Albino comunità viva - Dicembre 2020

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IL GIORNALE DELLA COMUNITÀ PARROCCHIALE DI SAN GIULIANO - DICEMBRE 2020


INFO UTILI RECAPITI Casa parrocchiale Tel. e fax: 035 75.10.39 albino@diocesibg.it Oratorio Giovanni XXIII Tel. 035 75.12.88 oratorioalbino@gmail.com Santuario del Pianto 035 75.16.13 - www.piantoalbino.it

ORARI delle SANTE MESSE FESTIVE

FERIALI

In Prepositurale

In Prepositurale

Convento dei Frati Cappuccini Tel. 035 75.11.19

ore 18.00 al sabato (prefestiva) ore 8.00 - 10.30 - 18.00

Scuola dell’infanzia Centro per la famiglia “San Giovanni Battista” Tel. 035 75.14.82 - 035 02.919.01

Per i battesimi come da calendario alle ore 10.30 o alle 15.00

Padri Dehoniani Tel. 035 75.87.11

ore 7.30 - 17.00

Suore delle Poverelle alla Guadalupe Tel. 035 75.12.53 Caritas Parrocchiale Centro di Primo Ascolto aperto il 1° e il 3° sabato del mese dalle ore 9.30 alle 11.30 PER COPPIE E GENITORI IN DIFFICOLTÀ Consultorio familiare via Conventino 8 - Bergamo Tel. 035 4598350

Al santuario del Pianto Al santuario della Guadalupe ore 9.00

Al santuario della Concezione ore 10.00

Alla chiesa dei Frati Cappuccini ore 7.00 - 9.00 - 11.00 - 21.00

ore 8.30 - 17.00

Quando si celebra un funerale (in Prepositurale): se è al mattino, è sospesa la S. Messa delle 8.30; se è al pomeriggio, è sospesa la S. Messa delle 17.00.

Alla chiesa dei Frati ore 6.45 Al santuario del Pianto ore 7.30 Alla Guadalupe ore 8.00 Sulla frequenza 94,7 Mhz in FM è possibile ascoltare celebrazioni liturgiche e catechesi in programma nella nostra chiesa Prepositurale

Amarcord fotografico

Centro di Aiuto alla Vita Via Abruzzi, 9 - Alzano Lombardo Tel. 035 4598491 - 035 515532 (martedì, mercoledì e giovedì 15-17) A.C.A.T. (metodo Hudolin) Ass.ne dei Club Alcologici Territoriali Tel. 331 8173575 PER CONIUGI IN CRISI Gruppo “La casa” (don Eugenio Zanetti) presso Ufficio famiglia della Curia diocesana Tel. 035 278111 - 035 278224 GIORNALE PARROCCHIALE info@vivalavita.eu

www.oratorioalbino.it

Le ragazze della Gioventù femminile di Azione Cattolica dell’oratorio di S. Anna portando doni della Befana 1957 alle bambine “orfanelle” con le suore delle Poverelle alla Madonna di Guadalupe. Da sinistra: Pasqua Carrara, Bepi Signori, Mariangela Mariani, Maria Acerbis, Maria Puglisi, Maria Birolini, Adelina Suardi, Anna Carrara, Angela Gandossi, Giulianina Azzola, Aurelia Cortinovis, Gioconda Marzan.

Stampato in abbinamento editoriale con il n. 11/2020 di LAIF - In copertina: Natale 2019 in Prepositurale


1 “Giuseppe, Figlio di Davide, non temere” San Giuseppe Il carpentiere Georges De La Tour

(Matteo 1,20)

Siamo a Greccio nel 1223; Francesco, di ritorno da Gerusalemme e dai luoghi santi dove aveva visto le grotte a Betlemme, vuole ricreare quel luogo perché i poveretti vivessero la condizione in cui Gesù era nato. Fu così che, chiamato un certo Giovanni, gli spiega cosa avrebbe desiderato; nasce il presepio vivo che raggiunge il cuore di quei poveri e ne restano affascinati, sconvolti. Ma non solo loro.

Francesco prese la parola: «Amici - gridò trasportato dall’entusiasmo - avete sentito? “Lo riconoscerete da questo segno: un bambino, appena nato e deposto in una mangiatoia”. Il Signore della gloria si riconosce a questo segno: un piccino, fragile e compassionevole come qualsiasi neonato, deposto sulla paglia, come il più misero, il più povero, il più ignorato di tutti i figli degli uomini! Vedete l’umiltà di Dio: quale umile sublimità! ln questa notte, il Dio della maestà è diventato nostro fratello. Lui, che è il più grande, è diventato il più piccolo, l’ultimo; si è avvicinato a noi sotto il segno della fragilità e della tenerezza. [...] Nel mondo, questa vera e sola grandezza è minacciata. Da quando il Regno si è presentato a noi sotto le sembianze di un fanciullino, fasciato di debolezza, esso è sempre minacciato, votato alla persecuzione e alla morte. Già nella notte di Natale i soldati di Erode sono all’opera. Il Regno è minacciato fuori di noi e dentro di noi, perché continuamente rinasce dentro di noi il vecchio istinto animalesco, la volontà di dominare e di divorare, d’essere il più forte, il più potente. Ma non abbiamo timore: l’Angelo del Signore ci invita a non temere più. Questo Bambino è il salvatore del mondo. Salvàti: noi siamo salvàti, o fratelli! Mai più soli, mai più abbandonati, nei nostri errori, nel nostro disonore, nella nostra disperazione: niente più ci può separare dalla tenerezza del Padre». Un Padre che non compare mai, ma sempre così presente; che ha insegnato a Israele a camminare, tenendolo per mano; che lo ha preso in braccio, che si è chinato su di lui per dargli da mangiare. Pensando a questo Padre, Papa Francesco ha voluto scrivere di un altro padre, San Giuseppe, che è passato inosservato, “l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà”, così simile a tante persone comuni, solitamente dimenticate, che stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia. San Giuseppe è lì a ricordarci che “tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in seconda linea hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza”. L’ha voluto fare perché 150 anni fa, l’8 dicembre del 1870, Papa Pio IX lo aveva dichiarato “Patrono della Chiesa Cattolica”. E dopo aver scritto di lui “padre amato”, ha parlato di “padre nella tenerezza”; che ha imparato a riconoscere la propria debolezza, la propria fragilità, la paura e l’angustia che lo prendeva davanti a situazioni impreviste. E ha imparato ad accettarle, perché ha sperimentato che Dio usa tenerezza e non fa tanto affidamento solo sulla parte buona di noi, ma in realtà “la maggior parte dei suoi disegni li realizza attraverso e nonostante le nostre debolezze”. Dentro queste paure che non lo lasciano mai, sperimenta sempre questo “non temere”. Ben quattro sogni gli diranno la presenza e la premura di Dio nella sua storia. La stessa cosa Dio la dice anche a noi “Non abbiate paura”; anche “se ormai tutto sembra aver preso una piega sbagliata e se alcune cose ormai sono irreversibili. Dio può far germogliare fiori tra le rocce”. E alla scuola di Giuseppe Gesù imparò! Imparò ad essere sottomesso ai genitori, a far le cose senza apparire, a fare la volontà del Padre, a ricevere dallo Spirito il dono della fortezza che ti fa accogliere la vita così com’è, anche nei suoi aspetti deludenti o incomprensibili; a sentire affidati alla tua custodia ogni bisognoso, ogni povero, ogni sofferente, ogni forestiero perché anche noi lo siamo stati. Imparò così la tenerezza. Vorrei che ci lasciassimo con una quasi preghiera di un sacerdote milanese, d. Luigi Serenthà. “Quanti segni di morte, Signore, in questa tua nascita! Comincia così il tuo cammino tra noi, la tua ostinata decisione di essere Dio. Costruirai la tua vita di ogni giorno raccogliendo con cura meticolosa, con paziente amore, tutto quello che noi scartiamo: gli stracci della nostra povertà, le piaghe del nostro dolore, i pesi che non sappiamo portare; le infamie che non vogliamo riconoscere. Grazie, Signore, per questa ostinazione, per questo sparire, per questo ritirarti che schiude un libero spazio per la mia libera decisione di amarti. Dio che ti nascondi. Non so come dirtelo, ho paura di dirtelo... eppure sento che devo dirtelo: io ti amo”. Buon Natale, carissimi vs. dongiuseppe

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VITA DELLA CHIESA

L’attesa

Omelia di Papa Francesco la prima domenica di Avvento Le Letture suggeriscono due parole-chiave per il tempo di Avvento: vicinanza e vigilanza. Vicinanza di Dio e vigilanza nostra: mentre il profeta Isaia dice che Dio è vicino a noi, Gesù nel Vangelo ci esorta a vigilare in attesa di Lui. Vicinanza. Isaia inizia dando del tu a Dio: «Tu, Signore, sei nostro padre» (63,16). E continua: «Mai si udì […] che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui» (64,3). Vengono alla mente le parole del Deuteronomio: chi, «come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?» (4,7). L’Avvento è il tempo in cui fare memoria della vicinanza di Dio, che è sceso verso di noi. Ma il profeta va oltre e chiede a Dio di avvicinarsi ancora: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!» (Is 63,19). L’abbiamo chiesto anche noi nel Salmo: “Ritorna, visitaci, vieni a salvarci” (cfr Sal 79,15.3). «O Dio, vieni a salvarmi» è spesso l’inizio della nostra preghiera: il primo passo della fede è dire al Signore che abbiamo bisogno di Lui, della sua vicinanza.È anche il primo messaggio dell’Avvento e dell’Anno liturgico, riconoscere Dio vicino e dirgli: “Avvicinati ancora!”. Egli vuole venire vicino a noi, ma si propone, non si impone; sta a noi non stancarci di dirgli: “Vieni!”. Sta a noi, è la preghiera dell’Avvento: “Vieni!”. Gesù – ci ricorda l’Avvento – è venuto tra noi e verrà di nuovo alla fine dei tempi. Ma, ci chiediamo, a che cosa servono queste venute se non viene oggi nella nostra vita? Invitiamolo. Facciamo nostra l’invocazione tipica dell’Avvento: «Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20). Con questa invocazione finisce l’Apocalisse: «Vieni, Signore Gesù». Possiamo dirla all’inizio di ogni giornata e ripeterla spesso, prima degli incontri, dello studio, del lavoro e delle decisioni da prendere, nei momenti più importanti e in quelli di prova: Vieni, Signore Gesù. Una piccola preghiera, ma nasce dal cuore. Diciamola in questo tempo di Avvento, ripetiamola: «Vieni, Signore Gesù». Così, invocando la sua vicinanza, alleneremo la nostra vigilanza. Il Vangelo di Marco oggi ci ha proposto la parte finale dell’ultimo discorso di Gesù, che si condensa in una sola parola: «Vegliate!». Il Signore la ripete quattro volte in cinque versetti (cfr Mc 13,33-35.37). È importante rimanere vigili, perché uno sbaglio della vita è perdersi in mille cose e non accorgersi di Dio. Sant’Agostino diceva: «Timeo Iesum transeuntem» (Sermones, 88,14,13), “ho paura che Gesù passi e io non me ne accorga”. Attratti dai nostri interessi – tutti i giorni noi questo lo sentiamo – e distratti da tante vanità, rischiamo di smarrire l’essenziale. Perciò oggi il Signore ripete «a tutti: vegliate!» (Mc 13,37). Vegliate, state attenti. Ma, se dobbiamo vegliare, vuol dire che siamo nella notte. Sì, ora non viviamo nel giorno, ma nell’attesa del giorno, tra oscurità e fatiche. Il giorno arriverà quando saremo con il Signore. Arriverà, non perdiamoci d’animo: la notte passerà, sorgerà il Signore, ci giudicherà Lui che è morto in croce per noi. Vigilare è attendere questo, è non lasciarsi sopraffare dallo scoraggiamento, e questo si chiama vivere nella speranza. Come prima di nascere siamo stati attesi da chi ci amava, ora siamo attesi dall’Amore in persona. E se siamo attesi in Cielo, perché vivere di pretese terrene? Perché affannarci per un po’ di soldi, di fama, di successo, tutte cose che passano? Perché perdere tempo a lamentarci della notte, mentre ci aspetta la luce del giorno? Perché cercare dei “padrini” per avere una promozione e andare su, promuoverci nella carriera? Tutto passa. Vegliate, dice il Signore. Stare svegli non è facile, anzi è una cosa molto difficile: di notte viene naturale dormire. Non ci riuscirono i discepoli di Gesù, ai quali Lui aveva detto di vegliare “alla sera, a mezzanotte, al canto del gallo, al mattino” (cfr v. 35). Proprio a quelle ore non furono vigilanti: di sera, durante l’ultima cena, tradirono Gesù; di notte si assopirono; al canto del gallo lo rinnegarono; al mattino lo lasciarono condannare a morte. Non

avevano vegliato. Si erano assopiti. Ma anche su di noi può scendere lo stesso torpore. C’è un sonno pericoloso: il sonno della mediocrità. Viene quando dimentichiamo il primo amore e andiamo avanti per inerzia, badando solo al quieto vivere. Ma senza slanci d’amore per Dio, senza attendere la sua novità, si diventa mediocri, tiepidi, mondani. E questo corrode la fede, perché la fede è il contrario della mediocrità: è desiderio ardente di Dio, è audacia continua di convertirsi, è coraggio di amare, è andare sempre avanti. La fede non è acqua che spegne, è fuoco che brucia; non è un calmante per chi è stressato, è una storia d’amore per chi è innamorato! Per questo Gesù detesta più di ogni cosa la tiepidezza (cfr Ap 3,16). Si vede il disprezzo di Dio per i tiepidi. E dunque, come possiamo svegliarci dal sonno della mediocrità? Con la vigilanza della preghiera. Pregare è accendere una luce nella notte. La preghiera ridesta dalla tiepidezza di una vita orizzontale, innalza lo sguardo verso l’alto, ci sintonizza con il Signore. La preghiera permette a Dio di starci vicino; perciò libera dalla solitudine e dà speranza. La preghiera ossigena la vita: come non si può vivere senza respirare, così non si può essere cristiani senza pregare. E c’è tanto bisogno di cristiani che veglino per chi dorme, di adoratori, di intercessori, che giorno e notte portino davanti a Gesù, luce del mondo, le tenebre della storia. C’è bisogno di adoratori. Noi abbiamo perso un po’ il senso dell’adorazione, di stare in silenzio davanti al Signore, adorando. Questa è la mediocrità, la tiepidezza. C’è poi un secondo sonno interiore: il sonno dell’indifferenza. Chi è indifferente vede tutto uguale, come di notte, e non s’interessa di chi gli sta vicino. Quando orbitiamo solo attorno a noi stessi e ai nostri bisogni, in-


FORMAZIONE BIBLICA

La figura di Charles De Foucauld in «Fratelli tutti»

differenti a quelli degli altri, la notte scende nel cuore. Il cuore diventa oscuro. Presto si comincia a lamentarsi di tutto, poi ci si sente vittime di tutti e infine si fanno complotti su tutto. Lamentele, senso di vittima e complotti. È una catena. Oggi questa notte sembra calata su tanti, che reclamano per sé e si disinteressano degli altri. Come ridestarci da questo sonno dell’indifferenza? Con la vigilanza della carità. Per portare luce a quel sonno della mediocrità, della tiepidezza, c’è la vigilanza della preghiera. Per ridestarci da questo sonno dell’indifferenza c’è la vigilanza della carità. La carità è il cuore pulsante del cristiano: come non si può vivere senza battito, così non si può essere cristiani senza carità. A qualcuno sembra che provare compassione, aiutare, servire sia cosa da perdenti! In realtà è l’unica cosa vincente, perché è già proiettata al futuro, al giorno del Signore, quando tutto passerà e rimarrà solo l’amore. È con le opere di misericordia che ci avviciniamo al Signore. Lo abbiamo chiesto oggi nell’orazione Colletta: «Suscita in noi la volontà di andare incontro con le buone opere al tuo Cristo che viene». La volontà di andare incontro a Cristo con le buone opere. Gesù viene e la strada per andargli incontro è segnata: sono le opere di carità. Cari fratelle e sorelle, pregare e amare, ecco la vigilanza. Quando la Chiesa adora Dio e serve il prossimo, non vive nella notte. Anche se stanca e provata, cammina verso il Signore. Invochiamolo: Vieni, Signore Gesù, abbiamo bisogno di te. Vieni vicino a noi. Tu sei la luce: svegliaci dal sonno della mediocrità, destaci dalle tenebre dell’indifferenza. Vieni, Signore Gesù, rendi vigili i nostri cuori che adesso sono distratti: facci sentire il desiderio di pregare e il bisogno di amare.

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«Fratelli tutti»! Con questo esordio, papa Francesco ci dice che, per questa nuova enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale che ci ha appena donato, si è ispirato di nuovo a san Francesco d’Assisi, il santo dell’amore fraterno per tutte le creature e specialmente per i suoi fratelli più abbandonati. Insieme all’immagine iniziale di Francesco d’Assisi, quella finale di Charles de Foucauld stringe in un abbraccio pieno di speranza l’intero contenuto dell’enciclica. Il fatto di mettere in risalto la figura di Charles de Foucauld, che presto canonizzerà (Il 26 maggio 2020 papa Francesco ha autorizzato la Congregazione per le cause dei santi a promulgare un decreto relativo alla prossima canonizzazione del beato de Foucauld) , ha in Fratelli tutti una grande forza testimoniale: raccoglie e attualizza l’eredità di Francesco d’Assisi, sintetizza e incarna il contenuto evangelico che il Papa espone nell’enciclica, e ci interpella in modo concreto là dove è in atto la più grande sfida del nostro tempo. I due ultimi punti che il Papa dedica esplicitamente al beato Charles sono brevi, ma densi di contenuto evangelico. Francesco mostra come il sogno di de Foucauld, di una donazione totale a Dio e ai fratelli che gli permettesse di riuscire a farsi «fratello di tutti», «fratello universale», il beato lo ha realizzato solo «identificandosi con gli ultimi» (FT 287; cfr 2-4). E constatiamo che la spiritualità di de Foucauld non appare soltanto nei capoversi finali, ma pervade l’intera enciclica. Oltre al riferimento esplicito alla fraternità e all’amicizia sociale, peculiari di questo santo, si possono evidenziare due aspetti della sua spiritualità che sono trasversalmente presenti in Fratelli tutti. Nel capitolo terzo, l’«estraneo sulla strada» viene chiamato «l’abbandonato», espressione che il Papa utilizza per parlare della concretezza dell’amore universale di Francesco d’Assisi e dell’identificazione di Charles de Foucauld «con gli ultimi, abbandonati nel profondo del deserto africano» (FT 287). Questa predilezione per i più abbandonati non ha un carattere soltanto etico, ma anche profondamente teologico. In Charles de Foucauld l’abbandono nelle mani del Padre («preghiera di abbandono») e l’abbracciare l’abbandono dei più piccoli sono un tutt’uno. È interessante notare che de Foucauld non soltanto cerca gli abbandonati a uno a uno, ma in ciascuno di loro coglie tutto il popolo: per la precisione, va in cerca dei popoli più abbandonati. L’altra caratteristica di Charles de Foucauld che papa Francesco fa sua consiste nell’abbraccio agli abbandonati. Esso non è soltanto quello della misericordia o della giustizia, ma quello dell’amicizia, personale e sociale. Il capitolo sesto, sul dialogo e l’amicizia sociale, si illumina quando si legge quella risoluzione che Charles de Foucauld si proponeva: «Aumentare la mia conversazione con gli umili, abbreviarla con i potenti» . Degna di nota è anche l’elevazione del dialogo a sua modalità di avvicinarsi ai fratelli musulmani: «Avvicinarli, prendere contatto, stringere amicizia con loro, far cadere, mediante le relazioni giornaliere e amichevoli, le loro prevenzioni contro di noi; modificare, con la conversazione e l’esempio della nostra vita, le loro idee [su di noi]». La figura di Charles de Foucauld assume una statura paradigmatica nella prospettiva di Francesco, che lo presenta come colui che ha incarnato nel nostro tempo la verità evangelica del lievito che fa fermentare l’impasto. Diego Fares S.I. La civiltà cattolica, n.4089, novembre 2020

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VITA DELLA CHIESA 12 GENNAIO 2021 XXXII Giornata del dialogo Ebraico-Cristiano

La preghiera ebraica del Kaddish e quella del Padre nostro Il Kaddish, o Qaddish e Qadish (in aramaico ‫שידק‬, lett. Santificazione), è una delle più antiche preghiere ebraiche, in uso al tempo di Gesù e anche oggi. Esistono varie versioni di Kaddish. Il termine “Kaddish” è spesso usato come riferimento al “Kaddish del lutto”, recitato come parte dei rituali funebri dell’ebraismo in tutti i servizi di preghiera, come anche ai funerali. Persone in lutto “dicono Kaddish” per dimostrare che, nonostante la perdita, ancora lodano Dio. Ecco le parole iniziali nella versione comune: “Sia magnificato e santificato il suo Nome grande nel mondo che Egli ha creato secondo la sua volontà. Venga il suo Regno. Egli stabilisca il suo regno nella vostra vita e nei vostri giorni, e nella vita di tutta la stirpe d’Israele, ora e sempre”. Non si può ignorare come il Padre Nostro, la preghiera di Gesù, poi dei suoi discepoli, riprenda alcune formule dalla preghiera del Kaddish: “Che il tuo Santo Nome sia magnificato e glorificato!” dice il Kaddish, e questo corrisponde a “sia santificato il tuo nome”;

21 GENNAIO 2021

GIORNATA DELLA PAROLA DI DIO È stata da poco pubblicata una nuova Bibbia commentata, che riprende il testo della Cei, pensata con commenti, rimandi e note secondo il criterio di leggere le Bibbia con la Bibbia stessa, per favorire così la sua comprensione e la preghiera. La Bibbia. Scrutate le scritture

Edizioni San Paolo | 3056 pagine | 14x21.5 | 29 o 34 €

“… nel mondo che Egli ha creato secondo la sua volontà” diviene “Sia fatta la tua volontà”; “Che Egli stabilisca il suo regno durante la vostra vita e i vostri giorni e durante la vita di tutta la casa d’Israele, presto e ai nostri giorni” diviene “Venga il tuo regno”. Il Padre Nostro ricorda il Kaddish, nota anche il Catechismo degli adulti al n. 174. Ci sono tuttavia delle importanti differenze: il Kaddish non si rivolge direttamente a Dio: ci si augura che Dio stabilisca il suo regno. Gesù fa di tali auspici una preghiera a Dio Padre, familiarmente Abbà. Alla preghiera del Kaddish mancano le prime due parole della preghiera cristiana: Padre Nostro. Certamente l’idea della paternità di Dio non è estranea alla tradizione ebraica, ma essa si esplica perlopiù in metafora: “Dio è il Padre d’Israele”. D’altro canto, sulla base della formulazione della prima parte del Kaddish anche la prima parte della preghiera del Padre nostro, può essere detta come due lunghe frasi, con una pausa sola, non un vocativo e tre invocazioni, ma due frasi che corrispondono a quelle del Kaddish: “Padre nostro che sei nei cieli sia santificato il tuo nome. Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà così in cielo come in terra”. Come nel Kaddish, la prima invocazione è che sia santificato il suo


FORMAZIONE BIBLICA

«Un patto per cambiare l’attuale economia e dare un’anima a quella di domani»

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La storia di Marta

«Noi giovani al lavoro per un’economia con l’anima»

Si è pregato con una preghiera ebraica, una benedizione, sul sagrato della chiesa di Dossello, il 15 aprile 2019, in occasione della consegna del riconoscimento di Giusti fra le nazioni in memoria ai coniugi Nicoli che nel 1943-1944 ospitarono perseguitati ebrei. (Foto di Simone Masper)

nome. La seconda: sia fatta la sua volontà con la venuta del suo regno come in cielo così in terra. Nella prima si santifica-glorifica il nome, Padre. Nella seconda si invoca la venuta del regno. Questa lettura bipartita della prima parte del Padre nostro, non appare irriverente alla luce di quanto scrive Matteo Crimella sul suo Padre nostro, ed. San Paolo. A pagina 35: «La seconda petizione della preghiera è ritenuta da alcuni interpreti la più importante, al punto che la prima e la terza petizione rappresenterebbero semplicemente una premessa e una conseguenza». Di fatto, nella versione dell’evangelista Luca 11,2, rispetto a quella di Matteo 6,9, sono presenti due petizioni, sul nome e sul regno; manca la petizione “La tua volontà sia fatta”. Si veda in proposito anche il libro Il Padre nostro. Dalla preghiera di Gesù alla preghiera dei discepoli di M. Philonenko, ed. Einaudi.

Il programma di “The Economy of Francesco” ha colpito fin da subito la bergamasca Marta Magnani, dal 2019 presidente diocesana della Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana) di Milano, dove vive e studia. Dal 19 al 21 novembre scorso, la 23enne di Santa Lucia ha partecipato all’evento internazionale promosso da papa Francesco nell’ottica di un’economia più fraterna ed inclusiva. «Terminata la triennale, sentivo la mancanza di una visione interdisciplinare, che toccasse temi come l’ambiente, la società e l’educazione – racconta Marta, laureata in Economia e Management alla Statale di Milano, ed oggi studentessa in Data Science and Economics nello stesso ateneo -. L’invito del papa, in linea con l’enciclica “Laudato sì”, approfondiva i miei interessi. Ad ottobre del 2019 mi sono candidata per accedere a “The Economy of Francesco”, e qualche mese dopo sono stata ammessa». A causa della pandemia, l’evento – che avrebbe dovuto svolgersi in presenza ad Assisi – si è spostato sul web, «passando da appuntamento di tre giorni a processo di cambiamento. Perché, da febbraio a novembre, assieme a giovani da tutto il mondo, ci siamo costantemente confrontati all’interno dei diversi gruppi». 12 in totale, denominati “villaggi tematici”. «Ho scelto Management and Gift. Per creare processi virtuosi di cambiamento manageriale, all’insegna di gratuità ed attenzione per la persona più che per il profitto». Durante i tre giorni dell’evento internazionale, ogni gruppo ha esposto il proprio lavoro. Oltre che ascoltare interventi e contributi di esperti del settore. «L’incontro che mi è piaciuto di più, tenuto il 20 novembre dalla professoressa Corradi, dal professor Magatti e dall’economista Becchetti, trattava di una possibile alternativa alla concezione capitalista del mercato. Ossia l’economia civile, che si basa su valori cardine come reciprocità, gratuità e fraternità». Nei mesi precedenti a “The Economy of Francesco”, Marta ha anche partecipato a “Say Yes”, il ciclo di incontri promosso dalle Acli di Bergamo, «rivolto a tutti i giovani fino ai 30 anni, e non solo agli iscritti all’evento di novembre. Studiando a Milano, sono entrata a contatto con la Fuci della Statale. Ed in qualità di presidente diocesano, tengo vivo il tessuto di relazioni interne ed esterne della nostra Federazione. Da bergamasca, ho seguito molto volentieri le conferenze delle Acli, contenta di vedere quanto sia attiva la mia città natale». «Siamo noi giovani i protagonisti nel processo di cambiamento – conclude Marta -. Tradurre in pratica il discorso di papa Francesco, vuol dire avviare processi, allargare orizzonti e creare appartenenze. Respiro aria di cambiamento, di speranza. Perché “The Economy of Francesco” non è una moda, ma un movimento che mette in gioco volontà, tempo, sogni e coscienza. Per sradicare una serie di paradigmi che abbiamo sempre considerato come veri, ed arrivare ad una economia che non generi alcun tipo di scarto». Davide Amato da SantAlessandro.org - 23 Novembre 2020

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VITA DELLA CHIESA

Don Chino Pezzoli

PREVENZIONE PER COMBATTERE ALCOOL E DROGHE

IL GIUSTO STILE PER EDUCARE I FIGLI Rubrica a cura del Centro di Ascolto e Auto-Aiuto “Promozione Umana” di don Chino Pezzoli. Avvicino da molti anni famiglie diverse. Osservo spesso come sono “costruite”, quali sono i comportamenti presenti nel nucleo familiare. Mi è stato possibile quindi cogliere alcune dimensioni fondamentali del modo in cui il genitore esercita le proprie caratteristiche educative. Ho individuato alcuni modi d’intervenire sui figli che meritano rilievo e approfondimento. Nelle famiglie sono presenti stili educativi opposti. La coppia impreparata o divisa passa dal permissivismo alla severità. Lascia ai figli la massima libertà o meglio libertinaggio, disattende al compito di stabilire alcune regole di comportamento e quando il figlio trasgredisce, mettendo a rischio la sua e l’altrui vita, interviene duramente e con autoritarismo. Non meno pericoloso è il genitore che passa dalla sollecitudine verso il figlio all’ostilità. Un cambiamento possibile nel passaggio dalla seconda infanzia all’adolescenza. Il bambino gode di eccessive premure, l’adolescente di esagerate ostilità. Vi sono poi genitori preparati e con un’ottima chiarezza comunicativa, sanno motivare le loro scelte educative e attendono così dal figlio comportamenti elevati e maturi. Accanto a questi ultimi ci sono alcuni genitori che considerano il figlio un incapace, da sostituire in tutto. Da queste caratteristiche educative dei genitori, emergono quattro stili educativi. STILE AUTORITARIO- Il genitore è imperativo e categorico nel comandare il figlio, ma essendo poco disponibile a comunicare con lui è anche poco propenso a valutare le sue richieste e le sue scelte. Pensa che basti dare delle regole e verificarne l’applicazione. Uno stile di “padre padrone” di lontana memoria quando il padre godeva del privilegio del comando e la madre seguiva a ruota. Il figlio cresceva nel terrore dei richiami e dei castighi. Le botte non venivano promesse, ma anche date. Oggi la società è cambiata e il genitore autoritario sembra un ricordo lontano. Non è però venuto meno il rapporto autoritario con il figlio che si manifesta rinfacciandogli l’immagine riuscita e onnipotente del genitore. Egli stesso ricorda al figlio i benefici che riceve dalla famiglia. Gli manca però ciò che è più importante: essere una persona autonoma e matura. STILE PERMISSIVO - È lo stile più diffuso, presente nei genitori che esercitano uno scarso controllo sul figlio. Il rapporto con lui è affettuoso e comunicativo, anche se il modello di vita propostogli è basato sull’esteriorità, sul divertimento, il sogno di una vita senza redini o paletti di contenimento. I genitori sono quelli che non vogliono impegnarsi nell’educazione del

figlio. Vivono dipendenti dalle emozioni e non possono esigere altro dal figlio. Il permissivismo educativo è la causa di alcune trasgressioni o devianze: la droga per esempio, o la delinquenza. Da qui scaturiscono molte delle crisi esistenziali che si manifestano nei ragazzi in diversi modi. La noia è diffusissima e il “tutto e subito” ha sostituito la fatica, il sacrificio per conseguire un diploma, una laurea, una professione. La passività è compagna della noia. I giovani cresciuti “col sedere nel burro” pretendono, si lamentano, minacciano i genitori. STILE TRASCUTRANTE - È quello dei genitori distaccati dal figlio. Lo considerano un ostacolo, un limite alla loro libertà. Non attendono nessun risultato dal figlio e lo lasciano crescere privo di affetto, di attenzioni e premure. Sono genitori adolescenti, ripiegati su di sé, incapaci di dare affetto al figlio perché, purtroppo, loro stessi sono vittime di privazioni affettive. Ma vi sono anche genitori che sublimano la loro carriera, la posizione sociale, i soldi e affidano i figli alla baby sitter per tutta la settimana. L’attaccamento materno è indispensabile per le sicurezze future del figlio e quello paterno è il punto di riferimento nelle difficoltà. STILE AUTOREVOLE – I genitori esercitano sul figlio un buon controllo, hanno un rapporto affettuoso e comunicativo e si aspettano da lui un comportamento maturo. Lo stile autorevole è efficace, riserva al figlio affetto, alcune regole da osservare e quegli stimoli necessari che lo mettono in condizione di crescere. Il genitore autorevole è un educatore saggio e prudente. Ha la capacità di insistere perché il comportamento del figlio sia corretto ed esprima, tra i suoi pari, intelligenza, bontà e fermezza nei propri principi morali. Così il genitore diventa un esempio credibile e il figlio lo conosce e lo stima accogliendo con serenità le sue proposte e seguendo i suoi insegnamenti. Lo stile educativo autorevole scarseggia purtroppo nelle famiglie. Credo che la causa sia l’immaturità di molti genitori. Un’immaturità sconosciuta che spesso è coperta da tante esteriorità e dal culto dell’immagine che non viene mai meno. CENTRO DI ASCOLTO E AUTO-AIUTO “PROMOZIONE UMANA” di don Chino Pezzoli Fiorano al Serio - Via Donatori di Sangue 13 Tel. 035 712913 - Facebook @centrodiascoltofiorano Cell. 3388658461 (Michele) - centrodiascoltofiorano@virgilio.it INCONTRI GENITORI: mercoledì dalle 20.30 alle 22.30


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IL CANTO DELLE SIRENE Omero, nel libro XII dell’Odissea, racconta che, tornati sull’isola di Circe dopo aver incontrato i morti dell’Ade, Odisseo e compagni danno sepoltura ad Elpènore, così come l’anima del defunto aveva chiesto loro di fare. Poi, terminate le esequie, Odisseo trascorre l’ultima notte con Circe, ascoltando da lei quanti altri pericoli lo attendono nel corso del suo viaggio. Il primo di questi è rappresentato dalle Sirene che, con il loro canto, stregano gli uomini. Ma chi sono le Sirene? Quale aspetto hanno? Sono figure mitologiche, inizialmente geni della morte, immaginati col corpo metà di donna e metà di uccello; vivono in un’isola presso Scilla e Cariddi. Questo è quanto sappiamo e possiamo immaginare di loro. Ma, più del loro aspetto, dei loro nomi e del loro domicilio, ritengo di maggiore interesse concentrarmi sul loro canto e sui suoi effetti. Il canto delle Sirene, che siedono su un prato fiorito, è armonioso, divino, suadente; il contenuto di questo canto pare corrispondere al suono stesso, alla dolcezza stessa del canto; le Sirene aggiungono -mentendo- che chi ascolta la loro voce melliflua riparte pieno di gioia e conoscendo più cose; quindi il canto ha un contenuto anche se non sappiamo quale: le Sirene stesse dicono di sapere tutto e si riferiscono probabilmente al fatto che conoscono quanto è accaduto nel passato, accade al presente e accadrà in futuro. Possiamo allora immaginare che il contenuto del canto sia la conoscenza in quanto tale. Ma perché l’uomo dovreb-

be raggiungere la felicità, l’appagamento, conoscendo ogni cosa? Osservando la riva piena di scheletri e di corpi in putrefazione sugli scogli delle Sirene, non sembra che valga la pena rischiare, anzi. Questa macabra visione di morte non potrebbe essere l’esito funesto a cui porta il desiderio di conoscere ogni cosa e ad ogni costo? Oltre al contenuto del canto, a richiamare il nostro interesse è anche il fatto che le Sirene stregano gli uomini e, proprio grazie alla dolcezza ammaliatrice del loro canto (il mezzo), portano chi le ascolta a dimenticare il ritorno, incontrando la rovina e la morte (l’effetto finale). Mentre l’Odisseo omerico, ubbidendo alle parole di Circe, riesce ad ascoltare il loro dolcissimo canto senza danno né per sé né per i compagni perché si fa legare e tura con la cera i loro orecchi, l’Ulisse che Dante incontra tra i consiglieri fraudolenti di Inferno XXVI invece, sedotto dal canto delle Sirene, si lascia distogliere dal suo ritorno. L’Ulisse dantesco vuole “divenir del mondo esperto / e de li vizi umani e del valore” e, lanciandosi nel suo “folle volo”, sceglie -come i progenitori Adamo ed Eva di cui parla la Genesi- il “trapassar del segno”, vale a dire nel suo caso di superare “quella foce stretta / dov’Ercule segnò li suoi riguardi /acciò che l’uom più oltre non si metta”. L’esito del suo viaggio è noto: la morte per sé e i compagni. Pare allora che, da questi racconti di viaggi e di viaggiatori (i progenitori,

Odisseo, Enea, Dante, tutti noi), là dove ognuno è chiamato ad affrontare le sue Sirene tentatrici, l’accento non cada tanto sul guadagno promesso, vale a dire la felicità connessa alla conoscenza di ogni cosa, ma sulla pericolosità di questa impresa, sul rischio e soprattutto sui “costi umani” che il desiderio di conoscere porta con sé. Questa pericolosità è insita nell’ambiguità stessa del conoscere -adombrato dal canto delle Sirene- che, non dimentichiamolo, è esperienza totalizzante, affascinante e gratificante perché promette godimento; se non fosse così nessuno si lascerebbe stregare, nessuno rischierebbe di perdere il “ritorno”… Le funi con le quali Odisseo si fa legare all’albero della nave; l’ubbidienza dei progenitori alle parole del Creatore; la “pietas” dell’eroe virgiliano; la “dolcezza di figlio, la “pieta del vecchio padre”, il “debito amore” verso Penelope che avrebbero potuto trattenere l’Ulisse di Dante; ma anche l’intervento di Virgilio che sveglia bruscamente dal sonno della “femmina balba-dolce serena” Dante pellegrino, rappresentano gli atteggiamenti necessari da mettere in campo per resistere e superare la tentazione dell’onniscienza che nega il ritorno; sono ausili che ci permettono di affrontare l’avventura della conoscenza in sicurezza, vale a dire accompagnati dal nostro senso del limite e dalla consapevolezza della nostra fragilità, dalla relazione e dal confronto con altri compagni di viaggio. Enzo Noris

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EDUCAZIONE

Scout, monaci e… birra! I monaci benedettini sono un ordine religioso, fondato appunto da San Benedetto, con un ruolo fondamentale all’interno della Chiesa all’incirca dal VI secolo. Uno dei meriti più importanti di questo ordine è stato quello di creare monasteri in tutta Europa limitrofi a terreni coltivabili in cui lavoravano gli stessi monaci in modo da fornire protezione e aiuto alla popolazione locale, che in quegli anni versava in condizioni disastrose, a causa della grande crisi seguita alla caduta dell’Impero Romano. Nei monasteri infatti non si poteva trovare solamente un pasto caldo, ma anche i primi prototipi di ospedali e scuole accessibili a tutti! I monaci inoltre portarono numerose innovazioni in campo agricolo e tra queste vi è sicuramente la creazione di una bevanda a base di orzo (facilmente coltivabile in tutta Europa) e dispensatrice di molte calorie: la birra! Sono sicuro che a questo punto vi starete chiedendo: “ma in tutto questo, che cosa c’entrano gli scout di Albino?” In verità dovete sapere che la branca Rover (i ragazzi dai 16 ai 20 anni) è una comunità che prende diversi spunti dall’ordine dei benedettini, soprattutto per quanto riguarda il percorso del rover. Infatti, prima di entrare effettivamente nella branca, vi è un anno di noviziato (proprio come per i monaci) in cui si viene guidati da qualcuno di più anziano ed esperto, ovvero il maestro dei novizi. Anche la figura del capo clan può essere associata all’abate, che è l’autorità cardine del monastero, dove però le scelte vengono prese dall’intera comunità; come queste ci sono molte altre di analogie, come la cerimonia della partenza in cui si diventa a tutti gli effetti degli uomini, e molte altre caratteristiche. Ma veniamo al punto! Proprio come i monaci benedettini anche noi scout ci siamo cimentati nella produzione di birra artigianale. Essendo la prima volta, abbiamo deciso di utilizzare un kit (facilmente reperibile su internet) che avesse delle linee guida che ci potessero aiutare in questa nostra piccola

impresa delicata. Con la disponibilità di don Andrea ci siamo appoggiati alla cucina dell’oratorio dove in un pomeriggio abbiamo realizzato tutti i passaggi chiave (ebollizione del composto, amalgamento del malto, aggiunta del lievito, misurazione della pressione) dopodiché abbiamo fatto fermentare nell’apposito recipiente il preparato ottenuto per ben due settimane in un luogo buio a 17° C. Al termine dell’attesa la birra era finalmente fermentata e siamo quindi passati all’imbottigliamento di 23 litri della nostra prima birra artigianale, disponibile per chiunque voglia lasciare una piccola offerta, quando finirà tutto questo periodo! Dal mio punto di vista è stata un’esperienza davvero molto interessante, soprattutto per quanto riguarda tutta la parte in cui ci siamo informati sulla birra e i vari metodi di produzione, analizzando i costi e i benefici di ogni tecnica. Il nostro obiettivo sarebbe quello di riuscire a produrla in modo ancora più autonomo e originale senza l’ausilio del kit, in un prossimo futuro, nella speranza di poter tornare presto a fare attività normale nella nostra cara sede. Giovanni Mazzucchi


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Nessuno resti indietro

Un aiuto a ripartire, senza escludere nessuno In questi mesi, condizionati dalla pandemia da Covid 19, sono tante le persone che si sono trovate in difficoltà economica. Per alcuni è stata una spiacevole novità, perdita del lavoro, calo delle entrate a causa delle chiusure, ritardo nell’erogazione dei sussidi statali, per altri, che già erano in difficoltà, è stato come piovere sul bagnato, con ulteriore peggioramento delle entrate economiche e delle opportunità di guadagnare qualcosa o con l’assenza di sussidi utili ad attutire la caduta. Caritas Bergamasca naturalmente si è data immediatamente da fare e fin dalla primavera-estate, ha messo in campo due progetti di sostegno per le persone: “Ricominciamo insieme”, rivolto a chi si è trovato in difficoltà a causa diretta della pandemia (è tuttora attivo e ci si può rivolgere a don Giuseppe e agli altri Parroci) e “Nessuno resti indietro”, rivolto a persone e famiglie con problematiche che durano da tempo. Per questo progetto la Caritas bergamasca ci ha incaricato direttamente: il Centro di Primo Ascolto e Coinvolgimento (Cpac) ha valutato le situazioni, raccolto e inviato a Bergamo le richieste di contributo. Si è trattato di un’esperienza piuttosto intensa, perché la richiesta è stata si-

gnificativa e negli ultimi mesi il Cpac ha intensificato le aperture presso la sua sede in Casa Clara: anziché a sabati alterni, è stato aperto tutti i sabati e… ben oltre il consueto orario! Le domande dovevano essere accompagnate da una corposa documentazione raccolta al fine di valutare con oggettività se le persone richiedenti erano davvero nel bisogno: estratto conto dell’ultimo trimestre, Isee inferiore a 20.000 €, disponibilità al lavoro certificata dal Centro per l’impiego o ultime buste paga, … Consapevoli che i documenti richiesti ci avrebbero aiutato a sostenere chi davvero ne aveva più bisogno, abbiamo cercato di mantenere comunque quell’atteggiamento di ascolto e disponibilità che non vede in chi si presenta al Cpac solo uno che cerca soldi, ma sempre e soprattutto una persona con la quale condividere le difficoltà e con la quale elaborare un progetto finalizzato a migliorare la situazione. Il contributo economico previsto era progressivo: 450 € per la singola persona, 600 se in due, 750 se in tre, 900 se in quattro, 1050 se in cinque e infine 1200 se in sei (una tantum). Naturalmente ha potuto presentare domanda solo chi non aveva già ricevuto aiuti con il pro-

getto “Ricominciamo insieme”. “Nessuno resti indietro” si è concluso il 30 novembre. Abbiamo inviato alla Caritas Diocesana 24 domande per un importo complessivo di 16.200 €; al momento ne sono state accettate 15, per 8 siamo in attesa della risposta, mentre una è stata respinta (in quanto è stato appurato che aveva già usufruito di altri sussidi). I richiedenti provenivano da tutto il comune di Albino, sia perché il Cpac è interparrocchiale, sia perché il lavoro è stato fatto in stretta collaborazione con le Assistenti sociali comunali. I contributi sono stati versati secondo due modalità diverse: in alcuni casi Caritas Bg ha provveduto a pagare le bollette o le rate di mutuo o affitto versando direttamente per esempio sul conto corrente del proprietario di casa, in altri casi abbiamo saldato le morosità (es. per poter far riallacciare al più presto l’energia elettrica o il gas) e poi Caritas Diocesana ci ha versato l’equivalente. Naturalmente si tratta di gocce nel mare, un mare in tempesta, ma dove c’è condivisione, di intenti e di risorse, c’è speranza! I volontari del Centro di Primo Ascolto e Coinvolgimento

Diventiamo prossimo Continua l’iniziativa del fondo di solidarietà “Diventiamo prossimo” per sostenere e accompagnare le famiglie in difficoltà economica MODALITÀ PER CONTRIBUIRE

 Autotassazione mensile: si stabilisce una cifra che viene versata

mensilmente per il periodo indicato

 Presso il Centro di Primo Ascolto alla Casa della Carità

in piazza San Giuliano 5 al mercoledì dalle 20.45 alle 22  Con bonifico bancario tramite

Nuovo Iban: IT06 JO3111 5248 0000 0000 77181 c/c intestato Parrocchia San Giuliano, Conto Caritas indicando la causale: FONDO DI SOLIDARIETÀ DIVENTIAMO PROSSIMO

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VITA PARROCCHIALE

Due Moroni in uno

Il restauro dello stendardo processionale

Il 2021 è l’atteso anniversario dei 500 anni dalla nascita di Moroni e la sua terra, Albino, propone il restauro, la restituzione alla leggibilità e fruizione, e la valorizzazione di un’opera delicata dell’artista: lo stendardo processionale custodito fino ad oggi per motivi conservativi in un armadio della sacrestia. Il costo del restauro è di 17.860 € di cui 8.000 stanziati come contributo dalla Fondazione della Comunità Bergamasca. L’opera è stata consegnata al restauratore Antonio Zaccaria, che ha studio/laboratorio a Bergamo, lo scorso 4 dicembre. Albino già ospita nelle sue chiese quattro tra le più importanti opere religiose del nostro illustre concittadino: nella nostra Prepositurale il “Crocefisso con i Santi Bernardino e Antonio da Padova” e “La Trinità”, opere esposte nel 2014 alla personale dedicata al Moroni allestita alla Royal Accademy di Londra; nella Parrocchiale di Santa Barbara a Bondo Petello la “Madonna in Gloria tra le Sante Barbara e Caterina”; nel Santuario della Madonna del Pianto il “Cristo portacroce”. A queste va aggiunto appunto lo “Stendardo di Albino”, per lungo tempo confinato nei depositi della della nostra parrocchiale. Un’opera “doppia”, potremmo dire fronte e retro, che raffigura su di un lato la “Visitazione di Maria a Elisabetta” e sull’altro la “Madonna col Bambino”. Dipinta a olio su tela, misura 145x104 cm. Giampiero Tiraboschi, esperto di storia locale e studioso del Moroni, presenta la probable origine di quest’opera. «Nella chiesa cinquecentesca di San Giuliano una delle cappelle che fronteggiavano la navata ai due lati dell’altare maggiore era dedicata a Santa Maria Elisabetta. In questa cappella era eretta l’omonima Scuola o Confraternita, alla quale nel 1575

erano iscritti 140 uomini, sotto la direzione di 5 presidenti eletti annualmente in rappresentanza di ciascuna delle 5 contrade del capoluogo. La quota associativa era di 4 soldi annui. Il reddito della Confraternita, proveniente dalle elemosine, era di circa 130 lire annue, che i presidenti spendevano per le celebrazioni e per l’ornamento della cappella. È probabile che questa confraternita aggregasse in buon numero la parentela dei Signori originari di Comenduno, ma residenti da molti decenni in Albino, che avevano una particolare venerazione per la Visitazione di Maria a Elisabetta tanto da costituire sotto questa dedica una cappellania perpetua nella chiesa di Santa Maria di Comenduno, su cui esercitavano il loro patronato. La confraternita di Santa Maria Elisabetta non aveva una regola, ma si prendeva cura dell’altare nell’omonima cappella nella parrocchiale, ove faceva celebrare una Messa cantata ogni prima domenica del mese. È probabile che la commissione


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al pittore Giovan Battista Moroni dello stendardo processionale della Visitazione sia dovuta ai reggenti di questa Confraternita dopo la Visita del cardinale Borromeo». Continua con una breve presentazione dello stendardo del Moroni. «Sette sono le opere sacre che Giovan Battista Moroni ha dipinto per Albino. I quadri per il convento della Ripa e per la parrocchiale di Vall’Alta sono finiti per le vicissitudini della storia in collezione privata; quattro tele, due conservate nella parrocchiale, una nella chiesa di Bondo e una nella chiesa della Madonna del Pianto, sono stati più volte richieste per mostre nazionali e internazionali e in quelle occasioni sono state restaurate o ripulite dalla patina del tempo. Solo lo stendardo della Visitazione ha avuto meno fortuna, perché meno conosciuto e anche per le precarie condizioni di conservazione che richiederebbero urgenti restauri. Infatti si tratta di uno stendardo processionale su supporto di tela e dipinto sui due lati, che riporta le tracce della inadeguata sua conservazione in passato nei cassetti della sagrestia, con perdita di pigmento in corrispondenza delle pieghe a cui è stato sottoposto». A che periodo risale e come si inquadra nella produzione artistica del Moroni? «Lo stendardo della Visitazione è un’opera della maturità del pittore dipinta con buona probabilità in corrispondenza della visita apostolica del Cardinale Carlo Borromeo ad Albino nel 1575. Rappresenta una delle tarde opere del pittore in cui sperimentava forme innovative ed efficaci per dare più immediatezza alla rappresentazione e creare l’atmosfera per un approccio religioso più intenso al soggetto». Cosa rappresenta? «Su un lato è dipinto l’incontro di Maria con Elisabetta, un atteggiamento carico di affettività e di sollecitudine, ove il gesto rivela la profondità e l’autenticità dei sentimenti di premura e di accoglienza. Elisabetta è vestita con abiti domestici, come le donne del popolo coeve del pittore, mentre la Madonna è rappresentata con l’abbigliamento dell’antichità classica, per conferirle quella dignità che all’epoca era richiesta dalle indicazioni del Concilio di Trento. Sull’altro lato la Madonna porta in braccio il bambino che si effonde in un gesto di profonda affettività».

Il canto di Maria e dei poveri «Questo santo cantico della benedetta Madre di Dio dovrebbe essere ben imparato e ritenuto da tutti». Così scriveva Lutero aprendo il suo Commento al Magnificat, l’inno che Maria intona durante il suo incontro con Elisabetta (Luca 1,46-55). Anche noi, perciò, che abbiamo in passato commentato le parole della madre del Battista (1,41-45), ci dedicheremo ora a questo cantico mariano che è ancor oggi intonato nella liturgia cattolica dei Vesperi e che ha ricevuto un’immensa serie di riprese musicali in tutti i secoli. È questa l’unica volta in cui Maria parla a lungo. Le altre cinque volte ricorre solo a frasi brevi, quasi smozzicate. Nell’Annunciazione: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?… Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (1,34.38). Nel tempio a Gesù tra i dottori: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo» (2,48). A Cana: «Non hanno vino… Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Giovanni 2,3.5). Ora, invece, il suo canto si espande, tenendo in filigrana la voce di un’altra donna, Anna, che ringraziava Dio per il dono del suo figlio, il profeta Samuele (1Samuele 2,1-10). Il Magnificat tematicamente riflette la spiritualità dei cosiddetti ‘anawîm, i “poveri” del Signore, cioè coloro che erano dediti pienamente a seguire la volontà divina, distaccandosi dal potere e dalla ricchezza ma anche aderendo alla Parola di Dio con fedeltà e amore. Dal punto di vista formale, l’inno è come se fosse per solista e coro. Infatti, il primo movimento è tutto “personale”, intonato dall’“io” di Maria che si proclama «serva del Signore» come nell’Annunciazione (1,38): «L’anima mia magnifica…, il mio spirito esulta…, mio salvatore…, mi chiameranno beata, …ha fatto per me l’Onnipotente». Il secondo movimento è, invece, una celebrazione corale dell’opera del Signore. Egli privilegia il debole e l’ultimo; le sue scelte sono estrose agli occhi umani perché scartano chi gode di grande credito per potere, successo e ricchezza. Questa opzione divina è espressa attraverso sette verbi che in greco hanno la forma dell’aoristo, cioè di un’azione permanente e definitiva del Signore: «Ha spiegato la potenza… ha disperso i superbi… ha rovesciato i potenti… ha innalzato gli umili… ha ricolmato gli affamati… ha rimandato i ricchi… ha soccorso Israele». Nel cantico di Maria non c’è solo l’esaltazione della povertà nel senso sopra specificato. C’è anche una forte speranza nell’azione del Signore onnipotente che ribalterà le sorti di questa sghemba e ingiusta storia umana: significativi sono, infatti, i contrasti tra potenti e umili, ricchi e affamati, superbi e fedeli. Come nella parabola, esclusiva di Luca, del ricco egoista e del povero Lazzaro (16,1931), avverrà uno stravolgimento per cui chi è nella polvere salirà nella gloria riservata da Dio ai giusti. Maria è la prima di questa folla di «poveri del Signore» e invita tutti coloro che ripetono, cantandole, le sue parole a tenere alta la fiaccola della fiducia nel Signore giusto giudice. Card. Gianfranco Ravasi da Famiglia Cristiana

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RICORDO DI DON EMILIO Grande commozione ad Albino per la morte di mons. Emilio Zanoli, da tutti conosciuto come don Emilio. Nella nostra parrocchia, in particolare nell’oratorio, trascorse i sui primi 12 anni di ministero sacerdotale, vi giunse nel 1974 appena ventitreenne e vi rimase fino al 1986, per molti giovani dell’epoca fu guida sicura e testimone credibile. Non potendo partecipare ai funerali a Cologno al Serio a causa delle limitazioni dovute all’emergenza sanitaria, la nostra parrocchia ha promosso un momento comunitario aperto a tutti nella Prepositurale di San Giuliano, così la sera di lunedì 23 novembre in molti si sono dati appuntamento e gremito la chiesa. Nella Messa è stato dedicato spazio al ricordo (anche con la proiezione di alcune fotografie), alle testimonianze e alla preghiera.

Le parole di don Emilio in quell’ultima carezza “al suo primo amore”, la nostra comunità di Albino. In questi giorni si è detto molto sulla figura di don Emilio, ma facciamo un passo indietro e lasciamo a lui la parola. Nel periodo del duro lockdown di primavera, in tempo di Quaresima, la parrocchia si era organizzata per non fare mancare una voce amica nelle case di ognuno. Di sera l’appuntamento era con la preghiera animata da don Andrea Pressiani e corredata dai video-contributi realizzati nelle loro case dai ragazzi del catechismo e da noti “ospiti”, tra questi anche don Emilio che da Cologno è entrato per l’ultima volta nelle case di Albino, comunità che avena nel cuore, e ha parlato così... «Un caro saluto a tutti gli albinesi. Riflettiamo insieme oggi sul versetto del vangelo che abbiamo letto (Matteo 5,17 - Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento.). Nella nostra vita ci sono tante regole morali, cioè delle regole che ci aiutano a vivere bene, a vivere una vita buona. E all’inizio di queste regole morali ci stanno i dieci comandamenti. Li conoscete vero i dieci comandamenti? Se no bisogna impararli o ripassarli. E poi ci sono tante altre regole che cercano di rendere concreti i dieci comandamenti nelle varie relazioni che abbiamo nella vita, nelle varie situazioni. Gesù dice che non è venuto ad abolire la legge, cioè le regole morali, ma a dare compimento. Cosa vuol dire questo? Vuol dire due cose. La prima che il Signore vuole che noi osserviamo le regole morali non come degli schiavi ma come dei figli; dobbiamo osservare le regole morali perché attraverso l’osservanza di queste regole noi vogliamo fare la volontà di Dio e vogliamo farla per amore del Signore, per fare la sua volontà che è il nostro vero bene. La seconda cosa che ci vuole dire Gesù, che porta a compimento e non abolisce, è che il cuore di tutte le regole morali è l’amore, attraverso l’osservanza delle regole morali noi dobbiamo crescere nell’amore, se no non ha senso: nell’amore verticale verso Dio (Amerai il signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le forze), e questo amore si esprime alcune volte in maniera grande, pensate ai martiri, ma molto spesso nelle piccole cose di ogni giorno, per esempio, in questo periodo che siamo in ritiro nelle nostre case, stare un po’ di più con Gesù, come la Samaritana, stare

al pozzo che è Gesù perché ci disseti con l’acqua del suo spirito che purifica e rinnova il nostro cuore; e poi l’amore orizzontale, verso i nostri fratelli (Amerai il prossimo tuo come te stesso) e Gesù dirà “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”, anche qui a volte l’amore dei fratelli è un amore grandissimo, chi dà la vita per gli altri, ma l’amore per i fratelli si vive ordinariamente nelle piccole cose di ogni giorno, per esempio, in questo periodo di ritiro, osservare la regola di rimanere in casa che ci costa, ma farlo come atto di amore verso i fratelli per non diffondere il virus, ma poi c’è il perdono, l’aiuto in famiglia, lo stare insieme con affetto, piccoli grandi gesti. Ecco, per vivere una vita buona e felice, dobbiamo osservare le regole di comportamento che ci insegna il Signore, ma dobbiamo osservare queste regole come figli per amore e per crescere ogni giorno di più nell’amore verso Dio e verso i fratelli attraverso dei gesti semplici, concreti, ma che sono piccoli grandi gesti. Colgo l’occasione per dare un caro saluto a tutta la comunità albinese che è stato il mio primo amore, perché sono stato curato lì in anni belli, anche un po’ difficili ma belli, dal 1974 al 1986, i primi anni del mio sacerdozio che non scorderò mai. Ciao a tutti». Un’ultima catechesi accompagnata e salutata da un rassicurante sorriso


Per don Emilio Quando don Emilio è arrivato ad Albino con una Cinquecento bianca, fresco di Messa, era il 1974. Aveva 23 anni ed io 15. Ero nel pieno dell’adolescenza: voglia di divertirmi, morosine, giretti in Vespa, qualche sigaretta per darmi un contegno, molta presunzione, poca saggezza. La scuola era l’unico impegno ed era già molto. Insieme ad un amico, cooptati da suo padre mobiliere, avevamo qualche tempo prima aiutato Don Pierino, il curato precedente, a traslocare in Borgo palazzo, dove era diventato Parroco. Di Don Pierino però ho un ricordo meno marcato, a parte il trasloco (dovevamo arrivare da terra al quinto piano); ero piccolo quando guidava i giovani dell’Oratorio e si faceva apprezzare per la sua sensibilità e le sue doti intellettuali; mi ricordo quando, ricoperto di farina e quasi irriconoscibile, partecipava alla sfilata di Carnevale; oppure quando tirava su la tonaca e giocava a pallone con i ragazzi. Ancora più sbiadito il ricordo di Don Domenico, anche lui storico curato di Albino ai tempi del Comune dei giovani e poi Parroco a Bergamo, nella chiesa di Santa Teresa di Lisieux, vicino allo stadio. Ma con Don Emilio era diverso; avevo 15 anni e per un adolescente la figura del curato dell’Oratorio bene o male la dovevi incrociare. Per me e per molti altri la prima conoscenza divenne un po’ alla volta frequentazione abituale per il fervore e la vivacità delle iniziative e delle proposte del Don: gruppi adolescenti, catechesi, formazione dei catechisti e degli animatori, campi estivi ed invernali (da Piazza Brembana, a Valpiana, a Nona…). Insomma nel giro di qualche mese Don Emilio divenne il mio Curato e quello di

tanti altri adolescenti e giovani come me. Che un giovane sacerdote influisca molto sulla formazione di un adolescente può sembrare un’affermazione ovvia, un po’ scontata. Per me è stata una esperienza concreta, indelebile, vissuta giorno dopo giorno, negli anni del passaggio dall’adolescenza inquieta alla giovinezza, quando cominci ad intuire quale sarà la direzione, il progetto, la vocazione della tua vita. E avere vicino un uomo così, un sacerdote come Don Emilio, è stato determinante. Mi ha accompagnato nelle prime fasi della mia prima seria esperienza affettiva, quella che mi avrebbe condotto al fidanzamento e alle nozze con Patrizia, diventando poi il Direttore spirituale della nostra coppia e della nostra famiglia (quando arrivarono i figli e ci veniva a trovare, giocava con loro senza risparmiarsi, lasciandosi coinvolgere totalmente e rivelando una tenerezza paterna che commuoveva). In questo ambito, quello dell’accompagnamento delle giovani coppie, dei fidanzati e delle famiglie, Don Emilio si mostrava capace, accogliente, preparato, autorevole, mai moralista o bacchettone: un vero punto di riferimento. Tant’è che già ad Albino diede vita ad un gruppo di coppie che, prima del fidanzamento, desideravano compiere un percorso di discernimento sulla loro relazione affettiva. Non fu un caso quando proprio lui venne nominato Direttore dell’Ufficio famiglia nel 1986, un anno dopo il nostro matrimonio. E non fu un caso che fu proprio lui a chiederci di collaborare alla pastorale familiare della diocesi. Prima di chiudere però vorrei fare un passo indietro a quando, da adolescente, conobbi Don Emilio. Non ricordo come avvenne esattamente ma quello che so

per certo è che Don Emilio vedeva in me qualcosa che nemmeno io vedevo, manifestava una fiducia nei miei confronti che –pensando a come ero allora– definirei sicuramente azzardata. Mi coinvolse nei gruppi, nella catechesi, mi propose di formarmi e di approfondire la mia fede (il corso di teologia per laici fu lui a suggerirmelo, nel 1977-1978); inoltre mi affidò un po’ alla volta delle responsabilità: da aiuto catechista a catechista, da aiuto animatore ad animatore degli adolescenti, per arrivare a nominarmi responsabile del campo estivo a Nona e, a questo proposito, nel 1982 mi fece iscrivere ad un corso per responsabili di centri estivi organizzato dalla Provincia di Bergamo (qui, tra gli altri corsisti sacerdoti, c’erano solamente due laici: io e Fabrizio Persico!). Don Emilio era molto esigente, anzitutto con se stesso, aveva un forte senso del dovere. Voleva che ti impegnassi fino in fondo, che ti assumessi delle responsabilità come se, dopo aver ricevuto tanto, dovessi a tua volta restituire. Ricordo la sua cura quasi maniacale per gli aspetti organizzativi e procedurali: se c’era una riunione con un ordine del giorno, occorreva stendere un verbale, e nessuno dei presenti doveva alzarsi o andarsene prima della fine dell’incontro, anche se si faceva tardi e si era stanchi o annoiati. Su questo Don Emilio era davvero inflessibile: mi ha insegnato che se ci si assume un compito, una responsabilità, piccola o grande non importa, bisogna dare il meglio di noi stessi, metterci in gioco totalmente. Lo ha dimostrato lui per primo quando, verso la fine degli anni Settanta, ha dato tutto se stesso per seguire ed accompagnare i giovani, soprattutto quelli in diffi-

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CIAO DON EMILIO

coltà, allo sbando, privi di riferimenti. E chi lo ha conosciuto sa bene a cosa mi riferisco e quanto Don Emilio abbia dato, a piene mani, senza risparmiarsi neppure la salute, in quella casa sempre aperta, dove potevi incontrarlo a tutte le ore del giorno e della notte. Se sono diventato, e sono ancora oggi, un insegnante che si sforza di essere un educatore, lo devo a Don Emilio. Senza la sua presenza, capace di vedere in me adolescente quello che neppure io vedevo di me stesso, non sarei qui ora. Per questo, alla notizia della sua morte, ho sentito urgente il dovere di ringraziarlo e di ricordarlo, non solo nella preghiera, ma anche nel racconto di un bel pezzo della mia vita durato quasi mezzo secolo. Don Emilio è rimasto il nostro Direttore spirituale anche quando dall’Ufficio famiglia venne mandato a Gandino e da Gandino a Cologno. Lo abbiamo incontrato l’ultima volta lunedì 24 febbraio, prima che cominciasse il primo famigerato lockdown per via del Coronavirus. Era dimagrito, forse già segnato dal male che lo avrebbe condotto a spegnersi il 20 novembre, ma non era solito lamentarsi della sua salute e neppure, per ritrosia, era solito parlare di sé: era ancora il “vecchio” curato di una volta, quello di sempre. Da quel lunedì di febbraio abbiamo avuto solo qualche breve telefonata, qualche messaggino, niente di più. Ora ci starà vicino dal cielo e da lì continuerà ad accompagnarci. Enzo Noris

Lettera a don Emilio Ti incontrammo per la prima volta nel settembre 1974: eravamo 16-17enni e a Songavazzo Don Pierino, curato uscente, aveva organizzato 3 giorni di ritiro spirituale per adolescenti accompagnati da alcuni catechisti. Allora le scuole iniziavano il 1° ottobre e quindi settembre era il mese in cui si ricominciava ad incontrarsi per progettare la nuova stagione. A Songavazzo arrivammo prima noi col pullman ma sapevamo che a breve ci avresti raggiunto tu, il giovanissimo nuovo curato di Albino. Infatti eccoti arrivare a metà mattina sulla tua mitica Fiat Seicento bianca (che ci presterai anche in alcune situazioni come quella volta che insieme a Mauro e Silvana andammo a Treviglio a incontrare l’Abbé Pierre mentre tu non potevi venire) e eccoti scendere sorridente per salutarci. Ci accompagnerai per 12 anni e noi passeremo dall’essere dei giovani un po’ immaturi (ricordiamo ancora i tanti scherzi, taluni anche un po’ stupidi, fatti in quei tre giorni a Songavazzo) all’essere marito e moglie e quasi genitori (la nostra prima figlia nascerà nel 1986 proprio pochi mesi dopo il termine del tuo mandato in Albino). Passeremo dall’essere catechisti all’essere animatori di gruppi giovanili, fino ad arrivare all’impegno sociale-politico con il Gruppo Assistenza Anziani. Questo grazie anche alla passione che ci hai sempre trasmesso, al continuo lavoro di formazione tramite incontri, conferenze, ritiri. Ricordiamo in particolare le estati passate insieme in Valpiana e a Piazza Brembana, l’ultimo dell’anno passato a Vigolo e le tante gite in montagna che amavi tanto. Ricordiamo in particolare il tuo sorriso e la tua voglia di scherzare (forse è per questo che a Songavazzo la prima volta che ci vedemmo non ci sgridasti per i nostri scherzi). Con te nacquero coppie stabili nel matrimonio e anche scelte di ordinazione religiosa. Raccontare in poche righe 12 anni di cammino e di crescita insieme non è possibile, ma rimase sempre fra noi un sentimento di reciproca stima e affetto. Non ti incontrammo molte volte dopo la tua partenza da Albino, anche se ogni volta che incontravamo gente di Gandino prima e di Cologno poi, non mancavamo di mandarti i nostri saluti. Curiosamente ci incontrammo casualmente due volte nella Libreria Buona Stampa di Bergamo: era forse il segno della tua continua voglia di lettura e approfondimento nonostante il gravoso impegno parrocchiale. E se vogliamo concludere con un’altra curiosità, potremmo ricordare che l’unica volta in cui ci recammo in Pellegrinaggio in Terra Santa, ci accompagnò nella riflessione un prete biblista di nome Don Emilio: come dire che la nostra crescita spirituale non poteva che passare attraverso quel nome. E quindi grazie Don Emilio per tutto il tuo impegno, la tua scelta di vita, la tua passione, la tua amicizia. Hai indirizzato profondamente le nostre vite verso quei valori umani e cristiani su cui crediamo di aver basato le fondamenta della nostra famiglia. Luisa e Manuel


GRAZIE DON EMILIO

C’era una volta un curato… Ha camminato con noi, è stato al nostro passo, ha lasciato una traccia. Questa è la sintesi della presenza di Don Emilio nella comunità di Albino. Era il suo primo incarico dopo l’ordinazione sacerdotale, una chiamata forte, carica di fiducia da parte dei superiori e di ansie da parte del giovane prete inviato in uno dei più grandi e attivi Oratori della diocesi. Con discrezione ma con ferma decisione ha continuato il lavoro dei suoi predecessori nella proposta di rinnovamento della catechesi che in quegli anni andava consolidando argomenti e metodi da proporre ai ragazzi e agli adulti. Ha individuato come prioritaria la cura della formazione dei catechisti preparandoli nei contenuti e promuovendo la comunione tra loro: appuntamento essenziale l’eucaristia settimanale insieme. Erano proprio numeri di altri tempi: 120 tra catechisti e animatori degli adolescenti per un migliaio di ragazzi. Ha avuto l’avvedutezza di farsi aiutare da persone competenti, di puntare sulla collaborazione e la responsabilizzazione dei giovani, sfidando quello che fino ad allora era il modo di procedere, ovvero: gli adulti che insegnano ai giovani e questi attendano il loro turno. Era un solco già tracciato ma che lui ha sviluppato con intelligenza e inventiva coniugando passato e futuro, realizzando un presente che ha valorizzato moltissime persone che ancora oggi si trovano coinvolte in

ruoli importanti di servizio alla comunità. È stata una presenza dinamica fatta anche di attività ricreative come campeggi, gite, tornei, il carnevale organizzato in piazza per tutto il paese, i grandi giochi in oratorio ecc.: tutto preparato con meticolosa attenzione al maggior coinvolgimento e alla cura dei dettagli, con l’occhio a mantenere fissi gli obbiettivi educativi che anche con questi strumenti possono essere conseguiti. Molti ricordano ancora le prodezze del curato presente con successo al torneo notturno di calcio nel ruolo di attaccante. Una delle occasioni migliori per unire la parte di ricerca e pensiero con quella ludicofestaiola è stata la celebrazione, nel 1984, del centenario di fondazione dell’Oratorio Giovanni XXIII di Albino. È stato un momento proficuo per rivisitare e rilanciare il progetto educativo dell’oratorio e per promuovere la festa intesa come incontro di persone che si riconoscono in questo progetto e lo condividono con gioia. Il progetto, appunto, che ha voluto mettere al centro i giovani e tutte le espressioni della loro condizione, comprese le loro difficoltà e possibili devianze. La solidarietà e la vicinanza ai più deboli è uno dei temi che con don Emilio abbiamo sviluppato maggiormente, prodigandoci in prima persona e ponendoci in maniera costruttiva con le istituzioni competenti. Il tempo che è passato non ha prodotto rimpianti perché è rimasta l’amicizia e soprattutto la consapevolezza che ancora stiamo lavorando per una comune missione. Nella messa di saluto, 24 anni fa, portammo

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all’offertorio un grande grazie da offrire al Signore perché lo rendesse efficace nei confronti di un padre, fratello, amico, ed è questo il sentimento che ancora ci anima verso don Emilio: grazie! Mauro “Arcy” Carrara Articolo tratto dal numero speciale edito dalla parrocchia di Gandino in occasione del saluto a don Emilio che andava a Cologno al Serio

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SOCIETÀ

A proposito di didattica a distanza Dopo una partenza d’anno scolastico che lasciava ben sperare, da ottobre siamo tornati alle lezioni a distanza ovvero -con uno degli innumerevoli acronimi tanto amati dal linguaggio tecnico della scuolaalla DAD: la didattica a distanza. Dopo il PTOF, il PAI, il RAV, i PCTO, i BES, i PDP, i PEI ci mancava anche la DAD. Sia chiaro, come docente ritengo che rimanere aperti ai cambiamenti e apprendere nuovi metodi di insegnamento sia una sorta di dovere, di imperativo etico-professionale; a maggior ragione quando ad imporlo sono le circostanze, in questo caso la cosiddetta seconda ondata, che costringe anche i più riottosi a fare di necessità virtù. Ma la domanda ricorrente tra i docenti è sempre la stessa: fino a quando si andrà avanti così? Ormai è certo che si arriverà alle vacanze di Natale con questo sistema, poi si vedrà… E mentre alcuni sono entusiasti di questa modalità, anche se per ragioni diverse, altri non vedono l’ora di tornare in aula. La scuola questa volta si è fatta trovare meno impreparata della primavera scorsa, quella della prima ondata, quando dalla fine di febbraio ci si è visti costretti a svolgere il resto dell’anno scolastico a distanza; con l’unica “felice” eccezione degli esami di maturità, svoltisi -come sappiamo- in presenza e con una formula nuova, adattata all’occasione, quella del solo colloquio orale. In molte scuole il programma per passare senza grossi traumi dalle lezioni in presenza a quelle a distanza è stato predisposto ed attuato con tempestività ed efficienza e di questo possiamo andare fieri ed essere soddisfatti. Più collaborativo, o forse rassegnato, è stato anche l’atteggiamento delle famiglie e degli studenti, ormai già abituati a collegarsi con i loro insegnanti mediante i vari dispositivi elettronici: PC portatili, PC da tavolo, Tablet, Telefonini. Il motivo ricorrente negli interventi degli alunni durante le prime settimane di lezioni a distanza era: “Sì, va bene, ci possiamo vedere ogni giorno e possiamo svolgere quotidianamente le nostre lezioni e le nostre verifiche; ma speriamo di tornare presto a scuola: incontrarci di persona, andare a scuola è un’altra cosa!”. In effetti “andare a scuola” apparteneva da tempo immemorabile al nostro lessico familiare ed era un’espressione utilizzata in diverse occasioni ma sempre con solennità: “Va già a scuola!” Voleva dire che è già grandicello. “Vai a scuola!” Era l’ordine perentorio che si usava con i figli ritardatari. “Non è andato a scuola oggi” indicava un’assenza dovuta ad un malessere improvviso o a un impegno inderogabile in famiglia (quando non era l’amara costatazione di una riprovevole ed ingiustificata assenza). “Non può andare a scuola perché sospeso” e questo era il massimo della pena che ci si poteva aspettare per mancanze disciplinari gravi. Ma pensare che per legge non si potesse andare a scuola per mesi interi non l’avremmo mai immaginato! Ultimamente alla speranza di tornare presto a scuola si è sostituito un atteggiamento più attendista: stiamo a vedere cosa succederà dal 7 gennaio 2021; non facciamoci illusioni, attendiamo l’evoluzione degli

eventi e le decisioni del Governo, poi si vedrà. Certo, ad essere sinceri, se la necessità di sospendere le lezioni in presenza si fosse verificata vent’anni fa non sarebbe stato possibile fare scuola a distanza ed allora, coraggio, vediamo di non lamentarci continuamente, riconosciamo quale preziosa opportunità ci viene offerta dalle nuove tecnologie! È vero, forse è questo l’atteggiamento migliore, più saggio, più resiliente. Tuttavia il rimpianto per la “vecchia” lezione rimane: varcare la soglia dell’aula richiamando i ritardatari che ciondolano davanti alla porta, il saluto ricambiato dagli studenti ai loro posti e in piedi, il segno di croce prima di iniziare la lezione, l’accensione del PC per entrare nel registro elettronico e segnare presenti assenti argomento e firma, poi finalmente dopo i convenevoli, cominciare la lezione; il libro di testo davanti, aperto sul banco, il quaderno degli appunti, qualche schemino o parola-chiave scritta alla lavagna, la passeggiata tra i banchi, le domande degli studenti più interessati, le battute cretine dei più annoiati o sfacciati, insomma tutto questo insieme di rituali che erano diventati normali. In alcuni casi, quando


SCUOLA

l’argomento si prestava, c’era perfino la possibilità di ricorrere alla presentazione in Power Point o alla visione di filmati didattici e di documentari sfruttando il grande schermo presente in ogni aula! Ora è il PC a farla da padrone assoluto: è l’unico strumento che ti consente di entrare in contatto con gli studenti della tua classe, a loro volta connessi davanti ai loro dispositivi. Senza PC la lezione non si può fare ed è una gran fortuna se ne hai a disposizione uno abbastanza veloce collegato ad una linea telefonica decente. Se vuoi fare uno schemino lo devi condividere sulla Jamboard, se hai preparato un testo di approfondimento o un collegamento ad un sito, devi condividere il tuo schermo e assicurarti che gli studenti lo vedano. Già, è proprio questo il punto: vedere! Nelle lezioni a distanza la vista di docenti e discenti è sottoposta ad un vero tour de force: molti che non portavano occhiali li hanno dovuti inforcare e l’affaticamento visivo al termine della mattinata e delle lezioni-valutazioni-verifiche pomeridiane si fa sentire. Poi, nel resto della giornata, quale tempo rimanga per la lettura, lo studio, l’ap-

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profondimento e per le altre attività non si sa. Inoltre dagli schermi si vedono interni di camerette, di salotti, di cucine, di spazi privati nei quali non avevi mai immaginato di entrare; ancora: pettinature arruffate, ciuffi ribelli, fasce per capelli, felpe, magliette, camicie, maglioni, sciarpe e coperte per i più freddolosi, madri che transitano indaffarate e curiose, fratelli che recuperano oggetti dalla camera condivisa o che vengono a sbirciare, cani che abbaiano o saltano sul tavolo, gatti che passano incuranti davanti allo schermo. Insomma un’esperienza voyeuristica -ma virtuosa- unica e ripetuta quotidianamente. Tuttavia gli schermi non facilitano la percezione delle sfumature, delle espressioni che riesci a cogliere quando i visi degli studenti li hai davanti e, di conseguenza, il feedback è sempre approssimativo, parziale. Il secondo dei cinque sensi che entra in gioco nella didattica a distanza insieme alla vista, è l’udito. E qui iniziano le dolenti note: “Prof, la sento a scatti”, “Non la sento!”, “Può ripetere, per favore, non ho capito l’ultima frase”… Per non parlare dei microfoni spenti quando dovrebbero restare accesi e viceversa, oppure dei rumori di fondo, dei ritorni, delle eco che rendono difficile e penoso l’intendersi. Gli altri sensi, ovviamente, sono esclusi dalla DAD: l’olfatto, il gusto, e soprattutto il tatto! Il con-tatto è insieme agli altri sensi il grande assente e ci si accorge della sua mancanza. Sia chiaro, non era poi così frequente neppure in presenza lo stringere la mano agli studenti, il mettere loro una mano sulla spalla, tanto meno l’abbracciarli. Eppure, come può avvenire l’incontro senza la presenza dei corpi? Non ci si incontra senza corpo. La tecnologia cerca di convincerti che si possa fare a meno del corpo, fornendoti degli strumenti che diventano protesi e creando degli ambienti artificiali che alla lunga diventano carceri. La tecnologia vuole convincerti che la relazione possa realizzarsi anche senza corpo: credo che questo non solo sia illusorio ma neanche impossibile. Non sono convinto che la tecnologia possa rifare meglio l’uomo e creare relazioni che possano fare a meno della persona reale, quella in carne ed ossa. Per questo motivo le immagini degli studenti sugli schermi ricordano le ombre vane, i corpi aerei della Commedia dantesca e parlare davanti allo schermo sembra un parlare a lor vanità che par persona e non a studenti reali. Questi incontri virtuali ci costringono forse a riscoprire, tra le altre cose, il valore della parola; la parola selezionata, sobria, scandita, pronunciata in modo chiaro ed efficace così da raggiungere l’orecchio elettronico dei connessi (non li chiamerei interlocutori). E insieme al valore della parola riscopri il valore dello sguardo e del sorriso. Sono questi gli elementi più preziosi per stabilire e mantenere una buona connessione, anche quando la linea è intasata o traballante, anche quando ci si sente a scatti. Ma la nostalgia, il desiderio dell’incontro e della relazione rimangono insopprimibili; non per passatismo romantico ma perché noi, esseri umani, siamo fatti così: ci illudiamo di bastare a noi stessi, fieri delle nostre conquiste e dei nostri mezzi ipertecnologici, ma nello stesso tempo ci rendiamo conto che, come scrive De Certeau: “Non ti possiedo, ma tengo a te. Resti per me un altro e mi sei necessario, dato che ciò che io sono di più vero è ciò che c’è tra noi”. Enzo Noris

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UN LIBRO

Piazzale Loreto e Vittorio Gasparini Piazzale Loreto a Milano innanzitutto è «il luogo nel quale le più alte aspirazioni di libertà, di uguaglianza, di solidarietà e di giustizia sono state soffocate nel sangue dalle ragioni meschine di un potere violento e corrotto, fatto di prepotente arroganza e di servile obbedienza». Così scrive Massimo Castoldi, professore di filologia e storico, nel suo libro intitolato Piazzale Loreto. Milano, l’eccidio e il «contrappasso», Donzelli editore. Piazzale Loreto è una piazza simbolica non solo per Milano, ma per la storia d’Italia: qui avvengono infatti due episodi finali del nazifascismo: il 10 agosto 1944 vengono fucilati per rappresaglia 15 antifascisti, fra cui il nostro Vittorio Gasparini, e il 29 aprile 1945, proprio lì per questo, vengono portati i cadaveri di Benito Mussolini e di altri fascisti. E’ il contrappasso di cui al titolo e al testo, a cui si rimanda. Il libro ha questo inizio di viva cronaca: «Alle 4,30 del mattino del 10 agosto 1944 quindici uomini detenuti a Milano nel carcere di San Vittore furono svegliati e raccolti in uno spazio prossimo all’uscita». E prosegue raccontando i momenti susseguenti di quel giorno. Nel capitolo III in ampie pagine ci presenta, per la prima volta insieme in un libro, i Quindici scelti per la fucilazione: rappresentanti delle fabbriche di Sesto S. Giovanni, altri antifascisti, un dirigente cattolico che collabora con gli Alleati, appunto Vittorio Gasparini, il maestro socialista Salvatore Principato, nonno dell’autore del libro. Abbiamo così per Gasparini un’ampia sintesi della sua vita e della sua morte, completata per questo periodo finale con documenti emersi dopo la pubblicazione del libro, a cura dell’ANPI di Albino, Vittorio Gasparini, cattolico, seppe resistere, documenti ora depositati, dalla figlia Angiola, presso l’archivio dell’Isrec di Bergamo. Un particolare dell’uomo Gasparini emerge dalle ricerche di Massimo Castoldi: «L’archivio dell’obitorio conserva anche le sommarie descrizioni di come i corpi erano vestiti e dei pochi oggetti che avevano in tasca». Gasparini aveva con sé un “libro preghiere”. Quale libro fos-

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se, il registro dell’obitorio non dice. Avrebbe potuto essere l’Imitazione di Cristo, un classico della meditazione, che, secondo la testimonianza della domestica albinese Annunciata Mismetti (v. il libro ANPI a p. 59), Gasparini si era fatto portare in carcere. Della sua fede cristiana testimonia il primo capitolo del libro edito dall’ANPI di Albino ed anche un colonnello Giuseppe Ratti, (di cui da poco si sa di più grazie all’avv. piemontese Sergio Favretto) che Gasparini aveva incaricato, nell’ultima lettera alla moglie Ernestina Marconi, ancora inedita, di quanto segue:


SOCIETÀ SANITÀ

Come cambiare la politica sanitaria in Lombardia La proposta di un medico: quatto punti per riformare la politica sanitaria nella nostra regione.

1.

Non prorogare la legge 23/15 che governa la sanità regionale. Entro il 31 dicembre il governo deve decidere se confermare la legge autorizzata in via sperimentale per cinque anni, durante i quali: i posti letto negli ospedali pubblici sono stati ridotti; è stato tagliato il personale nei servizi di prevenzione, igiene ambientale e sanità pubblica, sono stati cancellati i distretti, la percentuale di anziani che possono usufruire dell’assistenza domiciliare è tra le più basse d’Italia, ecc. La legge 23 va cancellata e la sanità lombarda deve rientrare nel quadro normativo indicato dalla Costituzione e dalla l. 833/78: un Servizio Sanitario universale, nazionale e accessibile a tutti. I Livelli Essenziali di Assistenza devono essere garantiti dalla sanità pubblica,

2.

Rafforzare la medicina territoriale: vanno reintrodotti i distretti, istituite le case della salute” con uno sportello per tutte le attività sociali e sanitarie per la presa in carico del paziente con percorsi di cura individualizzati. Va favorita la collaborazione tra i medici di famiglia; vanno potenziati i servizi specialistici e l’assistenza domiciliare riducendo la necessità di ricovero degli anziani nelle RSA e favorendo lo sviluppo di strutture più piccole, integrate nel territorio.

3. 4.

Partecipazione democratica. Vanno coinvolti i sindaci e le istituzioni locali nella programmazione della sanità.

Le nomine dei direttori generali devono essere sottratte alla lottizzazione politica; l’abbattimento delle liste d’attesa e il loro rientro nei tempi istituzionalmente previsti, deve essere uno dei principali criteri per valutarne l’operato, insieme alla verifica degli obiettivi di miglioramento della salute collettiva misurabili con strumenti epidemiologici. «… se io non dovessi essere più il Col. Ratti ti parlerà dei miei ultimi giorni». Lo stesso 10 agosto il col. Ratti scrive: «Gentilissima Signora, con l’animo affranto…». E per quanto riguarda la fede di Vittorio Gasparini, con più verità di Indro Montanelli, sui cui racconti, pur verosimili, esistono fondati dubbi, scrive: «Ho vissuto con lui oltre un mese: ci eravamo affezionati come più di fratelli: con me ogni mattina si è accostato a Gesù, ricevendolo». a.c.

“Il sistema sanitario italiano è frutto della Resistenza. Lo dimostrano le carte, in primo luogo gli Atti della Consulta veneta di sanità a cui il CLN diede mandato nella primavera della Liberazione di elaborare un progetto per garantire una migliore e più efficace distribuzione dei servizi della sanità pubblica e assicurare l’universalità delle prestazioni con il finanziamento della fiscalità generale. Il progetto venne elaborato nell’estate del ’45. La riforma di Tina Anselmi con la legge 883 del 1978 non fece che riprenderne i principi. All’Assemblea costituente la discussione non era discostata mai dalla linea guida del CLN veneto. Così la salute diventa in diritto fondamentale per la prima volta in una carta costituzionale (art. 32). Prima della riforma Anselmi la sanità non era in mano allo Stato, ma frammentata in centinaia di enti mutualistici e ospedalieri, dove le mutue erano centri di potere regolatori di consenso e non presidi di prevenzione, cura ed educazione sanitaria”. a.b. L’Eco di Bergamo

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ASSOCIAZIONISMO

ACLI ALBINESI

Rubrica a cura del Circolo “Giorgio La Pira”

È bello per il cristiano ricordare ogni anno la nascita del Salvatore. Per questo vogliamo porgere i nostri AUGURI di BUON NATALE a tutti gli albinesi, uniti a quelli di un BUON ANNO 2021. ACLI PROVINCIALI

Il CAF Acli Bergamo e provincia ha voluto ricambiare con un gesto concreto i dipendenti del settore sanitario della nostra provincia : medici, infermieri, operatori sanitari, per il loro impegno nel prendersi cura degli ammalati di Corona Virus. E lo ha fatto dando loro la possibilità di compilare gratuitamente la Dichiarazione dei redditi. ”Memoria e Gratitudine – ha detto Daniele Rocchetti, presidente provinciale del nostro Movimento – per il lavoro svolto da tutti gli operatori sanitari. Ciò che è avvenuto ha messo a dura prova la vita delle nostre comunità, Il personale sanitario è stato in prima linea nell’azione di cura e di sostegno. Uomini e donne capaci di vicinanza e di umanità. Vorremmo non dimenticarli troppo in fretta”.

Manovra, Arci e Acli: il Parlamento non cancelli le agevolazioni Iva per l’associazionismo. Si rischia un colpo fatale

“Il settore no profit è allo stremo a causa dell’emergenza Covid-19 e molti circoli rischiano davvero di non riaprire più. Per questo chiediamo che nella Legge di Bilancio venga cancellato l’art. 108 che prevede l’assoggettamento al regime commerciale delle attività di migliaia di associazioni no profit ed enti che svolgono attività fondamentali per la cittadinanza. Moltissime di loro, già duramente colpite dalla crisi della pandemia, rischiano di non riaprire più o di perdere la qualifica di ente del Terzo settore”. Così Acli e Arci in una nota congiunta sulla legge di Bilancio in discussione in Parlamento. “Stiamo ancora lottando per ricevere, all’interno dei decreti Ristori, degli aiuti che siano destinati davvero a tutti gli enti del mondo no profit e non comprendiamo il senso di una norma che comporterebbe ulteriori adempimenti burocratici e un appesantimento del carico fiscale” .“Ci auguriamo che nei prossimi incontri con esponenti del Governo e del Parlamento vengano ascoltate le nostre ragioni e riconosciuto il ruolo fondamentale dell’associazionismo”.

Reddito di cittadinanza, Alleanza contro la povertà: non è il momento di togliere il sostegno a chi ha bisogno.

I dati diffusi da INPS relativi al Reddito di Cittadinanza ci confermano che circa 400 mila nuclei beneficiari della misura di contrasto alla povertà hanno perso la mensilità di ottobre, pur avendo i requisiti per avere il rinnovo. La previsione normativa del Reddito di cittadinanza dispone infatti la durata di erogazione nei limiti dei 18 mesi, a prescindere dalla sussistenza della condizione di bisogno, con la possibilità di chiedere il rinnovo del beneficio ma con la certezza di perdere un mese di erogazione. Non è il momento storico di togliere un sostegno economico a chi permane in una condizione di bisogno! Nei prossimi mesi saranno altre centinaia di migliaia le famiglie che si vedranno interrompere il Reddito di Cittadinanza pur restando nei parametri economici per riceverlo, così come è e sarà drammaticamente crescente il numero di persone che vedrà la propria condizione di vita peggiorare per le conseguenze economiche e sociali della crisi. A queste migliaia di persone il Governo deve garantire un sostegno adeguato, a partire da chi è o rischia di cadere in condizione di povertà. Chiediamo, dunque, al Governo, nella predisposizione della Legge

di Bilancio, di accogliere le nostre proposte per migliorare e rafforzare il Reddito di Cittadinanza e la sua capacità di contrastare la povertà, sostenendo e prendendo in carico le persone in difficoltà: − Sostenere le famiglie numerose e con minori, sostituendo l’attuale scala di equivalenza con quella ISEE. − Non discriminare i cittadini stranieri, riducendo a 2 gli anni di residenza ed eliminando l’obbligo di presentazione di certificazione aggiuntiva. − Sostenere chi è caduto recentemente in condizioni di povertà, innalzando temporaneamente la soglia ISEE di accesso alla misura a 15.000 euro e modificando i requisiti patrimoniali, facendo confluire sul Reddito di cittadinanza chi ha fino ad ora beneficiato del REM. − Eliminare la sospensione di un mese del Reddito di cittadinanza per i nuclei che hanno diritto al rinnovo. − Agevolare l’utilizzo dell’ISEE corrente anche in presenza di una recente perdita di patrimonio. − Rafforzare i servizi sociali dei comuni, incrementando il Fondo Povertà e assumendo il personale ad essi dedicati. − Assicurare a tutti i nuclei beneficiari del Reddito di cittadinanza la valutazione multidimensionale dei bisogni e un’adeguata presa in carico.


ASSOCIAZIONISMO SOLIDARIETÀ

In tempi di crisi economica dovuta agli effetti dell’emergenza sanitaria legata al Coronavirus, sono tante le iniziative messe in campo per cercare di arginare le difficoltà delle famiglie in povertà. A Cisano il Circolo Acli si è impegnato attivamente a sostegno del Banco Alimentare. “Siamo partiti all’inizio del 2000 in collaborazione con la Caritas – dice il presidente del Circolo. Attualmente con il Banco diamo un sostegno a circa 80 famiglie fornendo pacchi con generi di prima necessità, come pasta, latte, riso, olio, zucchero, farina, legumi e alimenti per l’infanzia. La nostra associazione partecipa alla colletta alimentare ogni anno mettendo a disposizione anche un locale per la raccolta dei beni alimentari, poi da distribuire”. Questo è solo un esempio delle tante iniziative acliste che impegnano il nostro Movimento per far fronte, almeno in parte, alle difficoltà di tante famiglie della nostra provincia.

SFRUTTAMENTO

In occasione della Giornata mondiale contro la tratta degli esseri umani istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2013, la Cooperativa Sociale Eco Onlus di Sofia Flauto ha realizzato un video con l’intento di sensibilizzare la comunità internazionale sulla situazione delle vittime di tratta e promuovere la difesa dei loro diritti. Chi pensa che la schiavitù, la povertà e l’infanzia negata siano temi lontani dalla realtà nella quale viviamo sbaglia. Basterebbe questo dato : Oggi in Campania quasi il 40% dei bambini vive in condizioni di povertà, vale a dire due minori su cinque. Immaginiamoci di tutto ciò quanto possa approfittarne la mafia. “L’infanzia è a rischio! Non più bambini, non esseri umani, ma strumenti a beneficio del più forte. Costretti a lavorare , spesso convinti da una promessa di benessere. Si tratta di una maglia intricata che stringe e costringe i genitori poveri a farlo pur di sopravvivere. Tutto questo è molto più vicino a noi di quanto sembri” è il messaggio scritto dalla Cooperativa nella speranza di accendere i riflettori sull’emergenza dei bimbi costretti a lavorare. E noi aggiungiamo di quanto possa approfittarne la mafia di una simile situazione.

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NORMALITÀ

Per fortuna ci sono anche le buone notizie nel panorama disastrato di un Paese dove tutto sembra grigio o nero come la cronaca che parla di furti, rapine, violenze, truffe e ruberie. Per fortuna c’è anche qualcuno che ci riconcilia con la normalità del bene attraverso un gesto, una rinuncia, un atto di generoso altruismo. È giusto parlarne contraddicendo un luogo comune secondo il quale il bene non fa notizia. Perché sono tanti quelli che offrono ogni giorno un messaggio di fiducia, si impegnano per gli altri, sanno rinunciare a qualcosa, sacrificando tempo e denaro per dare speranza a chi l’ha persa. Esempi ce ne sono tanti : il ragazzo che salva il coetaneo dal rogo dell’auto distrutta, la dottoressa che perde la vita per soccorrere un immigrato ferito, il barista che rinuncia al facile gettito delle slot machine perché non vuole guadagnare sulla pelle degli altri, il pensionato che si offre per tenere aperte le sedi di una biblioteca rionale, quello che restituisce il portafoglio con una cospicua somma. Per non parlare di quanto hanno fatto e stanno facendo tanti in questi tragici momenti in cui domina la pandemia. Ci dicono che bisogna ascoltare anche questa foresta che cresce e non soltanto l’albero che cade. Creare fiducia è compito non solo delle Istituzioni, ma di ogni cittadino che si rispetti.

ESEMPIO

Potremmo dire : Il frate ingegnere al servizio dei poveri. Infatti Padre Maurizio Annoni, 84 anni, si era laureato in ingegneria al Politecnico di Milano. Dal 2000 guida l’Opera intitolata a san Francesco, straordinario esempio di quella Chiesa dei poveri che sta tanto a cuore a Papa Bergoglio. Al giornalista che lo intervista confessa di non aver esitato ad indossare il saio quando si era reso conto di avere i poveri nel suo Dna. Non scriviamo sull’impegno che ha messo nel portate avanti questa straordinaria opera milanese a favore dei diseredati. Non basterebbero due pagine. Vogliamo solo segnalare il fatto che una persona, che aveva in vista una luminosa carriera, abbia rinunciato alla stessa per servire quelli che il Vangelo chiama “gli ultimi”.

TESORO

Questo pensiero è tratto da un film in cui un vecchio saggio vuole inculcare nella mente del nipote alcuni valori che egli ritiene fondamentali. E dice: “Il tempo è l’essenza della vita. Fanne tesoro in ogni istante”. Si tratta di un insegnamento al quale ognuno di noi dovrebbe fare riferimento. Dio ce lo ha dato non per essere speso in cose futili, come purtroppo avviene spesso ai nostri giorni, ma in modo degno. Anche perché non lo si può fermare. E gettarlo via, sprecarlo inutilmente, sarebbe il più grave errore che una persona di buon senso possa fare. Per le Acli Albinesi Gi.Bi.

Dicembre 2020


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AUGURI

Dal Burundi gli auguri di padre Giovanni

Grazie per il giornale parrocchiale ricevuto con interesse. Qui tutto come al solito: uno comanda gli altri obbediscono, se no sono guai. L’inflazione cresce e pure il costo del cibo specie per i poveri e gli ammalati (ne ho molti da seguire); viviamo nella fede e nella speranza; i commercianti mancano di dollari e euro e il commercio coi paesi vicini è quasi nullo, il che fa aumentare il costo dei prodotti anche di prima necessità. Viviamo nella fede e nella speranza. Ringraziamo il Signore. Ci prepariamo all’avvento e al natale. Presto inizieremo coi ritiri di avvento e con le relative confessioni nelle diverse succursali e cappelle, pandemia permettendo. Per ora ci si limita a lavare le mani con acqua: ce n’è. Ogni bene a tutti, il Signore ci visiti e protegga il suo popolo. vostro P. Giovanni

RECAPITO DI ZONA

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RICORDO

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Per essere informato sulle attività proposte dalla nostra comunità parrocchiale, iscriviti alla NEWSLETTER sul sito

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6 gennaio - Festa del dono Opere parrocchiali: il tuo aiuto è importante

È possibile fare offerte - anche deducibili fiscalmente nella dichiarazione dei redditi in misura del 19% - a sostegno dei lavori autorizzati dalla Soprintendenza per i beni Architettonici. Per le aziende è possibile detrarre totalmente la cifra devoluta. Abbiamo concluso il rifacimento del tetto del CineTeatro e della Casa della Carità con qualche sorpresa per quanto riguarda legname e travi marcite. Abbiamo ultimato la sistemazione e riqualificazione del porticato che si affaccia sul sagrato. Stiamo sistemando: - il tetto dell’ex Ragioneria, che ci auguriamo sia l’ultimo; - il passaggio tra il sagrato e l’oratorio per le infiltrazioni di umidità; - il muro interno della sala giochi, in corrispondenza della strada, anche questo per l’umidità. Impegni questi che stanno dando fondo alle nostre risorse. Grazie per quello che riuscirai a fare.

PER DONAZIONI - Bonifico bancario tramite Credito Bergamasco di Albino, Parrocchia di San Giuliano: IBAN IT91 R050 3452 480000000000340 Per la ricevuta ai fini fiscali, rivolgersi in casa parrocchiale.

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CASA FUNERARIA di ALBINO CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO srl, società di servizi funebri che opera con varie sedi attive sul territorio da più di 60 anni, nata dalla fusione di imprese storiche per offrire un servizio più attento alle crescenti esigenze dei dolenti, ha realizzato ad Albino la nuova casa funeraria. La casa funeraria nasce per accogliere una crescente richiesta da parte dei famigliari che nel delicato momento della perdita di una persona cara si trovano ad affrontare una situazione di disagio oltre che di dolore nell’attesa del funerale. Il disagio potrebbe derivare dalla necessità di garantire al defunto un luogo consono, sia dal punto di vista funzionale che sanitario e permettere alle persone a lui vicine di poter manifestare il loro cordoglio con tranquillità e discrezione.

Spesso si manifesta la necessità di trasferire salme in strutture diverse dall’abitazione per ragioni di spazio, climatiche igienico sanitarie. Ad oggi le strutture ricettive per i defunti sono poche ed il più delle volte improvvisate, come ad esempio le chiesine di paese, che sono state realizzate per tutt’altro scopo e certamente non garantiscono il rispetto delle leggi sanitarie in materia. Dal punto di vista tecnico la casa funeraria è stata costruita nel rispetto delle più attuali norme igienico-sanitarie ed è dotata di un sistema di condizionamento e di riciclo dell’aria specifico per creare e mantenere le migliori condizioni di conservazione della salma. La struttura è ubicata nel centro storico della città di Albino, in un edificio d’epoca in stile liberty che unisce funzionalità e bellezza estetica. Gli arredi interni sono stati curati nei minimi dettagli; grazie alla combinazione di elementi come il vetro e il legno, abbiamo ottenuto un ambiente luminoso e moderno, elegante ma sobrio.

Lo spazio è suddiviso in 4 ampi appartamenti, ognuno dei quali presenta un’anticamera separata dalla sala nella quale viene esposta la salma, soluzione che garantisce di portare un saluto al defunto rispettando la sensibilità del visitatore. Ogni famiglia ha a disposizione uno spazio esclusivo contando sulla totale disponibilità di un personale altamente qualificato in grado di soddisfare ogni esigenza.

FUNERALE SOLIDALE Il gruppo CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO, presente sul territorio con onestà e competenza, mette a disposizione per chi lo necessita un servizio funebre completo ad un prezzo equo e solidale che comprende: - Cofano in legno (abete) per cremazione e/o inumazione; - Casa del commiato comprensiva di vestizione e composizione della salma, carro funebre con personale necroforo; - Disbrigo pratiche comunali.

Antonio Mascher  335 7080048 ALBINO - Via Roma 9 - Tel. 035 774140 - 035 511054 info@centrofunerariobergamasco.it


ANAGRAFE PARROCCHIALE

Anniversari

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Da ottobre a dicembre... ... sono rinati nel Battesimo - Giorgia Dentella - Emma Facchinetti - Matteo Olivo - Aurora Signori - Giobbe Scaburri - Vittoria Cometti Caccia

Giuseppe Carrara

3° anniversario L’amore che ci hai donato resterà vivo nei nostri cuori

Rosy Noris

1° anniversario

19.12.2019 - 19.12.2020

“Sei sempre con noi”

- Francesco Brignoli - Sofia Alina Lo Sasso

... sono tornati alla casa del Padre - Pietro Verzeroli - Mauro Carrara - Lorenzo Frana - Giancarlo Carrara - Mirella Carrara - Franca Moioli

Per la pubblicazione in questa pagina delle fotografie dei propri cari defunti, rivolgersi alla portineria dell’oratorio.

- Elisabetta Barcella - Urbano Gusmini - Bruno Marini - Maria Antonietta Radaelli - Elisa Moretti - Adeliana Cedro

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Dicembre 2020


Asciuga Bambino Gesù le lacrime dei fanciulli! Spingi gli uomini a deporre le armi e a stringersi in un universale abbraccio di pace! Invita i popoli, misericordioso Gesù, ad abbattere i muri creati dalla miseria e dalla disoccupazione, dall’ignoranza e dall’indifferenza. Dio della pace, dono di pace per l’intera umanità, vieni a vivere nel cuore di ogni uomo e di ogni famiglia. Sii tu la nostra pace e la nostra gioia. Madre Teresa di Calcutta


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