Albino comunità viva - ottobre 2021

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IL GIORNALE DELLA COMUNITÀ PARROCCHIALE DI SAN GIULIANO - OTTOBRE 2021


INFO UTILI RECAPITI Casa parrocchiale Tel. e fax: 035 751 039 albino@diocesibg.it Oratorio Giovanni XXIII Tel. 035 751 288 oratorioalbino@gmail.com Santuario del Pianto 035 751 613 - www.piantoalbino.it Convento dei Frati Cappuccini Tel. 035 751 119 Scuola dell’infanzia Centro per la famiglia “San Giovanni Battista” Tel. 035 751 482 - 035 02 919 01 Padri Dehoniani Tel. 035 758 711 Suore delle Poverelle alla Guadalupe Tel. 035 751 253 Caritas Parrocchiale Centro di Primo Ascolto aperto il 1° e il 3° sabato del mese dalle ore 9.30 alle 11.30 PER COPPIE E GENITORI IN DIFFICOLTÀ Consultorio familiare via Conventino 8 - Bergamo Tel. 035 45 983 50

ORARI delle SANTE MESSE FESTIVE

FERIALI

In Prepositurale

In Prepositurale

ore 18.00 al sabato (prefestiva) ore 8.00 - 10.30 - 18.00

Al santuario del Pianto ore 7.30 - 17.00

Al santuario della Guadalupe ore 9.00

Al santuario della Concezione ore 10.00

Alla chiesa dei Frati Cappuccini ore 7.00 - 9.00 - 11.00 - 21.00

ore 8.30 - 17.00

Quando si celebra un funerale se è al mattino, è sospesa la S. Messa delle 8.30; se è al pomeriggio, è sospesa la S. Messa delle 17.

Alla chiesa dei Frati ore 6.45 Al santuario del Pianto ore 7.30 Alla Guadalupe ore 8.00 Sulla frequenza 94,7 Mhz in FM è possibile ascoltare celebrazioni liturgiche e catechesi in programma nella nostra chiesa Prepositurale

Amarcord

Centro di Aiuto alla Vita Via Abruzzi, 9 - Alzano Lombardo Tel. 035 45 984 91 - 035 515 532 (martedì, mercoledì e giovedì 15-17) A.C.A.T. (metodo Hudolin) Ass.ne dei Club Alcologici Territoriali Tel. 331 81 735 75 PER CONIUGI IN CRISI Gruppo “La casa” (don Eugenio Zanetti) presso Ufficio famiglia della Curia diocesana Tel. 035 278 111 - 035 278 224 GIORNALE PARROCCHIALE info@vivalavita.eu

www.oratorioalbino.it

Con la ripresa delle scuole proponiamo questa foto, datata anni Sessanta, di una saggio alla materna parrocchiale.

Stampato in abbinamento editoriale con il n. 7/2021 di LAIF - In copertina: un segno in Prepositurale per l’anno dedicato a San Giuseppe.


1 “La vita non è altro che la realizzazione di un sogno di giovinezza” (Giovanni XXIII)

11 ottobre, festa di Papa Giovanni XXIII santo E anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II Tempo fa parlando con don Bruno, terminato il pranzo, raccontava come una volta avesse incontrato una persona sul treno, una persona che conosceva e che andava a Genova a raccontare i sogni che aveva fatto in quel periodo. Certamente la cosa faceva parte, diciamo così, di una terapia, ma a don Bruno aveva creato angoscia, soprattutto il fatto di dover trascrivere al risveglio ciò che avevi sognato, quando è così difficile ricordarsi un sogno al risveglio. M’è venuto in mente questo quando ho ripreso in mano il Vangelo alla riscoperta di san Giuseppe, con una domanda: con quale stato d’animo si sarà svegliato Giuseppe dopo i sogni che si raccontano di lui? Il Vangelo non ci dice niente perché non deve dirci niente sulle cose non importanti. (E intanto mi arriva un messaggio sul cellulare: “Notte piena di sogni a tutti!”). Io so come mi sveglio io alcune mattine! A seconda del sogno (che magari non ricordi nemmeno; oppure vagamente) quel mattino sei magari più contento, hai una bella sensazione; oppure con una sensazione di delusione o l’impressione di non aver riposato bene. Sogni ad occhi chiusi. Sono quelli che ti càpitano e non puoi farci niente. Magari chiedendoti dove vada il cervello di notte a pescare certe connessioni. Ci sono però anche altri sogni: i sogni ad occhi aperti, magari tenendo una biro tra i denti, e gli occhi persi nel vuoto. Questi li costruiamo e li coltiviamo noi. Chissà se anche il “Comune dei giovani” faceva parte di un sogno? Ma … siamo capaci ancora di sogni? Perché se la vita è la realizzazione di un sogno fatto quando si è giovani, se non si sogna non si realizza nemmeno la vita. Purtroppo, a volte, li si coltiva, ma non li si realizza. Cosa ci gioca dentro per impedire questo? San Giuseppe aveva imparato a obbedire a un sogno! A non metterlo troppo in discussione; a non cercare tutte le complicanze. È vero che ci giocano dentro anche le paure; sarà stato così anche per lui, ma non lo hanno bloccato. La nostra vita rischia di essere una lista di occasioni sciupate! “Non abbiate paura del futuro!”, diceva Giovanni Paolo II ai giovani. È altrettanto vero che a volte si porta nel cuore il desiderio di qualcosa di grande da realizzare, ma non è chiaro che cosa; non abbiamo un angelo che ci dice cosa fare. E, a volte, il tempo che passa diventa angosciante. Poi è altrettanto vero che la matassa ingarbugliata quando meno te l’aspetti si sbroglia ed è possibile realizzare il sogno. Nei giorni scorsi, una scienziata parlando a Rai Scuola, raccontava di un progetto scientifico al quale stava lavorando da tempo, ma senza risultati. Un giorno, in fila alla cassa del supermercato, ha come un flash e arriva la soluzione. Ma è altrettanto vero quanto affermava mons. Helder Camara (che è stato qui anche ad Albino per un incontro nell’Aula Magna gremita): “Se uno sogna da solo, il suo rimane un sogno; se il sogno è fatto insieme ad altri, esso è già l’inizio della realtà”. Anche Dio ha un sogno su ognuno dei suoi figli e su questa nostra casa comune. Sarebbe bello condividerlo! Stiamo iniziando un nuovo anno pastorale; sarebbe bello poter condividere anche qualche nostro sogno e vedere se, condiviso, diventa realizzabile. Conosco delle barche che restano in porto per paura che il mare le trascini via con violenza. Conosco delle barche che arrugginiscono in porto per non aver mai rischiato di issare una vela. Conosco delle barche che hanno paura del mare, e onde non le hanno mai portate al largo. Conosco delle barche che restano ad ondeggiare, per essere sicure di non capovolgersi. Conosco delle barche talmente incatenate che hanno dimenticato come liberarsi. Conosco delle barche che si graffiano sulle rotte dell’oceano. Conosco delle barche che escono dal porto in gruppo per affrontare insieme il vento forte. Conosco delle barche che non hanno mai smesso di uscire dal porto ogni giorno della loro vita. Conosco delle barche che tornano lacerate dappertutto, ma più coraggiose e più forti. Conosco delle barche straboccanti di sole perché hanno condiviso viaggi meravigliosi. Conosco delle barche che hanno navigato fino al loro ultimo giorno e sono di nuove pronte a spiegare le loro grandi vele perché hanno un cuore a misura dell’oceano. Buon inizio di questo nuovo cammino

vs. dongiuseppe

Ottobre 2021


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VITA DELLA CHIESA Dal messaggio congiunto per la

CURA DEL CREATO Il primo settembre, in una dichiarazione congiunta in occasione dellla “Giornata del Creato”, il Papa, il Patriarca ecumenico di Costantinopoli e l’arcivescovo di Canterbury invitano a rivedere la gestione delle risorse secondo criteri di sostenibilità, non più secondo la massimizzazione egoistica dei profitti ma guardando alle prossime generazioni e ai più poveri del mondo. L’IMPORTANZA DELLA SOSTENIBILITÀ

Il concetto di custodia — di responsabilità individuale e collettiva per la dote che ci ha dato Dio — costituisce un punto di partenza essenziale per la sostenibilità sociale, economica e ambientale. Nel Nuovo Testamento leggiamo dell’uomo ricco e stolto che accumula una grande abbondanza di grano, dimenticando che la sua vita è limitata (Lc 12, 13-21). Sentiamo del figliol prodigo, che prende prima la sua eredità solo per sperperarla e finire affamato (Lc 15, 11-32). Veniamo messi in guardia dall’adottare opzioni a breve termine, in apparenza poco costose, di costruire sulla sabbia invece di costruire sulla roccia perché la nostra casa comune resista alle tempeste (Mt 7, 24-27). Tali racconti ci invitano ad adottare una visione più ampia e a riconoscere il nostro posto nella lunga storia dell’umanità. Però abbiamo preso la direzione opposta. Abbiamo massimizzato il nostro proprio interesse a scapito delle generazioni future. Concentrandoci sulla nostra ricchezza, scopriamo che i beni a lungo termine, tra cui l’abbondanza della natura, vengono consumati per il vantaggio a breve termine. La tecnologia ha dischiuso nuove possibilità di progresso, ma anche di accumulazione di ricchezza illimitata, e molti di noi si comportano in modi che dimostrano scarsa preoccupazione per le altre persone o per i limiti del pianeta. La natura è resiliente, e tuttavia delicata. Stiamo già assistendo alle conseguenze del nostro rifiuto di proteggerla e preservarla (Gn 2, 15). Ora, in questo momento, abbiamo un’opportunità per pentirci, per voltarci con determinazione, per dirigerci verso la direzione opposta.

L’IMPATTO SULLE PERSONE CHE CONVIVONO CON LA POVERTÀ

L’attuale crisi climatica dice molto su chi siamo e su come vediamo e trattiamo il creato di Dio. Ci troviamo dinanzi a una giustizia severa: perdita di biodiversità, degrado ambientale e cambiamento climatico sono le conseguenze inevitabili delle nostre azioni, poiché abbiamo avidamente consumato più risorse della terra di quanto il pianeta possa sopportare. Ma ci troviamo anche di fronte a una profonda ingiustizia: le persone che subiscono le conseguenze più catastrofiche di tali abusi sono quelle più povere del pianeta e che hanno avuto meno responsabilità nel causarle. Serviamo un Dio di giustizia, che si compiace nella creazione e crea ogni persona a Sua immagine, ma che ascolta anche il grido delle persone povere. Perciò c’è in noi una chiamata innata a rispondere con angoscia quando vediamo questa ingiustizia devastante. Oggi ne stiamo pagando il prezzo. I disastri atmosferici e naturali estremi degli ultimi mesi ci rivelano nuovamente con grande forza e con un grande costo umano che il cambiamento climatico non è soltanto una sfida futura, ma anche una questione di sopravvivenza immediata e urgente. Inondazioni, incendi e siccità diffuse minacciano interi continenti. I livelli dei mari aumentano, costringendo intere comunità a trasferirsi; cicloni devastano intere regioni, rovinando vite e mezzi di sussistenza. L’acqua

è diventata scarsa e le scorte di cibo sono incerte, causando conflitto e dislocazione per milioni di persone. Lo abbiamo già visto in luoghi dove le persone dipendono da proprietà agricole di piccola scala. Oggi lo vediamo nei Paesi più industrializzati, dove anche le infrastrutture sofisticate non possono impedire completamente la distruzione straordinaria. Domani potrebbe andare peggio. I bambini e gli adolescenti d’oggi si troveranno di fronte a conseguenze catastrofiche se non ci assumiamo adesso la responsabilità, come «collaboratori di Dio» (Gn 2, 4–7), di sostenere il nostro mondo. Sentiamo spesso di giovani che comprendono che il loro futuro è minacciato. Per il loro bene, dobbiamo scegliere di mangiare, viaggiare, spendere, investire e vivere in modo diverso, pensando non solo all’interesse e ai guadagni immediati, ma anche ai benefici futuri. Ci pentiamo dei peccati della nostra generazione. Siamo al fianco dei nostri fratelli e sorelle più giovani in tutto il mondo in devota preghiera e azione impegnata, per un futuro che corrisponda sempre più alle promesse di Dio.

L’IMPERATIVO DELLA COOPERAZIONE

Questo comporta fare dei cambiamenti. Ognuno di noi, individualmente, deve assumersi la responsabilità di come vengono usate le nostre risorse. A quanti hanno responsabilità più grandi - a


VITA DELLA CHIESA

Fra Placido Cortese “servo di Dio”

capo di amministrazioni, gestendo aziende, impiegando persone o investendo fondi noi diciamo: scegliete profitti incentrati sulle persone; fate sacrifici a breve termine per salvaguardare il futuro di tutti noi; diventate leader nella transizione verso economie giuste e sostenibili. «A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto» (Lc 12, 48). Questa è la prima volta che noi tre ci sentiamo costretti ad affrontare insieme l’urgenza della sostenibilità ambientale, il suo impatto sulla povertà persistente e l’importanza della cooperazione mondiale. Insieme, a nome delle nostre comunità, facciamo appello al cuore e alla mente di ogni cristiano, di ogni credente e di ogni persona di buona volontà. Preghiamo per i nostri leader che si riuniranno per decidere il futuro del nostro pianeta e dei suoi abitanti. Ancora una volta ricordiamo la Scrittura: «Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza» (Dt 30, 19). Scegliere la vita significa fare sacrifici ed esercitare autocontrollo. Tutti noi - chiunque e ovunque siamo - possiamo avere un ruolo nel modificare la nostra risposta collettiva alla minaccia senza precedenti del cambiamento climatico e del degrado ambientale. Prendersi cura del creato di Dio è un mandato spirituale che esige una risposta d’impegno. Questo è un momento critico. Ne va del futuro dei nostri figli e della nostra casa comune.

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Nicolò Cortese nasce a Cherso (Cres, capoluogo dell’omonima isola nel golfo del Quarnaro) il 7 marzo 1907. Entra in seminario dai francescani conventuali. Con il nome di fra Placido, dopo l’ordinazione sacerdotale (6 giugno 1930), svolge il suo apostolato nella basilica del Santo a Padova e, nel 1937 diviene direttore del Messaggero di Sant’Antonio, del quale riesce ad incrementare significativamente gli abbonati, portandoli da 200.000 ai circa 800.000 del 1943. Proprio dagli editoriali del giornale di quei tempi si capisce che il giovane religioso era ben “allineato” alla cultura dell’epoca: invettive contro la “Russia comunista”, appoggio ai fascisti spagnoli. Nel 1942 Frate Placido è incaricato dell’assistenza religiosa ai prigionieri, militari, politici, internati nel campo di Chiesanuova, un sobborgo di Padova. Erano 30003500 soprattutto sloveni e croati, deportati a seguito dello smembramento della Jugoslavia seguito all’invasione nazifascista e alla nascita in loco dei movimenti di resistenza. Poteva pensare che i prigionieri fossero tutti “partigiani comunisti”, ma, mentre l’esercito italiano mette quelle zone “A ferro e fuoco” (https://www.occupazioneitalianajugoslavia41-43.it/ ), in fra Placido cadono i pregiudizi e prevale la carità, che, come francescano, già esercitava in Basilica. P. Placido visita i prigionieri spesso con la sua bicicletta, parla la loro lingua (molti provengono dalla sua terra, l’Istria); porta indumenti, cibo, pane, lettere e pacchi dei familiari, nascondendo tutto sotto la tonaca. Dopo l’8 settembre 1943, si impegna attivamente per aiutare ebrei e ricercati dal regime nazifascista. Si organizza una trafila di servizi clandestini. Da Padova la via della fuga in Svizzera passa per Milano, tramite padre Carlo Varischi e il prof. Ezio Franceschini dell›Università Cattolica. La collaborazione tra il rettore Concetto Marchesi all’Università di Padova (https://www.ottocentenariouniversitadipadova.it/ storia/il-discorso-di-concetto-marchesi-dinaugurazione-del-722-anno-accademico/) e Franceschini all’Università Cattolica di Milano fa nascere l’organizzazione FRAMA. Placido Cortese è anche in contatto con quel clero padovano che si impegna attivamente fino a prendere le armi a fianco dei partigiani. Viene tradito da due infiltrati nell’organizzazione. L’8 ottobre 1944 è arrestato e trasferito nel bunker della Gestapo di piazza Oberdan a Trieste dove viene sottoposto a tortura fino a morire; viene forse cremato nel campo della Risiera di San Sabba. Il 29 gennaio 2002 il vescovo della diocesi di Trieste Eugenio Ravignani dà inizio al processo di beatificazione. Papa Francesco, per ora, lo riconosce Servo di Dio il 30 agosto 2021. Alla memoria di Placido Cortese è stata conferita, dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la medaglia d’oro al merito civile consegnata nella pontificia Basilica di Sant’Antonio di Padova dal Presidente stesso l›8 febbraio 2018, con la seguente motivazione: «Direttore del Messaggero di S. Antonio, durante la seconda guerra mondiale nel periodo della resistenza si prodigò, con straordinario impegno caritatevole e nonostante i notevoli rischi personali, in favore di prigionieri internati in un vicino campo di concentramento, fornendo loro viveri, indumenti e denaro. Dopo l’8 settembre 1943 entrò a far parte di un gruppo clandestino legato alla resistenza, riuscendo a far fuggire all’estero numerosi cittadini ebrei e soldati alleati, procurando loro documenti falsi. Per tale attività nel 1944 fu arrestato e trasferito nel carcere di Trieste, dal quale non fece più ritorno. Fulgido esempio di alti valori cristiani e di dedizione al servizio della società civile». Una più ampia biografia in www.vocazionefrancescana.org/p

Settembre 2021


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EDUCAZIONE PREVENZIONE PER COMBATTERE ALCOOL E DROGHE

Don Chino Pezzoli

Quando la droga entra nella tua casa Rubrica a cura del Centro di Ascolto e Auto-Aiuto “Promozione Umana” di don Chino Pezzoli. La nostra storia può essere uguale a quella di tante famiglie che hanno avuto o hanno figli con problemi di tossicodipendenza. Un figlio, un po’ debole, superficiale nelle scelte importanti, poco convinto di valere quanto i suoi compagni, a un certo punto rompe le briglie, infrange le regole di casa, non fa propri alcuni valori irrinunciabili della famiglia, evade e cerca modelli di comportamento diversi; sceglie la trasgressione e si identifica in amici che agiscono all’insegna di essa. Come genitori ci preoccupiamo, pensando a qualche sbandata tipica dell’adolescenza e vigiliamo… forse non abbastanza, interveniamo con i nostri consigli, con discussioni e punizioni che non migliorano la situazione anzi, al contrario ci allontanano sempre di più dal dialogo. Sempre più allarmati da una situazione che si fa ogni giorno più critica, vediamo nostro figlio scivolare via, trasformarsi nell’umore, manifestarsi sempre più scontroso e scontento, sempre più lontano dagli affetti più cari…. ormai irraggiungibile. Sì perché da tempo la sua testa è altrove. Le situazioni sono sempre meno chiare e ingarbugliate, bugie si accumulano ad altre bugie, le fughe da casa fanno piombare la famiglia nella disperazione. Che fine ha fatto nostro figlio? Che disagio sta vivendo? Si droga davvero? All’interno della famiglia la crisi si fa sempre più forte, il senso di sconfitta e fallimento lacerano e sconvolgono nel profondo e un’amarezza sconfinate pervade tutti noi. Un giorno in chiesa abbiamo trovato un volantino che offriva indicazioni sul problema “Droga e alcool”, facendo riferimento al Centro di ascolto di Fiorano al Serio Promozione Umana. Ci segniamo gli orari di apertura (lunedì e mercoledì dalle 14.30 alle 16.30) e ci rechiamo ad un primo appuntamento. Incontriamo la

psicologa e psicoterapeuta del centro e così inizia il nostro percorso che si arricchisce con incontri di auto aiuto nel gruppo che si riunisce ogni mercoledì sera dalle 20.30 alle 22.30, guidati dalla psicologa e che ci permette di incontrare altre famiglie e ragazzi che hanno terminato il programma terapeutico di recupero nelle comunità di don Chino Pezzoli. Far parte di un gruppo di auto aiuto, inizialmente provoca un certo imbarazzo, si fatica a parlare del proprio problema, ma pian piano, ci si sente accolti e ascoltati da genitori con le stesse sofferenze, ci si confronta con i volontari e con ex tossicodipendenti, con professionisti che aiutano a conoscere a fondo il problema delle dipendenze. L’inizio del percorso è stato duro e doloroso, ma la schiettezza e la vicinanza delle persone, ci hanno permesso di mettere a fuoco la gravità del problema e ci ha portati a non accettare più di convivere con una persona imprigionata dalla droga. Così inizia il percorso di riabilitazione di nostro figlio, come unica alternativa alla morte. Ogni sera, ormai da anni, ci si incontra iniziando con un saluto di benvenuto

CENTRO DI ASCOLTO E AUTO-AIUTO “PROMOZIONE UMANA” di don Chino Pezzoli

Via Donatori di Sangue 13 Fiorano al Serio - Tel. 035 712913 Cell. 3388658461 (Michele) centrodiascoltofiorano@virgilio.it Facebook @centrodiascoltofiorano INCONTRI GENITORI mercoledì dalle 20.30 alle 22.30

che ci piace trascrivere: “Benvenuto in questo gruppo di ascolto composto da familiari, parenti e amici di tossicodipendenti. Sino a ieri combattevi le tue battaglie e vivevi il tuo dolore in completa solitudine: oggi, fra noi, hai trovato degli amici che, vivendo o avendo vissuto il tuo stesso problema, si riuniscono con il solo ed unico scopo di offrire e ricevere la solidarietà e l’appoggio indispensabili nella ricerca di una soluzione al dramma comune. Apri il tuo cuore e racconta le tue difficoltà con la massima tranquillità: non sarai mai giudicato per le tue debolezze, ti verrà semplicemente offerta l’esperienza altrui e soprattutto la massima comprensione. Ma ciò che più conta è che tutto ciò che dirai, rimarrà sempre fra noi e le pareti di questa stanza. Il cammino sarà lungo e difficile, ma la posta in gioco è troppo alta: la salvezza del tuo familiare ti ripagherà di tutti i sacrifici che sarai chiamato a compiere. Ciò che deve sostenerti è la certezza che in questo cammino non sarai mai più solo se avrai fiducia nel gruppo”. Grazie a don Chino e don Mario per aver costruito tanto bene. Don Chino, con don Mario, celebrerà in Prepositurale Domenica 17 ottobre alle 10.30


EDUCAZIONE

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STORIE DI FORMICHE Per ingannare l’attesa di moglie e figli alla stazione, e per tener d’occhio la macchina parcheggiata un po’ malino, mi siedo su una panchina all’ombra, sotto la pensilina da dove partono i bus per i dintorni di Cogoleto. La temperatura, anche all’ombra, è abbastanza alta, c’è afa e l’aria è pesante, umida. In questi casi ogni motivo di distrazione, anche il più banale, serve per illudersi di provare meno caldo e che il tempo passi più in fretta. Volutamente evito di armeggiare con il telefono, passatempo troppo scontato e abituale, ormai istintivo e compulsivo per quanti -grandi e piccini- siano costretti ad attendere, non importa per quanto. Preferisco guardarmi intorno e, perché no, anche in terra. Abbassando lo sguardo noto, sul cordolo dell’aiuola che delimita la pensilina, due file di formiche. Per via delle erbacce lasciate crescere e delle stoppie secche non riesco a vedere da dove partono e dove arrivano, forse dai loro formicai, ma quel che è certo è che descrivono un percorso ad angolo retto lungo in totale circa tre metri, proprio sul cordolo. Sono disposte su due file: una per ogni senso di marcia; non trasportano nulla, almeno per quanto riesco a vedere; da un punto non bene identificato che chiamerò A, si dirigono verso un punto altrettanto non identificato che chiamerò B. Quello che mi impressiona è la frenesia con cui percorrono il loro tragitto, senza sosta, instancabilmente. Ma ancora di più mi incuriosisce il fatto che, procedendo in due sensi di marcia, molto spesso le formiche delle due file danno vita a tantissimi “tamponamenti” ma anche a tantissimi, minuscoli “frontali”; poi, all’istante, dopo un lieve contraccolpo che le spinge indietro proprio come se fossero delle macchinine, riprendono la loro marcia come se niente fosse. Mi diverto a pensare agli improperi delle formiche coinvolte in questi scontri continui, immaginando quelle nuvolette con gli strani segni di rabbia e stizza utilizzate dai disegnatori di fumetti. Alcune di loro però, non so dire se si tratti delle più sveglie, delle più giovani o più pronte di riflessi, all’ultimo istante si scartano e riescono ad evitare la formica proveniente in direzione opposta, deviando a destra o a sinistra. La manovra tuttavia non riesce sempre: se riescono ad evitare miracolosamente un frontale o due non sfuggono al terzo, né al quarto. E poi, di nuovo, in marcia, ciascuna per la sua strada. Le più temerarie viaggiano sullo spigolo esterno del cordolo, sfidando la legge di gravità, e così seguono una loro “corsia preferenziale”, più pericolosa ma sicuramente meno trafficata. È meno facile che si scontrino con le altre ma rischiano molto di più, ad esempio di perdere in aderenza e di cadere. Il cordolo è largo una ventina di centimetri ma le due file di formiche ne occupano solamente una porzione limitata, quella verso l’esterno, tracciando le due traiettorie vicinissime allo spigolo. Potrebbero lasciare più spazio tra una corsia e l’altra, così gli scontri sarebbero meno frequenti o addirittura nulli. Invece le due corsie sono molto ravvicinate, come se le formiche vo-

lessero economizzare lo spazio, scegliere la via più breve, o viaggiare su due file così vicine da scontrasi apposta; come se non volessero evitare il contatto... Forse nei loro incontri-scontri hanno modo di scambiarsi informazioni, di lamentarsi del caldo e della fatica, chissà...Scusate la deformazione professionale, ma mi viene in mente a proposito una similitudine dantesca che incontriamo in Purgatorio XXVI (vv. 34-36); nell’ultima cornice della montagna purgatoriale Dante incontra due schiere di lussuriosi che camminano nel fuoco in due sensi di marcia ed ogni volta che si incontrano si fanno festa a vicenda. Dante li paragona proprio a due schiere di formiche: così per entro loro schiera bruna | s’ammusa l’una con l’altra formica, | forse a spïar lor via e lor fortuna. Mi chiedo anche quale sia il loro numero; e cioè se le formiche impegnate in questo andirivieni siano le stesse che, una volta giunte a destinazione nel punto A, ripartano subito per il punto B, per un numero imprecisato di viaggi. Oppure se le formiche siano così numerose da far partire e ripartire sempre nuove viaggiatrici, mentre le altre, una volta arrivate stanche ad uno dei due punti, non si fermino ad espletare qualche altra incombenza. Ma come fare a contarle? Occorrerebbe identificarle, riconoscerle... Prolungandosi l’attesa le considerazioni a ruota libera si fanno sempre più bizzarre. Vi risparmio quelle che muovono dalla storica analogia formiche=esseri umani, instaurando una serie di paragoni tra la società delle formiche e la nostra, così ricca di incontri-scontri. La mente va alle giornate estive -quelle da bollino nero- nelle quali milioni di automobilisti si mettono in strada, sulla loro corsia, per finire a volte di scontrarsi con altri automobilisti o di perdere addirittura la vita (cosa che, a prima vista, non capita alle formiche). Che le formiche siano più resistenti, o come si dice ora resilienti, degli esseri umani? Che abbiano degli “air bag” naturali -magari le loro antenne- più efficienti dei nostri? Oppure che si urtino in modo più “gentile”? Mentre penso all’opportunità di approfondire la questione, magari guardando in televisione un documentario naturalistico che riprenda con telecamere ad alta definizione il viaggio delle formiche, ecco arrivare i miei. L’attesa, finalmente, termina e lascia le mie curiosità sul popolo delle formiche temporaneamente insoddisfatte. Almeno fino a quando dovrò attendere di nuovo. Enzo Noris

Ottobre 2021


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ESPERIENZE EDUCATIVE

Campo estivo 2021 Dal 22 al 28 di luglio, noi guide di Albino, siamo state messe a dura prova dal… Campo estivo! Il 22 siamo arrivate a Colico in treno e, nonostante la pioggia, siamo salite al campo Kelly, dove abbiamo montato tende e brandine. Il primo giorno lo abbiamo passato così, costruendo quella che per una settimana sarebbe stata la nostra casa. Anche il secondo giorno ci siamo impegnate nelle costruzioni della cucina rialzata e delle ultime brandine. Al pomeriggio le capo ci hanno chiamato e ci hanno presentato il tema del campo: Il Signore degli Anelli. Durante gli altri giorni ci siamo divertite con i giochi che le capo avevano preparato per noi, abbiamo salvato Frodo e Sam dagli Orchi, affrontato gli spaventosi Uruk-hai di notte e, infine, gettato l’Anello del potere nel monte Fato. La cosa più bella del campo è stato il rapporto stupendo che si è creato tra noi guide. Nonostante la nostalgia che ogni tanto si faceva sentire, soprattutto nelle più piccole, e le litigate che ogni tanto servono, ci siamo sostenute e aiutate sempre nelle dif-

ficoltà. Ad esempio, nell’uscita di squadriglia il temporale ci ha colto alla sprovvista e noi siamo riuscite a restare allegre grazie alle nostre doti canore super sviluppate e ai discorsi d’incoraggiamento alla Aragorn. Durante tutta la durata del Campo siamo state messe a dura prova dalle zecche, ma soprattutto della pioggia che ha battuto incessantemente ogni giorno. Nonostante tutto siamo riuscite anche a fare un bagno al lago e a cucinare ogni giorno sul fuoco,

certe volte abbiamo fatto il bivacco all’interno di una casa ma il maltempo non ci ha mai fermate, e anzi ci ha fatto muovere anche la notte, perché l’acqua aveva innaffiato tutte le brandine. Il campo estivo è terminato con la vittoria della Squadriglia Alci e… con un treno perso, ma noi non ci siamo abbattute e abbiamo aspettato il successivo, e ora siamo qui nelle nostre case a raccontare della bellissima avventura che abbiamo affrontato. Volpe fidata


ORATORIO

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Dove la vita accade Settembre. Tempo di ripartenze. E con il Covid queste si fanno cariche di nuove e altre sfaccettature. Sono giorni in cui lo sguardo in avanti è gravido di calendari, programmazioni, normative, domande, sogni. L’altro sguardo, quello indietro, invece, è carico di gratitudine, risonanze, gioia. La vita che è accaduta dentro questa estate è stata ancora una volta segnata da norme e timori pur dentro la consapevolezza di un anno in cui non è mancata la passione di tanti gesti, proposte e incontri vissuti insieme. La vita accade in presenza (a proposito merita la lettura il bell’articolo del buon D’Avenia intitolato, appunto, “In presenza”). E la vita chiede, costantemente il nostro “eccomi”, la nostra presenza integrale, portandoci dentro e dietro tutto quello che siamo. Accade, la vita, così come arriva. O come la riceviamo quando ci (ac)cade addosso. O come proviamo a farla accadere. O come poi la riguardiamo. O come ci sorprende dentro l’inedito di ciò che non avevamo previsto. Chiede insistentemente che pronunciamo il nostro nome: dentro il tempo, dentro i luoghi e, soprattutto, dentro i legami. Quest’anno il calendario ci ha imposto un memoriale collettivo in occasione dei vent’anni dall’attentato alle Torri gemelle: una lunga cerimonia audio visiva ci ha accompagnato a ripercorrere quell’undici settembre del duemilauno. Tantissimi punti di vista diversi hanno registrato quel tragico evento consegnandoci archivi di tracce e ricordi. E a tantissimi di noi sono tornati alla memoria dettagli incancellabili. Quell’evento ha segnato un obbligo alla memoria: ognuno si ricorda dove era, cosa stava facendo, con chi era, come e quando l’ha saputo… Ecco mi pare che sia un ulteriore richiamo a sentire la vita nella sua pienezza, ad apprezzarne il dono che è sempre nella sua forza fragile, ad immergerci in quelle esperienze che ci permettono di intrecciare la nostra vita con quella degli altri.

E come non sottolineare, allora, la bellezza di quel luogo che le nostre comunità hanno scelto, valorizzato e custodito: l’oratorio! Questa casa tra le case in cui sperimentarsi in presenza: nella catechesi, nel gioco, nell’incontro, nel servizio, nell’abitare, nel condividere, nel crescere, nella preghiera, nell’ascoltarsi, nello stare insieme, nel riposare. Nel rendersi presenti gli uni agli altri, con gli altri e per gli altri. Offrire e accogliere presenze. Lo sa bene padre Pino Puglisi, parroco di Brancaccio, che proprio il 15 settembre veniva ucciso di fronte alla porta di casa nel giorno del suo compleanno. Lui che aveva scelto una presenza umile, appassionata, vicina, concreta e nascosta in quel quartiere così poco da cartolina di Palermo. E la sua vita, che è stata un inno alla vita, si chiude con quel “me l’aspettavo” rivolto ai suoi sicari: una presenza, la sua, capace di attendere e amare, fino alla fine. È questione di cura. Come di cura si tratta quando accediamo a quello spazio in cui accadono tantissime cose che è l’esperienza della scuola. “Ogni mattina, durante l’appello, guardo i miei studenti, uno per uno. Loro si spazientiscono. “Dai prof, è una tortura, perché lo fa?”. E io rispondo: perché voi siete più importanti della lezione. Curare le relazioni è la forma dell’amore nel nostro tempo veloce, fatto tutto di prestazioni anziché di presenze”. (Alessandro d’Avenia). Così ci auguriamo di percorrere insieme questo nuovo anno!

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ORATORIO Ce lo siamo detti tante volte: “Prima o poi, comunque, ad Assisi si va!”. E, alla fine, qualche giorno prima dell’inizio della scuola, ce l’abbiamo fatta. Certo la proposta è arrivata un po’ all’ultimo, negli ultimi giorni di vacanza prima delle superiori, in giorni che per alcuni erano già pieni mentre per altri erano volutamente scarichi per godersi le ultime ferie… eppure, per chi c’è stato, sono stati giorni belli e intensi. Nonostante sia un’esperienza che compie vent’anni per la nostra comunità per chi partecipa c’è sempre l’incognita di come sarà: “quando ho deciso di venire ad Assisi ho pensato che avremmo solo camminato” o “sono partita senza sapere minimamente cosa mi sarebbe aspettato”. E poi accade che Assisi, la vicenda di Francesco e Chiara, l’entusiasmo del gruppo, il tanto tempo condiviso sono motori che permettono sempre un decollo e un volo splendido! “Ho cercato di vivere questi tre giorni al massimo, godendomi tutto: ogni risata, ogni parola, ogni racconto, ogni insegnamento, ogni preghiera, ogni dipinto, ogni canzone…”. In questi giorni sui luoghi di Francesco abbiamo avuto anche la fortuna di ascoltare le testimonianze appassionate di due frati che rimarranno forti nella nostra memoria. Per cui grazie a chi c’è stato e a chi ha accompagnato! Siamo stati pellegrini in cerca di bellezza, di Francesco, di amicizie da custodire o scoprire, di senso delle cose, di domande e di gioia. Incontri che fanno bene. Tempi condivisi che fanno respirare. Passi che ritrovano quelli di Francesco e Chiara. Chilometri di parole, riflessioni, ascolti, canti, sorrisi. E con un gran bel tuffo finale prima di iniziare a nuotare a pieno titolo nel mondo degli ado. Per cui grazie!


ORATORIO

SUI PASSI DI FRANCESCO Pellegrinaggio ad Assisi degli ado 2007 (ormai ex terza media)

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VITA PARROCHIALE Un nuovo crollo a Sant’Anna, questa volta non sulla pubblica via ma di parte di una gronda in uno dei chiostri dell’ex convento, quello che fino a qualche anno fa ospitava l’arena estiva di cinema all’aperto, ultimo utilizzo della struttura prima che l’abbandono ultraventennale del grande immobile lo conducesse a un inesorabile degrado, accelerato anche da saltuarie incursioni vandaliche. La scoperta del crollo è stata rilevata lo scorso 20 agosto dal custode della chiesa di sant’Anna che periodicamente butta un occhio anche sull’adiacente ex convento. Se da un lato la parte parrocchiale del complesso (chiesa, torre campanaria, coro, salone e pertinenze), grazie alle attenzioni dei volontari della parrocchia, è tuttora in buono stato di conservazione, la parte acquisita da privati pare abiti nella dimenticanza come tanta parte del patrimonio storico (e no) albinese - cosa che non consola - e non si colgono segni di inversioni di rotta. E tutto questo è un grande grande dispiacere comune a molte persone che quel luogo, avendolo abitato e vissuto, lo hanno nel cuore. Per vincere la rassegnazione facciamo un passo indietro e, per sperare, uno in avanti: cosa è stato e cosa ha rappresentato il convento di sant’Anna e in particolare l’oratorio femminile? E quali idee potrebbero trovare terreno fertile per un futuro di rinascita?

LE RAGAZZE DI SANT’ANNA Vivono ancora, nella memoria e nella storia, alcune delle migliaia di ragazze che sono passate in quasi 150 anni nell’oratorio femminile di via S. Anna ad Albino, oggi ridotto, come il monasteroconvento, a mura cadenti e cortili regno di erbacce. Si può dire che quasi tutte le ragazze di Albino capoluogo, dal 1855 al 1997, hanno frequentato quei luoghi, accolte dalle suore Figlie del Sacro Cuore di Gesù, la congregazione della bergamasca santa Verzeri. Alcune ragazze divennero suore e ora, poco a poco, si vanno estinguendo; l’ultima recentemente scomparsa a 96 anni, nata il 17 ottobre 1924, è suor Letizia Magoni. Poche tracce hanno lasciato le ragazze dei primi settant’anni. Di loro poche parole nelle Memorie scritte del Convento di S. Anna, quaderni ora, dopo la chiusura del convento, custoditi nell’archivio di quello di Verona. Eppure lì sono state educate: come documenta Giampiero Tiraboschi nel suo libro Il monastero di San’An-

na in Albino, edizioni Fantagrafia del 2011, nel convento si riunivano varie congregazioni femminili: dal 1884 la Pia Unione delle Figlie di Maria, più tardi il circolo Femminile Cattolico Maria Immacolata, fino al 1931, poi Gioventù Femminile di A. C.; prima ancora invece la Pia Unione delle Madri Cristiane «allo scopo di formare spose e madri fedeli, caritatevoli, caste, diligenti nell’educazione cristiana dei figli».

Con papa Pio XI in tutte le parrocchie italiane si diffonde, per costituire la base formativa della Chiesa totalitaria e distinta dal fascismo che il papa propugnava, l’Azione Cattolica, nei rami maschili e femminili, della Gioventù e delle Donne. Fra le dirigenti dell’associazione si distinguono le tre sorelle Bosis, Bianca, presidente, Erminia e Cesarina. (vedi nella foto sotto, del 1930 circa, con l’assistente don Giu-


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seppe Bergamo, da sinistra Maria Ambrosini, Teresina Ceroni, Bianca Bosis, Zaira Calvi, Erminia Bosis, Teresa Spinelli, e, in piedi, da destra Angela Pegurri, Teresa Gregis, Lia Carrara, Cesarina Bosis, Virginia Acerbis, Annetta Bulandi, la sorella della Emilia dell’edicola Buona stampa, e Giuditta Schena). Alla fine degli anni ‘30 la dirigente della Gioventù femminile è Cesarina Bosis, che raccoglie tutta la gioventù femminile della parrocchia intorno al prevosto don Pietro Gamba, alla sinistra dello stesso, per la visita di una dirigente del Centro diocesano di Azione Cattolica. Nella foto in alto, gli albinesi autoctoni, indigeni, non di famiglie qui immigrate negli ultimi settant’anni, possono trovare i volti delle loro madri, nonne e zie: gli albinesi storici discendono da queste ragazze. Possiamo distinguerne bene al-

cune. Innanzitutto, in alto a sinistra, la ragazza, con una giacca bianca, che alza, sorridente, la bandiera italiana: è Vittorina Testa, cresciuta in un caseggiato poco distante da via S. Anna, vicino alla ferrovia, al fiume Serio e alla casa della Roggia in cui abitava l’amica Cornelia “Mimma” Quarti, trasferitasi nel 1931 a Bergamo, con la famiglia e il fratello Bruno, divenuti in seguito protagonisti più importanti della resistenza antifascista bergamasca e italiana. Vittorina e i suoi figli, in ricordo di Mimma, con lo stesso “nome” chiameranno una delle loro congiunte, dopo che Vittorina, sposata da Guido Acerbis ebbe con lui i figli Carlo (1941-2009), disegnatore sopraffino di interni, Benvenuto (1943), architetto, Maria (1945), sposatasi fuori Albino, Franco (1946), fondatore dell’Acerbis plastica, ora Acerbis Italia, Alba (1948), ora fuori Albino, Dante

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(1951), fondatore dello Sportissimo e dell’Atletica a Bergamo, Irma “Mimma” (1953), Teresa (1956) e Anna (1960), tutte ora fuori di Albino, due attrici televisive e di teatro, l’ultima in Francia. Tutta questa famiglia fu cresciuta da sola dalla “madre coraggio” Vittorina quando nel 1963 il marito Guido morì. Altre storie albinesi racconterebbero i volti delle ragazze ritratte alla fine degli anni ’30. Limitiamoci a segnalare, lasciando ciascuno alla ricerca del suo volto familiare, nelle prime file, le sorelle Acerbis, Vittoria Fernanda (1921) e Teresa Luigia (1925), sorelle di Elia e Aurelio Acerbis, poi religiose; Giuditta Goisis, Anselmina Milanese, sorella di Libio, Camilla Belotti, Caterina Calvi, Rosina Spinelli, poi sposatasi con Giuseppe Birolini “Toma”; nel gruppo più lontano è ancora presente Bianca Bosis.

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VITA PARROCHIALE Nel 1942, su disposizione del vescovo mons. Bernareggi, l’oratorio femminile si dà un dettagliato regolamento; più che analizzarlo val la pena di sottolineare che nell’oratorio e nel convento era negato l’ingresso ai maschi, salvo che per necessità di lavoro; era il periodo in cui, anche in chiesa parrocchiale, uomini e donne avevano due lati e ingressi separati. Tuttavia la clausura dell’oratorio fu infranta una domenica pomeriggio, giorno di piena affluenza all’oratorio femminile, anche per la rappresentazione di spettacoli teatrali. Racconta l’episodio il poeta dialettale Zio Pacèco, Francesco Minelli, nella sua poesia “Scandol ‘ndel convent”, qui riportata in alcune parti: Per quach feste dopo l’epifania, sobet appena finìt dutrina tocc i sa che le figlie di Maria i rappresenta un’operina. I scète i cor versa ol convent per viga sto sano divertiment. Issé i signorine i se ritira ‘ndel pio bel de l’oselanda, e i poer zuègn, ‘ntat i gira senza pudì pasaga ‘nbanda. Issè la porta stracia del convent l’è sempre istacia una barriera. Ma alcuni giovani intraprendenti si travestono e truccano da ragazze e riescono nella ressa ad entrare e sul più bello della rappresentazione teatrale, Ol zuèn vestit de scèta a ‘lsalta ‘npé sola banchèta po ‘derv i’svelt la boca: “So scèt del Daina, ol giornaler e adess v’otre, fi por ol vost doer”. Una suora Alura la gh’è dis a ona sorèla Suné prest la campanela. Ol Gustavo la est la mal parada e ‘lva de fo so ‘l portegat; amò du pass, po l’è ‘nde strada. Che l’oter invece senza moestass a ‘lse lasa ciapà per un’orègia. Per la cronaca i protagonisti ma-

schili dello scandalo in convento sono Enzo Daina, in seguito fondatore del Centro dentistico di Nembro, e Gustavo Carrara, alpinista, cineamatore, musicologo, recentemente scomparso. Nel dopoguerra ad animare le attività sportive dell’oratorio di Sant’Anna si distingue Antonia Petteni; nel suo fascicolo manoscritto “La mia parrocchia”, redatto nel 1953, scrive: «Le fanciulle e le giovani si raccolgono in un Oratorio, purtroppo meno attrezzato del maschile, presso le Figlie del Sacro Cuore; un miglioramento della frequenza da parte delle bambine si è ultimamente riscontrato, dovuto soprattutto all’impegno posto dalle iscritte all’azione Cattolica e alla F.A.R.I. (Federazione Attività Ricreative Italiane) e dalle Reverende Suore». Le attività sportive femminili hanno un impulso dal 1961, con il nuovo prevosto, don Antonio Milesi, arrivato dalla parrocchia della Malpensata, in cui le ragazze praticavano anche la pallacanestro: ad Albino, nell’oratorio, era già presente una squadra di pallavolo con protagoniste Mariolina Petteni, Bruna Piazzoli, Vanni Bergaminelli, Sandra Busetti, Fernanda Casari. A

questa Antonia Petteni chiese di rendersi disponibile quale animatrice e presidente della squadra di pallacanestro Edelweiss e tale fu dal 1963 fino al 1974. Nello spesso periodo, dall’immediato dopoguerra, figura eminente dell’oratorio femminile, dopo le presidenti della G. F. Teresa Acerbis e Giovanna Fiori, poi religiosa, e Maria Birolini, è Giuseppina Signori, la “Bepi” (1930-1992), prima delegata delle beniamine di Azione cattolica e negli anni ‘60 presidente della Gioventù femminile. Il suo programma associativo e il suo stile personale, non avevano al centro le attività, ma potevano essere riassunti in un motto contenuto del libro L’anima dell’apostolato dell’abate Chautard, ben conosciuto in quegli anni: «L’azione dev’essere soltanto effusione della vita interiore». La sua fu una maternità spirituale. In alto, nella foto di gruppo del 1948, in occasione del 30° di fondazione della Gioventù femminile, Bepi Signori è al centro. Nella prima fila in piedi, alla sua destra l’amica Linda Usubelli, Antonia Petteni, Teresa Acerbis, Luigina Artifoni; alla sua sinistra Antonia Carrara, Gritti, Gandossi, Massieri poi suor


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Fiorenza, Carolina Ambrosini. Nella seconda fila da sinistra, Gritti, Maria Vedovati, Anna Ambrosini, Roncoroni, Sala, Teresa Birolini, non identificata, Cesarina Bosis; sedute, da sinistra Carmelina Carrara, Rina Azzola, Angela Ambrosini, Fernanda Ambrosini, Giuliana Paladini, poi religiosa, Carrara, Luisa Poloni. A destra, nella foto delle pallavoliste dell’Edelweiss, sul campo in porfido dell’oratorio e della scuola di S. Anna, da sinistra, Lucia Carrara, poi religiosa, Giuliana Azzola, Lucia Carrara, Bepi Signori, Elisa Gatti, Anna Carrara, Fernanda Casari, in basso Paola Bergamo e M. Teresa Birolini. Dalla metà degli anni ‘70, l’oratorio Giovanni XXIII da maschile diventa promiscuo e l’oratorio di S. Anna perde la sua funzione,

non prima che altre ragazze raccogliessero la testimonianza delle Figlie del Sacro Cuore: Aurelia Spinelli, Giuliana Mignani, Rosi Capitanio e Laura Goisis.

Dai grandi spazi dell’ex convento, ora abbandonati, anche i muri che cedono lanciano un grido d’aiuto per sollecitare che non vada irrimediabilmente perso un patrimonio di una comunità e che a sant’Anna riprenda la vita. Pure l’emergenza sanitaria che stiamo sperimentando suggerisce un utilizzo: perché no una “Casa della Comunità”? I tre grandi cortili come nuove piazze collegate al paese; la destinazione d’uso degli ambienti a servizio di nuove esigenze sociali come ad esempio mini alloggi per anziani autosufficienti, valorizzando così risorse umane da non relegare in strutture ma libere in spazi protetti e aperti alla città; uno stabile presidio medico a servizio del territorio. Utopia o risposta a bisogni effettivi? Impariamo a guardare lontano e a non avere paura delle sfide che questo tempo ci pone

Progetti per Sant’Anna?

«L’Ats, Agenzia per la tutela della salute di Bergamo sta raccogliendo da parte di enti pubblici e provati, soggetti istituzionali e realtà sanitarie e socio sanitarie, progetti per iniziative legate al Piano Nazionale di Ripresa e resilienza in campo sanitario (ingente è lo stanziamento di fondi per il potenziamento della medicina territoriale, come case di comunità. I progetti che l’Ats sta raccogliendo verranno poi sottoposti all’esame della Regione Lombardia». L’Eco di Bergamo 11 settembre 2021

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VITA PARROCCHIALE

Festa alla Madonna del Pianto Dal 13 al 18 settembre si è celebrato il Settenario della Madonna del Pianto e sabato 18 alle 20.30, dopo un anno di pausa causa pandemia, è torna la processione che precede la festa. Il percorso del corteo religioso è partito dalla Prepositurale per raggiungere il santuario passando dalle vie Duca d’Aosta e Mafalda di Savoia. Nella festa di domenica 19 settembre, sono state celebrate al santuario le messe alle 7.30, 9, 10.30 e 17, alle 10.30 presieduta da don Bruno Ambrosini ri-

cordando la data significativa del suo 60° di ordinazione sacerdotale. Quest’anno il Settenario è stato segnato positivamente anche dalla consegna di sette dipinti ex voto (dei 149 riconducibili a 18 parrocchie bergamasche) sottratti dal santuario della Madonna del Pianto e recuperati dal Nucleo di Monza del Comando Carabinieri tutela Patrimonio culturale, frutto di un’indagine del

2015. La restituzione è avvenuta a Bergamo nella mattina di mercoledì 15 settembre 2021 dove don Fabrizio Rigamonti - Direttore dell’ufficio beni culturali della Diocesi di Bergamo – ha consegnato gli ex voto recuperati a don Giuseppe. Nella foto l’immagine di uno dei dipinti restituiti, un olio su tela datato 1787 in cui è raffigurata la Beata Vergine del Pianto che concede una grazia.

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RICORDO

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Ricordi di suor Letizia Magoni a 97 anni dalla nascita (17 ottobre 1924 - 6 aprile 2021) DA PONTECORVO (FROSINONE) Ci sentivamo spesso con suor Letizia, le faceva molto piacere. Ci chiedeva sempre notizie delle persone che aveva conosciuto a Pontecorvo, si ricordava di tutti e, pur nella sofferenza, la sua mente era rimasta lucidissima. Quando la sentivamo un po’ più affaticata, ci diceva che offriva la sua sofferenza a Gesù, suo sposo, e che le nostre telefonate erano per lei come delle trasfusioni di sangue: la rivitalizzavano. Era contenta che le persone ancora si ricordassero di lei e soprattutto che la sua “creatura”, la Caritas “Porta Aperta”, continuasse a offrire i suoi servizi ai poveri. Non faceva altro che pregare per noi per questa dedizione. Ci ringraziava sempre del servizio che facevamo, mentre eravamo noi che dovevamo ringraziare lei per tutte le cose che ci aveva insegnato: il modo di accogliere le persone, di ascoltarle, di accompagnarle approfondendo i loro problemi al fine di trovare le soluzioni più adatte. Ogni mattina si doveva trovare il tempo per preghiera, la Parola del giorno, di cui ci colpivano profondamente le sue riflessioni. Eravamo coscienti che senza una base spirituale solida non si poteva svolgere il servizio della carità, si rischiava di diventare come un qualsiasi ufficio pubblico, efficiente ma lontano dalla gente. Era forte in lei l’appartenenza alla Chiesa e quindi alla Diocesi in collaborazione attiva con la Caritas diocesana. Infine, l’altra sua priorità era la formazione che curava assiduamente. Ogni mese infatti si teneva un incontro con un relatore esterno e con tutti gli operatori delle Caritas parrocchiali della Zona su argomenti che riguardavano la solidarietà. Suor Letizia Magoni, nacque ad Albino (Bg) il 17 ottobre del 1924, ed entrò giovanissima in convento dove prese la professione perpetua il 15 ottobre del 1955. Dopo il Diploma di Scuola Superiore di Assistente Sociale, prestò il suo servizio in varie parti d’Italia fino a giungere il 13 settembre 1992 a Pontecorvo. Qui incontrò P. Sante Mollica, dottrinario della parrocchia di S. Marco che, sentite le sue esperienze passate, le disse che desiderava dar vita alla Caritas affinché l’assistenzialismo si trasformasse in impegno di promozione delle persone. Suor Letizia, con la disponibilità dei superiori, accettò ben volentieri e iniziò il suo servizio, prima in una sede fatiscente di via Jan Palach e, in seguito all’apprezzamento del lavoro svolto, nei locali della sede, sotto la Biblioteca comunale, missi a disposizione dall’Amministrazione comunale. Con molta tenacia e con l’aiuto dei suoi volontari, rimise in sesto i locali e li rese degni di accoglienza. Finalmente il 19 maggio del 1995, alla presenza del Vescovo Luca Brandolini, del sindaco Manfredo Coccarelli, di sacerdoti e autorità varie, venne inaugurata l’attuale sede con il nome di Caritas Zonale Centro d’ascolto “Porta Aperta”. Il Centro ben presto diventò un punto di riferimento di tutta la Diocesi ed, oltre a coordinare le Caritas parrocchiali della Zona Pastorale di Pontecorvo, venne delegato dalla Caritas regionale alle attività di Osservatorio delle

povertà e di Laboratorio. L’attenzione del Centro è rivolta soprattutto ai minori con gravi e vari disagi che hanno come scuola i mass-media e la strada; alle coppie e alle famiglie in gravi difficoltà; a persone vittime di varie dipendenze. Suor Letizia, inoltre, ogni settimana, si recava nel carcere di Cassino a fare visita ai detenuti per non farli sentire abbandonati dalla società e avviare, con i colloqui, un legame di amicizia in un momento così difficile della loro vita. L’azione pedagogica che suor Letizia ha portato avanti in questi anni è stata quella di far capire alle persone come le difficoltà che si presentano possano essere l’occasione buona per rivedere il proprio stile di vita. Ai volontari del Centro ha sempre raccomandato di accogliere e ascoltare le persone senza pregiudizi cercando di discernere i problemi reali e di approfondire, anche con l’aiuto degli altri Enti, le vicissitudini della loro vita. Sono sicuro che anche nel cuore di tutte le persone che hanno avuto la gioia di incontrarla – volontari del servizio civile, obiettori di coscienza, operatori che hanno lavorato al Centro, gente comune – è rimasto indelebile il ricordo dei suoi ammonimenti a perseguire sempre l’unica strada che porta alla vera felicità: la strada tracciata da Gesù, suo sposo. Luigi Mancini DA BRESCIA

Suor Letizia, l’angelo dei detenuti

Suor Letizia Magoni, Figlia del Sacro Cuore di Gesù, è stata tra i fondatori del Vol.Ca. (Volontariato Carcere) nel 1987 e sua prima Presidente (come gruppo di persone laiche impegnate nel volontariato e come espressione ed appoggio della Pastorale Carceraria della nostra Diocesi, che opera nei due istituti carcerari della città. Era vescovo mons. Bruno Foresti). Suor Letizia rimase in carica fino al 1992. Ha dedicato gran parte della sua vita alle persone detenute con un servizio gioioso e umile. Suor Letizia ha sempre accolto e ascoltato le persone senza pregiudizi, dando a tutti l’opportunità di riprendere in mano la propria vita per farla un dono per gli altri. (Nel convento di Brescia, con collegio, convitto e pensionato, in via Martinengo da Barco, suor Letizia era poi tornata dopo il suo servizio a Pontecorvo)

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VITA PARROCHIALE Prima della nuova esperienza in Bolivia

Don Gian Luca è tornato ad Albino Don Gian Luca, in Italia dallo scorso 6 agosto, prima di tornare in Bolivia non poteva non passare da Albino dove, novello sacerdote, è stato curato dal 2000 al 2008 lasciando una traccia importante. L’incontro con la sua prima comunità, che gli è sempre riconscente, si è concretizzato nella Messa prefestiva di sabato 25 settembre. In una prepositurale gremita si è percepita commozione e gratitudine nella celebrazione eucaristica presieduta da don Gian Luca e concelebrata da don Giuseppe e don Andrea. Tra qualche giorno don Gian Luca ripartirà per la Bolivia dove lo aspetta un’esperienza tutta nuova a Melga, piccolo villaggio situato a 2.500 metri sul livello del mare sulla strada che da Cochabamba si dirige verso la zona pre amazzonica del Chapare. Dopo molti anni i sacerdoti bergamaschi tornano così a prendersi cura in modo continuativo delle comunità che si sviluppano in piccoli gruppi di case attorno alla chiesa.

Al Nuovo CineTeatro di martedì alle 21

Ripresa la rassegna dei film di qualità

Da poco riaperto dalla pausa estiva, il Nuovo CineTeatro dell’oratorio torna ad affiancare alla programmazione ordinaria - che vede in scaletta le ultime uscite cinematografiche - la rassegna del martedì dedicata al cinema di qualità. Solitamente è suddivisa in due cicli, ognuno di dodici film: il primo da settembre a novembre, il secondo da gennaio ad aprile. Ma come lo scorso questo primo ciclo è stato pensato in forma ridotta, sono infatti soltanto sei i film a fare d’apripista e comporre l’offerta della classica rassegna d’essai. Nella sala di piazza San Giuliano le proiezioni hanno preso il via martedì 28 settembre alle 21 con Gli anni più belli di Gabriele Muccino, seguiranno il 5 ottobre Il grande passo di Antonio Padovan, il 12 ottobre Volevo nascondermi di Giorgio Diritti, il 19 ottobre Minari di Lee Isaac Chung, il 26 ottobre Corpus Christi di Jan Komasa e il 2 novembre Un divano a Tunisi di Manele Labidi. Cinque euro l’ingresso singolo, 25 la tessera per l’intero ciclo.


DATA SIGNIFICATIVA

ANNIVERSARI

Padre Giovanni Sacerdote da 50 anni

Mauro Carrara

1° anniversario m. 05.10.2020

Il tuo ricordo ci accompagna ogni giorno

Gabriella Azzola in Dall’Angelo

2° anniversario m. 14.10.2019

Il tuo ricordo rimarrà per sempre nel nostro cuore, grazie per tutto l’amore che in tanti anni ci hai dato. Possa da lassù vegliare su di noi, illuminare come stella il nostro cammino e riposare in pace. Tutti i tuoi cari

Domenica 26 settembre padre Giovanni Carrara ha celebrato in Burundi i 50 anni di sacerdozio. Era stato ordinato, fra i missionari saveriani, a Parma, presente il direttore dell’oratorio, don Pierino Corvo. Nella comunione dei Santi, il 50° è stato ricordato nelle eucaristie domenicali anche nella nostra comunità, in attesa di un suo ritorno. Nelle foto: sopra padre Giovanni il 3 ottobre 1971 per la prima Messa ad Albino; sotto nella sua Missione in Burundi.

Bruno Telini

13° anniversario Signore, a te mi affido.

Per la pubblicazione sul giornale parrocchiale delle fotografie dei propri cari defunti rivolgersi alla portineria dell’oratorio


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VITA PARROCHIALE Nella chiesa di San Bartolomeo

Giovan Battista Moroni. Ritorno ad Albino. Mostra a cura di Simone Facchinetti e Paolo Plebani

Nell’ambito del progetto MORONI 500 - un intero anno di iniziative in occasione del cinquecentenario della nascita ad Albino (Bergamo) di Giovan Battista Moroni - Comune di Albino e Promoserio, in collaborazione con Accademia Carrara, onorano l’anniversario organizzando una piccola ma preziosa esposizione monografica, a cura di Simone Facchinetti e Paolo Plebani. Giovan Battista Moroni. Ritorno ad Albino riunisce nella suggestiva cornice dell’antica Chiesa di San Bartolomeo, uno degli edifici sacri più suggestivi di tutta la ValSeriana, dodici dipinti di Moroni - celebri ritratti, opere solitamente non accessibili al pubblico perché custodite in collezioni private o acquisizioni recenti al catalogo del pittore - che idealmente riportano Moroni, dopo il successo delle mostre di Londra e di New York, ad Albino, dove è nato e ha scelto di vivere e operare per buona parte della sua vita. Insieme al pittore ritornano a casa anche alcuni degli albinesi concittadini che Moroni ha “fotografato” nei suoi ritratti, oltre ai “ricordi”, repliche realizzate per la devozione privata, in dimensioni “domestiche”, delle invenzioni messe a punto nelle grandi pale pubbliche disseminate nelle chiese di tutta la Val Seriana. In mostra, Moroni straordinario interprete della pittura, del suo tempo e del suo territorio, si racconta in tre sezioni. Accanto ad alcune notevoli prove giovanili, come la Natività di collezione privata, primizia risalente agli esordi dell’artista, trovano posto un gruppo di ritratti, anche di personaggi che hanno intrecciato la loro storia con quella di Albino: dallo splendido ritratto del mercan-

te Paolo Vidoni Cedrelli al giovane di profilo dell’Accademia Carrara, il più piccolo ritratto dipinto da Moroni, fino all’Adorazione dei Magi appartenuta alla raccolta di Gian Luigi Seradobati, notaio albinese, amico e committente di Moroni. Infine, a testimoniare la stagione conclusiva del percorso di Moroni, alcuni quadri destinati alla devozione privata che ripropongono brani di opere pubbliche che avevano riscosso particolare successo, come la Madonna con il Bambino in gloria e le sante Barbara e Caterina dell’Accademia Carrara, strettamente legata alla pala di Bondo Petello (frazione di Albino) o la Madonna con il Bambino in gloria e i santi Giacomo e Rocco, ricomparsa in una galleria di New York dopo la Seconda guerra mondiale e oggi ritornata in una collezione italiana. La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Officina Libraria che raccoglie contributi di Simone Facchinetti, Paolo Plebani e Giampiero Tiraboschi. Il progetto MORONI 500 è stato realizzato con il fondamentale sostegno di Fondazione della Comunità Bergamasca, Comunità Montana Valle Seriana e Consorzio BIM, grazie al main partner Fondazione Credito Bergamasco e al main sponsor Fassi. Inoltre, la mostra Giovan Battista Moroni. Ritorno ad Albino è resa possibile dalla generosa adesione


ARTE

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di un nutrito gruppo di sostenitori prevalentemente del territorio seriano, ciascuno dei quali ha scelto di “adottare” uno dei dipinti destinati all’esposizione, selezionandolo in base ai propri legami, interessi, sensibilità: Acerbis, Alba Elettronic, Albini Group, Arizzi Fonderie, GeG Telecomunicazioni, Nicoli Trasporti, Persico, Sinergia. “Il pittore Giovan Battista Moroni dopo i successi internazionali di Londra e New York in occasione del cinquecentenario della sua nascita ritorna ad Albino, la sua Città natale. La sua terra e la sua gente celebrano questo ritorno con passione ed entusiasmo ricambiando l’amore e l’affetto che il pittore ha dimostrato per Albino e tutta la Val Seriana. Una mostra speciale che ancora una volta conferma il profondo ed indissolubile legame tra l’artista albinese, la sua terra e la sua gente”.

G.B. Moroni, Ritratto Vidoni Cedrelli, Accademia Carrara.

In calendario dal 18 settembre al 28 novembre 2021, la mostra è aperta di giovedì e venerdì dalle 15 alle 18; di sabato e domenica dalle 10 alle 12.30 e dalle 15 alle 18; le visite sono a cura degli storyteller dell’Isis Romero di Albino. Ingresso gratuito Obbligo di Green Pass Per scoprire le altre proposte di “Moroni 500” rimandiamo al sito www.valseriana.eu/moroni-500/ Foto dell’inaurazione di Fabrizio Carrara

G.B.Moroni, Adorazione dei Magi. Collezione privata.

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FEDE E ARTE

Visitazione, canto di liberazione In una tela alta poco meno di un metro, intorno al 1610, El Greco dipinse la sua idea di Visitazione. Due donne si incontrano, si guardano negli occhi, si abbracciano: una sulla soglia di casa, l’altra al termine di un viaggio. I loro corpi, le loro figure, i loro stessi volti sono nascosti, irrilevanti: quasi invisibili, perché avvolti in due grandi manti dello stesso identico celeste, segno della potenza dell’Altissimo che si stende sopra di loro. Elisabetta e Maria sono donne, povere, incinte e in quel momento lasciate sole dai mariti, incapaci di comprenderle. Due “scartate” dalla società, che cercano solidarietà l’una nell’altra. E il canto, il “Magnificat” (Magnifica l’anima mia il Signore), che esce dalla bocca di Maria è un canto di rivoluzione spirituale, ma anche sociale e politica. “Non c’è nulla qui dei dolci, melanconici o perfino giocosi accenti dei nostri inni di Natale, ma un canto duro, forte, inesorabile, di troni che crollano e signori di questo mondo umiliati” (D. Bonhoeffer). È un canto di liberazione, ardente come una fiamma: così come appaiono i corpi delle due cugine nel quadro di El Greco. Tomaso Montanari (catechesibiblicosimbolica.com)

El Greco 1610-1614

“Abbattere i potenti dai troni e innalzare gli umili” è ancora oggi la premessa indispensabile per poter “rimandare i ricchi a mani vuote” e saziare chi ha fame: il Magnificat è molto più onesto della stragrande maggioranza dei discorsi di duemila anni dopo.. La Madonna dice chiaramente che un conflitto è necessario, dice che non è possibile innanzare gli umili senza “abbattere” (un verbo letteralmente rivoluzionario!) “i potenti dai loro troni”. Così come dice che la distribuzione della ricchezza implica necessariamente che sia tolto a chi ha troppo per dare a ciascuno secondo i propri bisogni. In questi due versetti concatenati il Magnificat proclama che la questione della democrazia è intrecciata alla questione dell’uguaglianza, proprio come sono abbracciati i corpi crepitanti di El Greco. Tomaso Montanari (Dalla parte del torto, ed. Chiarelettere, p. 82; La seconda ora d’arte, ed. Einaudi, p. 84)

Giovan Battista Moroni 1575 circa


FEDE E ILARTE MAGNIFICAT17 «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre. (Luca, 1, 46-55, cfr. Primo libro di Samuele, 2, 1-10)

A sinistra: Mino Cerezo, “Magnificat”, 1993; Chiesa di Luciara, Prelatura di São Felix do Araguaia, Mato Grosso, Brasile; murale di 7 x 2,80 m dipinto con materiali acrilici di fabbricazione brasiliana.

Il murale è un’attualizzazione del Magnificat; il testo di Luca è rappresentato facendo riferimento alla realtà e al lavoro pastorale che si svolge nella Prelatura di Sao Felix, della quale era vescovo Pedro Casaldaliga. Lc 1,52: “Ha rovesciato dal trono i potenti…” è incarnato da un’umile donna, lavandaia, che calpesta il trono rovesciato, con la forza del Lavoro e della Speranza, come scrive Casaldaliga. La traduzione pittorica del versetto: “Ha colmato i poveri di beni” (Lc 1,53) è nella donna interprete dell’anelito universale dei poveri alla dignità, alla salute, all’educazione, alla giustizia, alla terra, alla partecipazione, al pane, a una casa dignitosa. Casaldaliga commenta così: “Riempie dei beni del Regno l’Umanità povera e manda nudi quanti accumulano…”.

«Quella di Maria è anche una fede profetica. Con la sua stessa vita, la giovane fanciulla di Nazaret è profezia dell’opera di Dio nella storia, del suo agire misericordioso che rovescia le logiche del mondo, innalzando gli umili e abbassando i superbi (cfr Lc 1,52). Rappresentante di tutti i “poveri di Jahweh”, che gridano a Dio e attendono la venuta del Messia, Maria è la Figlia di Sion annunciata dai profeti di Israele (cfr Sof 3,14-18), la Vergine che concepirà il Dio con noi, l’Emmanuele (cfr Is 7,14)». (Dall’omelia di Papa Francesco al Santuario mariano della Slovacchia, 15 settembre 2021)

Diventiamo prossimo Continua l’iniziativa del fondo di solidarietà “Diventiamo prossimo” per sostenere e accompagnare le famiglie in difficoltà economica MODALITÀ PER CONTRIBUIRE

 Autotassazione mensile: si stabilisce una cifra che viene versata

mensilmente per il periodo indicato

 Presso il Centro di Primo Ascolto alla Casa della Carità

in piazza San Giuliano 5 al mercoledì dalle 20.45 alle 22  Con bonifico bancario tramite il nuovo IBAN attivo dal 22 febbraio 2021

IBAN: IT20 L0538 75248 00000 4260 6856 c/c intestato Parrocchia San Giuliano, Conto Caritas indicando la causale: FONDO DI SOLIDARIETÀ DIVENTIAMO PROSSIMO

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CASA FUNERARIA di ALBINO CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO srl, società di servizi funebri che opera con varie sedi attive sul territorio da più di 60 anni, nata dalla fusione di imprese storiche per offrire un servizio più attento alle crescenti esigenze dei dolenti, ha realizzato ad Albino la nuova casa funeraria. La casa funeraria nasce per accogliere una crescente richiesta da parte dei famigliari che nel delicato momento della perdita di una persona cara si trovano ad affrontare una situazione di disagio oltre che di dolore nell’attesa del funerale. Il disagio potrebbe derivare dalla necessità di garantire al defunto un luogo consono, sia dal punto di vista funzionale che sanitario e permettere alle persone a lui vicine di poter manifestare il loro cordoglio con tranquillità e discrezione.

Spesso si manifesta la necessità di trasferire salme in strutture diverse dall’abitazione per ragioni di spazio, climatiche igienico sanitarie. Ad oggi le strutture ricettive per i defunti sono poche ed il più delle volte improvvisate, come ad esempio le chiesine di paese, che sono state realizzate per tutt’altro scopo e certamente non garantiscono il rispetto delle leggi sanitarie in materia. Dal punto di vista tecnico la casa funeraria è stata costruita nel rispetto delle più attuali norme igienico-sanitarie ed è dotata di un sistema di condizionamento e di riciclo dell’aria specifico per creare e mantenere le migliori condizioni di conservazione della salma. La struttura è ubicata nel centro storico della città di Albino, in un edificio d’epoca in stile liberty che unisce funzionalità e bellezza estetica. Gli arredi interni sono stati curati nei minimi dettagli; grazie alla combinazione di elementi come il vetro e il legno, abbiamo ottenuto un ambiente luminoso e moderno, elegante ma sobrio.

Lo spazio è suddiviso in 4 ampi appartamenti, ognuno dei quali presenta un’anticamera separata dalla sala nella quale viene esposta la salma, soluzione che garantisce di portare un saluto al defunto rispettando la sensibilità del visitatore. Ogni famiglia ha a disposizione uno spazio esclusivo contando sulla totale disponibilità di un personale altamente qualificato in grado di soddisfare ogni esigenza.

FUNERALE SOLIDALE Il gruppo CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO, presente sul territorio con onestà e competenza, mette a disposizione per chi lo necessita un servizio funebre completo ad un prezzo equo e solidale che comprende: - Cofano in legno (abete) per cremazione e/o inumazione; - Casa del commiato comprensiva di vestizione e composizione della salma, carro funebre con personale necroforo; - Disbrigo pratiche comunali.

Antonio Mascher  335 7080048 ALBINO - Via Roma 9 - Tel. 035 774140 - 035 511054 info@centrofunerariobergamasco.it


MEMORIA LE FOTO RITROVATE

L’inaugurazione del Monumento ai Caduti

Il Corteo, il 3 luglio 1955, al nuovo Piazzale dei Caduti, voluto nel 1954, da un referendum popolare, antistante le Scuole Elementari Fratelli Bulandi.

La deposizione della Corona da parte dei fratelli Fossati, Dino e Silvio, figli di Mario, morto in prigionia in Germania l’11 settembre 1944.

Il Monumento (progetto dell’arch. Nestorio Sacchi), fu benedetto, “doppiamente sacro” per il dolore dei morenti e delle loro madri, dopo la Messa, dal prevosto don Pietro Gamba, già cappellano militare nella Prima Guerra Mondiale.

L’oratore on. Luigi Meda, già parlamentare della Costituente, come riportato sul bollettino parrocchiale dello stesso luglio 1955, disse che è bene che sul monumento non vi siano né nomi né date, perché Albino ha fatto un monumento contro la guerra (art. 11 della Costituzione italiana). Nella foto sono riconoscibili il sindaco Luigi Goisis, Lino Acerbis e il maestro Vigilio Zanga, tutti e tre già prigionieri in Germania.

Nella persona della vedova Maveri, madre di due Caduti, in guerre di aggressione fascista, Gianni (Francia 1940) e Severo (Grecia 1941), il ricordo del lutto della Madri, rappresentate sul Monumento (opera dello scultore Egidio Giaroli). Fotografie di Aurelio Acerbis

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ASSOCIAZIONISMO

ACLI ALBINESI

Rubrica a cura del Circolo “Giorgio La Pira”

“DIREMO IO O NOI?”. RITORNA “MOLTE FEDI SOTTO LO STESSO CIELO”

“Diremo io o noi? Sentieri per varcare la notte”, è il titolo dell’edizione 2021 di “Molte fedi sotto lo stesso cielo”, ispirato ai versi della poetessa Mariangela Gualtieri. La rassegna culturale delle ACLI di Bergamo, iniziata lo scorso 8 settembre nell’Aula Magna della sede universitaria di Sant’Agostino, con un evento che ha visto protagonisti il gesuita Gaël Giraud e il fondatore di Slow Food Carlo Petrini che hanno dialogano sul tema “Dopo la pandemia, ripensare lo sviluppo” si concluderà il 3 dicembre. Come spiega il presidente delle ACLI provinciali bergamasche Daniele Rocchetti: «L’alternativa che ci viene presentata (“Diremo io o noi?”) è chiara: stiamo prendendo coscienza delle conseguenze economiche e sociali della crisi pandemica iniziata nel 2020; la storia passata però ci insegna che, quanto più è grave una crisi, tanto maggiore è la tentazione di cercare delle vie di uscita individuali, con il rischio che il ‘si salvi chi può’ si traduca in un “tutti contro tutti”. Papa Francesco, invece, ha più volte rimarcato che noi ci troviamo tutti “sulla stessa barca”, che siamo “chiamati a remare insieme”: insieme dobbiamo alzare lo sguardo per cercare di intravvedere che cosa ci attenda al termine della notte, insieme dobbiamo sforzarci di trovare nuovi cammini da percorrere». Quest’anno “Molte fedi” adotta una formula mista, con un’alternanza di incontri in presenza e online, la rassegna è ricca di appuntamenti di grande interesse. Nella sezione “Narrazioni” saranno protagonisti lo scrittore Gianrico Carofiglio; il presidente del Parlamento Europeo David Sassoli, che verrà intervistato sul tema “Quale racconto di Europa è possibile oggi?” dal presidente di Ipsos Nando Pagnoncelli; lo scrittore Alessandro D’Avenia; l’arabista Gilles Kepel; il teologo Leonardo Boff; S.E. il Cardinale Gianfranco Ravasi; la scrittrice Edith Bruck; Agnese Moro; Adriana Faranda; lo psicoanalista Massimo Recalcati; il botanico Stefano Mancuso e il filosofo Massimo Cacciari parlerà di “Scienza e coscienza oggi”. Tra gli eventi online, da segnalare la serie di riflessioni domenicali “Ascolta, si leva l’alba”, in cui ogni volta si prenderà spunto da un verbo di uso quotidiano: il ciclo è stato aperto il 19 settembre da S.E. il Vescovo di Bergamo Francesco Beschi, che si è soffermerà sul termine “Desiderare”. Tra le note distintive dell’edizione 2021 della rassegna è lo spazio dedicato ai problemi dell’educazione e della scuola: nei Circoli di R-esistenza, attivi su tutto il territorio provinciale e oltre, si leggerà e commenterà il volume “Nel cantiere dell’educare” (Cooperativa Achille Grandi), appositamente scritto dal teologo don Armando Matteo e dalla sociologa Chiara Giaccardi. Inoltre a Bergamo, presso i licei Mascheroni e Natta, sono previsti quattro incontri gratuiti pensati per i docenti. Per ulteriori informazioni www.aclibergamo.it

GINO STRADA, LA SUA RADICALITÀ AL SERVIZIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE

È arriva la triste notizia della morte di Gino Strada. Le Acli hanno espresso il loro cordoglio ai familiari, a tutti i componenti di Emergency e a tutto il mondo della solidarietà internazionale. Ricordiamo Strada come strenuo e concreto lottatore della pace, difensore del ripudio della guerra con un’opera instancabile e rischiosa di solidarietà. A vent’anni dalla scelta della guerra per fermare il terrorismo, i talebani sono ancora lì e anzi, altro terrorismo è sorto da quelle guerre. La via delle armi non ha contribuito alla stabilità, ma ci presenta oggi i tratti di quella “guerra globale a pezzi”, che spesso viene dimenticata. Ecco perché oggi ricordiamo Gino Strada e la sua radicalità per la pace fondata su di un principio costituzionale, che non è un’utopia, ma una strategica, intelligente ed umana visione di futuro. Una radicalità testimoniata e agita stando negli scenari di guerra dalla parte delle vittime, salvando vite umane. È una lezione che, insieme all’urgenza di affrontare i cambiamenti climatici indotti dal nostro sviluppo, faremmo bene a non mettere da parte. Il nostro saluto e la nostra preghiera per il fondatore di Emergency di cui non dimentichiamo una lezione di solidarietà che chiedeva a gran voce, buttandosi in mezzo alle guerre, lottando sempre per la giustizia e la pace.


ASSOCIAZIONISMO

IL CORAGGIO DEL LAVORO. CRISI AZIENDALI: RESPONSABILITÀ E PROSPETTIVE.

L’editoriale di Stefano Tassinari Vicepresidente nazionale ACLI con delega al Lavoro. Elica, GKN, Whirlpool, Gianetti Ruote, Bekaert, Timken, Blutec, ex Ilva (con la battaglia sulla salute), ex Embraco, Wanbao Acc, solo per citare alcune delle crisi spesso poco note in cui si teme per il destino di migliaia di persone, famiglie e comunità: le Acli sono solidali con i lavoratori e le mobilitazioni in corso. I tavoli di crisi erano già a giugno ben 85, con decine di migliaia di lavoratori coinvolti. Tra i settori più colpiti quello siderurgico, l’automotive, l’elettrodomestico e il settore aeronautico. Si tratta purtroppo di numeri che si uniscono a tanto altro lavoro venuto meno o a rischio, spesso dimenticato, e che sono destinati a crescere in un quadro in cui l’emergenza pandemica si prolunga. Pesa certamente una profonda trasformazione industriale di lungo periodo e non aver affrontato le radici della crisi del 2008. Va chiarito prima di tutto che queste situazioni, pur nella contemporaneità, non sono tutte uguali, e sarebbe sbagliato accomunarle tutte in un’unica lettura, ma sottolineiamo la necessità di lavorare su più direttrici. Prima di tutto, perché non si operi presi in ostaggio da una concorrenza globale selvaggia che premia e spesso impone un’economia al massimo ribasso, bisogna avere il coraggio di ridare regole alle multinazionali e alla finanza, ma non solo norme nazionali: servono norme europee, o frutto di una cooperazione rafforzata tra più paesi, che possano incidere su comportamenti e scelte che diversi gruppi mettono in atto globalmente. Altrimenti i singoli governi continueranno a trovarsi in difficoltà di fronte a chi, in alcuni casi, può tranquillamente produrre e pagare le tasse (ovviamente poche) in luoghi del mondo privi di sistemi di regole e tutele che non siano solo di facciata. Un primo passaggio potrebbe essere quello di definire una normativa europea, o condivisa da più Stati dell’Unione Europea, su una due diligence obbligatoria e sulla responsabilità solidale dei grandi gruppi, che ponga vincoli fiscali, sociali e ambientali sulle intere catene locali e globali che legano fornitura, produzione e distribuzione. Oggi va detto che purtroppo l’accordo siglato dai paesi del G20 sulla tassazione al 15% per le 100 multinazionali più ricche del mondo è troppo timido. Inoltre bisogna avere il coraggio di riformare la finanza globale, altrimenti verrà lasciato campo li-

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bero ad un capitalismo finanziario che è soprattutto speculativo. In secondo luogo occorre prendere di mira i tanti fattori che minano la competitività del Paese, come i ritardi sulle politiche industriali e le infrastrutture materiali e non, ma non solo. Curioso e triste constatare come sia totalmente in ombra una discussione sulla vocazione naturale e storica dell’Italia ad essere un grande porto (nonché crocevia di civiltà e dialogo) nel Mediterraneo e, di conseguenza, mondiale. La collocazione della nostra amata penisola, che tragicamente concorre alla fortuna delle mafie, invece è drammaticamente poco considerata e valorizzata dal sistema Paese. Se lo fosse ci permetterebbe di assumere appieno quella responsabilità internazionale che la storia ci ha assegnato. Infine serve rimettere al centro una riforma degli ammortizzatori e delle politiche attive del lavoro che non sia solo emergenziale. È sempre più urgente anticipare i cambiamenti profondi del mondo del lavoro e le trasformazioni dei diversi settori, ripartendo dalla scuola, che va interpretata come sistema di istruzione e formazione professionale che accompagni per tutta la vita le persone, riscoprendo un suo mandato educativo e di lotta alle diseguaglianze. Oggi viviamo in un paese con la mobilità sociale bloccata, dove le carriere lavorative vulnerabili e precarie si plasmano (e spesso si “ereditano”) già nella preadolescenza. Più in generale le scelte politiche devono essere orientate a chiedere e premiare un lavoro in cui si cresce professionalmente ogni giorno. Questo tempo difficile mette in luce anche tante realtà imprenditoriali, tra le quali alcune dove i lavoratori sono riusciti a salvare la propria azienda trasformandola nella propria cooperativa, che compiono ogni giorno una grande scommessa sulle competenze e sulle professionalità, sul coinvolgimento e la qualità della condizione dei lavoratori, sul fare rete con il territorio e con altre imprese, sul concorrere puntando sulla qualità. Queste esperienze dimostrano che il nostro paese, nei prossimi anni, nonostante il perdurare di una crisi che non ha eguali, può davvero dire la sua, anche grazie al concorso indispensabile del mondo del Terzo settore, nel dettare quella conversione dell’economia che quest’epoca inedita da tempo reclama: quella del passaggio dal prevalere di una logica predatoria e di insostenibilità sociale e ambientale, nonché civile, a una logica che persegue uno sviluppo autenticamente sostenibile perché autenticamente umano. Per le Acli albinesi Gi.Bi.

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SOCIETÀ

Mino Martinazzoli ad Albino «Lo scorso 15 marzo (2002) nella chiesa parrocchiale di Albino si è tenuto un incontro con Mino Martinazzoli, consigliere della regione Lombardia del Ppi, già parlamentare e ministro dello stato italiano. Il titolo della serata era “Nella politica costruire la città dell’uomo a misura d’uomo”: Mino Martinazzoli in tempi forse più facili è passato dall’oratorio all’associazionismo e all’impegno politico amministrativo nel suo paese quasi in maniera automatica. Secondo Martinazzoli la politica può essere vista come la forma più esigente di carità. La politica conta, ma la vita conta di più della politica. Purtroppo oggi noi non siamo un popolo, ma una massa di solitudini e così deleghiamo tutto alla politica: E’ per questo che il cristiano si deve impegnare. Bisogna rivendicare l’uomo all’umanità e fare comunità». (C. N. in Albino sul Serio, aprile-maggio 2002) COMUNICAZIONE PER RICREARE COMUNITÀ «In occasione dell’incontro organizzato dalla parrocchia di Albino e grazie alla disponibilità di Mino Martinazzoli abbiamo potuto fare quattro chiacchiere sull’impegno dei giovani in politica. Difficile distogliere i giovani dal divertimento delle serate in discoteca, dai bombardamenti televisivi e dal lavoro omnicomprensivo. Eppure la politica fa parte della vita di ognuno di noi e può ancora interessare e anzi deve riconquistare i giovani. Così Martinazzoli. È necessario porre una grande attenzione alla comunicazione e agli scambi di informazione. Fa notare che è sempre opportuno organizzare incontri per dialogare liberamente su questioni che interessano il nostro territorio. Non si possono però trascurare i nuovi strumenti di comunicazione che ormai tutti, non solo i giovani, utilizzano: internet e la posta elettronica. La cosa più importante è ricreare il senso di comunità che anche nei nostri paesi un po’ si è perso». (Natalia Cuminetti in Albino sul Serio, aprile-maggio 2002) LO SGUARDO PROFETICO DI MARTINAZZOLI Che cosa distingue oggi una politica ? «C’è molto movimentismo ed è una condizione che aggrava l’immagine della politica e non solo da noi: a volte viene da interrogarsi sulle sorti della democrazia, là dove c’è democrazia. Oggi la politica sembra avere a che fare più con la biografia e la cronaca che con la storia. Ricordo una pagina di Manzoni, quella di Don Ferrante, che non era lo sciocco che noi pensiamo, nonostante fosse morto di peste perché non era stato in grado di risolvere il dubbio se la peste fosse accidente o sostanza. Diceva Don Ferrante che la storia senza la politica è come una guida che cammina senza guardare indietro per vedere se qualcuno, la segue ma la politica senza storia è come uno che cammina senza una guida. Oggi ho l’impressione netta di una politica che cammina senza una guida. Io non rimpiango le ideologie, ma un poco sì. Non è possibile immaginare che la politica non sia un “disegno”, un’idea del futuro, un pensiero sul mondo, la vita, le cose. Anche per chi la osserva ormai da lontano la politica di oggi è come un seguito di aneddoti spesso incresciosi. Una politica siffatta rinuncia all’ambizione del suo primato e non è legata all’idea di futuro, ma è invece condizionata e assillata da un costante “presentismo” e non è per caso tra l’altro che la descriviamo - insisto - non più intorno a una teoria, a un’immaginazione, a una speranza, ma

sull’esegesi delle diverse biografie. Guardiamo la società politica della metamorfosi, dei fuoriusciti: anche nelle notizie di oggi, siamo alle prese con degnissime persone che hanno avuto una storia, un passato, un ruolo politico e ce l’hanno ancora le quali, mentre stanno costruendo un partito che non è interamente fatto, già spiegano che sono insoddisfatte, non hanno più fiducia, che pensano ad altro. Le confesso che è una cronaca tutto sommato non particolarmente suggestiva ma temo anche che in questo modo quello che mancherà alla politica saranno sempre di più le idee e la capacità di immaginazione». A sentire in giro c’è una conclamazione universale del “merito”, non si parla d’altro. Ma i capaci e i meritevoli - a cominciare dai giovani - devono necessariamente passare sotto le forche caudine dello spoil system? «Il fatto che siano i partiti al governo a scegliersi i dipendenti non le sembra una declinazione sociale ancor più deteriore del “manuale Cencelli”? Ha ragione lei, questa è la negazione del dettato costituzionale, che quando parla della pubblica amministrazione ne parla in termini di imparzialità e indipendenza. Nella mia piccola esperienza non ho mai accettato di distogliere il segretario comunale dalla gerarchia che lo collocava alle dipendenze del Ministero dell’Interno. Mi sono sempre opposto - sia pure sconfitto - a questa idea. L’idea che la burocrazia sia totalmente svincolata dalla politica oggi l’abbiamo fatta completamente


Da un’intervista a Ivo Lizzola

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«C’È BISOGNO DELL’ENERGIA DELLE NUOVE GENERAZIONI»

saltare. Pensiamo anche al sistema elettorale: oggi un parlamentare non deve preoccuparsi di garantirsi la riconferma guardando al suo elettorato, ma rispondendo al suo padrone». Quando da noi la politica potrà diventare una cosa normale? E che messaggio di incoraggiamento e di speranza possiamo dare ai giovani che vogliono impegnarsi nella società civile per progettare e costruire un mondo migliore? «Mi sta bene il rifiuto delle ideologie totalizzanti e la ricerca dei valori vicini, ma se guardiamo meglio si finisce per scoprire che anche nelle piccole cose, quelle quotidiane c’è sempre un rapporto con la politica. Quando mi chiedevano - allora avevo delle responsabilità - che cosa voleva dire essere un “partito di ispirazione cristiana” io rispondevo che eravamo gente che sapeva che la politica conta, ma che sapeva anche la vita conta di più della politica. Con i giovani occorre evitare i superlativi. Converrebbe dire loro una cosa importante e realistica: che i giovani possono anche non occuparsi di politica, ma devono sapere che - comunque - la politica si occuperà di loro. La politica per sua natura non crea valori: ha senso se è capace di garantire l’esistenza e il rispetto dei valori che creano l’uomo». (Da un’intervista raccolta per un progetto editoriale poche settimane prima della scomparsa di Mino Martinazzoli, avvenuta il 4 settembre di 10 anni fa. Avvenire 4 settembre 2021)

Reinventare le forme di convivenza e riaffermare il valore umanistico di una formazione autentica sono concetti che appartengono al pensiero di Ivo Lizzola, docente di Pedagogia della marginalità e della devianza all’Università di Bergamo «Abbiamo bisogno del potenziale di energia dei giovani, di riportarli a una generosità creativa, mentre temo che negli ultimi decenni li abbiamo prevalentemente formati sulla competenza e sull’abilità individuale, sul cavarsela da soli. Tutto giocato sull’immediato: il rischio, da parte dei ragazzi, di reagire in modo vitalistico alla scoperta dell’incertezza e del limite. Il vitalismo, per chi se lo può permettere, può essere il consumismo. Per chi non può accedervi, può tradursi anche in rabbia e distruttività. Risposte di corto respiro, uno spreco di vitalità che non possiamo permetterci». «Se continuiamo ad orientare la scuola e la formazione secondo la logica di una competizione individuale, non andiamo da alcuna parte. La scuola dovrebbe essere “oasi”, soglia e presidio di fronte al rischio di una catastrofe educativa. Quella che travolgerà anche la scuola se resta incastonata nei palazzi della cultura individualista e securitaria, delle chiusure identitarie e della formazione dei funzionari dell’economia della spoliazione e dello scarto, della prestazione e del successo. Servono visione lucida, saldezza dei criteri di riferimento, volontà politica chiara». «I più giovani, anche per la loro maggiore capacità di reazione, attendono riconoscimento, nuove opportunità, fiducia, oltre al sostegno per reggere, tra lavoro e formazione, la definizione di progetti di vita in autonomia. Rassegnati e logorati da un precariato permanente che li stava tenendo nelle riserve ai margini, adesso temono che il futuro ne sia ancora più segnato. Temono di perdere il futuro, la possibilità di respiro, di visione. Temono lo schiacciamento su un vivere fatto più di tattiche che di orizzonti e strategie. Questi chiederebbero luoghi aperti e cooperativi di responsabilità condivise, di immaginazioni ben pensate con il contributo di diverse competenze, coinvolgimenti aperti, coperture di credito, con chiari criteri di valore. Si allestiranno con loro luoghi del genere?». «Se esprimeranno nuove forme di convivenza, modelli economici più responsabili, un’etica del lavoro e dell’impresa più attenta alle risorse e alla giustizia sociale, se realizzeranno progetti di convivenza anche politica segnati dall’impegno responsabile, allora la storia sarà diversa. Questi giovani hanno flessibilità, avvertono nel prossimo la fragilità perché la sentono tanto loro. Hanno capacità di empatia e nei momenti migliori sanno essere forti e commoventi». (L’Eco di Bergamo, 2 settembre 2021)

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A DISPOSIZIONE CASA DEL COMMIATO Gazzaniga Via Salici 9

ALBINO - via monsignor Camillo Carrara 6

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È possibile dare il proprio contributo - anche deducibile fiscalmente nella dichiarazione dei redditi in misura del 19% - a sostegno dei lavori autorizzati dalla Soprintendenza per i beni Architettonici. Per le aziende è possibile detrarre totalmente la cifra devoluta. Abbiamo concluso il rifacimento del tetto del CineTeatro e della Casa della Carità con qualche sorpresa per quanto riguarda legname e travi marcite. Abbiamo ultimato: - la sistemazione e riqualificazione del porticato che si affaccia sul sagrato; - il tetto dell’ex Ragioneria, che probabilmente non sarà l’ultimo; - il passaggio tra il sagrato e l’oratorio per le infiltrazioni di umidità; - il muro interno della sala giochi nel bar dell’oratorio, anche questo per l’umidità. Siamo in attesa di autorizzazioni per procedere alla tinteggiatura della facciata della Prepositurale, viste le attuali agevolazioni. Impegni questi che stanno dando fondo alle nostre risorse. Grazie per quello che riuscirai a fare.

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L’abitazione come luogo di cura degli anziani Portare sempre più l’assistenza domiciliare agli anziani. Vale a dire a quella parte sempre più consistente di popolazione, 14 milioni di over 65 (4 over 80 e 7 over 75), che altrimenti rischia di finire ai margini. Per questo obiettivo a Palazzo Chigi una delegazione della ‘Commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria per la popolazione anziana’ presso il ministero della Salute, guidata dal presidente monsignor Vincenzo Paglia, ha illustrato al presidente del Consiglio Mario Draghi il progetto di riforma su L’abitazione come luogo di cura degli anziani. Progetto che si riflette in due proposte, che Draghi ha accolto favorevolmente: una legge delega in materia e una cabina di regia sotto l’egida di Palazzo Chigi e del ministro della Salute per mettere insieme governo, enti locali, e Terzo settore. Il premier ha definito «straordinario» il lavoro della Commissione e ha assicurato sostegno. «Si tratta di un’iniziativa di enorme rilevanza sociale ed

etica», ha sottolineato. Il volume che gli è stato consegnato indica la direzione verso un continuum assistenziale con servizi in rete sul territorio. E un’integrazione tra aspetto sociale e sanitario nelle cure domiciliari che diventeranno continuative per chi ha gravi difficoltà motorie (si stima mezzo milione di over 65). Viene poi portato avanti lo sforzo di unificare le commissioni valutative. E si preve-

Povertà e vulnerabilità sociale

Alla luce dei cambiamenti strutturali della società alcuni profili risultano maggiormente fragili: • Le famiglie unipersonali (soprattutto se anziane). • Giovani (soprattutto stranieri), per via delle difficoltà nel trovare un’occupazione di qualità che permetta un sostentamento adeguato, anche in termini di accesso alla casa. • Giovanissimi, con una bassa formazione, che faticano ad entrare nel mercato del lavoro, residenti in aree periferiche, dove minori sono le opportunità. In questi casi spesso alla condizione di fragilità si accompagna la caduta nel «ritiro sociale», con conseguenze di natura anche psicologica più ampie. • Famiglie mono-genitore con figli piccoli, spesso costituite da donne sole, che faticano a conciliare lavoro retribuito e di cura in assenza di servizi di welfare adeguati. • Famiglie numerose (soprattutto straniere) con difficoltà nel mantenimento di un’abitazione e nell’affrontare le spese quotidiane. • Famiglie monoreddito con figli piccoli, spesso con impiego in settori ad alta precarietà e/o a bassa retribuzione. Criticità aggravata, per i settori colpiti, dalla crisi legata alla pandemia da COVID19. (Fondazione Istituti Educativi di Bergamo, Rapporto del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, “Nuove forme di povertà e marginalità sociale in provincia di Bergamo” 2021)

dono mille centri diurni per anziani con demenze o altre patologie croniche, forme di incentivazione al co-housing e un nuovo ruolo delle Rsa. L’arcivescovo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita, nel suo intervento ha parlato di una «rivoluzione copernicana », della necessità del «rovesciamento di un paradigma che vuole gli anziani emarginati dal flusso vitale della società». Paradigma di cui la pandemia ha purtroppo «svelato in tutta la sua crudezza le conseguenze drammatiche». Al contrario, ha proseguito, «vogliamo gli anziani al centro, nelle loro case, nei quartieri, nelle periferie delle grandi città così come nei Comuni delle aree interne a rischio di spopolamento». A fare da bussola è la parte centrale del documento, la Carta dei diritti delle persone anziane e i doveri della comunità. Il testo si articola in tre parti. Una sul rispetto e la dignità dell’anziano e sui doveri dei familiari e della comunità. Ad esempio, può sembrare ovvio, il diritto di essere chiamati con il proprio nome, mentre in molte strutture di cura è invalso l’uso di rivolgersi a loro in modo impersonale o addirittura con numeri identificativi. C’è poi, il diritto - essenziale - di restare il più a lungo possibile nella propria casa o di averne garantita una. A questo si aggiungono il diritto all’assistenza e, terzo punto, a un’attiva vita di relazione. (Avvenire 2-9-2021)

Ottobre 2021


Preghiera a San Giuseppe Salve, custode del Redentore, e sposo della Vergine Maria. A te Dio affidò il suo Figlio; in te Maria ripose la sua fiducia; con te Cristo diventò uomo. O Beato Giuseppe, mostrati padre anche per noi, e guidaci nel cammino della vita. Ottienici grazia, misericordia e coraggio, e difendici da ogni male. Amen. Papa Francesco


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