Albino comunità viva - luglio 2021

Page 1

IL GIORNALE DELLA COMUNITÀ PARROCCHIALE DI SAN GIULIANO - LUGLIO 2021


INFO UTILI RECAPITI Casa parrocchiale Tel. e fax: 035 75.10.39 albino@diocesibg.it Oratorio Giovanni XXIII Tel. 035 75.12.88 oratorioalbino@gmail.com Santuario del Pianto 035 75.16.13 - www.piantoalbino.it

ORARI delle SANTE MESSE FESTIVE

FERIALI

In Prepositurale

In Prepositurale

Convento dei Frati Cappuccini Tel. 035 75.11.19

ore 18.00 al sabato (prefestiva) ore 8.00 - 10.30 - 18.00

ore 8.30 - 17.00* (* dal 14 giugno al 27 agosto alle 20.30 nelle sussidiarie)

Scuola dell’infanzia Centro per la famiglia “San Giovanni Battista” Tel. 035 75.14.82 - 035 02.919.01

Al santuario del Pianto

Quando si celebra un funerale (in Prepositurale): se è al mattino, è sospesa la S. Messa delle 8.30; se è al pomeriggio, è sospesa la S. Messa delle 17.00.

Padri Dehoniani Tel. 035 75.87.11 Suore delle Poverelle alla Guadalupe Tel. 035 75.12.53 Caritas Parrocchiale Centro di Primo Ascolto aperto il 1° e il 3° sabato del mese dalle ore 9.30 alle 11.30 PER COPPIE E GENITORI IN DIFFICOLTÀ Consultorio familiare via Conventino 8 - Bergamo Tel. 035 4598350

ore 7.30 - 17.00

Al santuario della Guadalupe ore 9.00

Al santuario della Concezione

ore 10.00 (sospesa a luglio e agosto)

Alla chiesa dei Frati ore 6.45 Al santuario del Pianto ore 7.30 Alla Guadalupe ore 8.00

Alla chiesa dei Frati Cappuccini ore 7.00 - 9.00 - 11.00 - 21.00

Ad agosto sono sospese - sino a dopo la festa di San Francesco - le Adorazioni delle 18.30 del sabato e della Domenica. Sempre ad agosto, le confessioni in chiesa saranno solo al mattino.

Sulla frequenza 94,7 Mhz in FM è possibile ascoltare celebrazioni liturgiche e catechesi in programma nella nostra chiesa Prepositurale

Amarcord

Centro di Aiuto alla Vita Via Abruzzi, 9 - Alzano Lombardo Tel. 035 4598491 - 035 515532 (martedì, mercoledì e giovedì 15-17) A.C.A.T. (metodo Hudolin) Ass.ne dei Club Alcologici Territoriali Tel. 331 8173575 PER CONIUGI IN CRISI Gruppo “La casa” (don Eugenio Zanetti) presso Ufficio famiglia della Curia diocesana Tel. 035 278111 - 035 278224 GIORNALE PARROCCHIALE info@vivalavita.eu

www.oratorioalbino.it

Monastero di Sant’Anna, cappella interna dell’educandato.

Stampato in abbinamento editoriale con il n. 5/2021 di LAIF - In copertina: 30 maggio e 6 giugno, i grandi giorni delle Prime Comunioni.


1 A Èfraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano” (2)

(Osea 1,3)

La volta scorsa, c’eravamo lasciati con l’impegno di riprendere il titolo e il disegno della lettera, che sono strettamente uniti; e che non ero riuscito ad approfondire. E anche oggi, allora, a chiederci cosa ha da dirci Giuseppe. “A Èfraim io insegnavo …” Sarebbe un po’ presunzione se ci fermassimo qui, quasi come se dovessimo diventare tutti maestri. Però, credo, abbiamo già scoperto che ci sono tanti modi per insegnare; non c’è solo la parola, tant’è che abbiamo conosciuto Giuseppe che non ha mai parlato, eppure di cose ne ha insegnate a Gesù. Sappiamo bene come i nostri figli imparino anche solo guardandoci, cosa facciamo, come ci comportiamo, o ascoltandoci come parliamo. Alla Scuola Materna un bambino faceva sorridere quando parlava perché aveva il tono di voce grave come quella del nonno con il quale viveva una buona parte della giornata. Così, era spassosissimo sentirne un altro esprimersi benissimo nel parlare e nell’intercalare in dialetto - cosa che non capita più - anche lui imparato dal nonno. Però è vero che, per insegnare, bisogna aver imparato. Abbiamo visto come Giuseppe abbia imparato presto - che non vuol dire facilmente - quale fosse la propria vocazione, l’essenziale per lui: amare Maria e fare da padre a Gesù. E questo gli ha permesso di affrontare e superare le varie vicende della vita. Amare e fare da padre o da madre: la lezione della vita; l’essenziale. “A Èfraim io insegnavo a camminare …” Tutti i papà e tutte le mamme insegnano a camminare ai propri figli. E come si è orgogliosi quando cominciano a barcollare e a sgambettare. Prima li si sostiene con due mani; poi normalmente la mamma si abbassa davanti al piccolino e tende le braccia e lo invita ad andare da lei, attraversando quel breve spazio tra il papà che lo regge e la mamma che lo invita. Poi, a una certa distanza, si comincia a vigilare sui primi passi, lo si rialza se cade; poi lo si lascia rialzare da solo, perché così prende fiducia e maggior sicurezza e comincia a camminare da solo; e poi non lo fermi più, e diventa un pericolo proprio perché non vede il pericolo. Chissà se un genitore, così facendo, si rende conto che sta preparando il loro bambino a staccarsi, ad andarsene; che sta facendo un passo indietro perché lui impari a fare un passo avanti. Che gli sta dando quell’autonomia che è figlia di un amore vero! Anche se non è facile imparare che, chi ama, sa farsi da parte. Anche quando Maria e Giuseppe, come ogni buon ebreo, fanno circoncidere Gesù, non solo lo inseriscono nella grande alleanza di Dio con il suo popolo, ma vogliono ricordare anche che un figlio appartiene soprattutto a Dio. Lo stesso vale anche quando un padre insegna al figlio un lavoro (adesso succede tanto poco!); gli insegna a mantenersi, a diventare autonomo; praticamente lo mette nella condizione di staccarsi, di sentirsi realizzato, di costruire il proprio futuro; e in questo, magari, di diventare anche migliore di suo padre. In questi giorni, nella prima lettura della Messa feriale, troviamo Abramo che si fida di questa “voce” e parte, portando con sé il nipote Lot. Ad un certo punto i mandriani dell’uno e dell’altro cominciano a litigare su chi ha la precedenza nel far bere animali all’oasi. Abramo invita il nipote a staccarsi e a scegliere i pascoli che preferisce. Quello sceglie le terre più fertili della valle del Giordano; allo zio rimangono le terre più aride. Lo lascia andare, ma non per questo lo lascia perdere; continuerà a prendersi cura di lui, a distanza; e intercederà per lui quando l’angelo del Signore vorrà sterminare Sodoma e Gomorra, lì dove abitava il nipote. Con grande sofferenza anche quel Padre che abbiamo imparato a chiamare “misericordioso” lascerà andare il figlio più giovane, scapestrato. Ma non lo lascerà perdere; lo aspetterà giorno dopo giorno. Anche Gesù ad un certo punto chiederà ai suoi: “Volete andarvene anche voi?”. Può sembrare strano, ma vero, in questo tempo così bisognoso di incontri, di abbracci (vedi anche il logo della mostra del Moroni) parlare di distacco, di non vedere le persone come cose nostro possesso. E ormai all’inizio del CRE, chiediamo a Giuseppe qualcosa di questo rapporto di cura tra animatori e ragazzi loro affidati. E auguri di cuore per questo tempo nel quale, magari, ci perderemo un po’ di vista vs dongiuseppe

Luglio 2021


2

VITA DELLA CHIESA

Charles de Foucauld

Ostinato testimone del Vangelo Tra i modelli a cui si è ispirato papa Francesco nella recente enciclica Fratelli tutti c’è proprio lui, Charles de Foucauld. In conclusione alla lettera enciclica scrive: «Esprimeva la sua aspirazione a sentire qualunque essere umano come un fratello… Voleva essere, in definitiva, “il fratello universale”» (287). Innamorato di Gesù, Charles desiderò imitare il Maestro – il Beneamato (come amava chiamarlo) – nella sua vita nascosta di Nazareth, vivendo poveramente e identificandosi con gli ultimi, nella testimonianza silenziosa del vangelo. Si definì «monaco missionario», e giunse a stabilire il suo eremo nel deserto nel sud dell’Algeria tra la popolazione tuareg di fede islamica. La scelta radicale di donazione a Dio e di fare conoscere Gesù a coloro che ancora non lo conoscono è stata il frutto di un travagliato cammino di conversione. Terminata la scuola militare con il grado di sottotenente ufficiale di cavalleria, Charles abbandona l’idea di perseguire la carriera delle armi, diventata una noia per lui. Entra in una crisi esistenziale. Si allontana dalla fede cristiana in cui era cresciuto e conduce «una vita senza scopo», come ammetterà più tardi. Ha una breve relazione sentimentale con una compagna, al termine della quale deciderà di accantonare il progetto di matrimonio. A ventotto anni, mentre non sa ancora come orientare la propria vita, sente la necessità di studiare la religione cattolica, sospinto anche dalla cugina Marie de Bondy a cui è legato da profonda amicizia e con cui manterrà sempre uno stretto rapporto epistolare, considerandola come sua “madre spirituale”. Riprende ad andare in chiesa ove vi passa lunghe ore, ripetendo la stessa preghiera: «Mio Dio se esistete fate che vi conosca». Intraprende il cammino di conversione aiutato dall’abbé Henri Huvelin, che adotta quale guida spirituale. Non più interessato a cercare le prove dell’esistenza di Dio, Charles fa esperienza della bontà infinita di Dio. Quasi contemporaneamente alla riscoperta della fede nasce in lui il desiderio della consacrazione religiosa e inizia a percepire «la castità come una dolcezza e un bisogno del cuore».

Povertà e dedizione ai fratelli A Nazareth dove si reca in pellegrinaggio nel 1889 resta sconvolto e affascinato dalla figura dell’operaio Gesù e decide di seguirlo, mosso dalla convinzione «che l’amore ha per primo effetto l’imitazione». Attratto dalla vita monastica si fa trappista e nel 1890 è accolto nel priorato di Notre-Dame du Sacré-Coeur in Siria. Lì vuole condurre una vita di povertà per imitare il più possibile Gesù di Nazareth, ma la vita nel monastero non gli pare sufficientemente povera. Insoddisfatto, dopo sette anni lascia la trappa e per tre anni vivrà come domestico nel convento delle Clarisse a Nazareth e a Gerusalemme.

Ordinato sacerdote nel 1901, fratel Charles di Gesù, così chiederà di farsi chiamare, decide di svolgere la sua missione in Africa tra le popolazioni musulmane. Si trasferisce in Algeria dove stabilirà il suo eremo nel deserto a Tamanrasset, avamposto meridionale dei territori occupati dalla Francia, tra la popolazione tuareg. Fin dagli inizi della sua presenza in Algeria, fratel Charles ha chiaramente in mente che la sua missione non è quella di convertire, piuttosto quella di compiere un lavoro preparatorio alla evangelizzazione. «Senza predicare, bensì imparando la lingua della gente, conversando con loro, stabilendo rapporti di amicizia». Convinto del fatto che «la parola è molto, ma l’esempio, l’amore, la preghiera sono mille volte di più».


2021: ANNO DEDICATO A SAN GIUSEPPEUN LIBRO3

L’Eucaristia, cuore della Chiesa

“La vita deve diventare eucaristica, donata a Dio e agli altri, per scoprire che siamo altri Cristi viventi.” Fratel Anand dei Piccoli Fratelli di Gesù

Per lui «gli uomini non sono più soltanto i nostri fratelli, essi sono Gesù stesso». La sua vita interiore è alimentata dall’assidua preghiera e dal rapporto di amicizia con Gesù: «Non soffro di solitudine, la trovo molto dolce, ho il Sacramento dell’eucaristia, il migliore degli amici, al quale parlare giorno e notte». Efrem Tresoldi Nigrizia

Il professore del seminario di Bergamo, Ezio Bolis, propone riflessioni sull’Eucaristia, scrivendo, in un libro, di 10 teologi del Concilio; di tutti dà una breve biografia e riproduce un loro brano sull’Eucaristia. Il titolo che riassume quanto si vuol approfondire dell’Eucaristia è tratto da un’opera del 1940 di un teologo francese, Henri de Lubac, in cui si dice appunto che i sacramenti, in particolare l’Eucaristia, fanno la Chiesa; “culmine e fonte” la definirà il Concilio nella Costituzione sulla liturgia. Appunto, siamo al centro della vita cristiana parlando di Eucaristia. Dei 10 che “hanno fatto” il Concilio, l’autore mette in evidenza, con parole chiare, un aspetto del loro pensiero sull’Eucaristia. Yves Congar: L’Eucaristia alla luce del mistero pasquale. Qui si trova il senso “delle nostre Messe e delle nostre comunioni”. Henri de Lubac: L’Eucaristia fa la Chiesa: “è il vero legame che unisce tra di loro i discepoli di Gesù”. “Partecipare all’Eucaristia ci impegna nei confronti degli altri”. Karl Rahner: L’Eucaristia, mai separata dalla vita. “Eucaristia a servizio del mondo”. Edward Schillebeeck: L’Eucaristia è sacramento per il mondo. “La figura sacramentale primaria dell’eucaristia non è semplicemente ‘pane e vino’, ma il convito”. Giacomo Lercaro: L’eucaristia è il pane della fraternità. L’Eucaristia è il cuore di una “Chiesa povera e dei poveri”. “La Messa garantisce la comunione fra noi, quindi la comunione dei nostri beni e ci dà la possibilità di superare l’egoismo individuale, familiare, fino a quello delle razze e delle nazioni”. Agostino Bea: Le due tavole dell’Eucaristia, la tavola della Parola di Dio e la tavola del pane e La copertina del volume edito dal Centro del vino, la “frazione del Eucaristico, Ponteranica, 2021, 124 pag., 13 €. pane”. Hélder Camara: L’Eucaristia reclama la giustizia sociale. “Come non scoprire con gli occhi di Cristo che oggi non basta fare l’elemosina”. Frère Roger di Taizé: L’Eucaristia è segno efficace di unità. “Voi che entrate qui riconciliatevi”. Oscar Cullmann: La Santa Cena anticipa l’eterno nel tempo. “Prendendo pasto con i discepoli, egli mostra loro come la comunione che essi hanno gli uni con gli altri e quella che hanno insieme con lui diventeranno una realtà permanente”.

Luglio 2021


4

VITA DELLA CHIESA È MORTO DON MARIO RIBOLDI

Lo zingaro del Vangelo

La prima domanda che si pose quando vide la prima carovana di Rom e Sinti fu: “Chi porta loro la Buona Novella?”. Viveva in una roulotte e celebrava Messa in un container. Una vita dedicata al mondo dei Rom e dei Sinti. Don Mario Riboldi - morto a Varese il 9 giugno scorso a 92 anni - per essere vicino a questo popolo ha finito per divenire anch’egli rom, vivendo in una roulotte e celebrando Messa in un container. È stato il suo modo di farsi prossimo. Un vero e proprio pioniere nella pastorale per i nomadi. «Lo Spirito del Signore aiuti i rom e i sinti a continuare nella lettura della storia sacra per crescere nella fede, nella speranza e nell’amore», scriveva nel volume La Bibbia raccontata al Rom e al Sinto che avevo curato nel 2000. Nato il 21 gennaio 1929 a Biassono e ordinato sacerdote nel Duomo di Milano dal cardinale Alfredo Ildefonso Schuster il 28 giugno 1953, per 47 anni (dal 1971 al 2018) è stato il responsabile della Pastorale per i Rom e Sinti nella diocesi di Milano. «Si è occupato solo di portare la Parola di Dio a queste persone», ha ricordato don Marco Frediani, suo successore nell’incarico pastorale, che con don Riboldi ha condiviso anni di vita in giro per i tanti campi nomadi in Italia e in Europa, sempre in una roulotte, la “casa” di don Mario” fino a tre anni fa, quando ha dovuto lasciare perché le sue condizioni di salute non glielo permettevano più. Ha voluto condividere tutto con il mondo rom e sinto: «solo chi sta accanto a loro può conoscerne la storia e la cultura», diceva. «Quando vide le prime carovane si fece subito una semplice domanda: chi porta il Vangelo a queste persone?», rievoca don Frediani, «non ha mai voluto apparire, è sempre stato povero tra i poveri, vivendo anche lui come le persone che assistiva e a cui portava la Buona Novella . Ancor prima che arrivasse papa Francesco a parlare della “Chiesa in uscita”, don Mario aveva già intuito che si fa evangelizzazione prendendo bisaccia e sandali. Era un uomo di preghiera, nel profondo. «Ovunque fossimo, in un campo nomadi, in carcere, in viaggio, cascasse il mondo ci si fermava per pregare negli orari canonici». Ha lottato, come lui diceva, con sé stesso per cercare di entrare nella cultura del popolo “zingaro” imparandone i diversi idiomi e traducendo Bibbia, testi liturgici e canti nelle varie lingue per “annunciare le meraviglie di Dio”, dicono oggi i suoi collaboratori. Per i Rom e Sinti ha tradotto nelle varie lingue da loro parlate il Vangelo di Marco, i libri di Samuele, i Salmi. Collaboratore del cardinale Giovanni Battista Montini don Mario, insieme al sacerdote romano don Bruno Nicolini, fu il protagonista dell’incontro di Papa Paolo VI, oggi santo, a Pomezia nel 1965 con i Rom e i Sinti, ricorda l’arcivescovo di Ferrara-Comacchio e presidente della Fondazione Migrantes, monsignor Giancarlo Perego: una “figura centrale” nel cammino post conciliare della pastorale dei nomadi. Le parole di papa Montini («voi nella Chiesa non siete ai margini, ma, sotto certi aspetti, voi siete al centro, voi siete nel cuore»), pronunciate in quello storico incontro del 1965, sono stati per don Riboldi «il programma di una vita pastorale che lo ha visto camminare lungo tutte le strade

d’Italia e d’Europa per incontrare le famiglie e le comunità Rom e Sinti. Il suo impegno e la sua intelligenza pastorale rimangono nella Chiesa italiana un tesoro da custodire e a cui fare riferimento», ricorda monsignor Perego. Rimarrà indimenticabile, come ha detto il direttore generale della Fondazione Migrantes don Gianni De Robertis «il tanto bene che ha fatto e l’eredità che ci lascia». È stato proprio don Riboldi a iniziare e volere la causa che ha portato alla beatificazione del primo gitano nella storia della Chiesa: Ceferino Giménez Malla, detto “El Pelé”, spagnolo fucilato nell’estate del 1936 in odio alla fede e proclamato beato il 4 maggio 1997 da Giovanni Paolo II. Un popolo, quello dei Rom e dei Sinti dove – spiegava in una intervista al mensile “MigrantiPress” don Riboldi «c’è di tutto: c’è chi sbaglia e chi è all’altezza di guidare gli altri. Ci sono giovani sinti e rom laureati, è importante…». «Noi della Comunità di Sant’Egidio lo abbiamo conosciuto alla fine degli anni Ottanta e con lui


VITA DELLA CHIESA

Offertorio di condivisione

abbiamo condiviso tanti momenti di preghiera con i Rom e i Sinti a Roma e a Milano» ricordano i volontari della Comunità nata a Roma: «fedele custode della fede e dell’amicizia». Don Riboldi diceva che «i Rom sono un popolo da amare ed evangelizzare. Questo è il mio compito, come lo è per un missionario». Don Mario – dicono alla Sant’Egidio - ha vissuto tra i Rom e i Sinti in modo umile e fedele, costruendo legami di amicizia fatti di ascolto e simpatia, che oggi rappresentano la sua eredità. «Scompare un prete che ha saputo vivere con radicalità la testimonianza del Vangelo e un punto di riferimento per la comunità rom», sottolinea Luciano Guialzetti, direttore della Caritas ambrosiana: la sua scelta di farsi «povero tra i poveri, di vivere come un rom, pur non essendolo, è stata una provocazione anche per molti credenti, costretti dal suo esempio a interrogarsi sui tanti luoghi comuni di cui questo popolo è ancora vittima e ostacolano, purtroppo, la sua piena integrazione». Raffaele Iaria Famiglia Cristiana

5

Fin verso il IX secolo i fedeli portavano in Chiesa doni in natura destinati ai poveri, da questi doni si prelevavano il pane e il vino da porre sull’altare per l’Eucaristia, a significare che offerta a Dio e offerta ai poveri formavano un unico atto di offerta, attribuendo così il medesimo valore sacrificale a entrambe le offerte. “È bene che la partecipazione dei fedeli alla presentazione dei doni si manifesti con l’offerta del pane e del vino per la celebrazione dell’Eucaristia, sia di altri doni, per la necessità della chiesa e dei poveri”. Dunque, la partecipazione dei fedeli alla “presentazione dei doni” non si esaurisce con il portare all’altare il pane e il vino per l’eucaristia, ma insieme con il portare “altri doni per la necessità della chiesa e dei poveri”. Pertanto anche l’intera comunità cristiana, e tra essa in particolare i poveri, sono i destinatari della presentazione dei frutti della terra e del lavoro. Jean Corbon ha scritto: «La luce che trasfigura il lavoro, e la creazione da esso modellata, è quella della comunione. L’eucaristia vissuta culmina nella comunione… Spinge anche alla condivisione, perché se tutta la terra appartiene a Dio, il frutto del lavoro degli uomini è per tutti i figli di Dio. La condivisione è il giubileo del lavoro e la domenica è il giorno del digiuno dell’azione nel quale ogni lavoro è restituito alla sua gratuità; se il lavoro faticoso è in vista del pane, il pane della domenica invece, “il pane di questo giorno” (cf. Mt 6,11), in vista del lavoro trasfigurato». Ecco, dunque, in che senso la presentazione dei doni è figura e paradigma di un’etica eucaristica. Per questo, come il gesto rituale di presentare le primizie della terra era per ogni figlio di Israele memoria del passato e appello alla responsabilità nel presente, allo stesso modo il rito della presentazione dei doni è per ogni cristiano memoria dell’offerta di Cristo sulla croce e responsabilità etica per l’oggi della chiesa, della società e del mondo intero. Goffredo Boselli già monaco di Bose

Luglio 2021


6

EDUCAZIONE

PENSANDO ALLA MORTE… A volte, pensando alle morti di alcuni coetanei e a quelle dei miei cari, penso anche alla mia morte. Mi augurerei di poterla vivere lucidamente, di poterla accogliere con serenità, come si dice in questi casi “circondato dall’affetto dei familiari”. Non mi piacerebbe morire da solo, in fretta, senza avere consapevolezza di me, in un luogo anonimo... Mi dispiacerebbe morire senza avere avuto il tempo di rendermene conto, di congedarmi dai miei e dalla vita, di fare le cose bene; se non come il convitato sazio di oraziana memoria, almeno come uno che “esce di scena” con discrezione ma con la consapevolezza di non aver vissuto invano. Non mi spaventa il dover soffrire, anche se forse lo dico ora che sto bene e che non aspetto di morire a momenti, non vedo avvicinarsi la morte a grandi passi ma la percepisco ancora lontana. Mi piacerebbe potermi spegnere lentamente, conversando con mia moglie che mi assiste al capezzale, tenendomi la mano e benedicendomi sulla fronte come facciamo ogni giorno la sera prima di addormentarci e la mattina appena svegli. Parlando di come ci siamo voluti bene, ricordandoci dei momenti felici che abbiamo trascorso insieme, dei figli e delle loro famiglie, delle gioie che il Buon Dio ci ha regalato. Ma anche, se ci fosse il tempo, del senso della vita e della morte, della poesia e della bellezza di cui abbiamo potuto godere (anche se questi argomenti sembrano un po’ la ripresa delle celebri morti dei

filosofi antichi, alla Socrate o alla Seneca). Ma noi non possiamo sapere quando e in quali circostanze affronteremo il trapasso, né se la nostra sarà una “bella morte”, Dio solo lo sa. Vedremo. Sempre ammesso di averne la lucidità, la coscienza per rendercene conto. Vorrei che ci fosse anche un po’ di tempo per un esame di coscienza, per chiedere perdono per il male che ho commesso, a volte senza volerlo, per morire in pace con me stesso e con gli altri. Mi piacerebbe magari ascoltare della buona musica, quella che mi mette i brividi e mi commuove; ma mi ci vorrebbe del tempo in più per scegliere il brano giusto, regolare il volume, seguire le parole. E perché non leggere anche qualche ultimo verso, qualche ultima pagina dei miei amati libri? Sarebbe bello andarsene dopo aver gustato ancora una volta qualche terzina della Commedia, o una pagina dei Promessi sposi; o magari anche della Bibbia e dei Vangeli… Insomma avrei bisogno di troppo tempo per fare tutte queste cose e temo che la morte, quando verrà a prendermi, non sia disposta a lasciarmene molto. Tutte queste cose però posso continuare a farle adesso che sono ancora vivo, prima che sia troppo tardi. E allora… È proprio vero quello che dicevano gli antichi: si muore ogni giorno e vivere è prepararsi a morire. Enzo Noris


EDUCAZIONE

7

La natura per noi si chiama Creato

Lo scout vede nella natura l’opera di Dio ama le piante e gli animali Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il Creato! La vocazione del custodire […] ha una vocazione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nella Genesi e come ci ha mostrato S. Francesco di Assisi. È l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. Una riflessione sul Creato non può che partire citando l’Enciclica “Laudato si” di Papa Francesco. Il testo del Papa è una chiamata ad aprirsi alla meraviglia della natura e dei suoi abitanti, per scoprirne l’autore Divino. Noi Capi scout dobbiamo rispondere a questa chiamata più di ogni altro Cristiano: diventare custodi, perché la natura è la nostra casa e perché abbiamo la responsabilità di vivere e far vivere ai nostri ragazzi il 6° articolo della legge: lo scout vede nella natura l’opera di Dio, ama le piante e gli animali. Un articolo che forse qualche anno fa poteva sembrare solo un invito ad una approfondita conoscenza tecnica, oggi è diventato una urgenza umanitaria. Occorre crescere ragazzi migliori delle nostre generazioni e di quelle dei nostri padri. Il rispetto delle piante, degli animali e degli altri esseri umani non è un gioco che si vive solo in sestiglia o in squadriglia, ma una necessità, se vogliamo sopravvivere in questo mondo che Dio ci ha donato e che ci ha chiesto di custodire. Inoltre dobbiamo far comprendere ai nostri ragazzi che la natura non è solamente oggetto d’una contemplazione estetica o di una coscienza puramente ecologista. Un scout non sa contemplare il mondo senza il suo Creatore. Noi amiamo le piante e gli animali perché vediamo in loro l’opera Dio. Poco tempo fa, un sacerdote mi disse che la bellezza dello scautismo sta nel fatto che noi Capi insegniamo a leggere… a leggere Dio nella bellezza della Natura! Vista così, è una grande responsabilità, verso i nostri ragazzi e verso noi stessi. Ma questo non dovrebbe spaventarci, anzi dovrebbe entusiasmarci l’idea, perché attraverso questa “lettura”, che non viene fatta sui libri ma con la vita all’aperto, è facile giungere alla Parola di Dio e alla capacità di seguire le tracce che conducono alle scelte fondamentali della nostra e della loro vita. Non basta la conoscenza tecnica ed il rispetto per la natura per riconoscere Dio in essa. Bisogna educare ed educarci alla meraviglia. La meraviglia si apprende, conoscendo il “terzo linguaggio” ossia quello dell’anima. È un linguaggio senza parole che si può comprendere nel silenzio dei boschi o nelle vette che raggiungiamo con fatica. È quando, di fronte allo spettacolo che ci si apre, respiriamo profondamente, apriamo il nostro cuore e cominciamo a guardare con occhi nuovi; quando impariamo a “leggere” la meravigliosa storia del Regno dei cieli calato sulla terra. Come scrive lo scrittore Chesterton: “un giorno, presto la mattina, il bambino si avvicina ad una finestra arrampicandosi su una sedia e guarda il sole che sorge! Signore lo hai fatto ancora! Esclama.” Che bello sarebbe tornare a meravigliarci come bambini! Se noi sapessimo guardare con gli occhi nuovi, non dell’abitudine, sapremmo cogliere ovunque l’amore infinito di Dio e a Lodarlo. Noi scout abbiamo la fortuna di imparare il linguaggio della “meraviglia” sul posto, per i monti, lungo le valli, nei boschi e accanto ai torrenti. Quanto sono grandi, Signore, le tue opere!

Luglio 2021


PRIME COMUNIONI - DOMENICA 30 MAGGIO

Foto Breda - Albino

8

“QUANDO IL RE ENTRA NEL VOSTRO GIARDINO DOVETE LASCIARLO LAVORARE”

Domenica 30 maggio e domenica 6 giugno la Parrocchia di Albino è stata in festa, perché 56 bambini di terza elementare, divisi in due gruppi, hanno ricevuto la prima comunione. In oratorio don Giuseppe, chiamando per nome ogni bambino, ha segnato la loro mano destra con l’olio profumato proveniente dalla Terra Santa. Il profumo sulla mano rappresenta il cuore profumato. L’incontro con Gesù nell’Eucarestia ci rende profumo buono che si diffonde alle persone che incontriamo con piccoli gesti

di attenzione. In entrambe le domeniche il sole e il suono delle campane hanno accompagnato il piccolo corteo dei bambini che insieme ai loro familiari sono entrati in Parrocchia. Domenica 6 giugno, festa del Corpus Domini il corteo è stato guidato da un chierichetto, con in mano una brocca d’acqua in riferimento al vangelo: «... i discepoli dissero a Gesù: “Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?” Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: “Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo”». Arrivati in Parrocchia, “arredata e pronta”, i bambini si sono disposti attorno alla mensa rotonda, vestiti di bianco, come i petali di una margherita, unici e uniti tra loro perché attorno al centro. Gesù è il centro che ci unisce come comunità quando ci incontriamo la domenica a rendere grazie a Dio nell’Eucarestia. L’altare rettangolare era coperto da una tovaglia formata da tanti pezzi di stoffa scritti e disegnati dai bambini come preparazione

al loro incontro con Gesù. Il ritornello del salmo responsoriale è stato un inno di lode al Signore attraverso la loro voce e i gesti: “Dalla nascita del sole fino al suo tramonto vorrò lodare il Signor con tutto il cuore”. I bambini hanno vissuto con attenzione ed emozione la Santa Messa e in particolare il momento in cui don Giuseppe, chiamandoli per nome la seconda volta, gli ha donato il corpo di Gesù. Facendo riferimento a una storia ascoltata nel ritiro di preparazione alla comunione, Gesù è il re e il cuore è un giardino. Gesù vuole entrare nel giardino di ciascuno per renderlo sempre più bello. Sta a noi accoglierlo con fiducia e lasciarlo lavorare. Con un sentimento di gratitudine reciproca per il cammino fatto insieme, bambini, famiglie, sacerdoti e catechisti, continuiamo a pregare per poter fare sempre più esperienza dell’amore di Gesú per ciascuno di noi, che ci rende capaci di volerci bene gli uni gli altri. I catechisti di terza elementare


PRIME COMUNIONI - DOMENICA 6 GIUGNO

9

I NOMI DEI 56 BAMBINI DI TERZA ELEMENTARE, DIVISI IN DUE GRUPPI, CHE DOMENICA 30 MAGGIO E DOMENICA 6 GIUGNO HANNO RICEVUTO LA PRIMA COMUNIONE. Andrea Acerbis Martina Algeri Mathias Amatuzzo Chiara Bezzetto Luca Bini Alessandro Birolini Ginevra Bizioli Iris Bombardieri Christian Cabrera Carlo Carrara Gianrico Cerea Davide Comi Martina De Bernardi Tommaso Dentella Cristian Di Francesca Andrea Dotti Nicolas Feltre Niccolò Filisetti Maria Grazia Francica

Asia Ghirardi Irene Grillo Ginevra Internullo Leonardo Legrenzi Beatrice Legrenzi Zanchi Mattia Lorenzi Giorgia Lussana Silvia Mantovanelli Pietro Marinoni Giorgio Martinelli Leonardo Melis Tommaso Mercoli Irene Merla Sofia Moioli Maria Ne Cristian Nicoli Saverio Nodari Diego Noris Pietro Paganessi

Sara Pezzoli Edoardo Pezzotta Gabriele Piantoni Mattia Piantoni Leonardo Piazzalunga Cristiano Piccinini Alex Rappoccio Camilla Ratti Chanel Remondi Giorgia Ricuperati Giulia Riva Giada Signori Giulia Signori Giorgio Stramare Nicolò Stroppa Nicolò Tarquilio Lorenzo Torri Gordon Ubogu Mia Vedovati

Luglio 2021


10

ORATORIO

Collaborazione e condivisione alla base del Cre

Il Cre si costruisce insieme Il CRE è da sempre un’esperienza che si costruisce e si pensa come comunità. Si parte dal coinvolgimento dei primi giovani, si allarga la proposta ai maggiorenni, si formano gli adolescenti e si raggiungono gli adulti che si spenderanno come volontari per regalare a bambini e ragazzi un mese ricco sia dal punto di vista esperienziale che relazionale. Per realizzare tutto ciò è necessario arrivare preparati all’estate e ieri, all’oratorio di Albino, è iniziato il percorso formativo che porterà gli adolescenti a vestire la maglia dell’animatore durante il prossimo Cre. Il primo step consisteva nell’individuare le proprie aspettative a fronte della loro presenza, degli altri animatori e dei coordinatori in modo da giocarsi in maniera più consapevole all’interno dell’esperienza. «Gli incontri della formazione nascono da un lavoro condiviso tra noi coordinatori e i maggiorenni che presteranno servizio durante il Cre – spiegano Naila Carrara e Martina Rossi, coordinatrici dell’oratorio di Albino-. I prossimi appuntamenti declineranno il tema del gioco in diverse situazioni del Cre, mentre più avanti ci dedicheremo alla preparazione delle giornate». Oltre alla formazione tematica e all’organizzazione più legata all’aspetto pratico, gli adolescenti parteciperanno anche a un percorso formativo dal punto di vista sanitario in modo da arrivare preparati e pronti ad accogliere bambini e ragazzi in totale sicurezza. La formazione, però, non è un percorso che gli adolescenti affrontano da soli. Durante questi

incontri, si cammina insieme e ci si rimette in gioco ogni volta senza dare mai nulla per scontato. I coordinatori, i responsabili, i maggiorenni e gli animatori costruiscono il Cre collaborando. «Formarsi aiuta tutti a far crescere quella consapevolezza necessaria per affrontare l’esperienza -proseguono Naila e Martina-. Serve a trasmettere il senso di ciò che si andrà a fare, ma anche un modo di essere. Un animatore è chiamato a giocarsi con la voglia di fare, di prendersi delle responsabilità e di relazionarsi con chi incontrerà. Speriamo recepiscano tutto ciò e che sappiano di essere pensati perché quello che facciamo è creato per loro e, a cascata, anche per i bambini e i ragazzi. Come noi abbiamo pensato agli adolescenti, così loro penseranno ai più piccoli durante il Cre. Il nostro obiettivo è quello di trasmettere l’empatia e la gratuità di questo servizio». Nella grande macchina del Cre tutti sono importanti. Se gli adolescenti sono il motore dell’esperienza, i giovani, nel ruolo da coordinatore, hanno il compito di

avere una visione d’insieme che aiuti tutti ad andare nella stessa direzione. «Come giovani -concludono Naila e Martina- ci mettiamo al servizio dell’oratorio grazie alla fiducia che la comunità stessa ci dà. È una responsabilità importante. Quando un giovane diventa coordinatore deve allenare uno sguardo ampio in modo da co-costruire la macchina del Cre. Si dà il massimo per far sì che il Cre sia un’esperienza significativa sia per i bambini che per gli adolescenti, ma anche per noi e tutti coloro che spendono del tempo per i ragazzi. Questa esperienza coinvolge tutta la comunità e ci fa crescere insieme». Tra poche settimane, all’oratorio di Albino, il Cre potrà finalmente andare in scena. Le risate, la voglia di giocare, il divertimento, le urla di incitamento, gli scherzi e il desiderio di stare semplicemente insieme torneranno ad abitare ogni spazio dell’oratorio, ma nulla nasce dal caso. Il Cre va costruito perché non c’è cosa più bella del sapersi pensati. Chiara Savio santalessandro.org


VITA PARROCCHIALE

11

Il saluto riconoscente a suor Benilde e a suor Isa Paola

Suore delle Poverelle Salutare due amiche che devono partire lascia nel cuore un po’ di tristezza. Così è stato sabato 5 giugno durante la Messa prefestiva, quando suor Isa Paola e suor Benilde hanno salutato e abbracciato la nostra comunità pronte a partire per una nuova destinazione. Oltre alla loro presenza attiva all’interno della Comunità delle Suore delle Poverelle erano impegnate in diversi ambiti: suor Isa Paola con la sua discrezione e premura silenziosa è stata per molti anni impegnata nel servizio alla Casa di Riposo di Cene. Mentre suor Benilde era ritornata ad Albino da soli tre anni e si era resa disponibile per la catechesi dei bambini nella nostra parrocchia e in quella di Vall’Alta. Due persone che hanno arricchito la nostra comunità e la vita delle persone a cui sono state vicine. Suor Benilde con ironia ha sottolineato come una Suora, finché può camminare, non può andare in pensione. E come il Signore non faccia differenze di età visto che ha affidato loro una nuova missione. La tristezza per la loro partenza è mitigata dalla gioia della ricchezza che ci hanno donato in questi anni. Il loro sorriso e il cammino fatto insieme rimarranno per sempre.

Un nuovo inizio Le novità nella Comunità delle Suore delle Poverelle non finiscono qui, come per chi è partito c’è un nuovo inizio, anche per chi resta c’è aria di novità, infatti la Comunità “apre le porte alla speranza” diventando la Casa del Noviziato. Da qualche tempo è arrivata la nuova Madre Superiora, suor Emanuela, lei guiderà le giovani che tra poco si stabiliranno qui per intraprendere il cammino di Novizie. Domenica 20 giugno alla Messa delle 10.30 suor Emanuela ha così presentato e spiegato queste importanti novità: «Da circa un mese mi è stato chiesto di venire ad abitare qui nella nostra comunità di Albino. Un po’ sto continuando il servizio, che già da due anni la Provinciale mi ha affidato, di formazione delle giovani che iniziano il cammino nella nostra congregazione per diventare poi, se Dio vuole, Suore delle Poverelle. Attualmente ho accompagnato due giovani, le avete viste prima quando hanno letto le letture, che il 4 settembre entreranno in noviziato. È stata scelta la casa di Albino come sede del Noviziato, per cui verranno ad abitare qua. Verso metà luglio a loro si aggiungeranno altre due ragazze che vengono dal Perù. Per cui la casa prende nuova vita e verrà anche un po’ trasformato il servizio svolto fino ad ora dalle suore. Le due suore rimaste (suor Chiara e suor Gianbertilla) continueranno ad abitare con noi, con le giovani e con le postulanti che verranno per qualche periodo prima di fare la loro esperienza nelle comunità. Accanto a questo il progetto prevede di fare uno spazio per accogliere, quando si potrà, gruppi giovani o anche giovani che desiderano condividere la vita con noi e con le giovani. Abiteranno la nostra casa per prendersi del tempo di riflessione, di preghiera, di silenzio. Una casa aperta ai giovani che vedremo strada facendo come si costruirà. E speriamo anche che si continui la bella collaborazione che c’è sempre stata con la parrocchia. Ci affidiamo alle vostre preghiere». Così, dal mese di settembre, quattro giovani, due italiane e due peruviane, inizieranno ad Albino il cammino del Noviziato, accogliamo con grande gioia la loro presenza!

Luglio 2021


12

ARTE E FEDE

Il paesaggio nei dipinti di Giovan Battista Moroni Ci fu un tempo, sempre ci sarà e ancora c’è. In cui le persone percorrono sentieri. Battuti e nuovi. Corre il cinquecentenario moroniano1. Tutti pronti a dire la propria. In un dibattito collettivo. Dando il proprio contributo grande o piccolo. Come un capannello di persone. D’ogni età ed estrazione. Impegnate, nell’unico autentico confronto democratico di una comunità. Quello davanti a un nuovo manufatto. Che si conclude al rintocco del mezzogiorno o all’Ave Maria. Rimandando le conclusioni a più tardi, a qualcun altro. Visse per lo più in valle. Ma, i suoi quadri sono ovunque per il globo. In musei, chiese, abitazioni e caveau. In collezioni pubbliche e private. Alcune note altre riservate. Di quel luogo e limitrofi, ritrasse gli abitanti. A grandezza naturale, a figura intera e mezzobusto. Con atteggiamenti consueti, capaci di tramandare il loro stato sociale. Con oggetti quotidiani tra le mani. Giusto per non lasciare alcun dubbio circa la loro professione, attività, devozione, passione. Hanno volti in cui è possibile imbattersi ancora oggi per le vie del centro del paese. Di alcuni di loro ne fece personaggi. Replicandone fattezze, pose ed espressioni, in dipinti vari. Agli edifici religiosi sempre di quei luoghi, dedicò rappresentazioni sacre. Madonne, con Bambino, Sante e Santi, Gesù, Padre, Figlio e Spirito Santo. Ciascuno, con il proprio volto. È famoso per i ritratti di Isotta Brembati, la Bambina di Casa Redetti, Gian Gerolamo Albani, Gian Gerolamo Grumelli, in arte Il Cavaliere in Rosa, Il Sarto, Il Prelato con Libro. Questi i masterpieces a memoria collettiva. Da parte mia. Fui orgogliosa d’avere un così noto concittadino, dopo essermi imbattuta per caso, in due dipinti appesi in una sala degli Uffizi. Avendo sempre data scontata la presenza di altre sue opere, al cui cospetto generazioni di conterranei seguono da sempre le funzioni religiose. La Santissima Trinità , la Crocifissione con i Santi Bernardino e Antonio, la Visitazione della Vergine con Santa Elisabetta giovane e dai lineamenti eleganti (prima del restauro di questo secolo), unica nel suo genere, Il Cristo che Porta la Croce, La Madonna con Bambino e Le Sante Barbara e Caterina.

Cristo portacroce

Conosceva e apprezzava l’arte tessile. D’altra parte non poteva che essere così. Essendo fonte di profitto da sempre in valle. Prima attività industriale trainante di qualunque economia in ogni epoca. Dai panni in lana battuta, al lino irlandese di San Patrizio, alla seta, al cotone. Tutti rappresentati. In un catalogo da cui trarre spunto anche per creazioni contemporanee. Nelle rappresentazioni religiose i tessuti sono in tinta unita. Hanno bordi sfilacciati e merlati. La consistenza rivelata dalle pieghe. Ciascun capo ha un proprio colore. L’azzurro cielo terso per i mantelli, lavorati con rilievi e foderati in verde, se preziosi. Il rosso, quasi rosa, per le vesti. Per i drappi che cingono i fianchi e penzolano dalla croce. Il grigio, il nero delle tonache. Il marrone, il verde, dei sai. Il bianco, per gli scialli, con lembi fermati da un nodo, lievi sulle spalle. Così come i minuscoli veli dai mille colori, posati sul capo o raccolti attorno la nuca. Dame, nobili, cavalieri, artigiani, hanno vestiti e abiti in tessuti pregiati, composti da più capi, completati con accessori e gioielli. Sono i damascati, in colori, tonalità e trame sempre differenti, dalla consistenza e peso funzionale all’utilizzo, fluttuante per gonne e pantaloni, robusta per corpetti e marsine, lavorati con fori e tagli. Sono l’organza, la batista, le garze, di seta, lino, e cotone. Impalpabili. Sbucano dai ruvidi bordi in lana, lievi sulla pelle, anticipano, velando, la curva delle spalle, lo slancio del collo, lo stacco del mento, la sinuosità delle mani. Fanno capolino alcune piccole conce. Pellicce con fattezze animali. Poggiate sopra le spalle, attorcigliate attorno al collo, e trattenute tra le mani per scaldarle. Lavorate in borse. Applicate lungo il lati aperti del soprabito. Un vezzo nella rappresentazione di personalità anche maschili. In notabili e religiose, le linee di abiti e vestiti, svaniscono sotto una coltre nera. Sguardi, espressioni, rughe, attirano tutta l’attenzione, sono rivelatori di ambizioni, pensieri, preoccupazioni. Il loro portamento orgoglio-


VITA PARROCCHIALE

15

Crocifisso con i santi Bernardino e Antonio da Padova

so, si staglia su sfondi neutri. Attorno, giusto pochi elementi architettonici, talvolta in rovina. La prospettiva è costruita attraverso aperture su scorci urbani. Composti da abitazioni a più piani, con archi, terrazzi dalle balaustre colonnate, curiosi camini dai fusti ritorti, torri e campanili finestrati, anche con bifore, e al colmo arbusti. In lontananza. Molto in lontananza. Vi sono dei paesaggi, scenari di altre storie. Anche di principi azzurri. Quasi. In San Giorgio e la Principessa, lei è tutta in rosa, così come il mantello di lui, ma foderato in azzurro. Ecco, così deve essere. Sta a cavalcioni ben eretto, su un cavallo bianco. Ovvio. Bardato in marrone, dai finimenti in oro. È ricco. La lancia tratta è spezzata, per aver salvato la fanciulla grata. In ammirazione. Vuoi che, con più astuzia e meno muscoli, non se la sarebbe cavata da sola? Del drago ormai a terra, fuori scena, si scorgono le scaglie della cresta. Forse con pazienza, l’avrebbe addomesticato più che ammazzato. Un bouquet di giovinette, dalle bianche sottovesti lievi sollevate dalla brezza, dai copri spalle e turbanti colorati, si intrattiene lungo un viottolo. Ci fu un tempo, sempre ci sarà e ancora c’è. In cui le persone percorrono sentieri. Battuti e nuovi. Quando le strade e i corsi calpestati ogni giorno, riportano sempre al medesimo punto. Così come le proprie azioni e pensieri. Attorcigliandosi su se stessi, come un minuscolo vortice di foglie secche e petali appena caduti2.

Allora, queste persone, cariche della loro sola esperienza e del necessario per la sopravvivenza. Un cappello a riparo del sole e della pioggia, un bastone a sostegno e difesa, un mantello caldo e cerato, un recipiente per sorseggiare l’acqua, un tascapane, un paio di scarpe robuste e adattate da tempo. Si ritrovano avviate, chissà perché e chissà percome, lungo altri sentieri. Incamminate non per trovare altrove altro, ma partiti da dove non c’è più nulla. Cibo per la mente e il corpo. Un riscontro del loro essere e fare. Furono pellegrini, saranno stranieri, sono migranti. Il sentiero, lungo il quale cadenzare i propri pensieri, percorre tutta la valle, dall’alba al tramonto. Taglia a mezza altezza colline e monti. Si abbassa, sul greto acquitrinoso, solo per passare il fiume. Attraverso ponti dalla mole a dorso di mulo, a più campate. Una ampia, minori le successive. Mai perpendicolari rispetto le sponde. Per meglio fronteggiare nei secoli la forza anche improvvisa dell’acqua. Con alti bastioni e rostri in pietra, per deviare il flusso ed evitare l’erosione continua al piede, che affonda nell’alveo e poggia sopra strati millenari di pietre e sabbia, trasportate dalla corrente. Una buona progettazione resiste nel tempo. Che ineluttabile lavora qualunque materiale. Il sentiero, inerpicandosi sull’altra sponda, anche attraverso scalini adeguati al passo di cavalli e muli. Conduce a minuscoli agglomerati. Intervallati alla massima distanza possibile da percorrere, durante le ore diurne invernali. Seguendo il rintocco di campane. Indice di quanta strada sia ancora a venire. Segnale di avvertimento per un pericolo imminente. In comunicazione visiva tra loro. Anche nel buio totale, tramite un lumino. Sufficiente a rimbalzare da un avamposto all’altro. Essenziali presidi, talvolta militari, a controllo e difesa della valle. Composti da abitazioni, alloggi per il ricovero di persone e animali. Luoghi religiosi, con le loro adiacenze, la chiesa o l’oratorio, la canonica, il lazzaretto, il camposanto. Per questo, sistemati oltre i confini del centro urbano. Raggiungibili, a pochi minuti di cammino, dopo aver ridisceso e risalito, i terrazzamenti erosi dall’acqua. San Rocco è un edificio a presidio di questa valle. Arroccato su un alto promontorio. A strapiombo sul fiume e il frastuono delle cascate. Si sporge sopra le cime di alberi secolari. Abeti bianchi, querce, tassi, faggi, salici, e anche aceri, tigli, carpini neri e bianchi, betulle, frassini, maggiociondoli e olmi3. È in ombra al monte che lo sovrasta. Ha copertura spiovente su pianta centrale, evidente solo una volta entrati. Perfettamente orientata secondo i punti cardinali. L’ingresso a mezzodì, l’abside a nord, le nicchie a levante e ponente.

Luglio 2021


20

LIBRO

La Trinità

È collegato ad altri luoghi. Rispettivamente. La Trinità e l’Abbazia Benedettina (o Cistercense4), attraverso il sentiero che dal sagrato all’ombra di cipressi e ippocastani, poco sopra scollina. San Bartolomeo e la Madonna della Neve, San Patrizio e lo Zuccarello, a vista. Un eremo. Una canonica. Un lazzaretto. Un camposanto. Completano il nucleo abitato. Come scritto prima. Il tutto a cura di una confraternita5 di persone. Laici, disciplini, religiosi. Caritatevoli verso il prossimo. Ci fu un tempo, sempre ci sarà e ancora c’è. In cui le persone percorrono sentieri. Battuti e nuovi. Sono figure minute. Chine sul loro bastone. Il capo coperto da un cappuccio. Informi dentro una veste lunga fino ai piedi. Di colore chiaro o scuro. Che ne identifica l’ordine d’appartenenza. E a chi rivolgono la loro opera. Verso i vivi o i morti. Camminano soli o accompagnati in processioni. Salgono e scendono sentieri appena accennati che conducono a tozzi edifici. Aggregati in una composizione geometrica morandianaA. Il cubo, il parallelepipedo, il cilindro, il tronco di cono. Queste sono le persone, con altre storie, in secondo piano, in alcune delle opere di Giovanni Battista Moroni. Sono immerse in un paesaggio fatto di monti dalle cime rocciose. Con massi affioranti dai pendii. Colline disposte a quinte. Con essenze d’alto fusto, cespugli, nessun campo a coltivo. Foggiate da sinuosi rigagnoli, sprofondati in orridi, dalla portata irregolare. Che si placa verso la conoide. Perché questo è il territorio del comune di Albino. Una conoide, ricca di ciottoli tondeggianti, maneggevoli. Abbondante materia prima con cui sono costruiti, con una trama a lisca di pesce, per meglio distribuire le forze, senza alcun calcolo matematico di ingegneri, ma esperienza centennale di capomastri, i più antichi muri ed edifici. I primi, a riparo di camminamenti, a contenimento di terrapieni, hanno il medesimo numero di corsi, assecondano l’andamento del terreno aumentando o diminuendo la dimensione dei burlandi6. I secondi, hanno come fondamenta un rilievo roccioso, capace di smorzare le onde di terremoti, hanno pareti grossolane intonacate anche all’ esterno e affrescate, rendendoli lievi. Questo è il paesaggio a scena aperta vissuto, ricordato, rappresentato, dall’esimio artista. E poco importa, da quale finestra si sia affacciato per coglierlo. Se da un palazzo, in centro all’abitato, in prossimità di un

convento, di cui ritrasse la nobile badessa7. Oppure da un loggiato, poggiato su un dosso, aperto sulla valle, inondato dalla luce, tanto necessaria a ogni artista. Per nulla importa, a chi ancora oggi abita quella casa in colore rosso, tanto usato nelle sue opere, trarne benefici. Importa che, oltre le storie delle persone ritratte, abbia rappresentato e tramandato il paesaggio di questi luoghi. Affinché sia preservato8. Nerussia Gogch NOTE 1. Giovanni Battista Moroni (Albino, 1520/1524 – 5 febbraio 1578/1579), pittore, Wikipedia 2. Al caldo sole ho ascoltato i petali a terra andare, Angelo Calvi, primavera 2021 3. Storia delle Terre di Albino dalle origini al 1945, a cura di Alberto Belotti, Giulio Orazio Bravi, Pier Maria Soglian, 1996 4. L’architettura dei Cistercensi nell’Italia Settentrionale. … altre costruzioni lombarde di questo gruppo sono le chiese di … S. Benedetto di Vall’alta (Bergamo), in tutta Italia le chiese e monasteri Cistercensi sono 21, L’Arte nel Medioevo, il Duecento e Trecento, 1965 5. La Chiesa dei Morti in Albino, Felice Nani, 1997 6. Burlandi, che rotolano. Ciottoli caratteristici dei fiumi Serio e Brembo 7. Lucrezia Agliardi, Badessa presso il Convento Sant’Anna di Albino, 1557 8. Art. 9 Costituzione italiana, Roma, 22 Dicembre 1947, La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica [cfr. artt. 33, 34]. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione Art. 1 Convenzione Europea del Paesaggio, Firenze, 20 Ottobre 2000, Paesaggio è zona o territorio, così come è percepito dalle persone (abitanti del luogo o dai visitatori), il cui aspetto o carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o culturali (antropici) Legge 1497/39 Protezione delle bellezze naturali, Paesaggio come bellezza naturale A. Giorgio Morandi, (Bologna, 1890 – 1964) pittore e incisore italiano. Uno dei protagonisti della pittura italiana del Novecento e tra i maggiori incisori mondiali del secolo. … celebri le sue nature morte in cui gli oggetti rappresentati (bottiglie, vasi, caffettiere), sono portati fuori dal loro contesto funzionale e analizzati nella loro pura essenza geometrica. … Domus, a casa di Giorgio Morandi, il pittore che trasforma l’ambiente in un’opera d‘arte, Giugno 2020.


Proponiamo la riflessione di don Giuseppe pubblicata sul catalogo dello storytelling Il codice Moroni, mostra in corso fino al 22 agosto nelle chiese di san Bartolomeo e di san Giuliano.

Primo fiore di primavera

In silenzio davanti al Crocefisso. Primo fiore di primavera. È la primula, così fragile, così luminosa; ma così resistente, che non teme di sfidare il rigore dell’inverno! Non per niente è stata presa come simbolo della vita nella Giornata per la vita. Voglio pensare così Gesù in croce. In un giorno buio, quasi notte, Lui il sole. In grado di squarciare già l’orizzonte; e mentre consegna la vita e si spegne, illumina, dà vita e colore a coloro che a Lui innalzanolo lo sguardo. In un paesaggio cupo, Lui unico fiore luminoso. E chissà, forse da Lui si diffonde ancora il profumo del nardo che Maria gli ha versato sulla testa e sui piedi l’altro giorno a Betania. Anche Nicodemo aveva già preparato una mistura di quasi 45 kg di mirra e aloe per la sepoltura, ma non farà in tempo ad adoperarla. In un mondo di odio, di trame oscure, di sotterfugi, Lui la pace, il perdono, dopo un grande amore: “Padre, perdonali, non sanno quello che fanno”. In un tempo in cui ci tiriamo matti per mettere un segno di distinzione dagli altri, Lui nudo, perché nudi siamo tutti uguali. Non può morire un Uomo così! Approfondimenti e programma di “Moroni 500” sul sito www.valseriana.eu/moroni-500/

VITA PARROCCHIALE

15

I 90 anni di fra’ Ismaele

Grande festa ad Albino per i 90 anni di fra’ Ismaele Bertani, padre Cappuccino, decano della fraternità albinese, da qualche anno tornato al convento “san Francesco” di Albino dove aveva percorso i primi passi della sua vocazione. Nel volume “I Frati Cappuccini ad Albino”, il festeggiato racconta così l’inizio della sua esperienza cappuccina: «Ho passato complessivamente 18 anni nel seminario di Albino: quattro come alunno delle medie e 14 come assistente e direttore. Vi entrai come alunno il 5 settembre 1941 e dopo pochi giorni diventai un “fratino”, perché quasi subito i ragazzini, con una cerimonia particolare venivano vestiti con abito e cingolo e prendevano un nome nuovo. Lasciai perciò il nome di battesimo, Giovanni, e assunsi il nome di fra Ismaele». Padre Emilio Cattaneo, attuale Guardiano della fraternità di Albino sottolinea che «fra Ismaele i 90 anni li ha compiuti il 26 dicembre scorso ma visto la situazione legata alla pandemia abbiamo pensato di festeggiarlo con tutta la fraternità cappuccina il 12 giugno». Così, in quel giorno, fra Ismaele è stato festeggiato alla Scuola Apostolica dei padri Dehoniani. Alla Messa di ringraziamento è seguito un momento conviviale. Il ringraziamento della fraternità è stato sintetizzato in queste poche parole: «90 anni e non sentirli! Grazie Signore, per averci donato fra Ismaele; grazie per i suoi novant’anni; grazie per i suoi tanti anni nella nostra fraternità cappuccina. E grazie a te, Ismaele: tenace, simpatico, affabile frate cappuccino novantenne. Auguri!» Anche sulla pagina facebook dei Frati sono giunti numerosi messaggi di felicitazioni e ringraziamento per la testimonianza che fra Ismaele ha saputo portare con gioia tra le persone che hanno percorso con lui un tratto di strada.

Luglio 2021


16

ALTRI MONDI - BOLIVIA Il dramma della mancanza di ossigeno per i malati Covid e l’appello di monsignor Gualberti

“In nome di Dio, salviamo vite!”

La disperazione per ottenere l’ossigeno per i pazienti con il coronavirus (Covid-19) cresce nelle famiglie boliviane, che nelle ultime ore sono state costrette a fare lunghe file per ricaricare le bombole nella speranza di salvare i propri cari. Molto critica la situazione nei dipartimenti di Cochabamba e Santa Cruz, dove persone con le lacrime agli occhi chiedono aiuto per evitare la morte dei loro parenti. La preoccupazione aumenta dopo aver appreso che ieri, lunedì 31 maggio, almeno otto persone, secondo i loro familiari, hanno perso la vita a causa della mancanza di ossigeno al Fondo Sanitario Nazionale (SNC), che tuttavia smentisce la carenza e che le persone siano decedute per questo motivo. L’Arcivescovo di Santa Cruz, Mons. Sergio Gualberti, durante una conferenza stampa tenuta sabato mattina, 29 maggio, ha espresso la sua preoccupazione per il taglio dell’ossigeno all’ “Hospital Catolico”, e ha sottolineato che bisogna fare di tutto per salvare la vita dei pazienti ricoverati il per Covid-19. Venerdì 28 maggio, la società che fornisce ossigeno all’Hospital Catolico, tramite una lettera ha informato che dal giorno seguente dei 750 chilogrammi di ossigeno che forniva giornalmente all’ospedale cattolico di Santa Cruz de la Sierra, ne avrebbe consegnati solo 250 chilogrammi. Nella nota inviata a Fides, Mons. Sergio Gualberti informa di avere chiesto personalmente all’azienda che fornisce ossigeno: “in nome di Dio, salviamo vite!”. La mancanza di ossigeno può infatti causare la morte di molti di questi fratelli. Ha chiesto anche di non

risparmiare sforzi per fornire l’ossigeno necessario per salvare vite umane. Ha invitato quindi le autorità a controllare più rigorosamente la vendita di medicine sul mercato nero, che porta ad un costo eccessivo dei farmaci, a cui le persone più povere non hanno accesso. La situazione è molto grave a Santa Cruz, dove perfino l’ospedale secondario di questa zona, quello di Yapacaní, ha ordinato di chiudere il riparto di terapia intensiva per mancanza di ossigeno. In un’intervista a Radio La Razón, il viceministro della difesa dei consumatori, Jorge Silva, ha riferito che la terza onda-

Diventiamo prossimo Continua l’iniziativa del fondo di solidarietà “Diventiamo prossimo” per sostenere e accompagnare le famiglie in difficoltà economica MODALITÀ PER CONTRIBUIRE

 Autotassazione mensile: si stabilisce una cifra che viene versata

mensilmente per il periodo indicato

 Presso il Centro di Primo Ascolto alla Casa della Carità

in piazza San Giuliano 5 al mercoledì dalle 20.45 alle 22  Con bonifico bancario tramite il nuovo IBAN attivo dal 22 febbraio 2021

IBAN: IT20 L0538 75248 00000 4260 6856 c/c intestato Parrocchia San Giuliano, Conto Caritas indicando la causale: FONDO DI SOLIDARIETÀ DIVENTIAMO PROSSIMO


VITA PARROCCHIALE ICONE DELLA SPERANZA17 ta di covid-19 ha aumentato la domanda di ossigeno medicinale del 300% a Cochabamba e a Santa Cruz, due dei dipartimenti più colpiti dalla pandemia. Ha spiegato che il paese ha 12 impianti di generazione di ossigeno, che hanno aumentato la loro produzione del 40% nella prima ondata, del 100% della loro capacità in questa terza ondata, per coprire il bisogno, anche se persiste una domanda eccessiva che impedisce fornitura normale. La Bolivia importa ossigeno medicinale dal Paraguay, dal Brasile e dall’Argentina, che hanno chiuso le frontiere all’esportazione, e ultimamente hanno chiesto la fornitura al Cile. “Si tratta quindi di un problema che si fa sentire in diversi Paesi del mondo, dove la domanda di ossigeno è stata superata dal contagio e da questa spiacevole situazione che si è creata perché le aziende hanno già raggiunto il limite della propria capacità produttiva”, ha detto Silva. La Bolivia, che aveva retto bene la prima ondata della pandemia, adesso conta con 371 mila casi e quasi 15 mila morti per Covid-19. Agenzia Fides 1 giugno 2021

Maritsa Mavrapidou

L’anziana che dava il latte ai neonati migranti a Lesbo Maritsa Mavrapidou, un’anziana signora dell’isola greca di Lesbo divenne celebre per una foto in cui lei ed altre ‘nonne’ davano il latte con il biberon ad un neonato arrivato su una barca di migranti. «Noi abbiamo accolto i rifugiati perché anche noi discendiamo da rifugiati», disse in un’intervista nel 2015, al culmine della crisi migratoria in Grecia, riferendosi al fatto che la sua famiglia era arrivata a Lesbo dalla Turchia, quando nel 1922 ci fu un traumatico scambio di popolazione tra i due paesi. Le tre nonne della foto passarono mesi, nel 2015, sulla costa dell’isola. Portavano vestiti e pane fatto in casa ai migranti. «Se stavano male appena scesi dalle barche, li aiutavamo», disse Maritsa, «Ci comportavamo da esseri umani». Merito di Lefteris Partsalis che scattò una foto nel novembre del 2015 a tre donne speciali, Maritsa Mavrapidou, Efstatia ed Emilia Kamvisi, mentre allattavano con un biberon i bimbi sbarcati sull’Isola. Racconta: «A un certo punto abbiamo visto che c’era una mamma e un neonato, con tutti i vestiti bagnati. Allora le abbiamo detto: “Fatti dare dei vestiti asciutti, ti teniamo noi il bimbo”. Nel frattempo il bambino ha iniziato a piangere perché aveva fame. Allora ho detto a Emilia: “Vai a prendere un biberon con del latte”. All’inizio il bimbo non riusciva a bere perché il latte era troppo bollente. Così l’ho raffreddato con l’acqua del mare e il bimbo ha cominciato a bere. Quando è arrivata la madre, vedendo la scena, si è messa a ridere».

Con la bella stagione è ripresa la celebrazione delle S. Messe serali nelle chiese sussidiarie

Da lunedì 14 giugno e fino al 27 agosto, torna la celebrazione serale alle ore 20.30 della S. Messa feriale nelle chiese sussidiarie di Albino: - Lunedì al santuario della Guadalupe - Martedì nella cappella del Cimitero - Mercoledì nella chiesa di San Rocco - Giovedì nella chiesa di Sant’Anna - Venerdì nella chiesa della Concezione N.B.: il martedì alle 8.30 S. Messa nella cappella del Cimitero.

Luglio 2021


18 SOCIETÀ Pedofilia: corpo e anima Vero: quello della pedofilia non è l’unico male che affligge il mondo. Di certo è quello di cui si cerca di parlare di meno, di far finta che non esista e con ottimi risultati! Ma è solo parlandone, creando una rete di protezione consapevole che potremo proteggere i nostri bambini. Circa 25 anni fa, ma per qualcuno è come se fosse ieri, in un paese bergamasco finalmente si scoprì che nella scuola materna, due suore, e probabilmente qualcun altro, avevano perpetrato questo delitto sul corpo, sul cuore, sull’anima di bimbi che erano venuti al mondo anche da meno di tre anni. Un po’ di clamore, non molto rispetto alla portata del fatto, processi e condanne da farsa e poi… silenzi… Qualcuno con un sorriso addosso, Mi dice “Giochiamo insieme dai, Ti compro un aquilone rosso Se lo vuoi” (...) In quel gioco losco Vinsi un aquilone E persi l’anima (Renato Zero) Non so se quegli aguzzini sono ancora vivi, poco importa, quello che era, che è e che sarà sempre vivo e sanguinante, sono i graffi profondi che loro hanno lasciato su quelle anime bambine: riusciranno ancora a sperimentare la fiducia nelle persone che incontreranno? Si lasceranno toccare la pelle senza rabbrividire? Ci saranno contatti dai quali scaturirà il piacere. Gli darà tregua la tristezza incomprensibile che impronta la loro vita? No, Massimiliano (Frassi), tu sai che ti sono molto grata per il tuo lavoro, proprio per questo te lo devo dire: non è vero che partecipando a uno dei vostri gruppi di trattamento terapeutico, la ferita diventa cicatrice. Non so perché, ma è così. Chi poi partecipasse a questo gruppo, con la promessa di questo risultato, a fine percorso, si sentirebbe costretto a fingere che il “miracolo” sia accaduto e a dover fare i conti con un ennesimo senso di colpa per la consapevolezza interiore che, in realtà, non è accaduto nulla di duraturo nel tempo. Quei bambini, oggi, sono uomini e donne: hanno cercato e, spero, trovato la loro strada: ma la loro anima, il loro corpo riescono a donarli con spensieratezza? Li ho nel cuore questi bambini, come tutti gli altri. Non dimentichiamoli, troviamo il coraggio di parlare, creiamo quella preziosa rete di protezione, non smettiamo di cercare come accogliere queste anime in cerca di pace. Lucia Bravo

Monsignor Paglia: «Aiutiamo gli anziani a rimanere a casa» «A giorni presenteremo a Mario Draghi il primo blocco della riforma, secondo le indicazioni che il presidente del Consiglio ha recepito nel Pnrr, ovvero la centralità dell’assistenza domiciliare integrata agli anziani». L’arcivescovo Vincenzo Paglia presiede la «Commissione per la riforma della assistenza per la popolazione anziana» istituita dal ministro della Salute Roberto Speranza. Consigliere spirituale di Sant’Egidio, condivide la denuncia della comunità contro il «monopolio» di Rsa e case di riposo. Qual è il problema? «Il problema gravissimo, in Italia, è la mancanza di un vero continuum assistenziale, non il fatto che esistano le Rsa. Piuttosto, è il loro regime di monopolio a inquietare. Alcune cifre aiutano a capire: per le Rsa, lo Stato - sistema sanitario, Comuni e pazienti, ognuno per la sua parte - spende circa 12 miliardi all’anno. Mentre per l’assistenza domiciliare sociale, sanitaria e integrata non arriviamo a 2 miliardi, sei volte di meno. Ma gli anziani sopra i 75 anni con disabilità o problemi motori sono 2 milioni e 700 mila e, di questi, un milione e 200 mila non ha aiuto adeguato. C’è una discriminazione lampante, considerato che nelle Rsa ci sono 280 mila persone, senza considerare il sommerso. Finire in una casa di riposo è facilissimo, mentre è difficilissimo ottenere un aiuto per rimanere a casa. Ecco perché c’è bisogno di una riforma». Quale? «Un cambiamento radicale dell’assistenza, nel quale la Commissione indica un ripensamento delle Rsa: essere una componente, non il monopolio della assistenza. E questo nello spirito originario con cui nascevano le residenze: luoghi di recupero, ristoro e cura, e dunque necessariamente temporanee, per poter poi tornare a casa». Ma ci sono le persone non autosufficienti, non si scarica tutto sulle famiglie? «Niente affatto. Ma, finché è possibile, un anziano deve restare nel proprio ambiente. Occorre una rivoluzione copernicana: una nuova assistenza domiciliare, sanitaria e sociale, per mezzo milione di anziani, cifra basata sulle stime dell’Istat. E poi indichiamo altre due componenti strategiche. La prima è la semiresidenzialità, la vera novità e forse anche il punto di trasformazione di parte delle Rsa: diventare centri diurni ad alta qualificazione, capaci di terapie occupazionali e cognitive e processi di inclusione e socialità, formazione ed educazione. Un sostegno importante per le famiglie, che saranno supportate durante il giorno e potranno tenere a casa i loro cari la notte. Abbiamo pensato ad almeno centomila posti in centri diurni per chi ha patologie croniche come le demenze o le malattie respiratorie. Intanto stiamo facendo un censimento delle Rsa». L’Italia invecchia, basterà tutto questo? «Ne siamo consapevoli, e infatti l’ultima componente che la Commissione pianifica è un servizio di monitoraggio e prossimità per i 4 milioni di ultraottantenni che più esprimono una domanda sociale e sanitaria. Bisogna prevenire». Gian Guido Vecchi - Corriere della Sera


SALUTE

25

La Casa della Comunità non è un ambulatorio ma un nuovo modo di promuovere la salute

La sfida per cambiare l’assistenza Il presidente di UNEBA, Franco Massi, e il futuro della rete di accoglienza per anziani e disabili Che limiti del modello di assistenza ha evidenziato il Covid? In questo anno lunghissimo abbiamo visto entrare in crisi in le tre grandi reti dell’assistenza: quella sanitaria (ospedali, ambulatori, medici famiglia), quella sociosanitaria (Rsa, Rsd, centri diurni, assistenza domiciliare) e quella sociale (Comuni, attività delle associazioni di volontariato). Da sempre tra queste reti non c’è stato il necessario colloquio e la necessaria interlocuzione, ma se vogliamo offrire una prospettiva di vita alle persone il momento per cambiare è adesso. Cambiare le Rsa come, presidente? Non siamo d’accordo, invece, sul tema della sostituzione delle Rsa: dobbiamo cambiarle, non cancellarle. Riqualificarle. Le Rsa devono diventare sul territorio (soprattutto nelle aree interne) centri multiservizi: qui bisogna garantire non solo la residenzialità, ma anche una serie di altri servizi in rete col territorio. Negli ultimi anni abbiamo visto sorgere col profit cattedrali nel deserto delle periferie, più spesso lontano addirittura dai centri urbani: gli anziani sono stati ghettizzati. Un errore. E poi vanno ripensate anche le dimensioni di queste strutture, che devono essere ridotte. I fondi del Pnrr in questo senso sono una grande risorsa, ma devono essere usati bene: sulle Case delle comunità, per esempio, noi abbiamo dato disponibilità in forma sperimentale perché siano pensate proprio all’interno delle Rsa. Serve attenzione anche ai centri diurni, che sono strutture fondamentali e intermedie, di collegamento tra residenzialità e domiciliarità. 13 maggio - Avvenire

In quest’ottica trovano spazio strutture come le case della salute o le case della comunità non viste come poliambulatori, nonostante molte abbiano assunto queste caratteristiche, ma come nodi della rete, punti di riferimento per i cittadini. A questo proposito occorre focalizzarci sulle case della Comunità previste nel PNRR (Piano Nazionale Ripresa e Resilienza). La casa della Comunità non è (non dovrebbe essere) un poliambulatorio cioè una casa della Sanità ma una casa della Salute - intesa come benessere individuale e collettivo - dove la comunità è protagonista, insieme alle Istituzioni (Enti Locali, Scuola, Lavoro, Ambiente, Asl), al terzo settore no profit e al volontariato, in un comune disegno condiviso che denominiamo “Progetto di Salute” per quel territorio e per quella comunità. Quindi un luogo dove le persone e le comunità non sono ospiti o, peggio ancora, clienti per avere una prestazione che si moltiplica all’infinito dentro una visione consumistica che, se non stiamo attenti e non abbiamo una visione di sistema, rischia di riproporsi anche al domicilio. La Casa della Comunità è concepita come quello spazio dove si è accolti, si è attesi, si è accompagnati e non dove si è mandati. Gli operatori non sono in attesa del paziente/cliente, ma “vanno verso” per rispondere ai bisogni in modo appropriato. Bisogni che non sono solo di cura medica. La casa della Comunità è quindi l’insieme organizzato di competenze diverse che operano in un territorio caratterizzato dai bisogni e non solo e non tanto dal numero dei residenti. Riteniamo che questa proposta possa essere oltretutto una risposta di fondo per il dopo pandemia affinché non si spendano i soldi del PNRR per fare più ambulatori ma si indirizzino verso la realizzazione di un vero cambiamento culturale, organizzativo e gestionale dove non prevalga il tecnicismo. Giorgio Sessa Campagna “2018 Primary Health Care: Now or never”

Virginio Colmegna

Presidente Associazione “Prima la comunità”

7 maggio - Quotidianosanità

Luglio 2021


20

ASSOCIAZIONISMO

ACLI ALBINESI

Rubrica a cura del Circolo “Giorgio La Pira”

ATTUALITÀ

Per fortuna ci sono anche le buone notizie nel panorama disastrato che il mondo sta vivendo da mesi a causa del Coronavirus. Lo rivela un rapporto della Banca Mondiale, Istituto internazionale di lotta alla povertà a cui aderiscono 189 nazioni. Secondo l’Istituto dal 2001 al 2019 il numero dei Paesi a basso reddito pro capite si è quasi dimezzato passando da 64 a 34. La fiducia riposta nell’evoluzione economica e sociale delle zone meno sviluppate del mondo lascia intendere che entro il 2030 il tasso di povertà possa essere ridotto di parecchio. La crescita insomma c’è, ma potrebbe essere anche più significativa a favore delle nazioni a basso reddito come quelle in Africa, Asia centrale e America latina. Tra i fattori che frenano il lancio di queste economie c’è la fragilità strutturale che nemmeno la fine dei conflitti armati è riuscita a mitigare, oltre ad una forte dipendenza dall’agricoltura, spesso molto arretrata ed esposta agli eventi metereologici, come unica fonte di reddito. Purtroppo ora ridurre la povertà è più difficile. C’è solo da sperare che si possa presto debellare la pandemia con un vaccino altrimenti la situazione mondiale rimarrà grave, perché tutti, nazioni ricche comprese, hanno il loro prodotto interno lordo (il famoso PIL) assai compromesso. Di conseguenza sarà difficile diminuire il tasso di povertà come auspicato dalla Banca Mondiale entro il 2030.

Acqua bene pubblico, Acli: a 10 anni dal referendum ribadiamo il no alle privatizzazioni

Con i referendum del giugno del 2011 l’acqua pubblica è diventato un diritto dei cittadini, per questo le Acli, a 10 anni dallo storico referendum, in larga parte ancora disatteso, ribadiscono la loro contrarietà alla quotazione in borsa dell’acqua che favorisce speculazioni e variazioni del prezzo a discapito dei più fragili. L’acqua è un bene pubblico di prima necessità e deve essere accessibile a tutti. La pandemia sta ampliando la forbice delle diseguaglianze e oggi più che mai è necessario lottare affinché i beni comuni siano beni per tutti e non fonte di guadagno per pochi. In questo contesto si inserisce anche la battaglia che le Acli, insieme a tante associazioni e a tanti rappresentanti del mondo dello spettacolo, riuniti nell’Iniziativa dei Cittadini Europei “No profit on pandemic”.

Pio Parisi, una profezia del presente

Il 13 giugno 2011 muore a Roma, all’età di 85 anni, Pio Parisi, Accompagnatore Spirituale delle Acli dal 1975 al 1999. A 10 anni dalla morte di Pio Parisi, abbiamo scelto di fare memoria del cammino tracciato nei 25 anni del suo accompagnamento spirituale all’associazione. Un accompagnamento che ha segnato tutta la sua vita e che è stato ispirato da una scelta spirituale e di impegno sociale precisa e ancora molto attuale: la scelta per i piccoli e i poveri. Sono stati tanti i momenti che hanno caratterizzato la sua presenza nell’Associazione, ma l’intuizione della necessità di una conversione al Vangelo per la maturazione di una nuova coscienza politica è probabilmente uno degli aspetti centrali che ha avuto sviluppo e sintesi particolarmente negli incontri di spiritualità che si sono tenuti dal 1992 al 1999 ad Urbino e a La Verna. L’insegnamento di Pio non è solo collocato nella storia delle Acli. Oggi, alla luce del magistero di Papa Francesco e del suo appello ad un “amore politico” (Enciclica Fratelli tutti, 180) torna come profezia del presente. Ciò che ci apprestiamo a compiere non è una semplice celebrazione di memoria, e non è neanche un evento “una tantum”. L’approfondimento della figura di Pio Parisi si colloca all’interno della scelta di rimettere al centro del nostro esse-

re associazione un percorso comunitario di vita cristiana, in piena sintonia con l’appello di Papa Francesco ad essere parte viva di una Chiesa in uscita. (Emiliano Manfredonia, Presidente nazionale delle Acli)

L’Italia ratifichi il Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari

Il 22 gennaio 2021, al termine dei 90 giorni previsti dopo la 50esima ratifica, il “Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari” è diventato giuridicamente vincolante per tutti i Paesi che l’hanno firmato. Questo Trattato, che era stato votato dall’Onu nel luglio 2017 da 122 Paesi, rende ora illegale, negli Stati che l’hanno sottoscritto, l’uso, lo sviluppo, i test, la produzione, la fabbricazione, l’acquisizione, il possesso, l’immagazzinamento, l’installazione o il dispiegamento di armi nucleari. Il nostro Paese non ha né firmato il Trattato in occasione della sua adozione da parte delle Nazioni Unite, né l’ha successivamente ratificato. Tra i primi firmatari di questo Trattato vi è invece la Santa Sede. In Italia, nelle basi di Aviano (Pordenone) e di Ghedi (Brescia), sono presenti una quarantina di ordigni nucleari (B61). E nella base di Ghedi si stanno ampliando le strutture per poter ospitare i nuovi cacciabombardieri F35, ognuno dal costo di almeno 155 milioni di euro, in grado di trasportare nuovi ordigni atomici ancora più potenti (B61-12). Il nostro Paese si è impegnato ad acquistare 90 cacciabombardieri F35 per una spesa complessiva di oltre 14 miliardi di euro, cui vanno aggiunti i costi di manutenzione e quelli relativi alla loro operatività. Le armi nucleari sono armi di distruzione di massa, dunque, in quanto tali, eticamente inaccettabili, come ci ha ricordato anche Papa Francesco in occasione della sua visita in Giappone domenica 24 novembre 2019, a Hiroshima: «Con convinzione desidero ribadire che l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella


ASSOCIAZIONISMO nostra casa comune. L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale, come allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche, come ho già detto due anni fa. Saremo giudicati per questo. Le nuove generazioni si alzeranno come giudici della nostra disfatta se abbiamo parlato di pace ma non l’abbiamo realizzata con le nostre azioni tra i popoli della terra». Il 22 gennaio 2021 autorevoli esponenti della Chiesa cattolica di tutto il mondo, tra i quali il cardinal Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, e mons. Giovanni Ricchiuti, arcivescovo della diocesi di Altamura Gravina-Acquaviva delle Fonti e presidente di Pax Christi Italia, hanno sottoscritto a loro volta un appello in cui «esortano i Governi a firmare e ratificare il Trattato delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari», sostenendo in questo «la leadership che Papa Francesco sta esercitando a favore del disarmo nucleare». Altri vescovi italiani si sono espressi pubblicamente in questa direzione e anche numerose sedi locali delle nostre associazioni e dei nostri movimenti hanno fatto altrettanto. A tutti questi appelli, unendoci convintamente alla Campagna nazionale “Italia ripensaci”, che ha registrato una vasta e forte mobilitazione su questo argomento, aggiungiamo ora il nostro e chiediamo a voce alta al Governo e al Parlamento che il nostro Paese ratifichi il Trattato Onu di Proibizione delle Armi Nucleari. La pace non può essere raggiunta attraverso la minaccia dell’annientamento totale, bensì attraverso il dialogo e la cooperazione internazionale. «La pandemia è ancora in pieno corso; la crisi sociale ed economica è molto pesante, specialmente per i più poveri; malgrado questo – ed è scandaloso – non cessano i conflitti armati e si rafforzano gli arsenali militari. E questo è lo scandalo di oggi». (Papa Francesco, messaggio Urbi et Orbi, 4 aprile 2021, giorno di Pasqua). All’appello, firmato da ben 49 associazioni cattoliche italiane, hanno aderito anche le Acli.

OMERTÀ

Albert Einstein, il genio che ha realizzato la legge sulla “relatività”, ha scritto questa frase: “Il mondo non è minacciato dalle persone che fanno il male, ma da quelle che lo tollerano”. Purtroppo è vero. Troppo spesso ci si ferma a criticare il male compiuto da

21

tante persone (ed è giusto, non è che sia sbagliato). Ma poi non si fa nulla contro chi lo tollera. mentre forse basterebbe farlo presente. L’omertà è l’esatto contrario della solidarietà. valore ineguagliabile.

RISCATTO

C’è chi arriva per obbligo, ma poi nel volontariato rimane. All’inizio è “costretto” a dedicare il tempo ad associazioni, comunità, parrocchie, comuni per evitare di scontare una condanna in cella. Lavori di pubblica utilità. Alternative che la giustizia concede a chi ha commesso reati di piccola entità, con regole e programmi da seguire sotto le direttive di un giudice. Chi sgarra torna indietro: E paga. Le realtà che accolgono giovani, ma anche meno giovani, in questo percorso sono aumentate. L’obiettivo è che aumentino ulteriormente. È una possibilità di riscatto per chi ha commesso un errore e può così tornare in libertà.

LA BANDA DEGLI ONESTI

Una storia a lieto fine. Succede a Bari, dove viene rubata una Fiat Doblò di una donna di 56 anni affetta da sclerosi multipla, una malattia terribile. Per lei è l’unico mezzo che le permette ancora di essere parzialmente autonoma. La figlia, attraverso Facebook, chiede ai ladri di mettersi “una mano sul cuore”. Il nostro è un mondo cinico, smarrito, eppure a volte assomiglia ad un film con Totò e Peppino De Filippo intitolato “La banda degli onesti”. I malviventi, infatti, abbandonano la vettura non lontano da dove l’hanno rubata. E dentro lasciano un biglietto sul quale stà scritto: “Anche noi abbiamo un cuore. Scusateci, non sapevamo della vostra patologia. Scusateci ancora…” Firmato: I ladri.

CORAGGIO

Certe notizie sono talmente strane che hanno dell’incredibile. E invece sono vere. Come quella di un nonno di 70 anni, tale Frank Rothwell, che ha attraversato l’Oceano Atlantico su una barca a remi, senza alcun aiuto esterno. La “sfida” si è felicemente conclusa anche con una raccolta fondi di quasi 1,4 milioni di dollari, destinati alla lotta contro l’Alzheimer. Partito da La Gomera, nelle isole Canarie, il 12 dicembre dello scorso anno, Frank è approdato ad Antigua il 6 febbraio, diventando la persona più anziana a compiere una simile impresa.

PREOCCUPANTE

In solo due giorni abbiamo letto almeno tre notizie di persone disabili picchiate o torturate a Roma, Foggia e Licata. È solo uno dei tanti passaggi di un crescendo di crudeltà contro esseri umani all’ultimo gradino nella scala degli inermi. L’indifferenza in cui spesso vengono divulgati certi episodi deve farci riflettere, anche e in modo particolare perché a compierli sono minorenni. Particolarmente quello di Roma in cui quattro ragazzini hanno infierito su una bimba disabile. Ad assistere alla scena 16 bamboccioni tutti sotto i 18 anni, che hanno assistito all’aggressione non solo senza intervenire, ma addirittura filmandola e postandola sui social network nel quale si sentono risate e urla di incitamento. Non occorrono commenti. C’è solo da rimanere increduli e amareggiati.

UGUAGLIANZA

Il primo articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dice: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. Belle parole, parole sante, ma che purtroppo in realtà restano tali. Dire che nel mondo non vi sono diseguaglianze è mentire. E non c’è bisogno di grandi discorsi per dimostrarlo. Per le Acli albinesi Gi.Bi.

Luglio 2021


22

RICORDO

Renzo avrebbe 84 anni (e sarebbe stato vaccinato nel primo scaglione) Il prossimo 1 agosto ricorre l’anniversario della morte di Lorenzo Moroni. Lo ricordiamo con i pensieri di un compagno di lotte sindacali, Giuseppe Crippa, poi deputato, che, richiesto, li ha scritti, poco tempo fa. «Lorenzo l’ho conosciuto da vicino, ma poco più di un anno e mezzo. La mia esperienza sindacale è stata molto breve, dall’aprile 1970 alla metà del 1972 alla FILCEA CGIL (chimici). Fui mandato un po’ allo sbaraglio. Ci mettevo tanta dedizione, ma proprio non conoscevo il “mestiere”. Il mestiere dovetti impararlo velocemente, sotto l’incalzare dei dirigenti storici della CGIL, che mi misuravano, fabbrica per fabbrica, sul numero delle tessere perse o guadagnate rispetto soprattutto alla CISL. Approvato lo Statuto dei Lavoratori, cominciarono le prime assemblee all’interno delle fabbriche e, a partire dalla bassa bergamasca, dall’autunno, facevo coppia fissa con Lorenzo Moroni. I primi contatti non furono facili. Lorenzo era molto diffidente verso una persona che, pur avendo un retroterra operaio, non nascondeva la sua provenienza politica. Non era tanto la mia appartenenza al PCI che lo metteva in guardia, ma la fermezza con cui concepiva l’autonomia del sindacato a fronte di una CGIL (ma anche di settori della CISL) che su questo terreno e su quello unitario non marciavano. Presto capì che era lontana da me ogni idea o pratica di strumentalizzazione del sindacato a fini politici. Di me colse anche l’interesse verso il mondo cattolico. Diventammo amici. Col tempo, molto amici, al punto da confidarci pregi e debolezze dei rispettivi sindacati. Il cambiamento, anche nella pratica sindacale, si fondava per lui sull’idea di crescita e partecipazione dal basso dei lavoratori. Era un uomo di fede e di pratica religiosa e non ne faceva mistero. Il Concilio lo

Renzo Moroni con il vescovo mons. Gaddi

aveva segnato nel profondo. Da Lorenzo imparai molto del mestiere di sindacalista: imparai soprattutto la contrattazione. Nelle trattative dimostrava una tenacia straordinaria. Io, cercando naturalmente di ritagliarmi qualche spazio, su questo terreno nella sostanza gli andavo dietro. L’amicizia di Lorenzo era esigente. Quando non era d’accordo, sapeva essere spigoloso. Non te le mandava a dire. Ricordo battaglie sindacali importanti, fra tutte nell’estate del 1971, quella alla IMEC di Caravaggio. Due mesi di lotta, coi suoi alti e bassi, le sue tensioni e i suoi momenti di sconforto. Alla fine riuscimmo insieme a convincere i 400 lavoratori a lasciare insoddisfatta una parte delle richieste economiche in cambio di una trasformazione del modo e dell’ambiente di lavoro che finalmente tutelasse la salute in una realtà dove la silicosi colpiva decine di lavoratori. Lasciato il sindacato nel 1972, lo incontrai, in altra veste, durante la vicenda della Filati Lastex due anni dopo. Poi ci perdemmo di vista. Seppi da Ettore Masina dell’impegno di Lorenzo nella Rete Radié Resh, ma non l’ho più rivisto.

Nemmeno ho potuto salutarlo quando ci ha lasciato. Ho saputo della sua morte troppo tardi. Lorenzo non era soltanto serio e rigoroso. Sapeva anche colpire di fioretto con battute taglienti, sdrammatizzate dal sorriso. Il sorriso, appunto: quando mi sorrideva mi sentivo gratificato». Beppe Crippa La figura di Renzo è ricordata nell’ebook Lorenzo Moroni: una storia non solo albinese che si può trovare sul sito dell’oratorio www.oratorioalbino.it in Parrocchia/Pubblicazioni/ Libretti sfogliabili. Un capitolo è riservato appunto al tema della salute, trattato in un convegno CISL “La sanità ci interpella” ad Albino nel 1997, a cui Renzo chiamò a partecipare Silvio Garattini e Gianni Tognoni dell’Istituto Mario Negri)


RICORDO

A DISPOSIZIONE CASA DEL COMMIATO Gazzaniga Via Salici 9

ALBINO - via monsignor Camillo Carrara 6

Per essere informato sulle attività proposte dalla nostra comunità parrocchiale, iscriviti alla NEWSLETTER sul sito

www.oratorioalbino.it

Il tuo aiuto è importante ... per le opere parrocchiali

È possibile dare il proprio contributo - anche deducibile fiscalmente nella dichiarazione dei redditi in misura del 19% - a sostegno dei lavori autorizzati dalla Soprintendenza per i beni Architettonici. Per le aziende è possibile detrarre totalmente la cifra devoluta. Abbiamo concluso il rifacimento del tetto del CineTeatro e della Casa della Carità con qualche sorpresa per quanto riguarda legname e travi marcite. Abbiamo ultimato: - la sistemazione e riqualificazione del porticato che si affaccia sul sagrato; - il tetto dell’ex Ragioneria, che probabilmente non sarà l’ultimo; - il passaggio tra il sagrato e l’oratorio per le infiltrazioni di umidità; - il muro interno della sala giochi nel bar dell’oratorio, anche questo per l’umidità. Siamo in attesa di autorizzazioni per procedere alla tinteggiatura della facciata della Prepositurale, viste le attuali agevolazioni. Impegni questi che stanno dando fondo alle nostre risorse. Grazie per quello che riuscirai a fare.

PER DONAZIONI - Bonifico bancario tramite Credito Bergamasco di Albino, Parrocchia di San Giuliano: IBAN IT91 R050 3452 480000000000340 Per la ricevuta ai fini fiscali, rivolgersi in casa parrocchiale.

23


CASA FUNERARIA di ALBINO CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO srl, società di servizi funebri che opera con varie sedi attive sul territorio da più di 60 anni, nata dalla fusione di imprese storiche per offrire un servizio più attento alle crescenti esigenze dei dolenti, ha realizzato ad Albino la nuova casa funeraria. La casa funeraria nasce per accogliere una crescente richiesta da parte dei famigliari che nel delicato momento della perdita di una persona cara si trovano ad affrontare una situazione di disagio oltre che di dolore nell’attesa del funerale. Il disagio potrebbe derivare dalla necessità di garantire al defunto un luogo consono, sia dal punto di vista funzionale che sanitario e permettere alle persone a lui vicine di poter manifestare il loro cordoglio con tranquillità e discrezione.

Spesso si manifesta la necessità di trasferire salme in strutture diverse dall’abitazione per ragioni di spazio, climatiche igienico sanitarie. Ad oggi le strutture ricettive per i defunti sono poche ed il più delle volte improvvisate, come ad esempio le chiesine di paese, che sono state realizzate per tutt’altro scopo e certamente non garantiscono il rispetto delle leggi sanitarie in materia. Dal punto di vista tecnico la casa funeraria è stata costruita nel rispetto delle più attuali norme igienico-sanitarie ed è dotata di un sistema di condizionamento e di riciclo dell’aria specifico per creare e mantenere le migliori condizioni di conservazione della salma. La struttura è ubicata nel centro storico della città di Albino, in un edificio d’epoca in stile liberty che unisce funzionalità e bellezza estetica. Gli arredi interni sono stati curati nei minimi dettagli; grazie alla combinazione di elementi come il vetro e il legno, abbiamo ottenuto un ambiente luminoso e moderno, elegante ma sobrio.

Lo spazio è suddiviso in 4 ampi appartamenti, ognuno dei quali presenta un’anticamera separata dalla sala nella quale viene esposta la salma, soluzione che garantisce di portare un saluto al defunto rispettando la sensibilità del visitatore. Ogni famiglia ha a disposizione uno spazio esclusivo contando sulla totale disponibilità di un personale altamente qualificato in grado di soddisfare ogni esigenza.

FUNERALE SOLIDALE Il gruppo CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO, presente sul territorio con onestà e competenza, mette a disposizione per chi lo necessita un servizio funebre completo ad un prezzo equo e solidale che comprende: - Cofano in legno (abete) per cremazione e/o inumazione; - Casa del commiato comprensiva di vestizione e composizione della salma, carro funebre con personale necroforo; - Disbrigo pratiche comunali.

Antonio Mascher  335 7080048 ALBINO - Via Roma 9 - Tel. 035 774140 - 035 511054 info@centrofunerariobergamasco.it


RICORDO Anniversario

Grazie Virgy

Defunta

Giuliano Ratti

Rosina Bonomi in Carrara

17° anniversario

anni 74

8.7.1929 - 5.7.2004

n. 05.06.1946 - m. 29.04.2021

Conforti il nostro dolore il ricordo della sua vita vissuta rettamente con semplicità

25

Resterai sempre nei nostri cuori. Grazie per tutto quello che abbiamo imparato da te.

Per la pubblicazione in questa pagina delle fotografie dei propri cari defunti, rivolgersi alla portineria dell’oratorio.

Il Signore ci dona talenti che possiamo sotterrare, utilizzare a nostro vantaggio o farne un dono per tutti. Con semplicità Virginia Gotti ha condiviso con tante persone e soprattutto con i bambini le sue capacità creative, le ha messe a frutto perché diventassero risorsa per tutti, specialmente per i bambini. La sua casa era un laboratorio permanente, lavorava in ogni tempo pensando ai bambini e coinvolgeva amiche per realizzare insieme questo suo desiderio. All’oratorio, nei Laboratori di Virgy, l’annuncio del Regno di Dio passava nei piccoli gesti, prendeva forma attraverso l’insegnamento di piccoli lavori manuali, creazioni gioiose per fare festa. Sì, festa! Perché l’incontro con Gesù è festa: gioia del cuore che necessariamente si fa dono ad altri. Così l’Avvento e la Quaresima diventavano occasioni di attesa gioiosa, piano piano le creazioni dei bambini prendendo forma e li aiutavano ad aprirsi a un mistero che si faceva strada nel cuore, e attraversavano questi tempi con crescente attesa. Al termine i bambini portavano a casa i propri “lavori” che venivano donati ai familiari e agli amici. Ma essi nascondevano un segreto, non erano semplicemente degli oggetti: belli, lavorati con cura, con fatica… Chi li riceveva con cuore attento e riconoscente, vi trovava il desiderio contagioso dei bambini di condividere la gioia dell’incontro con Gesù e la felicità per averli realizzati. Che festa poter vivere il Natale e la Pasqua contagiati dalla gioia dei nostri bambini! La nostra cara Virgy - morta lo scorso 4 giugno all’età di 74 anni ci ha regalato questa possibilità, attraverso la sua creatività ci ha annunciato Gesù. Separarci da un’amica come Virgy non mette fine al legame che ci unisce, esso rimane vivo nella speranza di un nuovo incontro. Ci lasciamo così abitare dalla sua amicizia e dalla cura per i bambini attraverso la creatività.

www.acusticalatini.it

PROVA GRATIS

per 30 giorni la soluzione personalizzata per il tuo udito ierangelo La�ni ng. tefano La�ni ALBINO: tutti i mesi su appuntamento presso udioprotesista Do�. in udioprotesi lbino (B ) lbino (B ) FARMACIA CENTRALE - Viale Libertà 5 - Tel. 035 751201

u appuntamento consulenza gratuita anche a D M

F B

N

LL D M N

N M

-

L

N L ZZ

Z

N

NZ

N

L- N L D 950

ia B.go .ta aterina 44/ - el. 035-5295140 • 3284938846 • 3392476472

Luglio 2021



Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.