 2 MARZO ’12 - Un uomo di trent’anni, affetto da malattia mentale, aggressivo, reso quasi feroce dalla condizione di contenimento in cui veniva relegato dalla sua stessa famiglia, è stato liberato dagli agenti di polizia del commissariato di Porta Maggiore di Roma. Era chiuso a chiave in una sorta di gabbia, un loculo buio e senza finestre, tenuto in mezzo ai propri escrementi e al puzzo di malattia, morte e desolazione che ne proveniva. Un uomo malato ridotto come una bestia. Tanta inquietudine e pietà e indignazione non si sarebbe potuta provare neanche per i malati mentali ristretti nei manicomi prima della legge 180, quella conosciuta attraverso il nome dello psichiatra Franco Basaglia che propose la riforma della psichiatria in Italia. Sebbene le strutture manicomiali con la loro forma di contenimento coatta e priva di relazione sociale, tendessero alla spersonalizzazione dei malati, quella condizione atroce in cui gli agenti hanno trovato il malato trentenne, superava di molto l’arcaica deportazione manicomiale. Quando gli agenti hanno fatto irruzione nella casa, chiamati per una lite in famiglia tra un uomo e sua moglie, si sono trovati di fronte a una realtà decisamente più spaventosa dell’immaginazione. Un uomo di 30 anni, malato mentale, chiuso in gabbia dai suoi famigliari. Aggressivo, perché malato, perché rinchiuso, perché solo, perché tenuto

come una bestia. La stanza in cui era tenuto, chiusa a chiave dall’esterno con una cancellata di ferro, senza finestre, senza luce. Viveva così,da chissà quanto tempo. Tra i suoi escrementi, tra la sporcizia, l’odore nauseabondo e la paura. Perché un uomo in gabbia può avere paura, anziché generarne. In quell’abitazione lager vivevano anche la madre del giovane, la zia e il fratello con la propria convivente e il loro bambino di 4 mesi. Il giovane malato è stato tirato fuori dalla gabbia, portato con un’ambulanza del 118 nel reparto di Psichiatria dell’ospedale San Giovanni dove sarà curato, assistito, sottoposto a trattamenti sanitari da essere umano. Dove la psichiatria potrà provare ad aiutarlo, come si fa con gli uomini. La convivente 22enne del fratello con il figlio di 4 mesi sono stati affidati ai servizi sociali. Diversa la posizione della madre del malato, della zia e dell’altro figlio. Gli agenti stanno valutando le loro responsabilità in questa orribile vicenda di desolazione, abbandono e profondo disagio. La Legge Basaglia è la legge quadro numero 180, introdotta il 13 maggio 1978 per legiferare gli accertamenti e i trattamenti sanitari volontari e obbligatori, che viene comunemente identificata con lo psichiatra e promotore della riforma psichiatrica in Italia Franco Basaglia. La rivoluzione sta nel trattamento dei malati psichiatrici, non più contenuti

in sterili strutture manicomiali alle porte delle città, ma inseriti in un programma di assistenza psichiatrica ospedaliera e territoriale, con un netto superamento della logica manicomiale. La legge 180 impose la chiusura dei manicomi e regolamentò il Tso (trattamento sanitario obbligatorio) istituendo i servizi di igiene mentale pubblici. Questa legge, così importante per la psichiatria moderna, impostava l’assistenza psichiatrica con l’instaurazione di rapporti umani con il personale e la società civile, riconoscendo al malato i diritti di una vita di qualità, da raggiungere anche attraverso il sostegno di strutture territoriali per l’inclusione sociale. TALITA FREZZI D: Che reati si potrebbero ipotizzare per i familiari? R: Sicuramente il reato di sequestro di persona, che consiste nel privare qualcuno della libertà personale ed è punito con la reclusione da 1 a 10 anni nel caso sia commesso contro un discendente. Potrebbe inoltre valutarsi l'applicabilità del reato di abbandono di persona incapace di provvedere a se stessa, punito con la reclusione da 6 mesi a cinque anni.

AVV.TOMMASO ROSSI


Liberalizzazioni Il Governo pone la fiducia ROMA, 1 MARZO ’12 – Proprio in queste ore si sta discutendo in Senato il maxiemendamento al Decreto sulle liberalizzazioni. Il Ministro dei rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, in mattinata aveva infatti annunciato che il Governo avrebbe posto la fiducia sul provvedimento dopo l’estenuante lavoro compiuto in settimana dalla Commissione Industria del Senato per apportare le ultime modifiche, cercando di scontentare il meno possibile le parti coinvolte. In Commissione sono stati approvati 141 emendamenti al testo originario, mentre all’aula di Palazzo Madama ne sono stati presentati circa 1.700: per accelerare i tempi di adozione del testo e in forza delle modifiche già apportate, si è deciso di ricorrere al voto di fiducia, che in tempi brevissimi potrebbe essere votato anche dalla Camera e divenire così Legge a tutti gli effetti. Il Presidente del Consiglio, Mario Monti, ha ribadito anche ieri l’importanza di questa riforma per l’economia del Paese e per rendere l’Italia più competitiva attraverso la modernizzazione delle proprie strutture burocratiche con evidenti benefici anche per i cittadini. Le modifiche apportate dal Decreto, nella sostanza erano state annunciate dallo stesso Presidente Monti, dopo l’approvazione del decreto nella sua prima stesura (http://www.fattodiritto.it/liberalizz azioni-al-via-dopo-8-ore-diconsiglio-dei-ministriecco-cosacambia/ ) e ora il testo, su cui si è lavorato a lungo, è stato soggetto a diverse modifiche che sono state

richieste da più parti. Alcuni parti del provedimento sono state confermate in toto: per quanto attiene il mercato del gas, è stata confermata la separazione fra l’Eni e la Snam che aveva il monopolio sul trasporto, liberalizzando de facto il mercato energetico in materia e apportando un ribasso dei prezzi per l’utenza. Numerose le modifiche per le banche che già sembrano trovarsi in stato di agitazione: rimane vietato applicare commissioni bancarie sull’apertura di linee di credito, nonchè per il loro mantenimento e gestione anche in caso di sconfinamento oltre il limite di fido; per accendere un mutuo non sarà più necessario aprire un conto corrente e per estinguere i vecchi mutui non sarà più necessaria l’estinzione della relativa ipoteca presso il notaio, inoltre per i pensionati con assegno fino a 1.500 euro, sarà possibile aprire gratuitamente un conto corrente. Gli istituti Bancari dovranno presentare ai propri clienti, il preventivo di almeno altri due gruppi assicurativi non collegati alla banca stessa, per quanto riguarda la stipula di polizze vita. Non è però escluso che la norma sulle commissioni venga modificata alla Camera, avendo già provocato le dimissioni del Comitato e del Presidente dell’Abi che non condividono minimamente il provvedimento. Novità anche per le Assicurazioni ed i prezzi, per una volta, dovrebbero calare: per quanto riguarda l’RCAuto, la tariffa annuale, sarà equiparata per tutti ( logicamente coloro che non

abbiano subito sinistri nel corso dell’anno ), verrà inoltre istituita una banca dati testimoni e una per i danneggiati per semplificare le procedure, mentre in materia risarcitoria verrà eliminata l’invalidità permanente causata da danni biologici lievi e non verificabili. Rischierà fino a 5 anni di carcere ( la pena è stata aumentata ) chi cercherà di frodare l’Assicurazione, simulando un sinistro o alterando la documentazione relativa. Infine, sono stati previsti incentivi ( nessuna penalità in caso di sinistro ), a chi porti la propria autovettura da un carrozziere convenzionato. Tale misura dovrebbe garantire maggiore trasparenza. Confermata anche la presenza, eventuale, di una scatola nera sul veicolo. I benzinai potranno associarsi fra loro dopo che è stata eliminata la concessione in esclusiva da parte delle ditte di carburante: in pratica i proprietari di impianti, potranno andarsi a rifornire da chi meglio credono e al prezzo che ritengono più conveniente. Anche questo dovrebbe poi avere un riflesso sui prezzi applicati. Sembrano soddisfatti questa volta i tassisti, che hanno scongiurato la liberalizzazione della professione, vincendo la loro battaglia: la concessioni per nuove licenze resta di competenza dei Sindaci, che dovranno attenersi anche alle esigenze della categoria ed è stata anche prevista la costituzione di un’Autorità di settore che dovrà dare pareri all’amministrazione. Come annunciato, aumenteranno di circa


2000 unità i notai, per cui sono in vista nuovi concorsi di abilitazione. Aumenterà anche il numero delle Farmacie e ve ne saranno circa 5000 in più ( rispetto alle 4.800 precedentemente previste ), per una media di una ogni 3.300 abitanti. Liberalizzata anche la vendita di molti farmaci e allargata la distribuzioni dei farmaci di fascia C. Innovativa la possibilità di vendere anche medicinali monodose per evitare gli sprechi. E’ stato eliminato l’obbligo del preventivo scritto per i professionisti, che ne dovranno fornire solo uno di massima e comunque non incorreranno in alcuna sanzione, mentre dopo 6 mesi, i tirocinanti riceveranno un rimborso forfettario. Tutte le associazioni no profit dove l’attività non commerciale non sia esclusiva dovranno pagare l’Imu: confermata

la misura anche nei confronti dei beni della Chiesa. Grosse polemiche ha invece riscosso l’istituzione di una Tesoreria Unica, alla quale i Comuni e le Regioni dovrebbero versare i propri fondi, azzerando le proprie tesorerie attraverso il trasferimento del 50% del capitale entro 24 ore e il rimanente entro il 16 aprile. Chiaramente i fondi rimarrebbero di proprietà e nella disponibilità degli Enti di provenienza, ma servirebbero al Governo Centrale ad abbattere il fabbisogno statale, con un tesoretto da 8,5 miliardi di euro. Le reazioni sono state infuocate da nord a sud: il Governatore del Veneto, Zaia, ha parlato di ‘appropriazione indebita’ e ha diffidato i vertici locali di Unicredit ad effettuare il trasferimento nelle casse statali, mentre il Sindaco di Roma,

Alemanno, considera l’ istituzione della Tesoreria Unica ‘una grave violazione del diritto costituzionale’. L’ex Ministro Roberto Maroni, ha affermato che si tratta di un vero sfregio alla democrazia e che ‘ la Tesoreria Unica espropria i cittadini’. La preoccupazione è comunque diffusa fra tutti Presidenti di Regione e ancor più fra i Sindaci che temono di non avere più fondi correnti per gestire le spese, rischiando il blocco amministrativo: anche per questo, quando già si discuteva a Palazzo Madama, sono giunti da Palazzo Chigi due nuovi ordini del giorno che hanno specificato che il provvedimento avrà durata temporalmente limitata. Andrea Dattilo

La 'ndrangheta è una e una sola giorni la sentenza Crimine destinata a fare epoca REGGIO CALABRIA, 3 MARZO '12 – La 'ndrangheta è una e una sola, “UNAeNDRINA” come recita il titolo della campagna di comunicazione lanciata dall'associazione Stop'ndrangheta in vista della sentenza, prevista per il 7 marzo prossimo, del processo Crimine. Crimine: un processo destinato a fare storia. L'operazione Il Crimine è salita agli onori della cronaca il 13 luglio 2010 quando, grazie all'attività investigativa svolta sul fronte calabrese e lombardo della 'ndrangheta, vennero arrestate

centinaia di persone. Questa operazione è importantissima perché è stato possibile identificare una struttura verticistica precisa della criminalità organizzata calabrese: come aveva spiegato anche Roberto Saviano su Vieni via con Me, la Calabria è divisa in tre mandamenti (Jonico, Tirrenico e Città) e il Crimine altro non è che una struttura decisionale al di sopra degli stessi mandamenti e di tutti i locali, cioè più ndrine (o famiglie, cosche) di uno stesso paese o quartiere. Non si tratta cioè, come invece vuole il luogo comune, di roba tra pastori, dove ognuno comanda a casa sua, di i vincoli di sangue che non si

spezzano, di una cupola che non esiste. È stato il pm Maria Luisa Miranda a ricostruire nell'aula bunker del viale Calabria l'operazione Il Crimine il cui processo con rito abbreviato ha portato alla sbarra ben 118 imputati e che ha dato un volto nuovo alla 'ndrangheta, intesa adesso come struttura unitaria e verticistica. Il giudice dell’udienza preliminare Giuseppe Minutoli ha inoltre stabilito che tutti gli imputati, boss e gregari delle principali cosche del reggino, dovranno partecipare al processo assistendovi di persona. Le pene sono pesantissime. Tra gli imputati c'è anche Domenico


Oppedisano, 81 anni di Rosarno, indicato come capocrimine. Proprio lui, unitamente ad altri esponenti di spicco della criminalità organizzata calabrese, sarebbe stato ripreso il 1 settembre 2009, nei pressi del Santuario di Polsi, intento a investire le cariche apicali del sistema, come stabilito da un antico rituale mafioso. Riferendosi all'operazione il procuratore aggiunto Nicola Gratteri ha detto: “C’è proprio di tutto e di più per consacrare, in una sentenza, quello che ripetiamo da decenni, l’esistenza della provincia intesa come struttura sovraordinata a regolamentare la politica criminale, l’osservare e far osservare le regole ai rappresentanti e ai partecipi dei locali”. Oppedisano, seppure la difesa abbia cercato di sminuirne il ruolo sostenendo che un contadino non possa essere a capo di una struttura mafiosa di tale portata, sarebbe il custode delle 12 tavole, colui che osserva e fa osservare le regole, anche i locali (famiglie o ndrine) al nord ed all’estero fanno riferimento al crimine. Definire Oppedisano il Riina della Calabria “E’ una sciocchezza”, ha ammonito Grattieri, “la sua nomina è il frutto di un compromesso, dopo la morte di ‘Ntoni Pelle ‘Gambazzà, tra le forze

della ‘ndrangheta jonica e quelle Montagna, non si torna più indietro. della piana, e come in tutti i Da quando l'Italia intera ha potuto compromessi non si sceglie mai il assistere all'elezione del nuovo capo migliore”. della Lombardia - in un circolo Arci di Paderno Dugnano intitolato a La 'ndrangheta è una struttura Falcone e Borsellino - non si può unitaria: la campagna di tornare indietro neanche a volerlo. Sotp'ndrangheta. Non si tratta più e solo del Una campagna di comunicazione per procedimento giudiziario - che è celebrare una sentenza destinata a comunque fondamentale e su cui fare storia, come il maxi processo di bisognerà anche nei successivi Palermo e Spartacus a Caserta, per passaggi mantenere la massima dire ai calabresi che avrà inizio una attenzione - ma della percezione che nuova era. Con magliette, striscioni, si ha della 'ndrangheta. Non ci sono adesivi e manifesti per la città, più scuse: qualunque sia l'esito del banner su internet, recanti la scritta processo Crimine, minimizzare, “UNAeNDRINA”, Stop'ndrangheta tornare a parlare di 'ndrine vuole sottolineare l'importanza di orizzontali, di un arcipelago di affermare in sede giudiziaria il famiglie separate l'una dall'altra principio che la 'ndrangheta è una significa essere nel migliore dei casi sola. “Abbiamo scelto l'arma insulsi, nel peggiore complici. Noi dell'ironia per demitizzare le cosche invece la 'ndrangheta vogliamo senza sottovalutarne il potere, per combatterla. E la zona grigia raggiungere i cuori della gente, per svelarla sempre di più, insieme ai deridere chi per decenni ha soliti "invisibili" col cappuccio. minimizzato alimentando perversi Soprattutto vogliamo costruire luoghi comuni: è roba di pastori, consapevolezza e coscienza civile, ognuno comanda a casa sua, i perché al di là del dato giudiziario vincoli di sangue non si spezzano e quel che conta è che ne facciamo dei non ci possono essere pentiti, non nostri 'ndranghetisti, della nostra esiste una cupola. Dal luglio del classe dirigente e dei nostri 2010, da quando per la prima volta professionisti legati alle cosche”. è andato in onda il filmato di un summit a Polsi in occasione della ELEONORA DOTTORI festa della Madonna della

Perugia: Terrore da 'Arancia Meccanica Ucciso durante la rapina in villa PERUGIA, 3 MARZO ’12 – Ha reagito ai rapinatori che erano entrati in casa dei suoi genitori, ma quel gesto eroico gli è costato la vita. Luca Rosi, impiegato bancario di 38 anni, è stato crivellato con 4 colpi di pistola.

Ucciso davanti al nipote di 8 anni. La rapina finita nel sangue stile ‘Arancia Meccanica’ si è perpetrata ieri sera intorno alle 22,30 lungo la strada San Fortunato in località Ramazzano, nelle campagne di Perugia. Ora

è caccia all’uomo, o meglio alla banda di tre rapinatori-killer. Ore 22,30. La famiglia di Bruno Rosi abita in una villetta nelle campagne alle porte di Perugia. Strada San Fortunato. Una casa


circondata da pini e campi coltivati. E’ la casa dei genitori di Luca Rosi, impiegato presso la filiale della Unicredit di Ponte Felcino come lo era stato il padre Bruno. Una famiglia benestante, ma non certo ricca come forse ipotizzavano i rapinatori. Ieri sera Luca Rosi insieme alla compagna era andato a trovare i genitori. Il padre era uscito per una capatina al bar del paese, lasciando a casa la moglie che badava al bambino dell’altra figlia, la sorella di Luca. Quando Luca Rosi e la compagna sono arrivati, per il nipotino di 8 anni era una festa. Gli zii e la nonna, tutti lì a giocare con lui. Intorno alle 22 però la tranquilla intimità familiare viene bruscamente interrotta dall’irruzione di quei tre banditi che hanno aperto a calci una porta-finestra in cucina e sono penetrati in casa. I banditi – in tre, a volto coperto, con guanti per non lasciare impronte e armati di due pistole – hanno sorpreso la famigliola nel salotto. Li hanno minacciati, hanno urlato di consegnare loro denaro e gioielli. Una banda di professionisti, dall’accento forse stranieri, ma comunque giovanissimi, addirittura ventenni ma spietati. Stando alle prime informazioni trapelate, i banditi avrebbero messo a soqquadro l’abitazione alla ricerca di un lauto bottino, terrorizzando i presenti, ignorando che vi fosse anche un bambino innocente di 8 anni. La reazione della vittima. Minacce, ma non violenza, almeno fin quando il giovane Rosi non ha reagito, preso da un’istintiva paura per le sorti dei suoi cari, forse temendo che potesse ripetersi quanto drammaticamente accaduto in un’altra rapina in villa a inizio febbraio a Pietramelina, quando una donna venne rapinata, picchiata e stuprata dai banditi. Non è chiaro cosa fece scattare la reazione di Luca Rosi, ma qualsiasi timore gli fece raccogliere forza e coraggio per opporsi ai banditi, gli fu fatale. Quando i rapinatori,

insoddisfatti del bottino trovato (gioielli e del denaro liquido nei portafogli) hanno legato gli ostaggi con dei fili elettrici di telefoni e lampade trovati in casa, qualcosa nella testa del giovane bancario è scattato. Una reazione immediata, che lo ha portato a trasformarsi da tranquillo impiegato di banca in eroe. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Luca Rosi si sarebbe alzato, si sarebbe messo in mezzo mentre i banditi armati di filo elettrico legavano i suoi familiari. A quel punto, uno dei banditi ha sparato. Quattro colpi di pistola, sparati senza pietà, contro quel giovane armato solo del suo coraggio. Un colpo alle gambe e gli altri al tronco. Colpi per uccidere, non per ferire o per fermare la reazione. L’uomo è caduto a terra, in un lago di sangue. Mezzo morto, davanti agli occhi inorriditi di sua madre, della giovane compagna e di quel bambino di 8 anni condannato per la vita a portarsi dietro quell’incubo. Luca Rosi non è morto sul colpo. La fuga. I banditi, prima di scappare, si sono assicurati una fuga tranquilla e soprattutto, il vantaggio del tempo, distruggendo i telefoni cellulari e gettandoli nel fuoco. Sono fuggiti a bordo della Volkswagen Golf nera di proprietà del giovane bancario. La macchina è stata rinvenuta dai carabinieri questa mattina poco distante dal luogo della rapina, verosimilmente ad attendere i banditi c’era un complice con un’altra auto ‘pulita’ con cui continuare la fuga. Quando alla villetta dell’orrore sono arrivati i soccorsi, ogni tentativo dei medici del 118 di rianimare Luca Rosi si è rivelato purtroppo inutile, quei colpi

avevano raggiunto gli organi vitali.Le ricerche e le indagini. Immediate sono scattate le ricerche dei banditi. I carabinieri del comando provinciale di Perugia insieme alle forze di polizia stanno battendo tutta la provincia alla ricerca dei rapinatori-killer. I familiari della vittima, ancora comprensibilmente sotto choc, sono stati sentiti dagli inquirenti. Hanno raccontato i dettagli di quella rapina in stile ‘Arancia Meccanica’, hanno fornito alcuni elementi utili per indirizzare le ricerche dei banditi. Ora gli inquirenti stanno confrontando questi elementi al modus operandi di altri rapinatori che hanno messo a segno rapine nelle ville della zona e che sono ancora ricercati. Potrebbe essere la stessa banda. La pista più accreditata infatti, sarebbe proprio quella della banda di rapinatori professionisti dell’est Europa, tutti comunque giovani, forse poco più che ventenni. La macchina della vittima, usata dai banditi per scappare e poi ritrovata all’alba di questa mattina, è stata sequestrata per consentire ai carabinieri del Ris di controllarla alla ricerca di reperti, tracce biologiche o elementi utili a identificare quei malviventi. I Ris hanno anche effettuato rilievi scientifici nella villetta. La salma del povero Luca Rosi è stata trasferita all’obitorio dell’ospedale di Perugia dove sarà sottoposta a esame autoptico per stabilire le cause della morte. Intanto, Ramazzano oggi si risveglia con la paura. TALITA FREZZI


D: Quali reati vengono contestati ai tre banditi ricercati? R: Rapina aggravata dall’uso di armi, dal fatto che erano in numero di tre persone e a volto coperto, forse sequestro di persona (se le altre persone sono state lasciate legate dopo la fuga) ed inoltre omicidio aggravato, per aver commesso il fatto per assicurarsi l’impunità del precedente reato. Rischiano l’ergastolo.

D: Anche se la vittima è morta in seguito ai colpi di pistola sparati dai banditi, perché è stata disposta l’autopsia? R: In caso di omicidio viene sempre disposta l’autopsia. In questo caso servirà per capire bene il tipo di arma usata, la quantità di colpi, la direzione, per confrontare il tipo di proiettile che ha causato le perforazione con l’arma che si sospetta essere stata usata e tutta una serie di altri elementi che potrebbero

fornire utili indizi per l’identificazione dei colpevoli. D: Se la banda fosse responsabile anche della rapina culminata con lo stupro a Pietramelina, la posizione dei banditi si aggraverebbe? R: Verrebbero giudicati separatamente anche per quei fatti, rapina e violenza sessuale, e si potrebbe contestare la recidiva specifica infraquinquennale, con ulteriori aumenti di pena. AVV.TOMMASO ROSSI

Due film da Oscar 'The artist' e 'Hugo Cabret' Hanno fatto incetta di riconoscimenti,come in parte era già stato pronosticato,nell’ultima assegnazione dei premi Oscar,i due film “Hugo Cabret” di Martin Scorsese e “The artist” di Michel Hazanavicius. Entrambi fanno riferimento, nei loro rispettivi racconti, al periodo pioneristico del cinema, proprio quello esaltante e mitico degli esordi dell’avventura filmica,lo stesso evocato con sguardo tragico da Billy Wilder in “Viale del tramonto” ,dalla cui narrazione ,però essi sembrano distare, per scelte di linguaggio ,anni luce. Nel film di Scorsese la figura di George Melies, genio creatore delle prime sorprendenti “magie” del cinema” ,diventa una sorta di personaggio mitico,sulle cui tracce si muovono due appassionati orfanelli . E’ una stupenda favola scritta in 3D –è una sorta di confronto tra la tecnologia odierna e le invenzioni suggestive degli inizi -che da una parte esprime l’amore per un cinema,inteso come “macchina dei

sogni”, capace di produrre incanti in un mondo quasi sempre disertato dalla fantasia e dall’immaginazione,dall’altra rivela la nostalgia di un presente stato dell’arte, stritolato dalle ferree leggi di mercato, per un periodo in cui a guidare “la macchina dei sogni”era soprattutto il talento creativo. Scorsese accoglie, per dirci tutto questo, modalità di racconto e di linguaggio per lui inedite ,sostenuto da uno scenografo ,il nostro Dante Ferretti ,in stato di grazia, e disseminando il percorso di una miriade di simboli ,rimandi cinematografici e letterari e soprattutto commoventi e commosse metafore .E’ il cinema che parla di sé ,della sua storia,dei suoi padri fondatori ,ma anche della fragilità dell’operazione artistica che ne costituisce l’esito: non solo un omaggio ai grandi del passato dimenticati da un presente superficiale e distratto, ma anche una riflessione sul destino stesso del cinema, forse soffocato dai suoi

stessi trionfi tecnologici. Una mancanza all’origine della ricerca dei due orfanelli in “Hugo Cabret”,quella appunto del padre, una mancanza e il senso rovinoso e fatale della perdita in “The Artist”. Hazanavicius ripercorre con un film “muto-solo alla fine della pellicola, le riprese riporteranno,oltre alla colonna sonora di accompagnamento, i rumori del mondo-la vicenda melodrammatica di un attore di successo travolto dall’avvento del sonoro perché dotato di una voce anonima e affatto seduttiva. Dagli splendori e fasti iniziali ad un rovinosa catastrofe che imprigiona “l’artista” nella solitudine e nell’oblio. Ma l’amore,l’unica forza che resiste ,almeno nell’arte,alla violenza del destino e della storia ,correggerà il disegno tragico di un’esistenza bruciata-le fiamme compaiono in entrambi i film con la loro tragica potenza evocando metaforicamente il nemico assoluto del materiale filmico- riportando, di nuovo ,al


nostro personaggio ,fiducia in se stesso ,successo e felicità. Due film a loro modo semplici –nonostante gli altissimi costi produttivi –e nella loro scoperta operazione nostalgia, quasi ingenui,capaci comunque, in questa loro volontà di recuperare,

rendendolo mitico,il passato, di rivelarci le mancanze e le mutilazione dell’oggi. Dal momento che gli Oscar sono riconoscimenti che il mondo del cinema dà a se stesso, è chiaro che questo sguardo commosso rivolto al passato non può

essere inteso solo come un momento nostalgico-regressivo nel percorso artistico di due validi registi,ma come oggettivazione concreta di un autentico bisogno di ri-fondazione di una realtà in profonda crisi. PROF. ANTONIO LUCARINI

Maxi-processo Crimine a Reggio Calabria 93 condanne e 34 assoluzioni REGGIO CALABRIA, 8 MARZO ’12 – E’ andato a sentenza ieri il maxi-processo “Crimine”, davanti al Gup di Reggio Calabria Giuseppe Minutoli, scaturito dall’operazione del 13 luglio 2010 che portò all’arresto di oltre trecento persone, presunte affiliate alla‘ndrangheta nell’asse Reggio Calabria-Milano (si legga anche http://www.fattodiritto.it/landrangheta-e-una-e-una-sola-agiorni-la-sentenza-crimine-destinataa-fare-epoca/). Sono 93 le condanne e 34 le assoluzioni nell’ambito del processo che ha qualcosa di unico: mai era stata riconosciuta una struttura verticistica precisa della criminalità organizzata calabrese. Oltre 1500 anni di carcere erano stati chiesti dai pm nella requisitoria per 127 imputati sono stati processati

con rito abbreviato, mentre una quarantina sono quelli che hanno scelto l’ordinario dinanzi al tribunale di Locri. Tra gli imputati figurano Domenico Oppedisano, considerato il capo Crimine della ‘ndrangheta, condannato a dieci anni (la richiesta era di 20 anni), sei anni per Antonino Pesce, otto per Rocco Lamari, Cosimo Giuseppe Leuzzi e Giovanni Alampi, sette per Carmelo Costa, considerati boss e gregari. La Regione Calabria, la provincia di Reggio, l’Anas, le associazioniSos Impresa e la Federazione Antiracket Italiana, il Ministero dell’Interno e la Presidenza del Consiglio dei Ministri si sono costituite parte civile nel procedimento. Oppedisano, 81 anni di Rosarno, unitamente ad altri esponenti di spicco della criminalità organizzata calabrese, sarebbe stato

ripreso il 1 settembre 2009, nei pressi del Santuario di Polsi, intento a investire le cariche apicali del sistema, come stabilito da un antico rituale mafioso, e pertanto considerato capocrimine. La Calabria è divisa in tre mandamenti (Jonico, Tirrenico e Città) e il Crimine altro non è che una struttura decisionale al di sopra degli stessi mandamenti e di tutti i locali, cioè più ndrine (o famiglie, cosche) di uno stesso paese o quartiere. La difesa ha cercato di sminuirne il ruolo di Oppedisano sostenendo che un contadino non possa essere a capo di una struttura mafiosa di tale portata, ma evidentemente, come sottolineato dal procuratore aggiunto Nicola Gratteri, l’impianto accusatorio ha retto. ELEONORA DOTTORI

Strage di via D’Amelio Al centro dell’indagine la presunta trattativa Stato-Mafia CALTANISSETTA, 8 MARZO '12 – Come anticipato in precedenza nella Breaking News del mattino, la Dia ha eseguito l’ordinanza di custodia cautelare disposta dal Gip di

Caltanissetta nei confronti di 3 indagati nella nuova inchiesta sulla strage di via D’Amelio contro il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta: si tratta del boss Salvatore

Madonia ( la cui notifica è avvenuta in carcere), il quale avrebbe partecipato alla riunione in cui venne pianificato l’attentato e di Vittorio Tutino e Salvatore Vitale, ritenuti


entrambi esecutori dello stesso, poiché il primo rubò, in compagnia del pentito Spatuzza, la 126 poi fatta esplodere, mentre il secondo, che abitava nello stesso palazzo della madre del giudice, è considerato ‘ la talpa’ che aggiornava sui movimenti di Borsellino. Anche Tutino era già detenuto mentre Vitale era agli arresti domiciliari in casa di cura per ragioni di salute La nuova inchiesta è nata, appunto, dalle dichiarazioni del pentito Spatuzza, le quali hanno portato alla revisione dei processi Borsellino e Borsellino bis. Ora i quattro sono indagati per associazione mafiosa, stage aggravata e per aver agito per fini terroristici. Madonia sarebbe stato il mandante, gli altri gli esecutori materiali e per la prima volta nel processo si sente parlare di finalità terroristiche. Secondo il Giudice Alessandra Bonaventura Giunta, è oramai un dato assodato che nell’estate del 1992 fu avviata una trattativa fra Mafia e istituzioni per porre fine alle stragi, ma che non vi sono chiari indizi o ipotesi accusatorie che si ricolleghino direttamente all’attentato di via D’Amelio, anche se ha specificato che le indagini non si possano definire concluse e che gli inquirenti della Procura di Caltanissetta continuano ad approfondire determinati aspetti. Qualcuno ha addirittura ipotizzato che Borsellino possa essere stato ucciso proprio perché rifiutava quella trattativa fra lo Stato e Cosa Nostra. Sta di fatto che i punti bui

restano tanti, come quello sul chi fosse l’uomo descritto da Spatuzza come presente alle operazioni per l’attentato e che lo stesso pentito ha detto di non aver mai visto primo. Stesso mistero sulla ormai tristemente celebre agenda rossa, dove Borsellino aveva gli appunti sull’uccisione di Giovanni Falcone. In molti pensano a possibili coinvolgimenti dei servizi segreti, ma certo l’ipotesi è inquietante. Sui misteri di quelle settimane, i magistrati di Caltanissetta speravano di essere coadiuvati dalle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex Sindaco Vito, colluso con la Mafia, ma non è stato così e le dichiarazioni di Ciancimino Jr sono state ritenute inattendibili, parlando di ‘pseudo collaborazione’, forse più utile a Cosa Nostra che allo Stato. Anche il pentito Calogero Pulci è stato destinatario dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere con l’accusa di calunnia aggravata nel processo Borsellino bis. Forse molte cose su quei giorni funesti e su quella strage non le sapremo mai, come forse non sapremo mai che fine abbia fatto quella agenda rossa del giudice Paolo Borsellino. Lui e Giovanni Falcone resteranno comunque due eroi del nostro Paese. ANDREA DATTILO

R: Nel 2001 è stata approvata la legge sui c.d. collaboratori di giustizia che è andata a modificare la precedente normativa risalente a 10 anni prima; la testimonianza di tali soggetti comporta per gli stessi sconti di pena, misure di protezioni ad hoc ed anche misure di assistenza economica ed anche legale a condizione però che il collaboratore riferisca ciò che sa entro un tempo limitato (6 mesi) da quando si dichiara disponibile a collaborare (pena l’inutilizzabilità). E’ previsto che il collaboratore sconti almeno ¼ di pena per avere benefici penitenziari legati allo status di collaboratore di giustizia. Inoltre è prevista la revoca delle misure tutorie e assistenziali accordate quando il collaboratore non rispetta gli impegni assunto al momento dell’inserimento nel programma di protezione ed anche la revisione dei processi nei quali siano state concesse riduzioni di pena conseguenti ad una falsa, incompleta o reticente collaborazione.

D: La legge sui pentiti è un norma molto delicata e ha fatto condannare molti mafiosi accusati di crimini atroci, ma le dichiarazioni di un pentito possono far fede o abbisognano di riscontri effettivi per portare ad una sentenza?

D: I pentiti sono sottoposti a misure di protezione speciale, per lo più devono cambiare città e identità, tale regime è applicabile in via cautelare anche ai familiari del pentito?

In ogni caso le dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia necessitano, per assumere valore di piena prova, di un riscontro sia sull’ attendibilità soggettiva del dichiarante sia sull’attendibilità estrinseca della dichiarazione resa ossia la sussistenza di riscontri oggettivi .

R: Vanno innanzitutto distinti i


collaboratori di giustizia e i testimoni di giustizia, cioè persone in grado di riferire circostanze utili su gravi fatti di reato. In relazione alle determinate circostanze concrete

anche questi ultimi posso essere ammesse ad un programma di protezione stilato dallo Stato, che può constare di cambiamento di residenza, di identità, aiuti

economici e protezione di polizia. Per entrambe le categorie, comunque, sono previste delle tutele anche dei familiari. AVV.TOMMASO ROSSI

La Cassazione ha deciso Il processo a Dell’Utri è da rifare ROMA, 10 MARZO’12 –Come anticipato in anteprima ieri (http://www.fattodiritto.it/attesoverdett ocassazione-su-marcello-dell-utri/) la sentenza della Corte di Cassazione era attesa per la serata di ieri e così è stato: dopo tre ore di camera di consiglio, la Suprema Corte ha annullato con rinvio la decisione della Corte d’appello che condannava Marcello Dell’Utri a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa (in primo grado la condanna fu a nove anni). Così il processo al Senatore del Pdl dovrà rifarsi, sempre a Palermo dove si svolse il primo, ma con altri giudici. Era stata la stessa Procura della Cassazione a chiedere l’annullamento con rinvio o, in alternativa, il rinvio alle Sezioni Unite, mentre la difesa di Dell’Utri aveva richiesto l’annullamento senza rinvio: il Procuratore Generale, Francesco Iacovello, ha spiegato che nella sentenza di primo grado, il Tribunale di Palermo non aveva descritto una specifica condotta criminosa di Dell’Utri, qualificandolo genericamente come ‘mediatore’ e ‘referente politico’ dei malavitosi e iscrivendo a prove alcune sue frequentazioni che, di fatto, non potevano essere ritenute tali. Il Procuratore ha poi aggiunto che ad ogni imputato debbono essere garantiti i medesimi diritti di difesa e che il ricorso alle dichiarazioni dei pentiti, non può oscurare il principio del

ragionevole dubbio a tutela dell’imputato. Nella sua requisitoria, Iacovello ha affermato che ‘Il concorso esterno è ormai diventato un reato autonomo, un reato indefinito al quale, ormai, non ci crede più nessuno’ ed ha poi ribadito la sua estrema fiducia e stima al collegio giudicante e in particolare al Presidente Aldo Grassi su cui c’erano state alcune polemiche, tanto che era intervenuto lo stesso CSM. L’avvocato di Dell’Utri, nella sua arringa, aveva parlato di ‘acrobazie di diritto’ dei giudici di Palermo, pressati dalla Procura inquirente. In particolare, l’avvocato Krogh ha sottolineato come fosse stato considerato veritiero, senza effettivi riscontri, il presunto incontro, svoltosi negli anni settanta, fra Silvio Berlusconi e i boss Di Carlo, Teresi e Bontade ( di cui Dell’Utri è considerato il maggiore referente ). Ora la Cassazione ha deciso che quel processo, iniziato nel 1997, dopo due sentenze di condanna, la prima nel 2004 e la seconda nel 2010, è da rifare. E’ apparso molto soddisfatto Marcello Dell’Utri, che ha dichiarato che affronterà il nuovo processo ancora più convinto della sua innocenza e che è sempre stato fiducioso nella giustizia. Anche i suoi legali hanno dichiarato che nel nuovo processo dimostreranno la totale innocenza del loro assistito e perciò di non puntare alla prescrizione che è prevista per il 30 giugno 2014.

La vicenda torna ora a Palermo da dove era partita 15 anni fa. A.D D: Cosa significa annullare con o senza rinvio? Le sentenze pronunciate perderanno ogni valore? R: La Corte di Cassazione decide sulla base degli atti a sua disposizione senza valutare il merito dei fatti ma la legittimità, cioè l’aderenza alla legge e la logicità della motivazione di una sentenza o di un’ordinanza impugnata. La Cassazione può confermare il provvedimento che diventa definitivo, oppure annullarlo, in tutto o in parte. L’annullamento può essere senza rinvio, ed è la stessa Cassazione ad emanare il provvedimento che ritiene necessario; oppure con rinvio al Giudice che ha pronunciato il provvedimento, che deve provvedere uniformandosi ai principi di diritto decisi dalla Cassazione nella sentenza di annullamento.In caso di annullamento con rinvio di una sentenza della Corte di appello (come in questo caso), il giudizio è rinviato ad un’altra sezione della stessa corte o in mancanza a quella più vicina. D: Cosa accadrebbe se si giungesse al termine di prescrizione previsto per il giugno 2014? R: Che l'imputato verrà prosciolto per intervenuta prescrizione salvo una assoluzione nel merito dei fatti.


D: Che cos'è il concorso esterno in associazione mafiosa? R: Il concorrente esterno all’associazione mafiosa è colui che, pur senza essere parte stabile del sodalizio mafioso, conferisce un apporto anche occasionale all’associazione pur sempre finalizzato a rafforzarne l’attività illecita. Dal punto di vista più concreto, la mera “contiguità compiacente” o la “vicinanza” o la disponibilità nei riguardi del sodalizio o dei suoi esponenti, devono in ogni caso essere accompagnate da positive attività che

forniscano uno o più contributi utili al rafforzamento o al consolidamento dell’associazione. In parole più semplici, il concorrente esterno è un concorrente eventuale che non vuole far parte dell’associazione e che l’associazione non chiama a far parte, ma al quale l’associazione si rivolge per colmare temporanei vuoti in un determinato ruolo e per superare possibili fasi patologiche di crisi della stessa associazione. Il contributo quindi può essere anche solo episodico ed estrinsecarsi in un unico intervento, in quanto ciò che rileva è

che quell’unico contributo serva all’associazione per i mantenersi in vita. A lungo sia in giurisprudenza che dottrina si è discusso sull’ammissibilità e sui contorni di questa figura, in ogni caso oggi almeno la giurisprudenza legittima la figura mentre parte della dottrina è ancora molto critica.Questa sentenza, forse, traccerà nuovi confini a questa discussa figura partecipativa. Aspettiamo le motivazioni. AVV.TOMMASO ROSSI

Lo scheletro trovato nel 2009 è di Placido Rizzotto Rapito dalla Mafia nel ‘48 PALERMO, 10 MARZO ’12 Rapito e ucciso 64 anni fa dalla Mafia, venne fatto sparire. Oggi la polizia scientifica di Palermo restituisce uno scheletro ai familiari di Placido Rizzotto, partigiano e sindacalista della Cgil. I resti ossei vennero rinvenuti tre anni fa, nel settembre 2009, in una foiba della località Rocca Brusambra, ma rimasero senza identità fino a ieri quando un’attenta comparazione scientifica con il Dna del padre di Rizzotto, morto per cause naturali, del cui cadavere è stata disposta la riesumazione, ha permesso agli inquirenti di stabilire che si tratta dei resti di Placido Rizzotto. Una notizia importante che scuote l’opinione pubblica e la politica italiana, per un caso difficile, scabroso, rimasto irrisolto per troppo tempo. Placido Rizzotto, partigiano e sindacalista della Cgil, presidente dei reduci e combattenti dell’Anpi di Palermo e segretario della Camera del Lavoro di Corleone. Fu rapito dalla Mafia il

10 marzo 1948, mentre andava dai compagni di partito, ucciso con il cranio fracassato (come testimoniò un pastore della zona, che suo malgrado avrebbe assistito all’omicidio e che morì per avvelenamento in ospedale) e il suo corpo venne fatto sparire. Gettato in un cratere dove nessuno lo avrebbe più trovato. Inutili le ricerche, che non portarono a nulla fino al 2009 quando a Corleone venne rinvenuto quello scheletro senza identità. Placido Rizzotto era un personaggio scomodo in una terra come Corleone, avvelenata dalla Mafia e dal boss Michele Navarra, medico, e ritenuto il mandante dell’omicidio. Il sindacalista sarebbe stato ucciso per il suo impegno politico e sindacale al fianco del movimento contadino per l’occupazione delle terre. Le indagini sull’assassinio di Placido Rizzotto furono condotte dall’allora capitano dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa che riuscì ad arrestare Vincenzo Collura e

Pasquale Criscione, i quali ammisero di aver preso parte al sequestro Rizzotto insieme a Luciano Liggio, giovane aspirante alla carica di boss a Corleone. I due imputati, che in aula ritrattarono le loro dichiarazioni, furono assolti per insufficienza di prove. Liggio, latitante fino al 1964, nonostante la richiesta del pm dell’ergastolo, fu assolto anch’egli per insufficienza di prove. Nel corso degli anni era diventato un boss potente, anche più dello stesso vecchio Navarra. Nel 1964 il boss Liggio è stato arrestato dal colonnello dei carabinieri Milillo nel nascondiglio dove nessuno avrebbe mai voluto trovarlo: nell’abitazione di Leoluchina Sorisi, l’ex fidanzata di Placido Rizzotto. Oggi, la comparazione del Dna restituisce identità e dignità alla figura di questo sindacalista vittima di Mafia. Le reazioni politiche. La notizia del ritrovamento dei resti di Placido Rizzotto dopo ben 64 anni dal suo


rapimento per mano delle organizzazioni criminali palermitane, scuote come detto, anche la politica. In particolare il segretario nazionale del Partito Socialista Italiano Riccardo Nencini, dichiara che il Psi gli dedicherà una cerimonia pubblica nel 120° anno di fondazione del partito. “Restituiamo

a Placido Rizzotto la dignità che la mafia gli ha strappato sessantaquattro anni fa - dice Nencini - lo Stato ha il dovere di tributare al sindacalista socialista gli onori che si devono a chi dedica la propria vita ai valori della libertà e della giustizia e alla difesa dei più deboli”. Rizzotto, come ricorda

ancora il segretario nazionale del Psi, fu tra i primi a “combattere con coraggio l'oppressione mafiosa alla sua terra e a diffondere la cultura della legalità. Oggi l'Italia ha l'occasione di dimostrare che il suo sacrificio non è stato invano”.

TALITA FREZZI

Omicidio Melania Sotto controllo il telefono della giornalista Ilaria Mura ASCOLI PICENO, 11 MARZO ’12 - Se ne era tanto parlato nelle scorse settimane: una giornalista Mediaset al centro delle polemiche per una presunta falsa lettera scritta da Salvatore Parolisi, il caporalmaggiore dell’Esercito in carcere come unico indagato per l’omicidio di sua moglie, Melania Rea. E per aver fatto da postina tra il detenuto e l’amante, la soldatessa Ludovica Perrone. Oggi emergono nuovi inquietanti risvolti di questa vicenda, che corre parallela alle indagini sull’omicidio di Melania Rea, avvenuto il 18 aprile scorso nel bosco di Ripe di Civitella. Il telefono della giornalista Mediaset Ilaria Mura, uno degli inviati di punta del programma di approfondimento “Quarto Grado” è stato messo sotto intercettazione per oltre quattro mesi dalla magistratura. Allo stato attuale la giornalista non risulta indagata, questo va precisato. Ma di fatto la Procura vuol vederci chiaro sui rapporti intercorsi tra la giornalista televisiva e l’amante di Parolisi, Ludovica Perrone. I quattro mesi di controllo del telefono della Mura coincidono con il periodo in cui i rapporti tra la giornalista e la

soldatessa si sarebbero infittiti e divenuti addirittura stretti. Gli investigatori, dalle intercettazioni telefoniche, avrebbero parlato di “pressioni nei confronti di Ludovica”. TALITA FREZZI D: In quali circostanze viene disposta l’intercettazione ambientale o telefonica? R: Il nostro ordinamento prevede all’art. 266 c.p.p. l’ammissibilità delle intercettazioni telefoniche, telematiche o di comunicazioni tra presenti (c.d. intercettazioni ambientali) qualora si proceda per delitti non colposi puniti dalla legge con l’ergastolo o con la reclusione superiore nel massimo a 5 anni e per una serie di reati individuati (quali il traffico di sostanze stupefacenti, i delitti di armi ed esplosivi, il contrabbando, la pornografia minorile e la detenzione di materiale pedopornografico, i delitti contro la pubblica amministrazione puniti con pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni, i reati di minaccia, ingiuria, molestia telefonica, usura).L’art. 267 c.p.p. prevede che il PM possa richiedere al Giudice per le indagini preliminari

(GIP) l’autorizzazione a disporre le operazioni di intercettazione laddove sussistano gravi indizi di reato (di quei reati individuati) e l’intercettazione risulti assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione della indagini. Le intercettazioni sono autorizzate dal Gip con decreto motivato, oppure, in casi di urgenza, con decreto del Pubblico Ministero che deve essere comunicato entro 24 ore al Gip, il quale entro le 48 ore successive deve convalidarlo con decreto motivato. In entrambi i casi debbono essere dettagliatamente indicate le modalità e la durata dell’intercettazione, che non può superare i 15 giorni, salvo possibilità di proroga motivata dal Gip per periodi di 15 giorni. D: E’ possibile che il telefono di una persona non indagata sia sottoposto a controllo? R: No, se non indirettamente, cioè nel corso dell'intercettazione dell'utenza telefonica del soggetto indagato con cui interloquisce. D: Se la persona controllata, nella fattispecie la giornalista Mediaset Ilaria Mura, risultasse ‘pulita’ e dalle intercettazioni non spuntassero elementi tali da farla


indagare, lei potrebbe a sua volta avanzare richieste di risarcimento? R: Posto come detto che si può intercettare solo l'utenza telefonica

di una persona indagata, se al termine dell'indagine la stessa fosse riconosciuta estranea ad ogni addebito penale, non potrebbe però richiedere nulla. Diverso il caso di

intercettazioni illegali disposte al di fuori dei limiti di legge o nei confronti di persona non indagata. AVV.TOMMASO ROSSI

I giudici di Firenze confermano la trattativa Stato- Mafia Ma Forza Italia non fu l’ispiratrice delle stragi FIRENZE 13 MARZO ’12 - Lo avevano già detto i giudici di Caltanissetta nella loro ordinanza nel nuovo processo avviato sulla strage di via D’Amelio ed ora sono quelli di Firenze a confermare che la trattativa fra lo Stato e la Mafia per porre termine alla stagione delle stragi ci fu: è quanto scritto nelle motivazioni della sentenza emanata dalla Corte d’Assise di Firenze che ha condannato all’ergastolo il boss Francesco Tagliavia, ritenuto il responsabile per le bombe di Firenze, Roma e Milano nel 1993. La sentenza parla anche dei rapporti intercosi fra Cosanostra e i vertici dello Stato e dei servizi segreti che, dopo le bombe di Capaci e via D’Amelio, temevano di perdere di mano la situazione e così avviarono le trattativa, basata, stando a quanto scritto, su un ‘do ut des’: io do qualcosa a te, tu dai qualcosa a me. Quello che appare certo, è che ‘l’iniziativa fu assunta da rappresentanti delle istituzioni e non dagli uomini di mafia’ e a questo proposito i giudici fiorentini hanno in passato ascoltato gli ex Ministri di allora Giovanni Conso e Nicola Mancino che però sembrano aver lasciato delle zone d’ombra su quel periodo, caratterizzato da fortissime

tensioni fra le istituzioni. Si parla esplicitamente di ‘ quadro disarmante’ e di ambiguità nell’azione dello Stato nella vicenda delle stragi e nella gestione di una situazione drammatica. Mancino ha più volte detto di essere all’oscuro della trattativa, ma ad essere sotto accusa è la revoca e il mancato rinnovo della norma sul regime del c.d carcere duro per i mafiosi, il famoso art 41bis: quella, secondo i magistrati sarebbe stata una concessione alla mafia. In realtà fu lo stesso Claudio Martelli, ex Guardasigilli prima di Giovanni Conso, a confermare che lui stesso era a conoscenza dei contatti presi con Cosanostra. La sentenza, con riferimento alle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza, ha specificato che non è stato trovato alcun riscontro in merito al fatto che gli attentati fossero stati commissionati dal nascente partito politico Forza Italia, anche se non si è potuto escludere che, nel disfacimento della vecchia classe dirigente, gli uomini della mafia abbiano guardato con fiducia a questo nascente soggetto politico, visto come ‘ una chance per affrancarsi’. Fu avviato proprio in quegli anni il progetto di Cosanostra, poi abbandonato, di dar vita ad una formazione politica locale chiamata

‘Sicilia Libera’ per instaurare un nuovo potentato nell’isola anche in rapporto con la ‘ndrangheta calabrese. Oltre che per le autobombe ai Georgofili, ai Parioli e in via Palestro, Francesco Tagliavia è stato processato anche per il mancato attentato allo stadio Olimpico del 23 gennaio 1994, fallito perché, a quanto pare, non funzionò il telecomando che doveva azionare il congegno. Non si sa se quella bomba non esplose per una fatalità o se non fu fatta esplodere. ANDREA DATTILO D: Cosa prevede il citato articolo 41 bis? R: E’ il cosiddetto “carcere duro”, cioè un regime carcerario speciale previsto dalla legge di ordinamento penitenziario n. 354/1975 che viene disposto caso per caso dal Ministro di Giustizia, il quale decide di sospendere il trattamento penitenziario ordinario in presenza di gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica o nei confronti di soggetti detenuti per alcuni gravissimi reati tra cui l’associazione a delinquere di tipo mafioso in presenza di elementi che ne facciano ancora presupporre il collegamento con l’associazione. Il regime del carcere duro impone grosse restrizione alla vita carceraria,


ad esempio limitazioni al diritto di corrispondenza, limitazione visita e colloquio, alle interazioni permanenza all’aperto. con gli altri detenuti, controllo della

della AVV.VALENTINA COPPARONI

Quando le idee ed i diritti fanno paura. Amnesty International lancia un appello per la liberazione dell’avvocatessa Nasrin Sotoudeth 13 MARZO 2012- Nel gennaio 2011 l’avvocatessa in prima linea per i diritti umani Nasrin Sotoudeth è stata condannata in Iran per “atti contro la sicurezza nazionale”, “propaganda contro il regime” e per la sua appartenenza al “Centro per i difensori dei diritti umani”, organismo costituito dal premio nobel per la pace Shirn Ebadi. Già dal dicembre 2008 le era stato vietato di lasciare il paese impedendole di fatto di venire in Italia per ritirare il “Premio per i diritti umani” conferitole dalla Human Rights Association e tutti i suoi conti bancari le erano stati bloccati. L’arresto è avvenuto il 4 settembre 2010, per due mesi è stata tenuta in isolamento ed oggi l’avvocatessa sta scontando una pena di sei anni di carcere (in primo grado era stata condannata ad 11 anni poi ridotti in appello) che prevede anche il divieto di esercitare la sua professione per i prossimi dieci anni. Sul caso è intervenuto anche l’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani che ha chiesto di far luce sul processo.

Il destino dell’attivista Nasrin Sotoudeth non è però solitario, è simile purtroppo a quello di numerosi avvocati arrestati o costretti ad andarsene dall’Iran per le battaglie combattute in prima linea soprattutto dopo le contestate elezioni presidenziali del 2009. Amnesty International ricorda tra i tanti: Mohammad Olyaeifard che tutt’ora sta scontando una pena detentiva per aver parlato dell’esecuzione di uno dei suoi clienti, un imputato minorenne; Mohammad Ali Dadkhah e Abdolfattah Soltani, colleghi di Shirin Ebadi, arrestati dopo le elezioni e, sebbene liberi su cauzione, ancora sotto processo; Shadi Sadr costretta a lasciare l’Iran dopo essere stata in carcere per una settimana dopo le elezioni presidenziali del 2009; Mohammad Mostafaei, difensore di numerosi imputati

minorenni rinchiusi nei bracci della morte e di diverse persone condannate alla lapidazione, costretto a fuggire dall’Iran dopo la difesa di Sakineh Mohammadi Ashtiani, donna condannata alla lapidazione. Anche sua moglie e suo cognato sono stati arrestati proprio a causa della sua mobilitazione per Sakineh; Mohammad Seifzadeh, avvocato tutt’ora sotto processo. Amensty International ha lanciato un appello per la liberazione di Nasrin Sotoudeth, al seguente link possiamo sottoscriverlo http://www.amnesty. it/detenzione_avvocatessa_Nasrin_ Sotoudeh_Iran Un modo per far sentire anche la nostra voce, per sostenere senza le armi ma con la forza delle idee e dei diritti altre idee e altri diritti. AVV.VALENTINA COPPARONI


Richiesta choc dell’allenatore pedofilo al Gip ‘fatemi la castrazione chimica’ MILANO, 14 MARZO ’12 - “Sono malato, sono pronto a sottopormi alla castrazione chimica”. Inquietanti le dichiarazioni rilasciate davanti al gip di Milano da parte dell’allenatore di volley Gianluca Mascherpa, 49 anni, originario di Lecce, arrestato nel corso di un’operazione condotta dalla Polizia postale contro la pedopornografia online. L’uomo, accusato di induzione a esibizioni pornografiche di minorenni, violenza sessuale e corruzione di minorenni, secondo l’accusa adescava le vittime ragazzine dagli 11 ai 16 anni - sui principali social network e, fingendosi un 15enne grazie a due falsi profili, avrebbe cercato di estorcere dalle vittime delle foto, dei filmati hard a avrebbe anche tentato approcci reali aspettandole davanti alla scuola o in oratorio. L’allenatore di volley, con numerosi precedenti penali per reati legati alla violenza sessuale e due volte condannato per pedofilia, è finito al centro di un’inchiesta condotta dai carabinieri di Trezzano sul Naviglio (dove il 49enne allenava una squadra di pallavolo). L’inchiesta, coordinata dal pm Giovanni Polizzi, ha portato all’arresto dell’uomo prima che

riuscisse a incontrare le ragazzine contattate sul web e via sms. Oggi è comparso davanti al gip Donatella Banci Buonamici per l’interrogatorio di garanzia. Mascherpa ha dichiarato “sono malato, sono pronto a sottopormi anche alla castrazione chimica”. Il gip ovviamente, non potrà accogliere la richiesta-choc dell’uomo, detenuto al carcere di San Vittore, anche perché la castrazione chimica non è prevista nel nostro codice, ma dovrà considerare la richiesta dell’imputato di essere trasferito dal carcere di San Vittore a quello di Bollate dove opera il professore che già lo segue, Paolo Giulini. TALITA

FREZZI

concomitanza a provvedimenti di sospensione della pena. In realtà in Italia non sono mancate proposte di introduzione di questa pratica, spesso sull’onda emotiva di episodi di pedofilia o violenza sessuale, tra le quali quella del’onorevole Alessandra Mussolini e dell’ex ministro delle Riforme Calderoli.

Il trattamento farmacologico per coloro che commettono reati a sfondo sessuale è in ogni caso una realtà legislativa in molti degli Stati Uniti ed in Europa (Danimarca, Francia, Germania, Inghilterra, Norvegia, Spagna, Svezia) anche se nella maggior parte dei casi la terapia medica è prevista per gli individui recidivi che scelgono la cura in alternativa al carcere e che si sottopongono al trattamento finché questo è ritenuto necessario dall’autorità giudiziaria e medica; alcune leggi prevedono il consenso informato del colpevole e spesso è previsto l’abbinamento a terapie di tipo psicologico.

D: Che cosa si intende per “castrazione chimica”? R: Il trattamento farmacologico della c.d. castrazione chimica (riduzione della libido sessuale attraverso farmaci a base di ormoni che si agganciano ai recettori celebrali del testosterone sostituendosi a quest’ultimo) non è prevista nel nostro ordinamento mentre in altri AVV.VALENTINA COPPARONI paesi è spesso utilizzata in


Feltrinelli 40anni dopo la morte. Tragico incidente o omicidio politico? MILANO, 15 MARZO ’12 – Ieri ricorreva l’anniversario della morte dell’editore Giangiacomo Feltrinelli. Ma a 40 anni dalla sua scomparsa, ancora c’è chi si interroga se ad uccidere l’editore sia stata una tragica fatalità o se si sia trattato di omicidio politico. A sollevare inquietanti dubbi sulla sua fine, sarebbero una ferita ignorata e una perizia mai pubblicata. E la morte, dapprima attribuita alla drammatica esplosione della bomba che stava lui stesso preparando a Segrate, diventa ora giallo. Un giallo rimasto sepolto per 40 lunghi anni. Giangiacomo Feltrinelli (Milano, 19 giugno 1926 Segrate, 14 marzo 1972) era editore e attivista italiano. Fu fondatore della casa editrice Feltrinelli e dei Gruppi di Azione Partigiana (Gap) nel 1970. A lui si deve la nascita di una delle prime organizzazioni armate degli Anni di Piombo. Da giovane si arruola nel Gruppo di combattimento di Legnano e partecipa attivamente alla lotta antifascista. Nel 1945 aderisce al Partito comunista, nel 1948 raccoglie materiale e documenti sul movimento operaio in Europa, sulla storia dell’illuminismo gettando le basi per la Biblioteca Feltrinelli di Milano, che ancora oggi è Fondazione. Benestante, illuminato e colto, nel 1954 fonda la Casa editrice: suoi primi bestseller di rilievo internazionale “Il dottor Zivago” di Boris Pasternàk (1956) e “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il primo libro della Casa editrice Giangiacomo

Feltrinelli editore è l’autobiografia dell’allora primo ministro indiano Nehru. Una vita intensa di relazioni e di incontri che tracciano il suo percorso personale e di editore. Tra questi, va ricordato nel 1964 l’incontro con il leader della rivoluzione cubana Fidel Castro, che affida all’editore italiano l’opera “Diario in Bolivia” di Che Guevara. Il libro diventerà uno dei principali bestseller della Casa editrice. 12 dicembre 1969, strage di Piazza Fontana. Le forze dell’ordine presidiano l’esterno della Casa editrice. Feltrinelli teme un colpo di Stato di stampo neofascista, finanziava i primi gruppi di estrema sinistra e aveva contatti con i fondatori delle Brigate Rosse, quindi decide di agire in clandestinità. La morte e le ipotesi. Giangiacomo Feltrinelli morì il 14 marzo 1972. Il cadavere fu rinvenuto dilaniato dall’esplosione di una bomba. Le ipotesi sulla sua morte si rincorsero per molto tempo. Allora si disse che l’editore milanese era morto per l’esplosione dell’ordigno che lui stesso stava preparando in un’azione di sabotaggio, ai piedi di un traliccio dell’alta tensione a Segrate. Altri ipotizzarono che dietro la sua morte vi fosse la Cia in accordo con i servizi segreti. Solo il manifesto firmato da Camilla Cederna ed Eugenio Scalfari sostenne la tesi dell’omicidio: “Giangiacomo Feltrinelli è stato assassinato”. Ma l’inchiesta condotta dal Pm Guido Viola smentì che la tesi

dell’omicidio. Nel 1979 durante il processo contro gli ex appartenenti al Gap poi confluiti nelle Brigate Rosse, emerse che Feltrinelli era morto combattendo, cioè si sostenne la tesi dell’incidente durante la costruzione della bomba. Il mistero si infittisce però con la ricostruzione degli ultimi istanti di vita dell’editore. Feltrinelli (nome di battaglia “Osvaldo”) avrebbe raggiunto Segrate a bordo di un furgone con altri due compagni attivisti. Trasportava 300 milioni destinati al giornale “Il Manifesto” di Roma, dove avrebbe dovuto andare dopo l’attentato. Ma quei soldi non furono mai trovati. Un’inchiesta sulla morte di Feltrinelli fu condotta anche dalle BR (documenti ritrovati nel loro covo a Robbiano di Mediglia, nel Milanese), che interrogarono l’esperto di armi ed esplosivi “Gunter”, uno dei due compagni sul furgone di Feltrinelli e la mano stessa che avrebbe preparato l’ordigno che poi uccise l’editore. Gunter, di cui non si seppe mai il vero nome, è scomparso nel 1985. Oggi si riaffaccino nuovi dubbi e inquietanti domande sulla morte di Giangiacomo Feltrinelli: una tragica fatalità durante la preparazione della bomba al traliccio di Segrate, omicidio o messinscena? Oggi, 40 anni dopo. Nel corso di questi lunghi 40 anni sono cambiate delle cose. Innanzitutto gli atti dell’inchiesta, recentemente scannerizzati dal tribunale di Milano


e quindi fruibili. Poi, sarebbero emerse perizie, carte, testimonianze, dichiarazioni, evidenze fattuali spuntate nel corso di altri processi. Elementi che portano almeno a sospettare che la morte di Feltrinelli potrebbe non essere stata solo una tragica fatalità, ma potrebbe essere stata un omicidio politico o addirittura una “messa in scena”, tesi quest’ultima mai vagliata sul piano giudiziario. La rilettura di tutti gli atti consente di confrontare le informazioni contenute nell’inchiesta sulla morte: la perizia d’ufficio è stata compiuta in senso unidirezionale, senza vagliare l’ipotesi che Feltrinelli possa essere stato aggredito prima dell’esplosione, legato al traliccio con l’ordigno e fatto saltare. A sostegno di questa tesi e quindi dell’ipotesi dell’omicidio, vi sarebbe una perizia completamente trascurata dalla magistratura e dalle forze dell’ordine, la “relazione di consulenza medico-legale”, redatta dal professor Gilberto Marrubini e dal professor Antonio Fornari (il medico che ha dimostrato che Roberto Calvi non si suicidò, ma fu strangolato e poi appeso al Blackfriar’s bridge). Questo esplosivo documento, mai pubblicato e corredato da foto impressionanti, contesterebbe l’impostazione dei periti d’ufficio. Marrubini e Fornari rilevano una “grave e censurabile carenza di obiettivazioni iniziali” sul momento esatto della morte, la mancanza di “indagini che avrebbero dovuto essere condotte al momento e sul luogo del ritrovamento del cadavere”; la carenza degli “accertamenti che ai periti erano ancora consentiti, ma che comunque

non furono praticati”. Inoltre i due periti insisterebbero sulla successione cronologica delle varie lesioni, che non sarebbero tutte ascrivibili all’esplosione ma sarebbero sfalsate nel tempo. Pertanto i due professori scrivono: “viene fatto di domandarci se antecedentemente all’esplosione non fossero intervenute altre violenze, traumatiche o di altra natura”. Insomma, secondo i due periti Feltrinelli fu aggredito prima dell’esplosione e smontano pezzo per pezzo l’esito della perizia d’ufficio, sostenendo che l’editore ancora in vita fu vittima di un violento pestaggio e poi fu trasportato vicino a quel traliccio, sul luogo della messa in scena. Dunque Marrubini e Fornari invitano a rivedere i risultati della perizia d’ufficio. Altro inquietante dettaglio, oltre alla cronologia delle ferite, sarebbe quello delle mani dell’editore: nonostante l’esplosione erano pressoché intatte, quasi che Feltrinelli fosse stato legato, con le mani dietro la schiena, alla traversa del traliccio. Se l’editore fosse esploso armeggiando con l’ordigno, le mani avrebbero dovuto essere amputate dallo scoppio o quanto meno dovrebbero essere state maciullate dalla deflagrazione. I servizi segreti. E’ stato accertato che le attività eversive di Feltrinelli fossero seguite e controllate dai Servizi Segreti di vari Paesi, tanto che la famiglia Feltrinelli ha acquisito i rapporti della Cia, ormai declassificati, sul loro congiunto dopo la morte. Più di recente si è scoperto che l’ufficiale dei carabinieri incaricato delle indagini sulla morte di Feltrinelli - il

maggiore Pietro Rossi - era in realtà l’uomo di collegamento tra l’Arma e il Sid (Servizio Informazioni Difesa) ed era membro del super servizio segreto denominato “L’Anello”. Sarebbe stato inviato apposta da Padova a Milano per occuparsi dell’inchiesta su Feltrinelli. Nel 1978 il maggiore Rossi diventerà addirittura capocentro del Sisde a Milano. A 40 anni dalla morte di Feltrinelli si apprende che i giudici incaricati allora di condurre l’inchiesta sulla morte dell’editore furono cambiati in corsa e che vi sarebbero state addirittura pressioni sulla magistratura inquirente da parte dei carabinieri guidati dal generale Palumbo (il cui nome spunterà poi negli elenchi della P2). “A uccidermi sarà il Mossad”. L’amico ed ex partigiano Giambattista Lazagna sapeva che Feltrinelli temeva per la sua vita. Gli avrebbe confidato “a uccidermi sarà il Mossad”. Come è emerso da recenti ricerche, il Mossad in quegli anni era attivissimo in Italia, con attività che comprendevano anche il killing di veri o presunti nemici di Israele. L’intelligence israeliana si infiltrò nel terrorismo rosso e nero. E il Mossad disponeva persino di una unità operativa a Milano. Il generale Gianadelio Maletti del Sid avrebbe dichiarato alla stampa l’ipotesi che vi sia il Mossad (esperto nel far saltare in aria i terroristi) dietro la morte di Feltrinelli. Anche secondo il capo dell’Ufficio Affari Riservati Federico Umberto D’Amato, quell’editore milanese era un obiettivo da eliminare. TALITA FREZZI


Federico Aldrovandi “Hanno 'morto' un ragazzo” ma non il suo diritto alla verità 16 MARZO 2012- “Il caso che il tribunale deve affrontare riguarda la morte di un diciottenne, studente, incensurato, integrato, di condotta regolare, inserito in una famiglia di persone perbene, padre appartenente ad un corpo di vigili urbani, madre impiegata comunale, un fratello più giovane, un nonno affettuoso al quale il ragazzo era molto legato. Tanti giovani studenti, ben educati, di buona famiglia, incensurati e di regolare condotta, con i problemi esistenziali che caratterizzano i diciottenni di tutte le epoche, possono morire a quell’età. Pochissimi, o forse nessuno, muore nelle circostanze nelle quali muore Federico Aldrovandi: all’alba, in un parco cittadino, dopo uno scontro fisico violento con quattro agenti di polizia, senza alcuna effettiva ragione (…). Queste sono le parole tratte dall’incipit della sentenza di primo grado di condanna per i quattro agenti di polizia accusati di aver provocato la morte di Federico Aldrovandi la notte del 25 settembre 2008. Con queste parole inizia il filmdocumentario “E’stato morto un ragazzo” di Filippo Vendemmiati che ieri sera è stato proiettato al Cinema Azzurro di Ancona durante il secondo incontro dell’iniziativa intitolata “DIRITTO ALLA VERITA’ Storie troppo ordinarie narrate da film, voci e volti” promossa da una serie di associazioni quali Antigone Marche,

Conferenza Regionale Volontariato e Giustizia, Cooperativa IRS L’Aurora, CNCA, Libera presidio Jesi, Donne e Giustizia, Cooperativa sociale Gemma e Cinema Azzurro e volta a sensibilizzare soprattutto l’opinione pubblica sul problema delle carceri in Italia. Dopo la proiezione del filmdocumentario sulla morte di Stefano Cucchi il 09 marzo scorso (148: i mostri dell’inerzia”), ieri sera presso il Cinema Azzurro di Ancona è stata la volta del film-documentario di Filippo Vendemmiati. E’ la storia di Federico Aldrovandi che ha da poco compiuto 18 anni quando il 25 settembre 2005 incontra una pattuglia della polizia in Ferrara e qualche ora dopo la famiglia viene a sapere della sua morte. Per il decesso di Federico il Tribunale di Ferrara ha condannato in primo grado (sentenza confermata anche in appello, pendente il giudizio in Cassazione) i quattro poliziotti che avevano fermato il giovane, tutti accusati di omicidio colposo ed eccesso colposo nell’adempimento di un dovere. A seguire un dibattito con il pubblico e il regista del film, la mamma di Federico (Patrizia Moretti), il giornalista Rai Vincenzo Varagona e il legale della famiglia Aldrovandi Avv. Fabio Anselmo. Questa l’imputazione formale per i quattro poliziotti: “(…) reato previsto e punito dagli artt. 113, 51, 55 e 589, c.p., per avere, con azioni indipendenti tra loro, in qualità di componenti le

volanti Alpha 2 e Alpha 3, intervenuti in via Ippodromo a seguito di chiamate di privati cittadini che avevano segnalato la condotta molesta e di disturbo di un giovane (successivamente identificato in Federico Aldrovandi), con colpa consistita: 1) nell’avere omesso di richiedere immediatamente l’intervento di personale sanitario per le necessarie prestazioni mediche a favore di Federico Aldrovandi descritto dagli stessi agenti in stato di evidente agitazione psicomotoria; 2) nell’avere in maniera imprudente ingaggiato una colluttazione con Federico Aldrovandi al fine di vincere la resistenza eccedendo i limiti del legittimo intervento; in particolare pur trovandosi in evidente superiorità numerica, percuotevano Federico Aldrovandi in diverse parti del corpo facendo uso di manganelli (due dei quali andavano rotti) e continuando in tale condotta anche dopo l’immobilizzazione a terra in posizione prona; 3) nell’avere omesso di prestare le prime cure pur in presenza di richiesta espressa da parte di Aldrovandi che in più occasioni aveva invocato “aiuto” chiedendo altresì di interrompere l’azione violenta con la significativa parola “basta”, mantenendo al contrario lo stesso Federico Aldrovandi, ormai agonizzante, in posizione prona ammanettato, così rendendone più difficoltosa la respirazione;cagionato o comunque


concorso a cagionare il decesso di Federico Aldrovandi determinato da insufficienza cardiaca conseguente a difetto di ossigenazione correlato sia allo sforzo posto in essere dal giovane per resistere alle percosse sia alla posizione prona con polsi ammanettati che ha reso maggiormente difficoltosa la respirazione” Il Giudice monocratico Dott. Caruso continua cosi nell’introduzione alle motivazioni della sentenza di condanna di primo grado. Parole che ho letto e riletto diverse volte e che a mio parere meritano di essere lette, almeno una volta, da tutti . “(…) Quando un affare del genere si verifica in una città civile come Ferrara, dotata di opinione pubblica e società civile reattive, di un sistema d informazione diffuso e disposto a diffondere notizie e spiegazioni e a non subire condizionamenti (gli interessi in gioco non sono tali da indurre cautele ), il fatto di cronaca, una morte di immediato rilievo giudiziario, diventa un caso . Non un qualsiasi procedimento giudiziario ma un affare pubblico ( tutti gli affari giudiziari hanno rilievo pubblico ma nonostante la cronaca giudiziaria costituisca una sezione di primo piano nel sistema dell’informazione, la stragrande maggioranza dei processi, di fatto, resta materia riservata agli addetti). Il processo come affare pubblico rende accessibili i meccanismi che governano e regolano la giustizia, inverando l’astratta nozione di Stato di diritto;

permette al popolo di assuefarsi alle procedure, di condividerne le logiche, di controllare il mantenimento delle promesse, in modo da rafforzare il patto costituzionale. In questo processo si è consentito al pubblico, aprendo l’aula ai mezzi di comunicazione radiotelevisivi, di avere piena cognizione del modo in cui si amministra giustizia nel Paese, nel bene e nel male, e si è dato modo al pubblico di formarsi un opinione, fondata sull’esperienza diretta delle prove e del contraddittorio. Ogni persona di buona volontà ed in buona fede può, se vuole, esprimere un opinione informata. Ovvio che la complessità delle cose e il loro aspetto tecnico, specialistico, professionale, può indurre semplificazioni, errori, omissioni, fraintendimenti. Ma nessuno potrà lamentare silenzi, oscurità, omissioni, il torbido che periodicamente si denuncia negli affari di giustizia. Anche in questa vicenda non tutto è stato chiarito; rimangono vuoti, ma è possibile affermare che sono state individuate le aree, le condotte, le decisioni operative, le situazioni, nell’ambito delle quali si sono realizzate perdite di conoscenza. Il processo si è svolto su un tema d accusa che le circostanze e i modi di svolgimento dell’indagine preliminare hanno reso necessariamente limitata, per

scelta obbligata e non perché un quadro ricostruttivo, nitido e cristallino, orientasse inevitabilmente nella direzione data. Non che ipotesi diverse si sarebbero potuto con sicurezza suffragare. il tema della causa può considerarsi posto in modo sufficientemente realistico da escludere, in termini probabilistici, ipotesi diverse. Sta di fatto che il legittimo bisogno di sapere il modo in cui gli apparati dello Stato fanno uso del proprio potere di ricorrere alla forza legittima non è del tutto soddisfatto. La ragion d essere dello Stato democratico di diritto sta nel garantire che i rapporti civili si svolgano con assoluta esclusione dell’uso della forza e della violenza. Lo Stato può usare la violenza contro i violenti, i nemici esterni, e i contravventori al patto di pacifica convivenza. La trasgressione di questo vincolo da parte dello Stato, l’uso della violenza contro persone inermi, comunque l uso della violenza fuori dai casi consentiti delegittima lo Stato, gli fa perdere il consenso sul quale soltanto può reggersi come Stato di diritto e finisce con il fornire argomenti a quanti al dominio del diritto sulla forza non credono o non vogliono credere. Vi è quindi sempre imperiosa necessità di chiarire se violazione dell’obbligo di astensione dall’uso della forza fuori dai casi consentiti dalla legge vi sia stato, per


restituire fondamento alla convinzione che la violenza pubblica è sempre giustificata e autorizzata dall’ordinamento. Interesse primario degli organi titolari del relativo potere è dimostrare che l’uso è sempre legittimo e l abuso puntualmente represso, solo in questo modo potendosi ridurre il tasso di violenza della società, con conseguente minore necessità del ricorso alla violenza legittima dello Stato. E’ doveroso sottolineare come l’istanza di accertamento della verità ha avuto un solido fondamento nella posizione delle parti civili che hanno esercitato tutti i diritti ad esse spettanti. Trattandosi di fare valere la tutela di diritti fondamentali, di diritti dell’uomo e non solo del cittadino, resta il dubbio se, al di fuori della cittadinanza, di una cittadinanza ben radicata nel principio di uguaglianza e di pari opportunità, vi sarebbe stata uguale possibilità di tutela. Se in definitiva gli apparati dello Stato, compresi gli organi di giustizia, siano effettivamente in grado di garantire a tutti i diritti fondamentali dell’individuo che, come in questo caso, dovessero risultare offesi. Nell’esposizione della vicenda processuale si potrà agevolmente intendere quanto difficile e complesso sia stato il percorso dell’accertamento giudiziario, quante le obbiettive difficoltà, quanto grande

la contraddizione rispetto agli obbiettivi di giustizia di un indagine giudiziaria di rango penale, affidata inizialmente non tanto e non solo ai colleghi d ufficio di coloro che sono stati poi imputati e riconosciuti responsabili di avere cagionato la morte di Aldrovandi ma agli imputati stessi, autori della iniziale ricostruzione del caso posta a base di tutte le successive indagini. L’indagine nasce, quindi, con un vizio di fondo che si concreta nel paradosso dei principali indiziati di un possibile grave delitto che indagano su loro stessi, come se il gioielliere che ha sparato sul ladro in fuga fosse autorizzati a indagare sull’ effettiva consistenza dell’invocata legittima difesa. Un paradosso che il semplice senso comune avrebbe dovuto prevenire. Da qui la strada in salita dell’accusa privata e lo sforzo che essa ha dovuto profondere per far cambiare di segno all’indagine. La necessità dei mezzi che sono stati impegnati, avvocati, consulenti tecnici, investigazioni private, dovendo la parte civile fare i conti non solo con la difesa ma anche con iniziali acquisizioni investigative della pubblica accusa condizionate da una relazione singolare con una polizia giudiziaria oggettivamente coinvolta in un caso che poneva quesiti sui suoi metodi, le capacità dei suoi uomini, la sua

imparzialità in rapporto alle fondamentali scelte investigative iniziali e alle concrete iniziative intraprese che non tennero in alcun conto la possibile, ragionevole pista alternativa di un contributo causale colposo di chi aveva esercitato violenza sulla vittima. Gli agenti coinvolti e i loro colleghi intervenuti nell’immediatezza, in una prospettiva di ragionevolezza e nell’ottica dell’imparzialità e della neutralità, avrebbero dovuto esigere l immediato intervento di un istanza neutra e imparziale, il pubblico ministero, che fornisse, anche solo a livello di immagine, le maggiori garanzie di obbiettività all’indagine, fin dai primi accertamenti, nel primario interesse degli stessi potenziali imputati, oltre che della giustizia. Quasi un caso di scuola dell’assoluta necessità di un pubblico ministero non solo indipendente dall’esecutivo ( dagli organi di polizia ) ma esso stesso in grado di disporre di un autonoma forza di polizia, specificamente preposta all’ indagine sui crimini di organi e apparati dello Stato (…)”. Parole, ripeto, che ho letto e riletto diverse volte e che a mio parere meritano di essere lette, almeno una volta, da tutti . Grazie alla tenacia della famiglia di Federico questa storia è conosciuta oggi da tanti, ma forse ancora non da tutti. Al seguente link (http://federicoaldrovandi.blog.kataw


eb.it/) il blog aperto dalla famiglia Aldrovandi, ho passato diverso tempo a leggerlo, è un libro aperto e da quanto l’ ho scoperto non riesco a non farlo. La visione del film è stata un pugno allo stomaco, l’immagine del corpo di Federico steso a terra pieno di lividi e la testa immersa in una pozza di sangue ricorre ripetutamente

durante tutto il documentario, è una presenza costante, terribilmente violenta ma credo assolutamente necessaria per far comprendere a tutti quelli che non c ‘erano ciò che è successo. Sono convinta che se in tanti chiediamo risposte, se in tanti cominciamo a pensare che queste cose non capitano solo agli altri,

allora forse si potrà ottenere quella Giustizia di cui tanto si parla, di cui tutti parlano ma che Federico e la sua famiglia hanno lottato e stanno lottando ancora duramente per ottenere. Lo credo da avvocato ma soprattutto da cittadino dello Stato italiano. AVV.VALENTINA COPPARONI

Realtà-Finzione La magnifica presenza di Ozpetek Realtà- finzione. Finzione- realtà. E' questo il tema dominante che ricorre per tutta la durata dell'ultimo film di Ferzan Ozpetek. Un regista particolare, strano, speciale. Un film difficile da definire ed inquadrare, classificare, e valutare. Un film che deve essere visto. Il primo commento che, a metà della proiezione, mi è sgorgato è stato: "non sembra un film italiano!" Il cinema italiano, a mio modesto avviso, negli ultimi anni si è avviluppato su se stesso, divenendo spesso un film di genere, uguale a se stesso, vagamente autoreferenziale e, soprattutto, privo di fantasia, coraggio, inventiva. Lontano dagli anni '70, dove ogni regista, anche con poco budget, aveva voglia di sperimentare, inventando generi spesso catalogati come B-movie, ma "coraggiosi" per l'epoca. Basti pensare ai "poliziotteschi" all'italiana, agli horror-splatter di Fulci e Bava, allo spaghetti western dove Giuliano Gemma e Terence Hill non sfiguravano rispetto al texano dagli occhi di ghiaccio Clint Eastwood. Il film di Ozpetek, regista che negli ultimi anni stava a sua volta

ricavandosi una nicchia di autoreferenzialità, è invece un film coraggioso. Il rischio di cadere nella banalità un po' spocchiosa dell'ambientazione retrò c'era. E, invece, ogni scena è una pennellata dove fotografia e fantasia si fondono in primi piani e sfocature che simboleggiano meravigliosamente il tema centrale del film: realtà-finzione, finzionerealtà. Una compagnia teatrale, nella Roma degli anni '40, nel pieno della seconda Guerra mondiale, scompare a seguito di una misteriosa morte e incrocia ora, nella Roma dei giorni nostri, la propria esistenza fantasmagorica con quella- piena di voglia di scoprire la vita e scoprirsi in tutte le sue sfaccettature- di un Elio Germano ancora una volta grande realtà del cinema italiano. E sullo sfondo l'omosessualità del giovane e acerbo protagonista, la sessualità eccessiva e sconclusionata di sua cugina (una brava Paola Minaccioni), la solidarietà nella diversità (molto bella la scena del travestito che accompagna il giovane Elio Germano nel regno confuso

della Badessa-Platinette alla ricerca di informazioni su Livia Morosini), e il Teatro come luogo di incontro, appunto, di realtà e finzione. Ecco, Livia Morosini, una straordinaria Anna Proclemer che, con i suoi 89 anni e una presenza scenica a tratti invadente, porta in sé una intensissima storia di tradimento e morte. E' lei che ha venduto la "famiglia" della Compagnia teatrale ai fascisti, costringendoli a nascondersi in quella che diventerà la casa stregata di Elio Germano, e ad una tragica morte per una stupida stufa difettosa. E' lei che tiene ancora sospesi tra la morte e la vita dei giorni nostri questi uomini e donne elegantissimi, bellissimi e senza tempo (Beppe Fiorello, Margherita Buy e Vittoria Puccini si stagliano come una luce sul film) con cui Elio Germano costruirà una amicizia speciale giorno dopo giorno. Amicizia che aiuterà lui a trovare se stesso e la sua dimensione nel mondo, e la straordinaria Compagnia teatrale Apollonio a trovare la verità a lungo inseguita e la meritata "pace". Una meravigliosa scena sul tram per le vie incantate di Roma ci mostra


come passato e presente, realtà e nello spazio. Dove ciascuno, uomo, nella scena. finzione, possono fondersi in una donna, gay, transessuale e perfino TOMMASO ROSSI sfocata bolla sospesa nel tempo e fantasma ha il suo ruolo armonioso

Tolosa: Killer spara sui bambini alla scuola ebraica, 4 morti. Forse agguato neonazista TOLOSA, 19 MARZO ’12 - La follia di un singolo diventa distruzione, dolore e morte per tanti. Agguato alla scuola ebraica del quartiere residenziale della Roseraire, a Tolosa. L’orrore si è manifestato alle 8, quando un uomo armato di due pistole, ha sparato sui bambini, ucciso a sangue freddo un rabbino e inseguito dentro la scuola altre piccole vittime. Secondo la ricostruzione fatta da alcuni testimoni agli inquirenti, il killer sarebbe arrivato davanti alla scuola ebraica in sella a uno scooter. Aveva il volto travisato da un casco integrale nero. Ha aperto il fuoco sui bambini fermi al punto di raduno della scuola. Un massacro, a sangue freddo. Quattro i morti. Un insegnante trentenne (un rabbino) di cittadinanza francoisraelina originario di Gerusalemme, Jonathan Sandler ha perso la vita insieme ai due figli di 3 e 6 anni Ariel e Gabriel. Uccisa Myriam, una bambina di 10 anni, figlia del direttore della scuola, sembra presa per i capelli e freddata. Ferito gravemente anche un 17enne, che ora si trova in fin di vita all’ospedale di Tolosa. Un vero e proprio agguato, forse di stampo neonazista. E’ infatti questa la pista seguita dagli investigatori, mentre si piangono le vittime, si depongono fiori davanti a quella scuola simbolo di cultura e di crescita, mentre ci si interroga su

come sia stato possibile che qualcuno possa aver sparato uccidendo quei tre angeli. La Francia sprofonda nell’orrore per l’agguato di oggi alla scuola ebraica. E nell’indignazione, scatta anche la rabbia. La polizia francese è al lavoro, impegnata in una maxi caccia all’uomo su tutto il territorio. L’ipotesi è che potrebbe essere lo stesso killer in azione la scorsa settimana, contro due militari sempre a Tolosa e nella vicina Montauban. L’aggressore in scooter e armato di pistola calibro 11.43 e calibro 9, aveva ucciso tre persone e ferito una quarta. Le reazioni delle Istituzioni. Il Procuratore della Repubblica di Tolosa, Michel Valet, ha affermato “il killer ha aperto il fuoco su qualunque cosa avesse di fronte”. Le autorità ebraiche francesi esprimono tutto l’orrore per questo terribile agguato, mentre il presidente Nicolas Sarkozy ha annullato tutti gli impegni di campagna elettorale per accorrere sul posto, così come il ministro dell'Interno Claude Gueant, e i rappresentanti delle istituzioni ebraiche di Francia. Immediatamente rafforzate le misure di sicurezza davanti alle scuole israelitiche del paese. "E' impossibile accettare l'idea che si possa fare un tale massacro. E' una tragedia. Ed è una tragedia anche che esistano dei folli

capaci di questo genere di atti, che non hanno alcun rispetto per la dignità e per la vita delle persone”, dice il presidente Nicolas Sarkozy che parla di tragedia nazionale e promette ai familiari delle vittime che il killer sarà catturato. L’identikit. In mano agli inquirenti vi sarebbero delle immagini catturate dalle telecamere a circuito chiuso davanti alla scuola: immagini choc, raccapriccianti che indirizzeranno verso il killer. Inoltre, sembra che sia stata annotata da qualcuno dei presenti la targa dello scooter sul quale è scappato dopo il massacro. Le ricerche sono indirizzate anche da un identikit ricostruito dai presenti: si cerca un uomo dal viso segnato da una cicatrice o, forse, un tatuaggio. L’uomo era vestito di nero, ma dalla corporatura massiccia, robusto, muscoloso. Un identikit che corrisponderebbe a quello dei paracadutisti dello stesso reggimento dei militari uccisi la settimana scorsa, che vennero espulsi perché affiliati a associazioni neonaziste. Ed accrediterebbe dunque la pista neonazista. Mentre avanza con sempre maggiore prepotenza l’ipotesi dell’agguato a sfondo razziale, di stampo neonazista, ci si interroga su obiettivi e movente. Di certo il killer ha sangue freddo, è crudele ma non colpisce a caso, anzi


sa perfettamente quali gli obiettivi militare. Il Tribunale antiterrorismo l'omicidio dei militari di Montauban. del suo odio. Conosce bene i luoghi di Parigi ha aperto un'inchiesta per la TALITA FREZZI e le armi. Potrebbe essere un ex strage della scuola ebraica e per

Giovane castrato perchè gay Ancora episodi di violenza su minori dal passato, la chiesa olandese sotto shock. CITTA' DEL VATICANO, 20 MARZO '12 – La chiesa olandese è scioccata per la notizia riportata da un giornale locale che racconta quanto avvenuto negli anni Cinquanta in un istituto per ragazzi di Harreveld, dove un adolescente sarebbe stato castrato perché sospettato di essere omosessuale. Le indagini. Il fatto è finito sulle colonne del giornale mentre è in corso una indagine da parte della Commissione Deetman, una commissione indipendente istituita dall’episcopato con lo scopo di fare luce sugli abusi sessuali che sarebbero avvenuti negli ultimi trent'anni. Tutti gli ordini religiosi e i vescovi olandesi due anni fa hanno deciso di dare il via alle indagini in seguito alle numerose segnalazioni e denunce di abusi risalenti agli anni prima, per comprendere la portata del fenomeno e delimitare i casi reali. Per questo motivo venne formata una commissione indipendente composta da psicologi, docenti universitari cattolici e non, che hanno preso in

esame un arco temporale che va dalla fine della seconda guerra mondiale fino ai giorni nostri. Alle famiglie invece sono stati consegnati sei questionari, 34mila schede, per individuare gli abusi non denunciati. Stando ai primi risultati pubblicati anche on line (http://www.onderzoekrk.nl/eindrapp ort.html) emergerebbe un fenomeno di portata minore rispetto a quanto si ipotizzava inizialmente e che non erano solo i parroci ma anche gli insegnanti cattolici e i dipendenti parrocchiali a fare violenza sui minori. Molti processi non sono mai stati fatti e alcuni responsabili sono deceduti quindi sembra impossibile avere completa giustizia. Certo è che in 65 anni i casi di abuso vanno dai 10mila ai 20mila, 800 sarebbero i responsabili di cui solo 105 si presume siano ancora in vita. Il caso di Herreveld. La notizia pubblicata da un quotidiano locale sulla castrazione di un adolescente ritenuto omosessuale, avvenuta negli anni Cinquanta nell'istituto di Harreveld, ha

sconvolto la chiesa che son un comunicato si è detta costernata e ha fatto sapere la volontà di fare luce anche su questo episodio”. Un atteggiamento omertoso. Va detto però che l'inchiesta della Chiesa ha fatto emergere un atteggiamento piuttosto omertoso di molti vescovi difronte ai casi più scomodi. I ricercatori avrebbero infatti individuato tre diverse linee di comportamento assunte nel corso del tempo: negli anni Cinquanta gli abusi venivano repressi nel silenzio e la questione non veniva approfondita; negli anni Sessanta i casi erano aumentati e i vescovi, probabilmente disorientati, si scelsero la strada dell'omertà, spostando i parroci da un posto all'altro, facendo più attenzione al buon nome della Chiesa piuttosto che alla protezione delle vittime innocenti. Solo negli ultimi dieci anni le cose sono cambiate con la linea della tolleranza zero promossa da Papa Wojtyla ma recepita con ritardo. ELEONORA DOTTORI

Il vaticano va in Sicilia Nel nome della legalità ROMA, 21 presentata conferenza dialogo con

MARZO '12 – E' stata nel corso di una stampa l'iniziativa di i non credenti dal titolo

“Corte dei gentili”, voluta da Benedetto XVI e affidata al coordinamento del card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio

consiglio per la cultura, che i prossimi 29 e 30 marzo sarà a Palermo per rilanciare la denuncia della Chiesa contro la mafia. Si tratta


di un'occasione importantissima che arriva a qualche anno di distanza dal celebre atto di accusa mosso da Papa Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi di Agrigento. L'iniziativa in conferenza stampa è stata presentata da mons. Carmelo Cuttitta, vescovo ausiliare di Palermo, insieme al sostituto procuratore nazionale Antimafia, Giusto Schiaccitano, al vescovo di Acireale, Antonino Raspanti, al cardinale Gianfranco Ravasi e al direttore esecutivo del Cortile dei gentili, padre Laurent Mazas. Nel corso dell'incontro si è parlato di Pino Puglisi, sacerdote ucciso dalla mafia, e si è ricordato

come il Vangelo non accetti nessun compromesso con l'illegalità. Anche il rapporto tra i mafiosi e la fede è stato preso in esame nel corso della conferenza stampa con mons. Raspanti che ha sottolineato come in passato c'era una matrice sociale compatta e lo Stato, la Chiesa e la mafia finivano per essere una cosa sola, per questo motivo, secondo l'alto prelato, nei covi dei boss sono stati trovati santini e bibbie sottolineate, e gli esponenti dei clan prendevano parte agli eventi religiosi. Il Vescovo Raspanti sostiene però che la situazione stia cambiando: “Oggi che la Chiesa

perde oggettivamente forza socioeconomica e appeal a diversi livelli scivola anche nell'interesse dello stesso mafioso, esce dall'interesse del mafioso. Questo ci pone più a fondo la domanda se il Vangelo plasma o non plasma e in che misura gli uomini di chiesa sono disposti a mettere i paletti su ciò che si può accettare o no, compresa la partecipazione di mafiosi alle feste religiose, alle confraternite, alla fede e al rapporto ostentati con i sacerdoti”. ELEONORA DOTTORI

Giornata Nazionale contro il razzismo Manifestazioni in tutta Italia ROMA 22 MARZO ’12 - Forse quest’anno la data del 21 marzo, in cui cade la Giornata mondiale contro il razzismo , ha assunto un significato particolare, proprio perché cade a pochi giorni dalla strage alla scuola ebraica di Tolosa (leggi qui) e in corrispondenza con l’apparizione sul web di deliranti proclami neo nazisti (clicca qui per leggere), anche se in realtà, oramai da diversi anni in Europa è tornato il fantasma del razzismo e i fatti di xenofobia sono purtroppo abbastanza comuni, specie in alcuni Stati dove gli stessi governi nazionali sono dovuti intervenire a frenare il fenomeno. Purtroppo i gruppi che si definiscono nazionalisti ma anche neonazisti, spesso sono

composti da giovani e non solo da veterani presi da patologiche nostalgie. MA erano tanti, anzi tantissimi i giovani italiani e stranieri, studenti e ragazzi di ogni età, che aderendo all’iniziativa lanciata dall’UNAR ( Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali ) hanno formato, dandosi la mano, delle vere catene umane, che stringevano in un ideale abbraccio collettivo i principali monumenti nazionali. A Roma ‘la catena’ di ragazzi, si è stretta attorno al Colosseo: tutti indossavano una maglia bianca con scritto ‘no a tutti i razzismi’ sulle note di ‘ One Love’ di Bob Marley. Poi sul palco allestito sotto l’anfiteatro Flavio, è salito anche il

Ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione, Andrea Ricciardi, che, dopo aver fatto i complimenti agli organizzatori, ha spiegato come bisogna prestare attenzione a non sviluppare il seme del razzismo, che può diffondersi anche attraverso un certo tipo di linguaggio che, poi, può sfociare in gravi fatti di violenza come la storia recente ci racconta. Le catene umane si sono formate in 34 delle maggiori città, fra cui Torino, Milano, Venezia, Brescia, Firenze, Catania, Lecce e tante altre da nord a sud a ricordare che, come c’insegna Albert Einstein, esiste una sola razza, quella umana. ANDREA DATTILO


La Corte indiana non ha dubbi L'uccisione dei pescatori indiani è un atto di terrorismo NEW DELHI, 24 MARZO ’12 – Brutte notizie per i marò italiani arrestati per l'uccisione di due pescatori indiani: la tv locale 'Zeenews' avrebbe riportato le parole del giudice P.S. Gopinath dell'Alta Corte del Kerala che ha detto di considerare l'omicidio un atto terroristico poiché Massimiliano Latorre e Salvatore Girone hanno sparato a uomini disarmati. Il giudice avrebbe inoltre aggiunto, durante la discussione della petizione per il rilascio della petroliera presentata dall'armatore della Enrica Lexie nel

corso della quale ha ribadito che i pescatori non avevano armi con loro, che gli indiani sono stati uccisi senza alcun preavviso. “La Corte ha osservato oralmente che dalla prospettiva dei membri delle famiglie delle vittime, gli atti dei due maro' possono essere assimilati al terrorismo perché loro hanno sparato sul peschereccio senza alcun colpo o altro segnale di avvertimento”, sono le parole riportate dal quotidiano The Hindu sul resoconto dell'udienza presieduta a Kochi dallo stesso giudice Gopinathan. Sempre sulle

colonne del giornale si legge che la corte ha “proposto le sue osservazioni allorché l'avvocato dell'agente della nave (Enrica Lexie) aveva sostenuto che le azioni dei maro' non potevano essere definite terrorismo come specificato (in leggi e trattati internazionali)'' e aggiunge che il legale dell'armatore della petroliera ha assicurato la presenza del capitano e dell'equipaggio davanti ai tribunali indiani semmai venisse richiesta in futuro in relazione a qualsiasi processo. ELEONORA DOTTORI

Via Poma, il perito della procura Quello sul seno di Simonetta non è un morso ROMA, 29 MARZO ’12 - E’ ancora fitto il mistero sulla morte di Simonetta Cesaroni, uccisa il 7 agosto 1990 con 29 coltellate in via Poma, a Roma, nell’ufficio in cui lavorava come segretaria. Unico imputato per questo omicidio, l’uomo che ai tempi era fidanzato di Simonetta, Raniero Busco già condannato a 24 anni di reclusione. In questi giorni il perito della Procura, il medico legale Corrado Cipolla D’Abruzzo (uno dei tre consulenti nominati dalla Corte d’Assise d’Appello per stabilire causa e orario della morte di Simonetta) ha depositato la sua perizia. Il medico legale chiarisce che “è un non senso pensare che queste due escoriazioni possano dipendere da un morso. Si tratta di

una ricostruzione che appare assurda”. Il perito insomma, stabilisce che le escoriazioni sul seno sinistro di Simonetta Cesaroni non siano riconducibili a un morso, come attribuito dalla pubblica accusa nei confronti di Raniero Busco, per via della sua particolare dentatura. “Escludo in modo assoluto - ha spiegato il perito - che quello sia un morso. Nella zona interessata manca l'evidente traccia di opponente. Si tratta di due piccole escoriazioni di cui non si può definire con certezza la natura, oltre non si può andare”, attribuendo poi alla ricostruzione fatta una connotazione di “inverosimile”, “anche per la posizione in cui questo morso sarebbe stato inferto, possibile per una giraffa, un tacchino o un

cammello ma non per un uomo”. Sull’ora del decesso di Simonetta Cesaroni, il perito ha ricordato che la ragazza era in vita fino alle 17,45 e la valutazione successiva (morte avvenuta tra le ore 18 e le 19) va fatta “tenendo conto anche del contesto ambientale di quella giornata, afosa e umida, forse pure piovosa”. Nei giorni scorsi avevamo trattato anche la notizia che sul corpetto della vittima vi fossero tracce di tre diversi Dna maschili: i periti Paolo Fattorini e Carlo Previderè hanno sottolineato che sugli indumenti intimi di Simonetta Cesaroni (sul reggiseno e sul corpetto) c'è una presenza consistente di tracce di Busco e di altri due soggetti maschili. Ma non è dell'imputato il sangue trovato sulla


porta della stanza dell’ufficio dove si sangue anche sul telefono, ma non alla povera Simonetta. è consumato il delitto. Tracce di appartengono né a Raniero Busco né TALITA FREZZI

Asta materiale BR Dell'Utri compra i volantini delle BR su Moro MILANO, 30 MARZO ’12- Già nelle scorse settimane la notizia che sarebbero stati messi all’asta alcuni volantini ( originali ) firmati dalle Brigate Rosse nei giorni del sequestro di Aldo Moro, avevano suscitato diverse polemiche e critiche, ribadite con forza dopo che la Biblioteca di via del Senato, a Milano, si è aggiudicata il lotto 243 per 17.000 euro: proprietario di quella libreria è infatti il senatore Pdl Marcello Dell’Utri tornato agli onori delle cronache dopo l’annullamento in Cassazione delle due condanne per associazione mafiosa. Fra i volantini dei brigatisti battuti all’asta vi è anche quello in cui le Brigate Rosse, il 15 aprile del 1978, annunciavano la condanna a morte del Presidente della Democrazia Cristiana dichiarando chiuso ‘il processo’ cui era stato sottoposto. Il prezzo d’asta per aggiudicarsi quel volantino, ma anche altri firmati Br e risalenti a quei tristi giorni, era partito da 1.500 euro, ma c’è stato un immediato rilancio telefonico a 17.000 euro da parte della Biblioteca di via del Senato. Il prezzo battuto è rimasto quello.

Quasi subito si sono sollevate le critiche da parte delle famiglie delle vittime del terrorismo: indignato si è detto Giovanni Berardi, figlio del maresciallo Rosario Berardi, ucciso dalle Br, soprattutto perché all’asta non era presente alcun rappresentante dei Ministeri e delle Istituzioni, poiché simili documenti dovrebbero, a suo parere, essere acquisiti dagli archivi di Stato e non bensì da qualsiasi privato: ‘hanno ucciso Moro per la seconda volta’, ha dichiarato. Anche fuori del locale dove si è svolta l’asta, si sono radunati una decina di poliziotti del Coisp, con il consigliere comunale Pdl a Milano, Carmine Abagnale, che come ex poliziotto assistette all’uccisione da parte dei brigatisti del collega Antonio Crusta nel ’77. La stessa figlia di Moro, la scorsa settimana aveva definito quell’asta un’operazione di sciacallaggio, non rispettosa del dolore, ancora cocente, nei familiari delle vittime di quegli anni. Da via del Senato hanno fatto sapere di aver partecipato all’asta e acquistato quei volantini poiché la Biblioteca detiene il più importante

archivio storico sugli eventi del ’68 e degli anni successivi. Il Senatore Dell’Utri ha spiegato, poi, che sarà aperta un’esibizione al pubblico e che il ricavato sarà devoluto alla Fondazione per le famiglie delle vittime del terrorismo e che, inoltre, la documentazione sarà oggetto di studi e approfondimenti. L’amministratore della casa d’aste Bolaffi, Maurizio Piumatti, si è detto assai dispiaciuto delle reazioni che quell’asta ha suscitato e che non si voleva assolutamente offendere la memoria delle vittime o il ricordo delle famiglie, specificando poi che quei volantini furono ritrovati casualmente da un privato a Torino e poi acquisiti dalla casa d’aste e che buona parte dell’introito verrà devoluto in beneficenza. All’asta di Bolaffi erano all’asta pezzi da collezionisti, come autografi e scritti originali di Gabriele D’Annunzio, Alessandro Manzoni e Giacomo Leopardi, ma anche di Benito Mussolini, Saddam Hussein e Adolf Hitler. A.D.


Torturata, uccisa e sciolta nell'acido Sei ergastoli per la fine di Lea Garofalo MILANO, 31 MARZO ’12 Sequestrata, torturata, uccisa e sciolta nell’acido. Perché sapeva troppo, perché dopo una vita agli ordini delle cosche del territorio, aveva deciso di collaborare con la giustizia e porre fine all’egemonia della ‘Ndrangheta in Calabria. Per la tragica fine di Lea Garofalo (35 anni) - l’ex convivente di Carlo Cosco, un esponente del clan calabrese di Petilia Policastro, che nel 2002 diventa collaboratrice di giustizia - uccisa e sciolta nell’acido il 24 novembre 2009, la Corte d’Assise di Milano ha condannato all’ergastolo l’ex compagno della donna Carlo Cosco e altri cinque imputati: i fratelli del padre Vito

Cosco (autore della strage di Rozzano) e Giuseppe “Smith” Cosco, Massimo Sabatino (37enne spacciatore di Quarto Oggiaro), Carmine Venturino e Rosarcio Curcio. Sono tutti accusati di aver sequestrato Lea Garofalo, di averla torturata e uccisa, di aver sciolto il suo corpo in 50 chili di acido in un terreno di San Fruttuoso. Dovranno scontare complessivamente sei ergastoli. Inoltre, i giudici della prima sezione della corte d’Assise hanno stabilito che i sei condannati al carcere a vita dovranno risarcire la figlia della vittima, Denise, 20 anni (testimone chiave della pubblica accusa) di una provvisionale di 200.000 euro;

mentre alla madre e alla sorella di Lea Garofalo dovranno andare 50.000 euro a testa. Il risarcimento dovrà poi essere quantificato in sede civile. In questo processo lunghissimo e molto doloroso, specie per Denise, che ha dovuto rivivere la storia terribile di sua madre e anche i particolari della sua drammatica fine per mano della criminalità organizzata, si era costituito parte civile anche il Comune di Milano, cui andrà un risarcimento di 25.000 euro. Il dispositivo della sentenza, come stabilito dal giudice, dovrà essere pubblicato sull’albo del Comune di Milano e sul sito del Ministero della giustizia. TALITA FREZZ

Bebe, la schermitrice senza braccia né gambe e il suo sogno La fiamma Olimpica TREVISO, 31 MARZO '12 – Una storia di sport e di vita. Una storia di quelle che danno forza e voglia di lottare anche quando la strada sembra troppo in salit. E' la storia di Beatrice Vio, per tutti "Bebe",la quindicenne schermitrice di Mogliano Veneto (TV) che sarà tedofora a Londra 2012. Fin qui potrebbe sembrare una storia di sport e reginette un po' bizzose,una storia vincente che proviene da coordinate geografiche non distanti dalla regina Federica Pellegrini. Ma Bebe è senza gambe. E senza braccia. Dal 2008, per le complicazioni di una meningite, è costretta senza arti in una carrozzina. Ma con un grande coraggio. Ed ora il

suo sogno di diventare tedofora è realtà grazie alle email che hanno martellato i server del Comitato Paralimpico. In pedane, con i quattro arti artificiali, Bebe si trasforma in una tigre. Una regina, non una reginetta di quelle tutte mossette, urletti e copertine. Ma soprattutto un esempio, per tutti. Non solo sport, dopo l'ospedale. La scrittura, la pittura, le uscite con i suoi amici scout e tanta tanta voglia di vincere la vita. I suoi occhi e la sua vita si è incrociata con quella di Oscar Pistorius: hanno corso insieme, l'ha spinta in carrozzina poi lei ha spinto lui. Emozioni che solo lo sport regala alla vita. Ed ora per Bebe

la splendida notizia, la realizzazione di un sogno ad occhi aperti che tutti i bambini che iniziano con lo sport portano nel cuore: accendere la fiamma Olimpica. Lei lo farà alle Paralimpiadi di Londra 2012. Ed ecco la lettera con cui la piccola grande Bebe affide le sue emozioni al Corriere della Sera. Ciao Mondo!!! Allora, la volete la super notizia? Vado a fare la tedofora alle Paralimpiadi!!! Sono troppo felice. Quelli dell'organizzazione di Londra hanno chiamato papà e gli hanno detto che sono rimasti colpiti dalle oltre 1.000 mail che sono arrivate dall'Italia per sostenere la mia


candidatura. Siete stati tutti fantastici, voi della redazione che mi avete aiutato con il vostro giornale, tutti gli amici che hanno tifato per me e soprattutto tutta la gente che ha mandato le mail che mi hanno piano piano spinta verso Londra. Non vi ringrazierò mai abbastanza... Thank you very much! (eh sì, ormai devo cominciare a parlare in inglese). Ora però mi devo organizzare per benino. Intanto devo dedicarmi allo studio, che papà ha detto che se ho anche una sola materia a settembre non mi porta a Londra (bel disgraziato, eh? Ma tanto, se vado avanti così, non dovrei avere problemi... e speriamo che i miei prof siano d'accordo!). Poi vorrei riprendere bene gli allenamenti di scherma. Tra maggio e luglio ho una serie di gare molto importanti, tra le quali i Mondiali under 17 a Varsavia (che l'anno scorso ho vinto) e il mio esordio in Coppa del Mondo con gli adulti, e vorrei fare bella figura. Nel frattempo continuerò ad aiutare i miei genitori nell'organizzazione dei progetti di art4sport, per aiutare altri ragazzi amputati come me a fare sport. Ne abbiamo uno molto bello che

si chiama Giochi senza barriere, in programma per il 21 aprile allo stadio di Mogliano Veneto (TV). È un po' come i vecchi Giochi senza frontiere, che dicono erano bellissimi ma io non me li ricordo, però già so che qui ce la spasseremo un mondo. Ci saranno 10 squadre da tutta Italia, tanti campioni sportivi e personaggi dello spettacolo (ci saranno anche i miei due comici preferiti, Paolo Migone e Baz) e faremo dei giochi veramente divertenti. Ovviamente non vorrei neanche mancare le ultime uscite con gli scout, perché quest'anno mi sto proprio divertendo con loro (e poi sono diventata vicecapo della squadriglia delle Lontre). Nel frattempo non vedo l'ora di poter riprendere ad usare le gambe. Dall'ultima operazione al moncone della gamba sono passate ormai 3 settimane e non mi fa più male, quindi, tra poco potrò ripartire! E a questo punto, se avanza un po' di tempo, mi piacerebbe riprendere il discorso con le lame da corsa, come quelle di Oscar Pistorius. Le avevo provate a gennaio (e mi ero divertita un sacco! Yes, very funny!) ma poi ho dovuto

lasciarle per l'operazione. Ma ora che sono di nuovo a posto...Insomma, ho tanti bei programmi e tante belle cose da fare (e non ditemi che la vita non è una figata!) e poi, la ciliegina sulla torta: Tedofora alle Paralimpiadi. Ancora non ci posso credere, sarà un'esperienza unica, che ricorderò forever. E voglio viverla tutta, fino in fondo. Vorrei girare per Londra e visitarla per benino, e anche andare a vedere il musical Mamma mia, mamma mi ha detto che è bellissimo. Poi vorrei conoscere tutti gli atleti paralimpici che ci saranno al villaggio olimpico, per capire perché sono così fantastici come mi dicono. Ovviamente vorrei assistere a tutte le gare e fare il tifo per tutti gli atleti italiani. Sono sicura che con una super tifosa come me vinceranno un sacco di medaglie. E se non vinceremo non fa niente, io non vado a Londra per vincere ma per imparare e divertirmi... stavolta!Un mega bacio. Bebe Poco da aggiungere: tanti auguri Bebe, le persone come te onorano l'Italia. TOMMASO ROSSI


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