Lookout News Magazine n. 18 settembre-ottobre 2015

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YEMEN Un conflitto dimenticato IRAQ L’altro fronte di guerra

speciale speciale siria siria

EVOLUZIONE D’OTTOBRE anno III - n. 18 settembre-ottobre 2015 |

La ricostruzione degli oltre quattro anni di guerra

www.lookoutnews.it


MORIRE PER DAMASCO? di Mario Mori

l’editoriale

ei sei volumi della ponderosa opera Seconda Guerra Mondiale di Winston Churchill, il primo è dedicato al tragico decennio degli anni Trenta durante il quale Francia e Inghilterra assistettero impotenti alla nascita del nazismo, le cui mire aggressive ai danni dei Paesi confinanti erano evidenti a tutti tranne che al governo di Sua Maestà e ai politicanti di Parigi. Sappiamo tutti come andò a finire. Dopo essersi riarmato, Hitler scatenò un secondo conflitto mondiale a poco più di vent’anni dalla fine della Grande Guerra. Il senso di sicurezza che pervase l’Europa in quel periodo sembra riproporsi anche oggi. Il Vecchio Continente, uscito devastato dalla guerra con confini alterati rispetto alla prima metà del secolo, sembra cullarsi di nuovo in una miope tranquillità, determinata dalla certezza che non esistano le condizioni per un conflitto globale. Anche se è bene evitare facili paragoni, non si può negare che il contesto generale della presente congiuntura storica mostra sintomi allarmanti che, nell’indifferenza di opinioni pubbliche distratte da problemi economici e sociali, sembrano non avvertire il pericolo che proviene dal Medio Oriente. La guerra civile siriana sta scavalcando pericolosamente le frontiere regionali. Dopo un quadriennio di disattenzione e maldestra ingerenza, gli Stati Uniti sembrano oggi preoccupati più di arginare l’influenza della Russia in Siria

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che non affrontare la minaccia islamista. Di fronte all’impotenza dell’ONU, che ricorda in modo imbarazzante l’analogo atteggiamento della Società delle Nazioni, il conflitto siriano sta prendendo una deriva che potrebbe con un nonnulla scatenare una crisi generale. Le minacciose affermazioni del segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, sulla tutela che l’organizzazione militare atlantica è decisa a esercitare per la salvaguardia della Turchia, non possono non ricordare quelle garanzie offerte da Francia e Inghilterra all’integrità della Polonia, che di fatto costrinsero i due Paesi a scendere in guerra per difendere Varsavia. Se le parole hanno un senso, al primo incidente tra un caccia russo e un aereo turco, la NATO sarebbe pronta ad agire militarmente contro Mosca. Alla fine degli anni Trenta le opinioni pubbliche europee erano angosciate dall’interrogativo “morire per Danzica?”. Oggi nessuno si chiede se sia giunto il momento di “morire per Damasco”. Quel momento, tuttavia, potrebbe arrivare all’improvviso e trascinarci tutti in uno scenario da incubo. Prima che ciò accada, per i leader europei è il momento della riflessione e della razionalità. Se il nemico è lo Stato Islamico come allora lo era il nazismo, è forse il momento per le grandi potenze di agire insieme, come fecero gli Alleati occidentali con la Russia. Fatto questo, potranno continuare a punzecchiarsi.


| anno III - numero 18 - settembre-ottobre 2015

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COM’È COMINCIATA LA GUERRA? 16 assad deVe Morire

Gli oBiettiVi della coaliZioNe iNterNaZioNale

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6 Com’è cominciata la guerra 12 Timeline della crisi siriana 16 Assad deve morire 18 Bashar Al Assad, presidente per caso 19 Arrivederci Iraq 20 Gli obiettivi della coalizione internazionale 26 Le affinità tra Anarchici e Islamisti

le affiNità tra aNarcHicie islaMisti Movimenti anarcoinsurrezionalisti e Islam radicale. Esistonodei punti di contatto pericolosi tra queste duedottrine, soprattuttoquando convergono sullalotta ai valori occidentali

NuMero speciale guerra in SIRIA

putiN sale iN cattedra

la Guerra cHe Mosca Vuole ViNcere

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30 La guerra che Mosca vuole vincere 32 Yemen, la guerra dimenticata


FACES

I volti più significativi del mese I protagonisti della grande guerra di Siria e Iraq

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LOOKOUT 18 - settembre-ottobre 2015

ABU BAKR AL BAGHDADI dato per morto più volte, l’araba fenice irachena ha sempre smentito quelle voci. L’ultima lo vuole deceduto in seguito a un raid iracheno l’11 ottobre 2015. Ma lo Stato islamico, in ogni caso, è più vivo che mai.

ABU MUHAMMAD AL JULANI il leader siriano di Jabhat al nusra è più attivo che mai. il suo gruppo islamista radicale ha dato così tanto filo da torcere all’esercito siriano, che in suo soccorso è dovuta arrivare l’armata russa di Vladimir Putin.


QASSEM SULEIMANI il generale iraniano è considerato il più grande stratega di guerra del Medio oriente da Teheran. oggi, oltre all’élite delle forze iraniane e a Hezbollah, guida e coordina le operazioni in iraq e Siria per conto di Mosca.

VLADIMIR PUTIN L’action man di russia è l’unica solida carta su cui la comunità internazionale può contare per uscire dalla crisi siriana senza esser trascinati in una guerra mondiale. a meno d’imprevisti, come uno scontro con i jet della naTo.

BASHAR AL ASSAD il presidente triste non esce più dal bunker di damasco. Le sue rare interviste consegnano alla storia un personaggio ancora lucido e realista. Tuttavia, il suo destino è stato segnato sin dal giorno in cui è scoppiata la guerra.

BARACK OBAMA È il più grande mistero della politica estera americana degli ultimi anni. Le sue decisioni nello scenario internazionale sembrano dettate, più che dalla prudenza, dall’indecisione. Che cos’ha davvero in mente il presidente?

LOOKOUT 17 - luglio-agosto 2015

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NuMero speciale guerra in SIRIA

Oltre quattro anni di violenze, centinaia di migliaia di morti, milioni di profughi, grandi eserciti che si scontrano direttamente o a distanza, in una guerra per procura che ha sconvolto l’intero Medio Oriente e spaccato due paesi forse definitivamente. Ma in nome di cosa? Non certo di Allah

COM’È COMINCIA 6

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ATA LA GUERRA? LOOKOUT 18 - settembre-ottobre 2015

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alla prima guerra del Golfo, con la politica russa sotto choc per il crollo sovietico e con l’esercito di Mosca impantanato nel conflitto ceceno, Stati Uniti e Regno Unito (con il beneplacito di Francia e Israele) progettano di spaccare le nazioni petrolifere “non allineate” per farne entità meglio controllabili e sfruttabili dalle loro compagnie petrolifere, quelle stesse per le quali Enrico Mattei, presidente di ENI, aveva coniato il termine “sette sorelle”. Distrutto l’Iraq con la guerra di occupazione del 2003, il progetto occidentale culmina nello sfruttamento delle Primavere Arabe. Tuttavia, esso conosce una battuta d’arresto in Egitto: quando sale al potere il “Fratello Musulmano” Mohammed Morsi, Israele inizia a preoccuparsi seriamente della buona riuscita del progetto e decide conseguentemente di sganciarsi. Morsi viene poi spodestato da un golpe militare e la situazione cambia nuovamente. Ciò nonostante, il piano americano fallisce definitivamente in Siria, dove Russia e Cina mettono da parte l’acquiescenza e per la prima volta si pongono seriamente di traverso all’asse occidentale, offrendo un appoggio diretto all’Iran sciita e un sostegno materiale al regime siriano, che resiste come può sotto i colpi della galassia indefinita degli insorti. Anche se il piano USA-UK crolla, ciò non toglie che tutta l’area mediorientale viene comunque sconvolta. Tale che oggi deve essere riequilibrata e ricomposta seguendo non certo facili criteri, soprattutto a causa del suo frammischiato caleidoscopio di etnie e religioni presenti in essa. La differenza oggi è che su questo riassetto del Medio Oriente si sta misurando il passaggio dal mondo bipolare del Novecento al mondo multipolare del nuovo millennio; un progetto perseguito tanto dalle potenze occidentali quanto dai BRICS, i paesi emergenti capitanati dalla rediviva

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GASDOTTO IRAN-SIRIA L'iran ha firmato nel 2009 un memorandum d'intesa trilaterale (Mou) per pompare gas in tutto l'iraq e fino in Siria, nella speranza un giorno di rifornire l'europa.

200 km

SIRIA Beirut

Tehran

Damascus Amman

Baghdad

IRAQ

GIORDANIA

Primo stadio I R A N Una prima fase Ahwaz

LIBANO

Basrah ARABIA SAUDITA

Secondo stadio

I contratti siglati nel 2009 per le restanti sezioni del gasdotto, dovevano entrare in vigore entro i successivi tre-cinque anni. Poi è arrivata la guerra

Assalouyeh

QATAR Riyadh

del gasdotto che collega Assalouyeh ad Ahwaz è stato completato, secondo notizie di stampa

Doha Pipelines - Giacimenti di gas

Fonte: Reuters, World Energy Atlas, Tehran Times

PETROLIO nel 2010 oltre il 90% della produzione siriana di petrolio finiva in europa, principalmente in italia (31%), germania (32%) e Francia (11%)

Russia. Per impedire che la Russia abbia la meglio geopoliticamente, gli Stati Uniti hanno così virato il confronto sul terreno della destabilizzazione e delle armi. Nell’attesa di poter definire il risultato di questi storici sviluppi, è utile riandare all’origine degli eventi in Siria per rintracciarvi le ragioni che hanno portato al disastro odierno. Non è insolita l’assenza sui media occidentali di un’analisi sulle reali ragioni della guerra. Insolito può essere semmai trovarla in luoghi inattesi, come un college militare americano. Sullo Armed Forces Journal, rivista molto interna al mondo e all’industria militare USA, un articolo redatto da un maggiore istruttore al Command and General Staff College di Fort Leavenworth prova a spiegare cosa sia accaduto. Fort Leavenworth è una scuola di guerra prestigiosa che, come West Point, ha dato all’America i suoi più illustri generali: Eisenhower, Marshall, MacArthur, Omar N. Bradley, Henry H. Arnold, Matthew B. Ridgway, Mark Clark, Patton, fino poi a Colin Powell e David Petraeus. Scrive il maggiore Rob Taylor sulle origini del conflitto: “Gran parte della copertura mediatica suggerisce che il conflitto in Siria è una guerra civile, in cui il regime alawita (sciita)


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di Bashar al Assad si difende (commettendo atrocità) contro le libero” (ovvero il Free Siryan Army) per combattere il brufazioni ribelli sunnite (che a loro volta commettono atrocità). tale dittatore. In breve, dietro questa bandiera, a ritmo crescente furoLa vera spiegazione è più semplice: si tratta di soldi”. Secondo Taylor tutto ebbe inizio nel 2009, dopo che la Qatar no fatte affluire in Siria, via Turchia e Giordania, le milizie Petroleum avviò ingenti investimenti per raddoppiare la produ- wahabite jihadiste già predisposte, addestrate e armate dai zione di gas, di cui il Qatar ha tra le maggiori riserve mondiali. Regni del Golfo e dalla Turchia. Ovviamente con la superIl progetto era di far giungere il gas in Europa, attraverso visione della CIA. Tra queste, c’era anche (ma non solo) lo Stato Islamico. Siria e Turchia, favorendo così l’aggiramento del monoIl regime degli Assad, laico e interconfessionale, sipolio russo strenuamente cercato dai paesi europei. Ma lo sciita Assad, non gradendo di divenino allo scoppio delle violenze, si reggeva su solide alleanze tra alawiti, drusi e cristiani ortodossi, e re vassallo delle monarchie sunnite-wahabite del LA VERA contava su un’adeguata distribuzione di risorse Golfo, rifiutò l’accordo e ne firmò invece un altro SPIEGAZIONE che il governo assegnava anche alla popolaziocon Iran e Iraq per far passare sul proprio terriÈ SEMPLICE: ne sunnita, che rappresenta la maggioranza nel torio il gas iraniano diretto in Europa. L’asse sciisI TRATTA paese. Se così non fosse stato, il regime non ta iraniano-iracheno-siriano, prossimo a Russia e avrebbe retto quattro anni di dura guerra con un Cina, si frapponeva palesemente all’asse sunnitadI soLdI esercito composto al 90% di sunniti. wahabita, alleati di USA e Regno Unito. Se non ci fosse stata l’intromissione della Russia Gli USA, che avevano già messo la Siria nel mie della Cina, gli americani e la NATO probabilmente sarino, aspettavano da tempo un’occasione simile per cambiare le carte in tavola. Così, l’anno successivo, sul- rebbero già intervenuti distruggendo ogni equilibrio, facendo l’onda mediatica delle Primavere Arabe e con gli inglesi a della Siria un mercato a cielo aperto delle compagnie petroligarantire la rete d’intelligence sul campo, sostennero le fere e riconvertendo il paese a un’area di transito del gasdotto proteste che stavano esplodendo in Siria. La loro immedia- qatariota. Un risultato che avrebbe fatto felici anche numerosi ta repressione da parte del regime di Assad fece da detona- e aizzanti paesi europei. Ma le cose sono andate diversamente tore e fu tale da consentire l’avvio di una propaganda per la dal progetto e il costo dell’operazione è salito vertiginosamente, creazione di una forte opposizione interna e di un “esercito con oltre 250.000 morti e milioni di rifugiati. OLEODOTTI E GASDOTTI IRAQ-SIRIA il percorso del gas e del petrolio che attraversa i paesi in guerra e le traiettorie delle nuove pipelines in costruzione.

Yumurtalik

Giacimenti di petrolio Gas

TURCHIA

Ceyhan

Mosul

Kirkuk-Ceyhan Pipeline

Oleodotti

Erbil

Gasdotti In costruzione

Kirkuk

In costruzione IRAN

SIRIA

IRAQ

Aree controllate dai curdi

Baghdad

GIORDANIA

100 miglia 100 km

Fonte: Reuters; World Energy Atlas; M. Izady - Gulf/2000 Project; Columbia University.

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DANIMARCA PAESI BASSI REGNO UNITO CANADA

BELGIO FRANCIA

IR

SIR

STATI UNITI

ISRAELE GIORDANIA ARABIA SAUDITA

I PAESI CHE FANNO PARTE DELLA COALIZIONE A GUIDA USA GLI ALTRI PAESI CHE COMBATTONO CON MOSCA

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IL CONFRONTO TRA SUPERPOTENZE

RUSSIA

RAQ

RIA

E

IRAN BAHRAIN QATAR U.A.E.

AUSTRALIA

ecco plasticamente riprodotti i due nuovi blocchi che si contendono la primazia sui territori di Siria e iraq. due grandi coalizioni, trasversali e in concordanza tra loro solo quando si tratta di parlare all’assemblea generale delle nazioni unite. Per il resto, le alleanze sono ben distinte e così le operazioni di guerra sul quadrante mediorientale. da una parte, la coalizione guidata dagli Stati uniti che include Canada e gli alleati europei quali Francia, regno unito, giordania, australia, danimarca, Belgio, Paesi Bassi, oltre ai mediorientali israele, arabia Saudita, Qatar, emirati e Bahrain e alle milizie ribelli legate al Free Syrian army. dall’altra, Federazione russa, iran e le milizie di Hezbollah, oltre all’esercito siriano fedele al regime degli assad e recentemente anche l’esercito iracheno.

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Timeline della crisi siriana Sull’onda delle Primavere Arabe, la Siria è caduta in una spirale di violenza, sottovalutata dai più. Dal 2011 a oggi, il governo controlla ormai un quarto del paese, ma Bashar Al Assad è ancora in piedi opo che nel maggio 2010 gli Stati Uniti rinnovano le sanzioni contro la Siria - affermando che il regime di Assad supporta i gruppi terroristici, possiede e persegue la ricerca di armi di distruzione di massa e fornisce a Hezbollah armi e missili, in violazione delle risoluzioni ONU - segue un periodo di crescenti tensioni interne al Paese fino a che, nel marzo 2011, la situazione precipita. Nella capitale Damasco, a Latakia e nella città meridionale di Deraa scoppiano violente proteste da parte di manifestanti anti-governativi che chiedono il rilascio di prigionieri politici. Le forze di sicurezza sparano e lasciano a terra decine e decine di morti, innescando giorni di violenti disordini che presto si diffondono a livello nazionale.

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HAFEZ ASSAD uno dei primi simboli edlla rivolta siriana è stata la distruzione delle statue dedicate al padre dell’attuale presidente


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2011

INIZIA LA GUERRA CIVILE APRILE - il governo annuncia alcune misure di conciliazione, nel tentativo di smorzare i disordini. assad rilascia decine di prigionieri politici, destituisce il governo e abolisce lo stato di emergenza. Ma non basta. a maggio carri armati entrano a deraa, Banyas, Homs e nei sobborghi di damasco, nel tentativo di schiacciare le proteste anti-governative, mentre Stati uniti e unione europea inaspriscono le sanzioni. GIUGno - il governo accusa “bande armate” di aver ucciso 120 membri delle forze di sicurezza a Jisr al-Shughour: le truppe assediano la città e oltre 10.000 persone fuggono in Turchia. e a luglio, mentre assad invia truppe ad Hama per ristabilire l’ordine, si va ormai formando un’opposizione che s’incontra a istanbul, in Turchia, per formare un fronte unificato. oTTobRE - al Consiglio di Sicurezza onu, russia e Cina pongono il veto sulla risoluzione di condanna alla Siria. Mentre a novembre anche la Lega araba isola la Siria e adotta le sanzioni, accusandola di non aver applicato un piano di pace arabo. Sostenitori del regime attaccano le ambasciate straniere. Deir Al-Zor

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2012

2013

LA STAGIONE DELLE AUTOBOMBE

L’ANNO PIÙ SANGUINOSO

FEbbRAIo - il governo bombarda Homs e altre città, riconquistando il distretto di Baba amr. a questa data, secondo l’onu sono già più di 7.500 le vittime di quella che sta per diventare una vera e propria guerra.

GEnnAIo – Jet israeliani attaccano un centro di ricerca militare vicino a damasco e carovane di camion che trasportano armi dirette verso il Libano. Si sospetta la presenza di pasdaran iraniani.

MARzo - il Consiglio di sicurezza dell’onu approva un piano di pace non vincolante elaborato dall’inviato delle nazioni unite, Kofi annan. Ma è un fallimento e la guerra prosegue.

MARzo – aerei da guerra siriani bombardano la città settentrionale di raqqa, controllata dai ribelli. La Coalizione nazionale Siriana elegge come “primo ministro” ad interim, ghassan Hitto. aleppo è in mano ai ribelli.

MAGGIo - il Consiglio di sicurezza dell’onu condanna fermamente il governo per l’uso di armi pesanti. Francia, regno unito, germania, italia, Spagna, Canada e australia espellono alti diplomatici siriani in segno di protesta.

APRILE – Stati uniti e regno unito indagano sull’uso di armi chimiche da parte delle forze governative. il primo ministro Wael nader al-Halqi riesce a scampare a un attentato nel centro di damasco. Moaz al-Khatib, presidente della Coalizione nazionale Siriana, si dimette lamentando ingerenze straniere. gli succede il veterano socialista george Sabra.

GIUGno - il presidente assad opera un rimpasto di governo e dichiara di prepararsi ad affrontare un “vera guerra di lunga durata”. La Siria abbatte un aereo turco entrato nel suo spazio aereo. LUGLIo – i ribelli si sono ormai costituiti nel Free Syrian army (FSa). a damasco muoiono in attentati tre capi della sicurezza di assad e il FSa si attesta ad aleppo, ma un’offensiva del governo limita la conquista definitiva della città. AGosTo – il presidente degli Stati uniti, Barack obama, avverte che l’uso di armi chimiche da parte del regime porterebbe gli Stati uniti verso l’intervento. oTTobRE – nuove tensioni tra Siria e Turchia: scambio di colpi di mortaio al confine turco uccidono cinque civili turchi. ad aleppo, un incendio distrugge il mercato storico e la battaglia infuria. novEMbRE – Le forze di opposizione si uniscono nella Coalizione nazionale Siriana in Qatar. Ma le milizie islamiche radicali che combattono ad aleppo, Jabhat al nusra e la Brigata al-Tawhid, si rifiutano di aderire alla coalizione. israele fa fuoco contro l’artiglieria siriana lungo le alture del golan: è il primo scontro a fuoco dopo la guerra dello Yom Kippur (1973). dICEMbRE – Stati uniti, gran Bretagna, Francia, Turchia e gli Stati del golfo riconoscono formalmente la Coalizione nazionale Siriana che si oppone ad assad come “legittimo rappresentante” del popolo siriano. 14

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MAGGIo - nuovo scontro a fuoco tra l’esercito israeliano e quello siriano nelle alture del golan. L’unione europea decide di non rinnovare l’embargo sull’invio di armi in Siria. L’occidente ora può armare i ribelli. MAGGIo - entra in gioco Hezbollah, il “partito di dio” del Libano, determinante nel riconquistare la città strategica di Qusayr, nella provincia di Homs al confine libanese. GIUGno - La Francia dice che ha la prova che il governo ha utilizzato gas nervino sarin in attacchi contro ribelli e civili. il presidente obama diche che “è stata superata la red line” e che invierà armi ai ribelli. L’esercito di assad stringe d’assedio la città di aleppo.

FSA ForMaTo neL 2011 da diSerTori FuggiTi in TurCHia


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2014

L’ASCESA DEGLI ISLAMISTI GEnnAIo-FEbbRAIo Falliscono i colloqui di pace mediati dall’onu a ginevra, in gran parte perché le autorità siriane si rifiutano di discutere di un governo di transizione. MARzo - Le forze dell’esercito siriano e Hezbollah riconquistano Yabroud, l’ultima roccaforte dei ribelli vicino al confine libanese.

2015 EVOLUZIONE D’OTTOBRE Tra settembre e ottobre, il Cremlino ha preparato e poi lanciato il più grande intervento in Medio oriente da decenni

MAGGIo - Centinaia di ribelli abbandonano la loro roccaforte nella città centrale di Homs. il ritiro, mediato con le forze governative, segna la fine di tre anni di resistenza in città.

GIUGno - L’onu annuncia l’avvenuto completamento delle operazioni per la rimozione del materiale chimico dalla Siria. 29 GIUGno - i miliziani dello Stato islamico in iraq e in Siria dichiarano la nascita del Califfato sopra le terre conquistate, un territorio che va da aleppo sino alla provincia irachena di diyala.

AGosTo - La base aerea di Tabqa, vicino alla città settentrionale di raqqa, in Siria, cade in mano ai militanti dello Stato islamico, che ora controllano l’intera provincia di raqqa. sETTEMbRE - gli Stati uniti e cinque Paesi arabi lanciano attacchi aerei contro lo Stato islamico tra aleppo e raqqa.

+100

LA RUSSIA ENTRA IN GUERRA GEnnAIo - Forze curde respingono lo Stato islamico fuori da Kobane, sul confine con turco-siriano, dopo quattro mesi di combattimenti. MARzo - Le opposizioni respingono le forze governative. il nuovo gruppo islamista ribelle Jaish al-Fatah (esercito della Conquista), sostenuto da Turchia, arabia Saudita e Qatar, conquista idlib, capitale della provincia omonima. MARzo - L’alleanza del Fronte del Sud, composta da gruppi laici e islamisti, occupa il valico di frontiera giordano di nassib.

MILA

MAGGIo - Lo Stato islamico conquista l’antica città i CoMBaTTenTi di Palmyra nella Siria centrale, e l’ultimo valico di confine ToTaLi in Siria con l’iraq. Jaish al-Fatah inizia a premere sulla roccaforte costiera del governo di Latakia. GIUGno - Si intensificano gli scontri tra Stato islamico e curdi nell’area intorno a raqqa e il confine turco. i curdi prendono ain issa e la città di frontiera di Tal abyad, lo Stato islamico attacca nuovamente Kobane e Hassakeh, Le Fazioni la principale città nel nord-est della Siria. riBeLLi CHe Si CoMBaTTono sETTEMbRE - La russia s’impegna a sostenere Tra Siria e iraQ militarmente il regime di assad, inviando un contingente aereo nella roccaforte costiera di Latakia. La Francia inizia i primi raid aerei in Siria. all’assemblea generale dell’onu va in scena lo scontro tra Mosca e Washington.

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oTTobRE – La russia entra in guerra, bombardando Homs, Hama e le postazioni dei ribelli siriani. LOOKOUT 18 - settembre-ottobre 2015

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Assad deve morire S

ono siriano, nato in Siria e devo vivere e morire in Siria”

diceva Bashar Al Assad non molto tempo fa. Le sue prospettive oggi non sono cambiate, né appaiono più rosee. Difficile immaginare, infatti, che riesca a uscire vivo da Damasco, dov’è rintanato da mesi ormai, senza mettere naso fuori dal palazzo presidenziale. I suoi incubi? Finire sotterrato da un bombardamento, diventare preda in una caccia all’uomo nel caso in cui i ribelli dovessero penetrare la capitale, morire per mano dei suoi stessi uomini, in un complotto di palazzo. Recarsi all’estero non si può, neanche a bordo di un mezzo russo. Che succederebbe, infatti, al suo ritorno? Magari un golpe interno, magari non riuscirebbe neanche a prendere la via del ritorno. Dunque, è preferibile resistere dentro un bunker.

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Il presidente di quella che fu la Siria, oggi può giusto tirare un timido sospiro di sollievo e sperare nell’aiuto dell’amico Vladimir Putin, accorso in sua difesa con un arsenale bellico impressionante. Solo le armate russe, infatti, possono impedire la prima ipotesi, quella di una capitolazione di Damasco. Stessa sorte che toccò, tanto per dire, all’amico Gheddafi in Libia, fuggito da Tripoli e poi stanato nella città natale di Sirte. Assad, invece, è nato a Damasco l’11 settembre del 1965. Ha girato il mondo ma ormai è prigioniero in casa propria. In piena guerra gli avevano già offerto un ponte aereo per fuggire a Mosca, dove Mohamed Makhlouf, zio materno di Bashar Al Assad, gestisce già per conto del regime gli affari di famiglia da un grattacielo d’epoca sovietica che guarda il fiume Moscova. Era il 2013, ma Bashar rifiutò l’offerta, convinto che la guerra potesse ancora volgere in suo favore.

di Luciano Tirinnanzi

ASSASSINIO Mentre numerosi capi di governo e dittatori sono stati oggetto di tentativi (spesso riusciti) di assassinio, non si conoscono sinora manovre per uccidere il presidente siriano


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Oggi il presidente è meno sicuro del risultato e sempre più in bilico sul trono. All’estero, in Iran, in Russia e persino in Arabia Saudita, manda al suo posto Ali Mamlouk, capo della sicurezza nazionale, sovrintendente alle agenzie d’intelligence siriane e da oggi rappresentante diretto del presidente. Assad, invece, resta nei sotterranei costruiti sotto il palazzo presidenziale, attendendo paziente di poter tirare i fili della trama che Mamlouk ha tessuto negli ultimi mesi: i russi che rimettono in piedi il regime coordinando le operazioni militari dal cielo, l’Iran che fornisce le truppe di terra, l’esercito siriano a rimorchio. Questo dovrebbe quantomeno garantirgli il controllo della fascia costiera, dove il capo di stato potrebbe un giorno riparare. E ripartire. MAHER Ciò nonostante, lo scontro avvenuto AL ASSAD in seno alle Nazioni Unite a settembre il fratello minore 2015 - dove sostanzialmente russi e del presidente americani hanno convenuto di aumen- si occupa della sua sicurezza tare l’impegno militare in funzione antijihadista - ha certificato anche che la soluzione della Siria passa per un “regime change”. Se il Cremlino per il momento sfrutta opportunamente l’ombrello di Assad, “l’unico presidente legittimo” che “ha chiesto ufficialmente e legalmente il nostro aiuto” per intervenire pesantemente in Siria, è pur vero che Mosca presto o tardi potrebbe considerare la sua figura sacrificabile. Una volta raggiunto l’obiettivo strategico, che si sostanzia nella creazione di un’enclave mediterranea di esclusiva pertinenza russa, Mosca lo potrebbe anche scaricare. Una posizione che non si discosta poi troppo da Washington, che è disposto ad aspettare gli sviluppi sul terreno prima di forzare una sua destituzione, ma che ha comunque in agenda di tagliare la testa del “tiranno che ha brutalizzato il suo popolo”, come ha sentenziato Barack Obama. Il presidente americano lo ha detto soprattutto per non perdere la faccia, dopo le roboanti dichiarazioni con cui la Casa Bianca ha condito la sua propaganda anti-Assad e dopo i milioni di dollari dei contribuenti spesi per armare le opposizioni. Ma adesso non può rimangiarselo. Tuttavia, non è questo lo scenario più probabile. L’incredibile esposizione e pressione mediatica, infatti, hanno reso Assad il principale obiettivo, come se il destino della guerra in Siria dipendesse ormai dalla sua permanenza al potere. Chi crede in questa ipotesi e vuole la fine delle ostilità, potrebbe allora decidere di attentare alla vita del presidente.

In questo caso, i suoi assassini non sarebbero sicari mandati da Washington, Riad o Raqqa. I primi a tradirlo potrebbero essere membri interni al suo stesso governo, decidendo di sacrificarlo per salvare il regime e porre così fine a una guerra logorante e impossibile da vincere. Succede spesso ai dittatori. Le congiure di palazzo, da Cesare a Hitler, non sono certo una novità, specie in condizioni estreme come questa. Il campanello d’allarme, in questo caso, è tutto nel progressivo accentramento di potere nelle mani di Maher Assad, fratello minore di Bashar, che di recente è stato promosso alla testa dei reparti di fedelissimi del regime.

Il fratello del presidente è considerato il regista della violenta repressione del febbraio 2011 che ha trasformato le proteste della popolazione nella guerra civile. Oggi Maher è alla guida la IV divisione corazzata, la Guardia Repubblicana e la Shabiha, un gruppo di milizie popolari leali al partito Baath. Segno che Bashar non si fida più neanche dei suoi generali e collaboratori più stretti. Maher è stato a sua volta oggetto di attentati - in uno dei quali avrebbe perso l’uso della gamba sinistra - ed è perciò abituato all’idea di non potersi fidare di nessuno. Forse, però, neanche lui basterà a proteggere il presidente. Di solito, infatti, ai generali non piace essere accantonati, specie quando si lotta per la sopravvivenza, e questa mossa dei fratelli Assad potrebbe essergli fatale.

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BASHAR AL ASSAD, presidente per caso Il dittatore siriano non desiderava il trono di Damasco, ma la morte del fratello lo ha costretto a un ruolo per il quale era impreparato. La guerra ha reso evidente il declino della sua famiglia ensare che il giovane studente di oftalmologia (classe 1965) sognava una vita di ricerca a Londra - oltre che in Siria, Bashar ha studiato anche alla Western Eye Hospital londinese nel 1992 - dove amava vivere all’occidentale e fare spese pazze insieme alla futura moglie Asma: sposata nel 2000, la first lady vanta un passato alla JP Morgan ed è ascrivibile alla categoria femminile delle “shop addicted”, al punto che neanche in piena guerra civile riusciva a smettere di comprare online qualsiasi oggetto costoso le capitasse sotto mano (nel 2012 è riuscita a spendere 450mila dollari per un lampadario da appendere nella dimora estiva di Latakia). Così il terzogenito della famiglia alawita, dalla quiete e riservatezza dei libri di medicina e degli studi arabo-francesi, si è improvvisamente ritrovato successore designato alla guida del suo Paese per volere del padre Hafez, che gli aveva preferito il primogenito, Bassel (o Basil), ma che si è dovuto ricredere quando un incidente automobilistico ha cambiato le carte in tavola dell’eredità, insieme alla vita del promettente figlio prediletto: nel 1994 Bassel muore e Bashar viene spinto controvoglia a una rapidissima carriera militare (diventa colonnello in soli cinque anni all’accademia militare di Homs). Fino a che un nuovo lutto familiare – questa volta è il padre Hafez a mancare, nel 2000 – lo proietta direttamente nel palazzo presidenziale di Damasco, pur se la sua nomina formalmente contraddiceva la legge: l’età minima per assumere la carica era di 35 anni mentre Bashar, all’epoca, non li aveva ancora compiuti. Il destino del presidente della Siria è sempre apparso predeterminato e viene da pensare che non sia mai stato sotto il suo pieno controllo. Né le decisioni ultime prese dal consiglio di guerra siriano sono forse mai state nelle sue mani. Di certo, non adesso che Mosca ha preso il comando delle operazioni in Siria, nel tentativo disperato di risollevare una guerra civile che volge decisamente in sfavore del regime.

La sua permanenza al palazzo presidenziale è segnata comunque, sia che la guerra finisca in favore degli sciiti-alawiti (il clan di Assad) grazie all’aiuto russo, sia che venga raggiunto un accordo di pace. Al momento del redde rationem, infatti, gli Stati Uniti pretenderanno la sua testa, come già stigmatizzato dal presidente Barack Obama, che su questo punto si è dimostrato irremovibile all’assemblea delle Nazioni Unite del 28 settembre 2015. Mentre il Cremlino, che ormai si è imposto quale dominus politico-militare in Siria e che è in grado di proteggerlo a oltranza, potrebbe decidere di accondiscendere in ragione della realpolitik. In ogni caso, il tempo degli Assad e della “loro” Siria volge al termine, la loro parabola si conclude nel peggiore dei modi e la Siria si prepara a voltare pagina. Ma ci vorrà del tempo e quel capitolo non è ancora stato scritto.

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LA FAMIGLIA ASSAD Deceduto

Membro della cerchia ristretta del presidente

Hafez al-Assad 1930-2000 Ruled Syria with an iron first from 1971 until his death

Bushra al-Assad b. 1960 Pharmacist

Basil al-Assad 1962-1994 Groomed to be Hafez’s successor

Assef Shawkat b. 1950 Deputy-chief of staff of Syrian army

Anisa Maklouf Member of powerful billionaire family

Bashar al-Assad b. 1965 Current president of Syria

Majd al-Assad 1966-2009 Died of a long term illness

Maher al-Assad b. 1968 Commander of the Republican Guard

Asma al-Assad b. 1975 High-profile First Lady of Syria

Fonte: news reports, syrian embassy, CIA World Factbook


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Arrivederci Iraq Gli stati Uniti si stanno lasciando sfilare da Mosca anche la paternità della causa irachena. La storia si ripete, anche se nessuno ne parla di Rocco Bellantone

ltre quattromila raid aerei, aiuti e rifornimenti per centinaia di milioni di dollari e decine di squadre di consiglieri militari non hanno salvato l’Amministrazione Obama da una nuova débâcle in Iraq. Un fallimento annunciato, cadenzato dalle previsioni distorte fornite dai vertici del CENTCOM (il Central Command del Pentagono) che ha sottostimato l’entità della minaccia militare rappresentata dall’avanzata dello Stato Islamico, e da una mancanza di strategia che presto spingerà Washington fuori dalla cabina di regia di questo conflitto, così come sta accadendo adesso in Siria dove a guidare le operazioni è la Russia di Vladimir Putin. Chiedersi perché nessuno parli più di Iraq e, soprattutto, perché l’Europa e il resto della coalizione internazionale continuino ad accodarsi alle scelte errate degli Stati Uniti, è una domanda lecita. Per il semplice fatto che in Iraq l’esercito del Califfato di Abu Bakr Al-Baghdadi, il ‘nemico globale’ della democrazia, ormai non è più un fenomeno di insurrezionalismo jihadista capeggiata dagli ex gerarchi di Saddam Hussein ma una realtà che si è fatta Stato, con un proprio sistema di leggi, una propria economia fondata sul contrabbando di petrolio e dei confini in continua espansione: a est di Baghdad, nel governatorato di Anbar confinante con la Siria; a nord dove dall’autoproclamata capitale Mosul minaccia sempre più da vicino il Kurdistan iracheno; a sud tra Falluja e Haditha, dove controlla due delle più imponenti dighe del Paese.

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MOSUL È stata dichiarata capitale del Califfato islamico il 29 giugno 2014

Quel che resta dell’Iraq è una nazione sull’orlo del disfacimento. Le defezioni dall’esercito, corrotto dai ranghi più bassi ai vertici e disorganizzato, sono senza controllo. Chi lascia la divisa confluisce nelle milizie sciite irachene e nella Forza Al Quds, le forze speciali della Guardia Rivoluzionaria iraniana guidate dal generale Qassem Suleimani. Oppure, in cambio di compensi maggiori, abbraccia la causa dello Stato Islamico. Il governo del primo ministro Haider Al Abadi, invocato da Washington per prendere il posto di Nuri Al Maliki, in più di un anno di mandato non è riuscito a porre un freno a questa emorragia né ad eliminare le tensioni tra sciiti e sunniti

attraverso un processo di inclusione. Anche la campagna per la riconquista di Ramadi, capoluogo di Anbar, che sarebbe dovuta seguire alle operazioni che hanno portato alla presa di Tikrit nella primavera scorsa, si è sgonfiata ancor prima di iniziare. Dopo la Siria, per gli Stati lo spettro di un altro pezzo di Medio Oriente finito sotto l’ala protettiva della Russia potrebbe dunque materializzarsi a breve. Al Abadi è pronto a cedere alla richiesta di quella parte del Paese che, su stimolo dell’Iran, gli chiede di aprire i cieli dell’Iraq ai raid russi. Il resto, compresa la notizia dei Tornado italiani pronti a intervenire contro l’ISIS, è già storia passata.

RIPRENDERE MOSUL, MISSIONE POSSIBILE? nella campagna militare contro lo Stato islamico, gli uSa intendono dare priorità alla riconquista di Mosul, capitale di iSiS in iraq, sfruttando l’appoggio delle forze di terra curde. Se sul piano politico l’accordo con il governatore del Kurdistan Massoud Barzani sembra essere cosa fatta, manca invece l’intesa militare. il ministro della difesa Mustafa Sayed Qader non intende rischiare una sconfitta al momento quasi certa, mandando i combattenti peshmerga all’assalto di una città fortificata e resa praticamente impenetrabile dai miliziani jihadisti. Meglio puntare su Kirkuk, dove a differenza di Mosul c’è una forte concentrazione di curdi.

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TUTTI ConTRo TUTTI

GLI OBIETTIVI DELLA COALIZIONE INTERNAZIONALE 20

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di Claudio Stellari a Siria oggi è al centro del più grande scontro che contrappone la Russia e i suoi alleati (Siria, Iran, Iraq, Hezbollah) agli Stati Uniti e ai suoi alleati (Giordania, Israele, Libano, Arabia Saudita, Free Syrian Army). Ciascuno di questi Paesi od organizzazioni paramilitari ha sparato qualche colpo nel teatro di guerra, senza tuttavia modificare granché il panorama. Ma tutti loro appaiono sempre più come la longa manus delle due superpotenze, decise a rinnovare uno scontro che non si è esaurito con il Novecento. L’offensiva aerea di Mosca nella Siria occidentale ha certamente segnato un punto di svolta nelle vicende del Medio Oriente. Già da tempo e con sempre maggiore forza, la Federazione Russa è emersa quale potenza numero uno nella regione, e oggi è riuscita a sosrieMerge tituirsi e a scalzare gli Stati Uniti, CoMe SuPer- messi all’angolo anche a causa di PoTenza analisi e previsioni errate da parte di consiglieri ed esperti, sempre più combattuti al loro interno tra fazioni di disillusi, isolazionisti e guerrafondai. Se Pentagono e Dipartimento di Stato non sanno ancora come reagire alle mosse del Cremlino, è però altrettanto evidente che Washington e i suoi alleati dovranno rivedere le proprie strategie, ridefinendo le priorità e le affinità che li tengono insieme. In risposta allo US Central Command di Amman - la control room in Giordania condivisa con Arabia Saudita, Qatar, Israele ed Emirati Arabi Uniti per coordinare le operazioni militari della cosiddetta coalizione internazionale Mosca, inoltre, ha da poco stabilito un gabinetto di guerra del tutto simile a Baghdad, dove oltre ai russi siedono Iran, Iraq e Siria. Segno che la Siria rappresenta solo la prima fase di un progetto più ampio, teso a ricreare in Medio Oriente il modello federativo dei tempi dell’Unione Sovietica. Più stati, una sola testa.

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LA RUSSIA

Mentre la guerra si fa ogni giorno più intensa, è sempre più difficile rintracciare un unico obiettivo e una ragione che accomuna le varie parti in lotta. L’unica certezza è che tutti vogliono ricavare qualcosa da questo disastro

sEGUE

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ISRAELE

RUSSIA

o Stato di Israele è il primo a dover stare in allerta. È vero che lo storico alleato americano lo ha scontentato sin troppo, stretto com’è nell’abbraccio mortale di un trattato di non proliferazione nucleare siglato con la Repubblica Islamica dell’Iran, ovvero l’arcinemico di Tel Aviv. Ma Israele sa anche che non può gettarsi tra le braccia di Mosca, alleata proprio dell’Iran (e di Hezbollah) e suo partner nella guerra. L’obiettivo a medio termine di Tel Aviv, perciò, è quello di avere le mani libere nelle proprie operazioni militari: mantenere cioè la sovranità dello spazio aereo sopra la Siria, nel caso dovesse portare attacchi nel Golan infestato da jihadisti. Le alture sono infatti una terra contesa proprio con la Siria e, di fatto, una zona occupata. Chissà, magari in futuro la Siria potrebbe pretendere di riaverle indietro. Dunque, è d’obbligo rinsaldare l’asse con Washington e non stringere nessun patto con Mosca. A meno di garanzie sulle alture.

obiettivo strategico attuale della Russia è evidente: da un lato, assicurare che la fascia costiera siriana resti saldamente nelle mani di Assad; dall’altro, mantenere il controllo di un territorio sufficiente a garantire la sopravvivenza fisica delle minoranze siriane alawite e cristiane, e la sopravvivenza politica del regime. Per fare ciò, il Cremlino ha posto le basi adeguate, nel vero senso della parola: a Latakia ha costruito una base aerea, a Jableh una sottomarina e a Tartus ha rinforzato la base navale. E, adesso, è passato all’azione. Niente di segreto, dunque, se è vero che già lo scorso maggio una fonte interna al governo di Damasco affermava testuale: “La divisione della Siria è ormai un fatto inevitabile. Il regime vuole controllare la costa, le due città centrali di Hama e Homs e la capitale Damasco. Le linee rosse per le autorità sono oggi l’autostrada Damasco-Beirut e l’autostrada Damasco-Homs, così come la costa con le città di Latakia e Tartus”. Per questo, continueranno a operare bombardando anzitutto queste aree, infischiandosene se del caso anche dello Stato Islamico. E per questo la Casa Bianca ha gridato strumentalmente allo scandalo e chiesto un coordinamento Pentagono-Cremlino. Il problema, infatti, è un altro. Che succede se i russi continuano a bombardare i ribelli sostenuti dagli Stati Uniti? O, peggio, se qualche aereo “alleato” viene abbattuto per sbaglio? La cosa non andrebbe a finire bene.

a Turchia ha ragione di sentirsi sempre più accerchiata. Dopo che ha annesso unilateralmente la Crimea e schierato a Sebastopoli la grande forza navale nel Mar Nero, ora la Russia si è presa anche Latakia e Tartous, annesse de facto e adeguatamente rifornite di uomini e mezzi. Così adesso i porti in acque calde (cioè che non si congelano per alcuni mesi l’anno, tipo Vladivostok) a disposizione della marina russa sono due: entrambi di fronte alla Turchia. Il paese NATO deve dunque fare molta attenzione, considerato il fatto che Ankara vive una doppia guerra: una contro il terrorismo politico interno (la strage dell’11 ottobre è figlia di questo), una ben più cruenta contro i curdi del PKK, che le vogliono strappare una parte di territorio. Anche in questo caso, è d’obbligo stringersi all’alleanza atlantica.

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TURCHIA

4.360 GLI STRIKE deLLa CoaLizione uSa in iraQ

2.400 GLI STRIKE deLLa CoaLizione uSa in Siria

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ARABIA SAUDITA

GIORDANIA

Arabia Saudita non ha meno grattacapi. Il suo fronte di guerra principale oggi è nello Yemen, al confine meridionale della penisola araba. Qui gli Houthi hanno innescato un conflitto che punta a dividere il Paese, avocando a sé la parte sciita. Se dovessero avere la meglio, sarebbe un elemento di destabilizzazione enorme per la famiglia Saud. Nelle ultime settimane, sono piovute aspre (seppur anonime) critiche alla casa reale, per la pessima gestione delle risorse economiche e per l’andamento non risolutivo della guerra. Inoltre, pesa la questione ereditaria: oggi sono più di una dozzina i figli ancora in vita del defunto sovrano Ibn Saud, titolati a concorrere alla corsa per il trono. Il re Salman, però, ha sempre affermato che intende consegnare le redini a suo figlio, nipote di Ibn Saud, piuttosto che a uno dei figli del fondatore dello Stato. Un simile scenario già oggi sembra aver provocato una spaccatura interna alla casa regnante. Dunque, per Riad è indispensabile metter fine alla guerra in Yemen e concentrarsi poi sui guai interni.

iordania e Libano possono solo sperare di non essere coinvolti ulteriormente nel conflitto siriano. Entrambi i Paesi già sopportano un peso enorme, poiché devono sostenere la popolazione siriana fuggita dalla guerra. Oggi Amman si trova a dover gestire 700mila persone nei campi profughi, cioè un ottavo della sua popolazione totale, mentre Beirut ne ha accolti 1,2 milioni, addirittura un quarto della popolazione libanese. Con azioni militari limitate e prudenti, effettuate più per reazione-ritorsione che per una precisa volontà di combattere, entrambi i Paesi si devono tutelare soprattutto da sobillatori e infiltrazioni interne.

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TORNADO L’italia dispone di 79 Panavia Tornado idS e 16 Panavia Tornado iT-eCr

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LIBANO n Libano, Hezbollah ha ridotto le proprie forze, che sono andate a combattere e morire sul fronte siriano a fianco dell’Iran e di Assad. Una scelta che non ha pagato e che ha richiesto loro un altissimo sacrificio di uomini e mezzi. Ragion per cui Hezbollah sembra intenzionato a ritirarsi o a ridimensionare il proprio ruolo nel conflitto, visto anche che il nemico è un altro e si chiama Israele. La prudenza giordana, invece, sinora ha consentito ad Amman di mantenere un ruolo di basso profilo, che il governo ha tutta l’intenzione di mantenere. Una scelta equilibrata che sinora ha pagato.

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L’ITALIA In GUERRA dicono che per entrare in guerra in iraq, l’italia debba modificare le proprie “regole d’ingaggio”. Sacrosanto il diritto-dovere di stabilire a priori il tipo di missioni che le nostre forze armate devono svolgere nei vari teatri di crisi mondiali: dalla Siria all’afghanistan, dalla Libia all’iraq. Soprattutto in ragione di ciò che recita la nostra Carta costituzionale, quando diche che “L’italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Tuttavia, il nostro paese partecipa alla coalizione internazionale nella lotta all'iSiS: “siamo ad erbil, siamo a Baghdad, ci siamo con i nostri addestratori, con i carabinieri e con aerei da ricognizione che partecipano all'operato della coalizione” ha ricordato il nostro ministro della difesa, roberta Pinotti. dunque, andremo alla guerra? La polemica tra dicasteri, difesa ed esteri, è già cominciata. e la soluzione si prevede ancora una volta “all’italiana”.

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PLACES

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I luoghi meno conosciuti al mondo Siria, le luci spente dalla guerra: confronto 2012-2015

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eventualità di una convergenza operativa tra islamismo radicale ed espressioni della sinistra antagonista è da tempo all’attenzione dell’intelligence e delle forze di sicurezza. Nel prolungarsi della congiuntura globale, si esasperano le tensioni politico-economiche ed etnico-culturali tipiche del dopo Guerra Fredda, sia a livello metropolitano sia a livello globale, il che contribuisce a creare un ambiente favorevole per le ideologie antagonistiche, di orientamento genericamente anti-occidentale. Un esempio di queste settimane è dato dall’emergenza migratoria, che offre più di un’opportunità di incontro a quanti, pur provenienti da culture politiche tra loro diverse, si collocano in una posizione conflittuale nei confronti della cosiddetta “Fortezza Schengen”. Ha destato un certo scalpore, nel febbraio scorso, la pubblicazione in internet di un volume intitolato Black Flags from Rome, che fa parte di una collana jihadista dedicata all’espansione politica e militare dell’islam sunnita JIHADISMO radicale (altri volumi, ad esempio, sono Black flags from Syria, Black flags from E SINISTRA Iran, etc.). Nel testo si prospetta chiarai PunTi di mente un’alleanza tra islam radicale e ConTaTTo sinistra antagonista, collegando il revival islamista all’esplosione delle tensioni sociali nel mondo occidentale. Da un punto di vista culturale, jihadismo e sinistra antagonista sono tra loro mondi opposti: la “sottomissione” a Dio da una parte, il libertarismo individualistico e insurrezionalista dall’altra. Tuttavia, restringendo il campo di osservazione al radicalismo islamico sunnita e ai movimenti anarco-insurrezionalisti, occorre prendere atto di alcune evidenti convergenze sul piano della filosofia organizzativa. L’islam rappresenta una realtà poliarchica, refrattaria alla stabilizzazione di qualsivoglia autorità centralizzata. Il rapporto diretto con Dio fa sì che ogni musulmano sia, potenzialmente, un ulema, ossia un’autorità in fatto di legge. Il rifiuto di una netta demarcazione tra sacro e profano può portare in alcuni casi a forme molto evolute di libertà religiosa, com’è accaduto ad esempio nel Medioevo iberico o nell’Impero ottomano e come accade nei Paesi islamici moderati, quale ad esempio il Marocco. D’altra parte, quella mancata separazione può, evidentemente, portare anche a una lettura radicale e violenta della missione affidata

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Le affinità tra Anarchici e Islamisti Movimenti anarco-insurrezionalisti e Islam radicale. Esistono dei punti di contatto pericolosi tra queste due dottrine, soprattutto quando convergono sulla lotta ai valori occidentali di Ciro Sbailò

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all’islam: la vis espansiva spazza via ogni limite, sia esso di carattere etico, politico o giuridico. Il concetto stesso di gerarchia presuppone, infatti, la delimitazione dello spazio sacro (ieros, appunto, da cui viene “gerarchia”) e la conseguente strutturazione dei ruoli religiosi (ma poi anche sociali) in riferimento allo stesso spazio sacro. Il misconoscimento dello ieros fa sì che non vi sia un criterio sicuro per la delimitazione delle competenze e per la definizione delle autorità. Per fare un esempio: ciascun islamista radicale potrebbe, al limite, fare il proprio jihad con mezzi di fortuna, utilizzando magari il brand dello Stato Islamico o di Al Qaeda. Per quanto riguarda il movimento anarco-insurrezionalista, esso è universalista per definizione e porta nella propria stessa denominazione il rifiuto di ogni autorità. Sono ben note la sua fisionomia orizzontale e la sua ostilità a ogni forma di istituzionalizzazione, sia di natura endogena (organizzazione piramidale interna), sia di natura esogena (definizione della propria posizione nel panorama politico). Rifiutando il principio di gerarchia anche in merito alle finalità politiche di medio termine, gli anarco-insurrezionalisti sono però aperti alla collaborazione con altre realtà antagoniste, secondo il modello degli “obiettivi condivisi”. Lo scopo dell’anarco-insurrezionalista, infatti, non è quello di costruire progressivamente la società futura: la vera rivoluzione la si ha nell’attimo distruttivo, in cui la società “borghese” precipita su se stessa, insieme alla propria storia. Il che fa cadere ogni ostacolo all’alleanza con chicchessia. Infatti, il rifiuto di allearsi con determinate realtà politiche o culturali viene di solito motivato sulla base di diversi obiettivi e di diverse scale di valori. Ma la visione antistoricistica dell’evento rivoluzionario rende senza senso confronti di tale genere. In forza di questa comune visione “globalistica”, nichilistica e volontaristica della politica, islam radicale e

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GIUGNO 2014 nonostante la guerra, si è votato per confermare assad al potere

anarco-insurrezionalismo condividono alcune tecniche di lotta, quale ad esempio quella della “dissimulazione”. Tale tecnica (taqiyya in arabo, originariamente adottata dagli sciiti in terra sunnita) permette al militante islamista di ragionare secondo il principio

coltivate, in quanto la dichiarazione avviene in uno spazio impuro, che non merita rispetto, e va dunque finalizzata essenzialmente al buon esito delle intenzioni interiori. A ciò si associa una visione elastica del diritto, sviluppatasi negli anni Venti e Trenta

ESISTE UNA CONVERGENZA TRA ISLAM “RADICALE E INSURREZIONALISMO, IN CHIAVE ANTI-OCCIDENTALE ” della “doppia verità” tale per cui, muovendo dal presupposto che il “foro” pubblico è “falso” di per sé in quanto ostile a Dio, non si pone il problema di una coerenza tra intenzioni dichiarate e intenzioni intimamente

tra giuristi egiziani islamici, e ora divenuta patrimonio comune dell’islam jihadista. In base a tale interpretazione, il fondamento ultimo di legittimità di un comportamento non va cercato solo nella legge scritta o tramandata,


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ma anche in ciò che è a fondamento di quella stessa legge, vale a dire lo stesso jihad, inteso come adesione estrema alla volontà di Dio. Anche in alcuni ambienti anarchici, già a partire dalla fine del Novecento si sviluppò la pratica della dissimulazione, o della “doppia verità”, sulla base del presupposto del carattere intrinsecamente menzognero e falsificante della comunicazione borghese. L’ideale rivoluzionario non solo giustificava la menzogna, ma anche l’alleanza con tutti i settori marginali della società, compresi quelli criminali. Anzi, nella visione anarchica rivoluzionaria, il criminale è un alleato naturale della causa, in quanto la sua condizione è frutto delle contraddizioni della società borghese. Il punto di esplosione, in senso non solo metaforico, di questa visione nichilistica e volontaristica della battaglia politica si ha nella pratica della strage indiscriminata (si veda, ad esempio, l’attentato di Wall Street del 16 settembre 1920, dove morirono 33 persone). Come si vede, le affinità politico-organizzative nascondono alcuni significativi punti d’incontro ideologico. Le radici ideologiche dell’insorgenza islamista contemporanea andrebbero, infatti, cercate non nella tradizione islamica medievale, come troppo spesso si fa, quanto invece nella rilettura estremistica del messaggio coranico, effettuata alla luce di alcuni sviluppi del radicalismo politico europeo del Novecento. In particolare, si fa qui riferimento alle degenerazioni della cosiddetta “politica del fatto”, basata sul primato dell’azione terroristica rispetto alla prassi politica tradizionale. Tra i principali autori della rilettura radicale del Corano c’è Sayyd Qutb, il

più grande teorico dell’islamismo estremo. Qutb, buon conoscitore dei classici occidentali moderni come della politica europea e americana, riteneva che la verità del Corano andasse considerata come una realtà vivente, che si dispiega nella prassi e nell’azione rivoluzionaria ed è in grado di rispondere ai problemi del mondo contemporaneo. Egli è stato duramente critico nei confronti delle società occidentali, e in particolare degli Stati Uniti, dove il progresso materiale s’accompagnava ai suoi occhi all’assoluta miseria spirituale. Ma la sua critica si avvale di modelli teorici elaborati in Europa nell’ambito del marxismo, dell’anarchismo e persino dell’ermeneutica filosofica. Mettendosi su un filone di grande successo in quel periodo, Qutb riproponeva in una chiave islamistica radicale, la teoria del “tramonto” della cultura occidentale, la cui destinazione nichilistica sarebbe ineludibile, perché iscritta nello stesso Dna della civiltà europea. In questo senso, Qutb riprende anche temi cari alla sensibilità anarchica, come quello della “disumanità” del cristianesimo, che manterrebbe l’uomo in una condizione “alienata”.

THE ANARCHIST COOKBOOK La “Bibbia” di anarchici e sovversivi

Al contrario, affermava Qutb, l’islam non colpevolizza le naturali tendenze umane, a partire da quelle sessuali, e non cerca di limitare la libera espressione della fisicità umana ma, anzi, valorizza l’uomo nella sua integralità corporale. Naturalmente non è qui in questione la correttezza filologica dell’uso da parte islamista di fonti del nichilismo politico europeo: se, infatti, il radicalismo rappresenta una degenerazione della cultura islamica (si pensi a intellettuali contemporanei di portata universale, come il filosofo Mohammed Abed al-Jabri o il giurista Abd El-Razzak El-Sanhuri), altrettanto può dirsi dell’anarco-insurrezionalismo rispetto alle teorie di Enrico Malatesta. La questione non ha un carattere teorico, ma politico-sociale. La convergenza tra islam radicale e insurrezionalismo, in chiave anti-occidentale, ci pare da prendersi in seria considerazione, anche in un orizzonte di medio e lungo periodo. In fondo, si tratta di una forma di “integrazione”: l’islam radicale si “integra” in Occidente all’antagonismo interno a questo stesso mondo. Perciò, si può parlare di integrazione antagonista.

DABIQ La rivista ufficiale dello Stato islamico

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ul piano geostrategico, la presenza militare russa in Siria rappresenta tre evoluzioni del quadro mediorientale: la prima, Mosca avrà una presenza sempre maggiore e talvolta risolutiva nel Mediterraneo; la seconda, la NATO sarà sempre più ininfluente nel Grande Medio Oriente; terzo, la Russia possiederà il centro di gravità dell’area, mediando tra Iran, Arabia Saudita, Iraq e, appunto, Siria. In questa fase, le sortite aeree di Mosca partono dall’aeroporto di al-Humaymim vicino Latakia in Siria, e sono oltre sessanta, dal 30 settembre fino almeno al 7 Ottobre. Sono state definitivamente messe fuori gioco ben cinquanta postazioni dell’ISIS, tra cui i centri terroristici di comando/controllo, depositi di munizioni e di armi, i centri di comunicazioni del Califfato e le piccole fabbriche di armi che caratterizzano le attività logistiche del gruppo di Al Baghdadi.

S LA GUERRA CHE PuTin SaLe in CaTTedra

MOSCA VUOLE VINCERE La Russia vuole proiettare il proprio potere sulla scena mondiale, per sostituirsi agli Stati Uniti nel quadrante mediorientale

di Marco Giaconi


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Sono stati colpiti anche due centri di addestramento per militanti suicidi che, probabilmente, aumenteranno di numero nei prossimi giorni, in funzione della carenza di armi pesanti nel Califfato. Tutto il territorio siriano è stato colpito dagli aerei russi. È stato affermato, dalla dirigenza di Mosca presente in Siria, che almeno seicento militanti dell’ISIS hanno disertato, ma non possiamo verificare la fondatezza di questa valutazione. Certamente, se ne andranno più facilmente dall’armata terroristica i mercenari, che sono circa un terzo del totale dei jihadisti operanti dal territorio del Califfato. Le bombe lanciate dai russi sono le KAB-250 ad alta precisione, guidate dal sistema di puntamento GLONASS. Mosca ha anche istituito una no fly zone su tutto il territorio siriano, oltre a chiudere le rotte marittime per la base di Latakia fino a 150 chilometri al largo delle coste, mentre la Marina russa compie manovre al largo. A pochi chilometri da Aleppo, nel nord della Siria, è presente inoltre la base turca di Incirlik, dalla quale partono gli aerei USA, dunque la NATO. I jet israeliani, quattro F-15C, hanno finora sorvolato l’area siriana partendo da Cipro, mentre almeno quaranta aerei con o senza pilota volano dall’inizio delle operazioni su tutto il territorio della Siria. Sempre sul piano tecnico, il confine tra Siria e Turchia è costellato da batterie di Patriot, che possono essere utilizzati ipoteticamente contro aerei russi, mentre la Turchia lancia attacchi dall’aria contro il territorio curdo senza colpire l’ISIS. Nella dottrina di Mosca, in questa fase, non ha nessuna rilevanza differenziare Jabhat al Nusra, ossia il fronte qaedista, e ISIS, mentre la Quarta Divisione Corazzata Siriana ha appena ricevuto diversi carri armati T-90 e i fucili automatici Tigr russi. È probabile poi che le truppe speciali Zaslon del GRU, il servizio segreto militare russo, compiranno azioni

di penetrazione/disattivazione nelle aree di confine tra Turchia e Siria, per evitare una successiva probabile azione NATO in quelle zone. Alcune fonti iraniane, fra l’altro, affermano che molte delle armi trovate nei depositi dell’ISIS sono di provenienza saudita, ma anche questa affermazione va presa con beneficio d’inventario. La chiave politica di tutto ciò è il nuovo accordo tra Russia, Iraq, Siria e Iran per la stabilizzazione dell’area e la collaborazione antiterroristica sul piano dell’intelligence e dell’aggiornamento tecnico-militare. Ciò significa, di fatto, l’espulsione degli USA da questo quadrante e l’espansione parallela del miglior alleato di Mosca nell’area, la Repubblica Islamica dell’Iran. Se la Russia vincerà la partita in corso, l’attuale equilibrio di potenza tra sciiti e sunniti, tra Teheran, Riad e i loro client states sarà deciso a favore del “partito di Alì”, al potere in Iran dal 1979. Israele, intanto, sta con ogni probabilità preparando un’azione di terra dalle Alture del Golan nel caso in cui vi fossero attacchi terroristici da quel quadrante. Peraltro, fonti di Gerusalemme hanno affermato che lo Stato Ebraico fornirà dati d’intelligence a Mosca nella sua azione contro l’ISIS, oltre a fornire ai russi dati di primissima mano sulla penetrazione delle strutture iraniane all’interno della Siria, che ovviamente Israele non vede di buon occhio. Gli USA e la coalizione hanno finora compiuto, partendo da Incirlik, 7.184 azioni aeree, con una quantità di truppe sul terreno che oscilla intorno alle 5.000 unità. Tra esse, circa 3.300 sono controllare dagli americani, le altre appartengono alla Coalizione. La Siria sarà un nuovo Vietnam per un’America che sta abbandonando di fatto il Medio Oriente? È presto per dirlo, ma certamente la Russia, finora, controlla il territorio siriano con forze notevolissime, e intende restarci.

FORZE RUSSE IN SIRIA

dovE FUGGIRAnno I jIhAdIsTI AssEdIATI dAI RUssI? Se nella nuova fase della guerra siriana, Mosca dovesse avere la meglio sulle formazioni jihadiste di Jabhat al nusra, Fronte islamico ed esercito della Conquista - oggi annidati tra idlib, Homs e Hama, ovvero le aree sotto il controllo ribelle martellate da pesantissimi raid russi a partire dal mese di ottobre - dove fuggiranno i ribelli? nella prima fase della campagna militare russa, il Cremlino punta a distruggere le postazioni nemiche, tagliare le vie di fuga, i depositi di armi e i loro rifornimenti, allo scopo di poter garantire il successo della seconda fase, che prevede una massiccia operazione di terra per respingere gli oppositori del regime. Ma respingerli dove? a Sud la strada è troppo lunga, mentre a nord il confine con la Turchia è affollato quasi per intero di curdi, a loro volta avversari dei jihadisti. a est domina lo Stato islamico. Possibile una saldatura in vista della “battaglia finale”?

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speciale Guerra iN siria

Yemen, I la guerra dimenticata Dopo il golpe sciita, il paese è spaccato in due. L’Iran manovra i ribelli Houthi, mentre l’Arabia Saudita fatica a contenere il nemico. L’ONU prova a interporsi di Vincenzo Perugia SANAA un momento dei raid aerei a guida saudita

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ribelli Houthi dello Yemen, una fazione sciita nota ufficialmente come Ansar Allah, hanno scritto al Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, per certificare il loro impegno ad accettare un processo di dialogo e una risoluzione sotto l’egida delle Nazioni Unite per porre fine al conflitto che ha diviso in due il paese. Questo avviene dopo che ad Aden è stato assaltato l’albergo in cui risiedevano il primo ministro e altri rappresentanti del governo sunnita. Nonostante i raid aerei e il dispiegamento di truppe, infatti, la coalizione araba non riesce a piegare la comunità Houthi che, con il sostegno dell’Iran, hanno tentato un colpo di stato (ancora in corso) allo scopo di dividere il paese e governare sulle aree tradizionalmente sciite dello Yemen. Secondo quanto si apprende, i rappresentanti Houthi s’impegnano a rispettare il piano di pace mediato dall’ONU e stilato durante i colloqui a Muscat, in Oman, che prevede sette punti da svolgere, a cominciare dal cessate-ilfuoco, dalla rimozione delle milizie armate dalle città e dal ritorno del governo nella capitale Sanaa. Quattro mesi di combattimenti tra ribelli Houthi e le forze governative, e attacchi aerei della coalizione guidata dai sauditi, hanno lasciato il paese impoverito e nel caos. Oggi, in Yemen, circa l’80% della popolazione ha bisogno di aiuto, 13 milioni di persone lamentano scarsità di cibo e 1,4 milioni sono in fuga dalla guerra civile. Sinora, sono già 4.900 i morti per la guerra, di cui 2.355 civili.


speciale Guerra iN siria

I ribelli musulmani sciiti del nord, a una guerra civile che coinvolge diretconosciuti come Houthi, sostenuti da tamente l’Arabia Saudita e il mondo forze fedeli all’ex presidente dello Ye- sunnita, estendendo sempre più l’area men, lo scorso mese di gennaio hanno dello scontro frontale con gli sciiti. occupato militarmente alcune aree delL’Islam è ormai in guerra con se lo Yemen, compresa Sanaa, e costretto stesso e non basteranno certo le litail governo a riparare in Arabia Saudi- nie e i peana delle Nazioni Unite a rita. I ribelli, al pari di Al Qaeda, com- solvere questa crisi. Mai come da battono il governo centrale per sece- quando l’Arabia Saudita ha bombardere il nord del Paese e reinstaurare dato lo Yemen in risposta al colpo di l’imamato del 1962, quando lo Stato sciita, ci siamo avvicinati Yemen era diviso in due a un conflitto su larga scala, stati distinti. che già adesso coinvolge I ribelli accusano il goJIHADISMO un numero impressioverno di corruzione e di di Paesi e rischia E SINISTRA nante pianificare l’emarginadi precipitare il Medio i PunTi di zione del loro gruppo Oriente ancora più a sciita all’interno del nuofondo nella sua personaConTaTTo vo sistema federale che le guerra mondiale. dovrà ridisegnare l’amminiUna guerra che sinora è strazione del paese. Le forze stata fatta per procura da milizie fedeli al governo sunnita e le milizie e clan rivali armati fino ai denti e pronti del sud hanno ripreso il controllo del- a scatenare il caos ovunque ci sia un la città di Aden nel mese di luglio, obiettivo strategico, un nemico sunnita supportati dai raid della coalizione o sciita riconoscibile o un simbolo reliaraba a guida saudita, ma violenti gioso da abbattere. scontri sono ancora in corso. Perché tutto ciò che accade oggi da L’Iran, baluardo dell’Islam sciita, Kabul a Tunisi, da Timbuctu a Sanaa, è continua ad armare le mani dei ribelli collegato. E lo Yemen oggi è solo l’ultiHouthi in Yemen e ha aperto la strada ma frontiera. Una guerra che, se anche

non dovesse sfociare in un conflitto di tipo tradizionale in cui si scontrano direttamente gli eserciti regolari, può portare il terrorismo fin dentro l’Arabia Saudita come in Iran, ma anche in Turchia, in Qatar e in tutto il Golfo Persico, promettendo di continuare all’ombra del conflitto siro-iracheno.

ChI sono I RIbELLI yEMEnITI gli Houti rappresentano una minoranza sciita di 5 milioni i persone in un Paese di 24 milioni di abitanti, suddivisi in numerosissime piccole tribù. il loro leader attuale è abdulmalik al-Houti che, dopo vari tentativi di conciliazione nazionale con il governo centrale, ha cavalcato lo spirito ribellistico della comunità Houti e ha deciso di andare allo scontro diretto. gli al-Shabab al-Muminim (i “giovani credenti”) sono oggi tra i gruppi più attivi in questa fase di opposizione allo Stato.

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RAGES

Le principali manifestazioni di rabbia e dissenso Le città trasformate dalla guerra

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HOMS La città è tra le più massacrate dalla guerra tra governo e ribelli siriani. evacuata dopo un accordo tra le fazioni opposte, oggi è in mano ai governativi. La sua posizione è strategica, a metà strada tra aleppo, damasco e Latakia.

KOBANE Simbolo dell’orgoglio curdo, la città è stata liberata dallo Stato islamico che ha inutilmente tentato di riprenderla. Più che strategia, la città di Kobane è un esempio da seguire per la liberazione di altre città del nord.


DAMASCO il cuore del governo sciita è qui. La capitale non è stata teatro di grandi battaglie ma la sua posizione è comunque a rischio. Sinora nei bunker sotterranei dove si nasconde il presidente assad sono risuonate soprattutto le autobombe in superficie.

LATAKIA nonostante le speranze di Jabhat al nusra, Latakia non cadrà in mani ribelli. Questa è una certezza dopo che le armate russe sono sbarcate in massa a difesa di questa città. da qui parte la controffensiva per riprendere la Siria.

ALEPPO Questa immagine è la rappresentazione plastica del conflitto. una trincea fatta di stracci e terra, che divide una città e un intero paese. aleppo oggi è contesa, ma rischia ogni giorno di più di cadere del tutto in mano ai ribelli.

IDLIB uno dei fronti più caldi è l’area intorno alla città. La strategia dei russi punta a riprendere il controllo di idlib con il martellamento dei raid aerei, che anticipano l’avanzata delle truppe siriane. Qui si prospetta una carneficina.

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EUROPA ANNO ZERO Il ritorno dei nazionalismi eVa gioVannini Marsilio Rai Eri 208 pagine 16 euro

anno III - numero 18 - settembre-ottobre 2015

n questi anni dieci del terzo millennio stiamo assistendo a un sostanziale ritorno dei nazionalismi in Europa. Movimenti di una destra radicalmente identitaria, populista e con tendenze xenofobe sono entrati nel Parlamento europeo e nel 2015 i risultati elettorali in ben otto paesi dell’Unione hanno decretato l’avanzata incessante delle destre. Sono destre anomale, nuove, destre che non vogliono essere definite tali. Per lo più «sovraniste», non fasciste, per quanto in alcuni casi presentino frange estreme e pericolose. Per raccontare questo fenomeno nelle sue varie declinazioni, Eva Giovannini ha intrapreso un viaggio attraverso sei paesi europei: dalla Francia di Marine Le Pen, che cavalca la riscoperta

EDITORE G-Risk - Via Tagliamento, 25 00198 Roma Tel. +39 06 8549343 - Fax +39 06 85344635 segreteria_grisk@grisk.it - www.grisk.it

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DIRETTORE SCIENTIFICO Mario Mori DIRETTORE EDITORIALE Alfredo Mantici direttore@lookoutnews.it DIRETTORE RESPONSABILE Luciano Tirinnanzi @luciotirinnanzi redazione@lookoutnews.it

che riparte dalla Sicilia per rifondarsi e dichiarare guerra alle élite europee e all’immigrazione. Cosa mutuano questi protagonisti gli uni dagli altri e cosa è peculiare dei singoli paesi in cui agiscono? E come stanno condizionando le politiche nazionali e comunitarie? Con interviste in esclusiva ai leader delle nuove destre e dialoghi con i

L’unione europea, oggi, è il luogo dove “ tutte queste spinte «dal basso verso l’alto» si sovrappongono. Quello che viene a galla è una funesta inquietudine che rischia di distruggere il disegno europeo che ha alimentato i sogni di almeno due generazioni” dell’orgoglio nazionale, al Regno Unito di Nigel Farage, leader dell’Ukip; dalla marcia dei «nuovi patrioti» di Pegida, in Germania, all’estrema destra ungherese; dalla Grecia di Alba Dorata e dell’alleanza tra Syriza e gli indipendentisti cattolici di Anel, fi no all’Italia della Lega Nord di Salvini,

eva giovannini

militanti, Eva Giovannini racconta in presa diretta la potenza dell’onda che sta attraversando l’Europa. Il risultato è una sorta di istantanea, il fermo immagine di un momento cruciale come pochi altri per la tenuta democratica - non solo economica - del nostro Continente.

CAPOREDATTORE Rocco Bellantone @RoccoBellantone REDAZIONE Marta Pranzetti Brian Woods Hugo Ottorino Restelli Tersite HANNO COLLABORATO Ciro Sbailò Claudio Stellari Marco Giaconi Vincenzo Perugia ART DIRECTION Francesco Verduci FOTOGRAFIE Agenzia Contrasto - Reuters Pictures Archivio Lookout News Registrata presso il Tribunale di Roma n. 13/2013 del 15/01/2013 R.O.C. n. 24365 del 18/03/2014

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