Albino comunità viva - Pasqua 2022

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IL GIORNALE DELLA COMUNITÀ PARROCCHIALE DI SAN GIULIANO - PASQUA 2022


INFO UTILI RECAPITI Casa parrocchiale Tel. e fax: 035 751 039 albino@diocesibg.it Oratorio Giovanni XXIII Tel. 035 751 288 oratorioalbino@gmail.com Santuario del Pianto 035 751 613 - www.piantoalbino.it Convento dei Frati Cappuccini Tel. 035 751 119

da coltivare Gratitudine virtù in questo anno pastorale

ORARI delle SANTE MESSE FESTIVE

FERIALI

In Prepositurale

In Prepositurale

Scuola dell’infanzia Centro per la famiglia “San Giovanni Battista” Tel. 035 751 482 - 035 02 919 01

ore 18.00 al sabato (prefestiva) ore 8.00 - 10.30 - 18.00

Padri Dehoniani Tel. 035 758 711

ore 7.30 - 17.00

Suore delle Poverelle alla Guadalupe Tel. 035 751 253 Caritas Parrocchiale Centro di Primo Ascolto aperto il 1° e il 3° sabato del mese dalle ore 9.30 alle 11.30 PER COPPIE E GENITORI IN DIFFICOLTÀ Consultorio familiare via Conventino 8 - Bergamo Tel. 035 45 983 50

Al santuario del Pianto Al santuario della Guadalupe ore 9.00

Al santuario della Concezione ore 10.00

Alla chiesa dei Frati Cappuccini ore 7.00 - 9.00 - 11.00 - 21.00

ore 8.30 - 17.00 Quando si celebra un funerale se è al mattino, è sospesa la S. Messa delle 8.30; se è al pomeriggio, è sospesa la S. Messa delle 17.

Alla chiesa dei Frati ore 6.45 Al santuario del Pianto ore 7.30 Alla Guadalupe ore 8.00 Sulla frequenza 94,7 Mhz in FM è possibile ascoltare celebrazioni liturgiche e catechesi in programma nella nostra chiesa Prepositurale

Amarcord

Centro di Aiuto alla Vita Via Abruzzi, 9 - Alzano Lombardo Tel. 035 45 984 91 - 035 515 532 (martedì, mercoledì e giovedì 15-17) A.C.A.T. (metodo Hudolin) Ass.ne dei Club Alcologici Territoriali Tel. 331 81 735 75 PER CONIUGI IN CRISI Gruppo “La casa” (don Eugenio Zanetti) presso Ufficio famiglia della Curia diocesana Tel. 035 278 111 - 035 278 224 GIORNALE PARROCCHIALE info@vivalavita.eu Numero chiuso in redazione il 26.01.2022

www.oratorioalbino.it

Celebrazione allo stadio Kennedy in occasione del Congresso Eucaristico del 1964

In copertina la Prepositurale di san Giuliano nel Venerdì Santo del 2021 (Foto di Maurizio Pulcini)


1 “Alla vittima pasquale s’innalzi il sacrificio di lode” (Sequenza di Pasqua) Sul mio albero gli uccelli cantano il canto della primavera e questo stride con i canti di morte che ogni giorno ascoltiamo. E il rombo di un elicottero militare che passa (e ripassa) non fa tacere il canto degli uccelli. Questo mi sembra l’annuncio della Pasqua. È lo stesso canto di vita e di vittoria del Risorto sulla morte che porta con sé, nella gioia della comunione dei santi, quanti hanno attraversato con lui la soglia finale della vita. È anche l’annuncio nella nostra realtà di questo tempo che Dio non permetterà un nuovo diluvio universale. L’ha promesso e in questo s’è impegnato. Per attraversare insieme la soglia di casa si deve aver vissuto insieme la casa. Mi sovviene allora (ma non ricordo se a questi versi mi son già riferito) quanto Eugenio Montale scriveva, ricordando la moglie da poco scomparsa: “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio. Il mio dura tuttora, né più mi occorrono le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede. Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr’occhi forse si vede di più. Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue”. Magari inconsapevole, ma è commovente vedere come Montale abbia vissuto la presenza della moglie accanto a sé quasi come la presenza di Dio. E l’assenza dice un vuoto ad ogni passo; la solitudine. Quasi l’abbandono, dopo una forte, lunga vicinanza, che diventa esperienza di infinita fragilità. Quasi a dire: perché mi hai abbandonato. Eppure l’esperienza di una comunione che continua, tanto da parlare ancora con la persona cara che non si vede più. È l’esperienza della presenza assenza di Dio. Il salire e scendere milioni di scale (“quanto sa di sale”), come anche le semplici cose di ogni giorno, vissute con la consapevolezza di avere accanto qualcuno che vede meglio di te, sapendo bene come la realtà non sia solo quella che si vede. Vorrei concludere con quanto scriveva Renzo Barsacchi: “Portami via per mano ad occhi chiusi senza un addio che mi trattenga ancora tra quanti amai, tra le piccole cose che mi fecero vivo. Non credevo, Signore, tanto profondo fosse questo sfiorarsi d’ombre, questo lieve alitarsi la vita nello specchio fragile di uno sguardo, né pensavo che il mondo divenisse, abbuiando, così acceso di impensate bellezze”. Come la primavera: la vita non è tolta, ma trasformata. Così avvenga anche a noi in questa Pasqua di Risurrezione. Auguri vs. dongiuseppe

Pasqua 2022


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VITA DELLA CHIESA

Dio sta solo da una parte: con gli operatori di pace La parola “pace” la sua debolezza e le sue ambiguità Parlare di pace significa fare i conti con le inevitabili ambiguità che il termine e la sua comprensione comportano. Questo è dovuto forse al fatto che veniamo da una lunga tradizione (culturale e teologica) che ha sempre favorito la parola “guerra” alla parola “pace”. La guerra appare come una parola forte, che richiama eventi storici e aspetti della cultura di appartenenza o delle culture di altri popoli. La pace, d’altro canto, risulta una parola debole: senza un adeguato quadro di riferimento antropologico, la collochiamo in una dimensione emozionale, oscillante tra lo slancio emotivo e il buon senso. Per questo, nel corso della storia, abbiamo avuto una “teologia della guerra” (giusta, ma della guerra), una “letteratura della guerra”, una “musica della guerra” ma quasi mai una teologia, una letteratura, una musica “della pace”.

I “corti circuiti” del credente di fronte alla storia Eppure la pace è il primo dono di Gesù Risorto (Gv 20). Attorno ad essa i cristiani hanno, nel corso della storia, misurato la loro fedeltà al Vangelo e, insieme, la loro fatica di coniugare, nelle vicende umane, quella buona notizia che non ha altro terreno su cui depositarsi se non la storia stessa. Con due rischi, sempre presenti all’interno della vicenda cristiana. Il primo è quello che potremmo definire una sorta, non troppo velata, di “fondamentalismo” evangelico che, brandendo minacciosamente il vangelo, evita qualunque forma di mediazione con la complessità della situazione umana. Il secondo, speculare al precedente, è quello di chi ritiene necessario fare i conti con la storia, senza perdersi in eccessivi riferimenti, e, alla fine, giustificare, con la fede, qualsiasi tipo di opzione assunta. Sono “corti circuiti” che dimostrano la difficoltà dei credenti a pensare, in modo critico, la forma di presenza dentro il mondo. In realtà, sin dagli inizi dell’avventura cristiana, i credenti nel Dio di Gesù si sono mossi seguendo due linee. La prima era quella profetica, segnata dalla denuncia e da una più radicale aderenza al messaggio biblico evangelico (lo shalom che è abbondanza e pienezza per tutti ma anche il volto e la storia di Gesù di Nazareth). La seconda era quella sapienziale più attenta al discernimento e alla ricerca del bene possibile qui e adesso.

Sempre dalla parte degli operatori di pace Le due linee non si escludono anzi si integrano dialetticamente. Ma nella storia della Chiesa spesso una ha prevalso sull’altra. Dando a volte l’impressione di aver trasformato la mediazione in compromesso. In alcuni, addirittura, giustificando in nome di Dio la scelta di parteggiare militarmente per una parte contro un’altra. Per questo, bene ha fatto domenica scorsa papa Francesco all’Angelus a ribadire con forza che Dio può stare solo da una parte: «Dio sta con gli operatori di pace, non con chi usa la violenza». E poi con grande forza ha richiamato, scandalizzando alcuni, lo splendido articolo 11 della nostra Costituzione Italiana: «Perché chi ama la pace ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Parole sacrosante che sarebbe bene che noi e i nostri politici ricordassimo più spesso. Daniele Rocchetti Presidente delle Acli di Bergamo www.labarcaeilmare.it


VITA APPUNTAMENTI DELLA CHIESA DI PASQUA3

Aprile 3 Dom 4 Lun 5 Mar 6 Mer 7 Gio 8 Ven 9 Sab 10 Dom 11 Lun 12 Mar 13 Mer 14 Gio 15 Ven 16 Sab 17 Dom 18 Lun

20.30 fino a mercoledì 13 (escluso sabato e domenica) PREGHIERA DELLA SERA 5A di Quaresima YouTube oratorio + radio 94.7 FM BUONGIORNO GESÙ 7.30 Elementari [san Bartolomeo]

S. Isidoro

BUONGIORNO GESÙ 7.30 Elementari [san Bartolomeo]

S. Irene

BUONGIORNO GESÙ 7.30 Elementari [san Bartolomeo] | 7.30 Medie [oratorio]

B. Pierina Morosini 15.00 - Catechesi degli adulti [santuario del Pianto]

«La condizione umana di chi fugge dalla guerra è tra le più dolorose. È un’esperienza di spoliazione: si scappa con i soli abiti che si hanno indosso, con poche borse che contengono gli effetti più cari e più di valore e con i familiari più stretti. Si lascia una vita intera: la terra dove si è nati e cresciuti, la parentela allargata e la propria abitazione, custode di oggetti che raccontano esistenze. È un’esperienza salvifica ma di sradicamento forzato. Diversi studi hanno dimostrato come comporti danni psicologici, che si lasci l’Afghanistan, la Siria, l’Iraq o l’Ucraina. L’accoglienza è una cura che lenisce la ferita, ma non cancella il dolore». A.Valesini

L’Eco di Bergamo 3 marzo 2022

S. Ermanno

S. Dionigi

BUONGIORNO GESÙ 7.30 Elementari [san Bartolomeo] 17.00 - Via Crucis 20.30 - CateTerzaMedia | 20.45 - CateAdo 20.45 - “Passione di Gesù Cristo” di Astorica [sagrato] BUONGIORNO GESÙ 7.30 Elementari [san Bartolomeo]

S. Maria di Cleofa INIZIA LA SETTIMANA SANTA 10.00 - Processione delle Palme [da sant’Anna]

DELLE PALME

Santo

BUONGIORNO GESÙ 7.30 Elementari [san Bartolomeo] GIORNATA PENITENZIALE 9.00 - 15.00 -20.30 - Confessioni degli adulti BUONGIORNO GESÙ 7.30 Elementari [san Bartolomeo]

Santo

Santo

SACRO TRIDUO PASQUALE

Accoglienza dei profughi

BUONGIORNO GESÙ 7.30 Elementari [san Bartolomeo]

BUONGIORNO GESÙ 7.30 Elementari [san Bartolomeo] | 7.30 Medie [oratorio] CONFESSIONI 14.30 Elementari | 16.00 Medie

SANTO

L’EUCARISTIA 16.00 - S. Messa alla Casa Albergo (Comunicandi) 20.30 - S. Messa della Cena del Signore Adorazione eucaristica notturna in sant’Anna LA CROCE giorno di astinenza e digiuno Dalla notte Adorazione [sant’Anna] 15.00 - Azione liturgica della Passione 20.30 - Cammino orante con il Cristo morto

SANTO

IL GRANDE SILENZIO 11.00 - Benedizione delle uova pasquali 21.00 - Solenne Veglia pasquale

SANTO

di Pasqua

CRISTO È RISORTO! ALLELUJA! 16.30 - Vespri solenni in Prepositurale

10.00 - S. Messa di apertura del santuario dell’Ascensione e di san Rocco

dell’Angelo

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STORIA

Don Agostino Vismara Seconda parte

Abbiamo lasciato, il mese scorso, la storia del “prete laico” ai “giovedì di don Vismara” durante il fascismo, dopo il suo impegno nel Partito Popolare Italiano di don Sturzo e in tante attività sociali, come l’Opera Bonomelli per gli emigranti. Scrive ancora lo storico Angelo Bendotti nel libro dedicato dall’Isrec nel 2021 a Don Agostino Vismara, dopo quello precedente del 1994 Le carte di una vita: “Don Vismara non è un antifascista che tiene in cuor suo il rifiuto e l’indignazione per le pratiche dei fascisti, vuole che intorno a sé si crei una rete di oppositori, e organizza incontri settimanali nella sua abitazione”; le finte partite a carte riuniscono, per scambi di informazioni e di stampa clandestina, preti e laici antifascisti. Fra i primi, oltre a don Bepo Vavassori, per citarne uno, don Raimondo Panna coadiutore in Città Alta, nato ad Albino nel 1888. L’abbiamo già ricordato su queste pagine, nel novembre 2017. Giuseppe Belotti, nei suoi due volumi, I cattolici di Bergamo nella Resistenza a p. 381, aveva già scritto che don Panna “rischiò la fucilazione in Piazza Vecchia, se non si fosse reso per tempo uccel di bosco” quando ospitò per qualche tempo a casa sua Ugo La Malfa, esponente del Partito d’Azione. Quest’ultimo fu aiutato a fuggire da Bruno Quarti, ricordato di recente, insieme con la sorella Cornelia Mimma, con l’installazione di un cartello davanti alla sua casa natale al ponte romanico di Albino. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e la quasi immediata occupazione dell’Italia settentrionale da parte dei tedeschi, non più alleati, se non della Repubblica Sociale Italiana di Mussolini, scrive ancora Bendotti: “Don Vismara si impegna in prima persona a far fronte alle diverse, ma ancora più acute necessità che si presentano, prima fra tutte quella di portare soccorso ai militari sbandati e, ancor più, alle centinaia e centinaia di prigionieri alleati in fuga dal campo di concentramento della Grumellina, alle porte della città. La solidarietà della popolazione verso i fuggiaschi è fondamentale, ma deve essere sostenuta da reti organizzative: in bergamasca ne nascono due, una che fa capo agli ambienti del Partito d’Azione, l’altra a esponenti del clero e del mondo cattolico: Tra i punti di riferimento e di raccolta vi è il Comitato della Croce rossa di Bergamo, che si appoggia alle strutture dell’Opera Bonomelli e del Patronato San Vincenzo di don Bepo Vavassori, e tra gli elementi più attivi troviamo don Vismara e Betty Ambiveri; il sacerdote è ritenuto dagli inquirenti tedeschi il principale organizzatore del gruppo ‘Decò Canetta’, attivo a Seriate e delle armi trovate nascoste nella perquisizione a villa Ambiveri”. Arrestato “don Vismara è pesantemente picchiato dalla SS, nello stesso momento dell’arresto, per poi essere tradotto al Collegio Baroni, dove continuano per un mese le sevizie”. “E’ lo stesso don Vismara, con il consueto stile asciutto e severo, a riassumere la vicenda”: Arrestato per motivi politici dalla Gestapo il 24-11-1943. Fu per ben dieci volte sottomesso ad interrogatori con tortura durante il mese di soggiorno al Collegio Baroni. Il 4.12.43 fu traslocato al Carcere civile di S. Agata in attesa di processo. Questo dopo essere stato per due

Don Agostino Vismara

volte rinviato fu, dopo un interrogatorio innanzi al Tribunale militare di guerra tedesco di un’ora e mezzo, rinviato di nuovo per ulteriori ricerche di prove. Il 10 maggio 1944 fu di nuovo portato al Carcere tedesco di via Locatelli e traslocato a S. Vittore, trasferito ai campi di concentramento di Bolzano, Mauthausen e Dachau, “dove rimase fino all’arrivo degli americani il 27.4.1945. Ritornava in Italia il 24 giugno 1945”. Per i particolari della vicenda e i giudizi sui protagonisti, compreso il vescovo Adriano Bernareggi, si veda anche, di Angelo Bendotti, L’amico Fritz, comandante SS a Bergamo, Langer. Da sottolineare che a Dachau, don Vismara non riuscì e vedere don Antonio Seghezzi e fu informato della morte dello stesso, avvenuta il 21 maggio 1945. Incontrò invece il prigioniero politico Eugenio Bruni che poi scrisse appunto di lui: “Don Vismara è stato un magnifico prete laico”, “sacerdote libero, non ossequioso … non ribelle, ma coerente alle indicazioni della sua coscienza”, “con questo senso della carità fattiva non della carità predicata”. A Bergamo, riprese le forze, don


TESTIMONI DELLA FEDE Vismara torna, coerentemente a se stesso, a interessarsi dei problemi sociali e politici: “ricomincia a partecipare con rinnovata energia alle attività socio-assistenziali, intervenendo anche sulla stampa cittadina. Sotto lo pseudonimo ‘un osservatore’ o con la consueta sigla A. V. si interessa di problemi agricoli quali il dibattito sulla mezzadria (Mezzadria od affittanza, ‘L’Eco di Bergamo’, 4, 11, 26 ottobre 1945) o sulla necessità dell’ammasso del grano per sottrarlo alla borsa nera (Mentre matura il grano. ‘L’Eco di Bergamo’ 14 giugno 1946), oppure si occupa della ricostruzione del ‘Villaggio 26 aprile’ per i senzatetto e poi i profughi affluiti a Bergamo nei primi mesi del secondo dopoguerra (Le carte di una vita, p. 98). Reintegrato nella direzione dell’Opera Bonomelli da parte del prefetto, designato dal vescovo alle opere assistenziali, si iscrive al partito della Democrazia cristiana, in cui De Gasperi rinnova il Partito Popolare Italiano, e nel marzo 1946 viene eletto consigliere comunale a Bergamo. Da qui in avanti le sue iniziative sociali sono tantissime e svariate: ad esempio, oltre a quelle già segnalate, la distribuzione di 12.000 minestre quotidiane negli anni 1946-47 in tutti i rioni della città nella stagione invernale, mense per i poveri, per lavoratori e studenti, un ospizio e dormitorio pubblico, la colonia di Varazze e anche il sostegno all’apertura della scuola Montessori. Ma vale di più citare le “ragioni profonde dell’attivismo di don Vismara” nel dopoguerra (A. Bendotti, Le Lettere clandestine, p. 21) in un suo scritto: Chi fu travolto nella più spaventosa tempesta che mai abbia sconvolto i popoli si farebbe cavaliere e Apostolo di tutto quanto possa alleviare, anche di un solo punto, la triste eredità umana: il dolore. E non manca di puntualizzare sul ricordo della tragedia: Ma quando i

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Missini e chi li rappresenta affermano nell’epigrafe dei solenni suffragi che i loro caduti sono morti per l’onore d’Italia, affermano anche che gli altri, quelli che combatterono il fascismo, sono caduti per il disonore d’Italia. Ciò oltre ad essere falso è ingiuria inqualificabile (ib, p. 18). Tuttavia, col passare degli anni anche lui è oggetto di critiche, anzi di calunnie: “Don Vismara amministra un ingente patrimonio, con un segno distintivo di indipendenza, alieno da ogni gioco partitico di corrente. Troppo moralmente solida la sua personalità per essere messa in discussione dal confronto politico, ed ecco scattare la calunnia. E’ forse questo uno dei momenti più tristi della vita del sacerdote, oggetto di linciaggio diffamatorio che lo accusa di essersi arricchito con i fondi di alcuni degli enti da lui amministrati, soprattutto dell’Eca. Siamo agli inizi degli anni Cinquanta e nella DC è in atto una furibonda guerra per il potere all’interno del partito: don Vismara reagisce con sdegno, vuole e ottiene un controllo della Prefettura, che mostra l’infondatezza di ogni sospetto” (ib., p. 25). Ma nel frattempo resta escluso delle candidature per le elezioni amministrative. “L’amarezza e l’indignazione provate sono talmente forti da portare don Vismara a dimettersi dall’Associazione partigiani cristiani con una lettera inviata al presidente Osvaldo Prandoni il 27 aprile 1951: La sua dignità non gli permette di restare in un’Associazione che si qualifica Cristiana e che è presieduta da una persona che non ha sentito il dovere di fare almeno una riserva e di chiedere eventuali confronti a persone che non sa qualificare per gli atti di stupida denigrazione compiuti nei riguardi del sottoscritto. Sac. Agostino Vismara (Partigiano)”. Negli anni Sessanta don Vismara continua a ricoprire incarichi in diverse istituzioni assistenziali, come il Comitato per l’assistenza al fanciullo, finché muore a Bergamo, nella sua casa di via Bonomelli, il 27 agosto 1967. La sua benedetta memoria continua. a.c.

Don Bepo Vavassori

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VITA DELLA CET CET – Comunità Ecclesiale Territoriale

Camminare insieme verso la meta! METTERSI IN CAMMINO: così mi immagino l’insieme dei tanti laici, presbiteri e religiosi che hanno accolto positivamente la chiamata ad essere membra vive della CET. IL VICARIO TERRITORIALE Il Vicario territoriale è nominato dal Vescovo. Presiede gli organismi della Comunità Ecclesiale Territoriale, si impegna per il raggiungimento delle finalità della stessa. Nomina tutti i membri del Consiglio pastorale territoriale, individua e nomina i cinque Coordinatori delle “Terre esistenziali”, nomina il segretario. Cura i rapporti con gli organismi diocesani. Presenta al Vescovo una relazione sulle attività della Comunità Ecclesiale. Guida, accompagna, sostiene i componenti della CET Per la nostra CET 3 il Vescovo ha scelto e nominato don Michelangelo Finazzi Parroco di Fiobbio. Don Michelangelo Finazzi è nato il 16 ottobre 1971 a Trescore, dopo l’ordinazione (31 maggio 1997) è stato educatore in Seminario (1997-2001), padre spirituale del Biennio sperimentale (2001-2004), vicario parrocchiale di Osio Sotto (2004-10), consigliere spirituale Oari (2010-13). Dal 2010 è direttore dell’Ufficio diocesano pastorale della salute, parroco di Fiobbio, assistente diocesano Unitalsi, vice assistente Csv e consulente ecclesiastico Amci.

IL CONSIGLIO PASTORALE TERRITORIALE Il Consiglio pastorale territoriale è obbligatorio. Si impegna nel raggiungimento degli obiettivi della Comunità Ecclesiale Territoriale e ne elabora, delibera e promuove le iniziative. È costituito secondo un apposito regolamento ed è composto da: il Vicario territoriale, la Giunta presbiterale, i cinque Coordinatori delle “terre esistenziali”, i membri laici indicati dalle Fraternità Presbiterali, i membri indicati dalle comunità di vita consacrata e dalle aggregazioni laicali, il Segretario. LA GIUNTA PRESBITERALE I membri della Giunta presbiterale sono: il Vicario territoriale, che la presiede; i Moderatori e i Segretari delle Fraternità Presbiterali presenti nella Comunità Ecclesiale Territoriale. La Giunta presbiterale si riunisce ogniqualvolta è convocato il Consiglio pastorale territoriale per raccogliere le indicazioni delle Fraternità Presbiterali sugli argomenti all’ordine del giorno. La Giunta presbiterale approfondisce temi e problemi propri delle Fraternità Presbiterali e ne media il rapporto con la Comunità Ecclesiale Territoriale. I MODERATORI DELLE FRATERNITÀ PRESBITERIALI I Moderatori hanno il compito di alimentare la fraternità presbiterale e curare la qualità delle relazioni con i presbiteri e tra i presbiteri. Hanno cura che i presbiteri delle Fraternità Presbiterale conducano una vita consona al loro stato e che adempiano diligentemente i loro doveri nei diversi ambiti pastorali quali l’evangelizzazione, liturgia, carità, comunione e missione, responsabilità amministrative e istituzionali. Ascoltano, sostengono, consigliano i confratelli. Curano i collegamenti tra le Fraternità Presbiterali e gli organismi diocesani, la Comunità Ecclesiale Territoriale e la Giunta presbiterale. Relazionano al Vescovo le istanze e i problemi di maggiore rilievo della Fraternità Presbiterale e

dei singoli presbiteri. Per la fraternità 1, di cui fa parte anche la nostra comunità, il Vescovo su proposta dei presbiteri della fraternità stessa ha nominato il prevosto di Albino don Giuseppe Locatelli. Il Moderatore ha nominato come Vice Moderatore e segretario è don Andrea Pressiani curato di Albino. I COORDINATORI DELLE CINQUE “TERRE ESISTENZIALI”: relazioni, lavoro e festa, tradizione, fragilità, cittadinanza. I Coordinatori delle “terre esistenziali” sono cinque. Sono individuati e nominati dal Vicario territoriale, sulla base delle loro competenze nell’ambito delle “terre esistenziali”. A ciascun Coordinatore è affidato il compito di perseguire le finalità della Comunità Ecclesiale Territoriale nell’ambito della “terra esistenziale” di sua competenza e degli orientamenti e deliberazioni del Consiglio pastorale territoriale, sotto la presidenza del Vicario territoriale. I Coordinatori delle “terre esistenziali” possono costituire, con l’approvazione del Consiglio pastorale territoriale, gruppi di lavoro formati da componenti del Consiglio o anche esterni allo stesso. Gli esiti dei gruppi di lavoro vanno interamente sottoposti al Consiglio pastorale territoriale. I REFERENTI PARROCCHIALI I referenti parrocchiali rappresentante il riferimento parrocchiale del Consiglio pastorale territoriale. A loro vengono trasmessi sistematicamente gli atti del Consiglio pastorale territoriale da parte del Segretario. Condividono con il Consiglio pastorale parrocchiale gli atti del Consiglio pastorale territoriale. I referenti parrocchiali si riuniscono in assemblea una volta l’anno sotto la presidenza del Vicario Territoriale. I referenti parrocchiali sono nominati dal parroco di ogni singola parrocchia o unità postorale, sentito il Consiglio pastorale parrocchiale. IL SEGRETARIO Nello svolgimento del loro mandato, il Vicario territoriale e il Consiglio pastorale territoriale sono aiutati dal Segretario della Comunità Ecclesiale Territoriale. Il Segretario viene nominato dal Vicario Territoriale. Nel Consiglio pastorale territoriale il Segretario: redige i verbali, invia le comunicazioni, predispone le condizioni per un efficace lavoro del Consiglio, mette in atto le indicazioni affidategli dal Consiglio. Collabora con l’ufficio del Vicario territoriale in tutto ciò che comporta i suoi compiti e le finalità della Comunità Ecclesiale Territoriale. È membro di diritto del Consiglio pastorale territoriale ma senza diritto di voto.

La “struttura della CET” è molto articolata. Potrebbe sembrare anche troppo strutturata e rischiare di diventare dispersiva. Invece tutto ciò ha proprio l’intento di rappresentare il più possibile la grande ricchezza delle nostre comunità cristiane composte da laici, presbiteri, religiose e religiosi che hanno molto da dire e molto da donare al prossimo su famiglia, lavoro e festa, tradizione, fragilità, cittadinanza per tutti. Insomma… METTERSI IN CAMMINO per CRESCERE insieme. Marco Carrara


VITA DELLA CET

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S’AVESSI IO L’ALE…

Leopardi e il suo alter ego, ovvero il pastore errante del famoso Canto notturno, contemplano la luna e il cielo stellato in uno spazio aperto. Lo spazio celeste che si spalanca sopra il pastore non è più solo quello che Leopardi contemplava dai balconi del suo paterno ostello ma è quello che sovrasta la sconfinata steppa asiatica. Tuttavia entrambi sono lo stesso cielo. Leopardi, pastore errante dell’Asia, “canta” rivolgendo alla luna le domande cruciali sul senso della vita umana e dell’intero universo. Leopardi infatti è l’uomo delle domande, anzi della domanda, quella fondamentale: ed io chi sono? In Leopardi è ricorrente questo insistito rivolgersi ad un Tu con il quale allacciare una relazione, tentare un dialogo tra un Tu (sia esso il passero solitario, la Silvia o la Nerina, il garzoncello scherzoso, la Luna, la Natura) e l’Io che non è solo quello poetante ma incarna l’uomo Leopardi, l’umanità intera. Ma le domande rivolte all’interlocutore ritornano come boomerang sull’Io che le aveva poste e che continua a porle anche quando da questo Tu non giungono risposte. Che le abbia poste all’interlocutore sbagliato? Il dialogo del pastore con la luna e poi con la greggia è quindi destinato a rimanere un monologo, un soliloquio. L’espressione “s’avessi io l’ale” rappresenta non solo il desiderio infantile di ogni uomo di poter volare, di elevarsi libero verso il cielo, come nei sogni dei bambini; è l’affacciarsi sommesso, discreto ma allo stesso tempo prepotente del desiderio di superare la condizione dell’essere umano, paradossale e grandiosa ad un tempo, e cioè l’aspirazione all’infinito e alla pienezza della felicità da parte di

un soggetto fragile, limitato, finito. È desiderio e nostalgia di eternità. Leopardi vive sulla sua pelle il pesante condizionamento che la fisicità esercita su di noi: la Natura madre e matrigna che ci ha generati alla sofferenza è la personificazione di questa consapevolezza. Eppure egli scopre nel profondo di se stesso un appello, un richiamo d’infinito, un desiderio (e come con ricordare l’etimologia di questo termine: de-sideribus, vale a dire dalle stelle), un’attrazione verso il cielo stellato, per lui altro nome del Trascendente. La stessa fragilità e lo stesso limite che abbiamo sperimentato anche noi, soprattutto durante l’infierire della pandemia. Fragilità e limite che ci segnano indelebilmente da sempre e che abbiamo cercato invano di superare lanciando orgogliosamente la sfida titanica della nostra presunta onnipotenza (fidandoci esclusivamente delle conoscenze e della tecnologia), oppure rassegnandoci alla più nera e desolante disperazione. Rimane una terza via: quella di prendere atto del nostro limite senza inorgoglirci, ma allo stesso tempo senza rinunciare alla nostra insopprimibile aspirazione ad un riscatto possibile. Sarà questo l’atteggiamento che Leopardi attribuisce alla Ginestra nella poesia omonima che rappresenta il suo testamento spirituale: la Ginestra, il fiore gentile che si ostina a fiorire sull’arida schiena dello sterminator Vesevo, diviene così metafora della condizione umana. Ma anche questo appello laico alla dignità umana non sembra sufficiente se manca un interlocutore, il vero partner dell’uomo, il Tu a cui rivolgerci e a cui affidarci. Enzo Noris

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VITA

Don Chino Pezzoli

PREVENZIONE PER COMBATTERE ALCOOL E DROGHE

Don Chino: “Scrivo ai giovani” Rubrica a cura del Centro di Ascolto e Auto-Aiuto “Promozione Umana” di don Chino Pezzoli. Prima di scrivervi questa lettera, ci ho pensato e ho pregato. In questi tanti anni, tuttavia, ho vissuto al vostro fianco, vi ho ascoltato e parlato della bellezza della vita. E allora vi scrivo, è necessario che alcuni pensieri possano risuonare nella vostra mente, dove di solito tuonano messaggi poco rispettosi della vostra crescita e della preziosa autonomia. Cari giovani, chi tra voi mi conosce, sa che non amo molto le mezze misure, sa che apprezzo la trasparenza e la chiarezza e, sollecitato dalle confidenze di tanti di voi, da scelte di felicità. Da illusioni momentanee, decido di mettere mano alla tastiera e far rimbalzare qualche sentimento che porto nel cuore e gridare a pieni polmoni, guardando molti di voi condannarsi alla morte fisica, ma soprattutto interiore. Cari giovani, chiedete con coraggio ai vostri genitori di non concedervi tutto perché quello che oggi ricevete in abbondanza vi renderà incapaci poi di reggere l’urto con la vita che arriverà. Smettete di pretendere che tutto sia come voi volete, potete illudervi di condizionare il piccolo mondo che vi circonda, potete, se avete un carattere forte, dominare sulle coscienze dei vostri amici, ma non illudetevi, non avrete in voi la forza di essere vincenti. E allora siate intelligenti, allenate la volontà capace di vincere ogni battaglia e i colpi di sventura. Cari giovani, alzate lo sguardo, guardate l’orizzonte, quello infinito! Puntate in alto, la vita non si ferma in un cofanetto di cenere. Imparate il gusto del sacrificio; i problemi ci sono, non evitateli. Non mollate quando la strada si fa dura e diventa irta e faticosa. Ho conosciuto giovani che hanno scelto di smettere di camminare nella verità, di nutrirsi di confronti veri, fatti anche di scontro e di disapprovazione. Ho visto giovani scegliere relazioni di comodo dettate solo dalla voglia di stare bene, di sentirsi appagati. Tanti di loro sono stati distrutti dalla droga, dall’alcool. Cari giovani, c’è chi vi fa credere che l’emozione vi possa governare e guidare in ogni scelta, che la vita stessa debba essere costruita in funzione

di essa. Sono le vostre emozioni a rivelarvi la vostra falsa identità. Ma siete proprio sicuri di poterla trovare nelle tantissime forme di ecstasy che ogni giorno il mondo dei media vi propone? Tutto finisce, ogni rave party finisce, lo stesso sballo termina, ogni forma di stordimento dell’anima cessa e vi lascerà soli davanti al foglio bianco della vita. Cari giovani, CORAGGIO! Siete grandi, possedete energia, passione, amore, sogni, futuro, perseveranza, determinazione. Tutto questo vive dentro di voi! Non fatevi avvilire da chi vi presenta l’orizzonte lontano come un’utopia e vi insegna a guardare al vostro ombelico come unico punto di riferimento. Siate competitivi nel bene: a volte vincerete, altre volte vinceranno gli altri, ma il risultato sarà sempre un bottino umano che conseguirete insieme. Cari giovani, vi ricordo anche che la vostra vita è fatta di energia che arde in voi ed è la stessa energia dell’universo, è l’energia che va verso Dio.

CENTRO DI ASCOLTO E AUTO-AIUTO “PROMOZIONE UMANA” di don Chino Pezzoli Via Donatori di Sangue 13 Fiorano al Serio - Tel. 035 712913 Cell. 3388658461 (Michele) centrodiascoltofiorano@virgilio.it Facebook @centrodiascoltofiorano INCONTRI GENITORI mercoledì dalle 20.30 alle 22.30


ESPERIENZE EDUCATIVE

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Scout per un’Europa di Pace Nel 1956, Colonia è una città in totale ricostruzione. Le cicatrici della seconda guerra mondiale sono appena guarite quando l’Europa ricomincia a dividersi: est contro ovest. Di fronte all’enorme danno causato da guerre e ideologie, come è possibile ripristinare la fiducia dei giovani nel futuro? Come salvare questo grande patrimonio europeo, sepolto sotto le macerie? Come rimetterlo nelle mani di un giovane alla ricerca delle radici e di un futuro? Preoccupati per questi problemi, una trentina di giovani si riuniscono a Colonia. Tra questi, ci sono cattolici, protestanti e un ortodosso. Per loro è urgente riportare Dio al centro di un progetto europeo. In quella prospettiva, hanno creato la Federazione dello Scautismo Europeo (FSE), una fratellanza internazionale che mira a educare bambini e giovani attraverso la pratica tradizionale dello scautismo, su basi cristiane e in un contesto europeo. La loro visione? Una vera fratellanza europea. Alcune frasi, tratte da un numero della rivista di quegli anni, ci fanno comprendere meglio lo spirito di questi giovani Capi: «… Alcuni ragazzi e alcune ragazze si sono

detti che era impossibile ricominciare ogni 20 anni a battersi gli uni contro gli altri, mentre milioni di orfani aspettano il loro turno per partire per una nuova guerra… Di fronte ai mucchi di cadaveri portati dalle ruspe, alle città rase al suolo, ai bambini bruciati dal napalm… qualche cosa si è ribellata in noi ed ha detto “Basta!” (…) Ci siamo impegnati con tutte le nostre forze in questa battaglia contro coloro che vogliono seminare in noi la diffidenza e l’odio. (…) Solamente con il nostro sorriso, con le nostre mani aperte e il poco che possediamo, un cuore di esseri umani liberi e leali, siamo andati verso gli altri, accettando la stessa croce rossa caricata da un giglio d’oro. (…) Allora, riformati, ortodossi, cattolici, abbiamo voluto solo ri-

cordarci che Cristo è morto per tutti… e abbiamo voluto vedere nell’altro solo il cristiano, l’uomo che Dio ama. E al di sopra delle divisioni degli uomini abbiamo, per questo, voluto essere Scouts d’Europa…» Questi sono gli ideali che uniscono anche noi Scouts di Albino e in comunione con i fratelli di tutta la FSE ci uniamo nella preghiera per la pace tra i popoli europei. In particolare il mercoledì delle ceneri abbiamo risposto all’appello di Papa Francesco e ci siamo riuniti per una veglia nella chiesa di S. Anna, prima di celebrare in Parrocchia il rito delle ceneri. Vedere i numerosi lupetti e coccinelle, esploratori e guide con i capi e con diversi genitori è stata una piccola fiammella di speranza… spetta a bambini e ragazzi di oggi costruire un’Europa del domani che torni a rispettare i diritti di Dio e degli uomini. Continuiamo a pregare perché il Signore conceda presto la fine della guerra e chiediamo alla nostra Mamma del Cielo di vegliare e sostenere i nostri fratelli e sorelle nello scautismo delle Associazioni ucraina, russa e bielorussa nella loro fondamentale opera di testimonianza di vera amicizia e di solidarietà reciproca.

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ORATORIO

Festa di Carnevale per i più piccoli Un anno ancora molto particolare questo 2022. Si può o non si può fare la sfilata di Carnevale? Nemmeno una piccola festa? Sì… no... forse… E poi noi che abbiamo ancora il cattivo da bruciare del Carnevale del 2020… non possiamo bruciarlo per chiudere una stagione così dura? E poi invece, nel giro di pochi giorni, ecco iniziare a intravedere la possibilità di dedicare qualche spazio e tempo di festa anche in oratorio per Carnevale. Per cui anche noi abbiamo invitato i più piccoli il martedì grasso per un pomeriggio insieme tra merenda, zucchero filato, coriandoli, animazione in piazza ballando con gli animatori e poi film per tutti! Ed è stato proprio bello: in tanti ci siamo ritrovati in oratorio con le nostre maschere di Carnevale e tutto quanto è necessario per fare festa con le normative del Covid. Grazie a tutti! E avanti così!


VITA PARROCCHIALE

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Pasqua 2022


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ALTRI MONDI

Come sopravvivono i poveri? “Secondo il municipio, nella città di S. Paolo in Brasile si contano circa 25 mila ‘moradores de rua’, abitanti della strada. Secondo i miei calcoli sarebbero più di 30 mila”. Così afferma p. Giulio Lancellotti, responsabile della Pastorale della strada dell’Arcidiocesi di S. Paolo, da più di 30 anni, prima ancora di essere ordinato sacerdote. E sono davvero tanti! Fino a qualche anno fa, era facile vedere solo “uomini”; ora ci sono tante donne, giovani e meno giovani, e, come risultato, anche tanti, tantissimi bambini. È una città dentro la città. “Io non do soldi perché o si ubriacano o comprano droga. Non è necessario dare soldi; dai quello che puoi dare: un sorriso, un buongiorno; domanda come si chiama; piccole cose. E non negare mai l’acqua potabile”, scrive il nostro p. Giulio. Eh, sì, acqua potabile! Il Covid è entrato forte in S. Paolo: come ha resistito questa gente finora? Ne sono morti tanti, lo so bene perché qui nel “mio” cimitero c’è una parte del terreno dove sono sepolti gli NN, senza identità, morti in strada o per strada; raccolti dal camion del municipio; portati in medicina legale per l’autopsia; posti nudi in una cassa di 4 tavolati di compensato; caricati su un altro camion e sepolti in qualche modo nel “mio” cimitero. Ce li ho anche qui, nella piazzetta davanti alla Chiesa di Santa Rosa di Lima, dove fu missionario padre Taddeo Pasini, o davanti casa. È un gruppetto di 30/50 persone; alcuni di passaggio; la maggior parte tra i 20 e i 40 anni; alcune donne; bambini intanto, no. Il venerdì sera è il giorno della doccia calda, taglio capelli e barba, vestiti puliti, pre-

Padre Taddeo che celebra la Messa in Brasile

ghiera e cena. Il sabato è il giorno di un pranzo speciale preparato dai nostri volontari e volontarie. La domenica incomincia con la campana che avvisa la messa delle 8 e, allo stesso tempo, che è pronta la colazione. A mezzogiorno altro pranzo. Hanno fame e si vede. E durante la settimana? Il municipio offre un pasto al giorno nel ristorante popolare con orari limitati; molte volte, causa alcol in corpo non arrivano in tempo al ristorante, ma c’è sempre una via d’uscita: il campanello della casa parrocchiale. Hanno un tocco tutto loro e li riconosco subito (ho già cambiato il campanello esterno una decina di volte proprio perché si appoggiano per non cadere): “Padre, non c’è niente da mangiare, oggi?” Meno male che la Provvidenza non manca mai. E un giorno, camminando velocemente nel centro della città per alcune pratiche burocratiche, m’imbatto in uno di questi amici che, con un sorriso, mi chiede se posso aiutarlo a comprare qualcosa da mangiare. Ho fatto finta di non sentirlo, di non vederlo, e ho continuato sui

miei passi. Ma … dopo un centinaio di metri sentivo la coscienza che mi rimproverava: tu che parli tanto di poveri; di amarli; di dare un sorriso … sei stato uno schifo! E tale mi sono sentito. Ritorno e, lui, Wagner, era ancora lì, nello stesso posto con il suo sacco di lattine e plastica da riciclare sulle spalle. “Andiamo a far colazione” gli dico e incominciamo a parlare; mi racconta della sua vita non facile; la polizia quando passa picchia perché pensa che siano tutti banditi… Vita difficile! Che fame che aveva! “E questi sono per il pranzo” gli dico lasciando nelle mani alcuni spiccioli. Mi guarda sbigottito e sorridente, contento: “Con questi mangio oggi e anche domani!”. E giù ringraziamenti. Meno male che la coscienza mi tira le orecchie ogni tanto! Ma perché i poveri? Sono migliori degli altri? “Amami quando meno lo merito, perché è quando ne ho più bisogno” diceva Teresa di Calcutta. Non sono migliori, ma hanno bisogno di tanto amore! Padre Luciano Andreol Missionario Monfortano sul periodico L’Apostolo di Maria


ALTRI MONDI

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Le ultime parole di una mamma

«Rimanete sempre unite» Paola, Viviana, Daniela e Carla sono le ultime bimbe che abbiamo accolto alla Ciudad de los Niños. Il ricordo della mamma e del papà scomparsi da poco le accompagnerà per tutta la vita, cosi come le ultime raccomandazioni della mamma: «rimanete sempre unite». Da ora in poi ci occuperemo noi delle piccole sorelline, ci sforzeremo di essere dei buoni genitori e ci assicureremo che restino sempre unite mantenendo viva la volontà della loro mamma. Poche settimane fa è arrivato alla Ciudad anche Josè Ignazio, un bambino vivace, molto educato e studioso. Accolto nella nostra casa circustancial adibita alla prima accoglienza si è subito trovato a suo agio. Il piccolo Josè è cresciuto con la nonna che purtroppo qualche mese fa è venuta a mancare a causa del Covid. Altri parenti non hanno voluto finora farsi carico di lui, ma lavoreremo con loro per creare le condizioni affinché uno degli zii possa con il nostro aiuto riavvicinarsi a Josè e un giorno forse accoglierlo nella sua casa. Per ogni bambino che accogliamo il

nostro sogno rimane quello di offrirgli il calore e la sicurezza di una vera famiglia in cui crescere, infatti ci stiamo impegnando sempre di più per sviluppare processi che garantiscano l’esercizio dei diritti dei bambini e dei ragazzi che per circostanze avverse vengono privati della cura parentale e della vita in famiglia. Con il sostegno di UNICEF Bolivia abbiamo sviluppato il programma “Famiglie sostitutive temporanee”. Sono famiglie che accolgono a casa bambini e bambine di età compresa tra 0 e 5

anni che richiedono una particolare attenzione essendo così piccoli. Le famiglie sostitutive danno la possibilità ai piccoli di ricevere affetto, cura e sicurezza in modo temporaneo, perché l’obiettivo del programma è quello di ripristinate le condizioni di stabilità e responsabilità dei genitori biologici o di altri familiari, dopodiché reintegrare i bambini nel proprio ambiente familiare di nascita, garantendo loro uno sviluppo sano e sicuro. Patronato San Vincenzo

Diventiamo prossimo Continua l’iniziativa del fondo di solidarietà “Diventiamo prossimo” per sostenere e accompagnare le famiglie in difficoltà economica MODALITÀ PER CONTRIBUIRE

 Autotassazione mensile: si stabilisce una cifra che viene versata

mensilmente per il periodo indicato  Presso il Centro di Primo Ascolto alla Casa della Carità

in piazza San Giuliano 5 al mercoledì dalle 20.45 alle 22  Con bonifico bancario tramite

IBAN: IT20 L0538 75248 00000 4260 6856 c/c intestato Parrocchia San Giuliano, Conto Caritas indicando la causale: FONDO DI SOLIDARIETÀ DIVENTIAMO PROSSIMO

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ALTRI MONDI

Appello per 2,5 milioni di profughi di guerra Mentre esponenti del clero cattolico del Tigrai, in Etiopia, continuano a chiedere colloqui di pace significativi e la fine delle atrocità e del blocco degli aiuti umanitari, un’organizzazione internazionale di rifugiati avverte che i rifugiati eritrei nella regione settentrionale non hanno un posto dove andare. Refugees International, un’organizzazione mondiale che sostiene gli sfollati e i profughi, ha dichiarato in un rapporto pubblicato il 3 marzo che la situazione umanitaria in Tigrai, regione con cui il governo centrale dell’Etiopia è in guerra, precipita in un abisso sempre più profondo, con atrocità simili ai crimini di guerra, con almeno 2,5 milioni di persone sfollate dentro e fuori la regione. “Il governo etiope ha bloccato tutte le spedizioni di cibo e medicine nel Tigrai, usando il cibo come arma di guerra”, ha detto Sarah Miller di Refugees International, nel rapporto: “Nowhere to Run: Eritrean Refugees in Tigray”. Con le morti per fame che aumentano ogni giorno, è detto nel rapporto, e quasi 900.000 persone in condizioni di carestia, si teme che l’attuale situazione in Etiopia rispecchi la Grande Carestia degli anni ‘80, quando più di 1 milione di persone morirono di fame. “Il mondo dovrebbe continuare a rimanere scioccato da ciò che sta accadendo nel Tigrai: la carestia causata dall’uomo è qualcosa che dovrebbe indignare tutti noi, a partire dalle persone di fede”, ha detto Miller al Catholic News Service in un’intervista, sottolineando il ruolo dei gruppi religiosi nel rispondere alla crisi e ai rifugiati in particolare. “I leader religiosi all’interno del Tigrai e in tutto il mondo hanno alzato la voce a sostegno di coloro che soffrono a causa del blocco umanitario. Dovrebbero continuare a parlare il più possibile e condividere informazioni con le loro comunità su ciò che sta accadendo”, ha aggiunto. Le sue opinioni sono consonanti con quelle del clero cattolico della regione. “Abbiamo previsioni che indicano che metà della popolazione del Tigrai morirà di fame entro la fine di quest’anno. In senso letterale, sì: pensiamo che questa sia una direzione che le cose possono prendere se le cose continuano così come sono”, ha detto un prete cattolico che non può essere nomina-

Con l’etnia dei Tigrini e non solo con quella, Albino ha un legame dovuto a mons. Camillo Carrara, primo vicario apostolico in Eritrea, Paese la cui etnia dominante è pure tigrina, a padre Rufino Carrara, anche lui missionario cappuccino ad Asmara, e ad Attilio Manara, in rapporto con i vescovi di Keren.

to per motivi di sicurezza. Secondo il rapporto, tra i gruppi vulnerabili, i rifugiati eritrei in Etiopia, per lo più tigrini, fuggiti dal regime al potere nella loro terra, ricevono poca attenzione o sostegno, nonostante affrontino rischi unici. All’inizio del 2021, due campi profughi eritrei nel Tigrai sono stati distrutti, presumibilmente dalle truppe eritree entrate in Etiopia, disperdendo circa 20.000 rifugiati eritrei. A gennaio, ancora rifugiati sono stati uccisi da attacchi aerei eritrei che hanno colpito i campi profughi. Refugees International propone che l’Alto Commissario per i rifugiati dell’ONU riconsideri il trasferimento dei rifugiati in nuovi campi lontani a zone di guerra. Suggerisce anche un rapido reinsediamento dei rifugiati e dei paesi vicini, tra cui Kenya e Sudan, aprendo loro le porte. Miller ha detto che i gruppi religiosi in particolare degli Stati Uniti potrebbero esprimere sostegno ai rifugiati e accoglierli, “anche aiutandoli a trovare alloggio, lavoro e iscriversi a scuola, ecc.” Come la situazione in Ucraina è terribile, il mondo non dovrebbe dimenticare la crisi del Tigrai. “Speriamo che le persone guardino oltre i titoli dei giornali e ricordino che la crisi in Etiopia non è finita per coloro che affrontano carestia, sfollamenti interni e per specifici gruppi di rifugiati, compresi i rifugiati eritrei in Etiopia, che hanno bisogno di protezione e assistenza internazionali e riconoscimento immediato dei loro diritti”, ha affermato. (traduzione da Fredrick Nzwili, CNS - Crux)


SEGNO EVANGELICO

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Ciclismo e non solo Le fotografie iniziali riguardano una corsa ciclistica organizzata dalla società oratoriana Fulgor nel quadro dell’Olimpiade Giovanile del 1956. All’arrivo finale in cima a via Duca d’Aosta si possono riconoscere il direttore dell’oratorio don Domenico Gianati, Mario Moretti, Aurelio Acerbis, Renzo Cugini, Giulio Moretti, e sull’altro lato, Piero Milanese. La corsa ciclistica precedente era stata nel 1950, finita in tragedia. Il 2 aprile 1950, durante la corsa, in fondo a via Duca d’Aosta, veniva investito, dall’automobile degli organizzatori, Fulvio Remondi, di 10 anni non ancora compiuti, essendo nato il 23 ottobre 1940. Sua mamma, Rita Lecchi, vedova, così scrive sulla sua agendina: “54-1950 mercoledì santo. Funerale. Mandato l’olivo [all’autista] segno di perdono a lui e tutti in suffragio del mio Fulvio che non rivedrò più”. Un gesto evangelico. Potrà ancora pronunciare, di nuovo, il nome Fulvio per chiamare il primo nipote, nato dalla figlia Milina e da Attilio Manara. Su questa radice potrà in seguito crescere il pensiero sulla non violenza di Fulvio Manara. Fulvio Manara morto il 25 marzo 2016 (venerdì santo) e, a sinistra, quella che è probabilmente l’ultima foto di Fulvio Remondi.


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TESTIMONIANZA

«Nonostante tutto, la vita è bella!»

A due anni dall’inizio della Pandemia proponiamo l’intervista di PrimaBergamo al nostro parrocchiano Marco Carrara che ha raccontato la sua esperienza in quei giorni bui Non ne siamo ancora fuori dall’emergenza sanitaria, la seconda, la terza e la quarta ondata ci hanno fatto, se non vivere nella sua drammaticità, perlomeno pensare ai tremendi giorni della primavera 2020. Per questo abbiamo voluto raccogliere la testimonianza di Marco Carrara che ha percorso una vera e propria odissea nel tempo pià critico della pandemia: 115 giorni in ospedale, 27 in quarantena e 28 tamponi prima del lieto fine il 20 agosto 2020 quando finalmente ha potuto riabbracciare la moglie e i due figli a chiusura di un lungo periodo di prova segnato anche dalla morte del padre Valerio. «Mi chiamo Marco ho 44 anni, sono sposato con una super moglie e papà di due ragazzi di 14 e 18 anni. Abito e lavoro come impiegato ad Albino. Da anni sono impegnato in Oratorio e Parrocchia e faccio parte della Cet (Comunità Ecclesiale Territoriale)». Questa esperienza di prova parte da prima del covid, addirittura a novembre del 2019. Vuoi parlarne? «Da qualche anno convivo con una Trombocitemia essenziale e sono seguito dai medici dell’Ematologia del Papa Giovanni coordinati dal prof. Rambaldi. Nella primavera del 2019 alcuni esami di routine hanno evidenziato una mutazione della malattia, l’unica soluzione per una guarigione era sottoporsi a un trapianto di midollo osseo. Iniziano così una serie di esami e la ricerca di un soggetto compatibile. Viene identificato (con mia grande gioia) mio fratello, compatibile al 50%. Il 21 novembre 2019 entro in ospedale e vengo sottoposto a terapia di preparazione al trapianto stesso, definita condizionamento, con una somministrazione di farmaci chemioterapici. Alle 17 circa del 28 novembre portano in stanza una piccola sacca contenente cellule staminali e... inizia un percorso di “riconoscimento” reciproco tra il mio corpo e quanto infuso. Immunodepressione, esposizione a ogni virus, reazioni di vario tipo, controlli settimanali. E sopratutto isolamento da tutto e tutti». E poi arriva il covid… ci racconti del tuo stato d’animo quando hai scoperto la diagnosi della malattia e del percorso di guarigione? «Il 31 marzo 2020 mi sono recato presso l’ospedale di Bergamo per una visita programmata post-trapianto. La dottoressa mi chiede se nei giorni precedenti avessi avuto qualche sintomo particolare: una mezza giornata di febbriciattola e qualche disturbo gastrointestinale (sintomi che molto spesso accompagnano il cammino del trapiantato). Per scrupolo mi sottopone al tampone Covid. Dopo qualche ora rientra in stanza con indosso tutti i dispositivi di protezione e con gli occhi lucidi mi comunica che sono positivo e che mi avrebbero ricoverato. Rimango senza parole, chiamano mia moglie ma la tengono a distanza. Io mi ricordo di essere scoppiato a piangere continuando a ripetere “non vi vedrò più” riferendomi a mia moglie e ai miei figli. In quel momento ho visto per l’ultima volta mia moglie. Mi sentivo bene e invece la scelta di ricoverarmi è stata la cosa migliore: in pochi giorni la polmonite interstiziale è comparsa e hanno dovuto somministrarmi ossigeno e farmaci specifici. Mi hanno poi somministrato il plasma iperimmune e l’immunoglobulina. Il 18 e 19 agosto finalmente mi sono negativizzato. Ora sto continuando la fisioterapia ma, la migliore cura è essere tornato a casa dai propri affetti».

Mentre hai vissuto questa esperienza, cosa pensavi e cosa temevi? «La mia vera ed unica preoccupazione era per chi a casa attendeva la telefonata da parte dei medici per il “bollettino sanitario”. Per certi aspetti chi è malato ha comunque una serie di attenzioni e premure, parla con il personale sanitario e ha un aggiornamento costante sul proprio stato di salute. Chi è a casa invece cerca di vivere la quotidianità con l’attesa che squilli (per una buona o cattiva notizia?) il telefono. Pensare a mia moglie che doveva gestire tutto e tutti: cosa starà facendo? Cosa starà pensando? Sei sola? I ragazzi fanno giudizio? Mi manca una tua carezza, un tuo sorriso, un “andrà tutto bene!”… Ecco questo è quello che pensavo nel timore di non poterli rivedere». Come hai affrontato la malattia lontano dalle persone care, in solitudine? «Una solitudine dovuta alla mia situazione di immunodepressione che mi ha portato a vivere questi 5 mesi in una stanza da solo (a parte qualche compagno di avventura per qualche giorno) e avere solo contatti con il personale medico e infermieristico. Una scalata per raggiungere l’agognata vetta ma consapevole che il vero traguardo è quando inizia la discesa. Sembrerà strano ma le settimane che non sono stato bene mi volavano di più di quando ho iniziato a stare meglio pur rimanendo positivo. La giornata diventa lunga e 24 ore sono tante. Si legge, si ascolta musica, si guarda la tv, si piange, si cammina nella stanza (9 passi e mezzo da finestra a porta e poi ritorno, sono arrivato a fare anche 5,5 km al giorno), si prega, si parla con chi entra nella stanza e si aspetta


DUE ANNI DI COVID la videochiamata della famiglia». Il virus ha colpito anche i tuoi affetti. Come hai vissuto l’angoscia di certi momenti? «Papà è mancato il 10 marzo. In 24 ore il Covid l’ha portato via per sempre (come molti nostri concittadini) nel silenzio del lockdown interrotto solo dalle sirene delle ambulanze. Purtroppo il mio ultimo ricordo è la sua telefonata che chiedeva aiuto e poi il suono dell’ambulanza che si allontanava. Questo virus ci ha spogliato, ci ha reso inermi innanzi alla morte. Ci ha privato della dignità di morire o soffrire». Ci puoi parlare delle persone che hanno avuto cura di te in ospedale? «Grandi donne e grandi uomini. Chiamati da tutti angeli. Si è vero! Ma io preferisco chiamarli donne e uomini professionisti che amano il loro mestiere, capaci di trasformarlo in una vera missione. Personale ospedaliero (ognuno per il suo ruolo e incarico), che sopratutto nell’ultimo periodo, quando la situazione sembrava iniziare a rientrare nella “normalità”, si lasciava andare e sotto certi aspetti diventava paziente: anche loro con fatiche e pensieri, con una carenza di ossigeno “virtuale” ma reale! Tutti loro hanno una storia da raccontare. Hanno ascoltato tanto e loro adesso hanno bisogno di essere ascoltati. Tutti sulla stessa barca... chissà se è quella barca del Vangelo sospinta dal soffio dello Spirito». Riuscivi a comunicare con l’esterno? «Per fortuna siamo negli ventunesimo secolo. Il telefono, le video chiamate hanno permesso di non rimanere nell’isolamento più assoluto. Non ci si poteva vedere fisicamente ma almeno ci si poteva “guardare” negli occhi... e poi ho ricevuto e risposto a tante lettere. Ho ri-apprezzato prendere carta e penna e scrivere». Anche i media e importanti personalità civili e religiose si sono interessate alla tua storia, ce ne parli? «La prima e inaspettata lettera (preannunciata da una email) è arrivata dalla Germania e più precisamente dal Presidente della Repubblica Federale: parole di affetto e tanta tanta fiducia e senso di unità e fratellanza tra gli stati europei. Poi alcuni contatti con l’Eco di Bergamo e la pubblicazione di due articoli che poi sono stati ripresi da tantis-

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sime testate giornalistiche Italiane e addirittura dalla tv di stato polacca. Ho ricevuto poi una telefonata dal Cardinal Comastri Vicario Generale del Papa per la Città del Vaticano e una sua lettera. Anche il nostro Primo Ministro (Conte, ndr) tramite la segreteria mi ha inviato uno scritto. Poi i social, decine di messaggi, nuovi contatti e una nuova amicizia con il mio omonimo e conduttore di Rai 3 (nonché nembrese doc) che ha raccontato la mia avventura. Il consigliere segretario dell’ufficio di presidenza della Regione Lombardia Malanchini che ha seguito da vicino la mia storia e mi ha invitato a settembre al Palazzo della Regione in rappresentanza dei malati covid bergamaschi. E poi la telefonata con il nostro Vescovo Francesco: un padre che parla al figlio». Ci racconti un fatto o un aneddoto curioso della tua lunga degenza? «Ne sono successi molti, più o meno belli. Il giorno di Pasqua una carissima infermiera e amica entra in stanza con un foglio A4 e lo incolla sul muro di fronte a me. Era un disegno con gli auguri di Buona Pasqua e mi dice che non era finita lì! A mezzogiorno si accendono gli interfoni collegati alle stanze del reparto: le infermiere intonano a squarciagola l’Inno di Mameli concluso da un super augurio! Dalle stanze i pazienti hanno iniziato a battere le mani e ringraziare. Mi sono commosso molto. Era Pasqua per noi ma anche per loro: lì in reparto insieme ci siamo distratti un attimo dalla cruda realtà di quei giorni». Non ti ha ha mai abbandonata la speranza? «Sinceramente no! Anche quando permaneva la mia positività al tampone. Non c’è mai stato un momento in cui mi sia sentito solo. Tante le persone che mi erano vicine: chi con un messaggio o una lettera, chi con una telefonata o chiedendo a mia moglie; tante poi le persone che mi hanno accompagnato nelle preghiera. Porto tutti nel mio cuore. E poi avevo con me due angeli custodi speciali: mamma e papà, li ho sentiti sempre al mio fianco. E con loro c’era Lui, il Signore della Vita: insieme sulla barca, a volte in acque tranquille a volte in acque agitate ma sempre insieme con fiducia perché non ero solo». Cosa hai provato nel tornare a casa? «Bhe, dopo 142gg e ben 28 tamponi poter rivedere e riabbracciare la propria famiglia è indescrivibile. Di certo tanta gioia ma anche “paura” di reinserirmi nella quotidianità della famiglia: dopo un’assenza prolungata non è facile. Ma l’amore supera ogni ostacolo». Cosa resta di questo faticoso cammino? «Fatica, dolore, solitudine, pensieri, paure, preoccupazioni per te e per chi è a casa ad aspettare, speranza, fede ma anche gioia per aver incontrato donne e uomini unici: le loro storie, le loro paure, ma anche la loro forza e competenza. Da tutto questo si può imparare. La paura porta a cancellare dalla nostra storia la felicità: sta a noi non diventare la gomma che tutto cancella. Ho imparato che bisogna fidarsi e non aver paura di affidarsi». Come è cambiato il tuo modo di vedere le cose e cosa ti aspetti dal futuro? «Il mio modo di vedere la vita non è cambiato. Ho sempre amato la vita, ho sempre avuto quel sano ottimismo e tanta fiducia. Questa esperienza ha solo rafforzato quanto già è in me. Speriamo che questa esperienza per ognuno di noi possa aver fatto riemergere quei sentimenti di solidarietà, attenzione per il prossimo, il ritorno all’essenziale delle cose e ad apprezzarle per quello che sono. Il poter guardare negli occhi le persone che si amano e sapersi commuovere senza timore di essere giudicati. E poi imparare a lasciare fare di più a “Chi Vede e Provvede per noi”, con i Suoi e non con i nostri tempi». E Marco ci saluto così «Vi saluto con parole non mie ma che possono racchiudere quanto detto sino ad ora: “La vita a volte fa male, a volte stanca, a volte ferisce. Non è perfetta, non è coerente, non è facile… ma nonostante tutto, la vita è bella!”»

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ARTE E STORIA

Gli ebrei a Bergamo tra Quattro e Cinquecento Franco Innocenti nell’ambito del ciclo di seminari «Fonti e temi di storia locale» di Archivio Bergamasco ne ha tenuto uno sul tema giovedì 3 marzo presso la Sala Viterbi, Palazzo della Provincia Così Franco Innocenti ha motivato il come è arrivato a questo studio «Le mie ricerche partono dal territorio. In questo caso sono partito dagli affreschi quattrocenteschi che illustrano, con sette capitoli di un polittico e quattro ex voto, il cosiddetto “martirio” del “beato” Simone da Trento presente nella chiesa di San Bartolomeo di Albino. Per la mia tesi universitaria in Scienze dei beni culturali presso la Statale di Milano di 11 anni fa ho proposto quello studio a Giovanni Agosti, mio relatore, e a Simone Facchinetti, correlatore, che è stata accettata. In un anno di ricerche presso gli archivi di stato di Bergamo e Trento, l’archivio dei francescani di Milano e i numerosi studi sui fatti di Trento ho messo a punto la tesi che illustra la storia dell’affresco e del culto locale. Durante quello studio ho riscontrato l’assenza di ebrei ad Albino pur in presenza in una sua chiesa di questa cappella, forse l’unica nel Bergamasco, dedicata ad un culto apertamente antiebraico ma mi sono usciti molti agganci ad altre presenze ebraiche, sono partito da lì espandendo la ricerca, e trovando centinaia di documenti». E come si spiega un culto antiebraico in una località come Albino dove non c’erano ebrei «La chiesa di San Bartolomeo era della Misericordia, di cui erano membri i più ricchi albinesi, mercanti ed imprenditori attivi nella fabbricazione di pannilani, oltre che prestatori di denaro. Certamente la conoscenza del culto del beato Simone, ufficialmente proibito dalla Chiesa, viene in primo luogo dalla propaganda organizzata dal principe-vescovo di Trento Giovanni Hinderbach. Un documento dell’archivio di Gandino documenta nell’estate del 1476, un anno dopo i fatti di Trento, il passaggio in Valseriana della madre di Simone, sicuramente in funzione di testimonial al seguito dei francescani osservati pagati dal vescovo per la diffusione del culto. Perché il culto sfoci nella creazione di una cappella ad esso dedicata non basta però la propaganda. La ragione è sicuramente nella concorrenza tra i prestatori cristiani riuniti nella Misericordia e i prestatori ebrei. I primi prestavano denaro nascondendo l’interesse, ufficialmente “gratis et amore dei”, mentre i secondi la praticavano in base ad accordi con l’autorità pubblica a cui versavano tasse. Dopo la morte di Bartolomeo Colleoni nel 1475 e la dimissione del suo feudo, Martinengo perde di importanza e gli ebrei chiedono di aprire altre condotte nel bergamasco. Non la ottengono subito a Bergamo, riescono ad ottenerla invece a Caprino e Ponte San Pietro. È possibile abbiano tentato di insediarsi anche ad Albino senza ottenerla e ottenendo come risposta l’attivazione del culto antiebraico. Me lo fa supporre quanto successo un secolo dopo. Nel 1556 Lazzaro ebreo, che aveva ottenuto da Venezia di insediarsi a Bergamo, cerca di affittare una casa anche ad Albino ma ne viene presto scacciato nonostante il privilegio ottenuto». Come arrivano gli ebrei nel bergamasco «Gli ebrei arrivano nel 1464 a Martinengo e Romano, nel feudo di Bartolomeo Colleoni, in base a condotte concesse da lui. I contratti non si sono conservati ma alcuni documenti certificano che il Colleoni era all’origine della loro venuta. Un comportamento contraddittorio quello del Colleoni, che chiama gli ebrei nel suo feudo e fonda un monastero di francescani osservanti, i loro peggiori nemici. Abbiamo però il contratto della condotta ottenuta alcuni anni prima a Orzinuovi da parte della stessa famiglia ebraica che si insedierà a Martinengo. In base ad essa gli ebrei erano auto-

rizzati ad aprire un banco dove praticare il commercio e prestare denaro sulla base di pegni, richiedendo un interesse annuo del 30% o sulla base di atti notarili o chirografi, senza pegni, per un interesse del 40%. Gli ebrei portavano liquidità, anche per grosse cifre, indispensabile per lo sviluppo economico, ed erano sottoposti a tassazione da parte del signore, mentre i prestatori cristiani la praticavano, certamente agli stessi tassi di interesse se non superiori, senza dichiarare interessi e senza pagare tasse, come abbiamo visto. Il tasso di interesse si riduce nel tempo, cent’anni dopo l’interesse praticato da Lazzaro a Bergamo era del 20-25%. Alla fine del Cinquecento gli ebrei scacciati dal milanese chiedono inutilmente di poter aprire banchi a Bergamo e propongono un interesse del 12,50% e chi stende il documento scrive che i tassi praticati, chiaramente dai non ebrei, erano il doppio». A chi prestavano denaro? «Gli ebrei avevano un’ampia gamma di clienti, dai poveri per poche lire, ai ricchi anche per migliaia di ducati, i primi garantivano con la consegna di oggetti in pegno, i secondi con rogiti notarili. In caso di mancato pagamento del prestito dopo un anno i beni impegnati, che valevano due o tre volte il prestito, erano messi all’asta e l’importo ottenuto andava a ripagare il prestito, l’interesse e le spese del bando. Quanto avan-


ARTE E STORIA zava era reso al mutuatario. Nel secondo caso gli ebrei ricorrevano alla giustizia che dava la possibilità agli ebrei di entrare in possesso dei beni del debitore, se non c’erano beni sufficienti c’era la prigione per il debitore». Casi di ostilità? «La città di Bergamo si dimostra sempre ostile alla presenza ebraica, in vari casi gli ebrei che avevano tentato di insediarvici sono espulsi. Anche Lazzaro, l’unico che potrà risiedere a Bergamo, dovrà superare l’ostracismo della città nonostante la concessione ricevuta del Consiglio dei Dieci di Venezia. La sua presenza termina con la morte seguita ad una non meglio chiarito ferimento. Bortolo Belotti ci fa sapere della violenza imperante in quel periodo. Anche il suo padrone di casa, Achille Brembati, verrà assassinato, nella chiesa di Santa Maria Maggiore, nella faida tra i Brembati e gli Albani. Gli ebrei erano considerati negativamente in quanto ebrei. Nel corso del processo verbale seguito alla conversione al cristianesimo di Laura Caterina, nuora di Mosè, ed al suo furto di due collane, con tutta probabilità fatto per recuperare parte della sua dote, vengono registrate due testimonianze in merito a Mosè ebreo che dicono che non può essere un uomo dabbene perché è ebreo».

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I pregiudizi contro gli Ebrei ad Albino Dunque gli Albinesi alla fine del 1400 avevano pregiudizi negativi contro gli Ebrei. Può consolare il fatto che gli affreschi hanno influito negativamente sulla cultura degli Albinesi per poco più di 100 anni. Infatti, realizzati nel 1484 o poco dopo, sono stati coperti con una imbiancatura dopo le pestilenze alla fine del Cinquecento o della prima parte del Seicento. Sono stati riscoperti, con il lavoro di don Pietro Pandolfi, dopo il 1963, anno in cui l’ente Comunale Assistenza consegnò “la chiesa e l’amministrazione” alla parrocchia. Ma contemporaneamente si è conosciuto lo studio di uno storico che aveva falsificato la leggenda del “beato Simonino”: questi non era stato ucciso dagli Ebrei di Trento, che pagarono con sofferenze varie l’accusa ingiusta, ma probabilmente era morto accidentalmente. Infatti nel 1965 il professor Piergiorgio Pichele del seminario di Trento aveva tradotto - per la rivista di “Studi trentini di scienze storiche” n. 3 lo studio della storico tedesco W. P. Eckert - un capitolo di un libro pubblicato ad Essen nel 1963. Subito dal 1965 il Simonino non fu più considerato un beato martirizzato dagli Ebrei. Due anni fa, il Museo diocesano di Trento ha allestito una mostra che illustrava come la leggenda del “beato Simonino” fosse un simbolo del pregiudizio anti ebraico presente nel mondo cristiano. Anzi metteva in guardia dai pregiudizi e dagli stereotipi semplicistici, veicolati oggi soprattutto da internet e dai social media, non solo sugli Ebrei. a.c.

Ricordo di Rosetta Nani Spettabile redazione, chiedo ospitalità per condividere il ricordo della signora Rosetta Nani ad un anno dalla scomparsa. Dalla sua casa affacciata sul sagrato, dove ha vissuto tutti i suoi 89 anni, sono usciti restaurati e recuperati paramenti, tovaglie sacre, abiti di Santi e Vergini delle nostre Chiese, sottratti alle insidie del tempo e dell’oblio. Senza clamori, anzi sfuggendo la ribalta, è stata un esempio di devozione, servizio alla Comunità e maestria. In quei manufatti di un’arte minore riconosceva la raffinatezza dei ricami, la qualità dei filati, l’impegno e probabilmente il sacrificio di chi li aveva realizzati. Li sapeva apprezzare perché anche lei era fatta della stessa stoffa, un’insegnante di

sartoria preparata, precisa e appassionata, dotata delle solide basi del lavoro “come si faceva una volta” ma capace di accogliere con entusiasmo anche l’evoluzione dello stile, dei materiali e delle tecniche. Felice di aprire la porta se si passava per un saluto, ha aperto anche il cuore quando ha scelto di rendere omaggio alle vittime del Covid-19 con ciò che sapeva fare, realizzando una tovaglia con tanti nastrini cuciti a manoquante le vite portate via dalla prima ondata della pandemia. Sono persone come queste, gesti come questi che la collettività dovrebbe avere cari. La prossima Messa proviamo a fare attenzione alle balze ricamate, alla veste della Madonna. Magari non

saranno quelle recuperate dalla signora Rosetta, ma avremo reso onore al lavoro fatto con cura, competenza e fede. Grazie E.M.

Pasqua 2022


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SOCIETÀ

Ad Albino una Casa della comunità “spoke”

In data 3 marzo 2022 è stato trasmesso alle Regioni, dal Ministero della Salute, il decreto DM 71, da approvarsi in Conferenza Stato-Regioni, che definisce come dovranno essere organizzate e con quanto personale le cure sul territorio. All’interno del Distretto sanitario rivestiranno un ruolo fondamentale le Case della Comunità. Rimangono in piedi gli studi dei medici di medicina generale - MMG che saranno collegati in rete per garantire aperture per 12 ore sei giorni su sette (il documento non scioglie il nodo sull’inquadramento giuridico dei medici di medicina generale, se liberi professionisti o dipendenti del Sistema Sanitario Nazionale: è ancora in atto un confronto tra Governo, Regioni e associazioni dei medici). La Casa della comunità rappresenta il modello organizzativo che rende concreta l’assistenza di prossimità per la popolazione di riferimento. È, infatti, il luogo fisico di facile individuazione col quale “l’assistito” (sic) può entrare in contatto con il sistema di assistenza sanitaria (sic). Le case della comunità possono essere di due tipi o hub o spoke. (Ma i tecnici del Ministero avevano solo questi termini dell’inglese organizzativo dell’aeronautica per definire i tipi di Case della Comunità? Le due parole di questo gergo si traducono hub=mozzo della ruota, spoke=raggio). Ad Albino, data la posizione geografica e le dimensioni edilizie, possiamo prevedere una Casa della comunità spoke… La CdC spoke, secondo il DM71, garantisce l’erogazione dei seguenti servizi, anche mediante modalità di telemedicina: - Équipe multiprofessionali (MMG, PLS, Specialisti Ambulatoriali Interni (SAI) e dipendenti, Infermieri e altre figure sanitarie e sociosanitarie); l’assistenza medica svolte dai MMG nelle Case della Comunità sarà aggiuntiva rispetto alle attività svolte nei confronti dei propri assistiti (i Medici di medicina Generale quando operano al di fuori della Case della comunità sono comunque definiti MMG spoke della CdC…);

- Presenza medica e infermieristica almeno h12 6 giorni su 7 (lunedì-sabato); - Punto Unico di Accesso (PUA) sanitario e sociale; - Alcuni servizi ambulatoriali per patologie ad elevata prevalenza (cardiologo, pneumologo, diabetologo, ecc.); - Servizi infermieristici, sia in termini di prevenzione collettiva e promozione della salute pubblica, inclusa l’attività dell’Infermiere di Famiglia e Comunità (IFeC), sia di continuità di assistenza sanitaria, per la gestione integrata delle patologie croniche; - Programmi di screening; - Collegamento con la Casa della Comunità hub di riferimento; - Sistema integrato di prenotazione collegato al CUP aziendale (sic); - Partecipazione della Comunità e valorizzazione co-produzione, attraverso le associazioni di cittadini, volontariato.


UN LIBRO21 Introduzione al libro-colloquio con Daniele Rocchetti

“Don Giovanni Nicolini. Il canto dei poveri dà il ritmo al mio passo”

(La comunità partecipa solo attraverso le associazioni? E i rappresentanti dei comuni e dei sindaci, primi responsabili della salute sul territorio?; e l’organo di programmazione-prevenzione della salute e di partecipazione, di gestione della CdC spoke?) La presenza di Assistenti Sociali anche al fine di consentire il coordinamento con i servizi sociali degli enti locali del bacino di riferimento; di servizi di assistenza domiciliare, ecc. pare riservata alle CdC hub. Le CdC hub, più attrezzate, al fine di assicurare i loro servizi dovranno essere dotate anche di 8-12 Infermieri di Famiglia o Comunità organizzati indicativamente secondo il modello di seguito descritto: 1 Coordinatore Infermieristico, 2-3 IFoC per le attività ambulatoriali, 1-2 IFoC per l’attività di triage e di valutazione dei bisogni di salute e 4-6 IFoC per l’assistenza domiciliare di base, le attività di prevenzione e teleassistenza. La nostra Casa della comunità hub, cioè di riferimento centrale, sarà a Bergamo in via Borgo Palazzo?

Questo libro ci introduce nel pensiero di don Giovanni attraverso le sue stesse parole, stimolate con bravura dal curatore, che ci permettono di condividere la sua intelligenza appassionata ed evangelica. Giovanni racconta con leggerezza la sua vita e la passa in esame offrendola come la storia di un cristiano che ha ricevuto tanto. Non si nasconde, anzi, ci aiuta a comprendere la storia di un ricco che lascia senza strappi e senza amarezze il suo destino già segnato, peraltro nobile e pieno di stimoli, per trovare e vivere la sua vocazione di cristiano. Non gli bastava il mondo di Mantova pur così intelligente per cultura e per spiritualità, pieno di incontri con figure di tanta intelligenza. Giovanni aggiunge a questa la radicalità del Vangelo, per cui lasciare tutto per essere veramente ricco di tutto. Si ritrova a Roma ma non va a vivere chiuso in uno dei tanti collegi del centro storico ma nella estrema periferia della capitale, alla Borghesiana, in una delle realtà più vivaci nella chiesa inquieta di Roma, quella che facevano sentire a casa i vescovi latino americani come Helder Camara che cercavano una chiesa povera e amica dei poveri. Sempre con tanta serena gioia Giovanni ci rende partecipi della sua ricerca di una chiesa davvero madre, fontana di misericordia. Il suo racconto ci aiuta a comprendere quella stagione di pentecoste che fu il Vaticano II e gli anni immediatamente successivi, ma anche la preparazione di quello straordinario momento di confronto e di visione. Mazzolari, Ancel, lo stesso Lercaro, Dossetti. Attraverso le sue parole respiriamo gli ideali di quegli anni, la ricerca di una Chiesa che sceglieva la veracità del suo essere, madre di tutti ma specialmente dei poveri. Capiamo bene come non sono contraddittori, anzi, intimamente uniti l’amore intransigente per la Parola di Dio e quello per i poveri; l’ortodossia e l’ortoprassi; il dialogo e l’identità cristiana; la preghiera e l’azione; la libertà e l’obbedienza; il rigore (appreso con don Giuseppe con il quale non c’era possibilità di superficialità) e l’attenzione agli incontri per cui adattarsi al vissuto e farsi cambiare da questo; i poveri e la cultura; il Vangelo e l’impegno a formare una politica di ideali e di umanesimo, comunità e individuo. Don Giovanni è tra le figure più note del clero di Bologna, che ha servito con generosità, sempre da figlio, sempre domandando con umiltà di essere benedetto ma sempre, allo stesso tempo, essendo de stesso, unendo tanto senso ecclesiale e tanta creatività culturale e sociale. Il suo rapporto di stima e fiducia con Biffi ne è la prova. Non possiamo capire Giovanni senza parlare della famiglia dossettiana, per lui della sua famiglia della visitazione. E forse servirà un secondo libro! La misericordia è la parola chiave per comprendere tutte le sue considerazioni. “La caratteristica della misericordia è che se tu la eserciti lei si apre ancora di più; sempre la misericordia è un’ulteriorità”. Da Papa Giovanni a Papa Francesco, dalla paura dell’errore che faceva chiudere alla stessa paura che invece fa aprire per non diventare una chiesa museo che si conserva e vive per se stessa, tradendo così il vangelo che deve consegnare alla generazione che viene e non nasconderlo in una fortezza assediata. Il confine tra Chiesa e umanità è sempre più fragile e incerto e la misericordia è quello che permette di uscire dalle chiese verso le periferie esistenziali. Giovanni ci aiuta non solo comprendere le radici antiche di questa scelta missionaria ma a cercare di non perdere questa opportunità perché la chiesa trova se stessa solo diventando evangelica. Sempre con sorriso e la soave determinazione di affidarsi al Signore. Mancano tante pagine a questo libro che Giovanni continua a scrivere sempre con tanta passione per Gesù Cristo, la sua Chiesa, il mondo, i poveri e sempre con tanta intelligenza umana ed evangelica. Cardinal Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna

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SOCIETÀ

Guerra e nuovi scenari

L’incertezza spinge l’Europa a una svolta. Per essere davvero, non solo a parole, “operatori di pace”. “L’incertezza è la condizione perfetta per incitare l’uomo a scoprire le proprie possibilità”. Erich Fromm Due anni fa, quando è iniziata la pandemia, ci siamo ritrovati in una condizione inedita: abbiamo scoperto in modo brusco quanto la globalizzazione ci abbia strettamente connessi, al punto che un virus individuato in Cina è arrivato in brevissimo tempo a causare migliaia di morti a Bergamo. Abbiamo sperimentato poi una precarietà senza precedenti. Abbiamo attraversato un periodo buio, sentendoci costantemente sull’orlo dell’abisso. Le nostre certezze sono andate in frantumi. Ci eravamo abituati a una situazione di relativa sicurezza e benessere che consideravamo “normale”, immutabile, accomodandoci in essa come nel nostro divano preferito. Consideravamo perfino fastidiose le manifestazione degli ambientalisti e dei giovani del movimento “Fridays for Future” proiettati sui cambiamenti climatici e sul futuro del pianeta. La diffusione del covid ha cambiato completamente lo scenario: un’ondata dopo l’altra ci ha spinto a guardare il mondo con occhi diversi.

Abbiamo sentito di nuovo suonare le sirene antiaeree Per uno strano scherzo del destino, proprio in coincidenza con il secondo anniversario dall’inizio dell’era della pandemia è scoppiata la guerra in Ucraina. Per gli esperti di politica internazionale il conflitto era nell’aria, frutto di tensioni alimentate negli anni. La Russia si stava preparando da tempo a sferrare l’attacco. Per la maggior parte delle persone, però, questa situazione è esplosa all’improvviso come un fulmine a ciel sereno. Abbiamo sentito di nuovo suonare (alla tv o al massimo a teatro) le sirene antiaeree. Un suono che peraltro in alcune città del nord Italia si sente ancora quotidianamente “dal vivo” a mezzogiorno come monito di ciò che è stato e non deve più accadere. Nessuno, neppure gli attori in campo, si aspettava comunque uno scontro così esteso, così carico di conseguenze concrete e simboliche. Nessuno poteva immaginare che saremmo precipitati nella peggiore crisi dall’ultima guerra, a un passo da un nuovo conflitto mondiale.

L’orrore delle bombe su Mariupol. E noi Le implicazioni sono moltissime. La guerra per la prima volta si com-

batte contemporaneamente su molti fronti diversi: economico, attraverso le sanzioni, cibernetico, attraverso gli attacchi degli hacker, mediatico, attraverso la manipolazione delle informazioni e la diffusione di fake news. Il fronte più terribile è quello concreto del territorio ucraino: le immagini di ieri hanno mostrato l’orrore di un ospedale pediatrico distrutto, con le madri in travaglio e i bambini sepolti dalle macerie. Ci sono due milioni di profughi in viaggio verso l’Occidente: mai così tanti, come ha confermato l’Unhcr, agenzia Onu per i rifugiati. Ne stiamo già accogliendo anche nella nostra diocesi. È una situazione molto difficile, un inferno per la popolazione ucraina. Rappresenta però anche per noi un punto di svolta molto importante. Draghi ha detto ieri che ci saranno risvolti di lungo periodo. Sembra ormai evidente che cambierà il nostro modo di gestire e di usare le risor-


GUERRA

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La gente si affaccia al posto di blocco Uzhhorod-Vysne Nemecke sul confine Ucraina-Slovacchia, regione di Zakarpattia.

se energetiche: lo abbiamo capito dall’aumento del prezzo della benzina, quello che si avverte più velocemente.

gere verso un’innovazione radicale anche il sistema produttivo e della mobilità, di rivedere certi meccanismi di produzione e circolazione delle merci in modo più sostenibile. Avremmo potuto sceglierlo, abbiamo preferito “il divano”.

L’aumento dei prezzi e i segnali di cambiamento

Ora saremo costretti, ma non sarà necessariamente un male, se sapremo leggere in questa nuova incertezza le possibilità “buone” di una condizione più giusta per noi e per il mondo.

Oltre quaranta centesimi al litro in più in soli dieci giorni. Ce lo segnalano anche gli aumenti esponenziali delle bollette del gas e dell’energia elettrica. Cercare soluzioni è ormai “obbligatorio”, perché la situazione non è più sostenibile. Colpirà duramente tutti, per primi i più fragili. Non sarà facile. Presto troveremo più mutamenti anche nei supermercati, nei prezzi e nelle disponibilità di merce. Possiamo iniziare a compiangerci e a disperarci, oppure cogliere l’occasione per cambiare rotta radicalmente. È ancora una voce minoritaria, ma sta iniziando a circolare con più insistenza: è ora di cambiare stile di vita, abitudini di consumo, di spin-

La proposta del “digiuno dal gas” per la Quaresima Il Movimento Laudato sì in Italia ha proposto un insolito ma molto azzeccato “digiuno dal gas” (dal consumo eccessivo e inappropriato) per la Quaresima: raccoglieremo la provocazione? Se sul fronte diplomatico e nel coordinamento degli interventi di aiuto all’Ucraina l’Europa ci è sembrata più unita, ricompattata dalle difficoltà del momento, abbiamo scoperto strada facendo anche di avere qualcosa di essenziale a cui pensare insieme: che cosa è davvero importante, quali sono i valori in cui crediamo e che vogliamo conservare intatti per i nostri figli: la libertà, la giustizia, la pace. Quali scelte siamo disposti a fare per salvaguardare le fondamenta della nostra convivenza sociale, perché non facciano (in senso simbolico) la stessa fine delle città ucraine sotto il fuoco dei russi? Proprio in quelle fondamenta – meglio ricordarselo – risiedono quelle “radici cristiane” dell’Europa tante volte messe in discussione. Come dice Papa Francesco per costruire la pace bisogna “rimboccarsi le maniche”. E ancora “Dio sta con gli operatori di pace”. Sabrina Penteriani

Angelo in famiglia light - 10 marzo 2022

Pasqua 2022


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Il tuo aiuto è importante ... per le opere parrocchiali

Dopo aver ultimato tutti gli interventi già noti sui vari immobili parrocchiali, in attesa dell’autorizzazione della Soprintendenza (che ci auguriamo imminente), siamo pronti per iniziare la tinteggiatura della facciata della Prepositurale, approfittando anche delle attuali agevolazioni governative. Siamo in difficoltà riguardo alle nostre risorse disponibili. Per questo ti ringraziamo per quanto riuscirai a fare. È possibile anche detrarre fiscalmente nella dichiarazione dei redditi - in misura del 19% - quanto devoluto a sostegno dei lavori autorizzati. Per le aziende è possibile la totale detrazione.

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ASSOCIAZIONISMO

ACLI ALBINESI

UCRAINA

Acli: condanniamo aggressione militare russa, si trovi soluzione diplomatica

Condanniamo fortemente l’aggressione militare Russa ai danni della sovranità della Repubblica Ucraina e ci uniamo a tutte le preghiere, le manifestazioni, i cortei che chiederanno la pace e che ritengono che la pace esista solo nella giustizia, e che non siano ammesse ambiguità nel distinguere torti e ragioni, oppressi ed oppressori, aggrediti ed aggressori. Siamo vicini alle persone e alle famiglie in Ucraina sotto attacco, e ci stringiamo forte ai nostri amici del Patronato Acli lì presenti. La scelta per la pace non può far dimenticare che in questo momento la Federazione Russa svolge il ruolo dell’aggressore, attentando all’integrità territoriale e alla libertà di un Paese confinante. Esortiamo tutti gli interlocutori, per primo il Governo russo, ad abbandonare immediatamente il piano del confronto armato e a tornare a quello delle trattative diplomatiche, avendo come unico bene da tutelare la libertà e il benessere dei popoli. Invitiamo per questo motivo tutte le cittadine e i cittadini ad esporre le bandiere della pace e ci uniamo, con le donne e gli uomini di buona volontà.

COSTUME E SOCIETÀ

Le Acli non possono ignorare il fatto che Medici Senza Frontiere (MSF) sia giunta al 50° anno dalla fondazione. Infatti è passato mezzo secolo da quando un gruppo di tredici pionieri, tra medici reduci dall’emergenza in Biafra e giornalisti francesi, riuscì a mobilitare il primo gruppo di trecento volontari che avrebbe dato vita a questa fondamentale Associazione. Per dimostrare la sua importanza basterebbe il fatto che nel 1999 le venne assegnato il Premio Nobel per la Pace. Essa è presente ormai in 8 Paesi del mondo e ha più di 65mila operatori umanitari sul campo. Vogliamo citare le parole del suo Presidente, perché riassumono quanto sia importante il

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Rubrica a cura del Circolo “Giorgio La Pira”

loro operare a favore dell’umanità “Non importa quanto sia difficile, quanti ostacoli ci creino i Governi, quanti conflitti esplodano, quante pandemie e catastrofi ci troviamo di fronte. Noi indossiamo il camice e raggiungiamo gli angoli più remoti del pianeta, perché nessuno muoia senza speranza. La speranza che a qualcuno importa di lui e del suo dolore”. Per loro è solo l’emergenza che conta. Non ha nessuna importanza se le persone bisognose di cure siano bianche, nere o gialle, quale ne sia la religione, la nazione da cui provengono. No, è solo il bisogno d’aiuto che conta. E loro, i medici e i loro collaboratori, l’aiuto lo danno, dimostrando un amore verso il prossimo che rasenta l’eroismo.

LA DIFESA DELLA VITA E IL RUOLO DEL PARLAMENTO

La decisione della Corte costituzionale di bocciare il quesito referendario che mirava a rendere legale l’omicidio del consenziente si basa esplicitamente sul principio – di rilievo costituzionale - della difesa del diritto alla vita, soprattutto dei più deboli. Come ha rilevato il prof. Lorenzo D’Avack, insigne giurista e Presidente del Comitato nazionale per la bioetica “l’unica condizione ipotizzata per poter chiedere l’eutanasia era la capacità di intendere e di volere. Un po’poco, in una materia così delicata e dai risvolti etici e sociali così profondi”. D’altro canto, che la tutela della vita sia un fine primario dello Stato lo abbiamo visto in questi due anni di pandemia, quando tutti quanti, con maggiore o minore entusiasmo, ci siamo assoggettati a norme spesso pesanti per non dire penose, che limitano significativamente alcuni diritti costituzionali, in nome del diritto fondamentale alla salute, che è evidentemente uno degli aspetti del più generale diritto alla vita. E questo perché la vita e la morte non sono materia unicamente privata, soprattutto nel momento in cui si intende delimitare la possibilità di una conclusione pianificata della vita stessa in casi di intollerabili sofferenze fisiche: esiste quindi una responsabilità

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ASSOCIAZIONISMO della comunità civile rispetto a queste problematiche che non può essere ridotta a un “Sì” o un “No” del quesito referendario ma apriamo un dibattito costruttivo che coinvolga i partiti, la comunità scientifica e la società civile, per trovare una sintesi laica ma sempre rispettosa della pluralità. Affermare l’assoluta autodeterminazione del soggetto significa fare astrazione dal fatto reale e tangibile che ognuno di noi è all’interno di una cerchia di relazioni familiari, sociali e civiche che rendono la nostra esistenza parte di una realtà complessa che non rimane comunque indifferente rispetto al fatto che una delle persone che compongono tale organismo decide di porre fine ai propri giorni chiedendo per questo l’aiuto di altri. La Corte costituzionale aveva esplicitato con chiarezza, fin dal 2019, una serie di limiti e condizioni per ammettere la non punibilità di coloro che aiutano altri a commettere suicidio (che peraltro è altra cosa dall’omicidio del consenziente), mentre il quesito referendario allargava oltre misura tale possibilità in nome di una cultura individualistica che, oltre a rendere possibili non pochi arbitri, non è comunque conforme ai valori personalisti e comunitari che sono alla base della nostra Carta fondamentale. Per questo è necessario un intervento del Parlamento, il quale, detto per inciso, esiste proprio per questo, ossia per recepire le indicazioni della coscienza sociale e per dare loro forma legislativa secondo le modalità definite dalla Costituzione e nell’alveo di quanto, nel caso specifico, la Consulta ha ritenuto di indicare. Certo, non è la prima volta che l’iniziativa referendaria viene ad essere concepita come una forma di pressione nei confronti del legislatore, soprattutto in ripetuti casi di inerzia rispetto ad una situazione che l’opinione pubblica – o, meglio, una porzione di opinione pubblica (spesso indirizzata da persuasori nemmeno tanto occulti) – ritiene non più tollerabile. In questo caso però si mirava a forzare la mano al legislatore andando decisamente oltre rispetto ai termini costituzionali fissati dalla Corte e mettendo a repentaglio la vita dei soggetti più deboli e più fragili. È quindi necessario, nel progresso della discussione sulla legge, che a prevalere sia l’offerta di alternative alla persona sofferente, sia sotto la forma di cure palliative sempre più adeguate sia sotto quella di un reale sostegno psicologico e sociale. Soprattutto le forze democratiche e progressiste, nel dibattito parlamentare, dovranno superare la tentazione di un approccio individualistico e solipsistico, tipico della cultura radicale, che con grande disinvoltura cerca di strumentalizzare il dolore di malati gravi e delle loro famiglie, utilizzando lo schermo della pietà per aprire la strada ad una totale “disponibilità” della vita umana che confligge con il sentire profondo del nostro Paese. dobbiamo liberarci dalla logica neoliberista che mercifica la salute ed il benessere, riducendo i deboli a quella condizione di “umanità di scarto” tante volte denunciata da papa Francesco, coscienti, e la Consulta lo ha confermato ancora una volta, che esiste un diritto fondamentale che la Repubblica deve tutelare e promuovere non è certo alla morte, ma alla vita. Emiliano Manfredonia Presidente nazionale Acli

AMBIENTE

Acli: bella notizia l’inserimento della tutela ambientale nella nostra Costituzione, ora abbiamo bisogno di atti concreti

L’ inserimento di un nuovo comma all’art. 9 della Costituzione, che prevede la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi, la protezione degli animali e della biodiversità e la promozione dello sviluppo sostenibile fra i principi fondamentali della Repubblica, è una bella notizia soprattutto per le giovani generazioni. Anche la modifica dell’art. 41, dove si sottolinea che l’iniziativa privata resta libera ma non deve danneggiare in alcun modo la salute e l’ambiente, è un passaggio fondamentale. La nostra Costituzione si evolve e si rinnova senza stravolgere i suoi principi, e lo fa prestando ascolto ad un richiamo sempre più urgente che viene dalla società civile. D’ora in avanti oltre i cittadini italiani e il genere umano, anche l’intero genere animale diventa portatore di diritti costituzionali. Auspichiamo che si rafforzi nelle istituzioni la consapevolezza che bisogna agire con urgenza, con atti concreti, per lasciare un pianeta sano e vivibile a chi verrà dopo di noi.

DISUGUAGLIANZE

Archiviato ormai il vergognoso teatrino dell’elezione del Presidente della Repubblica, il governo ha ripreso a “governare”. Che i problemi sul tappeto siano tanti, pensiamo non ci siano dubbi. Uno però ci sembra più importante di tanti altri. Ci riferiamo al fatto che tutte le rilevazioni delle più grandi Agenzie di Ricerca siano concordi nel ritenere l’aumento delle disuguaglianze accresciuto in modo intollerabile dalla lunga pandemia. Ormai il 10 per cento dei più ricchi possiede l’80 per cento della ricchezza del mondo. Se sono tante, e lo sono, le negatività portate dal coronavirus, questa è sicuramente una delle peggiori. Si renderanno conto i governanti dei cinque continenti che questo fatto risulta essere una vergogna per l’umanità? Noi lo speriamo. E lo speriamo in modo particolare da parte del nostro Parlamento, quello che ha dato recentemente uno spettacolo a dir poco indecoroso di come si governa un Paese.

UMANITÀ

Forse qualcuno ricorderà Carlo Urbani, il medico italiano morto di Sars vent’anni fa per curare gli ammalati e diseredati. Ci è capitato di leggere dei suoi scritti, tutti intrisi di un’umanità che al giorno d’oggi è rara. Una volta a sua moglie ebbe a dire: “Giuliana, devo andare. Là ci sono delle madri che hanno dei figli come i nostri , e qualcuno le deve pure aiutare”. Si riferiva ad un villaggio in Vietnam, in cui era scoppiata un’epidemia di colera. Pensiamo che non occorrano commenti, perché probabilmente sarebbero superflui. Però è bene ogni tanto ricordarsi di chi ha perso la propria vita per amore del prossimo. Per le Acli albinesi Gi.Bi.


STORIA

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La Benedizione della sede del circolo ACLI Alcune immagini storiche della Benedizione della sede del circolo ACLI di Albino in piazza S. Giuliano il 7 ottobre 1956 - a dieci anni dalla fondazione del circolo che si riuniva in casa del curato assistente ecclesiastico, prendendo in affitto tutto il piano terreno della “Casa dei Sacristi” - da parte del vescovo di Bergamo

mons. Giuseppe Piazzi, accompagnato dal prevosto don Pietro Gamba e dal presidente provinciale Ilario Limonta.

Il vescovo si è augurato che la sede “possa diventare il cenacolo delle attività sociali, culturali e assistenziali di tutti i lavoratori”. Tale fu per anni, poi bar e ricettacolo d’altro, ma anche luogo di attività di Gioventù Aclista, con delegati Walter Ravasio, recentemente scomparso, e Pierino Persico. L’edificio ex-Acli e casa dei sagristi, così come la adiacente Casa della Misericordia, è ora di proprietà comunale a seguito di una permuta con l’ex-ricovero, alla fine del secolo scorso; l’ex Acli è sede del progetto “Legami di pane”.

Accolti dal presidente del circolo maestro Vigilio Zanga e dal vice presidente Francesco Minelli, presente il sindaco Luigi Goisis. Fra gli aclisti, da sinistra, Gino Mariani (dietro in piedi), Maria Teresa Ambrosini, Guido Benedetti (sul fondo), Spinelli, Gina Moroni (in piedi), Giovanni Birolini, Giuseppe Birolini; presente anche l’adolescente Giambattista Signori, poi padre del calciatore Beppe Signori.

Pasqua 2022


CASA FUNERARIA di ALBINO CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO srl, società di servizi funebri che opera con varie sedi attive sul territorio da più di 60 anni, nata dalla fusione di imprese storiche per offrire un servizio più attento alle crescenti esigenze dei dolenti, ha realizzato ad Albino la nuova casa funeraria. La casa funeraria nasce per accogliere una crescente richiesta da parte dei famigliari che nel delicato momento della perdita di una persona cara si trovano ad affrontare una situazione di disagio oltre che di dolore nell’attesa del funerale. Il disagio potrebbe derivare dalla necessità di garantire al defunto un luogo consono, sia dal punto di vista funzionale che sanitario e permettere alle persone a lui vicine di poter manifestare il loro cordoglio con tranquillità e discrezione.

Spesso si manifesta la necessità di trasferire salme in strutture diverse dall’abitazione per ragioni di spazio, climatiche igienico sanitarie. Ad oggi le strutture ricettive per i defunti sono poche ed il più delle volte improvvisate, come ad esempio le chiesine di paese, che sono state realizzate per tutt’altro scopo e certamente non garantiscono il rispetto delle leggi sanitarie in materia. Dal punto di vista tecnico la casa funeraria è stata costruita nel rispetto delle più attuali norme igienico-sanitarie ed è dotata di un sistema di condizionamento e di riciclo dell’aria specifico per creare e mantenere le migliori condizioni di conservazione della salma. La struttura è ubicata nel centro storico della città di Albino, in un edificio d’epoca in stile liberty che unisce funzionalità e bellezza estetica. Gli arredi interni sono stati curati nei minimi dettagli; grazie alla combinazione di elementi come il vetro e il legno, abbiamo ottenuto un ambiente luminoso e moderno, elegante ma sobrio.

Lo spazio è suddiviso in 4 ampi appartamenti, ognuno dei quali presenta un’anticamera separata dalla sala nella quale viene esposta la salma, soluzione che garantisce di portare un saluto al defunto rispettando la sensibilità del visitatore. Ogni famiglia ha a disposizione uno spazio esclusivo contando sulla totale disponibilità di un personale altamente qualificato in grado di soddisfare ogni esigenza.

FUNERALE SOLIDALE Il gruppo CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO, presente sul territorio con onestà e competenza, mette a disposizione per chi lo necessita un servizio funebre completo ad un prezzo equo e solidale che comprende: - Cofano in legno (abete) per cremazione e/o inumazione; - Casa del commiato comprensiva di vestizione e composizione della salma, carro funebre con personale necroforo; - Disbrigo pratiche comunali.

Antonio Mascher  335 7080048 ALBINO - Via Roma 9 - Tel. 035 774140 - 035 511054 info@centrofunerariobergamasco.it


ANAGRAFE PARROCCHIALE

Anniversari

Defunto

Lotario Vito Persico

Luigi Giovanni Persico

19.05.1976 - 04.03.2008

03.08.1938 - 21.01.2022

Vivi sempre nei nostri cuori e dal cielo prega per noi

“Non piangete la mia assenza, sono beato in Dio e pregherò per voi. Io vi amerò dal cielo come vi ho amato in terra”.

14° anniversario

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Da gennaio a marzo ... sono tornati alla casa del Padre -

anni 83

Severina Sala Danilo Panna Eugenio Carrara Antonio Carrara Aldo Scarpellini Imelde Carrara Giovanna Casari Lucia Moroni Agostino Alberti Annamaria (Anna) Remondi Basilio Bettoschi Adriano Zanoletti Carolina (Carla) Tosetti Gualtiero Ventura

... si sono uniti in matrimonio

Angelo Signori

Anna (Maria) Signori

09.02.1941 - 13.03.2020

24.07.1940 - 14.04.2020

L’amore con cui ci hai amati, ti rende ancora presente e vivo nei nostri cuori.

Sei la stella che brilla di più nel cielo

2° anniversario

Foto di Mauro Monachino

- Enzo Persico e Giada Gargantini

Per la pubblicazione in questa pagina delle fotografie dei propri cari defunti, rivolgersi alla portineria dell’oratorio.

2° anniversario

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Marzo 2022


Tutto è pronto, Signore Dite, miei Angeli: guardate se tutto è pronto e se ogni cosa è preparata: è venuto, il tempo di fare grazia? Tutto è pronto, Signore. Avete trovato quello che Cesare ha deciso: il registro del comune, a Betlemme, l’albergo, e una grotta vicina, i pastori che vegliano il gregge, la stella per i re, là in Oriente, oro e incenso nei loro bagagli? E una giovane, di nome Maria? Tutto è pronto, Signore. Ma vi è pure un giardino di ulivi che di nascosto stanno piantando. Sai dirci perché? Avete trovato le tortorelle del 2 febbraio, il borgo di Nazaret in Galilea, gli attrezzi di Giuseppe, il falegname, la strada che va a Gerusalemme, i dottori della legge nel tempio? E una giovane, di nome Maria? Tutto è pronto, Signore. Ma vi è pure un trenta monete d’argento che di nascosto stanno contando. Sai dirci perché? Avete trovato il Battista nell’acqua del Giordano, il deserto dove il diavolo è in agguato, la sinagoga con il libro di Isaia, le barche e le reti in riva al lago, i Dodici, pronti a lasciar tutto, la montagna per le Beatitudini? E una giovane, di nome Maria? Tutto è pronto, Signore. Ma vi è pure

un vestito da pazzi che di nascosto stanno cucendo. Sai dirci perché? Avete trovato sei anfore per le nozze di Cana, il bordo del pozzo di Giacobbe, l’erba verde lungo la collina, un ragazzo con i pani e i pesci, il mendicante, cieco dalla nascita, la casa di Lazzaro a Betania, e una giovane, di nome Maria? Tutto è pronto, Signore. Ma vi è pure un pugno di chiodi che di nascosto stanno forgiando. Sai dirci perché? Avete trovato i rami, le palme, i mantelli, un’asina legata, col puledro, l’uomo con la brocca, alle porte, la sala alta, preparata per la cena, il catino e il grembiule da schiavo, il vino e il pane dell’ultima Pasqua, e una giovane, di nome Maria? Tutto è pronto, Signore. Ma vi è pure un paio di assi che di nascosto stanno incrociando. Sai dirci perché? Se avete trovato un giardino di ulivi, trenta monete d’argento, un vestito da pazzi, un pugno di chiodi, un paio di assi preparati di nascosto, vi dirò io perché: un Dio non deve saper piangere? un Dio non deve saper soffrire? un Dio non deve saper morire, se vuole amare? Didier Rimaud

da “Gli alberi nel mare”


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