LookOut Magazine Speciale Isis

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SPECIALE STATO ISLAMICO I La raccolta delle cronache di guerra

DUE ANNI DI

29 GIUGNO 2014

www.lookoutnews.it

Sono passati esattamente ventiquattro mesi da quando Abu Bakr Al Baghdadi ha dichiarato la nascita del Caliato. Incredibilmente, i miliziani che hanno sconvolto il Medio Oriente sono ancora a Raqqa e Mosul

anno IV - n. 20 giugno 2016 |

ISIS


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2014 NASCITA DEL CALIFFATO

FACES

I volti più significativi del conflitto I protagonisti della grande guerra di Siria e Iraq

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ABU BAKR AL BAGHDADI Dato per morto più volte, l’araba fenice irachena ha sempre smentito quelle voci. L’ultima lo vuole deceduto in seguito a un raid iracheno l’11 ottobre 2015. Ma lo Stato Islamico, in ogni caso, è più vivo che mai.

ABU MUHAMMAD AL JULANI Il leader siriano di Jabhat Al Nusra è più attivo che mai. Il suo gruppo islamista radicale ha dato così tanto filo da torcere all’esercito siriano, che in suo soccorso è dovuta arrivare l’armata russa di Vladimir Putin.


QASSEM SULEIMANI Il generale iraniano è considerato il più grande stratega di guerra del Medio Oriente da Teheran. Oggi, oltre all’élite delle forze iraniane e a Hezbollah, guida e coordina le operazioni in Iraq e Siria per conto di Mosca.

VLADIMIR PUTIN L’action man di Russia è l’unica solida carta su cui la comunità internazionale può contare per uscire dalla crisi siriana senza esser trascinati in una guerra mondiale. A meno d’imprevisti, come uno scontro con i jet della NATO.

BASHAR AL ASSAD Il presidente triste non esce più dal bunker di Damasco. Le sue rare interviste consegnano alla storia un personaggio ancora lucido e realista. Tuttavia, il suo destino è stato segnato sin dal giorno in cui è scoppiata la guerra.

BARACK OBAMA È il più grande mistero della politica estera americana degli ultimi anni. Le sue decisioni nello scenario internazionale sembrano dettate, più che dalla prudenza, dall’indecisione. Che cos’ha davvero in mente il presidente?


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GIUGNO 6

Intorno alle 03:20, i combattenti dello Stato Islamico entrano a Mosul attraverso cinque distretti lungo il bordo occidentale della cittĂ .

Fonte: Reuters

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I miliziani di IS fanno strage della polizia irachena nella parte settentrionale del quartiere Tamoz 17. La Terza divisione dell’esercito iracheno abbandona il bordo occidentale della città e anche tra la polizia iniziano le defezioni.

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Qanbar, vice capo del personale del ministero della Difesa, e Ghaidan, comandante delle forze di terra irachene, arriva a Mosul e assume il controllo da Gharawi, capo dei federali.


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- LA CADUTA DI MOSUL

Base militare di Al Kindi Avanzata dei combattenti ISIS Musherfa 6

Tigris

Mosul

Baghdad IRAQ

Tamoz 17 6 Mosul Hotel 8 9 Hay al-Islah al-Ziraie 6 Haramut 6

Hay Tanak 6

Hay Uraibi

10 Gharawi cade in un’imboscata

Iraqi Operation 7 Command Aeroporto di Mosul 2 miglia 2 km

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Arrivano altre truppe IS che assaltano una stazione di polizia nel quartiere Hay Urabi e poi si dirigono all’Hotel Mosul. Continuano le diserzioni e le fughe di poliziotti e federali.

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Un’autocisterna riempita con esplosivo esplode di fronte all’Hotel Mosul, mettendo in fuga gli ultimi federali e poliziotti rimasti. IS raggiunge il lato occidentale del fiume Tigri. Esercito e ufficiali locali si riuniscono al Comando Operazioni intorno all’aeroporto. Qanbar e Ghaidan si dirigono verso la base militare di Al Kindi, che poi abbandonano nella notte.

10 Gharawi lascia il Comando Operazioni e attraversa il Tigri, dove cade in un’imboscata, ma riesce a fuggire dalla città a bordo di un veicolo corazzato.

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LA CATENA DI COMANDO DELLO STATO ISLAMICO CONSIGLIO DELLA SHURA* (CONSIGLIERI MILITARI E RELIGIOSI)

MEMBRI ANZIANI (CONSIGLIERI)

ABU MUSAB AL ZARQAWI LEADER DI AL QAEDA IN IRAQ E IDEATORE DEL PROGETTO PRIMORDIALE DELLO “STATO ISLAMICO” ASSASSINATO NEL 2006 DAGLI USA

ABU SHEMA RESPONSABILE ARMAMENTI

ABU MOHAMMAD AL-ADNANI PORTAVOCE DELLO STATO ISLAMICO

ABU KIFAH RESPONSABILE GUERRIGLIA E ATTENTATI

ABU OMAR AL-SHISHANI COMANDANTE DELLE FORZE ARMATE IN SIRIA ALIAS “IL CECENO”

ABU SUJA CONSIGLIERE AFFARI CONNESSI CON LA RELIGIONE

ABU BAKR AL-BAGHDADI FONDATORE E DEL CALIFFATO E LEADER ASSOLUTO DELLO STATO ISLAMICO IS CONOSCIUTO COME CALIFFO IBRAHIM

*Sono indicate solo le figure chiave

CAPO PO DI STATO E DI GOVERNO ATTUALMENTE AL POTERE

GABINETTO DI GUERRA BRACCIO ESECUTIVO

?

LUOGOTENENTI

ABU MUSLIM AL-TURKMANI

ABU ARI AL ANBARI

VICE DI AL BAGHDADI E COMANDANTE IN IRAQ

VICE DI AL BAGHDADI E COMANDANTE IN SIRIA

GOVERNATORI DELLE PROVINCE IRACHENE

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GOVERNATORI-EMIRI DELLE PROVINCE SIRIANE

FINANCE COUNCIL

MILITARY COUNCIL

SECURITY COUNCIL

MEDIA COUNCIL

ARMI, PETROLIO, ECONOMIA

DIFESA E DOGANE

POLIZIA INTERNA E GIUDIZIARIA

MASS MEDIA E SOCIAL NETWORK

LEADERSHIP COUNCIL

FIGHTERS ASSISTANCE COUNCIL

INTELLIGENCE COUNCIL

LEGGI E KEY POLICIES

GESTIONE COMBATTENTI STRANIERI

SERVIZI SEGRETI

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Figure chiave di IS ABU MUSLIM AL-TURKMANI “NUMERO DUE” DEL CALIFFATO Forse la figura più importante dopo il Califfo stesso, Al Turkmani è un esperto militare iracheno, proveniente dai ranghi dei baathisti. Ha servito Saddam Hussein come generale dell’esercito, come membro della guardia repubblicana (nelle forze speciali del palazzo presidenziale) e ha militato anche nella disciolta Istikhbarat, l’intelligence militare di Baghdad, sino al 2003. Come Al Baghdadi, anche Al Turkmani è stato imprigionato a Camp Bucca, le discusse carceri irachene sotto il controllo americano durante l’invasione che ha deposto il regime. Oggi governa le province irachene ed è a capo delle operazioni militari in Iraq. Potrebbe essere morto durante il raid americano dell’8 novembre 2014 su Qaim (Iraq) in cui sarebbe stato ferito lo stesso Califfo. ABU OMAR AL-SHISHANI ALTO COMANDANTE IN SIRIA Nome di battaglia “Al Shishani”, conosciuto anche come “il ceceno”, è nato in Georgia nel 1986. Ha combattuto nelle fila dei ribelli siriani contro il regime siriano di Assad, prima di prestare giuramento al Califfato nel 2012. Figura chiave dell’alto comando militare, Shishani è a capo delle operazioni in Siria e ha condotto anche la vittoriosa campagna militare che ha portato lo Stato Islamico ad avere il controllo dell’Iraq del nord. Ormai leggendario tra i miliziani, il suo volto caucasico e in particolare la sua barba rossiccia sono ormai divenuti un’icona: la sua immagine compare in numerosi video realizzati dalla propaganda jihadista mentre la sua faccia viene riprodotta su auto, carri armati, muri e persino t-shirt. Per tale ragione, i giornalisti lo chiamano anche “ginger jihadist”. Attualmente, si ritiene stia conducendo la campagna contro i curdi al confine turco-siriano. ABU MOHAMMAD AL-ADNANI PORTAVOCE E “IDEOLOGO DI IS” Nato nel 1977 a Idlib, in Siria, Al Adnani è indicato come un combattente jihadista sin dai tempi della guerra in Iraq del 2003, anche se gli americani lo hanno inserito nell’elenco dei “terroristi internazionali” soltanto nel 2013. Descritto come appassionato lettore e assiduo frequentatore di moschee, sotto il Califfato Al Adnani è divenuto una sorta di Ministro per la Propaganda. È lui che sovrintende a tutte le comunicazioni ufficiali e ai messaggi veicolati ai media da IS. Si ritiene anche che abbia personalmente curato la dichiarazione ufficiale multilingue del 29 giugno 2014 (foto in alto), che annunciava al mondo la creazione dello Stato Islamico.

Proclama dello Stato Islamico robabilmente, lo Stato Islamico è un parto dello Stato maggiore della difesa irachena, promosso da quella parte di sunniti che si sono rifiutati di subire discriminazioni etnico-religiose. In ogni caso, il gruppo è cresciuto oltre ogni aspettativa e oggi ha debordato in una forma arcaica di teocrazia, dove vige principalmente la legge della spada. Per capire meglio di cosa stiamo parlando, può essere utile leggere la proclamazione della nascita dello Stato, “La promessa di Allah”.

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Lo Stato islamico - rappresentato da Ahl-Halli-wal -’aqd (l’autorità del proprio popolo), composto da personalità di alto livello, dirigenti e dal Consiglio della Shura - ha deliberato di annunciare l’istituzione del Califfato Islamico, la nomina di un khalifah (Califfo) per i musulmani, e il pegno di fedeltà allo shaykh (Sceicco), il Mujahid, lo studioso che pratica ciò che predica, il fedele, il leader, il guerriero, il rinnovatore, discendente dalla famiglia del Profeta, lo schiavo di Allah Ibrahim, Ibn ‘Awwad Ibn Ibrãhim Ibn’ Ali Ibn Muhammad al-Badri al-Hashimi Husayni al-Qurashi per lignaggio, as-Sãmurrã’i per nascita ed educazione, al-Baghdadi per dimora e studio. E lui ha accettato la bay’ah (pegno di fedeltà). Così, egli è l’imam e khalifah per i musulNASCITA DEL CALIFFATO mani in tutto il mondo. Di conseguenza, in nome dello Stato islamico l’Iraq e Sham (ISIS) è d’ora in poi rimosso da tutte le deliberazioni e le comunicazioni ufficiali, e il nome ufficiale dalla data della presente dichiarazione è Stato islamico. Chiariamo ai musulmani che con questa dichiarazione del Khilafah (Califfato) spetta a tutti i musulmani di giurare fedeltà al khalifah Ibrahim e sostenerlo (che Allah lo preservi). La legittimità di tutti gli Emirati, i gruppi, gli stati e le organizzazioni, diventa nulla per l’espansione dell’autorità del Khilafah e l’arrivo delle sue truppe nei loro territori. Imam Ahmad (che Allah abbia misericordia di lui) ha detto, come riportato da ‘Abdus Ibn Malik al-’Attãr: “Non è permesso a nessuno che crede in Allah di dormire senza contemplare come proprio capo chiunque li conquisti con la spada fino a che non diventa Khalifah e si chiama Amirul-Mu’minin (il capo dei credenti), sia che queSTIME CIA sto leader sia un giusto o un peccatore”.

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31.500 miliziani ISIS

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ARTICOLO PuBBLICATO NEL GIuGNO 2014

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MONDO onostante l’organizzazione internazionale di Al Qaeda non rappresenti né il primo né l’unico fenomeno della confusa e intricata nebulosa jihadista del XXI secolo, ne incarna sicuramente il tratto più fantomatico e mediatizzato, oltre che incisivo e radicato. Eppure, qualcosa è cambiato. Confrontando i discorsi vecchi e nuovi di quelli che sono considerati i teorici dell’organizzazione, è possibile individuare il cambiamento in atto nelle strategie, nel modus operandi e nella visione complessiva della rete qaedista, resosi ancor più evidente in seguito alla morte del suo leader fondatore, Osama Bin Laden, il primo maggio 2011. Già a quella data, si palesava una prima linea divisoria tra il “Far Enemy”, il nemico lontano combattuto da Bin Laden, e il “Near Enemy”, il nemico interno alla comunità islamica contro cui si rivolge invece il successore di Osama, Ayman al-Zawahiri. Murad Batal al-Shishani, esperto di terrorismo e movimenti islamisti, osserva in un recente saggio che il 70% dei discorsi di Bin Laden era incentrato su crociati ed ebrei, mentre solo il 10% era diretto a rovesciare i regimi arabo-musulmani considerati apostati. Al contrario, al-Zawahiri, anche per via del suo background (era a capo di un gruppo jihadista nazionale prima di unirsi al jihad globale) è molto più concentrato sul “nemico vicino”, che affronta almeno nel 50% dei suoi discorsi. Dopo l’iniziale impeto diretto principalmente contro il sionismo e l’America, infatti, la jihad globale comincia a rivolgersi anche ai regimi interni al mondo arabo-islamico ritenuti “empi, traditori e ipocriti”. Non è un caso che la recente ascesa dell’Islam radicale sia stata concomitante alle varie rivoluzioni note come “Primavere Arabe”: si pensi agli attacchi dinamitardi che si sono moltiplicati in Egitto, nel Sinai, dopo la destituzione del presidente Morsi (leader della

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Cos’era e cos’è oggi l’organizzazione terroristica più pericolosa al mondo di Marta Pranzetti

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Fratellanza, ndr) o ancora, al nuovo attivismo di Ansar al-Sharia, gruppo salafita militante basato in Tunisia e Libia nato dopo la rimozione del presidente tunisino Ben Ali e con il vuoto di potere lasciato dal crollo statuale della Libia postGheddafi, e oggi ufficialmente dichiarato organizzazione terroristica. La realtà è che il terrorismo, come qualsiasi altro fenomeno storico e antropologico, nel tempo si adatta e muta. Quello qaedista dei giorni nostri, è sempre più invischiato nelle dinamiche geopolitiche, ritrovandosi costantemente su teatri nazionali di guerre e insurrezioni, servendo con la sua attività gli interessi dei potenti. Questo era evidente in Afghanistan - dove Islam radicale, petrodollari, CIA e missili Stinger avevano fatto miracoli - ed è sempre più evidente in Siria, divenuta l’arena di scontro di logiche tribali, settarie, religiose oltre che di dinamiche egemoniche e di supremazia regionale.

con il fronte creato da Bin Laden contro il “Far Enemy” ed è caratterizzata da un centro di comando stabile individuato nelle basi afghane. La “seconda generazione” entra in scena nel 2003, dopo l’11 settembre, con l’invasione statunitense in Afghanistan e Iraq, che scuote alla base la struttura qaedista e determina un fiorire di reti locali decentralizzate e indipendenti (AQAP, AQIM e AQI ne sono gli esempi più lampanti) pur se afferenti alla “Base” binladiana. Si tratta di una fase molto più feroce e militante, nella quale vengono stabiliti “emirati” regionali dai quali dirigere la jihad. Ma sempre e comunque su direttiva centrale. La “terza generazione” (2009-2011) rappresenta forse la fase peggiore per l’Organizzazione: innanzitutto, le Primavere Arabe scuotono quel fondamento ideologico di Al Qaeda secondo cui i regimi dittatoriali possono essere rovesciati solo con la violenza. Secondo, la morte del suo leader indiscusso assesta il colpo di grazia alla rete globale, al comando centrale e ai suoi network regionali. L’arrivo del “progetto jihadista” di Al Qaeda in Siria - reso

“Uccide re gli america e milit ni ari - è un dove e i loro allea musulm re indi ti - civ ano che viduale ili sia in Paese p p grado d er ogni ossibil i e, al fi farlo i delle d ne di l n ogni ue Sacr iberare e Mosch l a terra ee” Osama Bin la den

Proprio il contesto siriano emerge come momento di transizione fondamentale nell’evoluzione della rete qaedista. Tre sono gli stadi fondamentali nel processo di mutamento generazionale subito da Al Qaeda e ce n’è potenzialmente un quarto, nato proprio dalla crisi siriana. La “prima generazione” qaedista, quella delle massive operations, degli attentati di Nairobi e Dar al-Salam degli anni Novanta, può essere identificata

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9/11 Gli attentati del 2001 negli Stati uniti hanno provocato 2.974 vittime ufficiali

possibile anche dall’implicito consenso dell’Occidentale che, come per la CIA in Afghanistan, ha pensato di poter sfruttare i qaedisti come partner nella lotta al regime di Assad - segna infine l’avvio della “quarta generazione” e rappresenta il futuro stesso dell’Organizzazione. In conclusione, l’Al Qaeda che conoscevamo non esiste più: non esiste cioè un’Organizzazione gerarchicamente strutturata e in grado di pianificare campagne coerenti con un’unica impostazione ideologica, né un’Organizzazione carismatica che ha operato e si è sviluppata grazie all’attivismo e alle capacità organizzative e finanziarie del suo leader e che ha fatto del terrorismo il suo core business. Al contrario, come osserva lo studioso di terrorismo J. M. Berger, la nuova Al Qaeda è pur sempre radicale, estremista e violenta, ma non fa del terrorismo la sua strategia primaria, impegnata com’è su terreni di guerra, mentre è sempre più paragonabile a un esercito regolare di combattenti in prima linea. Ciò nonostante, è rimasto invece vivo il brand di Al Qaeda, cui in qualche modo il leader al-Zawahiri cerca ancora di richiamarsi, benché non gli sia resa vita facile dai numerosi dissidenti interni.


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La vecchia scuola na distinzione fondamentale da tenere a mente è che mentre la vecchia scuola di qaedisti, quella dei fondatori, è stata caratterizzata da “teorici della jihad”, le nuove leve sono soprattutto “agenti operativi della jihad”. Già nel 2007, un volume di Vahid Brown, consulente presso il Centro antiterrorismo di West Point, riconosceva un sostanziale scisma interno all’Organizzazione tra gli “operativi” della nuova generazione riconoscibili in Abu al-Walid al-Masri e Abu Musab al-Suri, e i teorici “propagandisti” appartenenti alla vecchia guardia: Bin Laden, al-Zawahiri e ancor prima Abd Allah al-Azzam.

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CAPO DI AL QAEDA ucciso dai Navy Seals ad Abottabad, in Pakistan nella notte tra l’1 e il 2 maggio 2011

“Il mio destino è già scritto. Non posso fare nulla per impedire quello che sta per accadere” abd allah al-azzam

All’epoca della fatwa emessa nel 1998, Osama Bin Laden non era ancora il most wanted terrorist ed era ricercato solo in Arabia Saudita. Perciò la fatwa passò pressoché inosservata, almeno fino al bombardamento dell’Ambasciata statunitense a Nairobi. In realtà, una prima fatwa, ben più corposa, era apparsa nel 1996. Ricca di riferimenti alla tradizione islamica e di richiami alle variabili del contesto geopolitico dell’epoca, la fatwa del ’96 era diretta esplicitamente contro il governo del Regno saudita. Nel testo venivano infatti evidenziati gli errori commessi dalla famiglia reale Saud tanto a livello economico-finanziario e amministrativo (l’essersi sottomessi alle condizioni straniere per lo sfruttamento di una risorsa locale, il petrolio), quanto a livello societario e morale (l’aver dato accesso alle truppe della coalizione per operare dal suolo sacro dell’Islam assoggettando la popolazione alle vessazioni di popoli stranieri). Dopo una serie di pragmatiche accuse rivolte a personalità ben precise del governo saudita, Bin Laden definiva il Regno “l’agente dell’alleanza tra America e Israele”, accusandolo di aver coadiuvato la diffusione della miscredenza nella penisola arabica. I proclami di Bin Laden, insomma, racchiudevano l’ideale categorico e incorruttibile secondo cui dopo la fede niente è più imperativo che respingere l’aggressore, colpevole di corrompere la vita quotidiana e la religione, in tutti i modi possibili. Tale ideale ha rappresentato la linfa vitale che ha generato l’Organizzazione qaedista sin dal suo più remoto creatore, Abd Allah al-Azzam, attivista palestinese e leader dei mujaheddin afghani, nonché insegnante e mentore di Bin Laden, considerato il vero padre della jihad globale.

CHI ERA ABD ALLAH AL-AZZAM Il pensatore che ispirò Bin Laden e Al Zawahiri, nasce a Jenin, in Cisgiordania, nel 1941. Sposatosi in Giordania e padre di due figli, peregrina dall’Arabia Saudita al Pakistan. Stabilitosi a Peshawar intorno al 1979, fonda in questa città il famoso movimento dei Mujaheddin, i cosiddetti patrioti che combatteranno (e vinceranno) la “Guerra Santa” contro i sovietici in Afghanistan. Al Azzam muore a Peshawar nel 1989, in seguito a un attentato dinamitardo di cui ancora oggi non si conoscono i responsabili.

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Il Manifesto di Ayman al-Zawahiri, Knights under the Prophet’s Banner (“Cavalieri sotto la bandiera del Profeta”) fu pubblicato a puntate su un giornale saudita, nell’ottobre 2001. Le origini e il background di questo influente ideologo, forse il vero sostegno teologico alle prediche del carismatico Bin Laden, interessano in quanto egli proviene da un’influente famiglia egiziana: il nonno paterno era Imam (guida spirituale) presso la moschea di Al-Azhar al Cairo, il nonno materno era presidente della Cairo University e Ambasciatore egiziano in Pakistan, Yemen e Arabia Saudita, il fratello del nonno era stato il primo Segretario generale della Lega Araba. Già membro dei Fratelli Musulmani, prima Al Zawahiri fonda in Egitto il gruppo del jihad islamico egiziano (EIJ) e poi, con la guerra in Afghanistan, radicalizza il suo pensiero. Per lui, la democrazia è il nuovo nemico, in quanto la sovranità non può essere popolare ma appartiene solo ad Allah, e la jihad è lo strumento per realizzare il Califfato islamico. Tra i suoi obiettivi dichiarati, individua: le Nazioni Unite, i governi arabi, le multinazionali, internet, i mezzi di comunicazione di massa, le organizzazioni umanitarie internazionali.

“Spero di spendere ciò che resta della mia vita nel servire la causa dell'Islam nella sua guerra feroce contro i tiranni della nuova crociata” ayman al-Zawahiri

La nuova generazione on la recente spaccatura dichiarata dal quartier generale di Al Qaeda con ISIL (o ISIS, Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, movimento jihadista, guidato da Abu Bakr al-Baghdadi, di origine irachena e operante in Siria e Iraq), lo scisma tra vecchia e nuova scuola di pensiero prende forma concreta. Qui entra in gioco Mustafa bin Abd al-Qadir Setmariam Nasar, più noto nei circoli jihadisti e dell’anti-terrorismo come Abu Musab al-Suri. La tattica di al-Suri predilige piccole cellule o individui indipendenti, che più facilmente sfuggono alla sorveglianza dei “nemici del Califfato islamico”. Una strategia del “lupo solitario” che pare essersi definitivamente affermata anche in Occidente, a giudicare dai più noti casi del terrorismo di matrice islamica (dal francese Mohamed Merah, ai fratelli ceceni Tsarnaev). In tutti i libelli jihadisti, anche di nuova generazione, infatti, l’enfasi è sempre posta sul diritto (che, secondo la legge islamica, è anche dovere) del musulmano alla resistenza e all’autodifesa contro l’aggressione occidentale e sionista, oltre che sull’importanza del sacrificio. In questa evoluzione di Al Qaeda, solo le motivazioni che sostengono la jihad, infatti, restano immutabili. Il resto - strutture, strategie e obiettivi - è completamente cambiato.

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IL NUOVO LEADER Il medico egiziano è stato a lungo il teologo di riferimento di Al Qaeda

LEADER E CAPI QAEDISTI UCCISI

Abu Musab al-Zarqawi Leader in Iraq Ucciso da un raid aereo USA in Iraq nel giugno 2006

Abu Laith al Libi Vertice operativo in Afghanistan Ucciso da un drone nel gennaio 2008

Catturati

Younis al-Mauritani Membro anziano di Al Qaeda Catturato in Pakistan il 5 settembre 2011

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Said Al Masri N. 3 di Al Qaeda Ucciso da un drone in Pakistan nel maggio 2010

Fazul Abdullah Mohammed Leader in Africa Orientale Ucciso dalle forze somale nel giugno 2011

Nasser Abdul Karim al-Wuhayshi Leader di AQAP Fuggito dalla prigione di Sanaa nel 2006

Abou Mossab Abdelwadoud Leader di AQIM A capo delle rivolte in Mali e Algeria

Latitanti

Abu Anas al-Libi Leader di ISIS (affiliato ad Al Qaeda) Catturato in Libia il 5 ottobre 2013

Fonte: FBI, News reports

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Saleh Ali Saleh Leader in Somalia Ucciso dai Navy Seals in Somalia nel giugno 2009

Abu Bakr al-Baghdadi Nuovo leader di ISIS Latitante dal 2011. Taglia: 10mln dollari


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Al QAedA e AFFiliAti nel mondo Tunisia

IRAQ Stato Islamico dell’Iraq

MAROCCO ALGERIA

LIBIA

S A H A R A MAURITANIA MALI

NIGER

CIAD

EGITTO

Paesi Affiliati

AFGHANISTAN

SIRIA Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, Jabhat al-Nursa

ARABIA SAUDITA

SUDAN

Paesi in cui operano Al Qaeda e i suoi affliliati PAKISTAN Leadership operativa di Al Qaeda nello Stato Musulmano

YEMEN Al Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP)

Sahel

FILIPPINE

ETIOPIA NORD AFRICA Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM)

NIGERIA Ansaru

UGANDA

SOMALIA Al Shabaab

KENYA INDONESIA

TANZANIA

Fonte: U.S. Department of State; Reuters

“Il Sacro Corano ci proibisce di usare la forza come mezzo di conversione” Catturato in Pakistan nel 2003, consegnato agli americani nel 2006 e oggi detenuto nel Compound 7 di Guantanamo, Khalid Sheykh Mohammed è considerato una delle menti degli attentati al World Trade Center e trait d’union tra vecchia e nuova generazione di terroristi. Il suo testo del 2009 è un vero e proprio manifesto dell’ideologia qaedista indirizzato ai “crociati” della commissione militare di Guantanamo, come si evince dal titolo: Statement to the Crusaders of the Military Commissions in Guantanamo. In un altro suo scritto, venuto alla luce di recente, The Islamic Response to the Government’s Nine Accusations, sempre risalente al 2009 e indirizzato alla Corte del processo in cui è imputato, il qaedista riafferma il suo impegno a combattere l’America che lo ha tenuto prigioniero tutti questi anni e che egli definisce come il “primo dei criminali di guerra”. Egli afferma che “non è vero che i mujaheddin combattono gli infedeli per convertirli all’Islam o per perseguitare chi afferma di applicare democrazia, libertà e diritti umani”. Dice inoltre che l’attacco alle Torri Gemelle rientra nell’ambito delle azioni di “autodifesa” e non risponde affatto a logiche di conversione di massa violente. L’Islam infatti “proibisce di usare la forza per affermare la religione ma invita i credenti a persuadere gli infedeli nel migliore dei modi”. Il che, per inciso, corrisponde ai dettami del Corano (“Non c’è costrizione nella religione” recita il versetto 2:256).

“Jihad è la guerra dei deboli e degli oppressi: la resistenza è la Jihad di tutta la Comunità, non solo quella delle forze combattenti d’elite” ANCORA LIBERO Il leader siriano è considerato il più sofisticato e abile stratega della nuova generazione

11 SETTEMBRE Mente dell’attentato al World Trade Center, Mohammed è stato catturato in Pakistan nel marzo 2003

Misteriosamente sparito nel 2005 dopo che l’intelligence pakistana lo aveva arrestato nel Baluchistan e consegnato agli americani, la figura di Abd al-Qadir Setmariam Nasar (Al Suri) è legata alla leadership culturale della nuova Al Qaeda. Il suo “Appello alla resistenza islamica mondiale”, pubblicato su internet nel dicembre 2004, è in aperto contrasto con la strategia globale di Bin Laden e con il suo “terrorismo spettacolare” cui anche al-Zawahiri si è adeguato. Nelle 1.604 pagine di testo - spesso definito il Mein Kampf del perfetto jihadista - al-Suri invita il lettore all’auto-reclutamento e all’auto-addestramento alla “resistenza islamica globale” con l’intento di trasformare Al Qaeda da grande organizzazione gerarchica, vulnerabile proprio per tale ragione, a un movimento decentralizzato, dalle dimensioni ridotte e dunque più resistente e meno rintracciabile.

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L’espansione del Califfato Qamishli TURCHIA

Arbil

Aleppo

Al-Hasakeh

Mosul

Ar-Raqqah

As Safirah Latakia Banyas Al Furqlus

Mar Mediterraneo

SIRIA

Deir-ez-Zor

STATO ISLAMICO

Kirkuk Baiji Tikrit

Homs

Palmrya Samarra

LIBANO

Provincia di Diyala

Dumayr Jamraya

Khan Abu Shamat Baghdad

Damasco ISRAELE Deraa

JORDAN

entre l’Iraq sta scomparendo come entità statuale e le cartine geografiche andranno presto ridisegnate, tra il territorio iracheno e siriano è nato il 30 giugno 2014 il primo “Califfato Islamico” della storia contemporanea per volere degli jihadisti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, che da oggi in poi dovremo chiamare direttamente “Stato Islamico”. Abu Mohammad al-Adnani, portavoce degli insorti sunniti, ha infatti annunciato via internet che le parole “Iraq” e “Levante” spariscono definitivamente dalla sigla ISIS e che il suo capo, o meglio

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Kut

GIORDANIA Hilla

Califfo, è ora ufficialmente Abu Bakr alBaghdadi, il quale “ha accettato la designazione con un giuramento di fedeltà ed è così diventato Califfo dei musulmani ovunque nel mondo”. Con un simile proclama si celebra dunque un risultato inedito e rilevante che, per quanto temporaneo e discutibile visto il conflitto in corso, nessuno si aspettava di tali dimensioni. La ricostituzione del Califfato è un risultato storico per l’intero mondo musulmano e per i sunniti in primis, e corrisponde all’area sotto controllo di ISIS: si estende tra Iraq e Siria a nord tra Mosul (Iraq) e i sobborghi di Aleppo (Siria), fino a sud da Deir az Zor (Siria) a Rutba (Iraq).

IRAQ Area sotto controllo ISIS (Stato islamico) Progetto di espansione dello Stato islamico Area sotto controllo dei curdi (Kurdistan) Battaglie principali e città chiave

ARABIA SAUDITA


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il sogno del gRAnde CAliFFAto seCondo isis

COS’È IL CALIFFATO ISLAMICO

Regione autonoma curda

La forma di Stato conosciuta come Califfato Islamico si rifà alle radici dell’Islam e sorge alla morte del profeta Maometto (632 d.C.), quando la comunità islamica (la umma) si riunì sotto un’unica bandiera e sotto un solo Califfo, prima di conoscere nuove divisioni e faide interne, e tende a replicare i due centri di potere che furono Damasco e Baghdad durante i califfati omayyade e abbaside (VII-XIII secolo). Il Califfato come forma di governo si può definire una monarchia assoluta, o meglio una teocrazia in cui vige la legge della Sharia e il cui capo è una sorta di rappresentante di Allah in terra. Storicamente, le divisioni interne alla comunità sorsero per la trasmissione ereditaria del potere.

Fonte: Stato Islamico (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante)

inFRAstRuttuRe petRoliFeRe in iRAQ Giacimento petroliferi

TURCHIA

Mosul

Kirkuk-Ceyhan Pipeline

Najma Al Qaiyarah Bai Hassan

SIRIA Sotto il controllo militare

Fiume Tigri

Oleodotti

Taq Taq Miran Khor Mor

Pipeline in costruzione

Baiji Maggiori raffinerie

IRAN Akkas

Baghdad Doura

IRAQ Basra

Arbil Kirkuk

IRAN

Nassiriya

Regione curda

Gharraf

Ahdab

Badrah Missan Group Halfaya Majnoon

West Qurna Nahr Umr Rumaila Zubair

Zubair

Giacimenti di gas/condensato

Basrah

ARABIA SAUDITA KUWAIT 100 miglia

KUWAIT

100 km Fonte: Reuters; World Energy Atlas; International Energy Agency; M. Izady - Gulf/2000 Project; Columbia University

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ARTICOLO PuBBLICATO NEL NOVEMBRE 2014

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Come si finanzia lo Stato Islamico


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l’ascesa del gruppo è stata possibile anche grazie alle enormi disponibilità economiche, calcolate oggi intorno ai due miliardi di dollari. estorsioni, contrabbando, riscatti di ostaggi, ma soprattutto vendita del petrolio al mercato nero, finanziamenti esteri e razzie nelle banche. ma quanto pesano queste voci nel bilancio dei jihAdisti sunniti? di Luciano Tirinnanzi

IRAQ uando a giugno le armate di Abu Bakr Al Baghdadi conquistano Mosul, nella Iraq’s United Bank for Investment trovano un tesoro di 500 miliardi di dinari - oltre 450 milioni di dollari, un quarto del patrimonio totale - che permette loro di fare il salto di qualità. Ma, in parte, questa notizia è propaganda. Athil al-Nujaifi, governatore della provincia di Ninive (dove si trova Mosul), ha confermato come i jihadisti sunniti abbiano razziato numerosi milioni da questa e da altre banche nell’area. Ma la grande banca finanziaria irachena fino a poche settimane fa sosteneva che quel mezzo miliardo di dollari ghermito dai miliziani dalla filiale di Mosul “non è mai stato rubato” e che la banca continua a operare normalmente. Eppure, è un fatto che Mosul sia stata ampiamente saccheggiata di soldi, armi e mezzi prima di divenire la capitale irachena del Califfato, controllata direttamente dalle milizie del Califfo, che ha scelto proprio questa città per fare la sua prima e unica apparizione in pubblico.

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il CAso dellA bAnCA di mosul I soldi spariti dalle casse della United Bank facevano parte delle riserve liquide e auree dell’istituto di credito. Vanno esclusi invece i titoli quotati in borsa, i quali sono facili da controllare e da bloccare. Il bilancio dell’istituto bancario iracheno al 31 marzo di quest’anno mostrava che la banca centrale (di cui Mosul è solo una delle 21 filiali) aveva in pancia 227 miliardi di dinari investiti, 371 mld di depositi,

nella pen-drive di un corriere dello Stato Islamico, intercettato dai servizi segreti iracheni. Dunque, mancherebbe all’appello un altro miliardo di dollari. Se ne deduce che il grosso dei finanziamenti allo Stato Islamico giunga da altre fonti. Quali? il FinAnziAmento inteRnAzionAle Come noto, uno dei cinque pilastri dell’Islam su cui si basa la professione di fede di ogni buon musulmano, è la Zakat, traducibile come “elemosina” nel suo senso più nobile: è fatto obbligo per ogni musulmano dimostrare la propria benevolenza e misericordia verso i propri fratelli attraverso la donazione spontanea di una parte delle proprie ricchezze. Un sistema che può travalicare la fede e può servire da finanziamento occulto per attività niente affatto connesse con le pratiche religiose o sociali, come ad esempio la jihad. Arabia Saudita e Qatar sono direttamente coinvolte in questo senso. Non si tratta solo di accuse, ma di considerazioni che provengono da numerose istituzioni, a cominciare dalla Casa Bianca. Già nel 2001 gli Stati Uniti avevano creato unità specializzate nello screening dei flussi finanziari esteri, concentrando le indagini proprio sulla Penisola Araba, e facendo conseguentemente pressione sui governi di Arabia Saudita, Kuwait e Qatar per reprimere il finanziamento di gruppi estremisti. Che tuttavia non si è mai interrotto.

QATAR E ARABIA SAUDITA SONO COINVOLTE NEL FINANZIAMENTO 61,5 mld di provvigioni e solo 38 mld di riserve. Se i dati della United Bank sono corretti, la cifra reale di cui i miliziani hanno potuto usufruire realmente si aggira allora intorno ai 120 miliardi di dinari, pari a circa 85 milioni di dollari. Forse ancor meno. Sempre che le riserve si trovassero tutte a Mosul. In ogni caso, si tratta di una cifra ben lontana dai 450 milioni di dollari denunciati. Prima della caduta di Mosul, sappiamo per certo che la reale disponibilità economica del Califfato era pari a 875 milioni di dollari. La notizia è giunta a noi attraverso i dati contabili scoperti 18

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nelle casse del Califfato quotidianamente una cifra compresa tra i 200 e i 400 mila dollari, attraverso la vendita del greggio al mercato nero, al governo turco e allo stesso regime siriano. Controllare le strade da Jarabulus a Kobane in Siria e l’autostrada che corre lungo la provincia di Anbar in Iraq, consentirà a IS di incrementare tali commerci, che avvengono per lo più su gomma, attraverso autocisterne. Anche le razzie perpetrate a danno delle aree archeologiche garantiscono una straordiMARZO 2014 Il documento del naria fonte di finanziamento (la Siria, afferma bilancio ufficiale l’UNESCO, possiede oltre 10mila siti greci, rodella united Bank mani, ottomani e di altre civiltà). Secondo l’inof Iraq telligence britannica, solo i saccheggi presso il sito archeologico intorno ad Al Nabuk, tra le montagne Qalamoun a ovest di Damasco, hanno portato allo Stato Islamico guadagni per 36 milioni di dollari. Inoltre, le immagini satellitari della città greco-romana di Apamea mostrano distintamente scavi e dissotterramenti incontrollati con i bulldozer, a riprova di quanto spaventoso sia il livello di razzie raggiunto da parte dei predoni che operano per conto dei jihadisti sunniti, e di quanto remunerativo sia questo business.

Questi tre governi hanno anzi affermato che parte delle donazioni, emerse come chiara fonte di finanziamento diretta ai combattenti in Siria dal 2011 in poi, sono giustificate dalla necessità di sostenere le forze ribelli in Siria contro il regime di Bashar Al Assad. Enti di beneficenza e singoli uomini facoltosi del Golfo hanno dunque effettivamente donato, sia pur indirettamente, cifre enormi a enti o soggetti collegati tanto all’esercito Siriano Libero quanto a Jabhat al-Nusra, sia attraverso bonifici sia per tramite di emissari con valigette piene di contanti. Secondo una nota informativa del Brookings Doha Center (ente di ricerca politico-economico del Qatar, con sede anche a Washington), a maggio scorso la gran parte della raccolta fondi privati e di beneficenza per l’insurrezione in Siria era concentra nelle sole aree dove operano i jihadisti. Fino alla fine dello scorso anno, dicono fonti inglesi ben informate, è stato possibile rintracciare i dettagli dei depositi bancari internazionali per le donazioni. Oggi questo metodo è stato sostituito da comunicazioni cellulari, contatti telefonici e account WhatsApp utilizzati per coordinare le donazioni e trasmettere indirizzi stradali dove raccogliere fisicamente il denaro. petRolio e ARCheologiA Per capire come funziona l’economia dello Stato Islamico, non vanno dimenticati i profitti dei giacimenti petroliferi che ancora controllano in Siria orientale e nel Nord dell’Iraq. IS esporta circa 9mila barili di petrolio al giorno a prezzi che vanno dai 25 ai 45 dollari al barile. Il che porta

le tAsse Infine, lo Stato Islamico ha creato anche un vero e proprio sistema di tassazione, tanto in Siria quanto in Iraq, che colpisce sia le piccole e medie imprese sia i cittadini musulmani e non, con relativi distinguo. Nella loro capitale irachena Mosul, ad esempio, oltre agli esercizi commerciali, le tasse vengono imposte anche alle compagnie telefoniche che dispongono di ripetitori nelle zone controllate da IS. Nella capitale siriana Raqqa, invece, agli imprenditori si richiedono 20 dollari ogni due mesi in cambio di energia elettrica, acqua e sicurezza per la propria azienda. Un tributo che, in maniera lungimirante, è inferiore alle tasse (e alle tangenti) che prima erano dovute al governo di Assad. Ai cristiani, inoltre, è stata imposta la Jizya, la stessa tassa che il profeta Maometto richiedeva alle comunità non musulmane in cambio di protezione. Tutti i tributi vengono riscossi attraverso rappresentanti politici locali e gestiti dalla Banca di Credito di Raqqa, che oggi funziona come autorità fiscale almeno per la Siria e le cui ricevute portano il timbro con il logo dello Stato Islamico. Discorso simile vale per gli stipendi ai funzionari pubblici e ai soldati, che si aggirano intorno ai 500 dollari al mese, per un totale di circa 60mila uomini. Fa 360 milioni l’anno che possono uscire dalle casse dello Stato Islamico, meno di un quarto delle ricchezze totali, il cui resto può dunque essere investito ancora a lungo nella loro “Guerra Santa”. Il Califfato, dunque, si sta comportando esattamente come uno Stato sovrano e ha dato vita a un sistema tradizionale di economia di guerra che, ahimè, funziona fin troppo bene. Se non si capisce questo, non si comprende appieno la sua forza e la sua pericolosità.

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ARTICOLO PuBBLICATO NEL GIuGNO 2014

L’Iraq e la stabilità perduta dalla corrispondente Laura Silvia Battaglia

IRAQ l terreno su cui si misura la stabilità dell’Iraq è il campo di battaglia. E non ci sono elezioni che tengano. La provincia di Anbar, e le città di Ramadi e Falluja, nel cosiddetto triangolo sunnita a nord-ovest di Baghdad, sono tornate ad essere l’ago della bilancia del settarismo nel Paese e il più difficile banco di prova per l’esercito nazionale e il governo sciita, dall’exit strategy americana in poi. Sono centinaia i soldati già morti, 42mila le truppe inviate, le diserzioni massive. Su Falluja sono cadute per prime le temutissime barrel bombs, le stesse che hanno piegato la popolazione di Homs in Siria e che qui sarebbero destinate a combattere la sigla terroristica di DAESH-ISIS-ISIL (Stato Islamico dell’Iraq e della Grande Siria) che ha preso il controllo dell’area nel gennaio 2014, instaurando - come anche a Ramadi - il cosiddetto “Emirato Islamico” oggi ufficialmente “Califfato”. La vittoria della coalizione sciita al governo per la terza volta, con terzo mandato dell’ex premier Nuri Al Maliki, è comunque carica di incertezze. Settimane fa scrivemmo che la battaglia per la provincia di Anbar aveva un doppio, potenziale rischio. Il primo: indebolire l’unità del Paese, rischiando di perdere il controllo della regione di Anbar per darla in pasto ai terroristi. Il secondo: accrescere l’ira della minoranza

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Ci siè accorti troppo tardi che la caduta delle irrequiete Anbar, Ramadi e Falluja preannunciava l’escalation in tutto il Paese del settarismo eversivo sunnita bAghdAd

sunnita a causa dell’escalation dell’offensiva militare dell’esercito su quel territorio. Che corrisponde precisamente a quanto avvenuto in seguito. Secondo il think tank internazionale Lubold, per combattere efficacemente la resistenza terroristica allo Stato centrale, il governo, dopo avere chiesto F-16 ed elicotteri Apache, è pronto ad attivare un’azione con droni, modelli Predator e Reapers. L’ambasciata irachena in USA e il Pentagono non confermano, ma sembra che lo Stato maggiore iracheno stia trattando affinché trainer e tecnici americani in Iraq supportino un eventuale “Operate armed drone system” nel Paese. Andrew Shapiro, che per anni è stato assistente del Segretario di stato americano per gli affari politico-militari, sostiene che non si tratta di una “richiesta insensata”. Baker Jaber Solag, presidente della coalizione al-Muwaten (che ha ottenuto 48 seggi su 328 in Parlamento nelle ultime elezioni) e già ministro di parecchi dicasteri, riferì a Lookout News che questo è un problema solo iracheno: “Non chiederemo aiuto agli americani.

Abbiamo un esercito forte che sta combattendo a Falluja e vogliamo risolvere questo problema da soli. Per farlo, però, abbiamo bisogno della collaborazione dei sunniti, a patto che siano uniti come i curdi e pronti a combattere i terroristi nelle loro province”. Gli ultimi eventi gli hanno dato torto. L’affermazione di Solag conferma in ogni caso la strategia ufficialmente adottata da Sadoun al-Dulaimi, ex ministro dal doppio portafoglio (Difesa e Cultura) e membro di una delle più potenti tribù di Anbar, con un dottorato in psicologia: reclutare i leader tribali sunniti e gli sheiks per combattere spalla a spalla contro ISIL. Una soluzione che è arrivata troppo tardi, se si pensa che già nel gennaio 2013 in migliaia occupavano pacificamente le piazze di Baquba, Ramadi, Samarra e Tikrit, nei “venerdì, della rabbia e dell’onore” e Omar al Aadami, volto ufficiale dei dimostranti di Samarra, dichiarava che la protesta era finalizzata alla richiesta, da parte dei cittadini sunniti, “di uguaglianza e partecipazione politica”.


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ISIS & FRIENDS

Ma alle proteste, ancor prima della guerra, erano seguiti arresti violenti dei leader sunniti. È il caso dell’arresto di Ahmed al-Alwani, parlamentare sunnita del blocco al-Iraqia, prelevato nella sua casa di Ramadi, nella provincia di Anbar, dopo l’uccisione di tre sue guardie del corpo, della sorella e del fratello. Un caso eclatante, considerata una palese violazione della costituzione irachena dal presidente del Parlamento, Osama al- Nujaifi, a cui è seguita anche l’imposizione del coprifuoco nelle province di Anbar e Salahuddin e un braccio di ferro tra governo e tribù locali per il rilascio del prigioniero. Dopo questi episodi, avere dalla propria parte i leader sunniti sarebbe stato più difficile, e oggi sappiamo che è divenuto impossibile. Ogni settimana, secondo il comandante delle operazioni militari ad Anbar, generale Rasheed Fleih, più di 40-60 auto piene di combattenti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante continuano ad attraversare i confini tra Siria e Iraq e ISIS ha allargato le sue

attività di controllo a dismisura in tutto il nord, fino alle porte di Baghdad. Il costo delle operazioni militari è già altissimo e doveva preoccupare gli osservatori internazionali quanto avvenuto prima della guerra aperta a Albu Faraj, l’area a Nord di Ramadi più interessata dalla presenza di ISIS, e a Falluja. Gli abitanti della città dove i Marines nel 2004 avevano combattuto la più sanguinosa battaglia degli ultimi dieci anni di storia del Paese, avevano da tempo ricominciato a tremare. Sul web, la pagina Save Falluja ha documentato con video e foto fornite da anonimi cittadini, gli effetti di un rinnovato terrore nella città, stretta tra le promesse di protezione di un autoritario “Emirato Islamico” terrorista e i barili-bomba lanciati sui civili come deterrente, dal governo centrale iracheno. Ma nessuno ha voluto vedere e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

La questione è se ISIS o ISIL, lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Addawla al-Islamyya fji al-Iraq wa alSham), sia o non sia un affiliato di Al Qaeda. Nato nel 2004 alla fine della guerra in Iraq, è stato identificato come Al Qaeda in Iraq. Ma la sua storia successiva segna un cambio di rotta verso un’interpretazione ancora più rigida della militanza terroristica, della realizzazione del cosidetto “jihad piccolo” (esteriore) e della finalizzazione del combattimento all’imposizione del Califfato islamico panislamista e wahabita. Sviluppatasi fin dall’inizio nelle province di al-Anbar, Ninive, Kirkuk, Salahuddin, Diyala, Baghdad e Baquba, raccogliendo diversi gruppi d’insorgenti sotto un unico ombrello e cambiando denominazione più volte, fino ad assumere quella di “Stato islamico dell’Iraq e di Al Qaeda in Iraq”, prima dell’ultimo nome ufficiale “Stato Islamico” - ISIS ha conosciuto una potente cesura da Al Qaeda lo scorso anno, quando Ayman Al Zawahiri, massima autorità centrale di Al Qaeda, ha preso le distanze dal comandante Abu Bakr al-Baghdadi. Baghdadi, che aveva annunciato la fusione tra Jabat al-Nusra e ISIS senza legittimazione da parte di Zawahiri, è stato disconosciuto dallo sceicco del terrore. Il gruppo, prima di tornare a operare in Iraq con largo seguito di miliziani stranieri e non arabi prima appartenenti ad al-Nusra, si è stabilito e ha combattuto a lungo nel Nord della Siria.

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I luoghi della Jihad Al Qaeda è stato un fenomeno internazionale. Ma il terrorismo islamico va oltre l’organizzazione di Bin Laden. Ecco alcuni dei Paesi più afflitti dalla piaga del fanatismo religioso islamista

a guerra al terrorismo lanciata dopo l’11 settembre e il conseguente schieramento di forze internazionali sul territorio hanno fortemente indebolito la presenza di Al Qaeda in Afghanistan e, fino al 20072008, anche dei gruppi talebani ad essa collegati. Mentre la morte del leader carismatico Osama Bin Laden ha sancito un definitivo ridimensionamento dell’influenza di Al Qaeda in tutta l’Asia centrale, non si può dire altrettanto di altri gruppi jihadisti vicini o che semplicemente s’ispirano all’ideologia qaedista. I talebani, pur nati come movimento islamista radicale (al contrario di Al Qaeda, che era una organizzazione “esterna” al Paese, anche se qui proliferava) hanno un’ideologia

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fortemente intrecciata con la cultura dell’Afghanistan tribale, fatto che rende molto più difficile sradicarne l’influenza. Lo dimostrano i rapporti compilati dalle forze sul terreno, che cominciano piano piano a essere divulgati e a rivelare una realtà diversa da quella propagandata dalle cancellerie occidentali, che presentano “un Paese avviato alla democrazia e in grado di reggersi sulle proprie gambe”, anche se tale non è. L’area più calda del terrorismo islamista rimane in ogni caso quella del Pashtunistan, la regione abitata quasi esclusivamente da tribù Pashtun e che si estende dall’Afghanistan meridionale al Pakistan settentrionale, un’area etnicamente omogenea ma tagliata in due dal confine della linea Durand.

l confine tra Pakistan e Afghanistan rimane uno dei punti caldi del terrorismo legato ad Al Qaeda in Asia centrale. Definito anche “linea Durand” dal nome del Segretario degli Esteri britannico che lo negoziò, il confine taglia in due la zona del Pashtunistan, un’area geografica etnicamente omogenea tra l’Afghanistan meridionale e il Pakistan nord-occidentale, abitata dai Pashtun. Da entrambi i lati del confine, i leader Pashtun non hanno mai riconosciuto la legittimità della linea Durand, aspirando a un territorio autonomo tra Pakistan e Afghanistan. Dopo l’11 settembre, le problematiche di confine si sono accentuate, alimenAHMAD SHAH tando l’instabilità dell’area che contiMASSOUD nua a essere caratterizzata da una forSoprannominato te presenza di fondamentalisti islamici il “Leone del Panjshir”, guidò la e di gruppi terroristici affiliati ad Al resistenza afgana Qaeda - come la rete Haqqani e il TTP contro l’invasione (Tehrik-i-Taliban Pakistan) - che qui sovietica prima e contro il regime trovano rifugio e che da qui si organizzano per le attività terroristiche e di redei talebani poi. clutamento. Due giorni prima dell’11 settembre Nel 2001 il Pakistan si è schierato 2001, il suo con gli Stati Uniti nella lotta al terroriassassinio fu smo, ma l’alleanza è stata sempre capreludio di una ratterizzata da frizioni e contrasti. Gli nuova era per Stati Uniti (insieme all’Afghanistan) l’Afghanistan. Nel 2002, hanno spesso accusato Islamabad di fu proclamato mantenere un atteggiamento ambiguo eroe nazionale e di non fare abbastanza per contrastare i miliziani che operano sul territorio al confine afghano, puntando l’indice sull’esistenza di legami tra gli Haqqani e l’ISI, i servizi di intelligence pakistani. SPINE NEL FIANCO Il Pakistan è diviso tra la lotta ai gruppi legati ad Al Qaeda e il sentimento anti-americano per la politica dei droni

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Ahmad Shah Massoud

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arakat Shabaab al-Mujahidin. È questo il nome d’origine dell’organizzazione islamista somala meglio nota come Al Shabaab (“La Gioventù”), nata nel 2006 dall’ala estremista dell’Unione delle Corti Islamiche nel corso della guerra in Somalia. Da allora il gruppo combatte per rovesciare il governo di Mogadiscio e imporre la Sharia in tutto il Paese, secondo una versione radicale dell’Islam di ispirazione wahhabita, “guadagnandosi” nel 2008 l’inserimento nella black list delle organizzazioni terroristiche internazionali da parte degli Stati Uniti. Il suo leader è Ahmed Abdi Godane, uscito vittorioso da una lotta di potere intestina dopo l’uccisione nel 2008 del suo predecessore Moalim Aden Hashi Ayro freddato durante un raid americano. Conosciuto come Mukhtar Abu Zubair, Godane è un veterano della jihad afghana, con alle spalle esperienze di militanza in Pakistan e Sudan. In un video diffuso nel febbraio 2012 appare in compagnia del BLACK HAWK DOWN Alle 15.42 del 3 ottobre capo di Al Qaeda, Ayman al-Zawahiri, al quale 1993 un gruppo di Rangers, promette l’obbedienza assoluta di Al Shabaab. La unità delle forze speciali sua visione internazionale si è però scontrata uSA, si cala nel centro di spesso con gli interessi territoriali dei vari clan Mogadiscio per catturare Omar Salad Elmi, che compongono l’ossatura dell’organizzazione. luogotenente di Mohamed Nonostante questa frammentazione interna, il Farrah Aidid, signore della gruppo - che ad oggi può contare su una forza di guerra. Il blitz doveva circa 7mila uomini - ha compiuto azioni eclatanti durare 30 minuti. non solo in Somalia ma anche in Uganda, Etiopia e Occorsero invece 14 ore Kenya, dove il 21 settembre del 2013 nell’assalto al e il bilancio fu di 18 soldati morti, 73 feriti, centro commerciale Westgate Shopping Center di 3.000 vittime somale Nairobi sono state uccise 67 persone. e 2 elicotteri Pur costretta ad abbandonare Mogadiscio e il Black Hawk abbattuti porto strategico di Kismayo, Al Shabaab rimane una spina nel fianco per il governo di Hassan Sheikh Mohamud. Una minaccia per l’intero Corno d’Africa, che nemmeno le migliaia di soldati inviati dall’Unione Africana a sostegno della missione AMISOM (African Union Mission in Somalia) sono state sinora in grado di annientare. (R.B.)

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YEMEN

pericoli maggiori per la stabilità dell’Arabia Saudita arrivano principalmente dal vicino Yemen, dove nel gennaio del 2009 le propaggini yemenita e saudita di Al Qaeda hanno annunciato la formazione di AQAP (Al Qaeda nella Penisola Arabica), gruppo estremista sunnita il cui obiettivo è rovesciare il regno di Riad e il governo di Sanaa per creare un califfato islamico. Guidata dallo yemenita Nasser Al Wuhayshi, in passato tra i più stretti collaboratori di Osama Bin Laden, nel 2011 AQAP ha sfruttato la sollevazione popolare - che ha costretto alle dimissioni l’ex presidente Ali Abdullah Saleh - e le spinte separatiste del Golfo di Aden per radicarsi in vaste aree dello Yemen. È da qui che continua a colpire sedi governative, presidi militari e impianti petroliferi gestiti dalle multinazionali occidentali. Nel mirino ci sono anche gli Stati Uniti, accusati da clan e tribù locali di fare un uso eccessivo di droni. La frequenza e la violenza degli attacchi di AQAP e il profilo sempre più extraregionale che sta assumendo (come dimostrano anche il lancio di discussi mezzi di propaganda come la rivista online Inspire, pubblicata anche in lingua inglese, e l’agenzia di stampa in arabo Madad News Agency) fanno dell’organizzazione una delle più all’avanguardia nell’attuale panorama qaedista globale.

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I LUPI SOLITARI

Il qaedista della porta accanto ARTICOLO PuBBLICATO NEL GIuGNO 2014

di Rocco Bellantone

EUROPA uella che conduce a Damasco e Aleppo non è l’unica strada lungo la quale negli ultimi anni si sono fatti le ossa i qaedisti europei. In attesa della chiamata alla guerra santa islamica, le nuove leve jihadiste studiano e si attrezzano, temprando animo e corpo al ritmo dei sermoni degli Imam delle moschee in cui professano la propria fede. Il loro identikit rimanda alla figura del “lupo solitario”, specie in aumento nella terza dimensione di Al Qaeda - quella del “movimento globale” - teorizzata dal famoso ideologo Abu Musab Suri. Si tratta per lo più di giovani immigrati di seconda o terza generazione, nati principalmente in Francia, Gran Bretagna, Belgio, Germania e nei Paesi scandinavi (Svezia soprattutto), cresciuti “in cattività” ai margini delle grandi metropoli. La loro condivisione dell’ideologia qaedista si consuma quotidianamente sul web, sui social network, sui siti e sulle riviste specializzate, dove bastano pochi click per imparare a costruire una bomba fatta in casa o imbottirsi di esplosivo in caso di chiamata al sacrificio. Secondo le ultime stime delle forze di sicurezza dell’UE, sarebbero all’incirca 400 (ma c’è chi ritiene

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che siano molto di più), destinati per lo più alla “missione formativa” in Siria. C’è però chi ha preferito bruciare le tappe compiendo attentati direttamente in Europa. È il caso del franco-algerino Mohamed Merah, autore di una serie di omicidi tra Tolosa e Mountauban prima di venire ucciso nel marzo del 2012, o di Michael Adebolajo e Michael Adebowale, che nel maggio 2013 massacrarono a coltellate nel quartiere Woolwich a Londra un militare britannico. Altri hanno provato a fondare delle cellule autonome (come “Sharia4Belgium” e “Jemat of Tehut and Jihad in Kosovo”), senza però essere capaci di radicarsi realmente nel territorio, cosa che invece è riuscita in Cecenia all’Emirato del Caucaso. Oltre a Francia e Gran Bretagna, tra le aree più soggette al fenomeno vi sarebbero anche Spagna e Turchia, terre di passaggio per i jihadisti che fanno rientro dal Maghreb e dal Medio Oriente. Ed è proprio il “terrorismo di ritorno” quello che il Vecchio Continente deve temere di più: attacchi a “basso costo”, spesso sporadici e disorganizzati e proprio per questo difficili da prevedere e annientare sul nascere.

Come già accaduto in passato in Bosnia, Cecenia e Afghanistan, anche Siria e Iraq stanno attirando migliaia di combattenti provenienti dall’Europa. Molti di loro sono pseudoterroristi che entrano in contatto con il mondo jihadista grazie a internet e imparando a preparare gli esplosivi nella cucina di casa da “riviste di settore” come Inspire. Questi “lupi solitari” solitamente però non vanno oltre gli atti isolati. I tempi delle cellule integraliste europee, come quella di Amburgo guidata da Mohamed Atta - l’uomo a capo dell’attacco dell’11 settembre - sono passati. Nonostante ciò questi giovani jihadisti in prospettiva rappresentano un grande pericolo per l’Europa, perché prima o poi la guerra in Siria e Iraq finirà ed essi torneranno a casa più addestrati e ideologicizzati di prima, diventando delle serpi in seno per l’Europa. di Fausto Biloslavo

MICHAEL ADEBOLAJO È stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di un militare britannico a Londra nel maggio 2013


geOpOlitica

AFGHANISTAN

RPG, arma simbolo

el manuale sulle armi in uso al Comando Formazione e Dottrina dell’esercito americano Non si vuol certo fare l’elogio del famoso del 1976, c’è un capitolo dedilanciarazzi sovietico, dato che si tratta di uno cato all’uso del lanciarazzi RPG (nell’illustrazione). Alla strumento di morte. Eppure è quest’arma voce “Effetti dell’RPG-7contro i ad aver permesso il salto di qualità al terrorismo velivoli”, il manuale recita: “Il puntainternazionale mento dell’RPG rende altamente improbabile colpire un aereo o un elicottero in movimento. Tuttavia, contro elicotte- guerra grazie a Osama ri in avvicinamento o in decollo, il suo Bin Laden. Da colto ingegnere saudita qual era, impiego potrebbe essere devastante”. Questo particolare, cioè l’uso del infatti, Bin Laden inselanciarazzi contro veicoli in movi- gnò agli afghani che, apmento, non è da sottovalutare e ha portando una semplice fatto dell’arma di fabbricazione sovie- modifica all’RPG (una tica il più fortunato e micidiale stru- curvatura dello sfiato afmento di guerra degli ultimi cin- finché il soldato che lanciava non si ustionasse quant’anni. Il “lanciagranate a reazione anticar- nel mirare verso il cielo), ro” nasce come evoluzione del Panzer- lo si poteva usare egrefaust tedesco, il “pugno corazzato” - giamente per abbattere così chiamato per via del design del gli elicotteri anche punbraccio e dell’ogiva di cui si compone - tando molto in alto. Un utilizzato dalla Wehrmacht nella Se- fatto che permise ai conda Guerra Mondiale e particolar- mujaheddin di ridurre mente efficace per la sua facilità di uti- il gap tecnologico con i lizzo, maneggevolezza e trasporto. Che russi, costringendoli nel tempo alla tanta reclutò, formò e armò - con i soldi americani - quasi tutti i futuri signori defintiva ritirata. sono anche le ragioni per cui la Amir Sultan Tarar, detto della guerra afghani, tra cui Ahmed sua diffusione è divenuta ca“Colonnello Imam” per i Massoud, Jalaluddin Haqqani, il mullah pillare praticamente in tutti suoi quarant’anni di ser- Omar e lo stesso Osama Bin Laden. IL DEPuTATO i conflitti recenti, specie in Anche nell’ottobre del 1993, duranvizio nell’esercito pakiAsia Centrale, Medio CHARLIE stano e nei servizi se- te la battaglia di Mogadiscio - nel conOriente e Africa, in doWILSON greti (ISI), ricorda così testo dell’operazione ONU per la statazione tanto agli eserciSI ENTuSIASMò quell’esperienza: “Era bilizzazione della Somalia finita nel ti ufficiali quanto ai moPER I l’86 o l’87, insegnavo ai caos e ostaggio di vari signori della vimenti ribellistici e al MuJAHEDDIN giovani studenti delle ma- guerra - la tecnica di Bin Laden si riterrorismo organizzato. drasse afgane come usare gli velò terribilmente efficace. L’abbattiIl modello più diffuso di RPG, lanciarazzi portatili per cui mento di due Black Hawk e le gravi quest’arma letale è l’RPG-7, che deve parte delle sue caratteristiche an- devi avere spalle e orecchie forti. Il perdite per soldati USA che tentarono che all’ingegneria francese. Se fu grazie deputato texano Charlie Wilson vole- il recupero dei compagni abbattuti, ai missili Stinger forniti dalla CIA che i va seguire il training e venne in un sono ancora oggi motivo d’imbarazzo mujaheddin afghani iniziarono ad ab- campo d’addestramento mujaheddin. per il Pentagono. L’episodio nefasto battere gli elicotteri sovietici - i Mil Mi- Quando li vide all’opera, ragazzini che per gli USA viene considerato come la 24, anche detti “carri armati volanti” - senza alcuna esperienza caricavano e prima “azione ufficiale” dell’organiznella guerriglia scatenata contro l’inva- tiravano con precisione, si entusia- zazione terroristica Al Qaeda, che dalsione da parte di Mosca (1979-1989), smò, non smetteva più di saltar loro l’Afghanistan si era spostata in Sudan una volta esaurite le scorte, il lanciaraz- intorno esclamando ‘wonderful’”. Ta- e poi anche in Somalia, sempre sotto zi RPG-7 divenne protagonista della rar è lo stesso uomo che negli anni Ot- il comando di Bin Laden.

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DEL CALIFFATO

LA NUOVA AL QAEDA: MINACCIA O FRANCHISING DEL TERRORE? FAUSTO BILOSLAVO Inviato di guerra per Il Giornale e Panorama l Qaeda non esiste più. Il suo leader Ayman Al Zawahiri è solo l’ombra lontana di Bin Laden. In questi anni l’organizzazione si è evoluta in quella che io chiamo una sorta di movimento terroristico in franchising, nel senso che i suoi ideali, obiettivi e modus operandi, la sua sigla e i suoi simboli, sono stati adottati da tante piccole milizie operative in un’area vastissima che va dal Maghreb e dall’Africa Centrale e Meridionale, passando per Siria, Iraq e Yemen e arrivando fino ad Afghanistan e Pakistan, dove risiede ancora oggi il nucleo originario. Alcune costole di Al Qaeda, come quelle dello Yemen, del Maghreb e della Somalia, hanno provato a sferrare attacchi oltre i propri confini ma sinora non hanno ottenuto grandi risultati. In altri casi, come in Iraq e in Siria, si nota invece una maggiore operatività militare in loco. Le forze ribelli siriane, ad esempio, si preoccupano esclusivamente di combattere il regime di Assad perché il loro obiettivo principale è creare un Califfato islamico tra la Siria e l’Iraq. La loro pericolosità rimane anche perché questi fronti continuano ad attrarre dall’Europa migliaia di giovani volontari jihadisti: è accaduto ciclicamente in passato in Bosnia, Cecenia, Afghanistan, e si sta ripetendo negli ultimi anni con la Guerra Santa islamica in corso in Siria e Iraq. Il rischio che corre l’Occidente si materializzerà quando questi combattenti torneranno a casa loro. È già accaduto a Milano con il rientro dai conflitti all’estero dei fedeli di viale Jenner.

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l’opinione

ROGER BOU CHAHINE Direttore OGMO (Osservatorio Geopolitico Medio-Orientale) difficile parlare di una nuova Al Qaeda dopo l’11 settembre 2001. Prima di quella data l’organizzazione jihadista aveva un leader unico - Osama Bin Laden ingenti possibilità economiche, campi d’addestramento militari, capacità di pianificazione e operative che sfioravano i livelli di qualsiasi apparato d’intelligence. Dopo quell’attacco si è generato il cosiddetto effetto di “polverizzazione” di Al Qaeda, che l’ha certamente indebolita dal punto di vista strutturale ma l’ha rafforzata in quanto i frammenti di questa polverizzazione si sono trasformati in vere e proprie organizzazioni strutturate. È il caso di ISIS in Siria e Iraq o di AQAP nello Yemen, che non solo hanno considerevoli capacità offensive ma stanno mettendo a dura prova l’attuale leadership del nucleo storico di Al Qaeda, presente nell’area tribale al confine tra Afghanistan e Pakistan, rappresentata dall’egiziano Ayman Al Zawahiri. Per queste organizzazioni - presenti oggi nel Nord Africa, nell’Africa subsahariana, nel Medio Oriente, nel Caucaso, nell’Asia centro-orientale ma anche nei Paesi occidentali sotto forma di cellule o anche di individui singoli - è possibile pianificare e condurre attacchi di entità offensiva minore rispetto all’11 settembre, ma che richiedono meno soldi e minor tempo per essere eseguiti, aumentando dunque la minaccia. In questo scenario gli obiettivi occidentali sono sempre sensibili, a Bruxelles come a Bengasi, il che impone uno stato d’allerta e vigilanza sempre alto, ma soprattutto un’approfondita conoscenza e un monitoraggio continuo e ragionato di questo fenomeno.

È


la vignetta

“siria-iraq: la coalizione contro lo stato islamico”

tratto da: Pat B agl ey, Salt Lake T ri bune

anno III - numero 19 - novembre-dicembre 2015

DIRETTORE RESPONSABILE Luciano Tirinnanzi @luciotirinnanzi redazione@lookoutnews.it

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È un prodotto


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2014 NASCITA DEL CALIFFATO

Oltre quattro anni di violenze, centinaia di migliaia di morti, milioni di profughi, grandi eserciti che si scontrano direttamente o a distanza, in una guerra per procura che ha sconvolto l’intero Medio Oriente e spaccato due paesi forse definitivamente. Ma in nome di cosa? Non certo di Allah

COM’È COMINCIA ARTICOLO PuBBLICATO NELL’OTTOBRE 2015

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ATA LA GUERRA? LOOKOUT NEWS 20

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alla prima guerra del Golfo, con la politica russa sotto choc per il crollo sovietico e con l’esercito di Mosca impantanato nel conflitto ceceno, Stati Uniti e Regno Unito (con il beneplacito di Francia e Israele) progettano di spaccare le nazioni petrolifere “non allineate” per farne entità meglio controllabili e sfruttabili dalle loro compagnie petrolifere, quelle stesse per le quali Enrico Mattei, presidente di ENI, aveva coniato il termine “sette sorelle”. Distrutto l’Iraq con la guerra di occupazione del 2003, il progetto occidentale culmina nello sfruttamento delle Primavere Arabe. Tuttavia, esso conosce una battuta d’arresto in Egitto: quando sale al potere il “Fratello Musulmano” Mohammed Morsi, Israele inizia a preoccuparsi seriamente della buona riuscita del progetto e decide conseguentemente di sganciarsi. Morsi viene poi spodestato da un golpe militare e la situazione cambia nuovamente. Ciò nonostante, il piano americano fallisce definitivamente in Siria, dove Russia e Cina mettono da parte l’acquiescenza e per la prima volta si pongono seriamente di traverso all’asse occidentale, offrendo un appoggio diretto all’Iran sciita e un sostegno materiale al regime siriano, che resiste come può sotto i colpi della galassia indefinita degli insorti. Anche se il piano USA-UK crolla, ciò non toglie che tutta l’area mediorientale viene comunque sconvolta. Tale che oggi deve essere riequilibrata e ricomposta seguendo non certo facili criteri, soprattutto a causa del suo frammischiato caleidoscopio di etnie e religioni presenti in essa. La differenza oggi è che su questo riassetto del Medio Oriente si sta misurando il passaggio dal mondo bipolare del Novecento al mondo multipolare del nuovo millennio; un progetto perseguito tanto dalle potenze occidentali quanto dai BRICS, i paesi emergenti capitanati dalla rediviva

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GASDOTTO IRAN-SIRIA L'Iran ha firmato nel 2009 un memorandum d'intesa trilaterale (MOu) per pompare gas in tutto l'Iraq e fino in Siria, nella speranza un giorno di rifornire l'Europa.

200 km

SIRIA Beirut

Tehran

Damascus Amman

Baghdad

IRAQ

GIORDANIA

Primo stadio I R A N Una prima fase Ahwaz

LIBANO

Basrah ARABIA SAUDITA

Secondo stadio

I contratti siglati nel 2009 per le restanti sezioni del gasdotto, dovevano entrare in vigore entro i successivi tre-cinque anni. Poi è arrivata la guerra

Assalouyeh

QATAR Riyadh

del gasdotto che collega Assalouyeh ad Ahwaz è stato completato, secondo notizie di stampa

Doha Pipelines - Giacimenti di gas

Fonte: Reuters, World energy Atlas, tehran times

PETROLIO Nel 2010 oltre il 90% della produzione siriana di petrolio finiva in Europa, principalmente in Italia (31%), Germania (32%) e Francia (11%)

Russia. Per impedire che la Russia abbia la meglio geopoliticamente, gli Stati Uniti hanno così virato il confronto sul terreno della destabilizzazione e delle armi. Nell’attesa di poter definire il risultato di questi storici sviluppi, è utile riandare all’origine degli eventi in Siria per rintracciarvi le ragioni che hanno portato al disastro odierno. Non è insolita l’assenza sui media occidentali di un’analisi sulle reali ragioni della guerra. Insolito può essere semmai trovarla in luoghi inattesi, come un college militare americano. Sullo Armed Forces Journal, rivista molto interna al mondo e all’industria militare USA, un articolo redatto da un maggiore istruttore al Command and General Staff College di Fort Leavenworth prova a spiegare cosa sia accaduto. Fort Leavenworth è una scuola di guerra prestigiosa che, come West Point, ha dato all’America i suoi più illustri generali: Eisenhower, Marshall, MacArthur, Omar N. Bradley, Henry H. Arnold, Matthew B. Ridgway, Mark Clark, Patton, fino poi a Colin Powell e David Petraeus. Scrive il maggiore Rob Taylor sulle origini del conflitto: “Gran parte della copertura mediatica suggerisce che il conflitto in Siria è una guerra civile, in cui il regime alawita (sciita)


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di Bashar al Assad si difende (commettendo atrocità) contro le libero” (ovvero il Free Siryan Army) per combattere il brufazioni ribelli sunnite (che a loro volta commettono atrocità). tale dittatore. In breve, dietro questa bandiera, a ritmo crescente furoLa vera spiegazione è più semplice: si tratta di soldi”. Secondo Taylor tutto ebbe inizio nel 2009, dopo che la Qatar no fatte affluire in Siria, via Turchia e Giordania, le milizie Petroleum avviò ingenti investimenti per raddoppiare la produ- wahabite jihadiste già predisposte, addestrate e armate dai zione di gas, di cui il Qatar ha tra le maggiori riserve mondiali. Regni del Golfo e dalla Turchia. Ovviamente con la superIl progetto era di far giungere il gas in Europa, attraverso visione della CIA. Tra queste, c’era anche (ma non solo) lo Stato Islamico. Siria e Turchia, favorendo così l’aggiramento del monoIl regime degli Assad, laico e interconfessionale, sipolio russo strenuamente cercato dai paesi europei. Ma lo sciita Assad, non gradendo di divenino allo scoppio delle violenze, si reggeva su solide alleanze tra alawiti, drusi e cristiani ortodossi, e re vassallo delle monarchie sunnite-wahabite del LA vERA contava su un’adeguata distribuzione di risorse Golfo, rifiutò l’accordo e ne firmò invece un altro SPIEGAzIONE che il governo assegnava anche alla popolaziocon Iran e Iraq per far passare sul proprio terriè SEMPLICE: ne sunnita, che rappresenta la maggioranza nel torio il gas iraniano diretto in Europa. L’asse sciisi tRAttA paese. Se così non fosse stato, il regime non ta iraniano-iracheno-siriano, prossimo a Russia e avrebbe retto quattro anni di dura guerra con un Cina, si frapponeva palesemente all’asse sunnitadi soldi esercito composto al 90% di sunniti. wahabita, alleati di USA e Regno Unito. Se non ci fosse stata l’intromissione della Russia Gli USA, che avevano già messo la Siria nel mie della Cina, gli americani e la NATO probabilmente sarino, aspettavano da tempo un’occasione simile per cambiare le carte in tavola. Così, l’anno successivo, sul- rebbero già intervenuti distruggendo ogni equilibrio, facendo l’onda mediatica delle Primavere Arabe e con gli inglesi a della Siria un mercato a cielo aperto delle compagnie petroligarantire la rete d’intelligence sul campo, sostennero le fere e riconvertendo il paese a un’area di transito del gasdotto proteste che stavano esplodendo in Siria. La loro immedia- qatariota. Un risultato che avrebbe fatto felici anche numerosi ta repressione da parte del regime di Assad fece da detona- e aizzanti paesi europei. Ma le cose sono andate diversamente tore e fu tale da consentire l’avvio di una propaganda per la dal progetto e il costo dell’operazione è salito vertiginosamente, creazione di una forte opposizione interna e di un “esercito con oltre 250.000 morti e milioni di rifugiati. OLEODOTTI E GASDOTTI IRAQ-SIRIA Il percorso del gas e del petrolio che attraversa i paesi in guerra e le traiettorie delle nuove pipelines in costruzione.

Yumurtalik

Giacimenti di petrolio Gas

TURCHIA

Ceyhan

Mosul

Kirkuk-Ceyhan Pipeline

Oleodotti

Erbil

Gasdotti In costruzione

Kirkuk

In costruzione IRAN

SIRIA

IRAQ

Aree controllate dai curdi

Baghdad

GIORDANIA

100 miglia 100 km

Fonte: Reuters; World energy Atlas; m. izady - gulf/2000 project; Columbia university.

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Timeline della crisi siriana

HAFEZ ASSAD uno dei primi simboli edlla rivolta siriana è stata la distruzione delle statue dedicate al padre dell’attuale presidente

Sull’onda delle Primavere Arabe, la Siria è caduta in una spirale di violenza, sottovalutata dai più. Dal 2011 a oggi, il governo controlla ormai un quarto del paese, ma Bashar Al Assad è ancora in piedi opo che nel maggio 2010 gli Stati Uniti rinnovano le sanzioni contro la Siria - affermando che il regime di Assad supporta i gruppi terroristici, possiede e persegue la ricerca di armi di distruzione di massa e fornisce a Hezbollah armi e missili, in violazione delle risoluzioni ONU - segue un periodo di crescenti tensioni interne al Paese fino a che, nel marzo 2011, la situazione precipita. Nella capitale Damasco, a Latakia e nella città meridionale di Deraa scoppiano violente proteste da parte di manifestanti anti-governativi che chiedono il rilascio di prigionieri politici. Le forze di sicurezza sparano e lasciano a terra decine e decine di morti, innescando giorni di violenti disordini che presto si diffondono a livello nazionale.

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ARTICOLO PuBBLICATO NELL’OTTOBRE 2015


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2011 IN CIVILE

ApRile - Il governo annuncia alcune misure di conciliazione, nel tentativo di smorzare i disordini. Assad rilascia decine di prigionieri politici, destituisce il governo e abolisce lo stato di emergenza. Ma non basta. A maggio carri armati entrano a Deraa, Banyas, Homs e nei sobborghi di Damasco, nel tentativo di schiacciare le proteste anti-governative, mentre Stati uniti e unione Europea inaspriscono le sanzioni. giugno - Il governo accusa “bande armate” di aver ucciso 120 membri delle forze di sicurezza a Jisr al-Shughour: le truppe assediano la città e oltre 10.000 persone fuggono in Turchia. E a luglio, mentre Assad invia truppe ad Hama per ristabilire l’ordine, si va ormai formando un’opposizione che s’incontra a Istanbul, in Turchia, per formare un fronte unificato. ottobRe - Al Consiglio di Sicurezza ONu, Russia e Cina pongono il veto sulla risoluzione di condanna alla Siria. Mentre a novembre anche la Lega Araba isola la Siria e adotta le sanzioni, accusandola di non aver applicato un piano di pace arabo. Sostenitori del regime attaccano le ambasciate straniere. Deir Al-Zor

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LA STAGIONE DELLE AUTOBOMBE

L’ANNO PIÙ SANGUINOSO

FebbRAio - Il governo bombarda Homs e altre città, riconquistando il distretto di Baba Amr. A questa data, secondo l’ONu sono già più di 7.500 le vittime di quella che sta per diventare una vera e propria guerra.

gennAio – Jet israeliani attaccano un centro di ricerca militare vicino a Damasco e carovane di camion che trasportano armi dirette verso il Libano. Si sospetta la presenza di pasdaran iraniani.

mARzo - Il Consiglio di sicurezza dell’ONu approva un piano di pace non vincolante elaborato dall’inviato delle Nazioni unite, Kofi Annan. Ma è un fallimento e la guerra prosegue.

mARzo – Aerei da guerra siriani bombardano la città settentrionale di Raqqa, controllata dai ribelli. La Coalizione Nazionale Siriana elegge come “primo ministro” ad interim, Ghassan Hitto. Aleppo è in mano ai ribelli.

mAggio - Il Consiglio di sicurezza dell’ONu condanna fermamente il governo per l’uso di armi pesanti. Francia, Regno unito, Germania, Italia, Spagna, Canada e Australia espellono alti diplomatici siriani in segno di protesta.

ApRile – Stati uniti e Regno unito indagano sull’uso di armi chimiche da parte delle forze governative. Il primo ministro Wael Nader Al-Halqi riesce a scampare a un attentato nel centro di Damasco. Moaz al-Khatib, presidente della Coalizione Nazionale Siriana, si dimette lamentando ingerenze straniere. Gli succede il veterano socialista George Sabra.

giugno - Il presidente Assad opera un rimpasto di governo e dichiara di prepararsi ad affrontare un “vera guerra di lunga durata”. La Siria abbatte un aereo turco entrato nel suo spazio aereo. luglio – I ribelli si sono ormai costituiti nel Free Syrian Army (FSA). A Damasco muoiono in attentati tre capi della sicurezza di Assad e il FSA si attesta ad Aleppo, ma un’offensiva del governo limita la conquista definitiva della città. Agosto – Il presidente degli Stati uniti, Barack Obama, avverte che l’uso di armi chimiche da parte del regime porterebbe gli Stati uniti verso l’intervento. ottobRe – Nuove tensioni tra Siria e Turchia: scambio di colpi di mortaio al confine turco uccidono cinque civili turchi. Ad Aleppo, un incendio distrugge il mercato storico e la battaglia infuria. novembRe – Le forze di opposizione si uniscono nella Coalizione Nazionale Siriana in Qatar. Ma le milizie islamiche radicali che combattono ad Aleppo, Jabhat Al Nusra e la Brigata Al-Tawhid, si rifiutano di aderire alla coalizione. Israele fa fuoco contro l’artiglieria siriana lungo le alture del Golan: è il primo scontro a fuoco dopo la guerra dello Yom Kippur (1973). diCembRe – Stati uniti, Gran Bretagna, Francia, Turchia e gli Stati del Golfo riconoscono formalmente la Coalizione Nazionale Siriana che si oppone ad Assad come “legittimo rappresentante” del popolo siriano. 34

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mAggio - Nuovo scontro a fuoco tra l’esercito israeliano e quello siriano nelle alture del Golan. L’unione Europea decide di non rinnovare l’embargo sull’invio di armi in Siria. L’Occidente ora può armare i ribelli. mAggio - Entra in gioco Hezbollah, il “partito di Dio” del Libano, determinante nel riconquistare la città strategica di Qusayr, nella provincia di Homs al confine libanese. giugno - La Francia dice che ha la prova che il governo ha utilizzato gas nervino sarin in attacchi contro ribelli e civili. Il presidente Obama diche che “è stata superata la red line” e che invierà armi ai ribelli. L’esercito di Assad stringe d’assedio la città di Aleppo.

FSA FORMATO NEL 2011 DA DISERTORI FuGGITI IN TuRCHIA


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2014

L’ASCESA DEGLI ISLAMISTI gennAio-FebbRAio Falliscono i colloqui di pace mediati dall’ONu a Ginevra, in gran parte perché le autorità siriane si rifiutano di discutere di un governo di transizione. mARzo - Le forze dell’esercito siriano e Hezbollah riconquistano Yabroud, l’ultima roccaforte dei ribelli vicino al confine libanese.

2015 EVOLUZIONE D’OTTOBRE Tra settembre e ottobre, il Cremlino ha preparato e poi lanciato il più grande intervento in Medio Oriente da decenni

mAggio - Centinaia di ribelli abbandonano la loro roccaforte nella città centrale di Homs. Il ritiro, mediato con le forze governative, segna la fine di tre anni di resistenza in città.

giugno - L’ONu annuncia l’avvenuto completamento delle operazioni per la rimozione del materiale chimico dalla Siria. 29 giugno - I miliziani dello Stato islamico in Iraq e in Siria dichiarano la nascita del Califfato sopra le terre conquistate, un territorio che va da Aleppo sino alla provincia irachena di Diyala.

Agosto - La base aerea di Tabqa, vicino alla città settentrionale di Raqqa, in Siria, cade in mano ai militanti dello Stato Islamico, che ora controllano l’intera provincia di Raqqa. settembRe - Gli Stati uniti e cinque Paesi arabi lanciano attacchi aerei contro lo Stato Islamico tra Aleppo e Raqqa.

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LA RUSSIA ENTRA IN GUERRA gennAio - Forze curde respingono lo Stato islamico fuori da Kobane, sul confine con turco-siriano, dopo quattro mesi di combattimenti. mARzo - Le opposizioni respingono le forze governative. Il nuovo gruppo islamista ribelle Jaish al-Fatah (Esercito della Conquista), sostenuto da Turchia, Arabia Saudita e Qatar, conquista Idlib, capitale della provincia omonima. mARzo - L’alleanza del Fronte del Sud, composta da gruppi laici e islamisti, occupa il valico di frontiera giordano di Nassib.

MILA

mAggio - Lo Stato Islamico conquista l’antica città I COMBATTENTI di Palmyra nella Siria centrale, e l’ultimo valico di confine TOTALI IN SIRIA con l’Iraq. Jaish al-Fatah inizia a premere sulla roccaforte costiera del governo di Latakia. giugno - Si intensificano gli scontri tra Stato Islamico e curdi nell’area intorno a Raqqa e il confine turco. I curdi prendono Ain Issa e la città di frontiera di Tal Abyad, lo Stato Islamico attacca nuovamente Kobane e Hassakeh, LE FAZIONI la principale città nel nord-est della Siria. RIBELLI CHE SI COMBATTONO settembRe - La Russia s’impegna a sostenere TRA SIRIA E IRAQ militarmente il regime di Assad, inviando un contingente aereo nella roccaforte costiera di Latakia. La Francia inizia i primi raid aerei in Siria. All’Assemblea Generale dell’ONu va in scena lo scontro tra Mosca e Washington.

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ottobRe – La Russia entra in guerra, bombardando Homs, Hama e le postazioni dei ribelli siriani. LOOKOUT NEWS 20

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BASHAR AL ASSAD, presidente per caso

Il dittatore siriano non desiderava il trono di Damasco, ma la morte del fratello lo ha costretto a un ruolo per il quale era impreparato. La guerra ha reso evidente il declino della sua famiglia ensare che il giovane studente di oftalmologia (classe 1965) sognava una vita di ricerca a Londra - oltre che in Siria, Bashar ha studiato anche alla Western Eye Hospital londinese nel 1992 - dove amava vivere all’occidentale e fare spese pazze insieme alla futura moglie Asma: sposata nel 2000, la first lady vanta un passato alla JP Morgan ed è ascrivibile alla categoria femminile delle “shop addicted”, al punto che neanche in piena guerra civile riusciva a smettere di comprare online qualsiasi oggetto costoso le capitasse sotto mano (nel 2012 è riuscita a spendere 450mila dollari per un lampadario da appendere nella dimora estiva di Latakia). Così il terzogenito della famiglia alawita, dalla quiete e riservatezza dei libri di medicina e degli studi arabo-francesi, si è improvvisamente ritrovato successore designato alla guida del suo Paese per volere del padre Hafez, che gli aveva preferito il primogenito, Bassel (o Basil), ma che si è dovuto ricredere quando un incidente automobilistico ha cambiato le carte in tavola dell’eredità, insieme alla vita del promettente figlio prediletto: nel 1994 Bassel muore e Bashar viene spinto controvoglia a una rapidissima carriera militare (diventa colonnello in soli cinque anni all’accademia militare di Homs). Fino a che un nuovo lutto familiare – questa volta è il padre Hafez a mancare, nel 2000 – lo proietta direttamente nel palazzo presidenziale di Damasco, pur se la sua nomina formalmente contraddiceva la legge: l’età minima per assumere la carica era di 35 anni mentre Bashar, all’epoca, non li aveva ancora compiuti. Il destino del presidente della Siria è sempre apparso predeterminato e viene da pensare che non sia mai stato sotto il suo pieno controllo. Né le decisioni ultime prese dal consiglio di guerra siriano sono forse mai state nelle sue mani. Di certo, non adesso che Mosca ha preso il comando delle operazioni in Siria, nel tentativo disperato di risollevare una guerra civile che volge decisamente in sfavore del regime.

La sua permanenza al palazzo presidenziale è segnata comunque, sia che la guerra finisca in favore degli sciiti-alawiti (il clan di Assad) grazie all’aiuto russo, sia che venga raggiunto un accordo di pace. Al momento del redde rationem, infatti, gli Stati Uniti pretenderanno la sua testa, come già stigmatizzato dal presidente Barack Obama, che su questo punto si è dimostrato irremovibile all’assemblea delle Nazioni Unite del 28 settembre 2015. Mentre il Cremlino, che ormai si è imposto quale dominus politico-militare in Siria e che è in grado di proteggerlo a oltranza, potrebbe decidere di accondiscendere in ragione della realpolitik. In ogni caso, il tempo degli Assad e della “loro” Siria volge al termine, la loro parabola si conclude nel peggiore dei modi e la Siria si prepara a voltare pagina. Ma ci vorrà del tempo e quel capitolo non è ancora stato scritto.

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ARTICOLI PuBBLICATI NELL’OTTOBRE 2015

LA FAMIGLIA ASSAD Deceduto

Membro della cerchia ristretta del presidente

Hafez al-Assad 1930-2000 Ruled Syria with an iron first from 1971 until his death

Bushra al-Assad b. 1960 Pharmacist

Basil al-Assad 1962-1994 Groomed to be Hafez’s successor

Assef Shawkat b. 1950 Deputy-chief of staff of Syrian army

Anisa Maklouf Member of powerful billionaire family

Bashar al-Assad b. 1965 Current president of Syria

Majd al-Assad 1966-2009 Died of a long term illness

Maher al-Assad b. 1968 Commander of the Republican Guard

Asma al-Assad b. 1975 High-profile First Lady of Syria

Fonte: news reports, syrian embassy, CiA World Factbook


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Arrivederci Iraq gli stati uniti si stanno lasciando sfilare da mosca anche la paternità della causa irachena. la storia si ripete, anche se nessuno ne parla di Rocco Bellantone

ltre quattromila raid aerei, aiuti e rifornimenti per centinaia di milioni di dollari e decine di squadre di consiglieri militari non hanno salvato l’Amministrazione Obama da una nuova débâcle in Iraq. Un fallimento annunciato, cadenzato dalle previsioni distorte fornite dai vertici del CENTCOM (il Central Command del Pentagono) che ha sottostimato l’entità della minaccia militare rappresentata dall’avanzata dello Stato Islamico, e da una mancanza di strategia che presto spingerà Washington fuori dalla cabina di regia di questo conflitto, così come sta accadendo adesso in Siria dove a guidare le operazioni è la Russia di Vladimir Putin. Chiedersi perché nessuno parli più di Iraq e, soprattutto, perché l’Europa e il resto della coalizione internazionale continuino ad accodarsi alle scelte errate degli Stati Uniti, è una domanda lecita. Per il semplice fatto che in Iraq l’esercito del Califfato di Abu Bakr Al-Baghdadi, il ‘nemico globale’ della democrazia, ormai non è più un fenomeno di insurrezionalismo jihadista capeggiata dagli ex gerarchi di Saddam Hussein ma una realtà che si è fatta Stato, con un proprio sistema di leggi, una propria economia fondata sul contrabbando di petrolio e dei confini in continua espansione: a est di Baghdad, nel governatorato di Anbar confinante con la Siria; a nord dove dall’autoproclamata capitale Mosul minaccia sempre più da vicino il Kurdistan iracheno; a sud tra Falluja e Haditha, dove controlla due delle più imponenti dighe del Paese.

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MOSUL È stata dichiarata capitale del Califfato Islamico il 29 giugno 2014

Quel che resta dell’Iraq è una nazione sull’orlo del disfacimento. Le defezioni dall’esercito, corrotto dai ranghi più bassi ai vertici e disorganizzato, sono senza controllo. Chi lascia la divisa confluisce nelle milizie sciite irachene e nella Forza Al Quds, le forze speciali della Guardia Rivoluzionaria iraniana guidate dal generale Qassem Suleimani. Oppure, in cambio di compensi maggiori, abbraccia la causa dello Stato Islamico. Il governo del primo ministro Haider Al Abadi, invocato da Washington per prendere il posto di Nuri Al Maliki, in più di un anno di mandato non è riuscito a porre un freno a questa emorragia né ad eliminare le tensioni tra sciiti e sunniti

attraverso un processo di inclusione. Anche la campagna per la riconquista di Ramadi, capoluogo di Anbar, che sarebbe dovuta seguire alle operazioni che hanno portato alla presa di Tikrit nella primavera scorsa, si è sgonfiata ancor prima di iniziare. Dopo la Siria, per gli Stati lo spettro di un altro pezzo di Medio Oriente finito sotto l’ala protettiva della Russia potrebbe dunque materializzarsi a breve. Al Abadi è pronto a cedere alla richiesta di quella parte del Paese che, su stimolo dell’Iran, gli chiede di aprire i cieli dell’Iraq ai raid russi. Il resto, compresa la notizia dei Tornado italiani pronti a intervenire contro l’ISIS, è già storia passata.

RIPRENDERE MOSUL, MISSIONE POSSIBILE? Nella campagna militare contro lo Stato Islamico, gli uSA intendono dare priorità alla riconquista di Mosul, capitale di ISIS in Iraq, sfruttando l’appoggio delle forze di terra curde. Se sul piano politico l’accordo con il governatore del Kurdistan Massoud Barzani sembra essere cosa fatta, manca invece l’intesa militare. Il ministro della Difesa Mustafa Sayed Qader non intende rischiare una sconfitta al momento quasi certa, mandando i combattenti peshmerga all’assalto di una città fortificata e resa praticamente impenetrabile dai miliziani jihadisti. Meglio puntare su Kirkuk, dove a differenza di Mosul c’è una forte concentrazione di curdi.

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DANIMARCA PAESI BASSI REGNO UNITO CANADA

BELGIO FRANCIA

IR

SIR

STATI UNITI

ISRAELE GIORDANIA ARABIA SAUDITA

I PAESI CHE FANNO PARTE DELLA COALIZIONE A GUIDA USA GLI ALTRI PAESI CHE COMBATTONO CON MOSCA

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IL CONFRONTO TRA SUPERPOTENZE

RUSSIA

RAQ

RIA

E

IRAN BAHRAIN QATAR U.A.E.

AUSTRALIA

Ecco plasticamente riprodotti i due nuovi blocchi che si contendono la primazia sui territori di Siria e Iraq. Due grandi coalizioni, trasversali e in concordanza tra loro solo quando si tratta di parlare all’Assemblea Generale delle Nazioni unite. Per il resto, le alleanze sono ben distinte e così le operazioni di guerra sul quadrante mediorientale. Da una parte, la coalizione guidata dagli Stati uniti che include Canada e gli alleati europei quali Francia, Regno unito, Giordania, Australia, Danimarca, Belgio, Paesi Bassi, oltre ai mediorientali Israele, Arabia Saudita, Qatar, Emirati e Bahrain e alle milizie ribelli legate al Free Syrian Army. Dall’altra, Federazione Russa, Iran e le milizie di Hezbollah, oltre all’esercito siriano fedele al regime degli Assad e recentemente anche l’esercito iracheno.

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ARTICOLO PuBBLICATO NELL’OTTOBRE 2015

tutti ContRo tutti

GLI OBIETTIVI DELLA COALIZIONE INTERNAZIONALE 40

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di Claudio Stellari a Siria oggi è al centro del più grande scontro che contrappone la Russia e i suoi alleati (Siria, Iran, Iraq, Hezbollah) agli Stati Uniti e ai suoi alleati (Giordania, Israele, Libano, Arabia Saudita, Free Syrian Army). Ciascuno di questi Paesi od organizzazioni paramilitari ha sparato qualche colpo nel teatro di guerra, senza tuttavia modificare granché il panorama. Ma tutti loro appaiono sempre più come la longa manus delle due superpotenze, decise a rinnovare uno scontro che non si è esaurito con il Novecento. L’offensiva aerea di Mosca nella Siria occidentale ha certamente segnato un punto di svolta nelle vicende del Medio Oriente. Già da tempo e con sempre maggiore forza, la Federazione Russa è emersa quale potenza numero uno nella regione, e oggi è riuscita a sosRIEMERGE tituirsi e a scalzare gli Stati Uniti, COME SuPER- messi all’angolo anche a causa di POTENZA analisi e previsioni errate da parte di consiglieri ed esperti, sempre più combattuti al loro interno tra fazioni di disillusi, isolazionisti e guerrafondai. Se Pentagono e Dipartimento di Stato non sanno ancora come reagire alle mosse del Cremlino, è però altrettanto evidente che Washington e i suoi alleati dovranno rivedere le proprie strategie, ridefinendo le priorità e le affinità che li tengono insieme. In risposta allo US Central Command di Amman - la control room in Giordania condivisa con Arabia Saudita, Qatar, Israele ed Emirati Arabi Uniti per coordinare le operazioni militari della cosiddetta coalizione internazionale Mosca, inoltre, ha da poco stabilito un gabinetto di guerra del tutto simile a Baghdad, dove oltre ai russi siedono Iran, Iraq e Siria. Segno che la Siria rappresenta solo la prima fase di un progetto più ampio, teso a ricreare in Medio Oriente il modello federativo dei tempi dell’Unione Sovietica. Più stati, una sola testa.

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LA RUSSIA

Mentre la guerra si fa ogni giorno più intensa, è sempre più difficile rintracciare un unico obiettivo e una ragione che accomuna le varie parti in lotta. L’unica certezza è che tutti vogliono ricavare qualcosa da questo disastro

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ISRAELE

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o Stato di Israele è il primo a dover stare in allerta. È vero che lo storico alleato americano lo ha scontentato sin troppo, stretto com’è nell’abbraccio mortale di un trattato di non proliferazione nucleare siglato con la Repubblica Islamica dell’Iran, ovvero l’arcinemico di Tel Aviv. Ma Israele sa anche che non può gettarsi tra le braccia di Mosca, alleata proprio dell’Iran (e di Hezbollah) e suo partner nella guerra. L’obiettivo a medio termine di Tel Aviv, perciò, è quello di avere le mani libere nelle proprie operazioni militari: mantenere cioè la sovranità dello spazio aereo sopra la Siria, nel caso dovesse portare attacchi nel Golan infestato da jihadisti. Le alture sono infatti una terra contesa proprio con la Siria e, di fatto, una zona occupata. Chissà, magari in futuro la Siria potrebbe pretendere di riaverle indietro. Dunque, è d’obbligo rinsaldare l’asse con Washington e non stringere nessun patto con Mosca. A meno di garanzie sulle alture.

obiettivo strategico attuale della Russia è evidente: da un lato, assicurare che la fascia costiera siriana resti saldamente nelle mani di Assad; dall’altro, mantenere il controllo di un territorio sufficiente a garantire la sopravvivenza fisica delle minoranze siriane alawite e cristiane, e la sopravvivenza politica del regime. Per fare ciò, il Cremlino ha posto le basi adeguate, nel vero senso della parola: a Latakia ha costruito una base aerea, a Jableh una sottomarina e a Tartus ha rinforzato la base navale. E, adesso, è passato all’azione. Niente di segreto, dunque, se è vero che già lo scorso maggio una fonte interna al governo di Damasco affermava testuale: “La divisione della Siria è ormai un fatto inevitabile. Il regime vuole controllare la costa, le due città centrali di Hama e Homs e la capitale Damasco. Le linee rosse per le autorità sono oggi l’autostrada Damasco-Beirut e l’autostrada Damasco-Homs, così come la costa con le città di Latakia e Tartus”. Per questo, continueranno a operare bombardando anzitutto queste aree, infischiandosene se del caso anche dello Stato Islamico. E per questo la Casa Bianca ha gridato strumentalmente allo scandalo e chiesto un coordinamento Pentagono-Cremlino. Il problema, infatti, è un altro. Che succede se i russi continuano a bombardare i ribelli sostenuti dagli Stati Uniti? O, peggio, se qualche aereo “alleato” viene abbattuto per sbaglio? La cosa non andrebbe a finire bene.

a Turchia ha ragione di sentirsi sempre più accerchiata. Dopo che ha annesso unilateralmente la Crimea e schierato a Sebastopoli la grande forza navale nel Mar Nero, ora la Russia si è presa anche Latakia e Tartous, annesse de facto e adeguatamente rifornite di uomini e mezzi. Così adesso i porti in acque calde (cioè che non si congelano per alcuni mesi l’anno, tipo Vladivostok) a disposizione della marina russa sono due: entrambi di fronte alla Turchia. Il paese NATO deve dunque fare molta attenzione, considerato il fatto che Ankara vive una doppia guerra: una contro il terrorismo politico interno (la strage dell’11 ottobre è figlia di questo), una ben più cruenta contro i curdi del PKK, che le vogliono strappare una parte di territorio. Anche in questo caso, è d’obbligo stringersi all’alleanza atlantica.

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TURCHIA

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ARABIA SAUDITA

GIORDANIA

Arabia Saudita non ha meno grattacapi. Il suo fronte di guerra principale oggi è nello Yemen, al confine meridionale della penisola araba. Qui gli Houthi hanno innescato un conflitto che punta a dividere il Paese, avocando a sé la parte sciita. Se dovessero avere la meglio, sarebbe un elemento di destabilizzazione enorme per la famiglia Saud. Nelle ultime settimane, sono piovute aspre (seppur anonime) critiche alla casa reale, per la pessima gestione delle risorse economiche e per l’andamento non risolutivo della guerra. Inoltre, pesa la questione ereditaria: oggi sono più di una dozzina i figli ancora in vita del defunto sovrano Ibn Saud, titolati a concorrere alla corsa per il trono. Il re Salman, però, ha sempre affermato che intende consegnare le redini a suo figlio, nipote di Ibn Saud, piuttosto che a uno dei figli del fondatore dello Stato. Un simile scenario già oggi sembra aver provocato una spaccatura interna alla casa regnante. Dunque, per Riad è indispensabile metter fine alla guerra in Yemen e concentrarsi poi sui guai interni.

iordania e Libano possono solo sperare di non essere coinvolti ulteriormente nel conflitto siriano. Entrambi i Paesi già sopportano un peso enorme, poiché devono sostenere la popolazione siriana fuggita dalla guerra. Oggi Amman si trova a dover gestire 700mila persone nei campi profughi, cioè un ottavo della sua popolazione totale, mentre Beirut ne ha accolti 1,2 milioni, addirittura un quarto della popolazione libanese. Con azioni militari limitate e prudenti, effettuate più per reazione-ritorsione che per una precisa volontà di combattere, entrambi i Paesi si devono tutelare soprattutto da sobillatori e infiltrazioni interne.

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TORNADO L’Italia dispone di 79 Panavia Tornado IDS e 16 Panavia Tornado IT-ECR

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LIBANO n Libano, Hezbollah ha ridotto le proprie forze, che sono andate a combattere e morire sul fronte siriano a fianco dell’Iran e di Assad. Una scelta che non ha pagato e che ha richiesto loro un altissimo sacrificio di uomini e mezzi. Ragion per cui Hezbollah sembra intenzionato a ritirarsi o a ridimensionare il proprio ruolo nel conflitto, visto anche che il nemico è un altro e si chiama Israele. La prudenza giordana, invece, sinora ha consentito ad Amman di mantenere un ruolo di basso profilo, che il governo ha tutta l’intenzione di mantenere. Una scelta equilibrata che sinora ha pagato.

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l’itAliA in gueRRA Dicono che per entrare in guerra in Iraq, l’Italia debba modificare le proprie “regole d’ingaggio”. Sacrosanto il diritto-dovere di stabilire a priori il tipo di missioni che le nostre forze armate devono svolgere nei vari teatri di crisi mondiali: dalla Siria all’Afghanistan, dalla Libia all’Iraq. Soprattutto in ragione di ciò che recita la nostra Carta costituzionale, quando diche che “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Tuttavia, il nostro paese partecipa alla coalizione internazionale nella lotta all'ISIS: “siamo ad Erbil, siamo a Baghdad, ci siamo con i nostri addestratori, con i carabinieri e con aerei da ricognizione che partecipano all'operato della coalizione” ha ricordato il nostro ministro della Difesa, Roberta Pinotti. Dunque, andremo alla guerra? La polemica tra dicasteri, Difesa ed Esteri, è già cominciata. E la soluzione si prevede ancora una volta “all’italiana”.

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PLACES

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I luoghi meno conosciuti al mondo Siria, le luci spente dalla guerra: confronto 2012-2015

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ARTICOLO PuBBLICATO NELL’OTTOBRE 2015

Le affinità tra Anarchici e Islamisti Movimenti anarco-insurrezionalisti e Islam radicale. Esistono dei punti di contatto pericolosi tra queste due dottrine, soprattutto quando convergono sulla lotta ai valori occidentali di Ciro Sbailò

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eventualità di una convergenza operativa tra islamismo radicale ed espressioni della sinistra antagonista è da tempo all’attenzione dell’intelligence e delle forze di sicurezza. Nel prolungarsi della congiuntura globale, si esasperano le tensioni politico-economiche ed etnico-culturali tipiche del dopo Guerra Fredda, sia a livello metropolitano sia a livello globale, il che contribuisce a creare un ambiente favorevole per le ideologie antagonistiche, di orientamento genericamente anti-occidentale. Un esempio di queste settimane è dato dall’emergenza migratoria, che offre più di un’opportunità di incontro a quanti, pur provenienti da culture politiche tra loro diverse, si collocano in una posizione conflittuale nei confronti della cosiddetta “Fortezza Schengen”. Ha destato un certo scalpore, nel febbraio scorso, la pubblicazione in internet di un volume intitolato Black Flags from Rome, che fa parte di una collana jihadista dedicata all’espansione politica e militare dell’islam sunnita JIHADISMO radicale (altri volumi, ad esempio, sono Black flags from Syria, Black flags from E SINISTRA Iran, etc.). Nel testo si prospetta chiaraI PuNTI DI mente un’alleanza tra islam radicale e CONTATTO sinistra antagonista, collegando il revival islamista all’esplosione delle tensioni sociali nel mondo occidentale. Da un punto di vista culturale, jihadismo e sinistra antagonista sono tra loro mondi opposti: la “sottomissione” a Dio da una parte, il libertarismo individualistico e insurrezionalista dall’altra. Tuttavia, restringendo il campo di osservazione al radicalismo islamico sunnita e ai movimenti anarco-insurrezionalisti, occorre prendere atto di alcune evidenti convergenze sul piano della filosofia organizzativa. L’islam rappresenta una realtà poliarchica, refrattaria alla stabilizzazione di qualsivoglia autorità centralizzata. Il rapporto diretto con Dio fa sì che ogni musulmano sia, potenzialmente, un ulema, ossia un’autorità in fatto di legge. Il rifiuto di una netta demarcazione tra sacro e profano può portare in alcuni casi a forme molto evolute di libertà religiosa, com’è accaduto ad esempio nel Medioevo iberico o nell’Impero ottomano e come accade nei Paesi islamici moderati, quale ad esempio il Marocco. D’altra parte, quella mancata separazione può, evidentemente, portare anche a una lettura radicale e violenta della missione affidata

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all’islam: la vis espansiva spazza via ogni limite, sia esso di carattere etico, politico o giuridico. Il concetto stesso di gerarchia presuppone, infatti, la delimitazione dello spazio sacro (ieros, appunto, da cui viene “gerarchia”) e la conseguente strutturazione dei ruoli religiosi (ma poi anche sociali) in riferimento allo stesso spazio sacro. Il misconoscimento dello ieros fa sì che non vi sia un criterio sicuro per la delimitazione delle competenze e per la definizione delle autorità. Per fare un esempio: ciascun islamista radicale potrebbe, al limite, fare il proprio jihad con mezzi di fortuna, utilizzando magari il brand dello Stato Islamico o di Al Qaeda. Per quanto riguarda il movimento anarco-insurrezionalista, esso è universalista per definizione e porta nella propria stessa denominazione il rifiuto di ogni autorità. Sono ben note la sua fisionomia orizzontale e la sua ostilità a ogni forma di istituzionalizzazione, sia di natura endogena (organizzazione piramidale interna), sia di natura esogena (definizione della propria posizione nel panorama politico). Rifiutando il principio di gerarchia anche in merito alle finalità politiche di medio termine, gli anarco-insurrezionalisti sono però aperti alla collaborazione con altre realtà antagoniste, secondo il modello degli “obiettivi condivisi”. Lo scopo dell’anarco-insurrezionalista, infatti, non è quello di costruire progressivamente la società futura: la vera rivoluzione la si ha nell’attimo distruttivo, in cui la società “borghese” precipita su se stessa, insieme alla propria storia. Il che fa cadere ogni ostacolo all’alleanza con chicchessia. Infatti, il rifiuto di allearsi con determinate realtà politiche o culturali viene di solito motivato sulla base di diversi obiettivi e di diverse scale di valori. Ma la visione antistoricistica dell’evento rivoluzionario rende senza senso confronti di tale genere. In forza di questa comune visione

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GIUGNO 2014 Nonostante la guerra, si è votato per confermare Assad al potere

“globalistica”, nichilistica e volontaristica della politica, islam radicale e anarco-insurrezionalismo condividono alcune tecniche di lotta, quale ad esempio quella della “dissimulazione”. Tale tecnica (taqiyya in arabo, originariamente adottata dagli sciiti in terra sunnita) permette al militante islami-

dichiarate e intenzioni intimamente coltivate, in quanto la dichiarazione avviene in uno spazio impuro, che non merita rispetto, e va dunque finalizzata essenzialmente al buon esito delle intenzioni interiori. A ciò si associa una visione elastica del diritto, sviluppatasi negli anni Venti e Trenta

ESISTE UNA CONVERGENZA TRA ISLAM “RADICALE E INSURREZIONALISMO, IN CHIAVE ANTI-OCCIDENTALE ” sta di ragionare secondo il principio della “doppia verità” tale per cui, muovendo dal presupposto che il “foro” pubblico è “falso” di per sé in quanto ostile a Dio, non si pone il problema di una coerenza tra intenzioni

tra giuristi egiziani islamici, e ora divenuta patrimonio comune dell’islam jihadista. In base a tale interpretazione, il fondamento ultimo di legittimità di un comportamento non va cercato solo nella legge scritta o tramandata,


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ma anche in ciò che è a fondamento di quella stessa legge, vale a dire lo stesso jihad, inteso come adesione estrema alla volontà di Dio. Anche in alcuni ambienti anarchici, già a partire dalla fine del Novecento si sviluppò la pratica della dissimulazione, o della “doppia verità”, sulla base del presupposto del carattere intrinsecamente menzognero e falsificante della comunicazione borghese. L’ideale rivoluzionario non solo giustificava la menzogna, ma anche l’alleanza con tutti i settori marginali della società, compresi quelli criminali. Anzi, nella visione anarchica rivoluzionaria, il criminale è un alleato naturale della causa, in quanto la sua condizione è frutto delle contraddizioni della società borghese. Il punto di esplosione, in senso non solo metaforico, di questa visione nichilistica e volontaristica della battaglia politica si ha nella pratica della strage indiscriminata (si veda, ad esempio, l’attentato di Wall Street del 16 settembre 1920, dove morirono 33 persone). Come si vede, le affinità politico-organizzative nascondono alcuni significativi punti d’incontro ideologico. Le radici ideologiche dell’insorgenza islamista contemporanea andrebbero, infatti, cercate non nella tradizione islamica medievale, come troppo spesso si fa, quanto invece nella rilettura estremistica del messaggio coranico, effettuata alla luce di alcuni sviluppi del radicalismo politico europeo del Novecento. In particolare, si fa qui riferimento alle degenerazioni della cosiddetta “politica del fatto”, basata sul primato dell’azione terroristica rispetto alla prassi politica tradizionale. Tra i principali autori della rilettura radicale del Corano c’è Sayyd Qutb, il

più grande teorico dell’islamismo estremo. Qutb, buon conoscitore dei classici occidentali moderni come della politica europea e americana, riteneva che la verità del Corano andasse considerata come una realtà vivente, che si dispiega nella prassi e nell’azione rivoluzionaria ed è in grado di rispondere ai problemi del mondo contemporaneo. Egli è stato duramente critico nei confronti delle società occidentali, e in particolare degli Stati Uniti, dove il progresso materiale s’accompagnava ai suoi occhi all’assoluta miseria spirituale. Ma la sua critica si avvale di modelli teorici elaborati in Europa nell’ambito del marxismo, dell’anarchismo e persino dell’ermeneutica filosofica. Mettendosi su un filone di grande successo in quel periodo, Qutb riproponeva in una chiave islamistica radicale, la teoria del “tramonto” della cultura occidentale, la cui destinazione nichilistica sarebbe ineludibile, perché iscritta nello stesso Dna della civiltà europea. In questo senso, Qutb riprende anche temi cari alla sensibilità anarchica, come quello della “disumanità” del cristianesimo, che manterrebbe l’uomo in una condizione “alienata”.

THE ANARCHIST COOKBOOK La “Bibbia” di anarchici e sovversivi

Al contrario, affermava Qutb, l’islam non colpevolizza le naturali tendenze umane, a partire da quelle sessuali, e non cerca di limitare la libera espressione della fisicità umana ma, anzi, valorizza l’uomo nella sua integralità corporale. Naturalmente non è qui in questione la correttezza filologica dell’uso da parte islamista di fonti del nichilismo politico europeo: se, infatti, il radicalismo rappresenta una degenerazione della cultura islamica (si pensi a intellettuali contemporanei di portata universale, come il filosofo Mohammed Abed al-Jabri o il giurista Abd El-Razzak El-Sanhuri), altrettanto può dirsi dell’anarco-insurrezionalismo rispetto alle teorie di Enrico Malatesta. La questione non ha un carattere teorico, ma politico-sociale. La convergenza tra islam radicale e insurrezionalismo, in chiave anti-occidentale, ci pare da prendersi in seria considerazione, anche in un orizzonte di medio e lungo periodo. In fondo, si tratta di una forma di “integrazione”: l’islam radicale si “integra” in Occidente all’antagonismo interno a questo stesso mondo. Perciò, si può parlare di integrazione antagonista.

DABIQ La rivista ufficiale dello Stato Islamico

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ul piano geostrategico, la presenza militare russa in Siria rappresenta tre evoluzioni del quadro mediorientale: la prima, Mosca avrà una presenza sempre maggiore e talvolta risolutiva nel Mediterraneo; la seconda, la NATO sarà sempre più ininfluente nel Grande Medio Oriente; terzo, la Russia possiederà il centro di gravità dell’area, mediando tra Iran, Arabia Saudita, Iraq e, appunto, Siria. In questa fase, le sortite aeree di Mosca partono dall’aeroporto di al-Humaymim vicino Latakia in Siria, e sono oltre sessanta, dal 30 settembre fino almeno al 7 Ottobre. Sono state definitivamente messe fuori gioco ben cinquanta postazioni dell’ISIS, tra cui i centri terroristici di comando/controllo, depositi di munizioni e di armi, i centri di comunicazioni del Califfato e le piccole fabbriche di armi che caratterizzano le attività logistiche del gruppo di Al Baghdadi.

S LA GUERRA CHE PuTIN SALE IN CATTEDRA

MOSCA VUOLE VINCERE La Russia vuole proiettare il proprio potere sulla scena mondiale, per sostituirsi agli Stati Uniti nel quadrante mediorientale

di Marco Giaconi

ARTICOLO PuBBLICATO NELL’OTTOBRE 2015


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Sono stati colpiti anche due centri di addestramento per militanti suicidi che, probabilmente, aumenteranno di numero nei prossimi giorni, in funzione della carenza di armi pesanti nel Califfato. Tutto il territorio siriano è stato colpito dagli aerei russi. È stato affermato, dalla dirigenza di Mosca presente in Siria, che almeno seicento militanti dell’ISIS hanno disertato, ma non possiamo verificare la fondatezza di questa valutazione. Certamente, se ne andranno più facilmente dall’armata terroristica i mercenari, che sono circa un terzo del totale dei jihadisti operanti dal territorio del Califfato. Le bombe lanciate dai russi sono le KAB-250 ad alta precisione, guidate dal sistema di puntamento GLONASS. Mosca ha anche istituito una no fly zone su tutto il territorio siriano, oltre a chiudere le rotte marittime per la base di Latakia fino a 150 chilometri al largo delle coste, mentre la Marina russa compie manovre al largo. A pochi chilometri da Aleppo, nel nord della Siria, è presente inoltre la base turca di Incirlik, dalla quale partono gli aerei USA, dunque la NATO. I jet israeliani, quattro F-15C, hanno finora sorvolato l’area siriana partendo da Cipro, mentre almeno quaranta aerei con o senza pilota volano dall’inizio delle operazioni su tutto il territorio della Siria. Sempre sul piano tecnico, il confine tra Siria e Turchia è costellato da batterie di Patriot, che possono essere utilizzati ipoteticamente contro aerei russi, mentre la Turchia lancia attacchi dall’aria contro il territorio curdo senza colpire l’ISIS. Nella dottrina di Mosca, in questa fase, non ha nessuna rilevanza differenziare Jabhat al Nusra, ossia il fronte qaedista, e ISIS, mentre la Quarta Divisione Corazzata Siriana ha appena ricevuto diversi carri armati T-90 e i fucili automatici Tigr russi. È probabile poi che le truppe speciali Zaslon del GRU, il servizio segreto militare russo, compiranno azioni

di penetrazione/disattivazione nelle aree di confine tra Turchia e Siria, per evitare una successiva probabile azione NATO in quelle zone. Alcune fonti iraniane, fra l’altro, affermano che molte delle armi trovate nei depositi dell’ISIS sono di provenienza saudita, ma anche questa affermazione va presa con beneficio d’inventario. La chiave politica di tutto ciò è il nuovo accordo tra Russia, Iraq, Siria e Iran per la stabilizzazione dell’area e la collaborazione antiterroristica sul piano dell’intelligence e dell’aggiornamento tecnico-militare. Ciò significa, di fatto, l’espulsione degli USA da questo quadrante e l’espansione parallela del miglior alleato di Mosca nell’area, la Repubblica Islamica dell’Iran. Se la Russia vincerà la partita in corso, l’attuale equilibrio di potenza tra sciiti e sunniti, tra Teheran, Riad e i loro client states sarà deciso a favore del “partito di Alì”, al potere in Iran dal 1979. Israele, intanto, sta con ogni probabilità preparando un’azione di terra dalle Alture del Golan nel caso in cui vi fossero attacchi terroristici da quel quadrante. Peraltro, fonti di Gerusalemme hanno affermato che lo Stato Ebraico fornirà dati d’intelligence a Mosca nella sua azione contro l’ISIS, oltre a fornire ai russi dati di primissima mano sulla penetrazione delle strutture iraniane all’interno della Siria, che ovviamente Israele non vede di buon occhio. Gli USA e la coalizione hanno finora compiuto, partendo da Incirlik, 7.184 azioni aeree, con una quantità di truppe sul terreno che oscilla intorno alle 5.000 unità. Tra esse, circa 3.300 sono controllare dagli americani, le altre appartengono alla Coalizione. La Siria sarà un nuovo Vietnam per un’America che sta abbandonando di fatto il Medio Oriente? È presto per dirlo, ma certamente la Russia, finora, controlla il territorio siriano con forze notevolissime, e intende restarci.

FORZE RUSSE IN SIRIA

dove FuggiRAnno i jihAdisti AssediAti dAi Russi? Se nella nuova fase della guerra siriana, Mosca dovesse avere la meglio sulle formazioni jihadiste di Jabhat Al Nusra, Fronte Islamico ed Esercito della Conquista - oggi annidati tra Idlib, Homs e Hama, ovvero le aree sotto il controllo ribelle martellate da pesantissimi raid russi a partire dal mese di ottobre - dove fuggiranno i ribelli? Nella prima fase della campagna militare russa, il Cremlino punta a distruggere le postazioni nemiche, tagliare le vie di fuga, i depositi di armi e i loro rifornimenti, allo scopo di poter garantire il successo della seconda fase, che prevede una massiccia operazione di terra per respingere gli oppositori del regime. Ma respingerli dove? A Sud la strada è troppo lunga, mentre a Nord il confine con la Turchia è affollato quasi per intero di curdi, a loro volta avversari dei jihadisti. A Est domina lo Stato Islamico. Possibile una saldatura in vista della “battaglia finale”?

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Le principali manifestazioni di rabbia e dissenso Le città trasformate dalla guerra

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HOMS La città è tra le più massacrate dalla guerra tra governo e ribelli siriani. Evacuata dopo un accordo tra le fazioni opposte, oggi è in mano ai governativi. La sua posizione è strategica, a metà strada tra Aleppo, Damasco e Latakia.

KOBANE Simbolo dell’orgoglio curdo, la città è stata liberata dallo Stato Islamico che ha inutilmente tentato di riprenderla. Più che strategia, la città di Kobane è un esempio da seguire per la liberazione di altre città del nord.


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DAMASCO Il cuore del governo sciita è qui. La capitale non è stata teatro di grandi battaglie ma la sua posizione è comunque a rischio. Sinora nei bunker sotterranei dove si nasconde il presidente Assad sono risuonate soprattutto le autobombe in superficie.

LATAKIA Nonostante le speranze di Jabhat Al Nusra, Latakia non cadrà in mani ribelli. Questa è una certezza dopo che le armate russe sono sbarcate in massa a difesa di questa città. Da qui parte la controffensiva per riprendere la Siria.

ALEPPO Questa immagine è la rappresentazione plastica del conflitto. una trincea fatta di stracci e terra, che divide una città e un intero paese. Aleppo oggi è contesa, ma rischia ogni giorno di più di cadere del tutto in mano ai ribelli.

IDLIB uno dei fronti più caldi è l’area intorno alla città. La strategia dei russi punta a riprendere il controllo di Idlib con il martellamento dei raid aerei, che anticipano l’avanzata delle truppe siriane. Qui si prospetta una carneficina.

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