Albino comunità viva - agosto 2021

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IL GIORNALE DELLA COMUNITÀ PARROCCHIALE DI SAN GIULIANO - AGOSTO 2021


INFO UTILI RECAPITI Casa parrocchiale Tel. e fax: 035 75.10.39 albino@diocesibg.it Oratorio Giovanni XXIII Tel. 035 75.12.88 oratorioalbino@gmail.com Santuario del Pianto 035 75.16.13 - www.piantoalbino.it

ORARI delle SANTE MESSE FESTIVE

FERIALI

In Prepositurale

In Prepositurale

Convento dei Frati Cappuccini Tel. 035 75.11.19

ore 18.00 al sabato (prefestiva) ore 8.00 - 10.30 - 18.00

ore 8.30 - 17.00* (* dal 14 giugno al 27 agosto alle 20.30 nelle sussidiarie)

Scuola dell’infanzia Centro per la famiglia “San Giovanni Battista” Tel. 035 75.14.82 - 035 02.919.01

Al santuario del Pianto

Quando si celebra un funerale (in Prepositurale): se è al mattino, è sospesa la S. Messa delle 8.30; se è al pomeriggio, è sospesa la S. Messa delle 17.00.

Padri Dehoniani Tel. 035 75.87.11 Suore delle Poverelle alla Guadalupe Tel. 035 75.12.53 Caritas Parrocchiale Centro di Primo Ascolto aperto il 1° e il 3° sabato del mese dalle ore 9.30 alle 11.30 PER COPPIE E GENITORI IN DIFFICOLTÀ Consultorio familiare via Conventino 8 - Bergamo Tel. 035 4598350

ore 7.30 - 17.00

Al santuario della Guadalupe ore 9.00

Al santuario della Concezione

ore 10.00 (sospesa a luglio e agosto)

Alla chiesa dei Frati ore 6.45 Al santuario del Pianto ore 7.30 Alla Guadalupe ore 8.00

Alla chiesa dei Frati Cappuccini ore 7.00 - 9.00 - 11.00 - 21.00

Ad agosto sono sospese - sino a dopo la festa di San Francesco - le Adorazioni delle 18.30 del sabato e della Domenica. Sempre ad agosto, le confessioni in chiesa saranno solo al mattino.

Sulla frequenza 94,7 Mhz in FM è possibile ascoltare celebrazioni liturgiche e catechesi in programma nella nostra chiesa Prepositurale

Amarcord

Centro di Aiuto alla Vita Via Abruzzi, 9 - Alzano Lombardo Tel. 035 4598491 - 035 515532 (martedì, mercoledì e giovedì 15-17) A.C.A.T. (metodo Hudolin) Ass.ne dei Club Alcologici Territoriali Tel. 331 8173575 PER CONIUGI IN CRISI Gruppo “La casa” (don Eugenio Zanetti) presso Ufficio famiglia della Curia diocesana Tel. 035 278111 - 035 278224 GIORNALE PARROCCHIALE info@vivalavita.eu

www.oratorioalbino.it

Una vecchia cartolina della funivia Albino-Selvino

Stampato in abbinamento editoriale con il n. 6/2021 di LAIF - In copertina: momenti del campo estivo preadolescenti e del Cre.


1 “… fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazareth. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui”. (Luca 2,49-50)

Tornano a casa i nostri atleti, orgogliosi delle medaglie che hanno al collo. Ed è giusto che vengano festeggiati dopo che si son fatti così onore e così rispettare. Ma tornano nella normalità; potremmo dire: tra poco si immergeranno nel silenzio delle palestre, delle piste di atletica, nelle piscine di allenamento. Torneranno ad abbassare la testa, curvare la schiena, sudare, obbedire agli allenatori che si son dimostrati così autorevoli nel prepararli. Ma … si parlerà ancora di loro tra qualche mese? Rientrando nelle loro case, dopo gli allenamenti, troveranno le foto di questi giorni da poco trascorsi lì davanti all’ingresso ad accoglierli; e questo li ripagherà delle nuove fatiche, e nonostante la stanchezza li farà sorridere ogni volta. E questo li confermerà nel continuare. Nel silenzio di ogni giorno. Senza fari, senza inni, senza palchi o medaglie, senza applausi, mentre la vita attorno a loro continua a scorrere, ignorandoli. Ma … forti atleti si stanno formando! Ed è così che si cresce e ci si fortifica. Stanno facendo ancora fatica a capirlo alcuni genitori che vorrebbero i loro figli sempre sotto pressione, sotto i riflettori, come se la vita fosse solo applausi e ovazioni. Stanno facendo ancora fatica a capire quanto bene faccia dover faticare e, magari, non vedere risultati. Tutti gli atleti intervistati nei giorni scorsi hanno parlato di lacrime, di fallimenti lungo questi tre o quattro anni; anni amari. Così sono cresciuti e si sono fortificati; e questo ha permesso loro di sperimentare ben altre lacrime. Un atteggiamento ha meravigliato i cronisti e una parola è stata più volte ricorrente: umiltà! I cronisti, nei nostri giovani, non hanno visto atleti gasati; ma nelle loro interviste hanno colto una gioia incontenibile, commozione, incredulità: umiltà hanno sottolineato più volte. Tant’è che sono stati capaci anche di congratularsi con chi aveva vinto meglio di loro. C’è stato tra gli stranieri chi ha insinuato o cercato di screditare, ma questo s’è ritorto contro di loro. Anche da questo alcuni genitori devono ancora imparare quando assistono a qualche partita dei loro figli. Così si cresce e ci si fortifica. Così è cresciuto e si è fortificato Gesù a Nazareth per trent’anni; un laboratorio che passa, magari, dalla falegnameria, ma è stato un laboratorio per la vita. Dove non possiamo nemmeno immaginare la quantità di pensieri, di dubbi, magari di notti insonni o di incubi nel sonno. O magari, situazioni incresciose tra ragazzi quando uno di loro è un po’ strano. Chissà se sarà capitato anche a lui, come a sua madre e a suo padre, che un angelo nel sonno lo illuminasse o lo incoraggiasse! Dove la durata non è stata per niente proporzionale: trent’anni per tre anni di vita “pubblica”. Dove né il prima, né il dopo è stato per niente facile. Inoltre, quei tre anni certamente non sono stati un’apoteosi! Altro che applausi o medaglie; “Volete andarvene anche voi?” s’era ritrovato a dire ai suoi. Eppure qualcosa di questo genere imparano almeno i nostri ragazzi, quando andando a scuola scoprono che non è tanto un accumulo di notizie, o un allenamento della memoria, ma una scuola per la vita; e ci si appassionano. Chissà se tutte queste cose diventano una scoperta che aiuta a vivere in un modo diverso anche l’esperienza della fede, che non è un cammino con diplomi o riconoscimenti (tant’è che anche i sacramenti vengono dati a tutti). Un cammino condiviso con tanti altri, più o meno fratelli; un cammino comunitario, ma che coinvolge personalmente ognuno in una progressione personale che non è dato quantificare; e quindi per niente gratificabile per chi è abituato a valutare risultati appariscenti. Eppure, è grande gioia per chi scopre i segreti della vita per sé e per i propri fratelli. In questo tempo un po’ più disteso ti auguro qualche pensiero un po’ inconsueto, ma che ti aiuti a mettere in discussione qualcosa; aiuta sempre a scoprire qualcos’altro e accorgersi che ne valeva la pena. Stiamo ultimando il tempo dedicato a Giambattista Moroni; sia di auspicio l’abbraccio tra Maria ed Elisabetta, preso dal nostro stendardo e diventato il logo del centenario. vs. dongiuseppe

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VITA DELLA CHIESA Il messaggio di Papa Francesco in occasione della 107ma “Giornata mondiale del migrante e del rifugiato” del 26 settembre

“Verso un noi sempre più grande”

Cari fratelli e sorelle! Nella Lettera Enciclica Fratelli tutti ho espresso una preoccupazione e un desiderio, che ancora occupano un posto importante nel mio cuore: «Passata la crisi sanitaria, la peggiore reazione sarebbe quella di cadere ancora di più in un febbrile consumismo e in nuove forme di autoprotezione egoistica. Voglia il Cielo che alla fine non ci siano più “gli altri”, ma solo un “noi”» (n. 35). Per questo ho pensato di dedicare il messaggio per la 107a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato a questo tema: “Verso un noi sempre più grande”, volendo così indicare un chiaro orizzonte per il nostro comune cammino in questo mondo. La storia del “noi” Questo orizzonte è presente nello stesso progetto creativo di Dio: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi”» (Gen 1,27-28). Dio ci ha creati maschio e femmina, esseri diversi e complementari per formare insieme un noi destinato a diventare sempre più grande con il moltiplicarsi delle generazioni. Dio ci ha creati a sua immagine, a immagine del suo Essere Uno e Trino, comunione nella diversità. E quando, a causa della sua disobbedienza, l’essere umano si è allontanato da Dio, Questi, nella sua misericordia, ha voluto offrire un cammino di riconciliazione non a singoli individui, ma a un popolo, a un noi destinato ad includere tutta la famiglia umana, tutti i popoli: «Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio» (Ap 21,3). La storia della salvezza vede dunque un noi all’inizio e un noi alla fine, e al centro il mistero di Cristo, morto e risorto «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). Il tempo presente, però, ci mostra che il noi voluto da Dio è rotto e frammentato, ferito e sfigurato. E questo si verifica specialmente nei momenti di maggiore crisi, come ora per la pandemia. I nazionalismi chiusi e aggressivi (cfr Fratelli tutti, 11) e l’individualismo radicale (cfr ibid., 105) sgretolano o dividono il noi, tanto nel mondo quanto all’interno della Chiesa. E il prezzo più alto lo pagano coloro che più facilmente possono diventare gli altri: gli stranieri, i migranti, gli emarginati, che abitano le periferie esistenziali. In realtà, siamo tutti sulla stessa barca e siamo chiamati a impegnarci perché non ci siano più muri che ci separano, non ci siano più gli altri, ma solo un noi, grande come l’intera umanità. Per questo colgo l’occasione di questa Giornata per lanciare un duplice appello a camminare insieme verso a un noi sempre più grande, rivolgendomi anzitutto ai fedeli cattolici e poi a tutti gli uomini e le donne del mondo. Una Chiesa sempre più cattolica Per i membri della Chiesa Cattolica tale appello si traduce in un impegno ad essere sempre più fedeli al loro essere cattolici, realizzando quanto San Paolo raccomandava alla comunità di Efeso: «Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo» (Ef 4,4-5). Infatti la cattolicità della Chiesa, la sua universalità è una realtà che chiede di essere accolta e vissuta in ogni epoca, secondo la volontà e la grazia del Signore che ci ha promesso di essere con noi sempre,

fino alla fine dei tempi (cfr Mt 28,20). Il suo Spirito ci rende capaci di abbracciare tutti per fare comunione nella diversità, armonizzando le differenze senza mai imporre una uniformità che spersonalizza. Nell’incontro con la diversità degli stranieri, dei migranti, dei rifugiati, e nel dialogo interculturale che ne può scaturire ci è data l’opportunità di crescere come Chiesa, di arricchirci mutuamente. In effetti, dovunque si trovi, ogni battezzato è a pieno diritto membro della comunità ecclesiale locale, membro dell’unica Chiesa, abitante nell’unica casa, componente dell’unica famiglia. I fedeli cattolici sono chiamati a impegnarsi, ciascuno a partire dalla comunità in cui vive, affinché la Chiesa diventi sempre più inclusiva, dando seguito alla missione affidata da Gesù Cristo agli Apostoli: «Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,7-8). Oggi la Chiesa è chiamata a uscire per le strade delle periferie esistenziali per curare chi è ferito e cercare chi è smarrito, senza pregiudizi o paure, senza proselitismo, ma pronta ad allargare la sua tenda per acco-


VITA DELLA CHIESA

“Riposo nella fuga in Egitto” custodito nella chiesa di Sant’Anna

gliere tutti. Tra gli abitanti delle periferie troveremo tanti migranti e rifugiati, sfollati e vittime di tratta, ai quali il Signore vuole sia manifestato il suo amore e annunciata la sua salvezza. «I flussi migratori contemporanei costituiscono una nuova “frontiera” missionaria, un’occasione privilegiata di annunciare Gesù Cristo e il suo Vangelo senza muoversi dal proprio ambiente, di testimoniare concretamente la fede cristiana nella carità e nel profondo rispetto per altre espressioni religiose. L’incontro con migranti e rifugiati di altre confessioni e religioni è un terreno fecondo per lo sviluppo di un dialogo ecumenico e interreligioso sincero e arricchente» (Discorso ai Direttori Nazionali della Pastorale per i Migranti, 22 settembre 2017). Un mondo sempre più inclusivo A tutti gli uomini e le donne del mondo va il mio appello a camminare insieme verso un noi sempre più grande, a ricomporre la famiglia umana, per costruire assieme il nostro futuro di giustizia e di pace, assicurando che nessuno rimanga escluso. Il futuro delle nostre società è un futuro “a colori”, arricchito dalla diversità e dalle relazioni interculturali. Per questo dobbiamo

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imparare oggi a vivere insieme, in armonia e pace. Mi è particolarmente cara l’immagine, nel giorno del “battesimo” della Chiesa a Pentecoste, della gente di Gerusalemme che ascolta l’annuncio della salvezza subito dopo la discesa dello Spirito Santo: «Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Ebrei e proseliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio» (At 2,9-11). È l’ideale della nuova Gerusalemme (cfr Is 60; Ap 21,3), dove tutti i popoli si ritrovano uniti, in pace e concordia, celebrando la bontà di Dio e le meraviglie del creato. Ma per raggiungere questo ideale dobbiamo impegnarci tutti per abbattere i muri che ci separano e costruire ponti che favoriscano la cultura dell’incontro, consapevoli dell’intima interconnessione che esiste tra noi. In questa prospettiva, le migrazioni contemporanee ci offrono l’opportunità di superare le nostre paure per lasciarci arricchire dalla diversità del dono di ciascuno. Allora, se lo vogliamo, possiamo trasformare le frontiere in luoghi privilegiati di incontro, dove può fiorire il miracolo di un noi sempre più grande. A tutti gli uomini e le donne del mondo chiedo di impiegare bene i doni che il Signore ci ha affidato per conservare e rendere ancora più bella la sua creazione. «Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò 3 loro dieci monete d’oro, dicendo: “Fatele fruttare fino al mio ritorno”» (Lc 19,12-13). Il Signore ci chiederà conto del nostro operato! Ma perché alla nostra Casa comune sia assicurata la giusta cura, dobbiamo costituirci in un noi sempre più grande, sempre più corresponsabile, nella forte convinzione che ogni bene fatto al mondo è fatto alle generazioni presenti e a quelle future. Si tratta di un impegno personale e collettivo, che si fa carico di tutti i fratelli e le sorelle che continueranno a soffrire mentre cerchiamo di realizzare uno sviluppo più sostenibile, equilibrato e inclusivo. Un impegno che non fa distinzione tra autoctoni e stranieri, tra residenti e ospiti, perché si tratta di un tesoro comune, dalla cui cura come pure dai cui benefici nessuno dev’essere escluso. Il sogno ha inizio Il profeta Gioele preannunciava il futuro messianico come un tempo di sogni e di visioni ispirati dallo Spirito: «Io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni» (3,1). Siamo chiamati a sognare insieme. Non dobbiamo aver paura di sognare e di farlo insieme come un’unica umanità, come compagni dello stesso viaggio, come figli e figlie di questa stessa terra che è la nostra Casa comune, tutti sorelle e fratelli (cfr Enc. Fratelli tutti, 8).

PREGHIERA Padre santo e amato, il tuo Figlio Gesù ci ha insegnato che nei Cieli si sprigiona una gioia grande quando qualcuno che era perduto viene ritrovato, quando qualcuno che era escluso, rifiutato o scartato viene riaccolto nel nostro noi, che diventa così sempre più grande. Ti preghiamo di concedere a tutti i discepoli di Gesù e a tutte le persone di buona volontà la grazia di compiere la tua volontà nel mondo. Benedici ogni gesto di accoglienza e di assistenza che ricolloca chiunque sia in esilio nel noi della comunità e della Chiesa, affinché la nostra terra possa diventare, così come Tu l’hai creata, la Casa comune di tutti i fratelli e le sorelle. Amen. Francesco

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VITA DELLA CHIESA

La condivisione Il Vangelo della Liturgia di questa domenica (25 luglio 2021 . ndr) narra il celebre episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci, con cui Gesù sfama circa cinquemila persone venute ad ascoltarlo (cfr Gv 6,115). È interessante vedere come avviene questo prodigio: Gesù non crea i pani e i pesci dal nulla, no, ma opera a partire da quello che gli portano i discepoli. Uno di loro dice: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?» (v. 9). È poco, è niente, ma a Gesù basta. Proviamo ora a metterci al posto di quel ragazzo. I discepoli gli chiedono di condividere tutto quello che ha da mangiare. Sembra una proposta insensata, anzi, ingiusta. Perché privare una persona, per lo più un ragazzo, di quello che si è portato da casa e ha il diritto di tenere per sé? Perché togliere a uno ciò che comunque non basta a sfamare tutti? Umanamente è illogico. Ma per Dio no. Anzi, proprio grazie a quel piccolo dono gratuito, e perciò eroico, Gesù può sfamare tutti. È un grande insegnamento per noi. Ci dice che il Signore può fare molto con il poco che gli mettiamo a disposizione. Sarebbe bello chiederci ogni giorno: “Oggi che cosa porto a Gesù?”. Lui può fare molto con una nostra preghiera, con un nostro gesto di carità per gli altri, persino con una nostra miseria consegnata alla sua misericordia. Le nostre piccolezze a Gesù, e Lui fa dei miracoli. Dio ama agire così: fa cose grandi a partire da quelle piccole, da quelle gratuite. Tutti i grandi protagonisti della Bibbia – da Abramo a Maria fino

al ragazzo di oggi – mostrano questa logica della piccolezza e del dono. La logica del dono è tanto diversa dalla nostra. Noi cerchiamo di accumulare e di aumentare quel che abbiamo; Gesù invece chiede di donare, di diminuire. Noi amiamo aggiungere, ci piacciono le addizioni; a Gesù piacciono le sottrazioni, il togliere qualcosa per darlo agli altri. Noi vogliamo moltiplicare per noi; Gesù apprezza quando dividiamo con gli altri, quando condividiamo. È curioso che nei racconti della moltiplicazione dei pani presenti nei Vangeli non compare mai il verbo “moltiplicare”. Anzi, i verbi utilizzati sono di segno opposto: “spezzare”, “dare”, “distribuire” (cfr v. 11; Mt 14,19; Mc 6,41 ; Lc 9,16). Ma non si usa il verbo “moltiplicare”. Il vero miracolo, dice Gesù, non è la moltiplicazione che produce vanto e potere, ma la divisione, la condivisione, che accresce l’amore e permette a Dio di compiere prodigi. Proviamo a condividere di più, proviamo questa strada che Gesù ci insegna. Anche oggi il moltiplicarsi dei

beni non risolve i problemi senza una giusta condivisione. Viene alla mente la tragedia della fame, che riguarda in particolare i più piccoli. È stato calcolato – ufficialmente – che ogni giorno nel mondo circa settemila bambini sotto i cinque anni muoiono per motivi legati alla malnutrizione, perché non hanno il necessario per vivere. Di fronte a scandali come questi Gesù rivolge anche a noi un invito, un invito simile a quello che probabilmente ricevette il ragazzo del Vangelo, che non ha nome e nel quale possiamo vederci tutti noi: “Coraggio, dona il poco che hai, i tuoi talenti, e i tuoi beni, mettili a disposizione di Gesù e dei fratelli. Non temere, nulla andrà perso, perché, se condividi, Dio moltiplica. Scaccia la falsa modestia di sentirti inadeguato, fidati. Credi nell’amore, credi nel potere del servizio, credi nella forza della gratuità”. La Vergine Maria, che ha risposto “sì” all’inaudita proposta di Dio, ci aiuti ad aprire il cuore agli inviti del Signore e ai bisogni degli altri. Papa Francesco


RICONOSCENZA

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Terminata la scuola, un adolescente scrive ai suoi professori.

«Ciao meravigliosi Insegnanti, voglio ringraziarvi molto perché è anche grazie a voi che riesco a perdonare il mio passato senza però dimenticarlo mai. Voi avete avuto la pazienza di insegnarmi una lingua molto difficile come l’italiano, ma penso che siate stati per me i “dottori della vita”: non mi avete solo aiutato con la lingua, siete stati anche un esempio da seguire nella vita di tutti i giorni». Sono le parole di Kone Ibrahim, 21 anni, originario del Mali, scritte in una lettera ai suoi professori di Ancona dopo gli esami della scuola secondaria di primo grado. Parole di affetto per i docenti, ma anche la grande soddisfazione per il percorso di s tudio e umano portato a termine. Tutti i docenti si sono commossi alla lettura della lettera e hanno rimandato a voce apprezzamenti per Ibrahim, che non solo manifesta un ottimo grado di inclusione sul territorio, ma che quotidianamente restituisce con senso di gratuità, impegnandosi nel volontariato. «Sono arrivato in Italia nel 2017 — racconta - e da quel giorno penso di aver fatto tanta s trada per arrivare dove sono ora. Il mio, come quello di tanti altri ragazzi, è stato un viaggio lungo, pieno di speranza, conoscenza, unità e rispetto. Durante il viaggio, però, ho anche sofferto molto: incidenti stradali, maltrattamenti fisici e verbali; ho subito tradimenti e ho sofferto la fame e la sete. Oggi però ringrazio il buon Dio e tutte le brave persone che ho incontrato, come chi mi ha accolto facendomi sentire a casa». Dopo essere stato escluso dal Centro di Accoglienza per richiedenti asilo di Mineo, senza nulla e privato di ogni tutela a soli pochi me si dal raggiungimento della maggiore età, la prospettiva per Ibrahim sembrava essere solamente la strada. Poi la fortuna di essere accolto dall’Associazione MetaCometa

nel 2019 come beneficiario della prima edizione del progetto “M’Interesso di Te”, promosso e gestito dall’ente “Salesiani Per il Sociale APS”. Inserito in un percorso di formazione-lavoro, con alloggio a “Casa Don Bosco”, una comunità familiare nel comune di Osimo, per Ibrahim è iniziato anche l’importante percorso di integrazione. Oggi è dipendente a tempo indeterminato della Associazione: si occupa dei lavori di manutenzione della struttura ed è felice di questa nuova opportunità che gli permette anche di proseguire gli studi. «Tra tante persone che ho conosciuto - conclude Ibrahim - devo ringraziare soprattutto l’Associazione MetaCometa che è ormai diventata la mia famiglia italiana. Grazie a loro ho imparato un mestiere, quello del muratore, e adesso lavoro, riesco a permettermi un affitto ed essere sereno grazie alla formazione, alla pazienza e all’amore che mi hanno donato». Marco Pappalardo Avvenire

Grazie suor Chiara

Un significativo e partecipato momento, per un saluto riconoscente a suor Chiara, si è tenuto nella serata di giovedì 12 agosto: prima nella Messa serale nella chiesa di Sant’Anna; poi nel salone del convento per un semplice ma intenso momento conviviale, sottolineato anche da qualche lacrima. La mattina seguente, suor Chiara, dopo tanti anni di presenza e servizio ad Albino, si è trasferita a Bergamo nella casa madre delle Suore delle Poverelle.

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EDUCAZIONE PREVENZIONE PER COMBATTERE ALCOOL E DROGHE

Don Chino: “Una mamma mi scrive...” Rubrica a cura del Centro di Ascolto e Auto-Aiuto “Promozione Umana” di don Chino Pezzoli. Cinzia ha scoperto che suo figlio di sedici anni si fa le canne. Mi scrive: «Per me mamma è stato motivo di amarezza e disorientamento. Non pensavo che il mio terzo figlio usasse marijuana. In questi ultimi mesi con suo papà lo abbiamo ripreso, fatto ragionare, ma i suoi atteggiamenti sono sempre più staccati e a volte anche sfidanti. Le chiedo: cosa dobbiamo fare?».

Questa domanda mi viene rivolta da mamme e papà che mi chiedono una risposta a un problema difficile. La risposta che segue vuole informare i genitori che questa sostanza chiamata erroneamente “droga leggera” comporta rischi neuropsichici. Cara mamma Cinzia, la maggior parte degli adolescenti fa uso, occasionalmente o regolarmente, di “canne” o “spinelli”, che contengono marijuana. Per comprendere il significato e le possibili conseguenze di questo uso è necessario tenere presenti alcune informazioni scientifiche che, pur essendo ormai ampiamente diffuse, sono ancora poco note. La marijuana è una sostanza grigio-verde costituita da foglie, gambi, semi e fiori secchi triturati di cannabis sativa, la pianta della canapa. Essa contiene circa 400 sostanze chimiche, la principale delle quali è il tetraidrocannabinolo (con principio attivo variante) che agisce sul cervello aumentando la produzione di dopamina, un neurotrasmettitore che regola l’umore, come accade in parte per tutte le altre sostanze d’abuso (alcol, cocaina, eroina).

Dopo aver assunto marijuana una persona avverte una sensazione di piacere e benessere, può percepire in modo alterato colori, suoni e lo scorrere del tempo. A questo si possono associare occhi arrossati, batticuore, aumento della fame e della sete, tremore delle mani, rallentamento dei riflessi, quest’ultimo possibile causa di incidenti stradali. Gli effetti dello spinello svaniscono dopo una, due ore, causando nel soggetto un senso di stanchezza fisica e psichica. L’uso e abuso di marijuana può causare diversi problemi psichici. Anzitutto, se c’è una predisposizione biologica (e non è possibile saperlo prima), può scatenare attacchi di panico, depressione, disturbi bipolari (cioè alternanza di depressione ed euforia) o uno stato psicotico, ossia un distacco dalla realtà, diffidenza, ossessioni persecutorie. L’uso prolungato di marijuana può anche causare difficoltà di concentrazione, attenzione, perdita della memoria con conseguente crollo del rendimento scolastico, e quella che è definita una “sindrome motivazionale”, ossia perdita di interessi, scarsa progettualità e tendenza all’isolamento. Agli effetti psichici vanno aggiunti i possibili danni fisici: l’anidride


EDUCAZIONE carbonica che assorbe l’apparato polmonare e che determina danni simili e peggiori a quelli derivanti dal fumo di tabacco; restringimento dei vasi sanguigni con sbalzi di pressione, bruciore e rossore alla gola e alla bocca, tosse, catarro, infezioni bronco-polmonari, asma. Il quadro clinico non è per niente incoraggiante. Contrariamente a quella che è l’opinione comune, la marijuana può creare craving, ossia desiderio di continuare ad assumerne, e dipendenza con sintomi di astinenza, come ansia, irritabilità, aggressività, irrequietezza, nausea e disturbi del sonno. Cinzia e altri genitori chiedono come devono comportarsi con il figlio adolescente che fuma cannabis. L’argomento va affrontato dal genitore con serenità, ma allo stesso tempo con rigore e responsabilità dando per scontato che in prima battuta ci si sentirà rispondere: «È solo erba. Tutti i miei amici fumano lo spinello anche perché l’informazione televisiva e i giornali dicono che non è dannoso». Di fronte a queste affermazioni, il genitore non deve irrigidirsi, ma solo ascoltare, solo dopo intervenire con competenza e fermezza. L’intervento, per essere efficace, va preparato e concordato dai genitori.

CENTRO DI ASCOLTO E AUTO-AIUTO “PROMOZIONE UMANA” di don Chino Pezzoli

Via Donatori di Sangue 13 Fiorano al Serio - Tel. 035 712913 Cell. 3388658461 (Michele) centrodiascoltofiorano@virgilio.it Facebook @centrodiascoltofiorano INCONTRI GENITORI mercoledì dalle 20.30 alle 22.30

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Nella mia lunga esperienza, questo intervento è spesso motivo di conflitto all’interno della coppia essendo uno dei genitori più rigido e intransigente, l’altro più permissivo. In genere è più tollerante quel genitore che in passato ha fatto uso di marijuana. Minimizzare il fatto o riservare all’adolescente solo consigli non serve. Rivelare poi che in gioventù anche uno di loro fumava lo spinello è rischioso… L’atteggiamento corretto è analizzare con il figlio adolescente i cambiamenti di comportamento presenti in lui con l’uso di cannabis. Far capire come i suoi comportamenti spesso disordinati, passivi, smemorati sono causati da una sostanza che incide fortemente sui neuroni cerebrali. Spesso l’adolescente (che ritiene normali i suoi nuovi comportamenti) reagirà smodatamente, tenterà d’interrompere il confronto. I genitori allora si soffermeranno sugli effetti dei suoi comportamenti in famiglia, a scuola, nel tempo libero. L’intervento però sia condotto non mettendo al centro il dispiacere dei genitori per l’accaduto, ma focalizzandosi sul figlio per fargli intendere che la sostanza che fuma ostacola la sua crescita neuropsichica, prospettandogli che una mente libera dal cannabinolo, alla sua età, cresce a livello intellettivo, volitivo, affettivo. Far comprendere all’adolescente che in gioco è la qualità della sua vita presente e futura. Di qui prospettare all’adolescente la riuscita nei rapporti umani, la realizzazione di un progetto di vita motivata. Gli adolescenti sono sensibili a tutto questo, se comunicato con insistenza, sensibilità e passione. Leggo su un poster appeso in una scuola: «Non fumarti la testa!”. Il poster evidenziava una foglia di marijuana. Un invito a tutti gli alunni a non compromettere l’ordine neurologico. Scrive Laura, una ragazza di sedici anni, come risposta a questo slogan: «Alcuni miei compagni fumano spinelli in strada, a scuola, in casa e si vantano come se le cannabis fossero sostanze “ricostituenti” del cervello. Io, dopo che hanno fumato in gruppo, li osservo: parlano a vanvera, ridacchiano, si danno spintoni, insomma si fumano la testa». L’affermazione di Laura è incisiva e vale più di mille predicozzi. Suggerisco alla mamma Cinzia e a tutti i genitori di non prendere sottogamba questa dipendenza che in tutti gli adolescenti in via di sviluppo compromette la maturazione della massa cerebrale. Se non ottenessero risultati positivi si facciano aiutare dagli esperti, prima che sia troppo tardi.

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EDUCAZIONE

CI SPOSIAMO! Mi chiedo perché alcuni adulti, alla notizia che un giovane o una giovane danno del loro imminente matrimonio, reagiscano ostentando disincanto, se non cinismo o ironia. “Vi sposate? E perché mai? Non vi rendete conto che non ne vale la pena? Certo, adesso che siete innamorati ed entusiasti –ma anche così tremendamente ingenui ed illusi- tutto vi sembra bello, roseo, felice…E invece la realtà -quella di cui costoro si atteggiano ad esperti- è ben diversa: Veniamo da relazioni deludenti, finite in separazioni o divorzi; comunque da esperienze negative, fallimentari e che non rifaremmo. Vorremmo evitarvi future delusioni e sofferenze…” Sembra che queste persone non tengano conto di chi hanno davanti e della delicatezza di una consegna di una buona e bella notizia: ci sposiamo! La notizia che è ancora possibile non solo innamorarsi ma anche promettersi un amore che voglia durare tutta una vita, che sia fedele ed appagante. Altro che “il matrimonio è la tomba dell’amore”. Ma perché molti adulti –e anche molti giovani- non credono più nel matrimonio? Perché il matrimonio esercita una così scarsa attrattiva ai giorni nostri? Sarà per la mentalità che è cambiata, per la società liquida, per le difficoltà economiche, per i postumi della pandemia? Certamente alcune di queste posizioni si spiegano un po’ anche per la superficialità con cui si affron-

tano temi così delicati e profondi, temi che richiederebbero sensibilità, finezza d’animo, capacità di ascolto, empatia…È più facile lasciarsi andare ai soliti luoghi comuni o alla chiacchiera sciocca alla quale i social ci hanno abituato. Il rischio a volte è anche quello di mettere davanti alla scelta coraggiosa di celebrare il matrimonio delle ragioni “strumentali” che, in realtà, verrebbero dopo; ragioni che non riguardano intrinsecamente gli elementi fondamentali della relazione amorosa, quelli davvero importanti per un matrimonio felice, quelli su cui vale la pena investire… Se due giovani ti annunciano il loro matrimonio guardali negli occhi, ascolta non solamente le loro parole ma anche i significati che celano, cogli la commozione, la partecipazione emotiva ad un annuncio così importante che è come una consegna, un dono di sé. A chi ti apre il suo cuore non puoi rispondere in modo cinico e neppure in modo fatuo ma devi prendere sul serio la loro confidenza. Già, con-fidenza: questo annuncio è un vero atto di fiducia in chi si ha davanti, perché non lo si ritiene un estraneo ma un interlocutore capace di ascolto, di accoglienza e non solo di approvazione convinta. Quella, se arriva, non potrà che incoraggiare e far piacere ai futuri sposi. Enzo Noris


ESPERIENZE EDUCATIVE

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Scoutismo per bambini, scoutismo per giovani! Quando sono entrato negli scout a otto anni mi sono trovato in un ambiente accogliente, nel quale potevo conoscere molti ragazzi e fare nuove esperienze. Gli scout sono organizzati in branche in base all’età: lupetti tra gli otto e i dieci anni, esploratori tra gli undici e i quindici anni e infine rover dai sedici anni in poi. Alla fine dei lupetti ho lasciato gli scout per vari motivi, ma lo scorso anno ho deciso di rientrare e adesso faccio parte della branca rover. All’inizio ero molto agitato, non sapevo cosa aspettarmi ritornando negli scout dopo così tanto tempo, però sono stato piacevolmente stupito. Nonostante fossi un estraneo per molti, mi hanno accolto tutti con piacere, coinvolgendomi nelle attività e facendomi sentire parte del gruppo. Nonostante avessi saltato gli esploratori riuscivo comunque a partecipare attivamente alle proposte dei capi, poiché ogni branca scout differisce sostanzialmente dalle altre. Ognuna infatti approfondisce aspetti diversi del metodo scoutistico, approfondendo temi

diversi, ma sempre adatti all’età di chi partecipa. Nella branca dei lupetti si iniziano ad introdurre le basi dello scoutismo, come l’aiutare il prossimo e rispettare la natura, valori comuni anche al cristianesimo. Questi vengono trasmessi anche tramite giochi, poiché è una modalità di insegnamento efficace per i bambini. Si impara inoltre a conoscere il territorio vicino a noi e la flora e la fauna che ne fanno parte. Gli esploratori sono dedicati allo stretto contatto con la natura, ispirandosi alle origini dello scoutismo camminano per i monti, aiutano il prossimo in ogni situazione e vivono con pienezza la loro fede seguendo gli insegnamenti del vangelo. Spesso negli esploratori si acquisiscono competenze utili per vivere nei boschi, ad esempio si insegnano nodi, tecniche di lavorazione del legno e come orientarsi. Il fine del percorso scoutistico è formare buoni cittadini e buoni cristiani; questo viene raggiunto nella branca rover dove ci sono molte più attività di riflessione

rispetto agli esploratori. Qui si pongono domande tipiche dei ragazzi tra i sedici ed i vent’anni, si discutono i dubbi che possono sorgere riguardo alla vita, alla fede ed al futuro. È interessante come nei rover si formi una propria comunità, in cui ognuno può esprimere le proprie opinioni e prendere parte nelle decisioni, appunto perché si è molto più maturi rispetto agli esploratori. In conclusione la suddivisione in branche permette agli scout di socializzare con persone della stessa età e dagli interessi comuni. I percorsi di formazione inoltre vengono adattati nei temi e nelle modalità in base alla maturità e alle capacità che ciascuna età offre. Un filo rosso unisce le diverse sezioni: le attività si svolgono sempre secondo gli insegnamenti del nostro fondatore Baden Powell e quindi secondo insegnamenti cristiani e di rispetto della natura. Daniele

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ORATORIO

Cre 2021

Hurrà! E alla fine ce l’abbiamo fatta. Anche quest’anno. Resta, dopo qualche giorno, la sensazione di aver vissuto ancora una volta un’esperienza di comunità: bambini, ragazzi, animatori, educatori, coordinatori, volontari, famiglie… insomma tutti quanti! 4 settimane fatte di tante cose: giochi, gite, laboratori, sport, Moroni, preghiera, compiti, piscina… Il meteo ha rivoluzionato un po’ i programmi, e il Covid è rimasto compagno anche di quest’anno purtroppo raggiungendoci sul finale. In ogni caso resta un grazie da dirci! Perché alla fine abbiamo messo su ancora casa in oratorio come non succedeva da 2 anni. Per cui grazie di cuore!

CAMPO ESTIVO PREADO

CAMPO ADO

26-31 luglio 2021 - Lizzola

1-6 agosto 2021- Marina di Massa

Finalmente! Un campo estivo per i nostri ragazzi di 1a-2a-3a media. Sei giorni di vita comune, divertimento, gite, maltempo, servizio in casa, grandi giochi, preghiera, condivisione. Per tutto questo grazie!!! “Non sono le nostre capacità a dimostrare quello che siamo, ma le nostre scelte”.

E così si conclude anche il campo adolescenti. Giorni che sono sempre un’occasione preziosa per gustare la bellezza dei legami dentro un’esperienza che (finalmente) siamo riusciti a vivere nuovamente insieme. E questa cosa sa già di gratitudine! A cui si aggiunge quella che va a tutti gli Ado e agli Educ. Che bello vivere la continuità tra il cammino dei venerdì sera del CateAdo, al Cre e infine al campo.


ORATORIO

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Festa

dell’Oratorio Da venerdì 27 agosto a Domenica 5 settembre ritorna, dopo la “mini edition” dello scorso anno, il tradizionale appuntamento con la festa dell’Oratorio. Come in ogni festa che si rispetti ci daremo appuntamento per ritrovare il piacere dello stare insieme e salutare l’estate in un tempo allietato da convivialità, musica e divertimento. Inaugureremo così il cammino di un nuovo anno sociale. Vi aspettiamo! Tutte le proposte sono state pensate nel rispetto delle attenzioni anti-covid. Il programma dettagliato, incluse tutte le info logistiche, è consultabile sulle lucandine a stampa e sul sito www.oratorioalbino.it

Date significative e una curiosità

In occasione del 186° anniversario della dedicazione della nostra Prepositurale di San Giuliano, che cadrà il 6 settembre, pubblichiamo il testo dell’iscrizione “a fresco” posta sul cornicione sopra l’abside della chiesa. L’iscrizione recita:

«Nel 1807 si diede principio al presente nuovo tempio, disegnio del celebre architetto Elia. Sino l’anno 1816 il cappo mastro fu il Pellegrini e poi subentòol cappo mastro Burini il quale continuò fino alla fine. Il cappo manuale fu Luigi Ricardi dal principio sino alla fine, essendo uomo di somma intelligenza, fedele abbenché fosse senza un occhio senza naso senza un orecchio, il fuoco ne fu la cagione di essere deforme. La fabbrica continuò fino al 18...». La foto risulta incompleta per il posizionamento di elementi di illuminazione davanti all’affresco.

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VITA PARROCHIALE Nella tarda serata di venerdì 23 luglio si è spento don Francesco Spinelli, da cinque anni parroco di San Paolo d’Argon. Nato ad Albino il 5 maggio 1957, era sacerdote da quarant’anni. Sentimenti di dolore, commozione e riconoscenza si sono resi percepibili nei due grandi abbracci che San Paolo d’Argon e Albino hanno tributato a don Francesco: nei giorni del lutto fino alle esequie, presiedute dal Vescovo di Bergamo mons. Francesco Beschi, celebrate la mattina di martedì 27 luglio nella parrocchiale di San Paolo d’Argon, affollata già dal sagrato; nel saluto di Albino nella camera ardente allestita, dopo la celebrazione del funerale a San Paolo d’Argon, nella chiesa di Sant’Anna dove molti albinesi gli hanno portato un ultimo saluto e, mercoledì 28 luglio, nella Messa funebre nella prepositurale di San Giuliano a cui è seguita la tumulazione nella cappella del cimitero di Albino. Proponiamo in queste pagine alcuni ricordi di due suoi amici e il cronoracconto degli ultimi giorni di don Francesco reso pubblico dalla parrocchia di San Paolo d’Argon.

«Hai vinto tu»

Lettera a don Francesco di un compagno di studi Caro don Francesco, è domenica e sono affacciato alla finestra. Vedo la Chiesa di Santa Maria della salute che è di fronte a casa mia e sento le campane che suonano a festa. Mi ricordano le campane della Chiesa parrocchiale di San Giuliano ad Albino… quando improvvisamente cominciavano a suonare durante le lezioni di diritto del professor Conte e lo infastidivano… Lui allora, indispettito, interrompeva la spiegazione e sbottava: “Ah! ‘ste campane!”… poi si voltava verso di te, che stavi seduto là, tra gli ultimi banchi, in fondo alla classe, e aspettava la tua reazione. Cominciava allora una divertente commedia nella quale lui proponeva di zittire per sempre quelle fastidiose campane, mentre tu difendevi ad oltranza lo storico “diritto” delle campane di poter suonare. Sembrava di assistere ad una novella versione dello scontro fra don Camillo e Peppone, nella quale il professore era il soste-

nitore dello “Stato laico” e tu il difensore dei diritti di “Santa Romana Chiesa”. Ebbene, a distanza di quasi cinquant’anni posso assicurarti che… hai vinto tu! Le campane di San Giuliano oggi stanno suonando ancora per dare la notizia del tuo passaggio dalla vita terrena alla vita oltre la morte, ma desidero anche dirti che non c’era bisogno di giungere a questo tuo sacrificio per vincere una sfida, avrei preferito che tu rimanessi ancora a lungo qui tra di noi e sono addolorato e sconcertato per la tua morte inaspettata. Sono anche tentato di obiettare che… non è giusto, non è giusto andarsene via così, improvvisamente, senza salutare, tanto più che mi avevi promesso, visti i miei problemi di salute, che saresti venuto a trovarmi, ed io questa estate aspettavo la tua visita… Ma ho qui, sotto gli occhi, una tua lettera nella quale, senza saperlo, mi hai già dato la tua risposta; infatti mi dici: “ti assicuro il mio ricordo nella preghiera. Il Signo-

re del tempo ti doni di vivere nel suo tempo con serenità”. È vero, il tempo non è una nostra proprietà, il tempo appartiene a Dio; è Lui che ce lo dona, qui, adesso, su questa terra, e poi ancora, oltre la morte, per sempre! E quindi, ora più che mai, tu vivi, vivi “immerso” nel tempo di Dio, nel “suo” tempo, vicino a Lui, per l’eternità… Tutti noi che fummo tuoi compagni di scuola a ragioneria ti ricordiamo nella preghiera, ma tu, ora che sei nella casa di Dio Padre compi ancora la tua missione sacerdotale: ricordaci ed intercedi per tutti noi presso di Lui, per sempre (ricordi che quando ti hanno ordinato sacerdote ti hanno cantato che “tu sei sacerdote in eterno”) Addio, don Francesco… a… Dio... ci rivedremo nella pienezza del “suo” tempo quando il Suo amore sarà “tutto in tutti”. Amen Natale Berbenni Selvino, 25 luglio 2021


RICORDO DI DON FRANCESCO SPINELLI

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«Albino è il paese più bello del mondo»

Con Mario Piazzini e Francesco Birolini

“Albino è il paese più bello del mondo”. Così per tanti anni e nel corso delle diverse esperienze pastorali si esprimeva don Francesco quando gli chiedevano del suo paese natale. Una affermazione forte, forse e senza “forse” esagerata, ma che denotava il suo incrollabile attaccamento alla Comunità di Albino da cui proveniva e in cui farà ora ritorno riposando nella cappella dei sacerdoti del cimitero di Albino capoluogo. È sempre difficile parlare di una persona e in particolare di un sacerdote perche’ spesso si rischia di “calcare la mano” nel descrivere sia gli aspetti positivi sia quelli negativi. Una affermazione su tutte emerge comunque ricordando la sua vita sacerdotale: la coerenza e l’impegno totale portati avanti nel guidare le diverse comunità a lui affidate. In ogni paese dove ha operato e’ rimasto un segno concreto e forte del suo impegno sacerdotale prova ne sia che anche in questi ultimi anni pastorali a San Paolo d’Argon i legami e le amicizie con tante persone di Bonate,

Don Francesco con Mario Piazzini

Il ricordo di un amico

Ponte San Pietro, Locatello, Corna Imagna e Treviolo sono proseguiti solidi e costruttivi. Personalmente, essendo dello stesso paese e avendolo conosciuto già alle elementari e poi ancor di più negli anni scolastici di Ragioneria, i ricordi e le esperienze non mancano. Carattere deciso acquisito dalla famiglia di origine, molto estroverso, sapeva attirare l’attenzione delle persone ottenendone anche importanti

collaborazioni. Con i ragazzi e i volontari ha sempre avuto un buon dialogo pur mantenendo una “rigidità” morale e religiosa certe volte in contrasto con alcuni di loro. Io l’ho apprezzato e supportato, assieme ad altri amici di Albino, nella sua esperienza di impegno oratoriano ad Albino durante gli anni ‘70 e ‘80, prima e durante il periodo trascorso in seminario. Quegli anni sono stati per lui, così come anche per me e i miei amici fraterni Mario Piazzini, Aurelio Tacchini, Camilla Suardi, Emy Testa e Giannina Usubelli in Remigi, un grande “valore aggiunto” alla nostra vita umana e cristiana. Erano anni belli e difficili ma con Francesco e il curato di allora, don Emilio Zanoli, entrambi figure di veri “trascinatori”, abbiamo potuto affrontarli con fiducia e tanta forza di volontà ottenendo frutti davvero importanti che si trascinano nel tempo Non aggiungo altro, chiedo solo al Signore di accoglierlo in Cielo dove già si trovano, oltre ai suoi genitori, le sorelle Giovanna e Vittoria. Francesco Birolini

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I giorni dell’AD-DIO “Ad Deum” “A Dio” La parrocchia di San Paolo d’Argon ripercorre gli ultimi giorni, e quelli del lutto, del suo parroco don Francesco Spinelli. LUNEDÌ 18 LUGLIO 2021 Don Francesco, presso l’ospedale di Seriate, dove è in cura, al mattino riceve una trasfusione di sangue perché risulta anemico. MARTEDÌ 19 LUGLIO In casa parrocchiale, in mattinata, don Francesco presiede una riunione con i responsabili della scuola dell’infanzia. Riceve la visita del vescovo Francesco Beschi. Nel pomeriggio va all’oratorio dove si svolge il Cre, incontra don Ettore Galbusera. Alle ore 18.00 celebra la Santa Messa per l’ultima volta MERCOLEDÌ 20 LUGLIO Prima di mezzogiorno don Francesco è portato al pronto soccorso di Seriate perché ha difficoltà a respirare. Vi rimane per la notte e il mattino seguente GIOVEDÌ 21 LUGLIO Don Francesco torna a casa, con grande difficoltà sale le scale, sta a letto. Il suo respiro risulta molto affaticato. In casa rimangono per la notte la sorella Silvia e il cognato Giancarlo. VENERDÌ 23 LUGLIO Prima di mezzogiorno don Francesco in ambulanza viene porta-

to al pronto soccorso di Alzano. Prima di partire don Maurizio traccia un segno di croce sulla fronte di don Francesco che gli dice: “Mi raccomando la parrocchia”. All’ospedale di Alzano i medici diagnosticano un’embolia polmonare. Dicono che la cosa è curabile, ma alle ore 23.15, assistito dal cappellano dell’Ospedale don Daniele Bravo, don Francesco rende l’anima a Dio. Muore. Muore dopo il termine dello spettacolo finale del Cre all’oratorio. Alle ore 23.20 giunge la notizia della sua morte a san Paolo d’Argon. SABATO 24 LUGLIO Ore 01.45 - A San Paolo d’Argon viene portato il corpo di don Francesco. Vestito e composto dai componenti delle pompe funebri dell’impresa “la Pace” è collocato nella chiesina adiacente alla chiesa parrocchiale. Ore 02.40 - Don Ettore Galbusera, condiscepolo di don Francesco e Prevosto di Trescore Balneario, presiede la preghiera e la benedizione. Ore 07.00 - Le campane annunciano la morte del parroco di San Paolo d’Argon Ore 08.30 - La celebrazione della santa Messa in Santa Maria in Sabato, presieduta da don Mau-

rizio Rota amministratore parrocchiale, vede già la partecipazione di molti fedeli. Doveva essere la Messa per la buona salute di don Francesco, invece è la prima celebrazione di suffragio. Inizia così il lungo pellegrinaggio per visitare e pregare davanti alla salma di don Francesco. Sono state stampate 2.200 immaginiricordo ritirate dalle tante persone nei giorni della visita. Sono state poste 816 firme e dediche sul fascicolo posto all’ingresso della cappella. Dalle 16.00 alle 17.15 - Tempo per la Confessione. Ore 17.30 - La Messa festiva della vigilia è presieduta dal vescovo Carlo Mazza, vescovo emerito di Fidenza, che nell’omelia ricorda don Francesco. Si nota già la presenza di persone provenienti dai paesi dove don Francesco ha esercitato il suo ministero: Brembate Sopra, Ponte San Pietro, Corna e Locatello, Treviolo e San Paolo d’Argon. Al termine il vescovo Carlo distribuisce ai nonni e anziani presenti il messaggio di papa Francesco per la prima giornata mondiale dei Nonni e degli Anziani. Ore 20.30 - In chiesa parrocchiale si vive la prima veglia di preghiera comunitaria dove la vita di don Francesco è illuminata dai misteri gaudiosi.


DOMENICA 25 LUGLIO Le celebrazioni della santa Messa nella prima giornata mondiale dei Nonni e degli Anziani, ore 08.30, 10.30 con il Battesimo di Fabio e alle 18.00. È distribuito il messaggio di papa Francesco. Alle ore 12.00 - Celebrazione del Battesimo di Filippo e di Vera. Per tutta la Domenica continua la visita alla salma di don Francesco. Dalla 16.00 alle 17.45 - Tempo per la Confessione. Ore 20.30 - La seconda veglia di preghiera comunitaria in suffragio dove i misteri gloriosi mettono in evidenza l’attenzione di don Francesco alle feste liturgiche. Alla Veglia sono presenti anche i fedeli di Treviolo, tra cui molti giovani. LUNEDÌ 26 LUGLIO Ore 07.00 - Apertura della chiesina per la visita a don Francesco. Piove. Ore 08.30 - Don Gianluca Marchetti, cancelliere vescovile, celebra la Santa Messa nella memoria dei Santi Gioacchino e Anna. Ore 11.00 - Veglia di preghiera in suffragio di don Francesco per i bambini e i ragazzi presieduta da don Antonio Locatelli, parroco di Colere. È presente anche don Patrizio Carminati, curato di Pedrengo. Dalle 09.00 alle 11.00, dalle 16.00 alle 18.00 - Tempo per la Confessione. Sono presenti due confessori cappuccini del con-

vento di Albino. Ore 18.00 - Don Maurizio Rota celebra la Santa Messa d’orario. Ore 20.30 La quarta veglia di preghiera comunitaria dove il panno da morto, sul quale sarà posta la bara con don Francesco, è motivo di riflessione e di preghiera. Nella chiesina, dopo la veglia c’è la velazione del volto di don Francesco e la chiusura della bara. Si svolge la processione alla chiesa parrocchiale dove sulla bara di don Francesco è deposta la casula bianca che la parrocchia gli ha regalato per il suo quarantesimo di ordinazione sacerdotale lo scorso 20 giugno. MARTEDÌ 27 LUGLIO Ore 07.30 - Non piove. Gli animatori dell’Oratorio preparano le sedie sul sagrato, prestate dalla scuola nel monastero, per la partecipazione al funerale. Si prova l’impianto audio per sentire all’esterno. Ore 08.30 - Preghiera del santo Rosario Ore 09.10 - Introduzione alla celebrazione solenne del Funerale con il canto e la recita del Santo Rosario. Ore 10.00 - La Santa Messa del funerale presieduta dal nostro Vescovo Francesco Beschi. Sessantacinque preti concelebranti e complessivamente 700 persone presenti. Al termine della Santa Messa il condiscepolo don Ettore Galbusera e il Sindaco Stefano Cortinovis ricordano

e salutano don Francesco. Don Maurizio legge il testamento spirituale di don Francesco scritto il 13 aprile 2020. Esequie. Processione sul sagrato cantando “Il Signore è il mio Pastore” fino al carro funebre che alle ore 11.30 porta don Francesco alla chiesa di sant’Anna in Albino in attesa delle ultime esequie e la sepoltura nella cappella dei preti del cimitero di Albino il giorno seguente. C’è un applauso corale quando il carro funebre inizia a muoversi e poi il silenzio. MERCOLEDÌ 28 LUGLIO Ore 10.00 - Nella chiesa parrocchiale di Albino il prevosto don Giuseppe Locatelli celebra la Santa Messa, concelebrano diciannove preti. Sono presenti 220 fedeli. Un rappresentante del sindaco e un compagno di scuola di ragioneria ricordano don Francesco. Dopo la Messa esequiale il corpo di don Francesco è sepolto nella cappella dei preti del cimitero di Albino. La celebrazione si conclude con il canto della Salve Regina. Requiem! Resurgam! GIOVEDÌ 29 LUGLIO Nella parrocchiale di San Giorgio in Treviolo dove, don Francesco è stato parroco per diciassette anni, alle ore 20.30 c’è la celebrazione della Santa Messa. Presiede il parroco e concelebrano altri sei preti. Don Maurizio Rota tiene l’omelia.

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ALTRI MONDI Una nuova destinazione sempre in Bolivia

Don Gian Luca in missione a Melga Da poco è rientrato in Italia

Melga è un piccolo villaggio situato a 2.500 metri sul livello del mare sulla strada che da Cochabamba si dirige verso la zona pre amazzonica del Chapare. Al lato della strada si staglia il Santuario voluto e realizzato da don Berto Nicoli, sacerdote missionario di Vall’Alta di Albino che ha dedicato tutta la sua vita alla Bolivia. Dopo molti anni i sacerdoti bergamaschi tornano a prendersi cura in modo continuativo delle comunità che si sviluppano in piccoli gruppi di case attorno alla chiesa. Don Fabio Calvi, dopo alcuni anni trascorsi a Munaypata, La paz e un breve periodo di passaggio nella parrocchia di Condebamba, a Cochabamba, si è trasferito nella parrocchia di Melga accompagnato dalla storica laica missionaria Maria Gotti, che per anni ha condiviso la sua missione con il compianto Vescovo Eugenio Scarpellini. Queste zone di passaggio, a metà strada fra le principali città di Bolivia e le zone pre-amazzoniche, negli anni si sono svuotate. Le famiglie, soprattutto quelle giovani, hanno scelto, o sono state obbligate dalla ricerca di lavoro, a spostarsi nelle periferie delle grandi città oppure nelle zone del Chapare dove ci sono maggiori possibilità di impiego. Non tutte le famiglie possono permettersi di lasciare i propri villaggi, soprattutto quelle che hanno ancora degli appezzamenti di terreno e degli animali da pascolo di cui prendersi cura. Andarsene vorrebbe dire perderne la proprietà. Le situazioni più difficili sono vissute da quei piccoli nuclei familiari che vivono in piccoli insediamenti distanti 10-20 km dai principali centri abitativi (vedi Melga). In questi luoghi isolati, raggiungibili prevalentemente a piedi con 6-7 ore di cammino, vivono famiglie che si dedicato all’agricoltura e agli animali da pascolo. La vita è particolarmente dura per i bambini e per le donne: per raggiungere scuole e servizi sanitari di base sono necessarie ore e ore di cammino.

Festa di saluto alla Ciudad de los ninos

In questo contesto la presenza dei missionari non è solo di grande significato per le celebrazioni e i sacramenti (alcune comunità non ricevono la visita di un sacerdote da 15 anni), ma diventa di aiuto anche per piccole necessità di sopravvivenza, la distribuzione di viveri e l’ascolto di storie o necessità particolari. Don Fabio ha iniziato la visita di queste comunità con grande entusiasmo e gli abitanti dei villaggi, soprattutto i bambini, partecipano con interesse e curiosità agli incontri. La sensazione di sentirsi considerati e ricevere attenzioni e aiuti concreti è davvero un grande dono. Centro Missionario diocesano

Diventiamo prossimo Continua l’iniziativa del fondo di solidarietà “Diventiamo prossimo” per sostenere e accompagnare le famiglie in difficoltà economica MODALITÀ PER CONTRIBUIRE

 Autotassazione mensile: si stabilisce una cifra che viene versata

mensilmente per il periodo indicato

 Presso il Centro di Primo Ascolto alla Casa della Carità

in piazza San Giuliano 5 al mercoledì dalle 20.45 alle 22  Con bonifico bancario tramite il nuovo IBAN attivo dal 22 febbraio 2021

IBAN: IT20 L0538 75248 00000 4260 6856 c/c intestato Parrocchia San Giuliano, Conto Caritas indicando la causale: FONDO DI SOLIDARIETÀ DIVENTIAMO PROSSIMO


NEL VITASEGNO PARROCCHIALE DI PADRE TADDEO17

6 agosto, sbarco a Malpensa.

Dopo nove anni quale responsabile della Ciudad de los ninos, don Gian Luca Mascheroni ha ricevuto dal vescovo un nuovo incarico missionario e il 18 febbraio è stato presentato a Melga come vicario della parrocchia. Mons. Juan Gomez ha presieduto la celebrazione. Dal 1 luglio è giunto alla Ciudad de los ninos il nuovo direttore, Fulvio Diploma. Questi ne era già stato direttore educativo e coordinatore generale nel 2012-2013, dopo esserne stato educatore dal 2007 al 2011. Rientrato in Italia, era stato impegnato in varie opere educative sempre del Patronato San Vincenzo: dal 2013 come educatore della Comunità di Sorisole, con don Fausto Resmini, dal 2013 al 2015 come insegnante di religione nella formazione professionale del Patronato, dal 2016 al 2018 come educatore del Centro Meta, dal 2016 responsabile anche del Progetto Bolivia del Patronato stesso. Con questo curricolo Fulvio Fiploma è stato accolto alla Ciudad con queste parole: «Benvenuto Fulvio a La Città dei Bambini come nostro nuovo direttore! Grazie per la tua disponibilità, competenza e passione. Possa il Signore guidare i tuoi passi e benedire il tuo servizio». La Ciudad de los ninos rimane un progetto importante per il Patronato San Vincenzo e la diocesi di Bergamo, per condividere. Don Gian Luca, in attesa di andare nella sua nuova missione, è in Italia dai primi di agosto, con una quarantena di 10 giorni dopo l’arrivo per la situazione della pandemia in Bolivia e in tutta l’America del sud.

Grazie per l’ossigeno! «Lo scorso mese di aprile abbiamo lanciato un appello: Non respiro! Ossigeno per favore! Era per poter installare una centralina produttrice di ossigeno medicinale, in soccorso dei malati di Covid, a Huaycàn, in Perù, nella parrocchia dei Padri Monfortani. Con il generoso aiuto della gente del luogo e di tanti benefattori, compresi molti nostri lettori, si è raccolta in breve tempo la cifra necessaria: 150.000 euro. Un grazie sincero a tutti è stato espresso in una lettera degli organizzatori! E la domenica 4 luglio è stata fatta l’inaugurazione della struttura, con una solenne celebrazione di ringraziamento al Signore e ai benefattori. Proprio il 4 luglio coincideva con il primo anniversario della morte del padre Taddeo Pasini, che ha lavorato per tanti anni a costruire questa Città della speranza, a Huaycàn, quartiere ormai di 250.000 abitanti, nella povertà più dura. Un nome scelto dallo stesso padre Taddeo. Un altro segno di speranza!». da L’Apostolo di Maria

Un abbraccio a questo mondo ai fiumi e agli alberi dell’Amazzonia, Altopiano andino e zona tropicale della Bolivia. Un abbraccio a questo mondo ai bambini e agli anziani, a quelli che danno speranza e pace, a quelli che non si stancano di accogliere e amare. Un abbraccio alla nostra casa comune, il mondo, a tutte le persone incontrate in questo giorno, Sono i miei fratelli Sono le mie sorelle. Un abbraccio a questo mondo della piccola Mercedes


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FEDE E ARTE

Il messaggio di fede della tribuna lignea sull’altare della chiesa di S. Bartolomeo dopo il completamento con le statue riconsegnate alla parrocchia dalla diocesi che le aveva in custodia dal 1982 Nelle nostre chiese sono custodite numerose opere d’arte collocate dai nostri antenati non solo a scopo devozionale o decorativo, ma soprattutto per trasmettere messaggi di fede e di storia tratta dalle sacre scritture e dal cammino della chiesa che ci ha preceduto. Purtroppo da tempo queste opere fanno da semplice sfondo alla vita liturgica e il loro messaggio sacro è ignorato dalla maggioranza, così come sfuggono ad una profonda comprensione tanti simboli usati durante la liturgia, mai spiegati alla gente per la loro origine e per il significato profondo che ancora rivestono. Le celebrazioni moroniane in corso ci stanno rivelando la ricchezza di contenuti e di messaggi delle opere che il grande pittore ci ha lasciato, che vanno al di là dei pur doverosi apprezzamenti artistici ed estetici. La coincidenza con gli eventi in corso non deve lasciarci sottovalutare l’importanza del ritorno nella chiesa di San Bartolomeo delle statue della tribuna dell’altar maggiore dopo un’assenza durata 25 anni. Ora questa chiesa ha ritrovato tutti gli elementi che ne fanno uno scrigno di arte e una testimonianza di fede. La tribuna seicentesca eretta nel presbiterio di San Bartolomeo è ricca di messaggi teologici e testimonia i principali santi della devozione popolare di quel periodo. La forma architettonica della tribuna, simile a quella di un edificio sacro, simboleggia la Chiesa dei credenti nella sua realtà mistica, unita al corpo di Cristo risorto che è il suo culmine. I tralci di vite che avvolgono le

colonnette richiamano la parabola di Gesù che si è paragonato alla vite in cui sono innestati i tralci dei suoi fedeli. I grappoli d’uva sono i frutti che i fedeli possono dare in abbondanza se rimangono uniti a Cristo.

I santi dislocati nell’ordine architettonico inferiore della tribuna sono i più onorati dalla devozione locale che li propone come esempi da seguire e protettori da invocare. San Pietro e San Paolo sono stati le colonne e le guide della chiesa primitiva; Pietro per primo riconobbe in Gesù il figlio di Dio e Paolo con una instancabile azione pastorale ha diffuso la fede nel mondo greco-romano; il loro martirio ha fatto di Roma il punto di riferimento delle chiese sparse

nel mondo. I vescovi Sant’Ambrogio, padre della chiesa metropolitana di Milano, e Sant’Agostino, difensore della fede e fondatore della regola seguita dai frati del piccolo convento di San Bartolomeo, sono due dottori della chiesa che hanno approfondito e diffuso la conoscenza del messaggio evangelico. San Lorenzo e Santo Stefano sono i diaconi che hanno servito la comunità primitiva, dedicandosi alle opere di carità così che nessuno nella chiesa fosse privo di quanto avesse bisogno; hanno portato a termine il loro compito con il dono della vita. Maria Maddalena fedele seguace di Gesù lo assistette con i suoi beni e lo seguì fino alla fine; fu la prima testimone della sua resurrezione. San Giovanni Battista, il precursore di Gesù, per primo lo ha riconosciuto come Agnello di Dio e con l’invito alla conversione e con il suo battesimo di penitenza gli ha preparato la strada.

Sulla porticella del vecchio tabernacolo c’è Cristo che porta la croce; il suo messaggio è esplicito: “chi vuole essere mio discepolo prenda la sua croce e


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mi segua”. La croce è il segno dell’immenso amore che Gesù ha profuso per noi, accettando liberamente la sua passione richiamata dai simboli che mostrano gli otto angeli collocati sul secondo ordine architettonico della tribuna.

Al centro la Vergine Maria, madre di Gesù e profondamente partecipe della sua passione, viene assunta al cielo e sopra di lei la figura di Dio Padre con le braccia aperte per accoglierla esprime il suo immenso amore per le sue creature. La conclusione del cammino dell’umanità e dell’ordine di cose di questo mondo è segnalato dai due angeli che suonano la tromba della risurrezione finale che unirà tutta l’umanità a Cristo, a compimento del progetto iniziale di Dio. Al culmine della tribuna il Cristo risorto ricapitola tutto in sé a gloria di Dio padre.

Non si può comprendere a fondo questa splendida opera d’arte, preziosa nei suoi aspetti artigianali e artistici, se non si medita la ricchezza dei messaggi religiosi che trasmette. A destra, le statue di San Bartolomeo nel 1963 al momento della consegna alla parrocchia della “chiesa e dell’amministrazione” da parte dell’E.C.A.

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FEDE E ARTE

Il Cinquecento

in cui, subito dopo la metà del secolo, Moroni dipinge “La Trinità”. Il Cinquecento segna l’inizio dell’Età moderna. Nel passaggio tra Medioevo e mondo moderno si fanno strada, quasi contemporaneamente, una serie di fatti assolutamente nuovi rispetto al passato: l’invenzione della stampa, le scoperte geografiche, la polvere da sparo, un modo nuovo di segnare il tempo (gli orologi), di viverlo, e il rapporto con il denaro («il tempo è denaro!»), lo sviluppo delle banche, le assicurazioni, ma soprattutto una nuova consapevolezza dell’identità dell’uomo e della sua dignità. Alcuni fatti particolari, proprio agli inizi del secolo, lo documentano: la Dieta di Worms del 1521 e il modo in cui Carlo V progetta l’unità dell’Impero, cioè dell’Europa; la Riforma e Ignazio di Loyola; il periplo del mondo a opera di Magellano; l’affiorare di nuovi rapporti tra i cittadini e il principe, tra i fedeli e la Chiesa. […] Dopo la «scoperta dell’America» di Cristoforo Colombo, sempre 500 anni fa, tra il 1519 e il 1522, Ferdinando Magellano costeggiò il continente americano fino allo stretto che porta il suo nome: attraversò il Pacifico fino alle Filippine, dove, in un conflitto con gli indigeni, perse la vita. I 26 superstiti dei 265 che erano partiti giunsero nuovamente in Spagna all’inizio del 1522, dopo aver fatto il primo periplo della Terra. Uno dei reduci, il vicentino Antonio Pigafetta, fece un’accurata descrizione dei viaggi. Per la prima volta l’uomo prendeva consapevolezza che la Terra era circumnavigabile e che l’Europa, fino allora il centro del mondo, non era altro che una piccolissima porzione del globo terrestre; inoltre il grande Mare Mediterraneo, il Mare nostrum, era un lago se paragonato agli Oceani: la visione eurocentrica del mondo era finita. Si prendeva atto che l’umanità era costituita da diversi popoli, da lingue sconosciute, da culture differenti, da religioni fino ad allora ignote. L’Europa non era più quello che fino a quel momento tutti credevano: erano i primi passi della «modernità» e della futura globalizzazione. Fino ad allora si pensava che l’Europa avesse un baricentro, che era universalmente chiaro: Dio. Nella mentalità del tempo, Carlo V, fin dalla sua elezione a imperatore nel 1519, si proponeva un modello di Impero dietro al quale stavano una fede e una politica personale plasmata sul solco dei suoi antenati e dei suoi precettori: Erasmo da Rotterdam e Adriano di Utrecht (divenuto poi papa, Adriano VI). L’Europa doveva essere una, nella pluralità delle Nazioni, in un’unità nuova, voluta da Dio, sotto la guida dell’imperatore del Sacro Romano Impero Germanico. E doveva essere cristiana, nel senso di un’unica Chiesa guidata dal Papa, che aveva il dovere di rinnovarsi con la convocazione di un Concilio. Va ricordato che, mentre tutti chiedevano un Concilio, l’unico che lo voleva davvero, fino a Paolo III, era stato Carlo V. Con il mondo moderno, la gerarchia sognata da Carlo V veni-

va messa in discussione, sia per l’affermarsi degli Stati nazionali, sia per i nuovi rapporti che andavano emergendo nella società. Tra gli uomini non dovrebbe esistere una gerarchia, perché tutti sono uguali e hanno la stessa dignità. IL NUOVO BARICENTRO DELLA SOCIETÀ Nel XIV secolo era apparsa l’opera del filosofo Marsilio da Padova, il Defensor pacis (del 1324, ma pubblicata a Francoforte nel Cinquecento). Il trattato asseriva che il potere apparteneva al popolo e i cittadini erano depositari dell’autorità; aveva un’impostazione – diremmo oggi – laica e democratica dello Stato, e perfino della comunità cristiana (che, come avviene per i cardinali che eleggono il Papa, doveva eleggersi i propri vescovi), con spunti precorritori di dottrine che si svilupperanno nel XIX secolo. La dottrina politica di Marsilio fu il grande scandalo del XIV secolo, e venne immediatamente condannata da Giovanni XXII, perché contraria alla tradizione della


FEDE E ARTE Chiesa. Eppure era l’inizio di ciò che oggi chiamiamo la «democrazia moderna», delle idee di rispetto e di tolleranza a cui si è giunti dopo diversi secoli di storia, di guerre fratricide, di violenze e rivoluzioni. Trova espressione qui la novità dell’uomo del Cinquecento: ora il baricentro della società non è più Dio, ma l’uomo, la persona, l’individuo, il soggetto che agisce e si afferma. Si tratta di un mutamento di prospettiva radicale sul versante antropologico. L’uomo, prendendo coscienza del proprio valore, diviene il centro del mondo: il capolavoro di Pico della Mirandola, «La dignità dell’uomo» (De hominis dignitate oratio), è definito il manifesto del Rinascimento. La nuova realtà viene colta nei suoi poliedrici aspetti, positivi e negativi: l’uomo è libero, ma può abusare della libertà; l’uomo è la meraviglia di Dio, ma può calpestare la sua dignità e divenire un bruto; l’uomo sperimenta anche la propria fragilità, la precarietà della vita, la solitudine, il malessere di una vita insoddisfatta, l’infelicità, il peccato sociale. Ciò che era ritenuto impensabile nel Medioevo ora emerge come del tutto ovvio, e lo si ritrova sia nella dottrina elaborata dalla Riforma, sia in quella del Concilio di Trento. Marie-Dominique Chenu, nello studio Il risveglio della coscienza nella civiltà medievale, rileva come alle origini del mondo moderno si dia un significato nuovo alla storia dell’uomo, determinato dal valore della coscienza. Agire contro coscienza è male, è contrario alla dignità dell’uomo, che diventa protagonista della sua storia e della storia del mondo. L’uomo prima era un elemento in un universo gerarchico governato da Dio, dalla religione e dalle leggi della natura; ora diviene centro dell’esperienza religiosa, sia con un forte richiamo al rapporto personale con Dio nei movimenti di riforma che hanno caratterizzato il tardo Medioevo e la prima Età moderna, sia nella grande espansione degli Ordini mendicanti, sia soprattutto con la Devotio moderna che ha divulgato nell’Europa del Quattrocento un senso nuovo del rapporto immediato con Dio e del richiamo alla coscienza personale. Non si tratta del rifiuto di Dio nel senso di una «secolarizzazione», come in passato si è voluto intendere, ma una «de-magificazione», per usare un noto termine di Max Weber. Si afferma, cioè, di fronte al sacro, l’autonomia del mondo, dell’agire umano e della razionalità; si ridimensiona la sfera degli spiriti celesti e infernali, contro le superstizioni, la stregoneria, la magia e le credenze demoniache di cui era intrisa la civiltà medievale, con la conseguenza talvolta di limitare il sacro alla liturgia e ai sacramenti. […] Giancarlo Pani La Civiltà Cattolica, 2021 4104

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Si potrebbe pensare che Moroni, ancor giovane, abbia dipinto, al centro, l’Uomo-Cristo, Signore del mondo. Tuttavia, presto nella teologia della seconda metà del Cinquecento, riprende centralità la teologia della morte di Gesù come espiazione (Pulcinelli 2006), che nei dipinti del Moroni trova la massima espressione nella Crocifissione di Albino. Una visione, meno “sinistra” e “tenebrosa” (Ratzinger 1968, 1969), della storia umana e cristiana il Moroni anziano, in fine, mostra nella Visitazione, in cui un’umanità povera, di due donne albinesi, esprime sommessamente, con il Magnificat, la sua fede nell’impossibile (Luca, 1, 37).

La Visitazione non è solo un abbraccio impossibile durante la pandemia. Un passo di un quotidiano può attualizzare meglio la Visitazione con un nuovo Magnificat: «C’è stato un tempo lungo otto anni in cui al Papa era concesso di rendere possibile l’impossibile: essere in comunione con Costantinopoli, dialogare col patriarca di tutte le Russie, onorare la riforma di Lutero, sfidare il presidente Trump, camminare in fraternità con i musulmani, attraversare le divisioni dell’Islam, condannare la deterrenza atomica, ridare comunione fra i cattolici cinesi, riconoscere autorità alle conferenze episcopali, costringere la Chiesa a una sinodalità ignota, scuotere l’Europa dei diritti, tagliare alberi nella foresta del moralismo, toccare la disperazione dei poveri». la

Alberto Melloni Repubblica, 6 luglio 2021

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LETTURE

Provvidenza

La forza della debolezza di Dio Il titolo un po’ criptico del nuovo libro di Giuseppe Savagnone, Il miracolo e il disincanto è subito chiarito dal sottotitolo: “La provvidenza alla prova” (EDB, pagine 128, euro 13,00). Un libro breve e intenso, sintesi efficace di ottime letture approfondite in prima persona. Il tema della provvidenza non è di gran moda perché si è passati da una concezione miracolistica dell’intervento divino nel mondo a una messa fra parentesi dell’intero problema che, visto da vicino, è molto più complicato di quanto un certo devozionismo tradizionale vorrebbe far credere. Savagnone non tratta della provvidenza retribuzionistica e superficiale, alla quale giustamente dedica poco più di un cenno; da subito egli inquadra l’atteggiamento dell’uomo nei confronti della provvidenza in un triplice modello: dalla tendenza a vedere interventi soprannaturali in ogni circostanza (primo modello), si è passati a ritenere che la provvidenza intervenga discretamente senza alterare il corso ordinario dei fenomeni naturali e degli eventi umani (secondo modello) per giungere a un “radica-

le disincanto” nei confronti della natura e della storia. Gli interrogativi in gioco sono formidabili: come conciliare il disegno creatore di un Dio onnipotente con la libertà? In che senso va inteso che Dio è “il Signore della storia”? L’autonomia del creato rende superflua la fede nella provvidenza? Savagnone suggerisce un “terzo modello”, sia pure problematico, proposto da alcuni teologi: «Concepire l’azione provvidenziale come volta a suscitare nei cuori uno sguardo nuovo che colga negli eventi un “sovrappiù di senso”. L’apertura interiore del credente, allora, non solo risulterebbe essenziale per riconoscere l’intervento divino nel mondo, ma ne costituirebbe essa stessa l’unico effetto reale». Di particolare interesse le pagine dedicate alla “debolezza di Dio”, secondo la dottrina dello Zim Zum (“contrazione / ritrazione / concentrazione”) radicata nella Cabala ebraica e formulata dal mistico ebreo Isaac Luria (15341572): «Come fa a esserci un mondo, se Dio è dappertutto? Se Dio è “tutto”, come possono esserci cose che non siano Dio?», si domanda Luria. «La dottrina

dello Zim Zum permette di risolvere questo problema parlando di un “ritrarsi” di Dio all’atto della creazione, per lasciare esistere il mondo nel vuoto così determinato». E, con l’autrice teatrale ebrea Anat Gov, si può dire che «la debolezza di Dio non è quella della pura e semplice impotenza, ma di una potenza divina radicalmente diversa da quella che noi uomini consideriamo tale, una potenza così grande da consentirgli di farsi debole per amore ed essere dunque vicino alle sue creature senza schiacciarle». È la dottrina cattolica della kénosis (annientamento, dice san Paolo) di un Dio che si fa uomo per redimere l’uomo e il mondo: «La relazione tra Dio e il mondo implica un “ritrarsi” del primo, un suo apparente annientamento, attraverso cui si realizza la sua azione misericordiosa nei confronti del secondo. Che si realizzi in Cristo o nei suoi discepoli, il paradosso della storia della salvezza è che la potenza di Dio si manifesta nella sua debolezza». Cesare Cavalleri Avvenire - 23 giugno 2021


LETTURE

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La morte sta cambiando forma e non è solo colpa del Covid Non siamo più abituati a salutare il corpo del defunto, ma gli scriviamo sui social come se fosse ancora vivo. La pandemia ha reso più evidente come ci sia un conflitto anche intorno al lutto, fra tradizione e innovazione.

Tra 20 anni questo testo sarà più che mai attuale e ai giovani nati nel 2020 (e che nel 2040 avranno 20 anni) farà loro bene riflette-

re e meditare su queste pagine. Asher Colombo è docente di Sociologia generale all’università di Bologna, assieme ad altri incarichi. Con Il Mulino pubblica questo testo del quale si suggerisce la lettura. Nello scorrere l’indice del libro, il prof. Colombo offre interessanti riflessioni maturate in un suo lavoro di ricerca che aveva avviato antecedente allo scoppio della pandemia e che riguardava “i cambiamenti avvenuti in Italia nel campo degli atteggiamenti, delle credenze e delle pratiche funebri in prospettiva storica“. Il testo è suddiviso in 4 parti: - 1a Prima della crisi. - 2a Morire di Covid-19. - 3a Legami che continuano. - 4a Senza il funerale. Analizza lo scontrarsi di una tradizione in crisi e una nuova cultura della morte. Passano i vecchi riti legati alla cura del corpo: baciare il viso del defunto prima della sepoltura, il visitarne la tomba al cimitero; i funerali sono celebrati come riti dovuti: senza partecipazione e senza vicinanza, in un calendario di eventi, fuori di casa, che prevedono anche la morte e la

sepoltura, per chiudere rapidamente l’evento, specie con la cremazione. I nuovi riti sono rappresentati da necrologi in cui si parla direttamente con il defunto, si aprono pagine su facebook intestate al defunto come se fosse vivo. Ma questi e altri cambiamenti possono essere il segno anche di altri. Nelle culture dei paesi evoluti la rimozione della morte è vissuta perché orientati al benessere: occorre inseguire la propria felicità. Accompagnati da questa aspirazione, si perde la memoria per chi non c’è più. I ricordi svaniscono: gli anniversari si celebrano solo per chi è stato potente e famoso nella vita pubblica, in ambito scientifico, culturale, artistico. E per quanto riguarda la fede cristiana i cambiamenti in corso pongono domande di fondo: possono anche voler dire che si crede più alla sopravvivenza dell’anima e molto meno alla resurrezione dei morti e del loro corpo. Colombo, La solitudine di chi resta. La morte ai tempi del contagio

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ASSOCIAZIONISMO

ACLI ALBINESI

Rubrica a cura del Circolo “Giorgio La Pira”

ACLI BERGAMO MOLTE FEDI: DEBUTTA LA SEZIONE «CURA DEL MONDO»

La transizione ecologica è l’insieme delle politiche ambientali, energetiche e sociali che dovranno mitigare gli effetti della crisi climatica nel mondo, modificando i sistemi economici e sociali che hanno condotto al riscaldamento globale. Gli obiettivi sono delineati sia dall’agenda di sviluppo sostenibile ONU per il 2030 sia dall’”ecologia integrale” di papa Francesco, ovvero il paradigma secondo cui “tutto è connesso”, per cui non si possono risolvere i problemi ambientali senza affrontare questioni di giustizia sociale e di uguaglianza. È su questi temi che si confronteranno Gaël Giraud, gesuita ed economista da anni impegnato sui temi della transizione ecologica, e Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, nel primo appuntamento della rassegna mercoledì 8 settembre alle 20.45 nell’Aula magna dell’Università di Bergamo, exchiesa di Sant’Agostino. A livello mondiale l’importanza dell’acqua come bene comune, tema evidenziato anche da papa Francesco, diventa sempre più evidente con l’avanzare della crisi climatica: secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità 2,1 miliardi di persone non hanno accesso costante ad acqua sicura, e più di un terzo di queste (844 milioni) non ha nessun accesso all’acqua.

FAMIGLIA, ACLI: DIALOGO INTERGENERAZIONALE TRA ANZIANI E GIOVANI PER FAR RIPARTIRE L’ITALIA

“Quando parliamo di famiglie dobbiamo soprattutto preoccuparci della famiglia fragile, della famiglia sognata , della famiglia in fuga – così il Presidente nazionale Emiliano Manfredonia, durante il suo intervento nel convegno Famiglie e anziani: legami tra generazioni, risorsa per il futuro che si è svolto presso la sede nazionale delle Acli in via Marcora a Roma. “La politica deve saper guardare anche al dopo e allora una riflessione sulle pensioni va fatta: pensiamo a riformarle con la consapevolezza che se i giovani di oggi non avranno una pensione decente, nel futuro mancheranno anche i nonni così importanti per accompagnare, e in alcune zone sostituire, il sistema

di welfare familiare”. “È necessario, per superare quella frattura tra le generazioni che rischia di diventare irreversibile – ha detto Lidia Borzì, Delegata nazionale Acli per la Famiglia – avviare un processo che a mio parere deve accomunare oggi giovani e anziani di cui siamo tutti corresponsabili: un percorso di riscatto e di emancipazione da invisibili a responsabili.

LA CASA DELLA COMUNITÀ, PER UNA NUOVA SALUTE PUBBLICA

“Dobbiamo chiudere la fase dei tagli nella sanità e passare a quella degli investimenti perché ogni euro speso per la salute di un cittadino è un euro speso per il bene della collettività” Così il Ministro della Salute, Roberto Speranza ha iniziato il suo intervento durante il convegno organizzato dalle Acli. “Sulle Case della comunità mettiamo 2 miliardi, arriveremo a farne 1350 e devono essere il primo luogo di presa in carico: quando il cittadino vive un problema lì dovrà trovare le prime risposte e poi verrà guidato verso un percorso. Io immagino un luogo in cui sanitario e sociale sono in relazione, dove la presa in carico sia multidisciplinare e venga fatta da personale


ASSOCIAZIONISMO specializzato, con una formazione specifica che dobbiamo implementare. La casa della comunità deve essere un tassello per cambiare il nostro Sistema Sanitario, farlo diventare più di prossimità, più legato al territorio, per questo punteremo anche sull’assistenza domiciliare”. Dopo Miotto è intervenuto anche il Vicepresidente delle Acli, Antonio Russo: “La nuova casa di comunità non può essere un’operazione da laboratorio – ha detto Russo – perché si tratta di un passaggio fondamentale per rafforzare il welfare sociale e dare forma ad un nuovo modello di sanità pubblica, alla luce di quello che è successo con la pandemia. Già il fatto che si chiamino case e non ambulatori ci fa capire che è un novo modello sociosanitario in cui non ci si limita ad offrire un servizio ma si cerca di soddisfare delle necessità di cura a 360° gradi”. Il fondatore di Prima la comunità, Don Virginio Colmegna, ha esposto i punti del Manifesto La casa della comunità: la salute per tutte e per tutti concentrandosi sulla necessità di “superare la logica prestazionistica dove il paziente diventa un cliente consumatore – ha detto Don Colmegna – mentre l’elemento fondamentale dovrà essere sempre di più la centralità della persona. Ecco perché la casa della comunità deve essere altro, un luogo dove i cittadini progettano e si danno da fare, insieme, per la salute di tutti”. “Il PNRR ci dà un’occasione storica, dobbiamo sfruttarla senza ripetere gli errori del passato, – ha dichiarato l’ex Ministro della Salute, il Prof. Renato Balduzzi, – prima di tutto coinvolgendo i comuni, che sono fondamentali nella presa in carico multidimensionale di un cittadino”. “Il 15% dei nostri concittadini non ha accesso ad un servizio socioassistenziale adeguato, attualmente il nostro sistema è disfunzionale e anche diseconomico visto che la gran parte della presa in carico dell’assistenza per i soggetti deboli è sulle spalle delle famiglie – così Roberto Speziale del Forum Terzo Settore. – Ecco perché oggi abbiamo bisogno di una vera riforma non partendo da zero però, ma dalle esperienze positive di molti territori: la casa della comunità rappresenterebbe proprio il primo step in un modello di collaborazione tra tutti le organizzazioni territoriali che non lasci indietro nessuno.”

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NOTIZIE CONTRASTANTI

Sono cose che non dovrebbero succedere in un Paese evoluto come il nostro. E invece purtroppo succedono. I braccianti più fortunati lavorano per sei ore all’ora e senza alcun contratto. Si svegliano prima dell’alba e tornano dopo il tramonto. Non esistono giornate di riposo e nei campi si va anche di domenica. Sole, caldo torrido e sudore sono i loro compagni di fatica. I 40 gradi vengono facilmente superati. E’ una battaglia resa sopportabile solo dalla necessità di una paga, anche se misera, per poter sopravvivere. La giornata dei braccianti si sa quando comincia ma non quando finisce. E perdere tempo è un lusso che non possono concedersi. La vita di certi lavoratori sembra proprio valere meno del raccolto e del profitto, perché alcuni ci lasciano anche la vita, come ci informano spesso giornali e televisione. Le loro storie si aggiungono a tante altre morti sul campo. Occorrerebbe più vigilanza e una lotta allo sfruttamento senza quartiere, contro uno dei grandi mali del nostro tempo. E chi ne avrebbe la possibilità dovrebbe intervenire. Morire per 6 euro l’ora. È veramente una vergogna. Al via la nuova “Casa rifugio” di Roma Capitale per accogliere donne vittime di violenza, insieme ai loro bambini, e sostenerle lungo il percorso di rinascita ad una nuova vita dopo i maltrattamenti. Il nuovo servizio, realizzato in un immobile confiscato alla criminalità, potrà ospitare donne, insieme ai loro bambini, in un conteso protetto e sicuro. Inoltre l’appartamento include una stanza dedicata all’accoglienza in emergenza, prevista in quelle situazioni in cui la donna deve allontanarsi da casa immediatamente, come può avvenire nei casi di segnalazione dal pronto soccorso. Riteniamo che sia un’iniziativa lodevole, che sarebbe bello fosse tenuta in considerazione dalle Istituzioni del nostro Paese. Ha salvato 24 vite soccorrendo una carretta del mare con a bordo un gruppo di migranti ad una trentina di miglia dalla sua isola. Vincenzo Partinico, pescatore di Lampedusa, nonostante la sua buona azione è stato denunciato e ha preso una multa di mille euro. Una conseguenza arrivata a seguito delle offese degli insulti piovuti in rete dopo la diffusione della notizia del salvataggio. Migliaia di sanitari non si sono vaccinati conferma che negli ospedali i no-vax sono molto più numerosi dei medici e degli infermieri morti, silenziosi eroi di questa guerra pandemica che è il Covid 19. E ci rivela quanto sia impenetrabile, persino da chi indossa un camice, la resistenza irriducibile all’evidenza scientifica.

SPORCARSI LE MANI

Chi fosse don Lorenzo Milani, parroco della sperduta pieve di Barbiana, lo sappiamo tutti. Da quel paesino toscano la sua voce risuonava forte e chiara. Sono sue le parole che riportiamo, nitide nel loro rigore, simili ad un colpo di frusta benefico che cala pesantemente sul nostro perbenismo. “Non dobbiamo aver paura di sporcarci le mani. A che servirà averle pulite se le avremo tenute in tasca? Certo, se si sceglie il quieto vivere come norma di vita e si mettono le mani in tasca si potrà dire di essere puliti, incontaminati. Ma a cosa sarà servito tutto ciò se risulterà essere solo una sorta di autodifesa legata ad un’esistenza incolore ed egoistica”. Per le Acli albinesi Gi.Bi.

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SOCIETÀ PNRR - Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza di Italia ed Europa

Alcune attenzioni

Cure primarie

Le cure primarie devono essere erogate a livello distrettuale e organizzate nelle Case della Comunità. I medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta vanno incentivati alla medicina di gruppo, per formare nell’ambito delle Case della Salute le Unità Complesse di Cure Primarie. I nuovi medici possono accedere alla convenzione col Servizio Sanitario Nazionale solamente nell’ambito delle Unità Complesse di Cure Primarie. La Regione deve impegnarsi, nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni, a sollecitare il passaggio alla dipendenza dei medici di medicina generale. In ogni Distretto vanno previste Case della Comunità a gestione pubblica, secondo il modello presentato da AGENAS: 1 Casa della Comunità hub per ogni Distretto e almeno 3 Case della Comunità spoke (1 ogni 30/35.000 nelle aree metropolitane; 1 ogni 20/25.000 abitanti nelle aree urbane e sub-urbane; 1 ogni 10/15.000 abitanti nelle aree interne e rurali). Queste strutture devono essere luoghi facilmente riconoscibili, dove si concretizza l’integrazione dei servizi attraverso gruppi di lavoro multi- e inter-disciplinari, che comprendano medici (MMG, PLS e specialisti ambulatoriali), infermieri professionali, psicologi, fisioterapisti, operatori socio-sanitari e assistenti sociali. (Quale riforma per la sanità in Lombardia. Alessandro Nobili, Angelo Barbato, Marco Badinella Martini Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, Milano - Quotidianosanità.it)

RISCHIO NUMERO 5. LE RSA RIMANGONO ISTITUZIONI TOTALI Colpisce la cifra modesta (300 milioni) dedicata alle Case di riposo, per una riconversione verso “Gruppi di appartamenti” per un massimo di 20 posti, di cui c’è certamente bisogno ma che forse non è le priorità numero uno, non andando ad incidere su quei limiti strutturali delle residenze che questi mesi hanno fatto emergere. Lo vogliamo intendere come un primo piccolo passo. Occorre stabilire poi nuove regole di uso e disposizione degli spazi e anche, e guardando in prospettiva, la Rsa del futuro deve diventare un luogo meno isolato e più aperto, amico del territorio, capace di innescare una osmosi con i suoi abitanti, attraverso un insieme di proposte da progettare insieme alla comunità locale (terzo settore, mondo della cultura, scuole, ecc.): aiuti domiciliari, di varia tipologia e intensità, centri diurni, sostegni ai caregiver, supporti al lavoro privato di cura, quello svolto dalle badanti, proposte per l’invecchiamento attivo. Le Rsa di domani dovranno fronteggiare anziani sempre più soli, cioè senza caregiver familiare: ciò richiede un potenziamento di una dimensione anche sociale delle cure. RISCHIO NUMERO 6. DIMENTICARSI DEGLI ASSENTI Il Piano non nomina soggetti e strumenti importanti che fanno parte del welfare dei servizi. Non nomina i medici di medicina generale, che occupano un ruolo nevralgico nella medicina di territorio e che invece non sembra ne siano coinvolti. E’ evidente che il loro ruolo deve modificarsi entrando di più in interazione col sistema delle cure, in particolare quello delle fragilità croniche, e con le diverse professioni d’aiuto, anche di tipo sociale. Non nomina i caregiver che assistono un familiare fragile (ce ne sono sette milioni, di cui 2,1 prestano un sostegno quotidiano per più di 20 ore alla settimana), e su cui c’è in parlamento, da due anni, un disegno di legge promosso da tutte le maggiori forze politiche. Non nomina le assistenti familia-

ri (badanti): ce ne sono un milione in Italia di cui il 60% lavora in modo irregolare, una realtà cambiata negli anni, che invecchia a sua volta, molto meno disposta di una volta a coabitare con l’anziano fragile, e questo pone certamente una grande tema di domanda di assistenza scoperta. Sergio Pasquinelli 16 giugno 2021 – welforum.it

Scuola e problemi Non sono mai stato un amante delle Prove Invalsi, di questa idea che il funzionamento della scuola possa essere verificato attraverso le risposte esatte. Paradossalmente i dati, resi noti in questi giorni, hanno finito per confermare che la Dad (Didattica a distanza) non è nemmeno riuscita a salvare la scuola tradizionale presidiata proprio dalle crocette sulle risposte giuste. Emerge un gran disagio nei nostri ragazzi che a scuola si sentono come degli ospiti o persone di passaggio, lì parcheggiati senza capirne bene il motivo. Da tempo denuncio che la scuola italiana ha un arretramento pedagogico significativo rispetto agli altri Paesi europei, abbarbicata com’è nel mito della lezione frontale e di un giudizio ancora veicolato da numeri utilizzati con la precisione di Guglielmo Tell. In particolare, una Scuola Superiore dove molti insegnanti non arrivano formati come professionisti dell’organizzazione dell’apprendimento, ma come ex alunni in cattedra pronti a rifare quello che loro hanno vissuto, se non subìto, dai loro professori. Il permanere di un focus assolutistico sulle materie crea una demotivazione fortissima, un calo di interesse negli alunni e tanta dispersione scolastica. Resta invece lo stupore di come il Ministero non riesca a dare una svolta nel formare insegnanti in ottica pedagogica, a porre le basi per una scuola dove si apprende, non semplicemente dove si ripetono nozioni e contenuti. Un presidio pedagogico in ogni scuola e una formazione adeguata sarebbero il minimo necessario. Daniele Novara Cpp Centro psicopedagogico Avvenire - 16 luglio 2021


RICORDO

A DISPOSIZIONE CASA DEL COMMIATO Gazzaniga Via Salici 9

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PER DONAZIONI - Bonifico bancario tramite Credito Bergamasco di Albino, Parrocchia di San Giuliano: IBAN IT91 R050 3452 480000000000340 Per la ricevuta ai fini fiscali, rivolgersi in casa parrocchiale.

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CASA FUNERARIA di ALBINO CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO srl, società di servizi funebri che opera con varie sedi attive sul territorio da più di 60 anni, nata dalla fusione di imprese storiche per offrire un servizio più attento alle crescenti esigenze dei dolenti, ha realizzato ad Albino la nuova casa funeraria. La casa funeraria nasce per accogliere una crescente richiesta da parte dei famigliari che nel delicato momento della perdita di una persona cara si trovano ad affrontare una situazione di disagio oltre che di dolore nell’attesa del funerale. Il disagio potrebbe derivare dalla necessità di garantire al defunto un luogo consono, sia dal punto di vista funzionale che sanitario e permettere alle persone a lui vicine di poter manifestare il loro cordoglio con tranquillità e discrezione.

Spesso si manifesta la necessità di trasferire salme in strutture diverse dall’abitazione per ragioni di spazio, climatiche igienico sanitarie. Ad oggi le strutture ricettive per i defunti sono poche ed il più delle volte improvvisate, come ad esempio le chiesine di paese, che sono state realizzate per tutt’altro scopo e certamente non garantiscono il rispetto delle leggi sanitarie in materia. Dal punto di vista tecnico la casa funeraria è stata costruita nel rispetto delle più attuali norme igienico-sanitarie ed è dotata di un sistema di condizionamento e di riciclo dell’aria specifico per creare e mantenere le migliori condizioni di conservazione della salma. La struttura è ubicata nel centro storico della città di Albino, in un edificio d’epoca in stile liberty che unisce funzionalità e bellezza estetica. Gli arredi interni sono stati curati nei minimi dettagli; grazie alla combinazione di elementi come il vetro e il legno, abbiamo ottenuto un ambiente luminoso e moderno, elegante ma sobrio.

Lo spazio è suddiviso in 4 ampi appartamenti, ognuno dei quali presenta un’anticamera separata dalla sala nella quale viene esposta la salma, soluzione che garantisce di portare un saluto al defunto rispettando la sensibilità del visitatore. Ogni famiglia ha a disposizione uno spazio esclusivo contando sulla totale disponibilità di un personale altamente qualificato in grado di soddisfare ogni esigenza.

FUNERALE SOLIDALE Il gruppo CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO, presente sul territorio con onestà e competenza, mette a disposizione per chi lo necessita un servizio funebre completo ad un prezzo equo e solidale che comprende: - Cofano in legno (abete) per cremazione e/o inumazione; - Casa del commiato comprensiva di vestizione e composizione della salma, carro funebre con personale necroforo; - Disbrigo pratiche comunali.

Antonio Mascher  335 7080048 ALBINO - Via Roma 9 - Tel. 035 774140 - 035 511054 info@centrofunerariobergamasco.it


ANAGRAFE PARROCCHIALE Anniversari

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Da giugno ad agosto 2021... ... sono rinati nel Battesimo - Sofia Carrobbio - Matteo Mazzoleni - Isabel Masuzzo - Chiara Birolini - Crystel Medolago

... si sono uniti in Matrimonio Sperandio Bosio

- Edouard François Thierry Verté e Diana Noris

Maria Cortinovis

4° anniversario

18.08.2017 - 18.08.2021

Sei sempre nei nostri cuori

13° anniversario Signore, mostrami il tuo volto.

- Andrea Cortinovis e Silvia Aristolao - Fabio Noris e Valentina Paganoni

... sono tornati alla casa del Padre - Virginia Gotti - Giuseppe Birolini - Marco Carrara - Fabio Persico - Giancarlo Pulcini - Camilla Apollonio - Anna Maria Ghilardi

Roberto Locatelli

- Don Francesco Spinelli

1° anniversario

11.09.2020 - 11.09.2021

Il tuo ricordo è sempre con noi e non si perderà nel tempo. Anna, Gianluca e Lara

Per la pubblicazione in questa pagina delle fotografie dei propri cari defunti, rivolgersi alla portineria dell’oratorio.

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Agosto 2021


La preghiera per i nonni Ti rendo grazie, Signore, per il conforto della Tua presenza: anche nella solitudine, sei la mia speranza, la mia fiducia; fin dalla giovinezza, mia roccia e mia fortezza tu sei! Ti ringrazio per avermi donato una famiglia e per la benedizione di una lunga vita. Ti ringrazio per i momenti di gioia e di difficoltà, per i sogni realizzati e quelli ancora davanti a me. Ti ringrazio per questo tempo di rinnovata fecondità a cui mi chiami. Accresci, o Signore, la mia fede, rendimi uno strumento della tua pace; insegnami ad accogliere chi soffre più di me, a non smettere di sognare e a narrare le Tue meraviglie alle nuove generazioni. Proteggi e guida papa Francesco e la Chiesa, perché la luce del Vangelo giunga ai confini della terra. Manda il Tuo Spirito, o Signore, a rinnovare il mondo, perché si plachi la tempesta della pandemia, i poveri siano consolati e termini ogni guerra. Sostienimi nella debolezza, e donami di vivere in pienezza ogni istante che mi doni, nella certezza che sei con me ogni giorno fino alla fine del mondo. Amen Domenica 25 luglio 2021 in occasione della Prima Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani che ogni anno si celebrerà la quarta domenica di luglio in prossimità della festa di san Gioacchino e sant’Anna


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