Zelo Surrigone MAPPA DI COMUNITA'

FABIO COLOMBO

ZELO SURRIGONE MAPPA DI COMUNITA’

ANALISI DEI BENI CULTURALI E STORICI

Territorio di Zelo Surrigone

Veduta aerea del territorio di Zelo Surrigone entro i suoi confini comunali.

IL CENTRO ABITATO

In questa rappresentazione schematica si evidenzia il centro residenziale di Zelo Surrigone. Si riconosce innanzitutto una struttura organizzativa del costruito irregolare nell’area che va dal retro della chiesa fino al parchetto comunale, che si può identificare come parte antica. A sud si sviluppa una parte più moderna, costituita dalle villette a schiera. Infine a est si sviluppa la fascia di recente realizzazione dei condomini.

LEGENDA

Centro storico

Edificazione successiva Edificato recente

Castello Confalonieri

Chiesa di Santa Giuliana e proprietà annesse Parchi pubblici

Scuola materna e asilo nido

Sono evidenziati: •

in rosso gli edifici residenziali;

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In blu: le chiese;

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In grigio: i capannoni e gli edifici produttivi in generale; In azzurro: gli edifici di servizio pubblico (tra cui scuole, negozi, ecc.) e privato (posteggi, ecc.)

Profilo urbanistico

Dal punto di vista urbanistico il comune di Zelo Surrigone non subisce grandi variazioni nel corso del tempo. Confrontando il catasto risalente al Settecento non si notano grandi aggiunte fino al XX secolo. Le cascine, situate sui territori che gestiscono, sono collegate al centro abitato tramite strade consorziali: se ne contano tredici fino al XIX secolo, raggiunto il massimo di quindici nel XVIII. Oggi se ne contano nove, compreso il molino della Merina. Il processo di immobilismo architettonico interessa soprattutto il Settecento, l’Ottocento e il Novecento. Nell’ultimo decennio sono stati avviati nuovi progetti di ampliamento della zona residenziale, con un’espansione verso nord-est. Gli edifici rappresentati nel catasto teresiano, tranne quelli medievali, sono stati realizzati nel XV-XVI secolo. Nel XVI secolo in particolare avviene un processo di ampliamento delle cascine, come conseguenza ai progressivi investimenti nella coltura irrigua da parte del patriziato milanese. Successivamente si riscontra un accentramento da parte dei Casnedi dei vari possedimenti terrieri della zona, che verranno poi ereditati dai Confalonieri, e alcuni passaggi di proprietà nell’Ottocento portano all’abbandono di alcune cascine. Al contrario alcune di esse vedono opere di restauro e ampliamento: alcuni di questi casi sono le cascine Salera e Maggiolina.

La conformazione di Zelo risente di una crescita progressiva, ma frazionata nel tempo. Il nucleo originale si sviluppa in epoca medievale, con la Corte Grande, o dei Pigionanti, la corte del torchio, con l’edificio che diventerà l’osteria del paese, cantina e vignolo, forse coincidente con il brolum del 1437. L’edificio dell’arsenale e la corte del fabbro furono demoliti nel 1990.

Nel XIII secolo il castello e il locus di Zelo erano circondati da un fossato almeno su due lati. Esso svolgeva un ruolo sia difensivo che funzionale, raccogliendo le acque di scolo. Al di fuori del recinto fortificato esistevano costruzioni rustiche, una delle quali coincide con una porzione dell’attuale sede comunale. La presenza di questa fortificazione è dedotta indirettamente dalle fonti arrivate fino a noi: in alcuni documenti si parla infatti di porte sulla via de Gudi, e sicuramente anche sulle altre vie de Vermezo e de Mediolano. Dato che la realizzazione del Naviglio Grande è successiv a questo periodo, si può presupporre che quest’ultima strada seguisse un corso diverso da quello della alzaia, che appunto costeggia il naviglio: si pensa passasse sulla roggia Mischia, verso gaggiano), forse coincidente con la attuale strada del Brolo. Ciò renderebbe conto della posizione del castello stesso, che venne probabilmente fortificato dai Della Torre e abbandonato con la vittoria dei Visconti.

Il castello venne probabilmente ricostruito con l’investitura da parte dei Visconti dei Bigli, riprendendo la forma a blocco, da cui si sviluppa poi la struttura della villa del Quattrocento, conservata in parte nella conformazione nell’ala est. Nel 1660-70, sotto i Casnedi venne avviata una ricostruzione radicale dell’edificio, che dovette ospitare soldati nel corso del secolo. Le restanti sistemazioni risalgono all’Ottocento, assumendo l’aspetto che presenta ancora oggi.

Al paese medievale risalgono i toponimi in campori, area di campi coltivati attraversata da roggia Cina e l’area delle cascine Maggiolina, dei Frati e Maiocca, buscate, fascia a ovest, boschiva, terreni prima dei Bigli, poi dei De Erra e infine dei De Salio, quindi cascina Cattabrega, e longoli, dal latino longorius: pertica, palo.

La roggia Ticinello taglia la fascia più boscosa , con pascoli di utilizzo comune. Fin dal XIII secolo avviene una importante trasformazione colturale, con la formazione della cascina Longoli. La presenza di questo bosco permise la sopravvivenza di una fornace per almeno due secoli. È probabile che essa fornì i materiali per l’originaria chiesa di Santa Giuliana, la riedificazione del castello nel Quattrocento e la costruzione di nuove cascine. Il molino della Merina sarebbe riconducibile al Cinquecento.

La fascia a est si presenta invece come una zona più ricca d’acqua: è probabile fossero presenti diversi laghi e zone paludose, che vennero utilizzate per l’approvvigianamento tramite caccia e pesca. Inizialmente il confine comunale si fermava alla roggia Mischia, mentre già nel catasto del 1559 coincide con quello attuale. Ciò riconduce al periodo tra 1520-40 la sistemazione del fondo della Merina.

A questa fase iniziale, rimasta stabile per qualche secolo, succede una nuova fase di espansione Quattro-Cinquecentesca. Infine si hanno diverse opere di ricostruzione e ristrutturazione nel corso dell’Ottocento.

Scomposizione del centro abitato Per descrivere il centro abitato di Zelo Surrigone si può procedere tramite una prima suddivisione per zone principali, in base alla composizione, alla storia e come si rapportano con la maglia stradale:

Zona 1: partendo da sud, si individuano aree dalla composizione mista, in parte costituita da edifici residenziali, in parte da edifici produttivi.

Sviluppati a sud di Via Marconi e a est di Via Provinciale, i lotti sono scanditi da vie private, riservate appunto ai capannoni e ai residenti. La tipologia residenziale è quella delle ville singole, ognuna dotata di giardino recintato.

Sono presenti posteggi a margine della strada. Risulta una zona di relativamente recente realizzazione.

Zona 2: delimitata da Via Provinciale ad est e SP30 a ovest, è costituita prevalentemente da piccoli condomini e villette. A ridosso della SP30 si allunga una fascia erbosa per distanziare le unità residenziali dalla strada, dalla percorrenza veloce. I lotti sono disposti su un’unica linea, con affaccio diretto sulla strada, con cortili privati. L’edificazione risale verosimilmente alla seconda metà del XX secolo.

Zona 3: area di grandi dimensioni, suddivisa su un alto numero di lotti recintati. È composta esclusivamente da unità residenziali, la cui tipologia varia tra villette mono o bi-familiari. Gli accessi da Via Marconi a sud avvengono direttamente dalla strada per i lotti più esterni, mentre sono presenti vie riservate per quelli più interni. L’affaccio su Via Pascoli a nord è preceduto da posteggi, mentre anche qui sono presenti vie riservate.

Zona 4: compresa tra Via Pascoli e Via Vittorio Emanuele. A ovest si sviluppa la parte residenziale, organizzata attorno ad una via che la attraversa trasversalmente, e vie minori su cui si affacciano villette bifamiliari. A est è situata la scuola materna, con un grande cortile.

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Zona 5: questa zona risulta essere una tra le più varie a livello di composizione e di datazione storica. Sono infatti presenti nella parte più ad ovest il complesso di S. Galdino, con l’Oratorio (oggi in disuso ma ancora aperto alle visite, di grande qualità artistica e storica) e l’antica residenza della famiglia Sala, tra le più influenti della storia zelese. In questo luogo ora risiede il proprietario dell’Antica Trattoria di S. Galdino. A nord sono presenti dei complessi residenziali sviluppati secondo una tipologia a stecca (ogni unità condivide i lati minori, affacciandosi su una via privata interna). La fascia centrale è occupata dal parchetto comunale di Zelo, in cui sono presenti una parte pavimentata centrale con sedute, un campetto da basket, attrezzature per bambini. A est sono presenti un capannone adibito alla lavorazione di marmi e altri complessi residenziali, con alcuni edifici a blocco e in linea. A nord di Via Garibaldi sono presenti complessi più recenti, a corte e a blocco.

Zona 6: centro del comune di Zelo, qui sono presenti la Piazza, su cui si affacciano un antico complesso a corte a sud, costituito da un portico sotto il quale sono presenti il bar, la gelateria/pasticceria, il ristorante, ed una corte interna su cui si affacciano le residenze, e il Castello Confalonieri a nord. A ovest della piazza si sviluppa una corte delimitata da una parete probabilmente ricavata dall’antica cinta muraria medievale, attorno alla quale è presente una casa di ringhiera. Più a ovest sono presenti altri complessi residenziali a corte chiusa, più recenti.

Zona 7: l’area più a nord di Zelo, confinante col comune di Vermezzo, è organizzata attorno alla Via Confalonieri, che determina una disposizione a ferro di cavallo delle ville che hanno su di essa l’affaccio, mentre nell’area centrale risultante si hanno ville bifamiliari orientate perpendicolarmente alla strada.

Zona 8: in questo caso la zona è suddivisa in due parti principali: quella a nord, costituita dalla chiesa di Santa Giuliana, con il sagrato, l’oratorio, la Cappella di S. Giuseppe e il terreno in disuso situato nella parte posteriore; quella a sud è costituita dalla sede del Comune, alcuni edifici residenziali popolari, il minimarket, mentre verso est è presente un complesso di villette organizzate su due stecche attorno ad una via privata.

Zona 9: zona residenziale è composta perlopiù da stecche residenziali e piccoli condomini, mentre la parte ovest, separata da un piccolo viale alberato, comprende delle ville unifamiliari.

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Zona 10: l’area delimitata da Via Leonardo da Vinci da est a sud, Via Leopardi a ovest e Via Galilei a nord, comprende l’asilo nido, con l’ampio cortile recintato, e una zona residenziale organizzata attorno a due vie interne private. La tipologia di aggregazione è quella a stecca, con la condivisione di due pareti divisorie tra le singole unità. L’intero complesso è rialzato rispetto al livello della strada, per la presenza di un posteggio seminterrato.

Zona 11: compresa tra Via Leonardo Da Vinci a ovest, Via Galilei a nord, Via Wojtyla ad est e Via Roggia Leona. Risulta tra le parti di Zelo dalla più recente realizzazione. Il complesso è costituito da condomini a blocco, con vano scala centrale su cui danno gli appartamenti. L’accesso all’area avviene tramite punti specifici dalle vie che delimitano l’area. Non è presente una suddivisione degli spazi di pertinenza di ogni condominio: un sistema di collegamenti permette di attraversare liberamente tutta la zona; una recinzione separa semplicemente il lotto dalla strada. A ovest è presente un complesso di spazi commerciali, di cui attualmente utilizzato è solo quello adiacente al parchetto in prossimità della rotonda tra Via Galilei e Via L. Da Vinci. Direttamente confinante con questo lotto, a sud, è presente un ampio spazio verde, di cui solo la parte che da su Via Leopardi risulta attrezzata.

Zona 12: come nella zona precedente, quest’ultima presenta gli edifici di ultima realizzazione. La parte di Via Wojityla è costituita da condomini a blocco, connessi tramite il percorso di accesso al lotto o attorno ad una corte. Stessi principi sono applicati per i complessi su Via Don Carlo Rizzi.

Ogni lotto presenta le proprie caratteristiche estetiche e distributive, derivanti da grandi progetti residenziali unitari, mantenendo gli stessi principi tipologici e funzionali.

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La Piazza

SCHEDA DESCRITTIVA

La Piazza di Zelo Surrigone, oggi chiamata Piazza Roma, costituisce il centro della vita amministrativa e sociale del paese. La conformazione attuale è il risultato di lavori di rifacimento avvenuti nell’ultimo decennio, favorendo la pedonalizzazione dell’area, modificandone la viabilità.

Essa è caratterizzata da una pianta rettangolare, confinante ad est con la via principale del paese, Via Manzoni, che parte proprio da questo punto fino ad arrivare alla piazza di Vermezzo. A nord è presente il lotto recintato del Castello Confalonieri, oggi abitato, a ovest con il civico 4 di Via Garibaldi e il complesso residenziale circostante, testimonianze importanti dell’evoluzione storica del comune, e a sud il complesso residenziale che in tempi antichi fu la corte del Torchio, l’osteria e la corte dell’Arsenale.

Una via carrabile, ad unico senso di marcia, attraversa la parte nord della piazza, costeggiando poi il lato ovest e immettendosi infine in Via Garibaldi. In quest’ultimo tratto sono presenti posteggi per le auto. La parte centrale, leggermente rialzata è occupata ad est da una grande aiuola, in cui è posto il grande pino, orgoglio del paese, una parte centrale con panchine e più ad ovest il Monumento ai Caduti della Prima Guerra Mondiale. La parte sud risulta interamente pedonale, delimitata da delle balaustre per evitare eventuali accessi alle macchine. Su quest’area si affaccia il portico sotto cui sono poste le principali attività del paese: il bar, la gelateria/pasticceria e il ristorante.

Veduta del lato sud della piazza.

LA STORIA

La piazza di Zelo Surrigone risale al 1819. L’attuale sagrato della chiesa, delimitato da balaustre, comprendeva parte del camposanto, mentre via Cavour, originariamente denominata contrada di S. Giuliana passava davanti al sagrato stesso incrociandosi dapprima con via Garibaldi, per proseguire verso la corte della canonica. Di fronte alla chiesa vi era la corte del civico 4 di via Garibaldi, mentre di fronte al palazzo vi era la corte detta del Torchio e più a sud quella dell’Arsenale. Il fossato, che perse la funzione difensiva, divenne progressivamente più largo, alimentato dalla roggia S. Ambrogio, che scorreva sul lato nord. Il lato sud era adiacente alla corte detta dei Pigionanti, o corte Grande (oggi corte al civico 4 di via Garibaldi), e ad un tratto di terreno coltivato a orti.

Nell’anno 1819 il parroco Don Pietro Aldenghi avanza al Conte Federico Confalonieri richiesta formale di poter attraversare questi orti adiacenti al sagrato durante la processione. Il 9 ottobre dello stesso anno il Conte Confalonieri concede il passaggio a patto che vi fossero attuate delle opere di riorganizzazione e sistemazione della zona, a carico del parroco stesso. Tra questi lavori furono specificati la spianata dell’area, poi ricoperta di ghiaia, con la possibilità di piantare a piacere del Conte, ridimensionamento della peschiera (fossato), la costruzione di un muro che la costeggiava da est a ovest e mettere in evidenza la proprietà del parroco con dei corsi di pietra. Si definì quindi uno spazio di 4 pertiche e mezzo (circa 2945 mq), dai confini naturali: il sagrato della chiesa, il caseggiato del Torchio, la corte dei Pigionanti, la peschiera. Da alcune fonti successive si nota come il muro non fu completato come da progetto, mentre ancora oggi rimangono la parte che chiude il fondo del civico 4 e un pilastro del portale che immetteva a quell’appezzamento, denominato il Brolo.

Non si hanno più notizie riguardanti la piazza fino al secondo decennio del XX secolo, quando si vollero ricordare i caduti della Prima Guerra Mondiale. Il Ministero della pubblica istruzione propose che le varie scolaresche si attivassero nel creare un luogo: Strada o Parco della Rimembranza. Fu formato un comitato che scelse lo spazio della piazza per diventare Parco della Rimembranza, con l’impianto di circa 25 alberi (Sophora japonica).

Sopra: piazza vista dal sagrato della chiesa.

A destra: da destra cinta del castello Confalonieri, prospetto di casa di ringhiera, muro probabilmente derivato dalla cinta medievale a ridosso del fossato.

Nel 1926 la proprietà di palazzo, caseggiato, corte e piazza dei Confalonieri passa al Cavaliere Angelo Ronchi, che cede al Comune parte della piazza, già ad uso pubblico, e fece costruire l’attuale cinta che delimita gli spazi del castello. Venne poi disposto che venissero realizzate due aiuole, in cui furono piantati due pini, di cui ne rimane uno ancora oggi. Secondo testimonianze successive nel rimaneggiamento della piazza ne fu abbattuto uno e venne riempita di terra la peschiera, non lasciandone più traccia.

Il nome della piazza, dal 1819, cambiò tre volte: fu prima Piazza Confalonieri, quando palazzo e parte del fondo passarono a Enrico Barinetti divenne Piazza Barinetti, che rimase fino al 1931, quando Angelo Ronchi, vista la circolare prefettizia che invitava a denominare una via del paese via Roma e il fatto che con il VII censimento le vie vennero chiamate con nomi di personaggi illustri del Risorgimento italiano, si passò definitivamente alla denominazione Piazza Roma.

Su delibera del 22 settembre 1922 , fu deciso di realizzare una pesa pubblica: un meccanismo a ponte che permettesse di pesare il raccolto e i prodotti, per verificare l’entità della merce con economia di tempo e mezzi di trasporto. Si decise di collocarlo in posizione intermedia tra gli Uffici comunali e l’angolo del sagrato, al termine di via Cavour. Tale pesa aveva una portata di 8.000 kg, con coperchio di legno di 2m di larghezza e 3m di larghezza con colonna di ferro e doppie aste. Successivamente fu spostata in una posizione più favorevole, a ridosso del fabbricato a ovest, adiacente alla corte dei Pigionanti.

Sopra: ricostruzione della pianta della piazza e del cimitero nel 1753, con la vecchia chiesa parrocchiale.

A sinistra: via Garibaldi al civico 4.

Ala est del castello Confalonieri

Sopra: a sinistra processione della festa di paese del 1972; a sinistra Castello Confalonieri nel 1927.

Sotto: a sinistra il pino e la piazza visti dal campanile; a destra processione di Santa Giuliana, anni ‘60.

Chiesa di Santa Giuliana

SCHEDA DESCRITTIVA

La chiesa di Santa Giuliana si presenta oggi con un impianto longitudinale, a tre navate: la facciata a salienti rende leggibile questa suddivisione, che consente tra l’altro l’apertura di piccole finestre che illuminano la navata centrale. La facciata, in cotto, è caratterizzata da lesene e corsi orizzontali, che creano una scansione entro cui si aprono porte e finestre. L’ingresso centrale, sormontato da un arco cieco e da un rosone, è affiancato da due ingressi minori alle navate laterali, anch’essi sovrastati da archi ricavati dal disegno dei mattoni, dalla funzione strutturale, e da rosoni minori.

All’interno si hanno due navate laterali con volte a crociera ed una centrale con volta a botte. La navata centrale è scandita da pilastri, modanati da lesene che sorreggono una trabeazione su cui si imposta la volta a botte, a tutto-sesto, che riprende la scansione dei pilastri tramite costolonature sbalzate rispetto alla muratura monocromatica. I pilastri sono poi raccordati tra loro da archi a tutto sesto, che separano la navata centrale da quelle laterali, e determinano la scansione delle volte minori a crociera: in questo caso il singolo modulo presenta una pianta rettangolare, leggermente allungata in direzione parallela al senso di percorrenza longitudinale, mentre quella centrale presenta moduli rettangolari allungati in direzione perpendicolare. L’abside a pianta semicircolare, sovrastato da una semi-cupola, comprende lo spazio per il coro, posto dietro all’altare principale, derivato dalla chiesa preesistente. All’estremità delle navate principali sono poste due cappelle, dedicate alla Vergine Maria e a Santa Giuliana.

La decorazione, sia all’interno che all’esterno, è affidata alla purezza dell’elemento architettonico in sé: all’esterno tramite il cotto e le modanature della facciata; all’interno attraverso intonaci colorati e decorazioni in stucco o tramite effetti ottici realistici, che valorizzano lesene, capitelli, volte, costoloni e ogni elemento più o meno strutturale.

LA STORIA

La vita della comunità di Zelo Surrigone ha risentito molto dell’influenza del sacerdote Don Oreste Brovelli. Fu precursore di tempi e idee nuove. Si trovò di fronte una comunità divisa tra la nobiltà conservatrice e la plebe ancora costretta al lavoro della terra. Era ancora radicata l’eredità feudataria del Medioevo, quindi una mancanza di piccoli proprietari che potessero garantire sia una migliore e costante distribuzione della cultura, sia un maggiore livellamento delle differenze tra i due ceti esistenti. Non esistevano poi altri artigiani che il falegname, il fabbro, il sarto e il calzolaio. Una sola era poi la trattoria, esistente ancora oggi: la trattoria S. Pietro.

Il 14 febbraio 1892 Don Brovelli fece il suo ingresso solenne nella parrocchia del paese. Egli constatò subito la carenza di strutture adeguate alla vita della comunità. In particolare era la chiesa a versare in condizioni pietose. Erano infatti evidenti i segni di precedenti manomissioni, l’incoerenza architettonica, i cedimenti strutturali e la vistosa asimmetria. Vi furono poi altre ragioni che concorsero e portarono infine alla realizzazione di una nuova chiesa. Egli proveniva da una famiglia rispettabile, dalle vedute aperte. Giunse quindi nella parrocchia con una idea del mondo più grande, idea che lo spinse ad attivare una grande macchina in cui venne coinvolta tutta la popolazione.

L’opera ebbe inizio tramite Margherita Beltramini, che donò una somma di 1000 lire all’asilo e altre 1500 per l’erigenda chiesa parrocchiale. Con alla riunione del Consiglio comunale del 30 aprile 1896 si votò a favore per la ricostruzione della chiesa e vennero presentati i disegni del progetto, realizzato dall’Architetto Ernesto Fumagalli. Poco o nulla si sa di questo architetto, anche se è molto probabile che ebbe esperienze precedenti in questo ambito. Lo stile neoclassico scelto fu consono alle possibilità finanziarie, pur sposandosi alla perfezione con le linee dell’altare maggiore, appartenente alla vecchia chiesa. L’opera è completamente realizzata in muratura, mentre i capitelli dorici delle lesene della navata centrale, quelli ionici delle navate minori e i listelli degli archi sono in gesso, mentre alcuni dettagli sono realizzati tramite pittura. La realizzazione iniziò con la rimozione di tutte le parti riutilizzabili: tegole, travi, pavimento, infissi, statue, organo e parti marmoree. L’altare fu poi coperto con una struttura in legno e si proseguì con la demolizione del vecchio edificio e la rimozione delle fondamenta. Esse furono ripristinate con materiali di riutilizzo e con l’impianto di 185 pali di rovere. Il 27 novembre 1897 venne portato a termine gran parte del lavoro e Don Brovelli scrisse alla Curia che venisse al più presto consacrata, per poterla riaprire al culto.

Prospetto del progetto originario per la chiesa di S. Giuliana (1896)

A distanza di più di un secolo, osservando i disegni del progetto originale, le differenze tangibili non sono poche. Le volte della navata centrale sarebbero dovute essere a crociera con una disposizione di sei finestre strombate circolari. In realtà la volta della navata principale è a botte, e non presenta tali aperture, pur visibili nella struttura esterna. Pertanto la volta centrale e quelle laterali, che invece sono a crociera, non sono nello stesso stile. La sezione trasversale dei pilastri interni doveva essere circolare, mentre in realtà si hanno dei pilastri sovrastati da lesene. I tetti delle navate laterali infine dovevano essere realizzati con due pendenze, in modo che si potesse accedere comodamente al sottotetto, mentre sono ad una sola falda.

Furono preservati l’altare maggiore in marmo, restaurato da dalla ditta Peduzzi Luigi di Milano, l’altare minore a lato Vangelo dedicato alla Beata Vergine del Carmelo e al lato opposto quello dedicato a S. Giuliana V.M. entrambi sono stati realizzati in legno d’abete e dipinti a finto marmo. A lato del presbiterio sono posti due quadri mobili raffiguranti la deposizione di Gesù e la Sacra Famiglia, di autori ignoti, rispettivamente del XVIII e XVII secolo. La parte esterna della chiesa è vistosamente non grezza, a causa della mancanza dei fondi necessari per un’eventuale decorazione.

Particolare che vanta la chiesa è il sistema che non permetta all’umidità di risalire le pareti, provocando escrescenze saline o distaccamento dell’intonaco: venne infatti spalmato uno strato di bitume tutt’attorno alle pareti. Altro particolare che vanta è la naturale sopraelevazione del suolo nel presbiterio.

Navata centrale e abside oggi.

Esterno della chiesa: la forma del frontone riprende i caratteri del progetto originario, pur essendo lasciato a mattoni a vista; il campanile ha subito un restauro successivo, evidentemente distaccandosi dallo stile incompiuto della chiesa.

Illustrazione dell’erigenda chiesa nel 1898.

Il sagrato

STORIA

In tempi antichi e anche nel Medioevo era usanza realizzare il cimitero entro le mura della chiesa stessa, posta all’ingresso del paese, sul sagrato o in uno spazio adiacente. Fino al 1752 il cimitero si trovava quindi di lato all’ingresso della chiesa. Il 10 novembre dello stesso anno la comunità di Zelo, visto il rischio del crollo del muro che cingeva il cimitero, rivolse un’istanza allora parroco Don Pietro Beltramini, che diede il consenso ai lavori. Il cimitero fu benedetto il 17 giugno del 1753. Esso prevedeva oltre allo spazio del camposanto un ossario a ridosso della cinta che lo separava dal sagrato della chiesa. Dal sagrato si poteva accedere tramite due piccole porte.

Dell’allora ossario, oggi cappella dedicata a San Giuseppe, si hanno notizie in tempi successivi, con i progetti per la realizzazione del nuovo cimitero comunale. Con lo smantellamento di quello vecchio, si faceva rilevare come alcune opere fossero indispensabili per la conservazione del complesso: fu così deciso di ristrutturare tale cappella, ricostruendo il tetto, rappezzando le lesene, adattando le cornici che mancavano e imbiancando sia la portina di accesso sia la cappella stessa.

Anche il sagrato stesso subì un’opera di restauro, ai gradini di accesso al sagrato, di differente alzata e dissestati, così come il fissaggio di alcune banchine della balaustra. Dopo il 1857, anno della costruzione del nuovo cimitero, i terreni di quello antico passarono tacitamente come bene comunale e non si conosce l’utilizzo che ne venne fatto in questo periodo.

Nel 1897 iniziò la costruzione per la nuova chiesa parrocchiale, per cui si prevedeva di occupare parte del territorio del vecchio cimitero. Il 4 dicembre di quell’anno fu intentata una diffida giudiziaria da parte del parroco e della fabbriceria per rivendicare la proprietà del terreno.

Tuttavia il Sindaco Enrico Barinetti, in riunione straordinaria il 22 dicembre 1897, rispose con una controdiffida in base alla legge comunale vigente. La fabbriceria decise quindi di evitare l’azione giudiziaria diretta, a favore di trattative amichevoli, che portarono ad una ripartizione del terreno come si presenta ancora oggi.

Sopra: fronte della chiesa di S. Giuliana e il sagrato.

A sinistra: ossario-cappella di S. Giuseppe.

L’asilo infantile

SCHEDA DESCRITTIVA

Oggi la struttura presenta evidenti modifiche, subite nel corso degli anni: ciò è dovuto alla perdita del suo scopo d’origine, una volta che fu costruito il vero e proprio asilo comunale, e alla posizione strategica, vicino alla piazza e al Comune. Si può però intendere questo reimpiego come un bene nel momento in cui si considera che nel momento in cui ebbe perso il suo scopo avrebbero potuto demolirlo.

Come si può leggere dalle tavole di progetto, in origine si presentava come una piccola palazzina, a ridosso della cappella di San Giuseppe (in origine ossario del cimitero), organizzato su due piani e dalla pianta libera. La facciata era caratterizzata su entrambi i piani da tre aperture equidistanti, di cui quella centrale, al piano terra, costituiva l’entrata principale. Sulla parete opposta, si ripete la stessa scansione, con la porta d’accesso alla corte retrostante, probabilmente utilizzata come piccolo cortile.

Attualmente il piano terra è occupato dalla farmacia, che ha determinato una serie di lavori di recupero e modifica: mentre al primo piano è mantenuta la scansione delle tre finestre, al piano terra l’entrata è stata spostata sulla destra; all’interno sono stati creati locali richiesti da quest’attività.

Tavole del progetto definitivo.

LA STORIA

La costruzione dell’asilo infantile fu promossa e finanziata tramite testamento dalla benefattrice Maddalena Scalfi vedova Bozzi. Alla sua morte decise di donare al cugino Angelo Domenico Bozzi tutte le proprietà mobili e immobili, tra cui anche la cascina Maiocca, cui aggiunse 4000 lire per la realizzazione di un asilo infantile in Zelo. Il 15 luglio del 1889 la Congregazione di carità, di cui faceva parte Barinetti, si faceva carico della realizzazione dell’Opera pia Asilo infantile, il cui Statuto organico fu stilato e reso noto il 31 dicembre 1890. tale statuto era diviso in quattro capitoli e stipulò tra gli altri che: custodisse ed educasse i bambini poveri di entrambi i sessi ogni giorno dell’anno eccetto festivi; l’ammissione avvenisse per i bambini tra i tre e i cinque anni e mezzo, età richiesta per accedere alle scuole elementari, anche non poveri previa piccola retribuzione annua; gli stessi impiegati della Congregazione di Carità prestassero servizio per quest’Opera Pia, per mancanza di fondi necessari al pagamento di un eventuale stipendio.

La Cappella di S. Giuseppe e il terreno annesso furono dati in uso alla Congregazione di carità per la cura e l’educazione dei bambini, finché non venisse realizzato un vero e proprio locale asilo. Negli anni successivi alla morte di Maddalena Scalfi non venne comunque consegnata alla Congregazione la somma destinata a tale progetto, e, assieme ad altri problemi amministrativi, si arrivò al 10 dicembre 1892 per avere un primo progetto per l’asilo. Esso prevedeva un unico locale al piano terra, ingresso centrale verso la piazza e un altro simmetrico verso il cortile posteriore, chiuso su due lati dal recinto del cimitero e uno dalle pareti della chiesa parrocchiale. Tale progetto subì però alcune variazioni, fino ad arrivare alla forma ancora oggi visibile.

Particolare è la vicenda che ha riguardato l’avvia alla realizzazione dell’opera. Infatti gli eredi della Signora Scalfi si rifiutarono fino all’ultimo di risarcire completamente la Congregazione per i ritardi con cui fecero avere la somma destinata al progetto, tra l’altro inferiore a quella pattuita originariamente, e offrendo una cifra irrisoria pur di mantenere la coscienza pulita. La Congregazione di carità decise quindi di rivolgersi direttamente alla comunità di Zelo, pregando con una lettera formale qualunque benefattore che potesse partecipare con qualsiasi somma a questo lavoro. Fu nel mese di maggio del 1893 che fu ultimata la struttura muraria. Rifiniture e arredi furono realizzati anche da persone del paese, rinunciando anche a buona parte del loro onorario. Vi furono anche delle opere di ristrutturazione nella cappella, con la ricostruzione dell’altare, rifacimento della pavimentazione, rappezzamento e imbiancatura di tutta la cappella.

Tavole del primo progetto per l’asilo del 1892.

Sopra: prospetto attuale del vecchio asilo, ora utilizzato come farmacia.

A sinistra: progetto definitivo

Cascine – cenni storici

La ricostruzione della storia delle proprietà fondiarie in Zelo Surrigone è essenzialmente limitata dalla scarsità di fonti nel periodo dal X scolo, in cui cominciano a stabilirsi i primi insediamenti, fino al XV secolo, quando la formazione del Ducato di Milano con i Visconti determina la nascita formale del comune di Zelo, e di conseguenza viene avviato un programma di censimento delle attività comunali come questa istituzione richiede. La storia delle cascine presenti su queste proprietà è spesso possibile tramite congetture e comparazione tra fonti.

I fatti riguardanti le varie proprietà e gli edifici annessi porta al riconoscimento di tre fasi principali: •

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Tra X e XIII secolo: le proprietà terriere ricavate dal contesto boschivo e palustre sono sostanzialmente divise tra la canonica e il monastero di Sant’Ambrogio di Milano, il monastero di Santa Maria di Morimondo e il monastero di Santa Maria di Aurora si Milano. Tali terreni comprendono appezzamenti a selva, bosco, campo, prato o vigna. Caratteristica comune a tutte le proprietà è quella del frazionamento dei fondi: la tendenza rimane fino al XIII secolo di creare un insieme più organico, tramite una politica di permutazione coi proprietari dei lotti adiacenti. A questo periodo risalgono le prime cascine, Longoli e Fornasetta, e il molino della Merina.

XV secolo: i possedimenti degli enti religiosi subiscono un grande ridimensionamento, mentre subentrano per via di investiture enfiteutiche (godimento diretto dei prodotti del fondo da parte di «affittuari», previo quindi pagamento di canone annuo e obbligo di migliorare la produzione e le condizioni del fondo stesso) nuovi proprietari: Pozzobonelli sui beni della canonica di Sant’Ambrogio, da Lomazzo sui beni del monastero di Aurona, Bigli per elezione diretta da parte dei Visconti (1437).

Questi ultimi posseggono già gran parte del nucleo abitativo di Zelo, mentre con il susseguirsi delle generazioni avverrà una progressiva frammentazione dei terreni.

Tra XVI e XIX secolo: il processo di ampliamento dei fondi vede raramente attuazione, mentre viene applicato un processo di razionalizzazione: attraverso acquisti o permute viene creata omogeneità tra una campagna e l’altra. Nei primi due secoli di questo periodo nascono la maggior parte delle cascine che presidiano ancora oggi i territori più esterni del comune. Le dimensioni del fondo sono strettamente rapportate alla quantità di terra che può gestire una famiglia di massari, ce in generale poteva essere costituita da 2 fratelli con rispettivi mogli e figli o una famiglia unica con figli prossimi all’età adulta. L’ampiezza di questi fondi oscilla tra le 300 e le 450 pertiche.

Sopra: disegno dei terreni attraversati dalla roggia Cina.

A destra: strade e corsi d’acqua a Zelo. A sinistra la strada della Maggiolina che prosegue attraverso alla vecchia provinciale fino alla contrada di S. Galdino, ora via V Emanuele; il fosso percorre un tratto dell’odierna via Cavour; ingresso al sito del palazzo da ovest.

Più in particolare, tralasciando i passaggi naturali dovuti da trapassi generazionali e divisioni ereditarie, si possono riscontrare i maggiori cambiamenti negli assetti delle proprietà in quattro fasi principali: 1490-1540, 1630-1660, 1796-1816, XVII secolo (Casnedi accentrano i fondi dei Bigli).

A partire dalla fine del XV secolo incrementa il processo di deforestazione delle zone boschive circostanti il nucleo abitativo, così come vengono progressivamente ridotte le zone paludose. Queste zone erano per lo più concentrate nella zona compresa tra roggia Borgonza e roggia Mischia, e quelli toccati dalla roggia Leona (fondo della cascina Merina).

Tra XVI e XVIII secolo le proprietà erano di fatto di quasi esclusiva pertinenza nobiliare. A partire dal XVIII secolo parte di questi terreni passano a un nuovo ceto borghese, prima con l’acquisizione delle case, poi con le annesse terre. Costante tra questi ceti rimane la volontà di mantenere l’integrità dei fondi: i nobili tramite divisioni ereditarie tra i soli figli maschi per mantenere intestati a singoli le partite d’estimo; i borghesi, subendo ripartizioni tra tutti gli aventi diritto, comprese le donne, tendono a ricomporre le porprietà nell’ambito familiare, in tempi più estesi. Diverso è il discorso riguardo le proprietà dei Confalonieri, che subentrano ai Casnadi per successione ereditaria nel 1791, vicenda dai profondi risvolti politici.

Cascina Merina

Sopra: cascina Maggiolina Sotto: mulino della Merina

Alcune donne nel cortile della Merina.

Anni ‘70, Molino della Merina posto sulla roggia Mischia.

Localizzazione delle Cascine principali

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1. Cascina Merina (successiva a ‘20 del XVI secolo).

2. Molino della Merina.

3. Cascina Colombera (metà XVI secolo).

4. Cascina Maggiolina (II decennio del XVI secolo).

5. Cascina dei Frati (metà XVI secolo).

6. Cascina Maiocca (1480 circa).

7. Cascina Fornasetta (XVI secolo).

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8. Cascina Longoli di Sopra.

9. Cascina Zamarola.

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Roggia Ticinello La roggia Ticinello scorre a poco più di un chilometro e mezzo a ovest dell’attuale territorio comunale e ne segna il confine con quello di Morimondo. Oggi ha inizio nel Naviglio grande a Castelletto, frazione di Abbiategrasso; si dirama poi all’altezza di Rosate prendendo i nomi di cavo Visconti, che confluisce dopo un breve tratto nella roggia Mischia, e roggia Tolentina, che prosegue verso i territorio di Casorate Primo e Bereguardo.

Fu realizzato dai Milanesi nel 1152 per difendersi dai Pavesi alleati di Federico Barbarossa.

Importante data per questo canale è il 5 aprile 1179, quando cominciò la sua radicale trasformazione per opera dei Milanesi. Dopo la vittoria dei liberi Comuni contro Barbarossa, vennero avviati grandi progetti di ricostruzione e rafforzamento militare. Da Boffalora ad Abbiategrasso fu reso navigabile e di qui venne derivato un altro canale che, passando per Gaggiano, arrivava a Milano per alimentare i fossati a difesa della città. Sul Ticinello si formarono, soprattutto dal 1000 in poi, numerosi mulini, tra cui quello della Fornasetta. In questa zona vi si sviluppò un grande numero di cascine, di cui quattro solo nel comune di Zelo: Fornasetta, Longoli di Zelo, Zamarola e Balossa. Risultava un punto strategico particolarmente in quanto la naturale depressione del terreno consentiva il guado del canale, collegando facilmente i comuni di Vermezzo, Zelo Surrigone, Gudo Visconti, Vigano e le loro frazioni da una parte e Caselle, Morimondo, Ozzero, La Soria e il porto di Vigevano dall’altra. Non è escluso quindi che fossero presenti avamposti militari in corrispondenza di alcuni complessi di cascine, come nella Zamarola. Essa presenta infatti caratteristiche architettoniche e costruttive, conservatesi nel tempo, tipiche dello stile Visconteo-Sforzesco, come le finestre a sesto acuto sormontate da un listello in cotto.

Un documento di origine ignota dal titolo Promemoria cerca di chiarire molti punti oscuri riguardanti questo sistema di cascine in relazione con la roggia. In questo documento si fa riferimento a tre strade che attraversano tutta la roggia Ticinello. La prima è proveniente da Gudo Visconti e, dopo un passaggio a guado, prende due direzioni opposte: cascina Ticinello a sud e Caselle. La seconda proveniva da Longoli di Zelo e, passando a breve distanza dalla cascina Zamarola e attraversando con guado la roggia, si immetteva sulla prima strada per Caselle. La terza attraversa il corso d’acqua tramite un ponte di beole in adiacenza alle chiuse dell’acqua del mulino.

Piantina che mostra le tre strade che attraversano il Ticinello. Quelle indicate con A, B e C corrispondono rispettivamente alla prima, seconda e terza strada descritte nel testo.

In tempi successivi, con, l’intensificarsi degli scambi commerciali, si fece sempre più sentire la mancanza di un ponte per un collegamento sicuro delle due sponde del corso. In occasione dell’adattamento delle strade nella comunità di Zelo Surrigone, nel 1788, si decise di migliorare queste strade e di costruire un ponte. Si decretò poi che l’opera non fosse realizzata a carico del comune di Zelo, ma a carico degli utenti stessi della roggia Ticinello. In seguito ad altri disguidi di carattere amministrativo, e un blocco di più di un decennio, il 22 ottobre 1824 vi fu un invito da parte del Commissario distrettuale di Rosate al Conte Alessandro Maurizzi da Tolentino di costruire un ponte che collegasse Gudo a Caselle e i comuni vicini. Fu così evidenziata l’importanza di un ponte che rendesse la roggia utile non solo a Zelo, ma anche a tutto il circondario. A causa della disputa tra i due riguardo a chi dovesse andare in carico tale realizzazione, che durò fino alla morte del conte stesso nel 1833 e per tutto il decennio successivo, si arrivò a 58 anni dalla prima proposta avendo un nulla di fatto, per cui il Comune di Zelo dimostrò il suo sdegno. I documenti riguardante tale ponte si interrompono senza lasciare informazioni su chi l’avesse costruito. Si è tuttavia riusciti a conoscere la data di costruzione: 1843.

Riguardo il secondo ponte, presso la cascina Zamarola, non si hanno abbastanza elementi per definirne l’anno d’origine, sicuramente però successivo alle dispute tra il Comune e i proprietari della roggia Ticinello.

Lavori sulla Darsena a Milano: riapertura della roggia Ticinello.

Cascina Zamarola.

Ponte sulla roggia Ticinello, costruito nel 1843.

Proprietà terriere e società

Nel regime comunale del Medioevo proprietà gentilizia e piccola proprietà convivono. L’affermarsi di piccoli proprietari è spiegata da una nuova organizzazione politica della società, che non sarebbe esistita se non vi fosse stato un processo di emancipazione del lavoro originariamente non libero. Questa reinvestitura del lavoro nella terra si ebbe sostanzialmente in due modi: l’acquisto e l’enfiteusi. Mentre il primo sembrerebbe il modo ordinario, è grazie ai documenti dell’epoca che possiamo attestare una forte presenza su questi terreni dei gradi più alti della società. È quindi quello del contratto enfiteutico il modo più diffuso per la formazione di piccole proprietà. Tale contratto prevedeva un usufrutto dei terreni, con scadenza di ventinove anni, e la possibilità di usufruire dei prodotti della proprietà in misura proporzionale agli investimenti compiuti. La scadenza aveva in genere il solo significato di riconoscimento formale della proprietà. Tali rapporti economici sono regolati in base alla rendita presunta del fondo.

Tra il XV e il XVII secolo si hanno diversi passaggi di proprietà, a testimoniare la precarietà della classe sociale più alta. La classe contadina era invece una classe senza proprietà, per accettazione supina o forse per impossibilità ad uscire da questa situazione. L’acquisto della proprietà divenne quindi uno strumento per l’ascesa sociale.

Strettamente legata alla vicenda delle classi sociali è quindi la storia economica della terra, almeno sotto sue punti di vista: come luogo di investimento dei capitali e fonte di reddito per una élite; come presupposto necessario alla sussistenza della maggior parte della popolazione. La terra fornisce le fonti energetiche essenziali per la vita della comunità: l’acqua che muove i mulini e il legno che riscalda case, fornaci e forge. E dalla terra viene la materia per l’unica industria sviluppatasi a Zelo: la foglia del gelso e la pianta del lino per la tessitura.

A partire dai primi decenni del XVIII secolo risalgono i documenti pervenuti fino a noi che riportano la storia delle colture, il regime di conduzione delle terre, il tipo di aziende esistenti, così come sostanzialmente completi sono quelli che vanno dal XVI al XVII secolo. Sempre più indefinita è la storia da questi secoli indietro fino al periodo alto-medievale e romano. Dagli anni ‘40 del Novecento si assiste ad un processo di meccanizzazione del settore agricolo, la rapida formazione di una forza lavoro salariata, la formazione di un ceto imprenditoriale agricolo. Sul

piano delle coltivazioni si è assistito alla quasi scomparsa della piantata (filari di alberi ad alto fusto), all’ascesa della monocoltura risicola, alla riduzione di aziende con allevamenti bovini, pur ampliandosi le coltivazioni foraggiere come il mais, la sopravvivenza delle colture cerealicole asciutte, dove consentito o richiesto dalla qualità del terreno.

Aspetto importante per quanto riguarda l’agricoltura è la diffusione delle colture irrigue, avvenuta a partire dal XVI-XVII secolo. La disponibilità d’acqua era garantita dalla presenza dei canali artificiali Naviglio grande e Ticinello, di cui solo quest’ultimo passa per le terre di Zelo. Altre preesistenze sono la roggia Mischia e, probabilmente altri corsi d’acqua naturali. In alcune mappe seicentesche sono segnate almeno due teste di fontanili all’interno dell’abitato. Sono inoltre importanti la presenza delle rogge Cina e Leona. Quest’ultima oggi presenta parte del suo corso interrato, seguendo il percorso di via Provinciale, affiancando l’oratorio di S. Galdino, e arrivando fino ai confini sud della zona residenziale.

Sistema di chiuse tra roggia Mischia e roggia Leona

Genoveffa, una del gruppo delle mondine.

Giardino della Merina: ragazze e ragazzi durante la sistemazione della nicchia della Madonnina.

Bibliografia

• A. Annovazzi, Storia di Zelo Surrigone e del suo Territorio • A. Annovazzi, Ricordi di vita vissuta … e non solo, Zelo Surrigone, 2016 • S. Almini, Zelo Surrigone: ragionamenti intorno alla storia di un paese, Zelo Surrigone, 2008

Sitografia

• http://www.comune.zelosurrigone.mi.it/ • https://it.wikipedia.org/wiki/Canale_Ticinello • http://www.cittametropolitana.mi.it/portale/ • http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MI10007870/ • http://roggiamischia.blogspot.it/