Albino comunità viva - Dicembre 2019

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IL GIORNALE DELLA COMUNITÀ PARROCCHIALE DI SAN GIULIANO - N. 10 / DICEMBRE 2019


CALENDARIO APPUNTAMENTI

Dicembre 2019 21 22 Dom 23 Lun 24 Mar 25 Mer 26 Gio 27 Ven 28 Sab 29 Dom 30 Lun 31 Mar

Fino al 27 dicembre mostra in Sant’Anna 9.30 e 14.15 Catechesi Elementari S. Pietro Canisio 18.00 Cate 1a-2a Media

Sab

4A di Avvento

18.00 S. Messa in Prepositurale a seguire auguri con i volontari [Oratorio]

GIORNATA PENITENZIALE 9.00 e 20.30 adulti S. Giovanni da Kety 14.30 elem. | 16.00 medie | 18.00 ado e giovani

S. Delfino

20.30 S. Messa di Natale con le famiglie 20.30 Fiaccolata [ritrovo chiesa di Sant’Anna] 23.00 Veglia e S. Messa di Natale di mezzanotte 16.30 Canto dei Vespri in Prepositurale

NATALE DEL SIGNORE

Dal 27 al 30 dicembre: Campo invernale ado 16.00 Adorazione eucaristica e S. Messa

S. Giovanni Ap. evangelista

Ss. Innocenti di Betlemme 10° anniversario della morte del Vescovo Roberto Amadei

Sacra Famiglia In settimana visita e comunione agli ammalati

EPIFANIA 21.00 Rassegna film di qualità [CineTeatro]

S. Luciano 21.00 In Prepositurale Concerto del Complesso Bandistico Città di Albino S. Lorenzo Giustiniani in onore del Santo Patrono FESTA DEL PATRONO SAN GIULIANO 10.30 Concelebrazione eucaristica S. Giuliano martire 16.15 Benedizione bambini + film gratuito 16.00 Adorazione eucaristica e S. Messa 20.30 CateTerzaMedia | 20.45 CateAdo

S. Aldo

8.30-12.30 Open-day Scuola dell’infanzia “S. Giovanni Battista”

SOLENNITÀ DI S. GIULIANO 9.00 Catechesi delle famiglie 11.00 S. Messa conclusiva con celebrazione dei Battesimo di Gesù Battesimi - A seguire pranzo condiviso

S. Ilario

20.30 Gruppi di ascolto della Parola nelle case 21.00 Rassegna film di qualità [CineTeatro] 20.30 Riti prebattesimali

S. Mauro abate

18.00 S. Messa di ringraziamento con il canto del “Te Deum”

S. Silvestro I Papa

Gennaio 2020

53a GIORNATA MONDIALE PER LA PACE

MARIA, MADRE DI DIO Dal 2 al 5 gennaio campo invernale medie

20.30 S. Messa per i bambini non nati alla Guadalupe Ss. Basilio e Gregorio 16.00 Adorazione eucaristica e S. Messa

SS. Nome di Gesù

S. Fausta

FESTA DEL DONO PER LE OPERE PARROCCHIALI

S. Felice di Nola

S. Eugenio V.

1 2 Gio 3 Ven 4 Sab

2A dopo Natale

S. Tommaso da Cori 16.00-18.00 Iscrizioni corso fidanzati

S. Stefano

Mer

5 Dom 6 Lun 7 Mar 8 Mer 9 Gio 10 Ven 11 Sab 12 Dom 13 Lun 14 Mar 15 Mer 16 Gio 17 Ven 18 Sab 19 Dom 20 Lun 21 Mar

S. Tiziano 16.00 Adorazione eucaristica e S. Messa 20.30 CateTerzaMedia | 20.45 CateAdo 20.45 Preghiera di comunità [S. Bartolomeo] S. Antonio abate Scuola di preghiera in Seminario

S. Liberata

9.30 e 14.15 Catechesi Elementari 18.00 Cate 1a-2a Media 20.30 Itinerario fidanzati #1 - Uscita Ado SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI

2A Tempo ord. 20.45 Preghiera ecumenica [S. Bartolomeo]

S. Sebastiano 21.00 Rassegna film di qualità [CineTeatro]

S. Agnese

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1 “La fraternità” Abbiamo cominciato a incontrarci con i nostri ragazzi in quell’appuntamento di preghiera del mattino che è il BUONGIORNO GESÙ. Significa che il Suo Natale è imminente e non possiamo farci trovare impreparati. È commovente vedere l’entusiasmo di alcuni ragazzi che sono già lì anche alle 7.15, un quarto d’ora prima dell’orario fissato. A volte, ho quasi l’impressione che questa esperienza faccia sì bene a loro, ma quasi sia più un servizio alla comunità; sai, quei servizi che nessuno vede, ma guai se mancassero. Quasi come la preghiera delle monache di clausura, così preziosa per la Chiesa e per il mondo; e che nessuno vede e nemmeno conosce. Ecco, questi ragazzi potremmo dire che si alzano e pregano quando è ancora buio; e, senza saperlo, anche loro svolgono un servizio prezioso alla comunità dei grandi e dei piccoli. Un servizio per i grandi non solo perché anche i genitori sono coinvolti in questa “preparazione del cuore”, ma anche perché – adoperando una parola un po’ grossa – nella comunione dei santi che tutti ci unisce, la preghiera di qualcuno vale anche per gli altri. Un servizio anche per i piccoli perché, giorno dopo giorno, vedi la presenza dei ragazzi aumentare; significa che tra loro ne Tomba di Charles de Foucauld a Tamanrasset parlano. Un servizio dei piccoli, di pochi. A questo punto il pensiero non può non andare a Nazareth. “Cosa può mai venire di buono da Nazareth?”, qualcuno ha detto nel Vangelo. Eppure, Maria, Giuseppe, poi Gesù, hanno lasciato un segno nella storia. Ma in un tempo a noi più vicino, a Nazareth troviamo Charles de Foucauld, sguattero e uomo di fatica in un convento di Clarisse, con una capanna solitaria per residenza. È rimasto affascinato dalla vita trascorsa da Gesù in questo paese, immerso nella miseria della sua gente: un Gesù piccolo, sconosciuto, che lui, però, sente così vicino alla sua spiritualità. Qui intuisce di essere chiamato a portare la sua testimonianza lontano dalla “amatissima Terrasanta”, agli storpi, ai ciechi, ai poveri tra i poveri. Parte così per il Marocco e nel deserto i Tuareg diventano il suo gregge, tribù berbere, nomadi, dediti al commercio di piccoli prodotti artigianali, ma anche alle razzie; un po’ come i pastori di Terrasanta. Vuol vivere il più possibile come Gesù a Nazareth, consapevole che quella fosse l’unica testimonianza silenziosa che gli fosse possibile. Così si dedica al servizio: fa l’operaio, il manovale, il medico, l’ingegnere, il servitore anche della loro cultura, tanto che traduce nella loro lingua anche il Vangelo (augurandosi un giorno di poterlo utilizzare). Aveva un sogno: condividere talmente la vita di quei poveri tanto che arrivassero a dire: “Se costui, misero come noi, ultimo degli uomini, è così buono, il suo Dio non può essere che l’infinita Bontà”. Fu così che il suo nome correva per le oasi, portato dai cammellieri stupiti di quel miracolo: un bianco servitore di quella gente, che prega, studia, cura i malati, si occupa di bambini e vecchi, senza chiedere nulla, nemmeno che seguissero la sua fede. Entrò così tanto nella loro vita che scoprì con enorme gioia a Beni-Abbès, in Algeria, che i nomadi avevano dato un nome meraviglioso alla sua baracca sempre aperta: l’avevano chiamata “La fraternità”. Adesso sai perché l’ho messo come titolo. Ed è stato anche per me una sorpresa perché, come saprai, il nostro Vicariato, come tutti i Vicariati della Diocesi, ora si chiama “Fraternità”. Una fraternità, la sua e la nostra, che si costruisce con fatica, nel nascondimento. È stato il fondatore dei Piccoli Fratelli e delle Piccole Sorelle, ma in vita non ebbe neppure un seguace e rimase unico e solo componente fino alla morte. La sua è la storia di un missionario che non convertì nessuno. La vicenda di questo singolare e glorioso “fallimento” cominciò a prendere vita diciassette anni dopo la sua uccisione. Uomini e donne, che egli non conobbe mai, risposero alla sua chiamata e cominciarono a vivere sul suo esempio, col nome che egli aveva pensato per loro. La fraternità, anche se non si vedono subito i frutti, è come la buona semente: nel nascondimento, nel buio della terra, marcisce e porta molto frutto. Questo è il Natale. Nella notte il piccolo Gesù nasce, senza tanto scalpore, e quando entra nella vita di una persona la rivoluziona. Buon Natale a tutte le nostre famiglie; soprattutto a quelle particolarmente provate da lutti recenti. E il servizio nel nascondimento non ci faccia paura. E auguri anche per il nuovo anno vs. dongiuseppe

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VITA DELLA CHIESA Dalla lettera di Papa Francesco

Significato e valore del presepe

Il mirabile segno del presepe, così caro al popolo cristiano, suscita sempre stupore e meraviglia. Rappresentare l’evento della nascita di Gesù equivale ad annunciare il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio con semplicità e gioia. Il presepe, infatti, è come un Vangelo vivo, che trabocca dalle pagine della Sacra Scrittura. Mentre contempliamo la scena del Natale, siamo invitati a metterci spiritualmente in cammino, attratti dall’umiltà di Colui che si è fatto uomo per incontrare ogni uomo. E scopriamo che Egli ci ama a tal punto da unirsi a noi, perché anche noi possiamo unirci a Lui. Con questa Lettera vorrei sostenere la bella tradizione delle nostre famiglie, che nei giorni precedenti il Natale preparano il presepe. Come pure la consuetudine di allestirlo nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze... È davvero un esercizio di fantasia creativa, che impiega i materiali più disparati per dare vita a piccoli capolavori di bellezza. Mi auguro che questa pratica non venga mai meno; anzi, spero che, là dove fosse caduta in disuso, possa essere riscoperta e rivitalizzata. L’origine del presepe trova riscontro anzitutto in alcuni dettagli evangelici della nascita di Gesù a Betlemme. L’Evangelista Luca dice semplicemente che Maria «diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (2,7). Gesù viene deposto in una mangiatoia, che in latino si dice praesepium, da cui presepe. Ma veniamo subito all’origine del presepe come noi lo intendiamo. Ci rechiamo con la mente a Greccio, nella Valle Reatina, dove San Francesco si fermò. Dopo il suo viaggio in Terra Santa, quelle grotte gli ricordavano in modo particolare il paesaggio di Betlemme. Le Fonti Francescane raccontano nei particolari cosa avvenne a Greccio. Quindici giorni prima di Natale, Francesco chiamò un uomo del posto, di nome Giovanni, e lo pregò di aiutarlo nell’attuare un desiderio: «Vorrei rappresentare il Bambino nato

a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello». Il 25 dicembre giunsero a Greccio molti frati da varie parti e arrivarono anche uomini e donne dai casolari della zona, portando fiori e fiaccole per illuminare quella santa notte. Arrivato Francesco, trovò la greppia con il fieno, il bue e l’asinello. Poi il sacerdote, sulla mangiatoia, celebrò solennemente l’Eucaristia, mostrando il legame tra l’Incarnazione del Figlio di Dio e l’Eucaristia. In quella circostanza, a Greccio, non c’erano statuine: il presepe fu realizzato e vissuto da quanti erano presenti. Perché il presepe suscita tanto stupore e ci commuove? Anzitutto perché manifesta la tenerezza di Dio. Lui, il Creatore dell’universo, si abbassa alla nostra piccolezza. Il dono della vita, già misterioso ogni volta per noi, ci affascina ancora di più vedendo che Colui che è nato da Maria è la fonte e il sostegno di ogni vita. In Gesù, il Padre ci ha dato un fratello che viene a cercarci quando siamo disorientati e perdiamo la direzione; un amico fedele che ci sta sempre vicino; ci ha dato il suo Figlio che ci perdona e ci risolleva dal peccato. In modo particolare, fin dall’origine francescana il presepe è un invito a “sentire”, a “toccare” la povertà che il Figlio di Dio ha scelto per sé nella sua Incarnazione. E così, implicitamente, è un appello a seguirlo sulla via dell’umiltà, della povertà, della spogliazione, che dalla mangiatoia di Betlemme conduce alla Croce. È un appello a incontrarlo e servirlo con misericordia nei fratelli e nelle sorelle più bisognosi (cfr Mt 25,31-46). Mi piace ora passare in rassegna i vari segni del presepe per cogliere il senso che portano in sé. In primo luogo, rappresentiamo il contesto del cielo stellato nel buio e nel silenzio della notte. Non è solo per fedeltà ai racconti evangelici che lo facciamo così, ma anche per il significato che possiede. Pensiamo a quante volte la notte circonda la nostra vita. Ebbene, anche in quei momenti, Dio non ci lascia soli, ma si Il presepe allestito lo scorso anno nel porticato della chiesa di Sant’Anna


VITA DELLA CHIESA fa presente per rispondere alle domande decisive che riguardano il senso della nostra esistenza: chi sono io? Da dove vengo? Perché sono nato in questo tempo? Perché amo? Perché soffro? Perché morirò? Per dare una risposta a questi interrogativi Dio si è fatto uomo. La sua vicinanza porta luce dove c’è il buio e rischiara quanti attraversano le tenebre della sofferenza (cfr Lc 1,79). Quanta emozione dovrebbe accompagnarci mentre collochiamo nel presepe le montagne, i ruscelli, le pecore e i pastori! In questo modo ricordiamo, come avevano preannunciato i profeti, che tutto il creato partecipa alla festa della venuta del Messia. Gli angeli e la stella cometa sono il segno che noi pure siamo chiamati a metterci in cammino per raggiungere la grotta e adorare il Signore. «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere» (Lc 2,15): così dicono i pastori dopo l’annuncio fatto dagli angeli. È un insegnamento molto bello che ci proviene nella semplicità della descrizione. A differenza di tanta gente intenta a fare mille altre cose, i pastori diventano i primi testimoni dell’essenziale, cioè della salvezza che viene donata. Sono i più umili e i più poveri che sanno accogliere l’avvenimento dell’Incarnazione. A Dio che ci viene incontro nel Bambino Gesù, i pastori rispondono mettendosi in cammino verso di Lui, per un incontro di amore e di grato stupore. È proprio questo incontro tra Dio e i suoi figli, grazie a Gesù, a dar vita alla nostra religione, a costituire la sua singolare bellezza, che traspare in modo particolare nel presepe.

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La deriva blasfema del presepe sovranista

Il presepe sovranista è una bestemmia. Lo dico non tanto da cittadino, ma da teologo. Con la espressione “presepe sovranista” intendo quella comprensione distorta e capovolta del presepe, che lo riduce a “manifestazione di identità cristiana da contrapporre ad altre fedi o culture”. Chi utilizza in questo modo il presepe, quasi come una “bandiera”, o addirittura come un’”arma”, che contrapporrebbe la nostra identità alle identità “avversarie”, non solo non ne comprende il messaggio, ma lo capovolge e lo snatura in un modo che risulta davvero scandaloso. “Prima gli ultimi” è scritto a chiare lettere su ogni presepe vero. Non si può pretendere che questo sia chiaro a uomini politici, che anzi vogliono solo “presepi falsi”. Il presepe sovranista è una caricatura, una corruzione, una contraddizione del presepe. Il presepe vero rivela un dramma di esclusione e di persecuzione, che Dio capovolge in pace e concordia. Il presepe sovranista fa la caricatura della pace, alimentando solo esclusione e indifferenza. Fare il presepe, quello vero, significa coltivare la speranza che il “sovrano” non è di questo mondo ed che entra nel mondo con il motto “prima gli ultimi”. Il suo nome è amore, misericordia, accoglienza, perdono. Andrea Grillo Come se non - www.settimananews.it che Dio si fa uomo per quelli che più sentono il bisogno del suo amore e chiedono la sua vicinanza. Gesù, «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), è nato povero, ha condotto una vita semplice per insegnarci a cogliere l’essenziale e vivere di esso. Dal presepe emerge chiaro il messaggio che non possiamo lasciarci illudere dalla ricchezza e da tante proposte effimere di felicità. Il palazzo di Erode è sullo sfondo, chiuso, sordo all’annuncio di gioia. Nascendo nel presepe, Dio stesso inizia l’unica vera rivoluzione che dà speranza e dignità ai diseredati, agli emarginati: la rivoluzione dell’amore, la rivoluzione della tenerezza. Dal presepe, Gesù proclama, con mite potenza, l’appello alla condivisione con gli ultimi quale strada verso un mondo più umano e fraterno, dove nessuno sia escluso ed emarginato. Quando si avvicina la festa dell’Epifania, si collocano nel presepe le tre statuine dei Re Magi. Osservando la stella, quei saggi e ricchi signori dell’Oriente si erano messi in cammino verso Betlemme per conoscere Gesù, e offrirgli in dono oro, incenso e mirra. Anche questi regali hanno un significato allegorico: l’oro onora la regalità di Gesù; l’incenso la sua divinità; la mirra la sua santa umanità che conoscerà la morte e la sepoltura. Guardando questa scena nel presepe siamo chiamati a riflettere sulla responsabilità che ogni cristiano ha di essere evangelizzatore. Ognuno di noi si fa portatore della Bella Notizia presso quanti incontra, testimoniando la gioia di aver incontrato Gesù e il suo amore con concrete azioni di misericordia.

Nei nostri presepi siamo soliti mettere tante statuine simboliche. Anzitutto, quelle di mendicanti e di gente che non conosce altra abbondanza se non quella del cuore. Anche loro stanno vicine a Gesù Bambino a pieno titolo, senza che nessuno possa sfrattarle o allontanarle da una culla talmente improvvisata che i poveri attorno ad essa non stonano affatto. I poveri, anzi, sono i privilegiati di questo mistero e, spesso, coloro che maggiormente riescono a riconoscere la presenza di Dio in mezzo a noi.

Cari fratelli e sorelle, il presepe fa parte del dolce ed esigente processo di trasmissione della fede. A partire dall’infanzia e poi in ogni età della vita, ci educa a contemplare Gesù, a sentire l’amore di Dio per noi, a sentire e credere che Dio è con noi e noi siamo con Lui, tutti figli e fratelli grazie a quel Bambino Figlio di Dio e della Vergine Maria. E a sentire che in questo sta la felicità. Alla scuola di San Francesco, apriamo il cuore a questa grazia semplice, lasciamo che dallo stupore nasca una preghiera umile: il nostro “grazie” a Dio che ha voluto condividere con noi tutto per non lasciarci mai soli.

I poveri e i semplici nel presepe ricordano

Greccio, nel Santuario del Presepe, 1° dicembre 2019, settimo del pontificato.

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VITA DELLA CHIESA

La vera pace è disarmata di Raniero La Valle

“Appena un istante, tutto venne divorato da un buco nero di distruzione e di morte”. Così il papa ad Hiroshima. Ma lui è l’unico che resta ancorato a quel buco nero e che mette in gioco la sua autorità di leader per parlare da quel buco nero a un mondo che sembra volere sprofondarvi di nuovo. Chi ha colto fin dal suo sorgere l’inaudita novità del pontificato di Francesco, non si stupirà delle sue fermissime parole da Hiroshima e Nagasaki. Da “queste terre che hanno sperimentato come poche altre la capacità distruttiva cui può giungere l’essere umano” per condannare le armi nucleari come “un crimine” e il pensiero stesso che le ha concepite. Un papa che ha cominciato a Lampedusa (“Vergogna!” salvare le banche e non i naufraghi), che nel memoriale della Shoà in Israele ha rinominato il peccato originale come il peccato non dell’Adam, ma di Caino, che ha aperto l’Anno santo non a Roma ma a Bangui, che ha convocato la Chiesa intera al capezzale dell’Amazzonia morente per il fuoco appiccato dagli uomini, non poteva non salire a quel buco nero. Vi è salito come al vero nuovo altare su cui l’umano, e insieme anche il divino, sono bruciati per il sacrificio. E ha detto queste parole: “Con convinzione desidero ribadire che l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune. L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale, come allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche, come ho già detto due anni fa. Saremo giudicati per questo... Come possiamo parlare di pace mentre costruiamo nuove e formidabili armi di guerra?”. Come sono lontani i vescovi americani che al Concilio, per assolvere la strategia della deterrenza e l’equilibrio del terrore, impedirono che si condannasse anche il solo possesso delle armi nucleari! Ora la Chiesa, finché il papa è il papa, ne condanna oltre al possesso anche la fabbricazione e il commercio, perché la corsa agli armamenti, egli ha detto appena è arrivato a Nagasaki, “spreca risorse preziose che potrebbero invece essere utilizzate a vantaggio dello sviluppo integrale dei popoli e per la protezione dell’ambiente naturale. Nel mondo di oggi, dove milioni di bambini e famiglie vivono in condizioni disumane, i soldi spesi e le fortune guadagnate per fabbricare, ammodernare, mantenere e vendere le armi, sempre più distruttive, sono un attentato continuo che grida al cielo”. Ed ha aggiunto una nuova definizione alla pace, dopo quella di Giovanni XXIII (“la guerra è fuori della ragione”) dicendo che “la vera pace è disarmata”: o è disarmata o non è, ossia non può esserci: “Le armi, ancor prima di causare vittime e distruzione, hanno la capacità di generare cattivi sogni, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli. La vera pace può essere solo una pace disarmata”. Essa non sta solo in un non fare (non fare la guerra) ma in un costruire continuo nella giustizia il bene di tutti. Giustamente noi ci siamo scandalizzati al sapere che pochi ricchi hanno tanta ricchezza quanto la metà più povera della terra, ma ancora di più dovremmo indignarci al sapere che la grottesca enormità della spesa per gli armamenti (giunta, dicono gli analisti, a 1800 miliardi di dollari l’anno scorso) non solo toglie ogni speranza ai poveri, ma impedisce di porre mano alla vera emergenza che minaccia un altro buco

nero per il mondo intero: la devastazione degli ecosistemi e la fine stessa della storia. Perché tutto si tiene. “È un grave errore pensare che oggi i problemi possano essere affrontati in maniera isolata senza considerarli come parte di una rete più ampia”, ha detto papa Francesco a Tokyo. E non a caso parlando al recente Congresso mondiale del diritto penale, ci ha tenuto a dire che sta per mettere nel Catechismo della Chiesa cattolica un nuovo peccato, quello ecologico, che grida anch’esso, come la guerra, contro Dio e gli uomini. Perché se il sistema politico non giunge a metterlo tra i crimini, lui intanto lo ascrive al peccato; e si sa come nella storia i due termini si siano, anche fortunosamente, intrecciati. La verità è che siamo arrivati a quella svolta epocale per la quale la salvezza dell’umanità e del mondo non è più solo l’argomento delle religioni e delle Chiese, ma è l’urgenza stessa della politica e del diritto. Le due salvezze si incontrano, diventano una sola, fede e storia, grazia e libertà, sono portate dai fatti a incontrarsi in una sintesi nuova, escono dalla dialettica degli opposti. Eppure proprio ora l’irrompere dei particolarismi, dei nazionalismi, dei sovranismi sta distruggendo quel tanto di ordine internazionale che con tanta fatica si era cominciato a costruire dopo la prova della seconda guerra


LITURGIAINIZIATIVA5

Il corridoio umanitario di Papa Francesco

Il Papa in Giappone: incontro per la pace e il disarmo nucleare a Hiroshima.

mondiale. Nel messaggio di Nagasaki sulle armi nucleari il papa ha denunciato proprio questo rovesciamento che è in corso, che si manifesta nello “smantellamento dell’architettura internazionale di controllo degli armamenti. Stiamo assistendo a un’erosione del multilateralismo, ancora più grave di fronte allo sviluppo delle nuove tecnologie delle armi; questo approccio sembra piuttosto incoerente nell’attuale contesto segnato dall’interconnessione e costituisce una situazione che richiede urgente attenzione e anche dedizione da parte di tutti i leader”. Ormai gli appelli, le denunce, e anche milioni di voci che si levano dalle piazze non bastano più. Va ripresa con coraggio la strada gloriosa dell’internazionalismo, la costruzione del multilateralismo. Questo, oggi, è il vero “stato d’eccezione” su cui ieri si insediavano i vecchi sovrani. Ma per fare questo occorre tornare alla politica per promuovere una politica per la Terra; occorre fondare un diritto capace di dettare regole impegnative per tutti, un costituzionalismo mondiale e un sistema di garanzie che lo renda efficace, occorre una Costituzione per la Terra.

Una quarantina di rifugiati sono giunti in Italia, dall’isola di Lesbo, grazie a un corridoio umanitario voluto espressamente da Papa Francesco e realizzato attraverso l’intermediazione della Comunità di Sant’Egidio. Il cardinale Konrad Krajewski, Elemosiniere di Sua Santità: “L’Avvento è un tempo che dice, svegliatevi. Questo primo corridoio che si svolge in Europa, vuol dire a tutti noi: svegliatevi! Ci ha dato l’esempio il nuovo cardinale arcivescovo di Lussemburgo che due settimane fa si è fatto personalmente carico di due famiglie. Le ha accolte nella sua casa e ora vivono insieme. Dobbiamo cominciare da noi stessi” “Cominciamo dai cardinali, dai vescovi, dai presbiteri: apriamo le nostre case, le nostre canoniche, i nostri palazzi. C’è lo spazio, ci sono le risorse. Se ogni monastero, ogni casa religiosa, ogni parrocchia, si aprisse almeno per una persona, almeno per una famiglia, a Lesbo non troveremo nessuno”. È un appello, anzi un grido di aiuto, quello lanciato dal card. Konrad Krajewski, elemosiniere di Sua Santità, appena arrivato da Lesbo insieme a 33 rifugiati giunti in Italia in accordo con il Ministero dell’interno. “Il Pontefice – ha continuato il cardinale – è colui che mette i ponti. Oggi abbiamo messo questo ponte che si chiama corridoio umanitario. È una cosa totalmente evangelica”. Il grazie della Santa Sede va al governo italiano che ha permesso questo corridoio e al governo greco che, oltre ad aver lavorato al superamento dei problemi burocratici, ha anche pagato i biglietti di tutti quelli che sono arrivati oggi. “Dio fa le grandi opere”, ha detto l’elemosiniere. “Ma con tutta la gente di buona volontà, possiamo moltiplicare questi corridoi e questo sarà il nostro miracolo”. Ai 33 rifugiati arrivati se ne aggiungeranno in questi giorni altri 10, per un totale di 43 persone. Sono di diverse nazionalità: provengono da Afghanistan, Camerun e Togo ed hanno tutti alle spalle chilometri di strada percorsa a piedi per raggiungere prima la Turchia e poi da qui, sbattuti nell’isola di Lesbo. Ad accoglierli all’aeroporto di Fiumicino ci sono anche alcuni dei volontari della Sant’Egidio che quest’estate hanno trascorso un periodo di tempo sull’isola. Hanno ancora negli occhi le condizioni di estrema povertà e incuria in cui queste persone vivevano nel campo di Moria: il campo predisposto dal governo greco che può ospitare 3mila persone ma che oggi ne contiene almeno il doppio Altrettanti trovano “rifugio” in tende all’esterno del perimetro del campo per una popolazione complessiva di 15mila persone, alcuni dicono addirittura 17mila. “Siamo stati a maggio con la Comunità di sant’Egidio e c’erano solo 7mila persone”, racconta il cardinale Krajewski. “In questi giorni ne abbiamo trovate più del doppio e 800 bambini non accompagnati”. La storia di questo corridoio umanitario risale al 2106 quando in aprile Papa Francesco, insieme al Patriarca Bartolomeo e all’arcivescovo ortodosso di Grecia Ieronymos, andò in visita proprio sull’isola di Lesbo. In quella occasione, sul volo papale, con il Pontefice arrivarono a Roma tre famiglie. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, è tornato nell’isola greca in maggio: “Sono rimasto fortemente impressionato di una situazione di estrema difficoltà. Abbiamo incontrato una umanità ferita”, racconta. “Ricordo una donna afgana che mi ha detto: ‘Ho superato molte difficoltà ma qui ho perso la speranza dietro a queste grate’. Di ritorno a Roma, ho raccontato questa storia al Santo Padre e lui mi ha detto: ‘Dobbiamo fare qualcosa perché il mio viaggio non deve essere un episodio, ma un inizio, dobbiamo dare un segno di speranza’”. Nasce così la collaborazione con l’Elemosineria Apostolica e il cardinale Konrad Krajewski, guidati dall’idea che la gente di Lesbo non dovesse fare più quei viaggi, dell’orrore, della paura e del rischio. Poi rivolgendosi direttamente ai nuovi arrivati, Riccardi ha detto: “Comincia per voi una vita nuova e vi saremo vicini. I corridoi umanitari sono l’inizio di un processo che vogliamo europeo e condiviso da tutti i paesi europei”. Maria Chiara Biagioni AGENSIR

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VITA DELLA CHIESA

«Un nuovo modo di essere Chiesa» Le Comunità ecclesiali territoriali di Bergamo compiono un anno di Monica Gherardi su www.santalessandro.org Sono state istituite il 12 settembre 2018 con decreto del vescovo: le Comunità ecclesiali territoriali (Cet), frutto della riforma diocesana, con il loro avvio mettono oggi in luce i cambiamenti evidenti, le nuove dinamiche e anche alcune fatiche. In questo primo anno di vita hanno preso forma, hanno visto istituiti i nuovi organismi con le rispettive figure di riferimento, avviato un nuovo metodo di lavoro e sperimentato, anche se ad uno stadio ancora embrionale, un nuovo modo di essere Chiesa. Soppressi i vecchi vicariati, sciolti i Consigli pastorali vicariali e diocesano, le comunità iniziano a prendere confidenza con la nuova struttura, con le nuove terminologie e con alcune dinamiche diverse che vanno a delinearsi. In un quadro di sole cifre la diocesi presenta attualmente 389 parrocchie con 27 Unità pastorali, ciascuna con un sacerdote moderatore; le parrocchie sono suddivise fra 13 Cet, ciascuna con un suo Vicario territoriale e un Consiglio pastorale territoriale; 31 le Fraternità presbiterali ognuna con un moderatore di riferimento; in ciascuna Cet, 5 sono le Terre esistenziali – relazioni affettive, lavoro e festa, fragilità, tradizione e cittadinanza -, ciascuna con un coordinatore.

la vita delle comunità e delle persone. “Concretezza, comunicazione, conoscenza e accoglienza – ha suggerito – sono un aspetto ancora debole nel lavoro del Consiglio a cui cercheremo di dare maggiore attuazione”.

Tutti gli organismi sono stati composti e hanno iniziato a lavorare. Il 7 novembre si è tenuta anche la prima sessione del XII Consiglio pastorale diocesano, sorto con un nuovo criterio di composizione e che vede un centinaio di membri, rappresentanti delle varie componenti della diocesi.

“Fine primario della Cet – spiega monsignor Vittorio Nozza, vicario episcopale per i Laici e la Pastorale – è quello di promuovere, alimentare ed elaborare il rapporto fra comunità cristiana e territorio, inteso come rappresentazione di tutti quei mondi vitali, istituzionali, sociali, culturali, relazionali, costituiti da ogni persona nella sua singolarità e nelle sue relazioni, nella speranza di riuscire a generare insieme condizioni e forme di vita autenticamente umane alla luce del Vangelo”. Monsignor Nozza evidenzia alcune finalità specifiche: l’annuncio e la testimonianza del Vangelo a livello personale e comunitario, la mediazione culturale come scelta pastorale, l’attuazione della responsabilità dei laici, particolarmente nell’esercizio delle loro

Il vescovo Francesco Beschi ha sottolineato in questa prima seduta il valore della comunione e della sinodalità in stretta connessione con

Nella CET3 Valle Seriana i coordinatori dei gruppi di laici per costruire le “Terre esistenziali” con il territorio sono: • Roberta Azzola di Pradalunga per le Relazioni; • Silvio Tomasini di Gandino per Educazione e cultura; • Benvenuto Gamba di Ranica per Fragilità: • Carol Angelini di Ranica per Lavoro: • Franco Cornolti di Villa di Serio per Cittadinanza.


DIOCESI AMBIENTE DI BERGAMO7

Alcune possibili esplorazioni delle 5 TERRE ESISTENZIALI RELAZIONI D’AMORE

• L’associazionismo familiare che supera la privatizzazione della famiglia • I rapporti intergenerazionali • L’educazione affettiva che ne supera l’analfabetismo • La prevenzione della violenza in famiglia

LAVORO E FESTA

• Prospettive di sviluppo che superano la criticità economico-sociale • La cura dell’ambiente in rapporto a lavoro e sviluppo • L’attenzione alle condizioni del lavoro e dei lavoratori

TRADIZIONE: EDUCAZIONE E CULTURA

• La cultura, la mentalità che si genera • Il contributo della catechesi alla mentalità comune • I processi di comunicazione e l’uso, non l’abuso, dei ‘social’ • Le alleanze fra educatori competenze nelle Terre esistenziali, la formazione qualificata di competenze nelle Terre esistenziali, luogo chiamato a rilanciare il dialogo tra la fede e la vita.

FRAGILITÀ

In questo primo anno di lavoro le Cet hanno evidenziato alcune fatiche nell’avvio di questo nuovo cammino. “È emerso per esempio – dice il vicario episcopale – il rischio di separazione nel rapporto tra la Cet e le Fraternità presbiterali e nella relazione con le parrocchie che appaiono ancora abbastanza distanti nel cammino della riforma”. Monsignor Nozza suggerisce anzitutto di favorire nelle comunità una buona conoscenza della riforma diocesana, di procedere con gradualità, senza fretta, partecipando in modo nuovo, responsabile e attivo e infine di “vivere questa novità con il cuore perchè non si tratta di impiantare una struttura di Chiesa, quanto un modo di essere Chiesa; è un cambio di mentalità, di prospettiva, una conversione di tutta la nostra pastorale”.

CITTADINANZA

• Il welfare, lo star bene della comunità • Le sinergie solidali e i cambiamenti culturali • La sostenibilità dell’invecchiamento • La partecipazione e i processi democratici • I processi di interazione della pluralità e delle diversità • L’integrazione dei migranti e dei loro figli nati in Italia e non • Il protagonismo giovanile e il futuro

Per notizie sulle CET:

www.diocesibg.it/Cet/Appuntamenti (nel calendario) www.santalessandro.org nella rubrica dossier

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EDUCAZIONE

LA SEMENZA, LA VIRTUTE E LA CANOSCENZA Lezione di Letteratura in una classe terza liceo. Affrontiamo il poderoso capitolo dedicato dal libro di testo a Dante Alighieri e troviamo, insieme a un apparato iconografico accattivante (le cosiddette “figure” che nei nostri libri di scuola erano così rare…), alcuni versi scritti in grandi caratteri che i curatori del volume hanno scelto, quasi come uno slogan riassuntivo del pensiero e della poetica dantesca. Si tratta dei versi notissimi di Inferno XXVI, quelli che Dante mette in bocca ad Ulisse tutto preso nel racconto del suo ultimo viaggio oltre le colonne d’Ercole; i versi con i quali riesce a convincere i suoi compagni a seguirlo nel “folle volo” che li condurrà al naufragio e alla morte; qui però il contesto è diverso, più positivo e promettente. Li leggiamo: Considerate la vostra semenza Fatti non foste a viver come bruti Ma per seguire virtute e canoscenza. La scelta di introdurre Dante proprio con questi versi mi pare azzeccata; in fondo, proprio partendo da qui si potrà capire il senso del “viaggio” dantesco, la sua umana avventura di uomo, di cittadino, di poeta… Ma, a ben vedere, questi versi descri-

vono sinteticamente il senso stesso della scuola che è insieme educazione ed istruzione; il senso stesso del nostro essere qui ora.

questo non è sufficiente a fare l’uomo. Siamo chiamati a qualcosa di più, ad un destino più impegnativo, più alto e gratificante…

Prima riflessione. È a partire dalla considerazione della nostra “semenza” che cominciamo ad approfondire il significato e il valore di questa intuizione dantesca, e cioè, ci chiediamo: di che pasta siamo fatti, qual è il seme che ci portiamo dentro, con tutte le sue potenzialità, e come possiamo farlo crescere, attraverso quali esperienze-terreni di coltura? La nostra vita non è forse altro che il cammino, non sempre lineare ma tortuoso, che porta questo seme a svilupparsi al meglio, a realizzare la sua vocazione? Ogni seme darà vita a piante diverse, in modalità spesso misteriose, nascoste, che non dipendono dalla nostra volontà: il seme cresce e germoglia senza che chi lo ha piantato e coltivato sappia come…

Terza riflessione. Per diventare grandi occorre seguire “virtute e canoscenza”; ma cos’è la “virtute”? Sono i valori, i comportamenti buoni, le scelte etiche cioè ispirate da ciò che è giusto, vero, onesto. In una parola è fare il nostro dovere, o se preferite fare bene la nostra parte, quella che nessun altro al posto nostro potrà fare. E non si tratta di comportamenti eroici ma di piccole-grandi fedeltà quotidiane, di gesti semplici, compiuti amorevolmente. E la “canoscenza”? Non basta solo la “virtute”? No, altrimenti il compito educativo saprebbe di moralismo doveristico; occorre seguire anche la “canoscenza”, vale a dire acquisire pazientemente conoscenze, saperi, metodi di indagine, acquisire insomma le competenze, come si usa dire oggi. Ecco, la lezione finisce, è l’intervallo; non abbiamo neppure iniziato a parlare di Dante, della sua vita e delle sue opere eppure, grazie a Dante abbiamo parlato di noi e forse abbiamo compreso che le materie scolastiche non sono poi così lontane dalla vita… Enzo Noris

Seconda riflessione. Non siamo stati fatti per vivere come “bruti”, e attenzione, nel termine non entrano in gioco ragioni estetiche (i bruti non sono necessariamente brutti!). Certo, chiunque desidera soddisfare i suoi bisogni primari -come il mangiare, il bere, il divertirsi, ecc.- ma sa bene che


EDUCAZIONE

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La festa del nostro gruppo Scout “Non è giusto, e noi non lo accettiamo, che ci venga impedito di vivere insieme, secondo la nostra legge: legge di lealtà, di libertà, di fraternità. Noi continueremo a fare del nostro meglio, per crescere uomini onesti e cittadini preparati e responsabili. Noi continueremo a cercare nella Natura la voce del Creatore e l’ambiente per rendere forte il nostro corpo ed il nostro spirito!” È con queste parole che Giulio Cesare Uccellini, noto come Kelly, incitò il suo riparto alla resistenza, ed è con queste parole che Domenica 24 novembre, festa di Cristo Re e quindi festa del nostro gruppo scout di Albino, abbiamo iniziato le attività con tutte le unità riunite, alla scoperta della Aquile Randagie. Quest’anno si è parlato molto di Aquile Randagie, anche grazie al film uscito nelle sale questo autunno; ci sembrava doveroso parlarne in modo diretto anche ai nostri ragazzi. I valori e la tenacia con cui li hanno perseguiti sono sicuramente insegnamenti positivi anche per tutti noi. Il meteo non era dei migliori, ma forti del nostro spirito di avventura siamo comunque partiti alla volta delle Cave del Monte Misma. È li che abbiamo iniziato a conoscere quel gruppo di ragazzi scout, che in nome della libertà e in nome del credo in quel che facevano, hanno continuato a svolgere attività di nascosto, in modo clandestino, sfidando i continui rischi che spesso portavano ad

essere malmenati gravemente. Così, oltre a Kelly, abbiamo conosciuto don Andrea Ghetti (detto Baden), Don Giovanni Barbareschi e le attività di O.S.C.A.R. La cave del Misma ci hanno accompagnato per la prima parte della giornata, ma la pioggia insistente ci ha fatto ripiegare in oratorio, dove, con giochi e attività abbiamo fatto del nostro meglio per conoscere e prendere esempio da questi valorosi scout del passato. La giornata si è conclusa con la Santa Messa in parrocchia e, dopo la rituale foto d’insieme, un piccolo rinfresco ci ha aiutato a riprendere forza dopo le fatiche di giornata. Il sole era ormai calato, ma consapevoli dire di tornare a casa un po’ migliori di come siamo partiti, abbiamo intrapreso ognuno la propria strada, in attesa di quella che sarà la prossima avventura. Un saluto e un ringraziamento a tutti i Lupetti, Coccinelle, Esploratori, Guide, Rover e Scolte che grazie al loro impegno e dedizione hanno permesso che anche questa festa di gruppo, all’insegna della scoperta della Aquile Randagie, sia stata una cosa ben fatta. Arrivederci al 2020. Buona Caccia, Buon Volo e Buona Strada Orso Laborioso

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VITA PARROCCHIALE

Il Beato Palazzolo sarà Santo La gioia delle Suore delle Poverelle di Albino Tratto da Bergamo Post C’è un un filo rosso che lega Albino alla notizia della canonizzazione, nel 2020, del Beato don Luigi Maria Palazzolo. La suora miracolata, Gianmarisa Perani, è originaria di Fiobbio e fa parte delle “Suore delle Poverelle”, ordine religioso, fondato dal Beato Palazzolo, che ha una comunità anche ad Albino in vicolo Gambarelli. Siamo stati in questa piccola comunità religiosa, in festa per il loro fondatore presto Santo. Sono cinque le “Suore delle poverelle” che vivono e operano ad Albino, piuttosto avanti in età (e sapienza) ma giovani ancora nel cuore. Suor Domiziana, superiora della comunità ci presenta le cinque consorelle che la formano. «Sono suor Isapaola Pazzola, 79 anni, che fa spola tra la nostra casa e la casa di riposo di Cene dove opera: anima la preghiera, porta la Comunione, serve a tavola, imbocca chi ha bisogno. Da 19 anni i volontari la vengono a prendere e la riportano, ogni giorno. Stesse mansioni per suor Gianbertilla Rivellini, alla casa di riposo di Albino, 84 anni. Suor Chiardonata Gonzini, sagrestana del santuario, cuciniera e guardarobiera, ha 84 anni. Suor Benilde Ripamonti è la più giovane, ha 75 anni e guida la macchina, mezzo che le permette di portare il suo aiuto anche fuori paese: di mercoledì e giovedì mattina all’ospedale di Alzano, ad Albino e a Fiobbio visita gli ammalati delle parrocchie e porta loro la comunione; è pure catechista ed è attivamente presente anche nella frazione di Abbazia. E poi ci sono io, suor Domiziana Camoni, sono originaria della Val Camonica, il mio cognome la richiama, ed ho 83 anni; ho sempre operato in ambito scolastico, e sono la superiora di questa piccola comunità. Siamo le uniche suore delle Poverelle qui nella Valle e fino quando il Signore vorrà noi saremo qui». Ci parli della vostra consorella miracolata grazie all’intercessione del Beato Palazzolo. «Suor Gianmarisa Perani ha 88 anni e vive al villaggio Gabrieli alla Malpensata. Erano quattro sorelle, tutte “Suore delle poverelle”: suor

Una biografia Scritta da mons. Arturo Bellini, “Don Luigi Maria Palazzolo testimone dell’amore di Dio fra i più poveri”, è stata presentata il 5 dicembre nel carcere di via Gleno, dove le Poverelle sono presenti da decenni ed è stata costituita una comunità interna di tre religiose.

Primarosa è nata al cielo nell’agosto 2012, aveva 86 anni, per anni fu al servizio del Patriarca Roncalli a Venezia e poi nella famiglia pontificia accanto a Giovanni XXIII, erano quattro le nostre suore a servizio del Papa, che andava al mattino a bere il caffè con loro, lui le “Poverelle” le amava, erano bergamasche; suor Gianlorenza, 92enne, ha vissuto in questa casa fino a due anni fa; suor Pierteresa di 91 anni. Le tre sorelle tuttora viventi risiedono al villaggio Gabrieli». Quando è avvenuto il miracolo? «Nel 2015. Mi aspettavo che andassero anche a interpellare il medico che ad Alzano l’aveva operata. Da Alzano la portarono a Torre Boldone nella nostra casa di riposo dove ci sono i medici e tutto quanto - che era mezza agonizzante, hanno staccato le macchine, era in pre agonia. Avrebbero dovuto portarla in Casa madre all’Istituto Palazzolo in via San Bernardino, ma al mattino del giorno del trasferimento, nella sua camera entra l’infermiera che con stupore si sente chiamare per nome da suor Gianmarisa, era misteriosamente guarita ed è tutto-


VITA PARROCCHIALE

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ra viva e vegeta. Si era affidata al nostro fondatore: “Ho pregato tutta la vita in obbedienza al fondatore, ho chiesto anche a papa Giovanni che intercedesse presso don Luigi” sono state le sue parole. Pregava don Luigi, papa Giovanni e sua sorella suora che li aveva serviti». Come avete vissuto questa notizia? «La nostra Madre Generale, appena saputo dell’avvenuto riconoscimento dell’evento prodigioso, ha invitato tutta la congregazione a “Suonare le campane a festa e a cantare il Magnificat”. Una gioia incontenibile. A questa si aggiunge la notizia che papa Francesco, il 19 marzo scorso ha dichiarato venerabile Teresa Gabrieli, la nostra cofondatrice, prima Madre Generale e prima suora delle Poverelle».

Sopra, le suore nel piccolo chiostro della Casa di Albino. Da sinistra: Domiziana Camoni, Benilde Ripamonti, Chiardonata Gonzini, Gianbertilla Rivellini e Isapaola Pazzola. Sotto, uno scorcio del convento in vicolo Gambarelli e la chiesa della Guadalupe.

Qual è il carisma delle “Suore delle poverelle? «Dare attenzione agli “ultimi”, servirli. Attualmente siamo presenti in otto nazioni, anche se siamo in poche, circa cinquecento. Abbiano 30 case nelle missioni: Rep. Dem. del Congo (13), Burkina Faso (2), Costa d’Avorio (5), Malawi (3), Kenia (2), Brasile (3) e Perù (2). In Italia siamo impegnate nel servizio nelle scuole materne, nelle case di riposo, alle persone con disabilità e bisognose. Purtroppo siamo sempre di meno, manca il ricambio, ci incoraggia il piccolo segno che quest’anno in Italia sono entrate nella nostra congregazione due giovani dopo due anni di assenza di vocazioni. Ricordo che la morte di sei nostre sorelle di Ebola in Congo, nel 1995, suscitò commozione e conversioni tanto che in quel Paese furono 15 le giovani che scelsero di aderire al nostro ordine religioso». Quando è stata aperta la casa di Albino? «Come si legge nella targa posta all’interno del Santuario, lo stesso venne donato - dal suo devoto fondatore mons. Federico Gambarelli - con gli annessi edifici e terreni all’Istituto Palazzolo nel 1920 “perché vi zeli in perpetuo il culto di Nostra Signora di Guadalupe”; le suore arrivarono più avanti, esattamente il 28 agosto 1939. Fu casa per le piccole orfane fino al 1969, da allora, come si legge nella Cronistoria della casa, “La casetta riordinata è adibita per suore anziane cercando di formare una comunità felice, per vivere sempre più serene e gioiose”». Anche il Vescovo di Bergamo ha molta stima per la vostra opera. «Il nostro Vescovo ci chiama “Le mie amate Poverelle” e la comunità di Fiobbio ha donato ben 9 suore in questi ultimi decenni all’Istituto Palazzolo, otto ancora viventi come ha ricordato don Michelangelo Finazzi, parroco di Fiobbio, domenica 24 novembre in occasione della giornata in onore del Fondatore delle “Suore delle poverelle”, celebrata nella frazione di Albino nel 150° della Congregazione. Eravamo tutte presenti e nell’occasione è stata inaugurata una sala multifunzionale all’interno della scuola materna parrocchiale intitolata proprio al Beato Palazzolo». Anche la Beata Pierina Morosini è figlia di Fiobbio… «Una delle nostre suore, ora defunta, fu una tra le persone che la raccolse morente». Nella preghiera cosa chiedete al vostro fondatore? «Se tu vuoi che il tuo carisma vada avanti, mandaci nuove vocazioni». “Dove altri non giungono, cerco di fare qualcosa io, così come posso” diceva don Luigi Palazzolo ed è impegno di vita delle “Suore delle poverelle”.

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VITA PARROCCHIALE 20-27 DICEMBRE: UNA MOSTRA IN SANT’ANNA

“Santi della porta accanto” Dal 3 al 28 ottobre del 2018 si è tenuto il primo Sinodo sui giovani che ha trovato poi una sua chiusura nella lettera “Christus Vivit” firmata da Papa Francesco il 25 marzo 2019 nel Santuario della Santa Casa di Loreto. Il tema scelto per il Sinodo è stato «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale» è segno di un’intenzione precisa e di ampio respiro. Insieme a tante iniziative sorte attorno al Sinodo è stata anche allestita questa “Mostra dei giovani della porta accanto” che permette di conoscere tanti giovani santi del nostri giorni e di spronarci ad una sempre maggior consapevolezza della chiamata a una “santità possibile”. Sulla scia di quanto si legge nel documento preparatorio per il Sinodo («La Chiesa stessa è chiamata a imparare dai giovani: ne danno una testimonianza luminosa tanti giovani santi che continuano a essere fonte di ispirazione per tutti»), la mostra si propone di far conoscere storie di giovani cattolici esemplari, “contagiose” anche per l’oggi. E ora questa mostra è disponibile per una settimana anche da noi. Sarà collocata nella chiesa di Sant’Anna dal 20 al 27 dicembre in uno dei luoghi più di passaggio della nostra comunità. Non perdiamo l’occasione di lasciarci avvicinare dalle storie di questi giovani e dal loro personale e unico modo di dare carne alla fede nella loro vita.


VITA PARROCCHIALE ORATORIO Obiettivi

La mostra presenta 24 figure di giovani “testimoni della fede” (alcuni già beati, altri Servi di Dio, altri ancora giovani “normali” ma esemplari per la qualità della loro fede), quasi tutti italiani, provenienti da vari percorsi ecclesiali (AC, scout, CL, Focolari, Rinnovamento nello Spirito, Comunità di Sant’Egidio, Comunità Papa Giovanni XXIII, Operazione Mato Grosso…). Ogni pannello propone un ritratto artistico, una breve biografia del “santo”, una frase incisiva (scritta o pronunciata dalla persona stessa) in grande evidenza e un QR code che rimanda a siti, libri… Con una grafica accattivante, testi brevi e immagini suggestive, la mostra si propone quindi di far conoscere in modo agile storie di giovani cattolici significative e affascinanti anche per l’oggi. L’obiettivo: stimolare giovani, famiglie, educatori, parrocchie e diocesi, oratori e scuole, associazioni e movimenti, alla consapevolezza della chiamata alla santità anche per gli “under 30” di oggi.

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Preghiera in attesa di Santa Lucia

Grande come un bambino

Contenuti

La mostra propone una serie di ritratti di giovani donne e giovani uomini che hanno preso sul serio il Vangelo e lo hanno provato a vivere, con radicalità, gioia ed entusiasmo, secondo la loro specifica vocazione (sacerdotale, religiosa, laicale, coniugale…). Lo hanno fatto nella loro realtà locale, nella professione, nello studio, nella vita affettiva, nell’impegno pastorale, culturale, sociale, a servizio della Chiesa e della società. Le figure individuate sono italiane, europee, ma anche del Sud del mondo, proprio per dare un’idea globale della santità giovanile, che tocca anche le cosiddette “periferie”. Vengono presentati volti noti e meno noti, giovani e ragazze appartenenti a diversi percorsi ecclesiali, a testimonianza della varietà e della ricchezza del tessuto ecclesiale e del laicato di oggi.

È una notte magica. Densa di attesa e trepidazione. Notte di doni. Notte in cui imparare a dire “grazie” per ciò che ci raggiunge sui desideri senza che noi si faccia niente. Infatti tutto accade mentre dormi. La Santa passa proprio mentre “non ci sei”. E allora ci riscopriamo chiamati a imparare la pazienza del contadino, l’attesa del pescatore, l’ascolto della partoriente. Attendere. Tendere a qualcosa o a qualcuno. E per farlo camminare guidati dalla luce fioca di una candela. E quanto è strano che a guidarci nella luce sia una giovane cui la luce degli occhi è stata tolta. Sono anni di persecuzioni quelli attorno al IV secolo. Essere riconosciuti cristiani corrisponde a rischiare la vita. Lucia, giovane donna di buona famiglia, già promessa sposa a un siracusano, decide di andare a pregare a Catania, sulla tomba di Sant’Agata, per invocare la guarigione della madre. Qui la Santa le appare e le chiede di dedicare la sua giovane vita all’aiuto dei più poveri e deboli. Lucia torna allora a Siracusa e trova la mamma guarita. Rompe il fidanzamento, e decide di andare tra i poveretti che stanno nelle catacombe, con una lampada alla testa, e di donare loro tutta la sua dote. Il fidanzato non comprende, si arrabbia e decide di vendicarsi, denunciando pubblicamente quella che avrebbe dovuto essere la sua futura sposa, con l’accusa di essere cristiana. Lucia ammette e ribadisce la sua fede, irremovibile anche sotto tortura, affermando che la sua forza viene non dal corpo, ma dallo spirito. Al momento di portarla via, l’esile corpo da ragazzina assume una forza miracolosa e né uomini, né buoi, né il fuoco, né la pece bollente riescono a smuoverla. Lucia viene così condannata a morte. Oggi la preghiamo come colei che ci porta la luce e ci raggiunge con i suoi doni. E ancora di più risplende per la sua testimonianza così luminosa nell’amore per Dio e per i più piccoli.

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NATALE

Un classico Natale moderno A quasi cento anni dalla sua nascita e vent’anni dalla sua morte, Gianni Rodari, nato a Omegna nel 1920 e morto a Roma nel 1980, maestro, pedagogista, giornalista e, infine, scrittore di meravigliosi libri per l’infanzia, rappresenta uno degli autori più amati, soprattutto nella scuola primaria e dell’infanzia. Gli insegnanti che propongono le sue opere regalano ai piccoli studenti un ricordo che resterà vivo anche nell’età adulta: le letture, spesso consigliate da maestri della scuola elementare, si rifanno ad un periodo magico, in cui parole e immaginazione diventano un tutt’uno. Ecco come un semplice libro si trasforma in una fonte infinita di ispirazione fantastica. Le sue opere sono portoni aperti sulla fantasia. Il suo stile è ironico e scanzonato. Le sue parole immaginazione pura. Il suo mondo surreale e tenero, fatto di figure che rimangono impresse per sempre nella memoria dei più piccoli. Perché Gianni Rodari, che se fosse vivo oggi avrebbe forse qualcosa da ridere su una società che fonda tutto il suo sapere sulle immagini a discapito delle parole, rimane ancora un punto di riferimento attuale nelle letture dell’infanzia: le sue fiabe sono tuttora moderne, nonostante i mondi lontanissimi da quelli dei piccoli nativi digitali odierni. Gianni Rodari aveva una grandissima capacità: sapeva andare oltre. Andava oltre gli errori dei suoi alunni per creare nuove storie (sbagliando si inventa, era solito dire); andava oltre i cliché per introdurre concetti complessi e renderli fruibili in base alle capacità di rielaborazione di un bimbo di pochi anni; andava oltre le parole, inventandone in continuazione di nuove in un continuo rimando tra alta letteratura e fantasia. Le sue storie all’inizio possono, forse, sembrare vetuste, lontane dal mondo dei bambini di oggi, ingabbiati tra cellulari e tablet. Favole al telefono (quel telefono che le nuove generazioni non hanno mai visto funzionare), Il libro delle filastrocche, Il romanzo di Cipollino, Le avventure di Scarabocchio, Filastrocche in cielo e in terra, Il pianeta degli alberi di Natale, La freccia azzurra, Grammatica della Fantasia... sono solo alcuni titoli che un bambino dai sei ai dieci anni dovrebbe avere nel proprio bagaglio. Eccomi allora a suggerire, in questo periodo, alcune sue brevi filastrocche legate al senso del Natale. Provate a leggerle con i più piccoli: spalancano gli occhi, fanno viaggiare la mente, allietano i cuori e scaldano l’anima. Silvia Bergamelli

Un abete speciale

Quest’anno mi voglio fare un albero di Natale di tipo speciale, ma bello veramente. Non lo farò in tinello, lo farò nella mente, con centomila rami, e un miliardo di lampadine e tutti i doni che non stanno nelle vetrine. Un raggio di sole per passero che trema, un ciuffo di viole per il prato gelato, un aumento di pensione per il vecchio pensionato. E poi giochi, giocattoli, balocchi quanti ne puoi contare a spalancare gli occhi: un milione, cento milioni di bellissimi doni per quei bambini che non ebbero mai un regalo di Natale, e per loro un giorno all’altro è uguale, e non è mai festa. Perché se un bimbo resta senza niente, anche un solo, piccolo, che piangere non si sente Natale è tutto sbagliato.

L’albero dei poveri

Filastrocca di Natale, la neve è bianca come il sale, la neve è fredda, la notte è nera ma per i bambini è primavera: soltanto per loro, ai piedi del letto è fiorito un alberetto. Che strani fiori, che frutti buoni oggi sull’albero dei doni: bambole d’oro, treni di latta, orsi del pelo come d’ovatta, e in cima, proprio sul ramo più alto, un cavalo che


FIACCOLATALETTURE DI NATALE

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Come i pastori nella notte Santa in cammino verso quella Luce che ha salvato il mondo L’oratorio e il gruppo scout organizzano la Fiaccolata di Natale con ritrovo martedì 24 dicembre alle 20.30 nella chiesa di Sant’Anna. Alcune informazioni indispensabili Portare scarpe adatte e un paio di ricambio (da mettere, una volta tornati, prima di entrare in chiesa, per cercare di non sporcarla) e una torcia elettrica per la salita. Non lasciare rifiuti lungo il percorso... con l’impegno di lasciarlo più pulito di come lo troveremo. Arriveremo alle pendici del monte Cura, pausa attorno al falò in clima di serenità (con un buon tè caldo), amicizia e preghiera. Saremo di ritorno verso le 23.30 per partecipare alla Santa Messa di Mezzanotte dove porteremo all’altare la statua di Gesù Bambino. La partecipazione è gratuita, per chi vuole la fiaccola si chiede un’offerta libera a sostegno delle spese. Non è neccessario iscriversi Non si assumono responsabilità in caso di incidenti prima, durante e dopo l’iniziativa.

spicca il salto. Quasi lo tocco… Ma no, ho sognato, ed ecco, adesso, mi sono destato: nella mia casa, accanto al mio letto non è fiorito l’alberetto. Ci sono soltanto i fiori del gelo sui vetri che mi nascondono il cielo. L’albero dei poveri sui vetri è fiorito: io lo cancello con un dito.

Il magico Natale

S’io fossi il mago di Natale farei spuntare un albero di Natale in ogni casa, in ogni appartamento dalle piastrelle del pavimento, ma non l’alberello finto, di plastica, dipinto che vendono adesso all’Upim: un vero abete, un pino di montagna, con un po’ di vento vero impigliato tra i rami, che mandi profumo di resina in tutte le camere, e sui rami i magici frutti: regali per tutti. Poi con la mia bacchetta me ne andrei a fare magie per tutte le vie. In via Nazionale farei crescere un albero di Natale carico di bambole d’ogni qualità, che chiudono gli occhi e chiamano papà, camminano da sole, ballano il rock an’roll e fanno le capriole. Chi le vuole, le prende: gratis, s’intende. In piazza San Cosimato faccio crescere l’albero del cioccolato; in via del Tritone l’albero del panettone; in viale Buozzi l’albero dei maritozzi e in largo di Santa Susanna quello dei maritozzi con la panna.

Continuiamo la passeggiata? La magia è appena cominciata: dobbiamo scegliere il posto all’albero dei trenini: va bene piazza Mazzini? Quello degli aeroplani lo faccio in via dei Campani. Ogni strada avrà un albero speciale e il giorno di Natale i bimbi faranno il giro di Roma a prendersi quel che vorranno. Per ogni giocattolo colto dal suo ramo ne spunterà un altro dello stesso modello o anche più bello. Per i grandi invece ci sarà magari in via Condotti l’albero delle scarpe e dei cappotti. Tutto questo farei se fossi un mago. Però non lo sono che posso fare? Non ho che auguri da regalare: di auguri ne ho tanti, scegliete quelli che volete, prendeteli tutti quanti.

Lo Zampognaro

Se comandasse lo zampognaro che scende per il viale,csai che cosa direbbecil giorno di Natale? “Voglio che in ogni casa spunti dal pavimento un albero fiorito di stelle d’oro e d’argento”. Se comandasse il passero Che sulla neve zampetta, sai che cosa direbbe con la voce che cinguetta? “Voglio che i bimbi trovino, quando il lume sarà acceso tutti i doni sognati più uno, per buon peso”. Se comandasse il pastore del presepe di cartone sai che legge farebbe firmandola col lungo bastone? “Voglio che oggi non pianga nel mondo un solo bambino, che abbiano lo stesso sorriso il bianco, il moro, il giallino”. Sapete che cosa vi dico io che non comando niente? Tutte queste belle cose accadranno facilmente; se ci diamo la mano i miracoli si faranno e il giorno di Natale durerà tutto l’anno.

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VITA PARROCCHIALE

Una vita dedicata al nostro cinema Intervista a Ernesto Breda in occasione del 70° dell’ACEC Tratto da Bergamo Post Sabato 7 dicembre, in Vaticano, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, Papa Francesco ha ricevuto in Udienza i Membri dell’ACEC (Associazione Cattolica Esercenti Cinema-Sale della Comunità) in occasione del 70° anniversario di fondazione. Il Papa ha incoraggiato i presenti sottolineando l’importanza delle Sale della Comunità pregando che «Il Signore vi aiuti a camminare in comunione, con creatività e con uno sguardo attento». Presenti all’Udienza una quarantina di bergamaschi tra cui due albinesi, Aurelio Tacchini ed Ernesto Breda, 82enne e tuttora colonna portante, con il figlio Paolo, della sala del nostro CineTeatro. Lo abbiamo incontrato per scoprire i retroscena di una vita in gran parte dedicata alla settima arte. Un’impressione sull’incontro con il Papa? «È stata una bellissima esperienza, ha voluto salutare tutti personalmente, ed eravamo in oltre quattrocento persone provenienti da tutta Italia, “laur de iga la ma’ paralizada”. Quando è stato il mio turno ho detto al Papa: “I bergamaschi sono invadenti, ma guardi che sono tutta brava gente”, mi ha guardato e ha sorriso». La sua passione per il cinema quando è sbocciata? «Avevo 13/14 anni quando iniziavo ad introdurmi nella cabina del proiezionista, ero affascinato da quel mondo. Imparai a proiettare e a montare (e poi smontare) le pellicole in celluloide dei film che arrivavano in parti separate, sei o più (le famose pizze), da unire solitamente su due ruote (i due tempi). Il macchinista ufficiale, un signore un po’ su di età che abitava vicino a casa mia, era contento quando andavo ad aiutarlo così poteva anche prendersi un momento di pausa per andare al bar “a bif u calès”. Quando cessò questo servizio, il curato dell’epoca, don Domenico Gianati, uomo di cultura e di polso che conosceva questa mia passione, mi disse: “Sabato cominci tu a fare il turno in cabina”. Avevo 15 anni (1952) e da allora gli ambienti del cinema di Albino sono diventati la mia seconda casa». Come assunse la responsabilità della sala? «Finché restò ad Albino don Domenico, continuai a fare il macchinista. Eravamo in cinque che ci alternavamo a rotazione nei turni di servizio: uno al mercoledì, uno al sabato e tre alla domenica. La programmazione era curata dal don che ogni lunedì mattina andava a Milano per la scelta dei film, alla fonte della distribuzione: saltava Bergamo e la Curia, era un tipo originale e anche un po’ profetico, e decideva lui. Questo fino al 1967 quando venne traferito a Bergamo. Dopo 22 anni di presenza ad Albino divenne parroco in un quartiere della città, in zona Stadio, dove non c’era neppure la chiesa. Unitamente alla casa parrocchiale la fece costruire. Venne realizzata interrata per mancanza di volumetrie edificabili e doveva essere una sistemazione provvisoria. Dedicata a Santa Teresa di Lisieux a cui don Domenico (morto nel 1992) era devoto, a distanza di anni è ancora lì e due anni fa, dopo cinquant’anni di utilizzo, è stata ufficialmente consacrata. Subentrò don Pierino Corvo a don Domenico come direttore dell’oratorio di Albino. Questi mi chiamò dicendomi: “Io di cinema sono digiuno, te la senti di prendere l’impegno della gestione?” E così fu, andammo al Sas di Bergamo (Servizio

Assistenza Sale cinematografiche) dove mi presentò come referente della sala. Da allora l’impegno si estese, a 360°, a tutto ciò che ruota attorno al locale: programmazione, contratti, promozione agli eventi, pratiche amministrative, organizzazione dei volontari (biglietteria, bar, pulizie, affissioni, proiezioni e manutenzioni)». Quali le difficoltà? «Nei primi tempi la “concorrenza” delle sale private; ad Albino c’era la famiglia Cassina che gestiva cinque sale, due ad Albino, due ad Alzano Lombardo e il Mirage a Clusone. Chiaramente, visto i numeri che facevano, avevano la precedenza sulle “Prime”. Per ben programmare l’offerta dovevamo garantire un’apertura costante e sottostare a certe regole: se volevi assicurarti un film importante dovevi accettare di prenderne altri di seconda fascia, fino a otto, decidemmo così di sperimentare di aprire anche il mercoledì con la proiezione di due film a biglietto d’ingresso unico». Interviene il figlio Paolo che conferma che la situazione non è cambiata: «Per garantirsi il nuovo film di Checco Zalone, “Tolo Tolo”, in prima visione, abbiamo dovuto inserire a contratto altri tre film della stessa casa di distribuzione». Avevate la possibilità, già allora, di avere prime visioni? «No, quelle erano dell’Ariston e dell’Apollo che aprivano i locali da venerdì a lunedì. Ma i film godevano di lunga vita nella sale, così quando loro lo “smontavano” lo “rimontavamo” noi e l’afflusso di pubblico era comunque importante, “an faa zo de chi piene”. Frequentemente il film, grazie al passaparola, lavorava più la settimana successiva a quella di uscita. Portammo a cinque i giorni


INTERVISTA

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Come avete vissuto i passaggi di tecnologia? «I primi proiettori che ho conosciuto erano a carboncino: due carboncini, negativo e positivo, a contatto si accendevano, si mantenevano poi regolati manualmente a una distanza di circa 1 cm uno dall’altro per garantire una maggiore luminosità, luce che veniva raccolta da uno specchio e convogliata al fotogramma della pellicola. Successivamente ecco le lampade, le prime, di bassa qualità, producevano una luce azzurra “mia bèla” tanto che si preferì ancora insistere con il carboncino. Altra cosa la generazione successiva di lampade (Osram), tanto che decidemmo di sostituire la lanterna e passare a questa nuova tecnologia. Anche il sonoro fece i suoi bei passi: da mono a stereo fino al dolby surround».

di apertura con tre film settimanali e sette proiezioni, quello di richiamo da venerdì a lunedì e i due minori di mercoledì. Quando nel 1971 rinnovammo la sala per portarla a come è attualmente, cominciammo a proporre anche film in prima visione, entrando effettivamente in concorrenza con le altre sale del paese. Rimpiazzammo inoltre le proiezioni del mercoledì con la rassegna di qualità del martedì. Schema che i ripete tuttora». Alcuni successi indimenticabili, sia per i film che di risposta del pubblico? «L’albero degli zoccoli, Ben-Hur, I dieci comandamenti, fino ad arrivare a Benigni, sono stati grandi eventi, dentro e fuori la sala». Qual è la capienza del locale? «Forse perché la gente era “più piccolina” ma nei primi miei anni di servizio si arrivava a 800 posti, successivamente la commissione di vigilanza ci impose una capienza inferiore e passammo a 450 poltrone, con l’ulteriore posa di poltrone più confortevoli e anatomiche siamo arrivati 320 posti tra platea e galleria». Come siete riusciti a mantenere attraente la proposta? «Abbiamo sempre cercato di stare al passo delle novità tecnologiche unitamente a un’attenzione nei confronti dello spettatore: programmazione attenta e di qualità, apertura costante nei giorni e negli orari e la messa a disposizione dello spettatore di una sala accogliente, comoda, pronta, pulita e riscaldata. Fortunatamente sono passati da Albino sacerdoti che hanno capito l’importanza di avere una gestione seria di questo spazio parrocchiale».

E dalla pellicola al digitale? «Per molte sale parrocchiali segnò la loro fine. Ci attrezzammo qualche anno prima della dead-line della pellicola, installando, nel 2010, il primo proiettore digitale 3D di tutta la Provincia, fino ad allora lo aveva solo la multisale di Curno, anche Bergamo città ne era sprovvista. Ci fu anche un ritorno mediatico, ci chiamarono anche da Brescia. “Alice in Wonderland” il primo film in 3D che proiettammo, fu un successo inatteso. Un po’ per colpa mia siamo sempre stati tra i primi a mettere le innovazioni, come con il cinema Scope nel 1953 quando ne anticipammo la novità in occasione della proiezione del film “La tunica”». Quando ci fu il calo degli spettatori? «Non era domenica se non si andava al cinema, anche d’estate. Con “...continuavano a chiamarlo Trinità” nel 1971 incassammo dei milioni a 600 lire a biglietto, fu la svolta anche per la nostra sala che finalmente veniva riconosciuta dalle case di distribuzione alla pari nei confronti delle altre sale del paese che chiusero nel 1991/92, segno che non era più così conveniente imprendere sul cinema. Poi vent’anni fa arrivarono le multisale e quasi 10 anni fa il digitale, ma la nostra sala continua a resistere, in gran parte grazie grazie al contributo di tanti volontari che se non ci fossero dovremmo subito chiudere. In molti piangono miseria, noi non guadagniamo grandi cifre ma non siamo in perdita e riusciamo a garantire un servizio che si è fatto raro in Valle». Esisteva la censura? «Tanti anni fa c’era. Ricordo qualche episodio curioso. Le pellicole arrivavano con alcune indicazione riguardo a eventuali scene da tagliare, un giorno in una nota di consegna del film scrissero: “Nella parte 3 accorciare il bacio dei protagonisti”. Rividi la scena più volte ma del bacio da accorciare non trovai traccia, probabilmente a forza di tagliare, la scena venne completamente eliminata (ride, ndr). Altro biglietto per “Sette spose per sette fratelli”, film pulitissimo ma con un balletto contestato nonostante le ballerine fosse vestitissime: “Tagliare balletto delle ragazze in mutande” c’era scritto. Dopo la visione della scena incriminata don Domenico disse: “I sarà quac preòsc istanticc” (Sarà qualche prevosto raffermo), e non venne tagliato nulla. Ricordo che don Domenico si faceva proiettare in anteprima ogni film prima di dare il suo ‘placet’ alla proiezione, e durante le proiezioni lui ma anche Libio Milanese (un volontario, considerato un santo, che ha dato la vita per l’oratorio di Albino, ndr) presenziava nella sala. La loro era presenza che favoriva l’ordine e dissuadeva schiamazzi e situazioni ritenute “troppo intime”. Ora i film non proiettabili nelle sale parrocchiali sono quelli valutati “non ammissibili” dall’Acec». È stato anche consigliere del Sas... «Sì, mi chiesero di entrare nel consiglio tecnico economico del Sas. Il mandato era di tre anni che mi rinnovarono più volte. Fu anche quella un’esperienza interessante che mi permise di addentrarmi nella realtà delle sale della nostra Provincia».

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ALTRI MONDI

Don Gian Luca scrive dalla Bolivia violenta con un augurio per ciascuno di noi Cochabamba, 9 dicembre 2019 Carissimi amici, Vi raggiungo con alcune parole per ringraziarvi della vostra vicinanza, affetto e fiducia che sempre avete manifestato nei confronti della comunità di ragazzi, in cui vivo da quasi otto anni. Dopo le elezioni presidenziali del 20 ottobre, Bolivia ha vissuto per più di un mese una situazione di conflitto, divisione e terrorismo che personalmente nella mia vita non ho mai affrontato così da vicino. Abbiamo trascorso molte settimane chiusi nella comunità; non abbiamo potuto far visita alle famiglie dei nostri ragazzi e a quelle affidatarie che da poco stiamo accompagnando. I blocchi alle porte della zona tropicale, in cui siamo presenti con una piccola comunità di 10 ragazzi, erano così impenetrabili al punto che in un conflitto armato sono morti nove boliviani e per più di 10 giorni nessun alimento ha potuto entrare nei diversi villaggi. Così la nostra casa famiglia San Rafael si é vista costretta mangiare riso, patate e “balusas” con un po’ di sardine per quasi due settimane. In questi giorni tra noi adulti e con i ragazzi stessi abbiamo cercato di riflettere ed interpretare i fatti che stavano succedendo nel nostro paese.

La violenza.

Sono stati giorni di violenza, a tratti così estrema, che presto sembrava scoppiare una guerra civile. Non c’é stato nessun colpo di stato, semplicemente tanta violenza, nelle piccole cose di ogni giorno come anche quando si é trattato di affrontare la crisi politica del paese. Violenza con le pietre e i bastoni scaraventati sui corpi di altri fratelli. Violenza

Diventiamo prossimo La Caritas Parrocchiale ripropone l’iniziativa del fondo di solidarietà “Diventiamo prossimo” per sostenere e accompagnare le famiglie in difficoltà economica. MODALITÀ PER CONTRIBUIRE

 Autotassazione mensile: si stabilisce una cifra che viene versata mensilmente per il periodo indicato  Presso il Centro di Primo Ascolto alla Casa della Carità in piazza San Giuliano 5 al mercoledì dalle 20.45 alle 22  Con bonifico bancario tramite il Credito Bergamasco Agenzia di Albino

Nuovo Iban: IT06 JO3111 5248 0000 0000 77181 c/c intestato Parrocchia San Giuliano, Conto Caritas indicando la causale: FONDO DI SOLIDARIETÀ DIVENTIAMO PROSSIMO

 Con libere offerte anche utilizzando la cassetta all’entrata della chiesa parrocchiale


ALTRI MONDI

con le armi, la dinamite, le bombe molotov. Violenza con le parole, gridate per ferire e uccidere. Violenza utilizzando parole false, mediocri, che spingevano alla corruzione. Mi sono chiesto: “ed ora che cosa resta nella mia vita e in quella dei ragazzi che sto accompagnando?”. Ancora una volta il mondo degli adulti ha tradito la fiducia che ogni bambino deposita nei volti delle persone che dovrebbero amarli, da sempre e per sempre. Che cosa resta quando l’interesse, il potere, le ingiustizie, gli arrivismi ci spingono ad essere violenti? Brenda, una bambina recentemente entrata nella Ciudad de los Niños, dopo la prima settimana dall’inizio dei conflitti la ritroviamo sola, vicino alla porta gialla della comunità, quasi come volesse aspettare che si aprisse il portone per poi scappare. “Non voglio scappare, sto aspettando mio papa perché gli possa aprire la porta e così anche lui possa entrare nella mia nuova casa…”. Dopo tanta violenza in famiglia come nei quartieri, solo le braccia conserte di chi sta seduto ad aspettare suo papà alla porta possono aprirsi all’accoglienza e

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alla protezione!

L’ascolto.

Non é stato facile in queste settimane ritrovare la virtù dell’ascolto per frantumare le divisioni e le ragioni che nei diversi gruppi sociali si sono create. Tutti noi, piccoli e grandi, abbiamo tentato di superare le nostre distanze proprio incominciando a dar valore all’ascolto. Prima della parola, l’ascolto; al posto dell’aggressione, la comprensione. Queste settimane di conflitto hanno purificato i discorsi e le chiacchiere formali che spesso creano distanza tra le persone. In comunità si é gridato di meno. Nei nostri brevi momenti di riflessione spirituale abbiamo lasciato spazio al silenzio, gustando il canto di un passero o il rumore della zappa quando sbriciola una zolla di terra.

Resta in piedi.

É l’augurio che vi faccio. É qualcosa di più del Buon Natale e Felice Anno Nuovo. Resta in piedi come chi é sempre in attesa di Qualcuno che venga. Resta in piedi per non lasciarti sorprendere ma stare sempre pronto all’accoglienza e a chi la pensa diversamente. Resta in piedi per affrontare con coraggio e a caro prezzo l’indifferenza di alcuni, l’incomprensione di molti, la stanchezza di tanti. Resta in piedi come la sentinella. Sentinella, quanto resta della notte? Carissimi amici, Grazie da una terra che, tra conflitti e tensioni, cerca di tracciare solchi di pace e di democrazia. Grazie per il sostegno regalato ad una comunità di ragazzi e adolescenti che cercano di fare della memoria la radice del proprio futuro. Con riconoscenza e amicizia, dgluca

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RAZZISMO Testimonianza - Razzismo a bordo campo

Il bene dal male Forse «dovrei cambiare mestiere» – mi son detta, al termine di una settimana estenuante –. Io che amo il giornalismo e lo considero una vocazione, mi sono resa conto di quanto possa essere pesante trovarsi dall’altra parte. Assillati, inseguiti, col telefono in ebollizione e le pressioni di chi a tutti i costi vuole la tua voce, la tua dichiarazione, la tua presenza in video. Magari servisse a proporre un ragionamento pacato! Ma no, quasi sempre si tratta di gettarsi nell’agone e misurarsi con chi alza di più la voce, rischiando di prestare il fianco a strumentalizzazioni d’ogni genere. No, grazie. Anche ora che il ciclone si è placato, scriverne mi costa. Lo faccio solo per la fiducia che nutro nella redazione de Il Regno e nei suoi lettori. È nato tutto a bordo campo, in una delle tante partite che i nostri tre figli maschi giocano ogni settimana, con mio marito che corre su e giù per la Brianza a prenderli e portarli. Una routine interrotta da un grido, da un insulto insulso rivolto contro il nostro figlio di mezzo, alla vigilia del suo decimo compleanno. Io non c’ero. Al rientro, mi raccontano quanto è accaduto. Sono allibita. Non sorpresa dal fatto in sé, che temevo, ma allibita che l’insulto razzista sia venuto da un adulto. Da una mamma. Contro un bambino che ha la stessa età di suo figlio. Purtroppo, il clima culturale nel quale viviamo già da tempo ci ha posti in un atteggiamento di preoccupata veglia, a domandarci non se ma quando toccherà a noi. A mio marito, originario della Repubblica democratica del Congo, sono già capitati episodi spiacevoli, specie negli ultimi due anni, ma lui è adulto, istruito, pacato e sa come difendersi, con educazione e determinazione. Non mi preoccupo per lui, se non del rischio di violenza fisica. Per i nostri figli è diverso. Finora erano stati risparmiati. Ma sentivo una spada di Damocle sulla testa. Poi è toccato a noi. Ed è cambiato

tutto. Non tacere. Questo l’ho avuto chiaro da subito. Senza rivendicazioni o toni urlati, che non ci si confanno. Ma tacere no. Non serve a nessuno. Non alla signora che avrebbe continuato impunemente a gridare da bordo campo. Non alle società e all’ambiente del calcio dilettantistico, corroso come quello dei massimi campionati dallo stesso cancro invisibile che si sta mangiando il nostro bel paese. Quale vivere civile Né tantomeno a nostro figlio, al quale avremmo potuto semplicemente dire: «Non prendertela, quella signora è solo ignorante» e far finta di nulla. Ma che messaggio gli avremmo passato? Quello che davanti ai soprusi si tace? Si abbassa la testa? Si fa finta di nulla? Magari col rischio – a quell’età così delicata – che introietti un messaggio negativo sulla propria identità o sul mondo in cui vive, da subire con rassegnazione? No. Questo lo abbiamo avuto chiaro da subito. Tacere mai. Senza alzare i toni, ma senza nemmeno abbassare la testa. Nessuno poteva però prevedere quello che si sarebbe scatenato dopo. La concomitanza con altri fatti di cronaca più gravi ha rilanciato la nostra denuncia (portata avanti con coraggio dalla società di calcio nella quale giocano i nostri tre figli) in maniera inaspettata. Ed è stata la prova più dura: quali decisioni prendere? Come calibrarne le conseguenze, gli effetti a breve e lungo termine? Ho sempre portato avanti le battaglie in cui credo mettendoci la faccia. Ma quando ti trovi a dover decidere non sulla tua pelle ma, letteralmente, su quella di tuo figlio, la prospettiva cambia. Dubbi, consigli non richiesti, pressioni, commenti ingenerosi, accuse, un turbinio di pensieri ed emozioni nel quale districarsi. Ma anche tanti, tantissimi messaggi d’affetto, abbracci e sorrisi da chi non te lo aspetti, tante voci che in privato ci hanno raccontato come anche a loro fossero capitati episodi simili, genitori adottivi o coppie miste come la nostra,

Giusy Baioni, giornalista, fa parte della redazione di “Missione Oggi” e collabora con altre riviste missionarie. Membro di Beati i costruttori di pace, cura un blog su “il Fatto quotidiano”. È coautrice del volume: Leoni d’Africa. Padri (e padroni) del Novecento nero (Epochè 2008).

tutti preoccupati per i propri figli, che ci hanno ringraziato, i compagni di nostro figlio che gli fanno quadrato attorno, e poi la società che promuove, per il sabato successivo, un weekend antirazzista, tutti in campo con due righe nere sul volto, a dire che siamo tutti uguali e il colore della pelle non conta. E mentre per l’ennesima volta ti domandi se hai fatto la scelta giusta o se tutto quel clamore a fin di bene non avrà ripercussioni sui tuoi figli, ecco che arriva lui, con la saggezza dei suoi (quasi) dieci anni e ti dice: «Vedi, mamma? Da una cosa brutta è nata una cosa bella!». Una grande lezione, di quelle che solo i bambini sanno darti: dal male si può e si deve trarre il bene. Ma per farlo, il male (piccolo o grande che sia) va guardato negli occhi e chiamato col suo nome. Allora, fermiamoci un attimo a riflettere. Se una mamma si sente in diritto d’insultare un bambino per il colore della sua pelle, allora qualcosa si è rotto, nella nostra società. Non voglio dire che sia un punto di non ritorno. Ma un campanello d’allarme sì. Fermiamoci. Ridiscutiamo le regole del nostro vivere civile. Tutti. Abbassiamo i toni. È lecito avere opinioni diverse. Magari accalorarsi. Ma insultarsi no. Mai. E quando non ci si ferma più nemmeno davanti a un bambino, siamo su una soglia pericolosa. Che nuoce e nuocerà a tutti, non solo a una parte. Vivere in un clima così invelenito non fa bene a nessuno. Fermiamoci, fin che siamo in tempo. Giusy Baioni Il regno – Attualità 20, 2019


SOCIETÀ

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Grazie a chi si sposa Le convivenze? Ecco perché ci interrogano «Gratitudine» per coloro che scelgono di sposarsi e diventare così un segno per la comunità. È quasi commosso, commentando i dati dell’Istat, fra Marco Vianelli, classe ’66, veneziano, mediatore e presto consulente familiare, giudice di tribunale ecclesiastico e da ottobre direttore dell’Ufficio famiglia della Conferenza episcopale italiana. Direttore, l’Istat registra 4.500 matrimoni in più dell’anno passato, quasi tutti attribuibili a prime nozze. Come interpreta questo dato? Innanzi tutto con gratitudine. Gratitudine per coloro che hanno deciso di diventare segno, di compromettersi con una comunità. Di raccontare al mondo che non basta amarsi, ma che quest’amore deve essere messo a disposizione anche degli altri, perché ogni dono (e l’amore sponsale è una vocazione e quindi un dono) è per una missione. Secondariamente gratitudine per coloro che hanno accompagnato questi“giovani” in questa scelta. Nel sì di due, oggi più che mai, c’è un villaggio. I dati Istat interrogano anche la pastorale dei fidanzati: cosa vuol dire preparare al matrimonio sposi di 33,7 anni in media e spose di 31,5? Secondo la sua esperienza, le parrocchie si sono già adeguate a questo spostamento anagrafico sempre più accentuato? Le parrocchie sono “presidi” sul territorio estremamente preziosi. Sono memoria e profezia. In questo tempo sono esposte a grandi mutamenti e trasformazioni (lo spopolamento, la ridefinizione in unità pastorali, la mancanza di clero…) ed indubbiamente molte vivono in affanno. Ma sono comunque il luogo dove la comunità ancora custodisce e accoglie le domande complesse di un territorio. A volte le risposte non sono sempre adeguate o efficaci, ma esprimono il più delle volte forme di cura pastorale, c’è un reale desiderio di essere comunità vive e significative e non solo strutture burocratiche. In tutto questo, accompagnare persone adulte al “per sem-

pre” diventa una grande sfida. Perché ci troviamo davanti persone più grandi d’età sì, ma non necessariamente più libere o più stabili. I giovani/adulti che si affacciano ai percorsi in preparazione alla vita nuziale risentono comunque di un tempo di precarietà, d’incertezza e a volte è proprio la possibilità di dire “per sempre” a una persona che li rinfranca in un cammino che li vede spaesati e “disperanti”. Inoltre più grandi vuol dire anche più feriti, con tutto ciò che questo comporta in termini di ascolto e proposta. Ma il problema di fondo è che più grandi non necessariamente vuol dire più credenti, più maturi nella fede. A mio avviso oggi la sfida più grande è proprio sul piano della fede, perché il matrimo-

Matrimoni nella parrocchia di Albino

- 5 nel 2014 - 12 nel 2015 - 10 nel 2016 - 10 nel 2017 - 13 nel 2018

Percorso in preparazione al Matrimono

Sabato 11 gennaio 2020, dalle 16 alle 18, iscrizioni in Casa parrocchiale. L’itinerario si svolgerà nei 10 sabati successivi a partire dal 18 gennaio alle 20.30 in Oratorio.

nio è una “cosa” per adulti. Come viene affrontato a livello pastorale il fenomeno consolidato delle convivenze? Come sempre si parte dall’accoglienza. Oggi penso sia un fatto sdoganato che l’incontro con l’altro è sempre un epifania, uno svelarsi, un’opportunità. Questi fratelli e sorelle ci aiutano a fare un esame di coscienza. Quale narrazione abbiamo fatto del matrimonio? È vero, questo è un tempo liquido, forse gassoso, ma noi come abbiamo raccontato l’amore a questi “giovani”? Perché sembra non essere più bello dirsi “per sempre”? Che cosa li spaventa? Forse perché dell’amore abbiamo messo in luce solo la fatica e non la gioia, forse non siamo riusciti ad affascinarli dei legami, a far loro scoprire che si è veramente liberi solo quando si appartiene “per sempre” a Qualcuno. C’è poi il grande miracolo di molte coppie di conviventi che chiedono di sposarsi. Allora diventa interessante mettersi in ascolto di che cosa cercano nel matrimonio! Perché apparentemente hanno tutto. Potrebbero continuare nella convivenza, ma arriva un momento che non basta. Arrivano con una domanda non banale, che va ascoltata ed evangelizzata e che può a sua volta diventare evangelizzante: abbiamo scoperto che nell’amore c’è “di più”! Io vedo in questo una grande opportunità, un “segno dei tempi”. Antonella Mariani 21 novembre 2019 - Avvenire

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AMBIENTE

Deciso dall’Unione Europea: il clorpirifos, neurotossico per i bambini, non si potrà più usare.

I rappresentanti degli Stati membri europei riuniti nel comitato per le piante, gli animali, gli alimenti e i mangimi dell’Ue (SCOPAFF) hanno votato a favore della messa al bando in Europa del clorpirifos e clorpirifos metile, due pesticidi neurotossici. La messa al bando dei due pesticidi era fortemente sostenuta dai cittadini europei: sono oltre 214.500 i cittadini che hanno sostenuto una campagna che invitava i governi europei a vietare i clorpirifos in tutte le sue forme, lanciata da SumOfUs, Health and Environment Alliance (HEAL), la Rete d’azione europea contro i pesticidi PAN Europe,

Generazioni Futures, ecologisti in Acción e PAN Germania. Il clorpirifos è uno dei pesticidi più comunemente usati in Europa e i suoi residui si trovano spesso in frutta, verdura, cereali e prodotti lattierocaseari, nonché nell’acqua potabile. L’esposizione ai clorpirifos, anche a basse dosi, è pericolosa ed è stata associata a disturbi dello sviluppo neurologico nei bambini, come aumento del rischio di autismo, perdita della memoria di lavoro, ADHD e diminuzione IQ. I bambini sono particolarmente a rischio perché il loro cervello è ancora in via di sviluppo. Molti studi hanno dimostrato che il clorpirifos è un disgregatore endocrino (EDC), ma è anche associato a disordini metabolici, tumori al seno e ai polmoni e infertilità maschile. È stato dimostrato che l’esposizione al clorpirifos danneggia il DNA. Sebbene meno ben documentato, il clorpirifos-metile chimico ha una struttura molto simile a quella dei clorpirifos e, come suo fratello, potrebbe danneggiare il DNA. Sconfitti i paesi del mediterraneo, Spagna e Italia in testa, che si erano pronunciati a favore della nuova licenza per il clorpirifos metile, molto utilizzata nel trattamento degli agrumi, ma che secondo gli scienziati ha lo stesso profilo di rischio del clorpirifos. Valentina Corvino www.ilsalvagente.it

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SINDACATO

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Canone Rai

Comunicazione da FNP-CISL Albino del 25 novembre Quando si può fare richiesta di rimborso per gli importi versati indebitamente per l’abbonamento TV. Per il canone RAI, tutti gli italiani sperano che venga abolito, ma questo purtroppo è ancora molto lontano, ma ci sono casi in cui si può usufruire delle esenzioni se si hanno degli specifici requisiti e se malauguratamente si è pagato due o più volte. Per far richiasta di rimborso del canone pagato bisogna avere dei motivi documentabili. Attualmente il pagamento del canone avviene in modo automatico sulla bolletta della fornitura elettrica, mentre in precedenza avveniva tramite apposito bollettino. Invece ora che il pagamento avviene in modo automatico può capitare un errore e addebitarlo anche a coloro che non devono pagarlo. Quindi si può fare richiesta di rimborso. Per presentare la richiesta di rimborso non è una procedura complicata, vediamo di seguito come procedere. CHI PUÒ CHIEDERE IL RIMBORSO? Nel caso si sia pagato tramite fornitura elettrica il canone RAI indebitamente, si può far richiesta di rimborso compilando il Modulo rimborso canone RAI, indicando uno dei seguenti motivi: • Il contribuente o un altro componente della tua famiglia anagrafica compie 75 anni entro il 31 dicembre 2020 e si ha un reddito familiare lordo inferiore a 8.000 euro. Se, invece, i 75 anni si compiono dal 1° febbraio al 31 luglio si ha diritto all’esenzione per il secondo semestre dell’anno. • Si ha diritto all’esenzione perché il contribuente è un diplomatico o militare straniero e abbia presentato la relativa dichiarazione sostitutiva. • Si è pagato il canone TV attraverso la bolletta della luce ed anche un altro componente della tua famiglia anagrafica lo ha fatto in un altro modo. • Si è pagato il canone TV attraverso la bolletta della luce e lo stesso abbonamento è stato pagato con addebito nella bolletta di un’altra utenza a un altro componente della famiglia. • Si è presentata la dichiarazione sostitutiva in cui si dichiara di non avere alcun apparecchio televisivo e che non lo possiede un altro componente della tua famiglia anagrafica.

COME CHIEDERE IL RIMBORSO? Quindi se hai una di queste motivazioni puoi far richiesta del rimborso del canone RAI pagato indebitamente tramite l’apposito modulo, inviandolo per via telematica all’Agenzia delle Entrate. La domanda va compilata e inviata dal titolare dell’utenza elettrica, dai suoi eredi oppure da un intermediario abilitato. Si può inviare l’istanza di rimborso, con un documento di identità, tramite raccomandata a/r a: Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale I di Torino – Ufficio Canone TV – Casella Postale 22 – 10121 Torino. Il rimborso viene eseguito direttamente dal fornitore di energia elettrica con accredito sulla prima fattura utile, oppure con altre modalità, entro 45 giorni dalla data in cui la società ha ricevuto il via libera dall’Agenzia delle Entrare. Nel caso il fornitore non effettui il rimborso, il contribuente sarà rimborsato direttamente dall’ Agenzia delle Entrate. Per informazioni specifiche rivolgersi alla sede Adiconsum di Bergamo o Adiconsum presso sede FNP-CISL di Albino su appuntamento. Giuseppe Noris Coordinatore RLS 26

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ASSOCIAZIONISMO

ACLI ALBINESI

Rubrica a cura del Circolo “Giorgio La Pira”

Come consuetudine anche quest’anno esprimiamo a tutti gli albinesi il nostro sincero augurio di Buon Natale e Felice 2020 con un ricordo particolare per gli ammalati, i poveri e le persone sole.

INIZIATIVE NATALIZIE DELLE ACLI ALBINESI

Tornano, grazie all’impegno del nostro infaticabile Luigi Rivellini, due iniziative natalizie promosse dal Circolo Acli albinese. La più impegnativa, visto l’arco di tempo programmato, riguarda la consueta e sempre gradita Raccolta di generi alimentari a favore delle monache di clausura bergamasche. I monasteri interessati, lo ricordiamo, sono Bergamo, Boccaleone, Azzano San Paolo e Zogno. Chi lo desidera può donare alle religiose e, tramite loro, anche a tanti poveri che spesso bussano ai portoni dei loro conventi, prodotti confezionati contenenti riso, pasta, farina, olio, piselli, fagioli, pelati, ecc., tutti generi alimentari a lunga conservazione. Chi non potesse portare generi alimentari può comunque lasciare una piccola offerta a Luigi che provvederà a utilizzare per acquisti diretti. Punto di riferimento è la nostra sede di piazza San Giuliano che rimarra’ aperta nelle giornate di martedì, mercoledì e venerdì dalle ore 9 alle ore 12 e dalle ore 14 alle ore 18. È comunque possibile portare i generi alimentari anche oltre le date indicate fino al prossimo 8 gennaio consegnandoli presso la portineria dell’oratorio in orario pomeridiano oppure depositandoli presso l’altare del Dono preparato all’interno della chiesa prepositurale di San Giuliano. Siamo sicuri, vista l’esperienza degli anni trascorsi, che la generosità degli albinesi non si farà attendere! Una seconda iniziativa, ormai ampiamente collaudata negli anni, riguarda la raccolta fondi natalizia nel porticato della chiesa di S. Anna, ulteriore richiamo alle necessità del territorio, opportunità per tutti a esprimere concretamente la propria solidarietà a chi è nel bisogno.

ATTUALITÀ

Nel 95% delle famiglie italiane c’è una presenza tanto piccola quanto ingombrante. Costringe a dedicargli tempo, richiama continuamente l’attenzione e oramai non se ne può fare a meno. Ci riferiamo allo “smartphone” che permette di essere sempre connessi, di intervenire in tempo reale, di rimanere informati, di scambiare messaggi con decine e decine di persone. Altro che relazioni familiari tradizionali, purtroppo ormai in disuso. È uno stile di vita che sta cambiando in modo epocale la società. Secondo il rapporto dell’Auditel-Censis sono 28 milioni gli utilizzatori incalliti, cioè maniaci, specialmente giovanissimi e laureati . Si è di fronte all’invadenza di uno strumento che finisce per occupare tanto tempo e tante risorse psicologiche, che provoca anche una ridefinizione delle relazioni familiari, rendendole ormai secondarie. E purtroppo in Italia ci sono circa 130mila ragazzi tra i 15 e i 25 anni (il 90% maschi) che vivono in camera tutto il giorno, senza mai uscire e vivendo solo di notte, sempre collegati ai social e ai videogiochi. Senza andare a scuola, senza vedere gli amici, rifiutando ogni contatto con l’ambiente esterno, sconnessi dal mondo. Sono ragazzi fragili, che hanno perso la voglia di vivere e finiscono per rifiutare il rapporto stesso con la famiglia e la comunità, chiudendosi sempre più in se stessi. Possiamo immaginare la sofferenza dei genitori, disperati, che ad un certo punto non sanno più cosa fare.

UN PATTO

Da mesi televisione e giornali ci inondano di pareri pro e contro l’uso dei pagamenti attraverso la fatturazione elettronica. Tra le Nazioni più industrializzate siamo all’ultimo posto. Ci sono Paesi in cui si paga tutto, perfino il caffè al bar, con le carte di credito. Ridurre l’evasione fiscale, stimata sui 100 miliardi di euro l’anno, la si può fare proponendo incentivi per l’uso della carta di credito. Sarebbe anche bello se tra governo e cittadini ci fosse un patto in cui il governo si impegna ad indirizzare tutti i proventi derivanti dalla lotta all’evasione alla riduzione dell’imposizione fiscale. Se l’evasione fosse fortemente ridimensionata, anche tramite il pagamento elettronico, ci sarebbero benefici per tutti, aumentando l’equità fiscale dove la differenza fra chi paga le tasse (in particolare i dipendenti) e chi evade è pesante ed eticamente inaccettabile.

VERGOGNA

Si, vergogna. I nostro rappresentanti in Parlamento avrebbero dovuto discutere di un argomento serio e invece lo hanno disertato. Non erano presenti! Aula praticamente vuota. Tutto rimandato. E non è la prima volta. E si che all’Ordine del Giorno si dovevano approvare le “Disposizioni urgenti sul decreto sisma” e l’intenzione era quella di accelerare i tempi per il completamento della ricostruzione in corso nei territori colpiti da eventi sismici. Un episodio che ci induce a scrivere una frase che non avremmo mai voluto pronunciare: quando c’è da parlare di poltrone parlamentari o interessi di partito, maggioranza e minoranza garantiscono la loro presenza, mentre quando all’ordine del giorno c’è un argomento serio e di interesse per la collettività l’aula è deserta! Purtroppo con questi esempi i cittadini si arrabbiano parecchio, perché si sentono presi in giro e usano quello che ritengono l’unico modo per far capire ai rappresentanti delle Istituzioni il loro disgusto: l’astensionismo elettorale. E come dargli torto…


ASSOCIAZIONISMO LA RONDA

La ronda della Carità e Solidarietà” di Milano aiuta gli adulti che vivono senza dimora o si trovano in situazioni di grave emarginazione, i cosiddetti “invisibili”. L’obiettivo è allacciare un rapporto con queste persone, cercando di capire quali azioni possono migliorare le loro condizioni di vita. Questa realtà milanese può contare su 7O volontari : 20 presso il Centro Diurno e 50 nelle serate in giro per le strade con il camper. E l’aiuto che danno non è solo un pasto caldo, bevande e abiti, ma anche libri che sono molto apprezzati. Sì, perché chi non ha una casa dove stare ha anche bisogno di buone letture che, oltre ad alimentare lo spirito, creano amicizia. E questa, quando viene instaurata, contribuisce a tessere una relazione con l’altro, dandogli calore umano e dignità.

SENSO CIVICO

Tre bambini di Bitonto, in Puglia, dopo aver ritrovato per strada un portafoglio, hanno pensato bene di consegnarlo ai carabinieri per restituirlo a chi lo aveva smarrito. Il proprietario del portafoglio, contenente denaro e documenti, ha ricevuto la telefonata dai carabinieri con cui lo avvisavano della buona notizia. Il giovane, quasi incredulo, ha voluto incontrare i ragazzini per ringraziarli del loro altruismo. Parole affettuose, sorrisi e anche un simpatico regalo quale segno di riconoscenza. È un piccolo esempio, ma sicuramente di grande significato, perché i tre bambini sono diventati quasi senza saperlo dei veri “cittadini esemplari”. Di certo i piccoli protagonisti hanno alimentato quella speranza, sempre viva, di costruire un mondo migliore.

ASSURDO

Un Crocifisso a forma di catenina, indossato da una conduttrice Rai durante un telegiornale, è stato commentato da un giornalista di “Repubblica” dicendo che faceva “una certa impressione” e invitando la conduttrice a nasconderlo sotto la camicetta. È un episodio che va di pari passo con il Crocifisso coperto di scotch in un seggio elettorale toscano alle ultime elezioni. Pensiamo che una simile richiesta sia semplicemente commiserevole! Non ci si rende conto che proprio nel Crocifisso c’è la radice più salda del rispetto per la persona, di qualunque persona essa sia!

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IL DONO

400.000 euro è la somma che la signora Olga Ghirardi, deceduta due mesi fa, ha lasciato alla cittadina di Pinerolo, in Piemonte. Regalare un tesoro come unica causa di solidarietà non è cosa da tutti. Frutto dei risparmi di una vita, una sostanziosa parte dei soldi lasciati in eredità dalla signora sono stati destinati alle famiglie del suo paese che hanno un figlio disabile e il resto al Centro di ricerca e cura sui tumori di Candiolo, nei pressi di Torino. Tutto deciso e messo per iscritto da Olga, nata a Saluzzo nel 1931, sola nella vita e con una nipote lontana. “Quando abbiamo appreso la notizia siamo rimasti sbalorditi e ci siamo attivati per comprendere come fare ad individuare la platea degli aventi diritto”, spiega Lara Pezzano, assessore comunale alle politiche sociali di Pinerolo. Da qui la creazione di un bando che seguisse scrupolosamente le indicazioni del testamento: dare un aiuto alle famiglie di Pinerolo con figli affetti da handicap autistici, ciechi o disabili. A beneficiare della somma saranno così una settantina di famiglie che riceveranno, a seconda della situazione reddituale, dai 2.580 ai 3354 euro. Certo, non una somma capace di cambiare la vita e tantomeno di cancellare la malattia, ma sicuramente un aiuto concreto. Tutti ricorderanno Olga Ghirardi per il “dono” ai “suoi” disabili.

RESPONSABILITÀ

Lo ha stabilito il tribunale di Pavia: i danni causati dai figli minorenni dovranno pagarli i genitori. La sentenza su cui si è espresso recentemente il tribunale riguarda due fratelli, appunto minorenni, ripresi dalle telecamere di sorveglianza mentre lanciavano alcune grosse pietre contro la Torre Civica. O meglio, contro ciò che ne rimane, trasformato in monumento: i resti della torre, crollata il 17 marzo 1989, ricordano le quattro persone che rimasero sepolte dalle macerie. I due bambini, di 5 e 6 anni, si sono accaniti contro un’installazione intitolata “Vasca d’acqua e di luce” (dopo il vandalismo sostituita con un laghetto) che attraverso giochi di luce, appunto, riproponeva verso l’interno della vasca stessa la forma della torre ormai distrutta. L’opera d’arte costò al Comune centomila euro e il danno causato dai bambini fu di almeno diecimila euro: cifra che dovranno sborsare mamma e papà. Questo perché, si legge nella sentenza, dell’operato dei figli minori deve rispondere il padre, titolare della responsabilità genitoriale. Lo dice il giudice e lo consiglia il buon senso.

LA VITA

Il cardinale Ersilio Tonini, romagnolo, morto a 99 anni, è stato vescovo di Ravenna. Umile servitore del Vangelo rifiutò sempre il “protagonismo”. Passò anni in Africa, impegnandosi ad aiutare quelle popolazioni a sollevarsi dalla miseria e riacquistare la loro la dignità. Vogliamo citare una sua frase, semplice ma assai significativa: “La vita è bella a dieci come a cento anni, se concepita come slancio verso il futuro e non come fardello da portare sulle spalle”. Per le Acli Albinesi Gi.Bi.

Dicembre 2019


CASA FUNERARIA di ALBINO CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO srl, società di servizi funebri che opera con varie sedi attive sul territorio da più di 60 anni, nata dalla fusione di imprese storiche per offrire un servizio più attento alle crescenti esigenze dei dolenti, ha realizzato ad Albino la nuova casa funeraria. La casa funeraria nasce per accogliere una crescente richiesta da parte dei famigliari che nel delicato momento della perdita di una persona cara si trovano ad affrontare una situazione di disagio oltre che di dolore nell’attesa del funerale. Il disagio potrebbe derivare dalla necessità di garantire al defunto un luogo consono, sia dal punto di vista funzionale che sanitario e permettere alle persone a lui vicine di poter manifestare il loro cordoglio con tranquillità e discrezione.

Spesso si manifesta la necessità di trasferire salme in strutture diverse dall’abitazione per ragioni di spazio, climatiche igienico sanitarie. Ad oggi le strutture ricettive per i defunti sono poche ed il più delle volte improvvisate, come ad esempio le chiesine di paese, che sono state realizzate per tutt’altro scopo e certamente non garantiscono il rispetto delle leggi sanitarie in materia. Dal punto di vista tecnico la casa funeraria è stata costruita nel rispetto delle più attuali norme igienico-sanitarie ed è dotata di un sistema di condizionamento e di riciclo dell’aria specifico per creare e mantenere le migliori condizioni di conservazione della salma. La struttura è ubicata nel centro storico della città di Albino, in un edificio d’epoca in stile liberty che unisce funzionalità e bellezza estetica. Gli arredi interni sono stati curati nei minimi dettagli; grazie alla combinazione di elementi come il vetro e il legno, abbiamo ottenuto un ambiente luminoso e moderno, elegante ma sobrio.

Lo spazio è suddiviso in 4 ampi appartamenti, ognuno dei quali presenta un’anticamera separata dalla sala nella quale viene esposta la salma, soluzione che garantisce di portare un saluto al defunto rispettando la sensibilità del visitatore. Ogni famiglia ha a disposizione uno spazio esclusivo contando sulla totale disponibilità di un personale altamente qualificato in grado di soddisfare ogni esigenza.

FUNERALE SOLIDALE Il gruppo CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO, presente sul territorio con onestà e competenza, mette a disposizione per chi lo necessita un servizio funebre completo ad un prezzo equo e solidale che comprende: - Cofano in legno (abete) per cremazione e/o inumazione; - Casa del commiato comprensiva di vestizione e composizione della salma, carro funebre con personale necroforo; - Disbrigo pratiche comunali.

Antonio Mascher  335 7080048 ALBINO - Via Roma 9 - Tel. 035 774140 - 035 511054 info@centrofunerariobergamasco.it


ANAGRAFE PARROCCHIALE

Defunta

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Da ottobre a dicembre... ... sono rinati nel Battesimo - Chiara Milesi - Maria Merati - Francesco Flavio Epis - Giulia Margherita Piazzalunga

... sono tornati alla casa del Padre

Giuseppina Pelliccioli vedova Legrenzi

- Annamaria Bonassoli

anni 99

- Enrica Ghilardi

16.4.1920 - 8.11-2019

Anniversari

- Ilario Martinelli - Giuseppina Pelliccioli - Rosa Capelli - Maria Rosa Noris - Giulia Signori - Maria Zanardi - Vincenzo Camozza Teresina Testa

Luciano Nani

32° anniversario A tutti coloro che la conobbero e l’amarono perché rimanga vivo il suo ricordo.

1° anniversario Un ricordo e una preghiera

Per la pubblicazione in questa pagina delle fotografie dei propri cari defunti, rivolgersi alla portineria dell’oratorio.

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È possibile fare offerte - anche deducibili fiscalmente nella dichiarazione dei redditi in misura del 19% - a sostegno dei lavori autorizzati dalla Soprintendenza per i beni Architettonici. Innanzitutto possiamo dire con riconoscenza di aver estinto il debito relativo al Santuario della Madonna del Pianto. Invece segnaliamo il debito residuo dei lavori effettuati al campanile, agli affreschi nella sacristia della Prepositurale, alla chiesa della Concezione e ai tetti dell’Oratorio fin’ora sistemati (250.400 €) e per il tetto del CineTeatro, cantiere in fase di allestimento. Per le aziende è possibile detrarre totalmente la cifra devoluta. Grazie per quello che riuscirai a fare PER DONAZIONI - Bonifico bancario tramite Credito Bergamasco di Albino, Parrocchia di San Giuliano: IBAN IT91 R050 3452 480000000000340 Per la ricevuta ai fini fiscali, rivolgersi in casa parrocchiale.


RECAPITI

INFO UTILI

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Casa parrocchiale Tel. e fax: 035 75.10.39 albino@diocesibg.it Oratorio Giovanni XXIII Tel. 035 75.12.88 oratorioalbino@gmail.com Santuario del Pianto 035 75.16.13 - www.piantoalbino.it Convento dei Frati Cappuccini Tel. 035 75.11.19 Scuola dell’infanzia Centro per la famiglia “San Giovanni Battista” Tel. 035 75.14.82 - 035 02.919.01 Padri Dehoniani Tel. 035 75.87.11 Suore delle Poverelle alla Guadalupe Tel. 035 75.12.53 Caritas Parrocchiale Centro di Primo Ascolto Tel. 035 75.52.33 aperto il 1° e il 3° sabato del mese dalle ore 9.30 alle 11.30 PER COPPIE E GENITORI IN DIFFICOLTÀ Consultorio familiare via Conventino 8 - Bergamo Tel. 035 4598350

ORARI delle SANTE MESSE FESTIVE

FERIALI

In Prepositurale

In Prepositurale

Per i battesimi come da calendario alle ore 10.30 o alle 15.00

Quando si celebra un funerale (in Prepositurale): se è al mattino, è sospesa la S. Messa delle 8.30; se è al pomeriggio, è sospesa la S. Messa delle 17.00.

ore 18.00 al sabato (prefestiva) ore 8.00 - 10.30 - 18.00

Al santuario del Pianto ore 7.30 - 17.00

Al santuario della Guadalupe

ore 8.30 - 17.00

Alla chiesa dei Frati ore 6.45 Al santuario del Pianto ore 7.15

ore 9.00

Alla Guadalupe ore 8.00

Al santuario della Concezione

Sulla frequenza 94,7 Mhz in FM è possibile ascoltare celebrazioni liturgiche e catechesi in programma nella nostra chiesa Prepositurale

ore 10.00

Alla chiesa dei Frati Cappuccini ore 7.00 - 9.00 - 11.00 - 21.00

Centro di Aiuto alla Vita Via Abruzzi, 9 - Alzano Lombardo Tel. 035 4598491 - 035 515532 (martedì, mercoledì e giovedì 15-17) A.C.A.T. (metodo Hudolin) Ass.ne dei Club Alcologici Territoriali Tel. 331 8173575 PER CONIUGI IN CRISI Gruppo “La casa” (don Eugenio Zanetti) presso Ufficio famiglia della Curia diocesana Tel. 035 278111 - 035 278224 GIORNALE PARROCCHIALE info@vivalavita.eu

www.oratorioalbino.it

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“Albino, comunità viva” Un anno con le notizie, le proposte, gli approfondimenti e le riflessioni per te e per la comunità di Albino, una forma concreta di partecipazione alla vita della parrocchia... anche da regalare, se vuoi. Puoi sottoscrivere l’abbonamento, al costo invariato di 25 €, alle distributrici mensili o presso la portineria dell’Oratorio.

Il SERVIZIO... virtù da coltivare in questo anno pastorale Stampato in abbinamento editoriale con il n. 10/2019 di LAIF - In copertina la Natività allestita nel 2018 nella nostra Prepositurale.

Dicembre 2019


Er Presepio Ve ringrazio de core, brava gente, pè ‘sti presepi che me preparate, ma che li fate a fa? Si poi v’odiate, si de st’amore nun capite gnente... Pè st’amore so nato e ce so morto, da secoli lo spargo da la croce, ma la parola mia pare ‘na voce sperduta ner deserto senza ascolto. La gente fa er presepe e nun me sente, cerca sempre de fallo più sfarzoso, però cià er core freddo e indifferente e nun capisce che senza l’amore è cianfrusaja che nun cià valore.

(Trilussa)


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