Albino comunità viva - Aprile 2021

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IL GIORNALE DELLA COMUNITÀ PARROCCHIALE DI SAN GIULIANO - APRILE 2021


INFO UTILI RECAPITI Casa parrocchiale Tel. e fax: 035 75.10.39 albino@diocesibg.it Oratorio Giovanni XXIII Tel. 035 75.12.88 oratorioalbino@gmail.com Santuario del Pianto 035 75.16.13 - www.piantoalbino.it

ORARI delle SANTE MESSE FESTIVE

FERIALI

In Prepositurale

In Prepositurale

Convento dei Frati Cappuccini Tel. 035 75.11.19

ore 18.00 al sabato (prefestiva) ore 8.00 - 10.30 - 18.00

Scuola dell’infanzia Centro per la famiglia “San Giovanni Battista” Tel. 035 75.14.82 - 035 02.919.01

Per i battesimi come da calendario alle ore 10.30 o alle 15.00

Padri Dehoniani Tel. 035 75.87.11

ore 7.30 - 17.00

Suore delle Poverelle alla Guadalupe Tel. 035 75.12.53 Caritas Parrocchiale Centro di Primo Ascolto aperto il 1° e il 3° sabato del mese dalle ore 9.30 alle 11.30 PER COPPIE E GENITORI IN DIFFICOLTÀ Consultorio familiare via Conventino 8 - Bergamo Tel. 035 4598350

Al santuario del Pianto Al santuario della Guadalupe ore 9.00

Al santuario della Concezione ore 10.00

Alla chiesa dei Frati Cappuccini ore 7.00 - 9.00 - 11.00 - 21.00

ore 8.30 - 17.00

Quando si celebra un funerale (in Prepositurale): se è al mattino, è sospesa la S. Messa delle 8.30; se è al pomeriggio, è sospesa la S. Messa delle 17.00.

Alla chiesa dei Frati ore 6.45 Al santuario del Pianto ore 7.30 Alla Guadalupe ore 8.00 Sulla frequenza 94,7 Mhz in FM è possibile ascoltare celebrazioni liturgiche e catechesi in programma nella nostra chiesa Prepositurale

Amarcord fotografico

Centro di Aiuto alla Vita Via Abruzzi, 9 - Alzano Lombardo Tel. 035 4598491 - 035 515532 (martedì, mercoledì e giovedì 15-17) A.C.A.T. (metodo Hudolin) Ass.ne dei Club Alcologici Territoriali Tel. 331 8173575 PER CONIUGI IN CRISI Gruppo “La casa” (don Eugenio Zanetti) presso Ufficio famiglia della Curia diocesana Tel. 035 278111 - 035 278224 GIORNALE PARROCCHIALE info@vivalavita.eu

www.oratorioalbino.it

Santuario della Madonna del Pianto e propaganda audace

Stampato in abbinamento editoriale con il n. 3/2021 di LAIF - In copertina: Cero pasquale 2021.


1 Una vecchia canzone diceva: “Le stelle, le accendono gli angeli per dire ai bimbi: siate più buoni, per dire ai grandi: guardate lassù”. Una volta c’era un uomo che aveva molti animali, che gli occupavano tutta la giornata e catturavano tutta la sua attenzione e preoccupazione. Sai, sono una fortuna, ma hanno molte esigenze; anche se a quel tempo – grazie a Dio – pascolavano ancora autonomi senza bisogno di mangimi, di mungiture meccaniche, di assistenza al parto. Però, come si suol dire oggi, erano totalizzanti. E a proposito di suolo, com’era importante una buona terra, fertile e magari con anche un corso d’acqua o un pozzo. Senonché, a quest’uomo così legato alla terra, un giorno una voce fa alzare lo sguardo; fu così che scoprì che c’erano anche le stelle! Passarono gli anni. Più tardi, capitò che alcuni studiosi – più di altri – si stavano consumando gli occhi su carte antiche, rotoli non sempre decifrabili tra tutti quei segni strani. Capitava che, a volte, si dimenticassero persino di mangiare, tanto erano appassionati e incuriositi da quanto avevano tra le mani. E una notte, che stavano calcolando congiunzioni astrali, una luce violenta illuminò le loro carte, li fece sobbalzare e alzare lo sguardo: la congiunzione astrale che stavano studiando era sopra le loro teste. Era certamente un segno dal cielo! Passarono gli anni. Un’altra notte, una fortissima luce illuminò un campo; mai successa una roba simile! E cominciarono a parlare di quel campo della stella; e a forza di parlarne, divenne il “Campo della Stella”. Ma era troppo strano per finire tutto lì; doveva voler dire qualcosa. Qualcuno cominciò a ipotizzare l’esistenza di un tesoro, tanto che si cominciò a scavare. Sorpresa! Apparve come una cassa e la curiosità salì alle stelle. La aprirono con molta circospezione e cosa apparve? Niente meno che il corpo di una persona. Altro che curiosità alle stelle! Chi sarà stato? Gli occhi cadono su una busta protetta dal cellophane. Qualcuno dovrà pure aprirla. Chiamano il parroco che arriva tutto trafelato; agitatissimo allunga la mano e in cuor suo recita un Gloria, non si sa bene a quale santo. A fatica (doveva essere lì da anni) la apre e, in una lingua che solo il parroco riesce a tradurre, sta scritto: “L’Apostolo San Giacomo volle arrivare fin qui e qui riposare”. Gioia grandissima; il parroco fece suonare a distesa e a lungo tutte le campane, anche le campanelle delle chiesine nei campi. Quella località divenne così nella loro lingua “Santiago da Compostela”. Ma la cosa più bella, dopo il ritrovamento, è che si accorsero che quella stella che aveva illuminato quel campo era l’ultima, la più luminosa, di una quantità incredibile di stelle, tanto che sembravano tracciare nel cielo quasi un’autostrada luminosa; fu così che quella gente semplice la chiamò “la Via lattea”. Passarono gli anni. Più vicino a noi, un giovane molto in gamba e molto stimato l’avevano fatto anche sindaco della sua città; ma sapete com’è la politica: fa in fretta a tagliare le gambe. Fu così che lo esiliarono. Una grande amarezza lo prese. Voleva cominciare a scrivere qualcosa, ma non sapeva da parte cominciare. Così per tre notti fece un sogno strano a puntate; fu così interessante che si mise a scriverlo, ma ci volle tempo. Ma anche qui, la cosa che lo aveva incuriosito fu che tutti e tre i sogni terminavano con le stelle. Passarono gli anni. Arrivò un Papa, così innamorato di questi cammini e del cielo, che decise – prima – di andare a Ur, da dov’era partito quell’uomo a cui Dio aveva promesso tanti figli e nipoti quante erano le stelle. E lì parlò di non stancarci mai di guardare il cielo; le stesse stelle che millenni prima aveva guardato anche Abramo; che illuminano le notti più scure perché brillano insieme. Guardando lo stesso cielo è possibile percorrere cammini in pace sulla stessa terra; anche se, come per Abramo, a volte sono accidentati in questa scoperta del volto dell’altro. Poi, questo Papa scrisse anche una lettera su questo giovane che aveva scoperto “l’amor che move il sole e l’altre stelle”. Scrutare le stelle ha sempre richiesto uno sguardo attento, anche intenso. E in questo tempo? Oggi guardiamo il telefono sessanta settanta volte al giorno circa, e lo facciamo con attenzione. Vien da pensare che se noi guardassimo una persona, mio marito, mia moglie, i miei figli sessanta volte al giorno con quella intensità, cura e attenzione, chissà quante cose cambierebbero… A proposito, qualcuno ha scritto: “Io mi sono fatto il proposito di non staccare mai gli occhi da una persona senza aver prima memorizzato il colore dei suoi occhi, che è la cosa più bella e più diversa che ci sia”. Ci lasciamo in questo Tempo di Pasqua con un augurio, per i nostri bambini e ragazzi che incontreranno il Signore nei vari sacramenti (ma anche per noi). Me lo faccio prestare da S. Bernardo da Chiaravalle: “Il mio cuore è vicino a te, anche se il mio corpo è lontano. Se non puoi vederlo, non devi far altro che scendere nel tuo cuore e lì troverai il mio”. vs dongiuseppe

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VITA DELLA CHIESA DAL MESSAGGIO DEI VESCOVI PER LA FESTA DEL 1° MAGGIO 2021

“«E al popolo stava a cuore il lavoro» (Ne 3,38) Abitare una nuova stagione economico-sociale” […] La terribile prova della pandemia ha messo a nudo i limiti del nostro sistema socio-economico. Nel mondo del lavoro si sono aggravate le diseguaglianze esistenti e create nuove povertà. Già prima di essa il Paese appariva diviso in tre grandi categorie. Una composta da lavoratori di alta qualifica o comunque tutelati e privilegiati che non hanno visto la loro posizione a rischio. Essi hanno potuto continuare a svolgere il loro lavoro a distanza e hanno perfino realizzato dei risparmi avendo ridotto gli spostamenti durante il periodo di restrizioni alla mobilità. Una seconda categoria di lavoratori in settori o attività a forte rischio o comunque con possibilità di azione ridotta è entrata in crisi: commercio, spettacoli, ristorazione, artigiani, servizi vari. L’intervento pubblico sul fronte della cassa integrazione, delle agevolazioni al prestito, dei ristori e della sospensione di pagamenti di rate e obblighi fiscali ha alleviato in parte, ma non del tutto, i problemi di questa categoria. Un terzo gruppo è rappresentato dai disoccupati, dagli inattivi o dai lavoratori irregolari e coinvolti nel lavoro nero che accentua una condizione disumana di sfruttamento. Sono gli ultimi, in particolare, ad aver vissuto la situazione più difficile perché fuori dalle reti di protezione ufficiali del welfare. Va anche considerato il fatto che il Governo ha bloccato i licenziamenti, ma quando il blocco verrà tolto la situazione diventerà realmente drammatica. Il «vaccino sociale» della pandemia è rappresentato dalla rete di legami di solidarietà, dalla forza delle iniziative della società civile e degli enti intermedi che realizzano nel concreto il principio di sussidiarietà anche in momenti così difficili. Un aspetto fondamentale di questo tempo per i credenti è la gratitudine di aver incontrato il Vangelo della vita, l’annuncio del Salvatore. La pandemia, infatti, ci ha permesso di sperimentare quanto siamo tutti legati ed interdipendenti. Siamo chiamati ad impegnarci per il bene comune: esso è indissolubilmente legato con la salvezza, cioè il nostro stesso destino personale. «Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi» ci ha avvertiti papa Francesco. Come Chiesa italiana abbiamo due bussole da seguire nel cammino pastorale e nel servizio al mondo del lavoro. La prima è costituita dall’enciclica di papa Francesco Fratelli tutti: la fraternità illumina anche i luoghi di lavoro, che sono esperienze di comunità e di

condivisione. In tempo di crisi la fraternità è tanto più necessaria perché si trasforma in solidarietà con chi rischia di rimanere fuori dalla società. (FT 162). Per questo, il mondo del lavoro dopo la pandemia ha bisogno di trovare strade di conversione e riconversione, anche per superare la questione della produzione di armi. Conversione alla transizione ecologica e riconversione alla centralità dell’uomo, che spesso rischia di essere considerato come numero e non come volto nella sua unicità. Il 1° maggio, festa di San Giuseppe lavoratore, che Papa Francesco ha voluto celebrare con un anno a lui dedicato, ci spinga a vivere questa difficile fase senza disimpegno e senza rassegnazione. Sappiamo che ogni novità va abitata con una capacità generativa e


2021: ANNO DEDICATO AESPERIENZE SAN GIUSEPPE DI SERVIZIO3

Imparare a compartir insieme con il Celim (di cui è vice presidente Duilio Manara)

creativa frutto dello Spirito di Dio. Nulla ci distolga dall’attenzione verso i lavoratori. Parafrasando un celebre brano di Gaudium et spes, le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce del mondo del lavoro, dei poveri soprattutto e di coloro che soffrono, sono i sentimenti dei discepoli di Cristo Signore. Condividiamo le preoccupazioni, ma ci facciamo carico di sostenere nuove forme di imprenditorialità e di cura. Se «tutto è connesso» (LS 117), lo è anche la Chiesa italiana con la sorte dei propri figli che lavorano o soffrono la mancanza di lavoro. Ci stanno a cuore. Roma, 19 marzo 2021 Solennità di San Giuseppe La Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace

È quasi una rinascita quella che il Celim sta vivendo, inaspettatamente in un periodo in cui le attività sono bloccate; nonostante il difficile ricambio di volontari, è ancora possibile guardare lontano, condividendo ideali e progetti che nel 1964 diedero vita a questa organizzazione di ispirazione cristiana, che proponeva un’attività riconosciuta dal MAE (Ministero degli Affari Esteri) nel 1972, anno in cui il Celim aderì alla FOCSIV. Suo obiettivo operare nei Paesi del Sud del mondo attraverso l’invio di volontari e, sul territorio, con attività di informazione, educazione allo sviluppo e rapporti Nord-Sud curata da operatori competenti. “Ci hanno sorpreso le ultime campagne lanciate per raccolta fondi – racconta il presidente Giovanni Marini -. La prima, in collaborazione con il Patronato San Vincenzo, ci ha permesso di raggiungere la somma di 26mila euro a favore della Ciudad de Los Niños a Cochabamba. Con la seconda abbiamo raccolto, in collaborazione con il Centro Missionario Diocesano, circa 20mila euro che serviranno all’acquisto di medicinali e alla copertura di spese mediche per la comunità La Colmena Santa Rita, in Bolivia”. “Tanti i donatori, piccoli e grandi, ci hanno sostenuto stupendoci – continua Marini -. A loro il nostro ringraziamento perché attraverso il loro aiuto, La Colmena continuerà ad accompagnare i ragazzi nella condivisione del sacrificio e della fatica di liberarsi da dipendenze”. Il Celim sta seguendo da tempo l’opera di don Alessandro Fiorina, sacerdote Fidei donum, originario della parrocchia S. Croce della Malpensata, che 20 anni fa ha creato il centro La Colmena Santa Rita, nella valle di Tarija. Qui accoglie un’ottantina di persone tra i 15 e 65 anni con problemi di dipendenze da alcol o droghe, malattia mentale, povertà. “Don Alessandro propone loro un percorso di recupero che dura mediamente un paio di anni, vivendo insieme, impegnando gli ospiti nei laboratori di panetteria e falegnameria, ma anche in attività ludiche. Dietro a queste persone ci sono storie disperate, alcuni ricadono nelle dipendenze, non sono vite facili”. Alla Colmena le persone accolte sperimentano una nuova casa, una nuova famiglia, una nuova speranza. “L’ultimo nostro volontario è rientrato da anni – spiega Marini – perché i progetti ormai mirano a far lavorare la gente del posto, questa per noi è la formula giusta; è il modello per i progetti futuri, per esempio in Burkina Faso, dove da tempo si tenta di far partire un progetto per accogliere e recuperare, attraverso attività formative ed educative, minori che vivono in strada. In questo caso i volontari non dovrebbero partire per lunghi periodi, ma avrebbero un ruolo più di coordinamento. La logica cambia: non ci si deve sostituire, anche trovando competenze in loco. Nuova linfa arriva attraverso i giovani che arrivano al Celim per svolgere i tirocini universitari. È il caso di Jessica Polini, 26 anni di Villongo, laureata prima in economia e poi diritti dell’uomo e diritto internazionale che, dopo il percorso da tirocinante, un anno fa è stata assunta “per un lavoro – sottolinea Marini - che non è solo un’occupazione, ma anche un impegno personale” e con il sogno di partire per un progetto all’estero. Marco Ravasio di Zanica, anche lui è stato tirocinante al Celim, ha 27 anni, laureato nella stessa facoltà di Jessica, e già un’esperienza in Lettonia per un tirocinio in un’Agenzia dell’UE nel settore delle telecomunicazioni. Nuove energie passano anche grazie ai bandi per il servizio civile, con giovani che per esempio potrebbero essere a breve inseriti in un progetto sanitario in Bolivia, ad Anzaldo, dove opera il dottor Pietro Gamba. “È importante inoltre collaborare con altre associazioni – conclude Marini -, condividendo progettazioni. I giovani da volontari possono acquisire al Celim una propria competenza. Per noi è inoltre fondamentale il legame con il territorio perché la realtà, con la presenza per esempio dei migranti, ci interroga molto concretamente sul mondo che abbiamo costruito e costruiamo”. Laura Arnoldi L’Eco di Bergamo, 6 aprile

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VITA DELLA CHIESA

Dagli orientamenti pastorali sugli sfollati climatici Gli Orientamenti Pastorali sugli Sfollati Climatici sono un documento che contiene fatti, interpretazioni, politiche e proposte rilevanti sul fenomeno degli sfollati climatici. Propongono di riprendere la famosa frase pronunciata da Amleto, “essere o non essere”, e di trasformarla in “vedere o non vedere, questo è il problema!”. Tutto, infatti, inizia dal nostro vedere, sì, dal mio e dal tuo. Indice del DOCUMENTO: 1. Riconoscere il nesso tra crisi climatica e spostamento 2. Promuovere consapevolezza e sensibilizzazione 3. Fornire alternative allo sfollamento 4. Preparare le persone allo sfollamento 5. Promuovere l’inclusione e l’integrazione 6. Esercitare un’influenza positiva sui processi decisionali 7. Estendere la cura pastorale 8. Cooperare alla pianificazione e all’azione strategiche 9. Promuovere la formazione professionale in ecologia integrale 10. Favorire la ricerca accademica sul CCD […]

LA CRISI CLIMATICA

Uno dei fattori che rendono la Terra una dimora unica per la vita è il suo caratteristico sistema climatico. Tuttavia, dopo più di 10.000 anni di relativa stabilità – l’intero arco della civiltà umana – il clima del nostro pianeta sta rapidamente cambiando, a causa delle attività umane. La temperatura media della Terra è aumentata di circa 1,1°C rispetto all’epoca pre-industriale, causando “profonde alterazioni ai sistemi umani e naturali, tra cui l’aumento della siccità, le inondazioni e alcuni altri tipi di condizioni meteorologiche estreme; innalzamento del livello dei mari e la perdita di biodiversità”. L’attuale tasso di riscaldamento corre più rapidamente che negli ultimi 65 milioni di anni. La crisi climatica è già in corso e sta accelerando rapidamente. Nel novembre 2019, 11.000 scienziati si sono riuniti per dichiarare “un’emergenza climatica”, preoccupazione ripresa da Papa Francesco quando, il 1° settembre 2020, nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato, Egli ha affermato che “ci troviamo nel mezzo di un’emergenza” climatica e che “stiamo per esaurire il tempo”.

IL VOLTO “UMANO” DELLA CRISI

La crisi climatica non è una minaccia futura astratta. Un aumento della temperatura di poco superiore a 1°C dall’epoca industriale sta già causando immense sofferenze a milioni di nostri fratelli e sorelle in tutto il mondo, per non parlare del danno agli ecosistemi e al resto del bioma.

Come ha giustamente affermato Papa Francesco, “è evidente il collegamento tra fragilità ambientale, l’insicurezza alimentare e i movimenti migratori”. La crisi climatica minaccia anche i diritti umani fondamentali come il diritto alla vita, a un approvvigionamento idrico e alimentare appropriato, a un alloggio (o riparo) adeguato e alla salute. Ad essere colpite in modo sproporzionato dalla crisi ecologica e climatica sono le comunità povere e vulnerabili: sono gli innocenti, coloro che hanno contribuito meno di tutti a causare il problema. Si tratta di una questione profondamente morale, che richiede un’eco-giustizia. Dopotutto, la Terra è stata creata per essere una casa comune in cui ciascuno ha il diritto di vivere e prosperare. Risuonano qui oltremodo pertinenti le parole profetiche di San Giovanni Paolo II citate da Papa Francesco in Fratelli Tutti: “Dio ha dato la terra a tutto il genere umano perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza


2021: ANNO DEDICATO A SAN GIUSEPPE

escludere né privilegiare nessuno”. L’esaurimento delle risorse naturali di base provenienti dalla terra – e dall’acqua in particolare – può causare lo sfollamento temporaneo o permanente di intere famiglie e comunità. “L’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani”. La scarsità d’acqua rappresenta un problema in molte parti del mondo ma “si ha soprattutto in Africa, dove grandi settori della popolazione non accedono all’acqua potabile sicura, o subiscono siccità che rendono difficile la produzione di cibo. In alcuni Paesi ci sono regioni con abbondanza di acqua, mentre altre patiscono una grave carenza”. La crisi, poi, ha impatti sproporzionati sui gruppi più vulnerabili, come bambini, donne, persone con disabilità, popolazioni indigene e quanti vivono nelle zone rurali. Alcuni dei cosiddetti ‘punti caldi’ (hot spot) geografici che si prevede saranno

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maggiormente colpiti dalla crisi climatica sono le regioni fluviali densamente popolate come il delta del Gange (Bangladesh, in particolare), del Mekong e del Nilo, i paesi della regione del Sahel nell’Africa settentrionale, i piccoli Stati insulari, i Paesi centroamericani particolarmente vulnerabili agli uragani, e le regioni costiere e le aree depresse del mondo.

LA CRISI CLIMATICA PORTA ALLO SFOLLAMENTO

La crisi climatica può portare allo sfollamento quando le dimore divengono inabitabili o i mezzi di sussistenza inesistenti. Lo sfollamento può essere indotto sia da fenomeni a rapida insorgenza, vale a dire principalmente fenomeni meteorologici estremi come inondazioni, tempeste, siccità e incendi, sia da processi a lenta insorgenza, come desertificazione, esaurimento delle risorse naturali, scarsità d’acqua, aumento delle temperature e innalzamento del livello del mare. […] Siamo sommersi da notizie e immagini riguardanti intere popolazioni sradicate dalla propria terra, a seguito di disastri naturali causati dal clima, e costrette a migrare. Tuttavia, l’effetto che queste storie hanno su di noi e sul modo in cui vi rispondiamo - se provocano in noi risposte fugaci o innescano qualcosa di più profondo, se ci sembrano lontane o le sentiamo vicine - dipende da noi; dipende da noi, cioè, sforzarci di vedere la sofferenza che ogni storia comporta, per “prendere dolorosa coscienza, osare trasformare in sofferenza personale quello che accade […] e così riconoscere qual è il contributo che ciascuno può portare” (Laudato Si’, 19). Sezione Migranti e Rifugiati – Settore Ecologia Integrale Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale Città del Vaticano

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EDUCAZIONE

Don Chino Pezzoli

PREVENZIONE PER COMBATTERE ALCOOL E DROGHE

RAGAZZI SEMPRE PIÙ FRAGILI Rubrica a cura del Centro di Ascolto e Auto-Aiuto “Promozione Umana” di don Chino Pezzoli. Sono all’ordine del giorno ragazzini che ricorrono alla violenza per risolvere i problemi del vivere quotidiano: un’occhiata di troppo, uno screzio fra amici, un’incomprensione familiare possono scatenare risse, botte, omicidi. Può succedere nelle città, nei paesi, ma soprattutto dove la maleducazione, il permissivismo, l’illegalità diventano una norma. Gli educatori sostengono che la criminalità si apprende, se si è circondati da individui e norme devianti. Spesso, ci troviamo di fronte ad alcuni ragazzi con un’identità fragile. I giornalisti e i commentatori dei fatti violenti ci dicono che le liti si scatenano per motivi futili e assurdi. Proprio per questo noi educatori siamo preoccupati. Ci turba l’incapacità di autocontrollo dei ragazzi e il susseguirsi di reazioni istintive, possessive, violente. Si aggredisce per rivalità, per cattiveria, per disprezzo della vita. A volte, sono gli adulti a mettere nelle testoline dei giovani, immagini fantomatiche di un futuro bello, libero e chimerico. Sono loro a dire con polemiche e malcontenti, che questa società va ribaltata e che quindi il fine giustifica i mezzi. La violenza non si scatena solo in ambienti degradati, disordinati, in cui vige la legge della prepotenza. Si riscontra ovunque e spesso si manifesta anche nelle famiglie borghesi o medio-borghesi. Sono parecchi i nostri giovani che reagiscono violentemente davanti ad un diverbio o in preda alla gelosia. La fragilità psichica lascia la mente esposta a comportamenti difensivi che, il più delle volte, divengono offensivi. Chi è insicuro e fragile psicologicamente non è in grado di ri-

CENTRO DI ASCOLTO E AUTO-AIUTO “PROMOZIONE UMANA” di don Chino Pezzoli Via Donatori di Sangue 13 Fiorano al Serio - Tel. 035 712913 Cell. 3388658461 (Michele) centrodiascoltofiorano@virgilio.it Facebook @centrodiascoltofiorano INCONTRI GENITORI mercoledì dalle 20.30 alle 22.30

flettere, di cercare il confronto, il chiarimento. Pertanto reagisce, sbotta, s’improvvisa aggressore e, a volte, omicida. Non è, quindi, solo la gioventù emarginata e lasciata sola che può commettere reati gravi. È necessario fissare l’attenzione sull’impegno educativo dei nostri ragazzi. La rinuncia alla crescita interiore che comporta riflessione, autocontrollo, la svalutazione della vita e la mancanza di sentimenti, sono tra i motivi scatenanti in questa gioventù debole, che ricorre alla violenza, alla droga, come falso rinforzo. Credo, inoltre, che sia necessario scoraggiare il diffondersi della schiera di narcisisti che si specchiano nelle vetrine, si sognano famosi, si sfiancano in palestra, si immolano alla moda, si dedicano agli acquisti, sacrificano tempo e anima al perseguimento del successo. I narcisisti, infatti, hanno bisogno di conferme del loro potere e delle possibilità senza limiti. Molti ragazzi soffrono di un disturbo narcisistico di personalità, caratterizzato da una smania di grandezza che li porta a voler apparire, a costo di avere le manette ai polsi. Come si può arrivare a tanto? Un motivo c’è: i nostri ragazzi spesso non hanno in sé l’esperienza della sofferenza: fanno soffrire perché sono stati risparmiati dalla sofferenza. Il sentimento della sofferenza nasce in chi affronta la vita d’ogni giorno con le sue difficoltà di rapporti, di lutti, di perdite, di lavoro e di studio. Solo chi ha imparato a soffrire risparmia la sofferenza agli altri. Solo chi ha provato in sé il dolore, avverte il senso di colpa e di responsabilità di fronte al dolore che procura.


ANCORA SUL VIAGGIO DI DANTE… Il 25 marzo scorso si è celebrato in tutta Italia il Dantedì, l’anniversario dell’inizio del viaggio che Dante Alighieri racconta nella Divina Commedia. È una data importante perché, secondo la tradizione, indicava il giorno della creazione del mondo, dell’Annunciazione dell’angelo a Maria e -a Firenze- l’inizio dell’anno secondo il computo “ab Incarnatione”, vale a dire dall’Incarnazione di Nostro Signore. Che Dante scelga proprio il 25 marzo per iniziare il suo viaggio nei tre regni dell’oltretomba non è dunque un caso ma una scelta carica di profondi significati. Per l’occasione anche Papa Francesco ha pubblicato una Lettera Apostolica intitolata “Candor lucis aeternae”, Splendore della Luce eterna, nella quale rende omaggio al capolavoro del Sommo Poeta, nel VII centenario della morte (13212021). Il testo della lettera è facilmente reperibile e merita una lettura attenta e meditata (http://www.vatican.va/content/ francesco/it/apost_letters/documents/papa-francesco-letteraap_20210325_centenario-dante.html). Mi unisco anch’io all’omaggio del Pontefice e dei tanti appassionati dantisti, proponendo ai lettori del notiziario parrocchiale un mio breve contributo. La Commedia è il racconto del viaggio di Dante nei tre regni dell’Aldilà: Inferno, Purgatorio e Paradiso. Il viaggio è descritto come se avvenisse nello spazio e nel tempo, proprio come ogni viaggio che si rispetti. Non mancano, soprattutto nelle prime due cantiche, numerosi riferimenti a coordinate geografiche riconoscibili dal lettore e rimandi allo scorrere del tempo (l’anno, la stagione, l’ora del giorno). Eppure questo viaggio è anche una metafora dell’esistenza, del percorso che l’uomo compie nell’arco della sua vita terrena e oltre (ma, a suo modo, è anche metafora di un viaggio iniziatico verso la conoscenza della Verità, ed ancora quello verso un’ispirazione poetica ed una lingua capaci di dare il nome alle cose). Dante scrittore e Dante personaggio compiono realmente questo viaggio perché entrambi sono vivi e perché la vita è il viaggio. Per il credente il viaggio assume però delle caratteristiche particolari: diviene un percorso in cui si fa esperienza di un incontro, di un evento che cambia radicalmente non solo il senso del nostro viaggio ma anche la nostra stessa natura di viaggiatori. Il cristiano non viaggia semplicemente, compie un vero e proprio pellegrinaggio: da viaggiatore diviene pellegrino. Quello del cristiano è un pellegrinaggio perché è un ritorno alle origini, lo spiega Dante vivo all’amico musico Casella, anima

espiante che incontra appena giunto al Purgatorio: 2. 91 «Casella mio, per tornar altra volta 2. 92 là dov’io son, fo io questo viaggio» In sostanza Dante spiega a Casella che sta facendo un viaggio da vivo per poter tornare, dopo morto, al luogo della salvezza, il luogo che rappresenta in un certo senso sia il punto di arrivo che il punto di partenza. Questa natura “sui generis” del viaggio-pellegrinaggio cristiano è visibile in molti luoghi del Purgatorio nel diverso atteggiamento di Dante rispetto a Virgilio, la sua guida nell’Inferno ed ora compagno di strada fino alle soglie del Paradiso terrestre. Virgilio è viaggiatore perché si affida alla sapienza antica che condivide con i grandi che lo hanno preceduto (Omero, Aristotele, Platone…). Ha un approccio razionale alla realtà che lo circonda e che egli cerca di comprendere, di misurare, e questo, naturalmente, gli fa onore. Ma della ragione riconosce anche i limiti: con la ragione non si può conoscere tutto (“Matto è chi spera che nostra ragione” Pg III, 34). Virgilio sperimenta che il desiderio umano di conoscere rimane senza speranza, senza frutto: “sanza speme vivemo in disìo” (If IV, 42) aveva detto di sé e degli abitanti del Limbo e questa condizione “etternalmente è data lor per lutto” (Pg III, 42). Questa è la loro condanna. Il viaggio della vita non si compie confidando solamente nella ragione umana. Ti può portare al largo, in vista della montagna del Purgatorio (cfr. If XXVI, 133), oppure in alto, quasi fino al Paradiso terrestre, ma poi o naufraghi o devi arrestarti sulla soglia e cedere il passo (Pg XXVII, 128 s.) ad un’altra guida, senza raggiungere la salvezza definitiva. Da quando Gesù è venuto tra noi, chi è disposto a seguirlo deve mettersi in cammino alla sua sequela. Gesù è un camminatore instancabile, è sempre in viaggio. E così deve essere per i suoi discepoli. La storia del Cristianesimo è la storia di gente che cammina, è la storia di un pellegrinaggio. E qui il Cristianesimo, per analogia, recupera il tratto distintivo del credente già dell’Antico testamento, quello dell’Arameo errante, quello di Abramo, nostro padre nella fede. Il nomadismo è tratto distintivo del popolo di Israele che crede in un Dio a sua volta nomade, che vive sotto una tenda e cammina qua e là in mezzo a tutto il popolo (cfr. 2 Samuele 7, 1-11). Così il mettersi in cammino dietro a Gesù -il continuare a farlo senza stancarsi e senza la presunzione di essere arrivati- è il tratto distintivo del cristiano Dante ed anche di ciascuno di noi. Enzo Noris

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Il valore educativo nascosto in una cartina! Sicuramente vi sarà capitato di incontrare gli scout con in mano una bussola e una cartina. Addirittura i rover (ragazzi dai 16 ai 20 anni) partecipano ogni anno a una sfida regionale chiamata Challenge, in cui si mettono alla prova orientandosi su percorsi sconosciuti. È un’occasione per sfidare non tanto gli altri, quanto se stessi: gli avversari non sono nemici, ma sono coloro che permettono di misurare le proprie capacità. Ma perché utilizziamo carte e mappe ancora oggi, quando tutti abbiamo il navigatore sui nostri smartphone? Sono due le motivazioni fondamentali che ci spingono ad insegnare ai ragazzi la topografia. La prima è che questa tecnica, anche se poco usata nella quotidianità, aiuta a sviluppare molte competenze utili in diversi ambiti. Conoscere e ricordare i diversi simboli topografici allena la memoria; inoltre la topografia è uno strumento per affinare la logica e le abilità di calcolo. Saper rilevare delle coordinate, convertirle da sessagesimali a

decimali, eseguire una triangolazione, calcolare un azimuth non sono affatto banalità! Molto formativo è anche lo sforzo di confrontare la realtà con la sua rappresentazione grafica: ciò permette sia di tenere i piedi per terra, sia di capire che le possibilità di interpretazione dipendono sempre da molte variabili, sia oggettive che soggettive. E ancora, sapere che due linee continue sono una strada e che una linea tratteggiata è un sentiero significa adottare un sistema simbolico. In una società come la nostra che si basa sui simboli è utile apprendere diversi sistemi di linguaggio per dare loro il giusto valore. Infine scegliere un sentiero piuttosto che un altro, dopo aver osservato una cartina significa assumersi una decisione... Quanti ragazzi vivono da indecisi, incapaci di scegliere! La responsabilità nelle scelte si impara iniziando dalle piccole cose, che poi tanto piccole non sono quando rischi di perderti e di dover camminare ore in più. La seconda motivazione educa-

tiva è che la topografia è una metafora della vita. Qual è in fin dei conti il nostro compito di educatori? Insegnare a interpretare la realtà, affinché ogni ragazzo sappia scegliere la propria strada. Non è forse lo stesso che leggere una cartina? Dio lascia continuamente piccoli o grandi segni nella realtà che viviamo... il problema è riuscire a coglierli, un po’ come quando prima si individuano le coordinate e poi bisogna decidere il sentiero da seguire per raggiungerle. Ovviamente noi capi per primi siamo in cammino, impegnati a interpretare i tracciati della nostra vita... e non è che noi riconosciamo perfettamente tutti i segni! Per esempio capita di confondere un’isoipsa con un sentiero... Ciò che deve qualificare il servizio di un capo è il suo impegno ad approfondire per primo la conoscenza e a formare la coscienza, perché, per tracciare una strada, bisogna prima scegliere i segni da lasciare. Tasso Riflessivo


VITA PARROCCHIALE

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Felici e perdonati: la prima Riconciliazione Domenica 28 febbraio 2021, cinquantacinque bambini di terza elementare hanno celebrato il Sacramento della loro prima Riconciliazione dopo un lungo periodo di preparazione. Infatti avrebbero dovuto celebrarlo lo scorso maggio, ma a causa della pandemia in corso lo abbiamo rimandato continuamente fino ad arrivare all’ultimo giorno di febbraio, ovvero la II domenica di Quaresima. Attraverso gli incontri di catechismo i bambini hanno imparato che con il Battesimo si diventa figli di Dio e si entra ufficialmente a far parte della comunità dei Cristiani e ne hanno fatto esperienza perché Sofia, una bimba tra loro è stata battezzata proprio durante la funzione. Hanno scoperto che Dio ci ha donato i dieci comandamenti per vivere bene, come Lui ci vuole, e che sono riassunti in un unico comandamento: il comandamento dell’Amore. Sì, proprio quell’amore grande di Dio che si è rivelato in alcune pagine di Vangelo, sulle quali abbiamo riflettuto: 1. la parabola della pecorella smarrita ci spiega che Gesù è il nostro Buon Pastore, che ci ama e si prende cura di noi; 2. l’episodio di Zaccheo ci racconta che l’imbroglione, dopo il perdono di Gesù, moltiplica il bene; 3. il racconto della peccatrice pentita ci dice che l’amore di Gesù è contagioso; 4. infine, ma certo non per importanza, la parabola del Padre Misericordioso ci racconta la grandezza dell’amore di Dio, Colui che ci lascia sempre liberi di scegliere e, qualora sbagliamo, non perde mai la speranza di riabbracciarci. Un attento esame di coscienza ci permette di conoscere i nostri sbagli e dire: “Mi dispiace”. Essere dispiaciuti significa cercare di rimediare, ricercare la pace perduta, riconciliarci con le persone che abbiamo ferito e impegnarci a non peccare più. La Riconciliazione è il Sacramento con cui celebriamo la misericordia di Dio e il perdono dei nostri peccati. Questo lo hanno capito bene i nostri fantastici bambini e... ce lo hanno dimostrato pieni di emozione prima e con tanta gioia alla fine della funzione. Sul sagrato la festa del Perdono è continuata con bans e il lancio di palloncini verso un cielo terso. I catechisti Carolina, Laura, Eric, Alda, Stefania, Rita, Lisa e Giovanni

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ORATORIO

Tempo di Pasqua

Colori Accesi

Sospesi perennemente tra un non sappiamo e un compresero. Tra buio e luce. Poche cose. E poco fiato per corse a volte troppo lunghe. Eppure ogni volta.

Entrare. Vedere. E rimanere e andare dove la Vita è. Cercando i nessi. E tutto quanto speriamo. Che di Lui (della Vita) non sapremo dire se non poco. E (forse) sarà abbastanza.

“Cosa succede? Cosa si può fare? Quando riapre?”. Mai come in questi ultimi mesi i colori sono diventati protagonisti della nostra vita e hanno acceso domande, provocato decisioni, definito limiti. Ai colori del DPCM si aggiungono quelli della primavera che, fatto salvo qualche giornata con temperature invernali, ne fa da padrona sbocciando ovunque. Di questo tempo non se ne stanno fermi neppure i colori della liturgia. Per non parlare di quelli del nostro quotidiano vivere: il colore degli occhi, il muro della nostra camera, i pixel dello schermo del pc, le spunte dei messaggi che abbiamo inviato… tutto definito da un colore. Poi c’è pure quello del nostro umore che ormai è allenato a sentire le cose in modo più amplificato dentro un’aria che ospita anche la stanchezza per questa attesa e fatica che si prolunga. In questi giorni ci stanno raggiugendo colori che accendono desideri estivi che sanno di incontri, di viaggi, di libertà. Si sono accesi i riflettori sull’estate che inizia a delinearsi e a permettere di disporre un minimo di idee. Desideriamo tutti un tempo in cui anche l’oratorio torni a essere casa accesa e colorata. Relazioni. Incontri. Attività. Esperienze. Condivisione. È tempo anche questo per guardare a quando, finalmente, si potranno spegnere per un po’ gli schermi e lasciare a prendere polvere alle tastiere, per riaccendere altro. Qui contiamo che sarà finalmente il tempo del protagonismo dei nostri adolescenti! E sarà sicuramente il Cre il primo grande appuntamento. Per i campi estivi intanto ci dobbiamo fermare qui… perché i sogni devono fare i conti con quello che ci sarà consegnato come possibilità. Le domande le teniamo aperte. Insieme ci auguriamo di poterci essere dentro quelle esperienze marcate dal tratto forte della condivisione della propria vita con quella degli altri. È lì (e solo lì) che accade che la Vita si accenda. dA


ORATORIO

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Summerlife 2021… aria di CRE! In questi giorni inizia a mettersi in moto tutto quanto ha a che fare con l’estate e con quel gesto di comunità che è il CRE. Lo scorso anno ci siamo reinventati nella formula del Summerlife. Abbiamo ritrovato tanti elementi che già vivevamo da tempo e altri che invece abbiamo imparato a conoscere. Quest’anno il colore della proposta per i ragazzi riprende un po’ le sembianze del CRE e il titolo sarà “HURRA’ – giocheremo sulle sue piazze” tutto attorno al tema del gioco. Per noi il tempo sarà dal 28 giugno al 23 luglio. Ci sarà il tempo per dirci bene delle giornate, delle iscrizioni, degli animatori,... Intanto vi invitiamo a dare un’occhiata al sito www.cregrest.it. A presto!

Le faccende umane di Vivian Maier Si è conclusa la Quaresima e anche quelle paginette dell’itinerario per adolescenti e giovani chiamato “Faccende Umane” volge al termine. In quel concentrato di Vangelo, musica, poesia, arte e testi di commento e approfondimento la grande protagonista è stata una donna di nome Vivian Maier. Vivian è una fotografa statunitense nata a New York nel 1926. Vissuta tra New York e Chicago, lavora come tata e nel tempo libero si dedica alla fotografia documentaria, utilizzando anche filmati e audio-cassette per catturare frammenti della realtà. Vivian Maier nasce a New York nel 1926, da madre francese e padre austriaco. Cresce in Francia, dove scatta le prime foto con una Kodak Brownie, una fotocamera molto popolare e semplice da usare. Nel 1951 torna negli Stati Uniti e comincia a lavorare come bambinaia per le famiglie benestanti di New York e Chicago. Non esce mai di casa senza la macchina fotografica, una Rolleiflex e una Leika poi: scatta in maniera quasi compulsiva, senza mostrare le sue foto a nessuno. Molti di questi rullini non riuscirà mai a svilupparli. Alla fine degli anni novanta Maier è in gravi difficoltà economiche; non riesce più a pagare il deposito dei suoi negativi, custoditi in un magazzino, e li vende all’asta. Caduta in povertà alla fine degli anni ’90, muore nell’aprile del 2009 in una casa di cura. A comprare l’archivio di Maier è John Maloof, un giovane agente immobiliare che sta cercando vecchio materiale iconografico su Chicago. Per 380 dollari Maloof si porta via una cassa contenente i più disparati oggetti personali di Maier e soprattutto centinaia di rullini e negativi. Non sapendo a chi appartengono pubblica queste foto su Flickr chiedendo agli utenti chi conosca questa donna. Le faccende umane di questa donna molto ordinaria, nascosta, solitaria hanno un tratto tragico e luminoso allo stesso tempo. Per chi volesse conoscerla meglio vale la pena di vedere il film “Alla ricerca di Vivian Maier” (premio Oscar 2015 come miglior documentario). Anche noi ci aggiungiamo a tutti coloro che apprezzano il suo lavoro senza che nemmeno lei ne sia al corrente e ne possa godere la giusta ricompensa: probabilmente ne sarebbe persino infastidita. In ogni caso ci ha regalato i primi selfie, la street photo, e una serie innumerevole di volti colti in uno dei tanti istanti della loro vita.

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Fotoracconto di Maurizio Pulcini

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DALLA DOMENICA DELLE PALME A PASQUA


VITA PARROCCHIALE

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ALTRI MONDI DAL PERÙ DI PADRE TADDEO PASINI...

un appello

L’appello è lanciato dai padri Monfortani sul loro mensile dei missionari. Non suoni come ormai fuori tempo: in Perù, come in tutta l’America latina, l’emergenza Covid si protrarrà per un tempo maggiore rispetto all’Italia o all’Europa. Ad esempio, di una campagna di vaccinazione là ancora non si parla, anche per il monopolio mondiale che riguarda i vaccini. L’appello viene dalla città di Huaycàn, alla cui fondazione il nostro p. Taddeo ha contribuito, in cui ora i Monfortani continuano la loro presenza, poveri con i poveri, a compartir.

«Non respiro! Ossigeno, per favore!»

E’ la disperata invocazione oggi di tanti malati di Covid – 19. Se l’ossigeno arriva, c’è almeno speranza. Ma dove l’ossigeno manca, non c’è più nella da fare. E’ così in Perù, a Huaycan, poco lontano da Lima,. Un enorme quartiere di 250.000 abitanti. La chiamano benevolmente “città della speranza”, ma di speranza ce n’è poca: almeno 80.000 persone vivono in povertà estrema.

Una fabbrica di ossigeno

E ora è arrivato il virus, qui molto diffuso. A Huaycàn c’è solo un Ospedale, piccolo, con poche strutture. I contagiati dal coronavirus sono ricoverati sotto un tendone, in un piazzale polveroso. Ma manca l’ossigeno medicinale. Le persone muoiono. Tantissime! Da qui il progetto di creare sul posto una “fabbrica di ossigeno”. Da sempre qui la parrocchia è tenuta dai Missionari Monfortani e sul suo terreno si vuole installare la struttura per produrre os-

sigeno, in collaborazione con altri Enti: Casa Anna Margottini, Comunità Urbana Autogestita. Il costo è elevato, ma la necessità urgente: circa 150.000 euro. Si è fatto appello a tutti; la gente è povera, ma in 10 giorni si sono raccolti 54.000 euro. È questione di vita! Si cercano aiuti per arrivare a dare ossigeno a tante persone che stanno morendo. MISSIONI MONFORTANE ONLUS Conto Corrente Postale: 53005187 Codice Fiscale: 95141890160 Bonifico bancario IBAN: IT07W0200811104000102721941 (Unicredit) Missionari Monfortani - Via Legnano, 18 - 24124 Bergamo Tel. 035 4175119 - Fax: 035 4534974 missioni@missionimonfortaneonlus.it

Diventiamo prossimo Continua l’iniziativa del fondo di solidarietà “Diventiamo prossimo” per sostenere e accompagnare le famiglie in difficoltà economica MODALITÀ PER CONTRIBUIRE

 Autotassazione mensile: si stabilisce una cifra che viene versata

mensilmente per il periodo indicato

 Presso il Centro di Primo Ascolto alla Casa della Carità

in piazza San Giuliano 5 al mercoledì dalle 20.45 alle 22  Con bonifico bancario tramite il nuovo IBAN attivo dal 22 febbraio 2021

IBAN: IT20 L0538 75248 00000 4260 6856 c/c intestato Parrocchia San Giuliano, Conto Caritas indicando la causale: FONDO DI SOLIDARIETÀ DIVENTIAMO PROSSIMO


PATRIS CORDE LETTERA APOSTOLICA DEL SANTO PADRE FRANCESCO IN OCCASIONE DEL 150° ANNIVERSARIO DELLA DICHIARAZIONE DI SAN GIUSEPPE QUALE PATRONO DELLA CHIESA UNIVERSALE

Vogliamo raggiungervi nelle vostre famiglie con la Lettera Apostolica “Con il cuore di Padre” di Papa Francesco con la quale ha legato questo anno (dall’8 dicembre 2020 all’8 dicembre 2021) allo sguardo benedicente di San Giuseppe, compagno silenzioso delle nostre famiglie, che cercano un cammino di santificazione nelle varie vicende della vita di ogni giorno. All’ingresso della chiesa abbiamo messo a disposizione un fascicoletto con le preghiere che i Papi hanno dedicato a San Giuseppe in questi 150 anni.


Inserto a “Albino - Comunità viva” Con cuore di padre: così Giuseppe ha amato Gesù, chiamato in tutti e quattro i Vangeli «il figlio di Giuseppe».

dei lavoratori” e San Giovanni Paolo II come «Custode del Redentore». Il popolo lo invoca come «patrono della buona morte».

I due Evangelisti che hanno posto in rilievo la sua figura, Matteo e Luca, raccontano poco, ma a sufficienza per far capire che tipo di padre egli fosse e la missione affidatagli dalla Provvidenza.

Pertanto, al compiersi di 150 anni dalla sua dichiarazione quale Patrono della Chiesa Cattolica fatta dal Beato Pio IX, l’8 dicembre 1870, vorrei – come dice Gesù – che “la bocca esprimesse ciò che nel cuore sovrabbonda” (cfr Mt 12,34), per condividere con voi alcune riflessioni personali su questa straordinaria figura, tanto vicina alla condizione umana di ciascuno di noi. Tale desiderio è cresciuto durante questi mesi di pandemia, in cui possiamo sperimentare, in mezzo alla crisi che ci sta colpendo, che «le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. […] Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti». Tutti possono trovare in San Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà. San Giuseppe ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in “seconda linea” hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza. A tutti loro va una parola di riconoscimento e di gratitudine.

Sappiamo che egli era un umile falegname (cfr Mt 13,55), promesso sposo di Maria (cfr Mt 1,18; Lc 1,27); un «uomo giusto» (Mt 1,19), sempre pronto a eseguire la volontà di Dio manifestata nella sua Legge (cfr Lc 2,22.27.39) e mediante ben quattro sogni (cfr Mt 1,20; 2,13.19.22). Dopo un lungo e faticoso viaggio da Nazaret a Betlemme, vide nascere il Messia in una stalla, perché altrove «non c’era posto per loro» (Lc 2,7). Fu testimone dell’adorazione dei pastori (cfr Lc 2,8-20) e dei Magi (cfr Mt 2,112), che rappresentavano rispettivamente il popolo d’Israele e i popoli pagani. Ebbe il coraggio di assumere la paternità legale di Gesù, a cui impose il nome rivelato dall’Angelo: «Tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,21). Come è noto, dare un nome a una persona o a una cosa presso i popoli antichi significava conseguirne l’appartenenza, come fece Adamo nel racconto della Genesi (cfr 2,19-20). Nel Tempio, quaranta giorni dopo la nascita, insieme alla madre Giuseppe offrì il Bambino al Signore e ascoltò sorpreso la profezia che Simeone fece nei confronti di Gesù e di Maria (cfr Lc 2,22-35). Per difendere Gesù da Erode, soggiornò da straniero in Egitto (cfr Mt 2,13-18). Ritornato in patria, visse nel nascondimento del piccolo e sconosciuto villaggio di Nazaret in Galilea – da dove, si diceva, “non sorge nessun profeta” e “non può mai venire qualcosa di buono” (cfr Gv 7,52; 1,46) –, lontano da Betlemme, sua città natale, e da Gerusalemme, dove sorgeva il Tempio. Quando, proprio durante un pellegrinaggio a Gerusalemme, smarrirono Gesù dodicenne, lui e Maria lo cercarono angosciati e lo ritrovarono nel Tempio mentre discuteva con i dottori della Legge (cfr Lc 2,41-50). Dopo Maria, Madre di Dio, nessun Santo occupa tanto spazio nel Magistero pontificio quanto Giuseppe, suo sposo. I miei Predecessori hanno approfondito il messaggio racchiuso nei pochi dati tramandati dai Vangeli per evidenziare maggiormente il suo ruolo centrale nella storia della salvezza: il Beato Pio IX lo ha dichiarato «Patrono della Chiesa Cattolica», il Venerabile Pio XII lo ha presentato quale “Patrono II

1. Padre amato La grandezza di San Giuseppe consiste nel fatto che egli fu lo sposo di Maria e il padre di Gesù. In quanto tale, «si pose al servizio dell’intero disegno salvifico», come afferma San Giovanni Crisostomo. San Paolo VI osserva che la sua paternità si è espressa concretamente «nell’aver fatto della sua vita un servizio, un sacrificio, al mistero dell’incarnazione e alla missione redentrice che vi è congiunta; nell’aver usato dell’autorità legale, che a lui spettava sulla sacra Famiglia, per farle totale dono di sé, della sua


PATRIS CORDE vita, del suo lavoro; nell’aver convertito la sua umana vocazione all’amore domestico nella sovrumana oblazione di sé, del suo cuore e di ogni capacità, nell’amore posto a servizio del Messia germinato nella sua casa». Per questo suo ruolo nella storia della salvezza, San Giuseppe è un padre che è stato sempre amato dal popolo cristiano, come dimostra il fatto che in tutto il mondo gli sono state dedicate numerose chiese; che molti Istituti religiosi, Confraternite e gruppi ecclesiali sono ispirati alla sua spiritualità e ne portano il nome; e che in suo onore si svolgono da secoli varie rappresentazioni sacre. Tanti Santi e Sante furono suoi appassionati devoti, tra i quali Teresa d’Avila, che lo adottò come avvocato e intercessore, raccomandandosi molto a lui e ricevendo tutte le grazie che gli chiedeva; incoraggiata dalla propria esperienza, la Santa persuadeva gli altri ad essergli devoti. In ogni manuale di preghiere si trova qualche orazione a San Giuseppe. Particolari invocazioni gli vengono rivolte tutti i mercoledì e specialmente durante l’intero mese di marzo, tradizionalmente a lui dedicato. La fiducia del popolo in San Giuseppe è riassunta nell’espressione “Ite ad Ioseph”, che fa riferimento al tempo di carestia in Egitto quando la gente chiedeva il pane al faraone ed egli rispondeva: «Andate da Giuseppe; fate quello che vi dirà» (Gen 41,55). Si trattava di Giuseppe figlio di Giacobbe, che fu venduto per invidia dai fratelli (cfr Gen 37,11-28) e che – stando alla narrazione biblica – successivamente divenne vice-re dell’Egitto (cfr Gen 41,41-44). Come discendente di Davide (cfr Mt 1,16.20), dalla cui radice doveva germogliare Gesù secondo la promessa fatta a Davide dal profeta Natan (cfr 2 Sam 7), e come sposo di Maria di Nazaret, San Giuseppe è la cerniera che unisce l’Antico e il Nuovo Testamento.

2. Padre nella tenerezza Giuseppe vide crescere Gesù giorno dopo giorno «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52). Come il Signore fece con Israele, così egli “gli ha insegnato a camminare, tenendolo per mano: era per lui come il padre che solleva un bimbo alla sua guancia, si chinava su di lui per dargli da mangiare” (cfr Os 11,3-4). Gesù ha visto la tenerezza di Dio in Giuseppe: «Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore

è tenero verso quelli che lo temono» (Sal 103,13). Giuseppe avrà sentito certamente riecheggiare nella sinagoga, durante la preghiera dei Salmi, che il Dio d’Israele è un Dio di tenerezza, che è buono verso tutti e «la sua tenerezza si espande su tutte le creature» (Sal 145,9). La storia della salvezza si compie «nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18) attraverso le nostre debolezze. Troppe volte pensiamo che Dio faccia affidamento solo sulla parte buona e vincente di noi, mentre in realtà la maggior parte dei suoi disegni si realizza attraverso e nonostante la nostra debolezza. È questo che fa dire a San Paolo: «Affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”» (2 Cor 12,7-9). Se questa è la prospettiva dell’economia della salvezza, dobbiamo imparare ad accogliere la nostra debolezza con profonda tenerezza. Il Maligno ci fa guardare con giudizio negativo la nostra fragilità, lo Spirito invece la porta alla luce con tenerezza. È la tenerezza la maniera migliore per toccare ciò che è fragile in noi. Il dito puntato e il giudizio che usiamo nei confronti degli altri molto spesso sono segno dell’incapacità di accogliere dentro di noi la nostra stessa debolezza, la nostra stessa fragilità. Solo la tenerezza ci salverà dall’opera dell’Accusatore (cfr Ap 12,10). Per questo è importante incontrare la Misericordia di Dio, specie nel Sacramento della Riconciliazione, facendo un’esperienza di verità e tenerezza. Paradossalmente anche il Maligno può dirci la verità, ma, se lo fa, è per condannarci. Noi sappiamo però che la Verità che viene da Dio non ci condanna, ma ci accoglie, ci abbraccia, ci sostiene, ci perdona. La Verità si presenta a noi sempre come il Padre misericordioso della parabola (cfr Lc 15,11-32): ci viene incontro, ci ridona la dignità, ci rimette in piedi, fa festa per noi, con la motivazione che «questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (v. 24). Anche attraverso l’angustia di Giuseppe passa la volontà di Dio, la sua storia, il suo progetto. Giuseppe ci insegna così che avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza. E ci insegna che, in mezzo alle tempeste III


Inserto a “Albino - Comunità viva” della vita, non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca. A volte noi vorremmo controllare tutto, ma Lui ha sempre uno sguardo più grande.

3. Padre nell’obbedienza Analogamente a ciò che Dio ha fatto con Maria, quando le ha manifestato il suo piano di salvezza, così anche a Giuseppe ha rivelato i suoi disegni; e lo ha fatto tramite i sogni, che nella Bibbia, come presso tutti i popoli antichi, venivano considerati come uno dei mezzi con i quali Dio manifesta la sua volontà. Giuseppe è fortemente angustiato davanti all’incomprensibile gravidanza di Maria: non vuole «accusarla pubblicamente», ma decide di «ripudiarla in segreto» (Mt 1,19). Nel primo sogno l’angelo lo aiuta a risolvere il suo grave dilemma: «Non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti, il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,20-21). La sua risposta fu immediata: «Quando si destò dal sonno, fece come gli aveva ordinato l’angelo» (Mt 1,24). Con l’obbedienza egli superò il suo dramma e salvò Maria. Nel secondo sogno l’angelo ordina a Giuseppe: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo» (Mt 2,13). Giuseppe non esitò ad obbedire, senza farsi domande sulle difficoltà cui sarebbe andato incontro: «Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode» (Mt 2,14-15). In Egitto Giuseppe, con fiducia e pazienza, attese dall’angelo il promesso avviso per ritornare nel suo Paese. Appena il messaggero divino, in un terzo sogno, dopo averlo informato che erano morti quelli che cercavano di uccidere il bambino, gli ordina di alzarsi, di prendere con sé il bambino e sua madre e ritornare nella terra d’Israele (cfr Mt 2,19-20), egli ancora una volta obbedisce senza esitare: «Si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele» (Mt 2,21). Ma durante il viaggio di ritorno, «quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno – ed è la quarta volta che accade – si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in IV

una città chiamata Nazaret» (Mt 2,22-23). L’evangelista Luca, da parte sua, riferisce che Giuseppe affrontò il lungo e disagevole viaggio da Nazaret a Betlemme, secondo la legge dell’imperatore Cesare Augusto relativa al censimento, per farsi registrare nella sua città di origine. E proprio in questa circostanza nacque Gesù (cfr 2,1-7), e fu iscritto all’anagrafe dell’Impero, come tutti gli altri bambini. San Luca, in particolare, si preoccupa di rilevare che i genitori di Gesù osservavano tutte le prescrizioni della Legge: i riti della circoncisione di Gesù, della purificazione di Maria dopo il parto, dell’offerta a Dio del primogenito (cfr 2,21-24). In ogni circostanza della sua vita, Giuseppe seppe pronunciare il suo “fiat”, come Maria nell’Annunciazione e Gesù nel Getsemani. Giuseppe, nel suo ruolo di capo famiglia, insegnò a Gesù ad essere sottomesso ai genitori (cfr Lc 2,51), secondo il comandamento di Dio (cfr Es 20,12). Nel nascondimento di Nazaret, alla scuola di Giuseppe, Gesù imparò a fare la volontà del Padre. Tale volontà divenne suo cibo quotidiano (cfr Gv 4,34). Anche nel momento più difficile della sua vita, vissuto nel Getsemani, preferì fare la volontà del Padre e non la propria e si fece «obbediente fino alla morte […] di croce» (Fil 2,8). Per questo, l’autore della Lettera agli Ebrei conclude che Gesù «imparò l’obbedienza da ciò che patì» (5,8). Da tutte queste vicende risulta che Giuseppe «è stato chiamato da Dio a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l’esercizio della sua paternità: proprio in tal modo egli coopera nella pienezza dei tempi al grande mistero della Redenzione ed è veramente ministro della salvezza».

4. Padre nell’accoglienza Giuseppe accoglie Maria senza mettere condizioni preventive. Si fida delle parole dell’Angelo. «La nobiltà del suo cuore gli fa subordinare alla carità quanto ha imparato per legge; e oggi, in questo mondo nel quale la violenza psicologica, verbale e fisica sulla donna è evidente, Giuseppe si presenta come figura di uomo rispettoso, delicato che, pur non possedendo tutte le informazioni, si decide per la reputazione, la dignità e la vita di Maria. E nel suo dubbio su come agire nel modo migliore, Dio lo ha aiutato a scegliere illuminando il suo giudizio». Tante volte, nella nostra vita, accadono avvenimenti di cui non comprendiamo il significato. La nostra


PATRIS CORDE prima reazione è spesso di delusione e ribellione. Giuseppe lascia da parte i suoi ragionamenti per fare spazio a ciò che accade e, per quanto possa apparire ai suoi occhi misterioso, egli lo accoglie, se ne assume la responsabilità e si riconcilia con la propria storia. Se non ci riconciliamo con la nostra storia, non riusciremo nemmeno a fare un passo successivo, perché rimarremo sempre in ostaggio delle nostre aspettative e delle conseguenti delusioni. La vita spirituale che Giuseppe ci mostra non è una via che spiega, ma una via che accoglie. Solo a partire da questa accoglienza, da questa riconciliazione, si può anche intuire una storia più grande, un significato più profondo. Sembrano riecheggiare le ardenti parole di Giobbe, che all’invito della moglie a ribellarsi per tutto il male che gli accade risponde: «Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?» (Gb 2,10). Giuseppe non è un uomo rassegnato passivamente. Il suo è un coraggioso e forte protagonismo. L’accoglienza è un modo attraverso cui si manifesta nella nostra vita il dono della fortezza che ci viene dallo Spirito Santo. Solo il Signore può darci la forza di accogliere la vita così com’è, di fare spazio anche a quella parte contradditoria, inaspettata, deludente dell’esistenza. La venuta di Gesù in mezzo a noi è un dono del Padre, affinché ciascuno si riconcili con la carne della propria storia anche quando non la comprende fino in fondo. Come Dio ha detto al nostro Santo: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere» (Mt 1,20), sembra ripetere anche a noi: “Non abbiate paura!”. Occorre deporre la rabbia e la delusione e fare spazio, senza alcuna rassegnazione mondana ma con fortezza piena di speranza, a ciò che non abbiamo scelto eppure esiste. Accogliere così la vita ci introduce a un significato nascosto. La vita di ciascuno di noi può ripartire miracolosamente, se troviamo il coraggio di viverla secondo ciò che ci indica il Vangelo. E non importa se ormai tutto sembra aver preso una piega sbagliata e se alcune cose ormai sono irreversibili. Dio può far germogliare fiori tra le rocce. Anche se il nostro cuore ci rimprovera qualcosa, Egli «è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa» (1 Gv 3,20). Torna ancora una volta il realismo cristiano, che non butta via nulla di ciò che esiste. La realtà, nella sua misteriosa irriducibilità e complessità, è portatrice di un senso dell’esistenza con le sue luci e le sue ombre. È questo che fa dire all’apostolo Paolo: «Noi

sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio» (Rm 8,28). E Sant’Agostino aggiunge: «anche quello che viene chiamato male (etiam illud quod malum dicitur)». In questa prospettiva totale, la fede dà significato ad ogni evento lieto o triste. Lungi da noi allora il pensare che credere significhi trovare facili soluzioni consolatorie. La fede che ci ha insegnato Cristo è invece quella che vediamo in San Giuseppe, che non cerca scorciatoie, ma affronta “ad occhi aperti” quello che gli sta capitando, assumendone in prima persona la responsabilità. L’accoglienza di Giuseppe ci invita ad accogliere gli altri, senza esclusione, così come sono, riservando una predilezione ai deboli, perché Dio sceglie ciò che è debole (cfr 1 Cor 1,27), è «padre degli orfani e difensore delle vedove» (Sal 68,6) e comanda di amare lo straniero. Voglio immaginare che dagli atteggiamenti di Giuseppe Gesù abbia preso lo spunto per la parabola del figlio prodigo e del padre misericordioso (cfr Lc 15,11-32).

5. Padre dal coraggio creativo Se la prima tappa di ogni vera guarigione interiore è accogliere la propria storia, ossia fare spazio dentro noi stessi anche a ciò che non abbiamo scelto nella nostra vita, serve però aggiungere un’altra caratteristica importante: il coraggio creativo. Esso emerge soprattutto quando si incontrano difficoltà. Infatti, davanti a una difficoltà ci si può fermare e abbandonare il campo, oppure ingegnarsi in qualche modo. Sono a volte proprio le difficoltà che tirano fuori da ciascuno di noi risorse che nemmeno pensavamo di avere. Molte volte, leggendo i “Vangeli dell’infanzia”, ci viene da domandarci perché Dio non sia intervenuto in maniera diretta e chiara. Ma Dio interviene per mezzo di eventi e persone. Giuseppe è l’uomo mediante il quale Dio si prende cura degli inizi della storia della redenzione. Egli è il vero “miracolo” con cui Dio salva il Bambino e sua madre. Il Cielo interviene fidandosi del coraggio creativo di quest’uomo, che giungendo a Betlemme e non trovando un alloggio dove Maria possa partorire, sistema una stalla e la riassetta, affinché diventi quanto più possibile un luogo accogliente per il Figlio di Dio che viene nel mondo (cfr Lc 2,6-7). Davanti all’incombente pericolo di Erode, che vuole uccidere il Bambino, ancora una volta in sogno Giuseppe viene allertato per difendere il Bambino, e nel cuore della notte organizza la fuga in Egitto (cfr Mt 2,13-14). V


Inserto a “Albino - Comunità viva” A una lettura superficiale di questi racconti, si ha sempre l’impressione che il mondo sia in balia dei forti e dei potenti, ma la “buona notizia” del Vangelo sta nel far vedere come, nonostante la prepotenza e la violenza dei dominatori terreni, Dio trovi sempre il modo per realizzare il suo piano di salvezza. Anche la nostra vita a volte sembra in balia dei poteri forti, ma il Vangelo ci dice che ciò che conta, Dio riesce sempre a salvarlo, a condizione che usiamo lo stesso coraggio creativo del carpentiere di Nazaret, il quale sa trasformare un problema in un’opportunità anteponendo sempre la fiducia nella Provvidenza. Se certe volte Dio sembra non aiutarci, ciò non significa che ci abbia abbandonati, ma che si fida di noi, di quello che possiamo progettare, inventare, trovare. Si tratta dello stesso coraggio creativo dimostrato dagli amici del paralitico che, per presentarlo a Gesù, lo calarono giù dal tetto (cfr Lc 5,17-26). La difficoltà non fermò l’audacia e l’ostinazione di quegli amici. Essi erano convinti che Gesù poteva guarire il malato e «non trovando da qual parte farlo entrare a causa della folla, salirono sul tetto e, attraverso le tegole, lo calarono con il lettuccio davanti a Gesù nel mezzo della stanza. Vedendo la loro fede, disse: “Uomo, ti sono perdonati i tuoi peccati”» (vv. 19-20). Gesù riconosce la fede creativa con cui quegli uomini cercano di portargli il loro amico malato. Il Vangelo non dà informazioni riguardo al tempo in cui Maria e Giuseppe e il Bambino rimasero in Egitto. Certamente però avranno dovuto mangiare, trovare una casa, un lavoro. Non ci vuole molta immaginazione per colmare il silenzio del Vangelo a questo proposito. La santa Famiglia dovette affrontare problemi concreti come tutte le altre famiglie, come molti nostri fratelli migranti che ancora oggi rischiano la vita costretti dalle sventure e dalla fame. In questo senso, credo che San Giuseppe sia davvero uno speciale patrono per tutti coloro che devono lasciare la loro terra a causa delle guerre, dell’odio, della persecuzione e della miseria. Alla fine di ogni vicenda che vede Giuseppe come protagonista, il Vangelo annota che egli si alza, prende con sé il Bambino e sua madre, e fa ciò che Dio gli ha ordinato (cfr Mt 1,24; 2,14.21). In effetti, Gesù e Maria sua Madre sono il tesoro più prezioso della nostra fede. Nel piano della salvezza non si può separare il Figlio dalla Madre, da colei che «avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col VI

Figlio sino alla croce». Dobbiamo sempre domandarci se stiamo proteggendo con tutte le nostre forze Gesù e Maria, che misteriosamente sono affidati alla nostra responsabilità, alla nostra cura, alla nostra custodia. Il Figlio dell’Onnipotente viene nel mondo assumendo una condizione di grande debolezza. Si fa bisognoso di Giuseppe per essere difeso, protetto, accudito, cresciuto. Dio si fida di quest’uomo, così come fa Maria, che in Giuseppe trova colui che non solo vuole salvarle la vita, ma che provvederà sempre a lei e al Bambino. In questo senso San Giuseppe non può non essere il Custode della Chiesa, perché la Chiesa è il prolungamento del Corpo di Cristo nella storia, e nello stesso tempo nella maternità della Chiesa è adombrata la maternità di Maria. Giuseppe, continuando a proteggere la Chiesa, continua a proteggere il Bambino e sua madre, e anche noi amando la Chiesa continuiamo ad amare il Bambino e sua madre. Questo Bambino è Colui che dirà: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Così ogni bisognoso, ogni povero, ogni sofferente, ogni moribondo, ogni forestiero, ogni carcerato, ogni malato sono “il Bambino” che Giuseppe continua a custodire. Ecco perché San Giuseppe è invocato come protettore dei miseri, dei bisognosi, degli esuli, degli afflitti, dei poveri, dei moribondi. Ed ecco perché la Chiesa non può non amare innanzitutto gli ultimi, perché Gesù ha posto in essi una preferenza, una sua personale identificazione. Da Giuseppe dobbiamo imparare la medesima cura e responsabilità: amare il Bambino e sua madre; amare i Sacramenti e la carità; amare la Chiesa e i poveri. Ognuna di queste realtà è sempre il Bambino e sua madre.

6. Padre lavoratore Un aspetto che caratterizza San Giuseppe e che è stato posto in evidenza sin dai tempi della prima Enciclica sociale, la Rerum novarum di Leone XIII, è il suo rapporto con il lavoro. San Giuseppe era un carpentiere che ha lavorato onestamente per garantire il sostentamento della sua famiglia. Da lui Gesù ha imparato il valore, la dignità e la gioia di ciò che significa mangiare il pane frutto del proprio lavoro. In questo nostro tempo, nel quale il lavoro sembra essere tornato a rappresentare un’urgente questione sociale e la disoccupazione raggiunge talora livelli impressionanti, anche in quelle nazioni dove per decenni si è vissuto un certo benessere, è necessa-


PATRIS CORDE rio, con rinnovata consapevolezza, comprendere il significato del lavoro che dà dignità e di cui il nostro Santo è esemplare patrono. Il lavoro diventa partecipazione all’opera stessa della salvezza, occasione per affrettare l’avvento del Regno, sviluppare le proprie potenzialità e qualità, mettendole al servizio della società e della comunione; il lavoro diventa occasione di realizzazione non solo per sé stessi, ma soprattutto per quel nucleo originario della società che è la famiglia. Una famiglia dove mancasse il lavoro è maggiormente esposta a difficoltà, tensioni, fratture e perfino alla tentazione disperata e disperante del dissolvimento. Come potremmo parlare della dignità umana senza impegnarci perché tutti e ciascuno abbiano la possibilità di un degno sostentamento? La persona che lavora, qualunque sia il suo compito, collabora con Dio stesso, diventa un po’ creatore del mondo che ci circonda. La crisi del nostro tempo, che è crisi economica, sociale, culturale e spirituale, può rappresentare per tutti un appello a riscoprire il valore, l’importanza e la necessità del lavoro per dare origine a una nuova “normalità”, in cui nessuno sia escluso. Il lavoro di San Giuseppe ci ricorda che Dio stesso fatto uomo non ha disdegnato di lavorare. La perdita del lavoro che colpisce tanti fratelli e sorelle, e che è aumentata negli ultimi tempi a causa della pandemia di Covid-19, dev’essere un richiamo a rivedere le nostre priorità. Imploriamo San Giuseppe lavoratore perché possiamo trovare strade che ci impegnino a dire: nessun giovane, nessuna persona, nessuna famiglia senza lavoro!

7. Padre nell’ombra Lo scrittore polacco Jan Dobraczyński, nel suo libro L’ombra del Padre, ha narrato in forma di romanzo la vita di San Giuseppe. Con la suggestiva immagine dell’ombra definisce la figura di Giuseppe, che nei confronti di Gesù è l’ombra sulla terra del Padre Celeste: lo custodisce, lo protegge, non si stacca mai da Lui per seguire i suoi passi. Pensiamo a ciò che Mosè ricorda a Israele: «Nel deserto […] hai visto come il Signore, tuo Dio, ti ha portato, come un uomo porta il proprio figlio, per tutto il cammino» (Dt 1,31). Così Giuseppe ha esercitato la paternità per tutta la sua vita. Padri non si nasce, lo si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui. Tutte le volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in un certo senso esercita la paterni-

tà nei suoi confronti. Nella società del nostro tempo, spesso i figli sembrano essere orfani di padre. Anche la Chiesa di oggi ha bisogno di padri. È sempre attuale l’ammonizione rivolta da San Paolo ai Corinzi: «Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri» (1 Cor 4,15); e ogni sacerdote o vescovo dovrebbe poter aggiungere come l’Apostolo: «Sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo» (ibid.). E ai Galati dice: «Figli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché Cristo non sia formato in voi!» (4,19). Essere padri significa introdurre il figlio all’esperienza della vita, alla realtà. Non trattenerlo, non imprigionarlo, non possederlo, ma renderlo capace di scelte, di libertà, di partenze. Forse per questo, accanto all’appellativo di padre, a Giuseppe la tradizione ha messo anche quello di “castissimo”. Non è un’indicazione meramente affettiva, ma la sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso. La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è veramente amore. L’amore che vuole possedere, alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici. Dio stesso ha amato l’uomo con amore casto, lasciandolo libero anche di sbagliare e di mettersi contro di Lui. La logica dell’amore è sempre una logica di libertà, e Giuseppe ha saputo amare in maniera straordinariamente libera. Non ha mai messo sé stesso al centro. Ha saputo decentrarsi, mettere al centro della sua vita Maria e Gesù. La felicità di Giuseppe non è nella logica del sacrificio di sé, ma del dono di sé. Non si percepisce mai in quest’uomo frustrazione, ma solo fiducia. Il suo persistente silenzio non contempla lamentele ma sempre gesti concreti di fiducia. Il mondo ha bisogno di padri, rifiuta i padroni, rifiuta cioè chi vuole usare il possesso dell’altro per riempire il proprio vuoto; rifiuta coloro che confondono autorità con autoritarismo, servizio con servilismo, confronto con oppressione, carità con assistenzialismo, forza con distruzione. Ogni vera vocazione nasce dal dono di sé, che è la maturazione del semplice sacrificio. Anche nel sacerdozio e nella vita consacrata viene chiesto questo tipo di maturità. Lì dove una vocazione, matrimoniale, celibataria o verginale, non giunge alla maturazione del dono di sé fermandosi solo alla logica del sacrificio, allora invece di farsi segno della bellezza e della gioia dell’amore rischia di esprimere infelicità, tristezza e frustrazione. La paternità che rinuncia alla tentazione di vivere la vita dei figli spalanca sempre spazi all’inedito. Ogni VII


figlio porta sempre con sé un mistero, un inedito che può essere rivelato solo con l’aiuto di un padre che rispetta la sua libertà. Un padre consapevole di completare la propria azione educativa e di vivere pienamente la paternità solo quando si è reso “inutile”, quando vede che il figlio diventa autonomo e cammina da solo sui sentieri della vita, quando si pone nella situazione di Giuseppe, il quale ha sempre saputo che quel Bambino non era suo, ma era stato semplicemente affidato alle sue cure. In fondo, è ciò che lascia intendere Gesù quando dice: «Non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste» (Mt 23,9). Tutte le volte che ci troviamo nella condizione di esercitare la paternità, dobbiamo sempre ricordare che non è mai esercizio di possesso, ma “segno” che rinvia a una paternità più alta. In un certo senso, siamo tutti sempre nella condizione di Giuseppe: ombra dell’unico Padre celeste, che «fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45); e ombra che segue il Figlio. *** «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre» (Mt 2,13), dice Dio a San Giuseppe. Lo scopo di questa Lettera Apostolica è quello di accrescere l’amore verso questo grande Santo, per essere spinti a implorare la sua intercessione e per imitare le sue virtù e il suo slancio. Infatti, la specifica missione dei Santi è non solo quella di concedere miracoli e grazie, ma di intercedere per noi davanti a Dio, come fecero Abramo e Mosè, come fa Gesù, «unico mediatore» (1 Tm 2,5), che presso Dio Padre è il nostro «avvocato» (1 Gv 2,1), «sempre vivo per intercedere in [nostro] favo-

re» (Eb 7,25; cfr Rm 8,34). I Santi aiutano tutti i fedeli «a perseguire la santità e la perfezione del proprio stato». La loro vita è una prova concreta che è possibile vivere il Vangelo. Gesù ha detto: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29), ed essi a loro volta sono esempi di vita da imitare. San Paolo ha esplicitamente esortato: «Diventate miei imitatori!» (1 Cor 4,16). San Giuseppe lo dice attraverso il suo eloquente silenzio. Davanti all’esempio di tanti Santi e di tante Sante, Sant’Agostino si chiese: «Ciò che questi e queste hanno potuto fare, tu non lo potrai?». E così approdò alla conversione definitiva esclamando: «Tardi ti ho amato, o Bellezza tanto antica e tanto nuova!». Non resta che implorare da San Giuseppe la grazia delle grazie: la nostra conversione. A lui rivolgiamo la nostra preghiera: Salve, custode del Redentore, e sposo della Vergine Maria. A te Dio affidò il suo Figlio; in te Maria ripose la sua fiducia; con te Cristo diventò uomo. O Beato Giuseppe, mostrati padre anche per noi, e guidaci nel cammino della vita. Ottienici grazia, misericordia e coraggio, e difendici da ogni male. Amen. Roma, presso San Giovanni in Laterano, 8 dicembre, Solennità dell’Immacolata Concezione della B.V. Maria, dell’anno 2020, ottavo del mio pontificato. Francesco


ALTRI MONDI

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Dal diario di Padre Giovanni Carrara Bujumbura (Burundi) Mercoledì santo era l’inizio del mese, tutti gli ammaccati della zona vengono a trovarmi. Sandrina è stata investita da una moto mentre andava a scuola ,18 anni, orfana, ho dovuto pagarle ospedale e cure. Giovannina mamma Mutwa (pigmea) ha sempre qualche bambino malato (il marito chi è’?), ogni mese un aiuto. Alice, causa diabete e piaghe varie ha dovuto essere amputata ai due piedi, i parenti l’hanno abbandonata. Sara, la vecchietta che dice di avere 100 anni, domenica è venuta alla messa con un grosso fagotto sulla schiena, certo non era un bebè, portava tutti i suoi averi, qualche vestito, se no glieli rubano ancora. Come entro in chiesa trovo un’altra decina di fedeli che vogliono confessarsi, l’altra sera eravamo in 6 preti, io ne ho assolti 180 in tre ore, per non finire tardi nella notte. Grande è la sua misericordia, qualche volta mi gira la testa e il cuore sbatte, ma il Signore sulla croce mi guarda, lui non si è stancato di perdonare, anche a me. Grazie Signore. Buon tempo di Pasqua, amici miei. vostro Giovanni

LIBRI ALBINESI L’INQUIETO SEICENTO ALBINESE

Dopo la biografia su Giovan Battista Moroni l’uomo e l’artista Giampiero Tiraboschi condensa, in un nuovo libro, anni di ferie e giorni settimanali passati negli archivi di mezza Italia a decifrare manoscritti. Fa rivivere tantissimi albinesi di tutti i tipi del secolo successivo al Moroni; anche un altro pittore, che merita fama, Giovan Battista Spinelli, e un medico, Raffaello Carrara, a cui è intitolata la via “Aquada”. Fa parlare, inoltre, quanto resta visibile del seicento albinese: case, strade, cose. Il libro si può trovare in biblioteca al prezzo stracciato di 10 €, prezzo degno di vari mercanti albinesi dell’epoca, “i falicc de Albì”.

LUDENDO DOCET

Un volume di 400 pagine documenta la storia del teatro filodrammatico dell’oratorio di Albino, che è parte viva della storia dell’oratorio stesso: il “Ludendo docet” (Giocando insegna) campeggiava sul proscenio del teatrino di don Cristoforo Rossi. Il volume è frutto del lavoro competente, certosino e appassionato di Graziella Dolli Cuminetti, custode della memoria del marito Benvenuto, esperto e docente di teatro, e del suocero Battista Cuminetti. Sarà disponibile, presso la biblioteca comunale, ai primi di maggio al costo di 35 €.

Aprile 2021


I 28 CRESIMATI DI SABATO 17 APRILE 2021

Foto Breda - Albino

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Finalmente la Cresima! Fine di un percorso, inizio del cammino nella comunità cristiana adulta per tanti ragazzi e ragazze. Nelle giornate di sabato 17 e domenica 18 aprile, il delegato del vescovo mons. Patrizio Rota Scalabrini ha presieduto le due celebrazioni nelle quali i ragazzi e le ragazze dell’annata 2007 hanno ricevuto il sacramento della Confermazione. È giunto così a compimento un itinerario, un po’ tortuoso, iniziato 3 anni fa e che per i noti problemi causati dalla pandemia, si è prolungato di quasi un anno rinvio dopo rinvio. Questa situazione non facile ha però messo in luce la tenacia, l’affidabilità e la perseveranza dei cresimandi, accompagnati dalle loro famiglie, nel portare a termine il percorso iniziato e ha fatto scoprire sia a noi catechisti sia ai sacerdoti al-

cune loro caratteristiche che in altre occasioni non erano emerse. Il Covid-19 ha impedito di vivere alcune delle esperienze che solitamente si svolgevano con i cresimandi (in particolare il pellegrinaggio ad Assisi e la veglia allo Spirito Santo) e ha modificato la modalità di svolgimento di altri momenti significativi della preparazione al sacramento. La settimana prima del rito si è svolta la novena allo Spirito Santo vissuta con una preghiera on-line serale che ha visto la partecipazione anche di numerosi genitori, padrini e madrine. Come nei periodi difficili o di crisi si è fatto tanta fatica però, non tutto è stato negativo, si è riusciti a valorizzare di più l’essenziale, senza dare sempre tutto per scontato, e ad assaporare il piacere dei momenti passati

insieme in chiesa, unico spazio abbastanza ampio per mantenere il distanziamento. Lo spostamento di un anno e forse anche le modalità diverse di incontro, hanno reso i ragazzi e le ragazze più consapevoli e convinti di cosa significhi ricevere lo Spirito Santo con i suoi doni, in un periodo di passaggi significativi per la loro vita, che ha comportato la scelta della scuola futura e la preparazione per il primo vero esame della loro vita. La maggiore maturità e riflessione interiore è stata manifestata anche nei pensieri profondi presenti nelle lettere che sono state consegnate al parroco per chiedere il sacramento. Il contenuto e le riflessioni personali presenti in questi scritti hanno colpito molto in modo positivo tant’è vero che nell’ultimo mese


I 27 CRESIMATI DI DOMENICA 18 APRILE 2021

don Giuseppe ha spesso fatto riferimento o citato, in varie occasioni, alcuni passi delle lettere così come il delegato ne ha fatto cenno e parlato durante le omelie. Noi catechisti ci uniamo agli auspici di mons. Patrizio e auguriamo a tutte le ragazze e a tutti i ragazzi di portare a compimento quanto espresso nelle lettere e di essere capaci di assumersi la fatica di superare i propri limiti, attraverso l’allenamento alla scuola dello Spirito Santo, reinterpretando nella vita di fede il motto delle olimpiadi: “Più veloce!, più in alto!, più forte!” Un particolare ringraziamento, dagli altri catechisti e dai sacerdoti, a Daniela e Denise che hanno messo a disposizione molto del loro tempo e tanto impegno anche per mantenere i contanti e le relazioni a distanza con le famiglie. I catechisti di 3A

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Sabato 17 e Domenica 18 aprile, nella Prepositurale di San Giuliano, mons. Patrizio Rota Scalabrini ha amministrato la Cresima a questi nostri 55 ragazzi... Alessia Signori, Alice Bernini, Alice Noris, Amos Pecis, Andrea Magri, Anna Acerbis, Anna Carrara, Aurora Birolini, Chiara Gualandris, Clelia Capelli, Corrado Capelli, Cristian Biffi, Davide Laudicina, Diego Testa, Elisa Gotti, Emanuele Selvinelli, Emma Signori, Emmanuel Agyekum, Federica Valle, Federico Bergamelli, Federico Marini, Federico Pierucci, Federico Vimercati, Filippo Bergamelli, Filippo Dotti, Francesca Ceria, Francesco Brignoli, Giada Testa, Giorgia Ambrosini, Giorgia Mostosi, Giulia Barcella, Giulio Bezzetto, Jasmine Xhufelaj, Marcello Spinelli, Marco Belotti, Maria Canfer, Maria Rocca, Marina Benintendi, Marta Piazzini, Martina Birolini, Mateo Goli, Matteo Moioli, Mattia Filisetti, Mattia Marrocu, Sara Descolari, Sara Milesi, Sara Nodari, Sofia Francica, Sofia Zilioli, Tommaso Carrara, Tommaso Ghilardi, Tommaso Nicoli, Tommaso Rottigni, Viola Buttironi, Viola Mariani.

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VITA PARROCCHIALE RELAZIONE ANNO 2020 CPAC

CENTRO DI PRIMO ASCOLTO E COINVOLGIMENTO Nell’anno 2020 è continuata l’attività del CPAC interparrocchiale di Albino. MEMBRI Fanno parte del CPAC una dozzina di persone. Dobbiamo un vivo ringraziamento a Graziella e Paola, che dopo più di 25 anni di servizio, svolto con piena dedizione e competenza, hanno lasciato il gruppo. Nuove risorse umane sono giunte con Elisabetta, Silvana, Paola e Fabrizio: la loro disponibilità, oltre a garantire una rotazione per l’ascolto, permette di attivare la piattaforma informatica richiesta dalla Caritas Diocesana di Bergamo. LA SEDE La sede del CPAC è ancora Casa Clara. La casa quest’anno è stata utilizzata 15 giorni per accogliere un infermiere dell’ospedale di Alzano, nel periodo di quarantena. Come opera-segno c’è la necessità di una riflessione sulle prospettive del suo utilizzo. La casa necessita ancora di qualche intervento strutturale per dotarla dei criteri di sicurezza e per un risparmio energetico. C’è da dire che quest’anno il CPAC non ha ricevuto il contributo dell’autotassazione parrocchiale di Albino e della apposita cassetta posta nella chiesa di S.Giuliano, perché c’è stato un importante intervento per il rifacimento del tetto della stessa Casa Clara a spese del bilancio parrocchiale. La Provvidenza come sempre non manca e si manifesta con le donazioni piccole o grandi di alcuni parrocchiani e abbiamo delle risorse di riserva che ci permettono di guardare in modo positivo al futuro. Cogliamo qui l’occasione per ringraziare l’associazione “Lo Scoiattolo” per aver deciso di devolvere al CPAC il ricavato della vendita dell’«ALBIN’OCA», il bellissimo gioco da tavolo ideato e realizzato con Damiano Nembrini! QUANDO È APERTA LA SEDE La sede è aperta il primo e il terzo sabato del mese, per ricevere gli utenti dalle 9.30 alle 11.30. Sono sempre presenti due membri del CPAC. Nel tempo della chiusura totale per la pandemia da Covid 19 la sede è stata chiusa, ma è stato comunque attivo il servizio telefonico che ha permesso di rispondere ad alcune richieste. Da settembre a dicembre la sede è stata però aperta tutti i sabati mattina anche per valutare, raccogliere e inviare alla Caritas di Bergamo le richieste per i contributi del progetto NESSUNO RESTI INDIETRO. I membri del CPAC si ritrovano ogni mercoledì successivo ai sabati in cui si fa ASCOLTO, valutano le richieste degli utenti che si sono presentati il sabato precedente e decidono come muoversi per soddisfare al meglio e quanto prima i bisogni conosciuti. GLI UTENTI DEL CPAC Alcuni dati sulle persone che si sono rivolte al Centro. - sono quasi tutte residenti nel Comune di Albino; - alcune non sono venute personalmente ma ci sono state riferite necessità urgenti (un forno microonde, una lavatrice, ...) e si è riusciti a provvedere;

- 52 sono venute personalmente, di cui 28 donne e 24 uomini; - 29 persone erano già note al CPAC, mentre 23 non avevano mai usufruito del servizio e sono venute su consiglio di conoscenti o inviate dal Comune; - di queste 52 persone, 17 sono italiane (residenti su tutto il territorio comunale, perché il CPAC é interparrocchiale), 12 provengono dal Marocco, 13 sono di diverse nazionalità del continente africano, per lo più del Senegal, le altre da Sud America, Romania, Albania, Kosovo, Ucraina; - 26 hanno almeno un figlio minorenne; - una decina sono donne sole con figli minorenni, solo un uomo è senza partner ed ha un figlio minorenne. Questo conferma che in situazioni di divorzio, separazione o comunque di difficoltà, sono le donne che hanno il ruolo più determinante nell’accudire ed educare i figli; - quasi tutti sono disoccupati, alcuni hanno un contratto di lavoro di poche ore settimanali o svolgono solo lavoretti saltuari; - 5 sono disabili o con figli con disabilità. PERCHÉ LE PERSONE SI SONO RIVOLTE AL CPAC I motivi sono diversi: - alcuni in particolare, ma tutti in generale, hanno manifestato il bisogno di essere ascoltati. L’obiettivo primario del CPAC è proprio L’ASCOLTO della persona, che spesso non ha una rete familiare e sociale in cui sentirsi accolto, aiutato, stimolato. L’ascolto è faticoso perché spesso non ci sono soluzioni da dare, ma è di conforto vedere che non è inutile. Chi si è sentito ascoltato spesso se ne esce un po’ più sereno e molto spesso esprime la propria gratitudine; - 22 hanno chiesto il pagamento di bollette; - molti hanno chiesto di usufruire del progetto di sostegno NESSUNO RESTI INDIETRO, messo in campo dalla Caritas Bergamasca, progetto già ampiamente presentato nel numero di dicembre 2020 del Bollettino Parrocchiale; 22 utenti hanno beneficiato di questo progetto;


VITA PARROCCHIALE - 10 hanno chiesto un prestito e ne sono stati concessi senza interesse 3 a italiani e 4 a immigrati; - 4 hanno chiesto di essere inseriti nella lista di coloro che ricevono settimanalmente un pacco alimentare (CPAC può rispondere a questa richiesta grazie alla collaborazione con i volontari di Legami di Pane); - alcuni hanno chiesto degli abiti usati: in questi casi CPAC rilascia un biglietto con il proprio timbro, con il quale il richiedente si presenta dalle volontarie che ne gestiscono la raccolta presso la sede condivisa con Legami di pane (palazzo ex Acli); - alcuni hanno chiesto un contributo per spese alimentari, o di trasporto, o mediche; - 2 persone hanno chiesto un aiuto economico per poter frequentare il corso di OSS, Operatore Socio Sanitario, in modo da acquisire la formazione necessaria per un lavoro stabile e dignitoso: è questo uno dei contributi che vengono erogati più volentieri perché costituiscono un vero investimento per il futuro QUALI SONO LE FRAGILITÀ PRIMARIE RISCONTRATE Anche quest’anno è emerso chiaramente che le problematiche principali sono relative al tema del LAVORO e della CASA, temi diventati ancora più scottanti e di difficile soluzione in questi mesi toccati dalla pandemia da Covid 19. Tante le persone che si sono trovate in difficoltà economiche o che hanno ulteriormente peggiorato la loro situazione già critica. Poiché anche in Albino diverse persone hanno perso il posto di lavoro, molti si sono adattati svolgendo altri ruoli, quali assistere gli anziani (come badanti) o facendo lavoretti saltuari, togliendo a loro volta il lavoro ad altri che erano già in difficoltà. Per quanto riguarda il tema della casa in Albino ci sono molte case sfitte e molte il cui affitto di mercato non è sostenibile per le famiglie dove nessuno ha un lavoro a tempo indeterminato. Purtroppo, se non si trovano soluzioni a questi due problemi, ogni forma di intervento del CPAC finisce per ridursi a un mero rimedio temporaneo. Un’altra fragilità importante riguarda invece l’ATTEGGIAMENTO che alcune persone, da tempo in difficoltà, hanno assunto, più o meno consapevolmente. Sembrano rassegnate a una vita di sussistenza, resa possibile dall’aiuto del Comune e/o della Caritas e faticano a lasciarsi coinvolgere nella ricerca di una diversa modalità di superamento delle loro difficoltà. 2 utenti però hanno accettato le proposte di CPAC: uno fa un servizio di pulizia del Cinema, servizio purtroppo interrotto per il Covid 19; un altro, grazie alla collaborazione con il Comune, svolge il servizio di assistenza all’attraversamento degli scolari. IL LAVORO DI RETE È molto importante sottolineare che il CPAC ha un’intensa attività di collaborazione con la Caritas diocesana, con il gruppo dei volontari di Legami di pane e con le Assistenti Sociali del Comune di Albino. Una volontaria del CPAC ha contatti telefonici quotidiani e un incontro fisso settimanale con loro. Questo ha permesso di non disperdere le energie e di concordare interventi più mirati ai bisogni delle persone. SI È SCIOLTO IL COORDINAMENTO CARITAS Per questa ragione e per sensibilizzare la gente alla lettura dei testi di Papa Francesco, abbiamo ritenuto opportuno acquista-

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re 200 copie dell’Enciclica “Fratelli tutti”, che abbiamo collocato all’uscita dalla chiesa parrocchiale: queste copie sono state esaurite in 15 giorni. Si pensa di fare una simile operazione per l’Enciclica “Laudato si’ “. GOCCE NEL MARE Il lavoro del CPAC offre solo un piccolo contributo alle persone in condizioni di bisogno, solo alcune gocce in un mare in tempesta, ma dove continua la condivisione di intenti e di risorse, c’è speranza, sostenuti dalla certezza che è Dio a guidare i nostri passi. BILANCIO 2020 CPAC

ENTRATE

importo

- Diventiamo prossimo e offerte

€ 6.215,00

- Cassetta della chiesa

215,00

- Saldo attivo di estinzione conto corrente Coordinamento Caritas (dopo 2.000 euro versati a don Gianluca)

448,50

- Rimborsi prestiti

€ 1.848,60

Totale entrate

€ 8.727,10

USCITE PER AIUTO ALLE PERSONE

importo

- Prestiti

640,00

- Bollette per utenze domestiche

€ 5.770,54

- Affitti

€ 1.610,00

- Documenti

310,00

- Scuola

210,00

- Altro (fra cui 476 per acquisto Enciclica)

955,89

Totale uscite per aiuti alle persone

€ 9.496,43

USCITE PER GESTIONE

importo

- Gestione CPAC e “Casa Clara”

€ 1.162,55

- Tinteggiatura “Casa Clara”

€ 2.475,00

- Spese di banca

Totale uscite per gestione

€ 3.840,38

TOTALE USCITE

€ 13.336,81

TOTALE ENTRATE

€ 8.727,10

Sbilancio 2020

€ 4.609,71

202,83

Lo sbilancio è stato ripianato con i fondi di riserva del CPAC, che permettono di guardare con ottimismo ai prossimi anni.

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ARTE

Rappresentazioni della Visitazione Più vicine al Moroni possono essere la Visitazione di Carpaccio, 1504-1508, olio su tela, ora alla Galleria Franchetti della Ca’ d’Oro di Venezia o l’affresco del Lotto alla chiesa di San Michele al Pozzo bianco, a Bergamo, del 1525. Questa è anch’essa commissionata da una congregazione religiosa costituitasi per rispondere all’invasione della città da parte di poveri creati da guerre e carestie (Costanza Barbieri, Specchio di virtù, ed. Lubrina 2000): “le masse di affamati vengono sostentate dagli istituti di carità, associazioni spontanee spesso guidate dai frati francescani o domenicani che rispondono alla duplice esigenza del mantenimento dell’ordine sociale e dell’esercizio spirituale. Alla creazione di queste istituzioni morali e assistenziali contribuisce in maniera determinante la predicazione dei Francescani Osservanti che svolgono un’azione di sensibilizzazione ai problemi del pauperismo, propagandato come una vera e propria medicina spirituale. I predicatori affrontano spesso e con accenti realistici il problema del rapporto fra moralità e ricchezza, soffermandosi sulla necessità di soccorrere gli indigenti quale doveroso tributo di chi possiede più del bisogno. Si fornisce così una implicita giustificazione della ricchezza attraverso la valorizzazione delle potenzialità assistenziali e caritatevoli del benefattore”. Un altro precedente pittorico, di “eccentricità manifesta” e difficile da interpretare (A. Natoli, Luoghi dell’infinito-Avvenire, dicembre 2020), è la Visitazione di Carmignano (Prato) ad opera del Pontormo, nel 1528-1530, con quattro figure femminili intrecciate e ammantate di sete dai colori brillanti.

I colori delle due figure moroniane sono colori tradizionali, soprattutto quelli di Maria: il mantello azzurro simboleggiava la vita celeste, la speranza, l’adesione alla volontà di Dio; il colore rosso del vestito lo Spirito Santo, la presenza di Dio; il bianco l’immacolatezza. In quasi tutte le rappresentazioni di Maria nei dipinti del Moroni, poco più di una ventina, tali sono i colori usati,

La Visitazione nell’arte. Da sinistra, particolari dei dipinti del Lotto, del Pontormo e del Moroni


UN LIBRO

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IN VISTA DEL RITORNO DELLO STENDARDO DELLA VISITAZIONE O DEL MAGNIFICAT

Ravasi indaga le sette parole di Maria

Le operaie dello stabilimento Honegger del 1906-1907

fatta salva un’eccezione, o due. Per Moroni i colori non sono un pretesto per cromatismi. Il bianco compare anche su Elisabetta, nel particolare veristico del grembiule di una donna di casa albinese, avvolta in ruvidi panni. Nessun segno regale in Maria, nella Visitazione, non un angioletto che le sospenda una corona sul capo. Le stoffe non paiono di seta, salvo che nel capricapo, proprio delle donne sposate in tante tradizioni; il vestito di Maria e di Elisabetta, lungo fino a terra, come d’uso, appare di lana; sono panni lana albinesi. Moroni in questa tarda opera non è l’artigiano-pittore al servizio dei potenti e dei ricchi di Albino. La Visitazione rappresenta la benignità dell’incontro di due donne in cui i semplici osservatori albinesi potevano e possono specchiarsi, e, pur nell’anonimato, rafforzare la loro povera e nuda fede. La Visitazione appare il suo capolavoro sia sacro, sia ritrattistico. È il canto del Magnificat, canto dei “poveri di Gerusalemme” (card. Ravasi), sullo sfondo grigio della storia, canto di due umili donne albinesi, magari canto di operaie albinesi del 1906-1907, espresso come un coro a bocca chiusa o almeno sottovoce.

Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio della cultura, ha riversato la sua sapienza di biblista e la sua sensibilità artistica (è anche presidente della Pontificia commissione di archeologia sacra) in un piccolo libro dedicato a Maria, una summula di teologica devozione e di competenza pluridisciplinare: Le sette parole di Maria (EDB, Edizioni Dehoniana, Bologna 2020, pp. 152, euro 12). Il titolo è un trasparente ricalco della “Sette parole di Cristo in Croce” che hanno appassionato gli esegeti e ispirato una schiera di musicisti guidati dal vessillifero Joseph Haydn, fra i quali vanno citati almeno Mercadante, Gounod, Perosi, Dvorak, MacMillan. Come avverte Ravasi, Maria parla poco nei Vangeli, soltanto in 16 versetti, per un totale di 154 parole greche, delle quali ben 102 sono occupate dal Magnificat. Stando ai testi, le frasi di Maria sono propriamente sei: due all’annunciazione dell’arcangelo Gabriele, una nella visita a Elisabetta (il Magnificat, appunto), una al ritrovamento del Figlio nel tempio fra i dottori, due alle nozze di Cana. Ma il cardinale ne ha aggiunto una settima, cioè il silenzio assertivo della Madonna sul Calvario, quando Gesù la rende madre della Chiesa, al momento rappresentata dal discepolo Giovanni. Ravasi non cita soltanto biblisti, ma anche Lutero, poeti come Claudel e Caproni, Mazzolari, scrittori come Sandro Veronesi e Laura Bosio. Qui non possiamo però addentrarci nel folto di tutte le argomentazioni ravasiane. Nel commento al Magnificat, per esempio, «non c’è solo l’esaltazione dell’autentica povertà e della premura che la comunità cristiana deve avere nei confronti degli umili, degli affamati, dei deboli. C’è soprattutto una forte speranza nell’azione di Dio, descritto da Maria nella triade dei suoi attributi trascendenti, cioè potenza, santità e misericordia». L’inno di Maria nella casa di Elisabetta non è una silloge di citazioni della Scrittura bensì, su un “palinsesto biblico”, la Madonna riepiloga la storia della salvezza dei secoli precedenti e per i secoli futuri. Toccante è poi il parallelismo tra Maria, con il Figlio nel grembo, e la traslazione dell’Arca a Gerusalemme. Davide aveva esclamato: «Come potrà venire a me l’Arca del Signore?» ed Elisabetta replica la stessa domanda: «A che cosa devo che la madre del mio Signore venga a me?». In entrambi i casi il contesto è festoso, con Davide che danza davanti all’Arca, e Maria che esulta con Elisabetta mentre il Battista, nel grembo di sua madre, ha un sussulto gioioso. Imponente il numero di musicisti ispirati dal Magnificat: da Monteverdi, Vivaldi, Scarlatti, fino a Goffredo Petrassi che il cardinale ricorda per conoscenza personale, «sia pure mediata da dialoghi telefonici». Ben altro ci sarebbe da riferire sulle altre “parole” di Maria. Ma non possiamo fare a meno di applaudire almeno l’esegesi ravasiana dell’”ecce ancilla Domini” che non è soltanto autocoscienza di umiltà, bensì ricapitolazione in chiave cristologica dei “Servi del Signore”, da Abramo, Mosè, Giosuè, Davide fino al “Servo del Signore” per eccellenza, nei quattro canti del libro di Isaia. Cesare Cavalleri Avvenire, 17 giugno 2020

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PENSIERO GIOVANE

Paura e giustizia penale Questo è il titolo di una tesi di laurea in giurisprudenza ad opera di un giovane, con il sottotitolo: Analisi del rapporto tra paura, deterrenza e repressione nel concetto di populismo penale. L’uso che in questa trattazione si fa del termine “populismo” non si riduce all’identificazione di una “politica di bassa lega”, ma si riferisce al populismo penale, all’utilizzo strumentale del giustizialismo sbrigativo, dell’esaltazione della leadership personale e di tutte le pratiche manipolative del consenso con cui, negli ultimi anni, taluni movimenti e partiti hanno condotto la propria scalata al potere. Viene innanzitutto analizzato il rapporto tra paura e potere, i cui risvolti sono utili per capire il fondamento delle dinamiche di esclusione e criminalizzazione di intere categorie di soggetti, nonché per comprendere ciò che soggiace alle derive nazionaliste e razziste manifestatesi, nel corso deli ultimi anni, non solo in Europa. A tale scopo, senza identificare il populismo come un fenomeno che coinvolge esclusivamente le destre, si procede a descrivere alcuni meccanismi di reperimento del consenso e di manipolazione dell’opinione pubblica di cui sovente questi movimenti e partiti si sono serviti. Inoltre, si cerca di mettere in risalto i legami che intercorrono tra paura (individuale e collettiva), mass media e legittimazione politica, sia nel contesto elettorale, sia nel contesto delle riforme penali in tema di pubblica sicurezza e immigrazione. In conclusione, viene proposto un esempio del paradigma giustizialista, proprio del populismo penale, mediante l’analisi della recente riforma dell’istituto della legittima difesa e di altre fattispecie ad esso limitrofe. Delle ricche riflessioni di diritto, nelle oltre 150 pagine della tesi, estrapoliamo innanzitutto quelle sul ruolo dei mass media del produrre la paura: «La paura è un prodotto culturale: il suo oggetto viene rinvenuto, di volta in volta, laddove il senso comune – il luogo comune – trova una valida “fonte di pericolo”. Sia come “mediatori di cultura” sia come “modellatori del senso comune”, i mass media sono in grado di (ri)definire ciclicamente l’oggetto delle nostre paure e, dal punto di vista commerciale, orientare atteggiamenti economici in risposta a tali stimoli, come ad esempio l’acquisto di sistemi di sicurezza per le proprie abitazioni o strumenti – più propriamente armi – di protezione individuale. In ambito culturale, la “mutazione massmediale” segna il passaggio dall’uso della parola alle immagini, con un conseguente impoverimento delle capacità di elaborazione critica delle informazioni (sempre parziali): un processo di semplificazione il cui esito è costituito dall’impoverimento dei meccanismi di decodifica razionale, i quali vengono sostituiti da una decodifica emotiva. L’enfatizzazione di alcuni problemi sociali è finalizzata a far leva sulla sfera emozionale dell’elettorato che, pervaso da nuove incertezze, affida la propria incolumità alle istituzioni politiche. È comprensibile che, per conseguenza, programmi politici e campagne elettorali siano strutturati in modo tale da alimentare sensazioni di rischio in ordine a determinati problemi, da condizionare l’intensità di alcune risposte so-

ciali, e favorire l’accettazione collettiva di determinate risposte istituzionali. In breve, l’esercizio finalizzato e pervasivo del potere simbolico dei media da parte della politica fomenta i sentimenti d’insicurezza, di sfiducia e di vendetta sociale su argomenti delicati, come la salute, la criminalità e la giustizia. E tocchiamo il rapporto fra paura e populismo penale. «La paura, può avere un volto “negativo” e uno “positivo”: in quest’ultimo caso essa diventa una di quelle forze che tiene uniti politicamente gli uomini, incontrando il diritto penale come risposta politico-istituzionale, escogitata dalle società, per reagire alla paura. Su questo piano, la congiuntura tra paura e diritto penale – come meccanismo di attuazione del paradigma potere/soggezione – svolge tradizionalmente una duplice funzione: secondo la logica hobbesiana, in primo luogo a livello individuale, la pressione che la paura della pena (o punizione) esercita, si risolve nel concetto di deterrenza, per mezzo del quale è possibile omologare il comportamento di ciascuno ai valori della società di riferimento; in secondo luogo, a livello collettivo, la congiuntura tra paura e diritto penale svolge una funzione


SOCIETÀ rituale di riaffermazione dell’unità socio-culturale, attuata mediante l’individuazione di singoli soggetti o intere categorie di persone, di singole condotte o fenomeni diffusi, ritenuti dannosi o individuati come intollerabili fonti di pericolo per la collettività». È proprio in questo ambito che si può cominciare a parlare di populismo penale: come esito particolarissimo del rapporto tra paura e legislazione penale. Dalla rilevanza dell’utilizzo strumentale e retorico di una “eccedenza emotiva” popolare che misure penali vengono definite più o meno populiste . Si passa da una concezione costituzionale della sicurezza come bene pubblico, ad una concezione che la inquadra e la tratta come diritto individuale e si creano le condizioni per quel lento scivolamento dallo Stato sociale in Stato penale. «Le scelte politiche penali e di pubblica sicurezza che poggiano su tali istanze, in tanto sono populiste, in quanto danno seguito a contraddittori umori popolari (a loro volta sovraeccitati da media e propaganda politica), rinunciando alla propria originaria funzione, sostituendo deterrenza e intimidazione a obiettivi quali il trattamento delle cause della devianza e la riabilitazione. Ne consegue un radicale mutamento della fisionomia del diritto penale: un diritto penale segnato da una “biforcazione”: duramente repressivo nei confronti delle c.d. “classi pericolose”, tenute sotto controllo mediante la pressione della paura di pene severe, e al contempo mite e minuziosamente “garantista” nei confronti delle “classi meritevoli”». Nel caso della nuova legittima difesa, questa fisionomia è particolarmente evidente, non solo per via dell’inasprimento delle sanzioni previste dalle fattispecie correlate alla c.d. legittima difesa domiciliare, ma anche per l’aumento (quantomeno tentato) degli spazi di autotutela da parte dei cittadini, e il corrispettivo arretramento della gestione della

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coercizione, in funzione di protezione, da parte dello Stato. «In ossequio alla cultura dell’iper-individualismo e della de-istituzionalizzazione, nonché alla concezione di sicurezza come diritto individuale, il legislatore del 2019 ha preferito dare attuazione al “diritto a non avere paura” mediante l’ampliamento degli spazi di autotutela e la privatizzazione degli strumenti di sicurezza dei cittadini, liberi, questi ultimi, di rivolgersi al mercato per reperire (in una logica di consumo) i “prodotti” più idonei alla propria privata difesa. Sempre secondo questa logica di marketing politico, un altro carattere che appare evidente – non solo nella fisionomia della nuova legittima difesa – è l’utilizzo del diritto penale come risposta anticipatoria (se non anche “precognitiva”) a condotte indesiderate: una “logica del rischio” – ossia l’adozione di tecniche per anticipare la diagnosi di pericolosità – con cui il ben collaudato strumento della prevenzione, cioè la riduzione dei rischi noti e degli effetti prevedibili – e quindi prevenibili –, viene sostituita dalla precauzione, rivolta piuttosto a evitare rischi che ancora non si conoscono e, proprio per questo, preoccupano maggiormente. Nel caso particolare della nuova legittima difesa, questa logica precauzionale affiora dalle premesse che hanno portato alla novellazione dell’istituto, ossia le pressanti istanze di rassicurazione da paure riferite non solo al fenomeno criminale correlato ai furti in abitazione, ma anche al rischio di imputazioni a carico di coloro che, trovandosi nella condizione di “doversi difendere” da tali intrusioni, chiedono di essere tutelati nel loro “diritto a non avere paura”». La conclusione della tesi è quella di andare oltre la paura. E’ vero che evidenzia la difficoltà rappresentata dalla diffidenza nei confronti di ogni proposta che si distacchi dal paradigma securitario, la quale sottende un consolidato pensiero dominante che bolla tali proposte come “buoniste”, inutili o addirittura dannose per la pubblica sicurezza. Per andare oltre la paura è necessario introdurre strumenti culturali mediante i quali è possibile riconoscersi nella propria e nell’altrui vulnerabilità, aderendo al consorzio umano con una sensibilità che sottende la volontà – oltre alla necessità – di partecipazione sociale e comunitaria; una sensibilità culturale in grado di riconoscere quelle sofferenze. Inoltre, per questa via, è necessario dare nuova enfasi al concetto di eguaglianza, sia a livello interpersonale che di fronte alle istituzioni. Urge anche riorientare in senso democratico il concetto di tutela dei diritti: la tutela di un proprio diritto non comporta necessariamente l’esclusione di altri dal beneficio delle medesime tutele. A ben vedere, questi concetti coincidono con i principi e i valori, consacrati in Costituzione, che il sistema democratico è teso a tutelare ed attuare. In questo senso è giusto affermare che, se riletti in chiave “costituzionalmente orientata”, la medesima paura e i medesimi sentimenti che accompagnano derive populiste antidemocratiche, possono rappresentare strumenti altrettanto idonei alla riscoperta dei valori della democrazia. Di qui – a partire dall’istruzione, dal luogo di lavoro, dalla quotidianità dei rapporti interpersonali, fino alle apicali istituzioni di governo – riportare al centro del dibattito sociopolitico i valori fondanti della democrazia, gettando le basi per l’organizzazione di nuove forme d’inclusione, lo sviluppo del senso civico d’appartenenza e, con esso, del valore della legalità: questi sono i primi, indispensabili fattori di prevenzione della delinquenza». Per ulteriori approfondimenti ci si può rivolgere all’autore della tesi, laureato in giurisprudenza: Ruben Carrara.

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BREVI SOCIO-SANITARIE

In Sant’Anna la “Casa della comunità” o “Casa della salute”

Un rapido sondaggio fra persone qualificate ha portato a identificare, quale se più idonea ad Albino (per una Casa della salute), l’ex convento di Sant’Anna, in quanto è vicino alle linee di collegamento e ai parcheggi, e si può aggiungere vicino ad altri uffici socio-sanitari nella palazzina ATs, ex-Asl e Distretto, presso il ponte del Serio, in via Stazione 26. La parola ora agli amministratori comunali attenti a quanto decideranno parlamento, governo e regione, tenendo conto che l’ex-convento è proprietà di una immobiliare privata. (Prima Bergamo, 22-3-2021)

«Rsa centrali nel sistema di cura degli anziani»

Un contribuito al dibattito su una riforma del sistema socioassistenziale dedicato agli anziani è stato elaborato dalle maggiori associazioni coinvolte: hanno formulato proposte per la Commissione sulla riforma presso il Ministero della Salute. Le associazioni propongono di puntare a un ‘sistema’ di cure a lungo termine «dotato di finanziamenti adeguati e organici» e di «implementare modelli di prossimità fra residenzialità e territorio» anche grazie a prestazioni a domicilio da parte di équipe collegate a quelle dei servizi residenziali. Chiedono di «valorizzare le capacità e la struttura organizzativa delle Rsa» a supporto dei sistemi di cure primarie, per migliorare la presa in carico degli anziani. In conclusione, chiedono di ripensare, valorizzandolo, «il ruolo specifico delle Rsa nel continuum assistenziale, come elemento complementare e sinergico» delle cure territoriali, primarie, specialistiche e ospedaliere. (Avvenire, 1-4-2021)

Un libro

Un’inchiesta indipendente di Vittorio Agnoletto sulla pandemia Coronavirus, in Lombardia, Italia, Europa. Come ripensare un modello di sanità pubblica. Scrive Gianni Tognoni, medico e Segretario Generale del Tribunale Permanente dei Popoli: «Un libro (molto consigliabile perché racconta nel dettaglio la banalità del male che sta dietro la catastrofe della Lombardia “regione modello”) dice con il suo titolo, Senza Respiro, il perché una pandemia deve essere una scuola ed uno sguardo sul mondo globale, così da sentire ancor più forte l’urgenza di un cammino verso un servizio sanitario a misura delle nuove esigenze. L’introduzione fatta da Lula, il presidente brasiliano che nel suo governo ha cancellato la parola fame dal Brasile (… l’attuale presidente Bolsonaro la sta facendo rinascere…) riassume bene il significato locale e globale del titolo: “in ogni angolo del mondo, nonostante l’isolamento, vi è un grido che credo sarà sempre più impossibile tacitare, una risposta della società alle suppliche soffocate come quelle di George Floyd, vittima della violenza poliziesca negli Stati Uniti: vogliamo respirare, vogliamo respirare, vogliamo respirare…”».

Sanità: per cambiare la legge regionale

Giuseppe Remuzzi (dell’Istituto di ricerca Mario Negri) ha ribadito la necessità che i Distretti diventino più incisivi nella programmazione ed erogazione dei servizi del territorio, sottolineando inoltre che per un reale collegamento tra le cure primarie e l’ospedale diventa necessario inserire i medici di base tra gli organici della sanità regionale, proprio come i colleghi ospedalieri. Remuzzi ha poi rimarcato l’importanza delle “case della salute” o presidi poliambulatoriali di prossimità per portare cure e specialisti sull’uscio di casa dei cittadini. (L’Eco di Bergamo, 1-4-2021)


ASSOCIAZIONISMO

ACLI ALBINESI

Rubrica a cura del Circolo “Giorgio La Pira”

UN TULIPANO PER LA TURCHIA

nifestazioni che si stanno svolgendo ora nel loro Paese» ha dichiarato Chiara Volpato, responsabile nazionale del Coordinamento Donne Acli che ha proposto un’idea simbolica per testimoniare la vicinanza alle donne turche nella loro battaglia: «mettere un tulipano sulla pagina Facebook delle Acli e su quella di tutte noi. È il fiore simbolo del Paese e la sua fioritura avviene proprio tra fine marzo e i primi di aprile» ha concluso Volpato. L’iniziativa si rivolge a tutte le donne e agli uomini che intendono manifestare la propria condanna verso questa decisione.

“Non potrete cancellare in una notte anni di nostre lotte. Ritira la decisione, applica la Convenzione” così lo slogan delle donne turche dopo che il governo della Turchia ha annunciato che si ritirerà dalla Convenzione del consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Questo accordo internazionale è paradossalmente noto come Convenzione di Istanbul poiché ratificato nella città turca, promosso dal Consiglio d’Europa nel 2011 ed entrato in vigore nel 2014, per prevenire e combattere la violenza contro le donne, lo stupro coniugale e le mutilazioni genitali femminili. Le donne del Coordinamento Donne Acli, unitamente a tutta l’associazione, esprimono profondo sgomento e grande preoccupazione per la decisione presa da Ankara. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità in Turchia almeno il 40 per cento delle donne turche è vittima di violenza compiuta dal proprio partner, rispetto a una media europea del 25 per cento. «Riteniamo tale decisione inaccettabile per la vita delle donne turche e segno di un continuo e progressivo arretramento dei diritti delle donne che mai ci saremmo aspettate. Dichiariamo la nostra piena solidarietà alle donne della Turchia ed esprimiamo loro la nostra vicinanza nelle numerose ma-

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ASSURDITÀ

Leo Messi, argentino, calciatore del Barcellona, ha incassato 555 milioni di euro in quattro anni. Sono quasi 139 milioni all’anno. E 380.700 euro al giorno, sabato a domenica compresi. Roba da non crederci, se non fosse che la notizia è stata data dal prestigioso quotidiano spagnolo EL MUNDO. Succede anche questo nel nostro sistema. Viene da domandarci : è mai possibile che ciò avvenga di fronte a gente che non ha un posto di lavoro, o deve andare alla mensa dei poveri per riuscire a mangiare , scappa dalla propria Patria perchè perseguitato, ecc.ecc. È una vergogna e un’assurdità. Solo perché uno è bravo a dare dei calci ad un pallone. Ma purtroppo così va il mondo!

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ASSOCIAZIONISMO GENEROSITÀ

Era una riservata signora di Genova di 96 anni. Si chiamava Marisa Cavanna. È scomparsa il 9 dicembre scorso dopo aver preparato ogni cosa, persino il proprio necrologio. Vi salutava gli affetti di sempre, ringraziava i medici che l’avevano curata e ricordava la “lunga schiera “ di ex allievi. Si, perché fino alla pensione era stata professoressa di lettere. Non si era mai sposata e viveva piuttosto ritirata, molto religiosa, lontana dai giri mondani. È morta arrivando lucida fin quasi agli ultimi giorni. Nel testamento ha lasciato in beneficienza circa 25 milioni di euro a 16 enti. Non si conosce la provenienza esatta dei beni, ma si ipotizza siano state sostanze di famiglia. Chi la conosceva ne ricorda l’estrema riservatezza, in particolare in atti di beneficienza “da fare e di cui non parlare”. Val bene il detto: “Non sappia la sinistra ciò che fa la destra”.

COOPERATIVA

È nata sette anni fa, in un quartiere alla periferia di Roma, la cooperativa sociale “Il Piccolo Principe” che coinvolge almeno 200 persone, divise in più squadre. Giocano tutti, senza distinzione alcuna: normodotati e disabili, bambini e anziani, uomini e donne. Un progetto sportivo più che raro. Ci sono un educatore e un capitano per ogni squadra. Ogni giocatore non può segnare più di tre gol a partita e tutti hanno come scopo primario quello di far segnare chi non lo fa abitualmente. «L’obiettivo del calcio sociale – spiega un educatore e coordinatore del progetto – è creare un nodello di società più giusto, trasformando i campi di calcio in palestre di vita. I principi e i valori si esprimono attraverso il gioco del calcio inteso come metafora

della vita, creando così le basi per promuovere non solo i valori dell’accoglienza e del rispetto delle diversità, ma più in generale la corretta crescita della persona e un sano rapporto con la società».

UMANITÀ

Se la nostra società spesso ci appare negativa, talvolta succede il contrario. Ecco un esempio fra i tanti. Elisa Coviello, genovese, fa parte della comunità di Sant’Egidio. È volontaria da 15 anni ma è anche medico nel reparto di Ematologia all’ospedale San Martino, con alle spalle esperienze di comunità in Africa. In questo difficile periodo non ha mai smesso di darsi da fare per il prossimo. Sorride mentre prepara gli ultimi borsoni prima di partire per il giro notturno tra i senza fissa dimora. Dice: «In strada le storie sono fatte di un’umanità ai margini. Portiamo qualcosa da mangiare: panini frutta e un piccolo dolce a chi vive in strada, oltre a giacconi e coperte pesanti, ma soprattutto portiamo un sorriso, un contatto umano». E, sempre sorridendo, aggiunge felice: «In questi mesi di lockdown abbiamo registrato un incremento di volontari, soprattutto giovani, e questo ci rincuora».

SENTENZA

È nota l’arguzia di uno scrittore come Pitigrilli (Dino Segre) famoso per le sue molte e sagge battute sulla grandezza e le miserie dell’animo umano. Una fra le più indovinate ci sembra la seguente: «L’uomo comune ragiona, il saggio tace, lo stupido discute». Superfluo ogni commento! Per le Acli Albinesi Gi.Bi.

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È possibile dare il proprio contributo - anche deducibile fiscalmente nella dichiarazione dei redditi in misura del 19% - a sostegno dei lavori autorizzati dalla Soprintendenza per i beni Architettonici. Per le aziende è possibile detrarre totalmente la cifra devoluta. Abbiamo concluso il rifacimento del tetto del CineTeatro e della Casa della Carità con qualche sorpresa per quanto riguarda legname e travi marcite. Abbiamo ultimato: - la sistemazione e riqualificazione del porticato che si affaccia sul sagrato; - il tetto dell’ex Ragioneria, che ci auguriamo sia l’ultimo; - il passaggio tra il sagrato e l’oratorio per le infiltrazioni di umidità; - il muro interno della sala giochi nel bar dell’oratorio, anche questo per l’umidità. Impegni questi che stanno dando fondo alle nostre risorse. Grazie per quello che riuscirai a fare.

PER DONAZIONI - Bonifico bancario tramite Credito Bergamasco di Albino, Parrocchia di San Giuliano: IBAN IT91 R050 3452 480000000000340 Per la ricevuta ai fini fiscali, rivolgersi in casa parrocchiale.

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CASA FUNERARIA di ALBINO CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO srl, società di servizi funebri che opera con varie sedi attive sul territorio da più di 60 anni, nata dalla fusione di imprese storiche per offrire un servizio più attento alle crescenti esigenze dei dolenti, ha realizzato ad Albino la nuova casa funeraria. La casa funeraria nasce per accogliere una crescente richiesta da parte dei famigliari che nel delicato momento della perdita di una persona cara si trovano ad affrontare una situazione di disagio oltre che di dolore nell’attesa del funerale. Il disagio potrebbe derivare dalla necessità di garantire al defunto un luogo consono, sia dal punto di vista funzionale che sanitario e permettere alle persone a lui vicine di poter manifestare il loro cordoglio con tranquillità e discrezione.

Spesso si manifesta la necessità di trasferire salme in strutture diverse dall’abitazione per ragioni di spazio, climatiche igienico sanitarie. Ad oggi le strutture ricettive per i defunti sono poche ed il più delle volte improvvisate, come ad esempio le chiesine di paese, che sono state realizzate per tutt’altro scopo e certamente non garantiscono il rispetto delle leggi sanitarie in materia. Dal punto di vista tecnico la casa funeraria è stata costruita nel rispetto delle più attuali norme igienico-sanitarie ed è dotata di un sistema di condizionamento e di riciclo dell’aria specifico per creare e mantenere le migliori condizioni di conservazione della salma. La struttura è ubicata nel centro storico della città di Albino, in un edificio d’epoca in stile liberty che unisce funzionalità e bellezza estetica. Gli arredi interni sono stati curati nei minimi dettagli; grazie alla combinazione di elementi come il vetro e il legno, abbiamo ottenuto un ambiente luminoso e moderno, elegante ma sobrio.

Lo spazio è suddiviso in 4 ampi appartamenti, ognuno dei quali presenta un’anticamera separata dalla sala nella quale viene esposta la salma, soluzione che garantisce di portare un saluto al defunto rispettando la sensibilità del visitatore. Ogni famiglia ha a disposizione uno spazio esclusivo contando sulla totale disponibilità di un personale altamente qualificato in grado di soddisfare ogni esigenza.

FUNERALE SOLIDALE Il gruppo CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO, presente sul territorio con onestà e competenza, mette a disposizione per chi lo necessita un servizio funebre completo ad un prezzo equo e solidale che comprende: - Cofano in legno (abete) per cremazione e/o inumazione; - Casa del commiato comprensiva di vestizione e composizione della salma, carro funebre con personale necroforo; - Disbrigo pratiche comunali.

Antonio Mascher  335 7080048 ALBINO - Via Roma 9 - Tel. 035 774140 - 035 511054 info@centrofunerariobergamasco.it


ANAGRAFE PARROCCHIALE Anniversari

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Defunte

Anna Maria Signori

Rosetta Nani anni 88

in Signori

1° anniversario

n. 23.04.1932 - m. 18.03.2021

Sempre nei nostri cuori

Rimanga vivo il suo ricordo a quanti l’ebbbero cara

m. 14.04.2020

Arturo Tacchini

È tornata alla Casa del Padre

1° anniversario Veglia sempre su di noi

Per la pubblicazione in questa pagina delle fotografie dei propri cari defunti, rivolgersi alla portineria dell’oratorio.

Suor Letizia Magoni anni 96

n. 17.10.1924 - m. 07.04.2021

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Aprile 2021


Dal sepolcro la vita è deflagrata. La morte ha perduto il duro agone. Comincia un’era nuova: l’uomo riconciliato nella nuova alleanza sancita dal tuo sangue ha dinanzi a sé la via. Difficile tenersi in quel cammino. La porta del tuo regno è stretta. Ora sì, o Redentore, che abbiamo bisogno del tuo aiuto, ora sì che invochiamo il tuo soccorso, tu, guida e presidio, non ce lo negare. L’offesa del mondo è stata immane. Infinitamente più grande è stato il tuo amore. Noi con amore ti chiediamo amore. Amen. Mario Luzi


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