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La strada di casa

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Gelosia

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GIOVANNI COLOMBO, 5D

Lo storico inglese Hobsbawm scrisse che ricostruire la storia del Novecento è stato diverso rispetto a quella di altre epoche perché si tratta di un periodo che egli aveva in primo luogo vissuto, e per tale ragione, sperimentava quanto fosse difficile valutarne le dinamiche perché ricche di ricordi, di opinioni, di posizioni che inevitabilmente la storia deve riportare a una dimensione più concreta e razionale. E’ così che mi avvicino a tracciare una linea, a saltare un ostacolo, a uscire per l’ultima volta da questa porta e dal quel cancello, insomma, a concludere questa esperienza liceale e ad abbracciare il futuro. E’ molto difficile sforzarsi oggi, prima che l’ultima campana sia suonata, di trarne un bilancio completo; quanto è certo è che lo farò senza preoccuparmi, al contrario di Hobsbawm, di distillare i fatti dalla memoria. Ho pensato molto a quali siano stati i momenti più sereni della mia esperienza liceale, agli aneddoti divertenti e alle vicende più sconfortanti che ho affrontato e, nella notte in cui scrivo, seduto in poltrona, sento che ho prima di tutto amato. Quando sono entrato a scuola l’ho fatto in punta di piedi, osservando, spiegando e spesso anche criticando e proponendo. Ricordo la prima assemblea di istituto passata con alcuni amici in fondo all’aula magna; ai tempi la scelta dei futuri rappresentanti di istituto ci sembrava (o almeno a me) una dinamica di importanza vitale, e dunque, tale sembrava anche una valutazione consapevole di coloro che si proponevano per svolgere questo compito. Sono affezionato ai ricordi degli anni trascorsi a crescere con chi mi

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ha accompagnato lungo questo cammino umano, intellettuale e anche spirituale. Perché ciò che abbiamo vissuto è stato un percorso alla ricerca di un senso, di un bene e di una felicità che abbiamo trovato, perso e recuperato molte volte lungo il cammino. Dei primi anni ho molti ricordi: le passeggiate per i corridoi della sede agli intervalli, le chacchierate di attualità con il prof. Ermacora, l’angoscia per le molte scadenze e le verifiche, tra le quali meritano una menzione d’onore quelle di matematica della prof.ssa Schiatti, che ci hanno temprato l’anima. Sono state tante le gite in bicicletta con gli amici al parco di Monza, scoprendo sempre gli pneumatici bucati e quindi alla perenne ricerca di un ciclista in nostro soccorso che fosse aperto la Domenica. Calde giornate primaverili e estive rinfrescate da un bel gelato e da quelle confidenze che alleggeriscono l’esistenza di tutti noi e ci fanno sentire, in fondo, la parte di un tutto che vive i nostri drammi e le nostre gioie. Dalla terza sono entrato in redazione e ho iniziato a collaborare a un progetto che, pur con molte innovazioni, è quello a cui oggi lascio queste righe. Ho conosciuto Giacomo Longoni, Francesco Vaccaro (per tutti Vacci), e tra volti nuovi ho iniziato a scrivere di argomenti diversi: il primo articolo era sulla situazione tragica del popolo dei Curdi. Nelle grandi difficoltà della pandemia non abbiamo avuto scelta se non la possibilità di adeguarci a ciò che la situazione proponeva, confidando che l’avvenire fosse migliore, e oggi, pur rimpiangendo il tempo perduto, non rinnego questa scelta. A questa sfida siamo sopravvissuti e, con nuova energia, ci siamo avvicinati a questa amata quinta, anno di riscatto, in cui il teatro, cura umana di prossimità, ha avuto un ruolo centrale per me e molti amici grazie al suggerimento della prof.ssa Bocchio. Andarci ha significato ogni volta spegnere i telefoni, aguzzare l’ingegno e lasciarsi trasportare dalle vite evocate dagli attori, in cerca di spunti di riflessione, stimoli e qualche risposta. L’ultimo, una sorta di addio, è stato all’Elfo Puccini a inizio Maggio, “Le otto montagne”, tratto dall’omonimo romanzo di Paolo Cognetti: una storia di amicizia, vita e crescita

tra natura e città che mi ha davvero emozionato. Guardando da veterano a questo tratto attraversato trovo che vada attenuandosi il ricordo dell’angoscia con cui forse tutti abbiamo vissuto lunghi pomeriggi di studio e di preoccupazioni personali e collettive e che, invece, la memoria stia esaltando quanto di straordinario c’è stato in questo lustro. Porto con me i volti e le esperienze di chi ha condiviso questa strada diventando amico: di chi, più grande, ha già compiuto il fatidico passo verso il futuro e, di chi, prima piccolo, ora vedo molto cresciuto e saluto con un sorriso nei corridoi. Forse ci vorrà del tempo per decifrare cosa sia stata questa lunga, breve e intensa quinta, ma sono certo di portarla con me nella mia identità, frutto di una grande passione, consapevole che, quando vorrò tornare alle mie radici, potrò ritrovare casa tra queste mura, nel meraviglioso ricordo della tanto amata e, a volte tormentata, vita, vissuta qui.

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