2 minute read

Aestatis Cento

ALEXANDRI GENTIS BALOXIAE (ALESSANDRO BALOSSI), 4A

Un “centone” dal latino “cento” (un vestito realizzato da molti pezzi di stoffa cuciti assieme) è un componimento poetico costruito attraverso un collage di versi di autori famosi e rinomati. Dopo aver accantonato la folle idea (la metrica è un incubo!) di comporre una poesia in metrica dedicata all’estate, mi sono cimentato nella composizione di un centone, selezionando versi dalle opere del buon Virgilio (Bucoliche, Georgiche, Eneide). Il mio intento è quello di elogiare e descrivere miticamente il mutamento della Natura durante la stagione estiva, attraverso i versi del famoso autore latino. Invito a leggere il brano prima in lingua originale, per coglierne l’armonia e la musicalità, cui merito va in parte alla lingua latina, in parte allo stile virgiliano.

Advertisement

Iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna; molli paulatim flavescet campus arista, incultisque rubens pendebit sentibus uva, et durae quercus sudabunt roscida mella. Nunc etiam pecudes umbras et frigora captant, nunc viridis etiam occultant spineta lacertos. Iamque novom terrae stupeant lucescere solem, altius atque cadant summotis nubibus imbres, incipiant silvae cum primum surgere cumque rara per ignotos errent animalia montis. Muscosi fontes et somno mollior herba et quae vos rara viridis tegit arbutus umbra, solstitium pecori defendite; iam venit aestas torrida, iam lento turgent in palmite gemmae. Stant et iuniperi et castaneae hirsutae, strata iacent passim sua quaeque sub arbore poma, omnia nunc rident; at si formosus Alexis montibus his abeat, videas et flumina sicca. Aret ager, vitio moriens sitit aëris herba, Liber pampineas invidit collibus umbras; Phyllidis adventu nostrae nemus omne virebit, Iuppiter et laeto descendet plurimus imbri. Urit enim lini campum seges, urit avenae, urunt Lethaeo perfusa papavera somno. Illa seges demum votis respondet avari agricolae, bis quae solem, bis frigora sensit; illius immensae ruperunt horrea messes.

Traduzione

La Vergine ormai torna, i regni di Saturno tornano; a poco a poco i campi imbiondiranno per le spighe flessuose e l’uva rosseggiante penderà da cespugli di spine e le querce dure emetteranno miele come rugiada. Ora anche le pecore prendono le ombre e il fresco, ora anche gli spineti nascondono le verdi lucertole. Ed ecco la terra stupita del sole recente che brilla, cadere da nubi sospinte sempre più in alto la pioggia subito gli alberi incominciare a elevarsi, radi animali vagare per ignote montagne. Muscose fontane e del sonno più molli, o erbe, e ombra del verde corbezzolo che rada vi copre, riparate dalla canicola il gregge. Già viene l’estate torrida, già gonfia sul tralcio flessuoso le gemme. Svettano i ginepri e i castani ispidi, abbandonati giacciono qua e là sono ogni albero i suoi frutti, tutto ora sorride. Ma se il bell’Alessi da questi monti fosse assente, vedresti anche i torrenti senz’acqua. Inaridisce il campo, muore di sete l’erba per l’aria ammorbata, Libero ha rifiutato ai colli l’ombra dei pampini; ma all’arrivo della mia Filli tutta la selva verdeggerà, e Giove scenderà abbondante con pioggia feconda. Dissecca il campo la coltivazione del lino, lo dissecca l’avena, lo disseccano, pervasi di sonno leteo, i papaveri. Alla speranza ardente dell’agricoltore risponde solo quel campo che due volte sente il sole, due volte sente il freddo: il suo raccolto gli sfonderà, smisurato, i granai.

This article is from: